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Il vampiresco
Iris Gavazzi
1 La categoria estetica
La realtà artistica contemporanea appare dominata dalla presenza di molteplici categorie. Sulla scena artistica il brutto e i suoi aspetti periferici si presentano con le
medesime credenziali del bello: non più quindi subordinati alla nozione prevaricatrice di bellezza. Uno studio che ipotizzi l’esistenza di una categoria del “vampiresco” trova la propria giustificazione in quest’era di pluricategorialità dell’arte, in
cui ulteriori e alternative categorie al bello concorrono alla creazione dell’identità
del materiale estetico.
Nel corso del Settecento il gusto comincia a mutare e nuovi scenari si profilano
per gli artisti; la sfida per l’estetica avviene sul fronte paradigmatico: si tratta di
modificare i fondamenti di una disciplina che del gusto rappresenta la legittimazione filosofica. Lo slancio dei filosofi romantici tedeschi ad indagare le zone del
negativo sarà legittimato mezzo secolo più tardi da Rosenkranz: il brutto rivelerà
nuovi, non del tutto esplorati, percorsi estetici. Particolari forme di brutto, quali il grottesco, il deforme, il comico, il caricaturale, il satanico sveleranno inedite
potenzialità artistiche.
La categoria del vampiresco agisce con gli stessi meccanismi estetici del brutto confondendosi così, alle volte, con le altre categorie del negativo. Alla stregua del brutto, ma ancora una volta in maniera del tutto particolare, la categoria
del vampiresco mira a provocare emozioni simili utilizzando le medesime costanti
estetiche.
Idee come la paura, il fascino, il terrore; motivi quali la persecuzione, la condanna, l’immortalità; miti come eros e thanatos offrono tutti il proprio contributo
alle radici del vampiresco. Così, se è possibile affermare che la categoria del vampiresco trova le proprie origini nel brutto, nel romanzo gotico o nei meccanismi del
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feuilleton, ciò che offre di diverso è l’ordine con il quale questi temi si strutturano
e si presentano all’interno della categoria stessa.
A chi volesse tracciare un profilo estetico del mito del vampiro, che in sé accoglie e raccoglie secoli di tradizione letteraria, teatrale e, nel nostro secolo, cinematografica, non dovrebbe sfuggire la relazione immediata del mito con altre
sfere del pensiero; il vampiro non è disgiunto dal male, dal falso, dall’errore. Un
invito, questo, ad osservare che dove il valore estetico si fa nuovo, diversi piani del
pensiero contribuiscono a determinarne l’identità.
Il vampiro, il nosferatu, è il “non-morto” che eticamente sfida le leggi della
natura; le sue azioni sono ispirate da potenze contrarie al divino e non rispondono
ad alcuna morale. Teoreticamente il vampiro è un falso, la sua immagine non si
riflette negli specchi.
Il suo aspetto rivela tratti di disarmonica fisicità: il volto è pallido e contrasta con il colore purpureo delle labbra, le orecchie sono appuntite, il viso scarno, le
mani inspiegabilmente grosse e pelose. In lui non v’è traccia di bellezza, pure esercita un fascino particolare, magnetico. In lui convivono i principi antitetici di eros
e thanatos. Ciò che constatiamo appartenere alla sfera del brutto, del disarmonico,
dello sbagliato e del deforme che posizione può occupare nel cosmo estetico? La
riflessione intorno al brutto induce a tracciare un più ampio disegno interpretativo
dell’immaginario umano, sia nei suoi risvolti più conturbanti, sia nei principi che
presiedono alla sua resa artistica.
La scienza teratologica offre interessanti punti di collegamento con questi nuovi orizzonti estetici. Il significato del mostro, inteso come valore alternativo al bello, all’armonico e al giusto, riveste un ampio margine di interesse per la riflessione
intorno al brutto. Così come le potenzialità euristiche del mostro, del vampiro, permettono di cogliere aspetti non immediatamente riconoscibili come estetici, le sue
potenzialità gnoseologiche rendono fertile l’indagine estetica, senza costringere il
brutto entro i confini armonici del bello.
Il cambiamento di gusto segna l’innovarsi dei tradizionali canali di diffusione
artistica. Mutano i modi e i tempi di fruizione artistica e l’esperienza estetica è
diluita nel tempo: il genere feuilleton sembra rispondere alle nuove esigenze del
pubblico, la letteratura sfrutta il principio del fantastico teorizzato da Todorov nel
dilatato tempo di azione del personaggio. Così come avviene ne Les Mystères
de Paris (1843), in cui il brutto è dosato nelle diverse puntate, anche nel genere
vampiresco viene utilizzato lo stesso procedimento1 .
La prima opera in prosa della letteratura vampiresca, Varney The Vampire or
1 «Todorov definisce il fantastico come l’esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto
le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale. Todorov precisa che il
fantastico è la frontiera tra due campi vicini che sono lo strano e il meraviglioso. Centrale diviene
il particolare rapporto fra il tempo della narrazione e l’evento finale. Il finale di ciascun racconto,
che sfrutti il principio del fantastico, diviene l’evento atteso perché annunciato, via via, da indizi,
dettagli, o particolari che preparano l’evento. Per questo suo carattere,nel racconto fantastico, assume
valore rilevante il tempo che costringe il lettore a seguire il testo fin dal principio» (G. Bagnoli,
C. Di Soccio, “Introduzione”, in Racconti. Il magico, il fantastico, il diverso nella narrativa italiana
dell’Ottocento, Cosmo, Isernia 1989, pp. XXII-XXIII).
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the Feast of Blood (1847), è un romanzo di appendice che centellina emozioni e
propone il brutto ed i suoi aspetti a puntate. Segnale questo che il cambiamenti del
gusto, degli orizzonti estetici, dei parametri di valutazione e giudizio, producendo
nuove modalità di fruizione estetica hanno creato nel pubblico nuove aspettative. Il
brutto non appare più come mero disvalore, il mostruoso si fa produttivo di sapere.
1.1 Rosenkranz e il vampiresco
Nell’introduzione allo studio Estetica del Brutto, Rosenkranz anticipa al lettore che
presto compirà una discesa nell’inferno del Bello2 . Omero ci ricorda come Ulisse
comunichi con i trapassati facendo bere alle loro larve il sangue di un montone
sacrificato. Questa idea che il sangue possa fungere da “porta di comunicazione”
tra il mondo dei morti e dei vivi è assai antica. E se attraverso il sangue dei vampiri
provassimo a discendere anche noi, con Ulisse e come Rosenkranz, nell’inferno
del Bello?
Sempre Rosenkranz scrive che il male è l’eticamente brutto, causa di un brutto
estetico3 . Se l’illibertà teoretica si riflette in una fisionomia insignificante, la libertà è invece madre del bello. Come può dunque il vampiro, l’eticamente brutto,
essere esteticamente bello ed esercitare fascino? Il vampiro agisce liberamente nel
suo mondo qualificato come brutto da un punto di vista estetico, etico e teoretico.
Il vampiro è dunque libero. Si svela nei suoi connotati ripugnanti nel momento
in cui l’illibertà del suo essere eticamente brutto nega un limite laddove dovrebbe
esistere. Il limite negato è la sua condizione di “non-morto”, è il trapasso continuo
dalla vita alla morte, la mancata appartenenza all’uno o all’altro mondo. Quando l’illibertà pone invece una frontiera dove la libertà imporrebbe la mancanza di
confini, il vampiro si fa volgare. La sua sete-necessità di sangue lo rende schiavo
della sua stessa passione, il vampiro che seduce è sublime, ma il vampiro costretto
a suggere il sangue degli animali o degli insetti per sopravvivere è volgare.
Se così dunque l’antitesi del sublime è il volgare, del piacevole il ripugnante,
del bello il caricaturale, anche il vampiro si presta ad una lettura secondo questi
canoni. Può essere non sublime ma volgare, non piacevole ma ripugnante, non
bello ma comico nella sua condizione di “non-morto”, di schiavo del sangue e di
mostro deforme.
Ma il vampiro si offre anche ad una diversa lettura, in grado di costruire attraverso costanti estetiche la categoria del vampiresco. Categoria che è inserita nell’universo estetico, che intrattiene legami con le altre categorie del brutto, dell’orrido,
del kitsch e che in esse talvolta si confonde e si maschera.
La figura letteraria del vampiro, grazie alla forza archetipale del mito che gli
è propria, si è imposta per due secoli ininterrottamente4 , offrendo nel suo conti2
K. Rosenkranz, Estetica del Brutto, tr. it. di S. Barbera, Aesthetica, Palermo 1984, p. 47.
Ibid., p. 245.
4 «La dirompente forza di attrazione esercitata dal mito nella letteratura ha fatto sì che fin dai
suoi primi esordi in The Vampire di Polidori (1819) si giungesse ad una popolarità che non ha mai
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nuo adattamento alle aspettative estetiche del pubblico interessanti spunti per una
riflessione ad ampio respiro.
Se non stupisce la prolifica letteratura in materia, sbalordisce piuttosto la varietà con la quale il tema del vampiresco appare rielaborato, in letteratura prima, nelle
arti visive poi. Il vampiro in due secoli di vita è passato attraverso le mode fluttuanti della società, ha conosciuto modalità di fruizione differenti, si è impadronito
delle nuove tecniche di riproduzione artistica dal cinema al fumetto, si è dilatato, “imborghesito”, ha familiarizzato con il kitsch per approdare al trash, sempre
comunque riproponendosi con la medesima forza estetica.
Quali le ragioni di tanto successo, quali i motivi di questa sempreverde identità
estetica, in grado di raccogliere consensi e attenzione sia in seno all’arte colta sia
nell’ambito di quella popolare?
1.2 Analisi storica
Nella seconda metà del Settecento il tema della paura conquista la sensibilità dell’epoca, diventa una idea estetica e uno stile nella letteratura e nelle arti. Una
rivisitazione culturale del gotico nelle arti maschera il sottile piacere del terrore.
Accanto al pittoresco e al sublime nasce il “vampiresco”. Attraverso complesse
trasformazioni del gusto e della vita umana, il vampiro come idea estetica legata
alla paura e all’orrore ha continuato così a tracciare una propria storia.
In principio era il vampiro. Figura tratta dal folklore slavo, protagonista dei
racconti dei contadini romeni, capro espiatorio degli eventi naturali5 .
Poi venne Dracula e da allora il potente simbolo del vampiro, in cui i misteri
della vita e della morte convivono, entrò a far parte dell’immaginario collettivo,
facendosi spazio nel Walhalla dei miti moderni6 .
Attraverso la macabra e grottesca figura onirica del vampiro l’uomo ha dato
forma e consistenza ad un suo prometeico sogno di immortalità, che la morte
conosciuto arresto. [. . . ] il 1997 rappresenta il centenario della pubblicazione del romanzo di Stoker
Dracula, che non è mai stato fuori commercio da quando uscì nel 1897. È la prova che il mito è
entrato a far parte della schiera dei classici». R.T. McNally, R. Florescu, In Search of Dracula. The
History of Dracula and Vampires (1972), tr. it. di G. Guerzoni, Storia e Mistero del Conte Dracula.
La doppia vita di un feroce sanguinario, Piemme, Casale Monferrato 1996, p. 7.
5 Agazzi chiarisce i luoghi della nascita del mito del vampiro: «Nell’ambito dell’Europa la cupa
superstizione del vampiro è conosciuta sotto diversi nomi e diverse forme sin dai tempi più remoti:
dalle antiche saghe islandesi alle leggende slave odierne. Furono però i paesi dell’Europa dell’Est
a dare maggiore credito alle storie dei vampiri [. . . ] furono proprio i paesi slavi a meglio definire
lungo i secoli il vampiro nei suoi tratti caratterizzanti. [. . . ] La visione dualistica delle forze della
natura, profondamente radicata nella mitologia slava fece sì che certi esseri demoniaci – il vampiro o
il licantropo – trovassero una loro giustificazione» (R. Agazzi, Il mito del vampiro in Europa, Lalli,
Poggibonsi 1979, p. 55).
6 Scrive Gianni Pilo: «Il romanzo di Bram Stoker fa da spartiacque nella storia della letteratura
vampirica, che può essere suddivisa in una fase pre-Dracula e una post-Dracula. Il successo della
creatura dello scrittore dublinese è apparso subito tanto vasto e radicato, e il paradigma lettererario da
lui posto tanto potente, da sconsigliare i grandi scrittori dall’affrontare ancora il tema del Vampiro»
(G. Pilo, S. Fusco, “Il Vampiro”, in G. Pilo, S. Fusco (a cura di), Storie di Vampiri, Newton Compton,
Roma 1994, p. 18).
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continuamente dissolve. L’immagine di un essere notturno resuscitato dalla
tomba che solitario si aggira tra il mondo addormentato dei vivi per suggerne
il sangue, affascina e insieme terrorizza. È il fascino e il terrore che proviene
dalle tenebre del demoniaco verso il quale l’uomo, in rivolta contro la propria
morte, si rivolge per proiettare fuori di sé i mostri immortali che placano il
suo desiderio di vivere al di là del consentito.7
La seduzione esercitata dal mito nella letteratura ebbe una risonanza enorme,
quasi una tela di ragno capace di legare a sé schiere di individui in cerca del brivido,
del mistero, della paura8 .
Un pubblico sedotto dal fascino dell’orrido, come un secolo prima era stato
affascinato da Les Mystères de Paris, avvinto alle vicende del vampiro Varney,
come legati alle uscite dei primi feuilleton erano stati gli estimatori di Sue.
“Le laid est le beau” diventava la parola d’ordine: esseri deformi come Quasimodo di Notre Dame de Paris (1831) o il Triboulet di Le Roi s’amuse (1832)
diventavano i prototipi di un “brutto bello”, i tedofori del grottesco9 . La “grande Arte” stava a guardare il successo di questo prodotto della cultura popolare,
Quasimodo e il vampiro molto avevano in comune.
A cominciare dalla simile nascita sotto il segno di una nuova sensibilità estetica, in grado di ampliare i propri orizzonti ipotizzando nuove categorie estetiche. Quasimodo nasceva nella culla del grottesco. Hugo nella Préface de Cromwell (1827) aveva sondato, con profetico spirito di novità, i sotterranei della sensibilità estetica, scoprendo nelle pieghe della stessa, nella sua ombra, nel brutto,
nuove, straordinarie potenzialità. Il deforme Quasimodo rappresentava il punto
d’incontro e il trampolino di lancio di quelle riflessioni cresciute in seno ai primi
filosofi romantici.
Anche nella visione hegeliana, l’arte cristiana, come spazio della modernità, si
qualificava come spazio di espressione del brutto, causa non solo della caduta dalle
vette della bellezza classica, ma dell’aggiunta energia spirituale al bello.
Alla ipotesi di una teoria del brutto, era seguita successivamente la formulazione di una estetica del brutto: non più mero disvalore, non semplicemente esistente
7
Ibid., p. 25.
«Una bella immagine adorniana potrebbe sintetizzare l’effetto del brutto: la capacità di rabbrividire, come se la pelle d’oca fosse la prima immagine estetica. Tra le note caratteristiche del
tradizionale piacere estetico si è insinuato il brivido del brutto, e questa coscienza cui è stata restituita la capacità di rabbrividire – che conserva dunque una capacità di reazione, e non in nome di nulla,
al negativo del nostro tempo – potrebbe essere assunta a emblema della coscienza del brutto nella
nostra arte» (G. Scaramuzza, Il brutto nell’arte, Il Tripode, Napoli 1995, p. 28).
9 «Il bello infatti – afferma Hugo nella più celebre frase dell’intera “Prefazione” – ha un solo
tipo, mentre il brutto ne ha mille. Il bello si rapporta soltanto all’organismo umano, forma che ha
indubbiamente una misura ma che è “limitata”, ha la nostra stessa limitatezza. Il brutto è invece il
particolare di un “grande tutto” che nella sua completezza ci sfugge ma a cui esso allude, mostrandone sempre di nuovo le potenzialità, cercando un’armonia non con l’uomo ma con l’intera creazione»
(E. Franzini, “Introduzione”, in V. Hugo, Sul grottesco, tr. it. di M. Mazzocut-Mis, Guerini, Milano 1991, p. 22). Cfr. M. Mazzocut-Mis, Mostro. L’anomalia e il deforme nella natura e nell’arte,
“Presentazione” di G. Scaramuzza, Guerini, Milano 1992, cap. II.
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per dare risalto al bello, non responsabile di una mancata resa artistica ma ontologicamente determinato, positiva risonanza del bello, produttore di un valore artistico
al pari del bello.
Il grottesco Quasimodo e il vampiro altro non erano che mostri, dietro ai quali
si celavano la regola e la sua trasgressione, autorizzata dalla regola stessa.
Il brutto scopriva con loro l’ebbrezza del primo piano sul palcoscenico artistico, non agiva più dietro le quinte, non collaborava semplicemente alla riuscita del
bello. Il brutto si metteva in mostra, gli artisti lo esibivano e l’arte lo sciorinava
come valore alternativo.
L’emorragia di terrore, la dilagante estetica della paura aveva creato il mito
letterario, condensando nel personaggio creato da Bram Stoker secoli di tradizione
folklorica, decenni di sperimentazione letteraria, innumerevoli tematiche legate al
romanzo gotico.
È soprattutto nel cinema che il nuovo prototipo di vampiro ha fatto la sua comparsa. Agli esordi, il vampiro appare in veste di mostro, ma nel corso dei decenni la
sua immagine si raffina sempre più fino a perdere i connotati mostruosi ed entrare
nei panni del “bello e dannato”.
A partire dal 1972, data di pubblicazione della bibliografia storica di Vlad Tepes, il Dracula dell’omonimo romanzo di Bram Stoker10 , gli studi e i simposi in
materia di vampiri si sono moltiplicati. Lo studio di McNally e Florescu ha per la
prima volta dato un volto al vampiro per eccellenza. Lo spessore storico attribuito
alla figura archetipale ha riacceso l’interesse mondiale ed è del 1995, a quasi cento anni dalla pubblicazione del romanzo di Stoker, il primo convegno mondiale di
studi vampireschi in Transilvania.
2 Chi è il vampiro
“Vampiro”, termine che designa il mostro bevitore di sangue, è di origine slava. Gli
studi di Massimo Izzo hanno individuato la sua nascita nel processo teratogenetico
di iperdeterminazione. Tale processo produrrebbe forme caratterizzate da anomalie nelle leggi biologiche: la deformazione di un comportamento caratterizzante
è all’origine della formazione del mostro11 . Il vampiro è un morto che tuttavia,
rispetto alle leggi biologiche, prolunga la propria vita. In un ambito strettamente
teratologico, all’origine del vampiro ci sarebbe quindi una sorta di “ribaltamento”
delle normali leggi di natura. Sfidando l’ordine divino, il vampiro risorge dalla
morte cercando di perpetuare in eterno la propria esistenza. Attraverso il sangue,
simbolo di vita, il mostro sconfigge la morte.
La parola vampiro deriva dal magiaro vampir, un lemma di origine slava, che si
ritrova nella stessa forma in russo, polacco, ceco, serbo e bulgaro. Esistono tuttavia
ulteriori varianti del bulgaro: vapir, vepir o del ruteno-ucraino: vepyr, vopyr, opyr
che sembrano direttamente legate alla parola russo upir, vocabolo questo che, nel
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Cfr. R.T. McNally, R. Florescu, op. cit.
M. Izzo, Il dizionario illustrato dei mostri, Gremese, Roma 1989, p. 91.
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folklore russo, designa un mostro succhiatore di sangue. Renato Agazzi12 suggerisce come la voce polacca upier potrebbe essere legata alla voce turca dialettale uber
(“strega”), e propone tale voce come possibile centro di irradiazione del termine.
Lo stesso studioso offre una diversa derivazione etimologica. La forma vampir in
lingua russa meridionale (o nella voce arcaica upir) è stata confrontata col lituano wempti (“bere”) e wempti wampiti (“brontolare”, “mormorare”). Interessanti
riflessioni nascono dalla constatazione del significato della radice pi (“bere”) con
il prefisso u (“va”). «Se questa derivazione è corretta, la caratteristica del vampiro
sarebbe una specie di ubriacatezza di sangue», sostiene lo studioso13 . Il vampiro
letterario, nelle fattezze del mitico personaggio che ha attraversato indenne i mutamenti e le mode culturali, trova un antecedente nel vampiro “folklorico”, il soggetto archetipale che da sempre incarna la paura dei morti e il desiderio di eternità
dell’uomo14 .
2.1 La leggenda
All’origine della leggenda del vampiro vi è l’idea ancestrale che post-mortem sia
possibile, in determinati casi, la prosecuzione di attività specifiche dell’esistenza
in vita. Due sono le attività tipiche dei vivi che si immaginava potessero essere
trasferite anche nel mondo dei trapassati: il sesso e l’alimentazione. L’accenno al
sangue unisce l’attività sessuale dei morti con quella di tipo nutritivo.
Sono il sangue e la sua spasmodica ricerca a creare il vampiro. Il sangue è
stato universalmente considerato l’essenza della vita stessa, il medium di forze magiche e il nutrimento delle creature sovrannaturali. Leopoldina Fortunati cita la
“leggenda del santo Graal” a titolo di esempio della forte simbologia del sangue:
il sangue misto ad acqua che sgorgava dalla ferita del Cristo era considerata la
bevanda dell’immortalità per eccellenza15 .
L’immagine del vampiro è stata spesso utilizzata in contesti molto lontani rispetto all’ambito letterario: inseguendo le metafore politiche, da Voltaire a Marx,
12
R. Agazzi, op. cit., p. 26.
Lo slavista Evel Gasparini lega la radice slava della tradizione vampirica alla particolare forma di religiosità pagana, di impronta manista, praticata da quei popoli. Il rito delle esequie ripetute
veniva celebrato onde scongiurare il ritorno del defunto nel mondo dei vivi. Il ritrovamento del cadavere non decomposto veniva interpretato come chiaro indizio dell’avvenuto ritorno. L’impalamento
e l’incenerimento del cadavere avveniva affinché il defunto non importunasse i vivi suggendo loro
il sangue. Cfr. E. Gasparini, voce “Slavic Religion”, par. “The Belief in Vampires”, in The New
Encyclopaedia Britannica, Chicago 1988, vol. XVIII, p. 909.
14 Paul Barber ha dedicato molta attenzione all’analisi del mito del vampiro in relazione alle pratiche di sepoltura. Alla base della fortuna, anche letteraria, di quest’essere inquietante ci sarebbe la
ancestrale paura dei morti e del loro ritorno. «La paura del ritorno della persona morta ha portato con
sé il barbaro costume di smembrare il suo corpo, cosa che gli avrebbe impedito di tornare indietro
e perseguitare i vivi» (P. Barber, Vampires, Burial and Death. Folklore and Reality (1988), tr. it.
di C. Gabutti, Vampiri sepoltura e morte, Pratiche, Parma 1994, p. 123).
15 G. Galli, L. Fortunati, Il vampiro al mercato, Franco Angeli, Milano 1997, p. 55.
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l’icona del vampiro è stata utilizzata per descrivere gli sfruttatori che succhiano il
sangue del popolo, dai monaci ai capitalisti16 .
Dove esattamente abbia origine la credenza del vampiro e quali percorsi abbia
seguito è oggetto di dibattito fra gli specialisti dell’argomento. Montague Summers
nel suo volume The Vampire: his Kith and Kin17 ha sostenuto la tesi della origine
universale del vampiro.
La tradizione non conosce un’autentica datazione. Esempi tratti dal folklore di
numerose tribù africane e dalle cronache assire, arabe, cinesi, greco-romane, scandinave e celtiche sembrano tutte ricondurre la nascita del vampiro all’antica paura
dei morti. Il fatto che nessuna religione sia stata del tutto in grado di cancellare tale
ancestrale timore rende ragione dell’attualità del mito.
Un’altra tesi18 lega la credenza del vampiro ad un ambiente religioso preciso.
Nelle aree dette “sciamaniche”19 il collegamento tra il mondo dei vivi e quello
dei morti non esisteva, anzi l’aldilà era un mondo complementare rispetto a quello
dei viventi, per accedere al quale un morto doveva compiere un percorso iniziatico
stabilito. La difficoltà del percorso poteva indurre il morto a preferire il ritorno
verso il mondo dei vivi, da qui l’idea di rêvenant, il morto che ritorna.
La teoria moderna colloca la nascita del vampiro nel corso del Settecento. La
nascita è legata alla perdita di efficacia nella raffigurazione dell’aldilà. Il principale
sostenitore della tesi, Jean-Claude Aguerre20 nota come all’inizio dei secolo dei
Lumi lo spirito scientifico sia in grado di dimostrare la corruttibilità della carne.
Le osservazioni di Aguerre appaiono determinanti per comprendere il successo
del mito nell’Europa occidentale del diciottesimo secolo e per collocare la nascita
della letteratura vampiresca all’interno del contesto illuministico. Le prime apparizioni letterarie del vampiro21 sono state costruite a partire da materiale proveniente
16 «Il capitale è lavoro morto, che si ravviva come un vampiro succhiando il lavoro vivo» scrive
Marx (K. Marx, Il capitale, Editori Riuniti, Roma 1970, vol. I, p. 253). Franco Moretti ha dedicato
uno studio alla metafora politica del vampirismo. Cfr. F. Moretti, Signs taken for Wonders. Essays in
the sociology of literary form, Verso, London 1988.
17 Cfr. M. Summers, The vampire: His Kith and Kin, Kegan Paul, London 1928.
18 Cfr. C. Corradi Musi, Vampiri europei e vampiri dell’area sciamanica, Soveria Mannelli,
Messina 1995.
19 L’area geografica interessata è molto vasta e si espande dal mondo celtico alla Siberia, dagli
indiani dell’America del Nord alla Germania precristiana, alla Scandinavia e all’Europa orientale.
20 Cfr. J.-C. Aguerre, “Résistance de la chair, destitution de l’âme”, in Colloque de Cerisy. Les
vampires, Albin Michel, Paris 1993, pp. 75-91.
21 A partire dalla seconda metà del Seicento, i documenti storici che certificano le azioni dei vampiri aumentano. Risale a quel tempo l’applicazione al risorgente dell’appellativo di vampiro. La prima volta che si incontra il termine è nel 1725 nei documenti parrocchiali di Barn in Moravia: la salma
di un certo Andreas Berge – vi si legge – non trovava pace perché era Vampertione infecta. Epidemie
di vampirismo con ampia e certificata casistica si hanno in Moravia (1662 e 1685), Istria (1672),
Grecia (1701), Prussia Orientale (1710 e 1721), Ungheria (dal 1725 al 1732), Slesia (1755), Valacchia (1756) e Russia (1772) per citare alcuni focolai. Nel 1731, in Serbia, gli abitanti del villaggio
di Medwegya furono addirittura attaccati in massa dai vampiri che, come si legge in una relazione
dell’epoca, «fecero morire parecchie persone succhiando il loro sangue». Nel secolo successivo, il
fenomeno sembrò diminuire, tanto che il parlamento britannico nel 1824 abolì l’annosa legge che
prescriveva di trafiggere con un cuneo di legno i cadaveri dei suicidi e dei morti sospetti, ad evita-
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dalla Polonia, dall’Istria, dalla Serbia esistente già da diversi secoli.
Nelle vicende storiche fondamentali che contribuirono ad alimentare e modellare il mito del vampiro in letteratura, spicca una data: il 1732. È questo l’anno a
cui tradizionalmente si fa risalire l’inizio del “dibattito teologico”, una querelle innescata da cronache di episodi di vampirismo che ha determinato, a livelli estetici,
le caratteristiche psichiche e fisiche del vampiro22 .
2.2 Il dibattito teologico
Per “dibattito teologico” si vuole indicare un preciso momento storico in cui sovrani, studiosi e teologi furono chiamati ad esprimere un parere, ed in alcuni casi a
legiferare, sul fenomeno “vampiro”. È interessante ripercorrerne le linee essenziali
per capire come il vampiro, da figura folkloristica legata a determinate caratteristiche, sia diventato, ad un certo punto, un tema letterario frequentatissimo. Esteticamente il dibattito ebbe notevole influenza sulle successive rielaborazioni della
figura, determinando tratti fisici e psicologici che da allora sono rimasti costanti e
che costituiscono la categoria del vampiresco.
Considerare questo momento aiuta a comprendere attraverso quale processo la
letteratura sia giunta a porre in relazione, di tipo estetico, la figura del vampiro
con quella del diavolo. Nel corso del Settecento gli orientamenti del gusto cercano
nuovi orizzonti. La categoria del bello, imperante in clima di neoclassicismo, perde
la propria attrattiva. Nuove categorie si profilano all’orizzonte, il pubblico chiede
il “piacere del brivido”. Accanto alle tematiche estetiche, il dibattito filosofico
e teologico sull’esistenza dei vampiri appassiona gli studiosi e gli esiti avranno
un’influenza decisiva sulla figura del vampiro, allora ancora in divenire.
La concentrazione di fenomeni di vampirismo verificatasi a metà del Settecento, in gran parte nei territori dell’Impero Austro-Ungarico, fornì lo spunto per
articoli e diede vita a una serie di relazioni, atti pubblici, verbali, trattati, da parte
degli illuministi. Tale materiale costituì il punto di partenza per la nascita delle
leggende vampiriche.
Vero iniziatore del dibattito teologico è l’abate Calmet. Nella sua opera Traité
sur les apparitions des esprits et sur les vampires ou les rêvenants de l’Hongrie, de
Moravie23 , afferma un principio teologico fondamentale, stabilendo che la resurrezione di un morto è imputabile solo all’opera di Dio. Nel capitolo dedicato alla sua
re possibili rischi. Una legge simile rimase in vigore fino ai primi anni del Novecento nello stato
americano di Rhode Island. Episodi riportati da G. Pilo, S. Fusco, op. cit., p. 12.
22 Lo studioso Antoine Faivre colloca nel 1748, sedici anni dopo l’anno del grande dibattito, la
prima comparsa letteraria del vampiro. Questa prima apparizione avviene in modi e tempi poco
usuali rispetto ai canali tradizionali della letteratura. Il vampiro poetico appare nel numero 47 della
rivista scientifica Naturforscher di Lipsia, nella prima parte della Lettre Juivre di Boyer d’Argens
dedicata ai vampiri. Nello stesso numero è pubblicata, a completamento dell’articolo, una poesia
di Heinrich August Ossenfelder, Der Vampir (H.A. Ossenfelder, “Der Vampir”, Der Naturforscher.
Eine physikalische Wochenschrift, n. 47, 18 maggio 1748, p. 380; citato da M. Introvigne, La stirpe
di Dracula, Mondadori, Milano 1997, p. 130).
23 A. Dom Calmet, Traité sur les apparitions des esprits et sur les vampires ou les revenants de
Hongrie, de Moravie, Debure, Paris 1746 (tr. it. Dissertazione sopra le apparizioni de’ spiriti e
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posizione nei confronti dei vampiri sostiene l’impossibilità da parte del maligno di
resuscitare i morti.
In base a queste premesse, Calmet asserisce che i fenomeni di vampirismo non
sono ascrivibili né all’opera di Dio né all’azione maligna del demonio: i vampiri
sono fenomeni creati dalla fantasia umana.
È il 1732 quando il grande dibattito assume proporzioni europee. L’opera dell’abate Calmet ha innescato una diatriba che pare inarrestabile. Dopo l’invito di
papa Benedetto XVI24 a non accreditare credenze superstiziose, la riflessione si
sposta dall’ambito teologico alle gazzette. Casi di vampirismo accaduti a Medwega, in Serbia, diventano oggetto di discussione. In seguito alle conclusioni dell’abate Calmet, ai pronunciamenti dello stato asburgico nella figura di Maria Teresa25 ,
e alla bolla di Benedetto XVI, domina un atteggiamento scettico. Verso la fine del
Settecento le opere sui vampiri si fanno più rare e parlarne significa attirare su di sé
le critiche degli intellettuali illuministi. In letteratura, dopo le prime pubblicazioni,
si registra una flessione degli scritti e poche sono le energie creative investite nel
campo.
L’atteggiamento scettico continua a dominare anche il panorama letterario del
primo Ottocento: alcune opere francesi come Infernalia di Charles Nodier attingono al capitolo antologico di Calmet26 . Il clima violento instauratosi con la rivoluzione francese e la repentina ascesa dello spiritismo contribuiscono a modificare
l’attitudine degli studiosi nei confronti del fenomeno. Grande importanza viene
attribuita all’azione diretta del diavolo nei casi di vampirismo.
All’ombra e al riparo da ogni polemica riemerse il fascino di Satana [. . . ]
mai come in questo secolo il dualismo fra bene e male si fece inquietante.
[. . . ] Ancora una volta la religione capovolta, adoratrice di Satana, faceva
capolino in questo secolo dei lumi, quasi a voler fagocitare quella ufficiale,
già scricchiolante sotto i segni di crisi che sarebbero sfociati nella rivoluzione
francese. [. . . ] Analogamente il diavolo continuò a vivere nella fantasia
umana dopo la morte di Dio. [. . . ] Non c’era quindi da meravigliarsi se nei
sopra i vampiri o redivivi di Ungheria, di Moravia, Simone Occhi, Venezia 1756, reprint: Arktos,
Carmagnola). Citato da M. Introvigne, op. cit., p. 130.
24 «Benedetto XVI era decisamente agguerrito nel combattere le superstizioni: a lui infatti si deve
la bolla Ex Quo Singulari con cui si imponeva ai missionari di distruggere tutti quegli usi e quelle
pratiche chiaramente superstiziose» (R. Agazzi, op. cit., p. 97).
25 Invitato da Maria Teresa a indagare sulle ragioni che spingevano i contadini a disotterrare e impalare i morti, Gerard Van Swieten, archiatra delle Cesaree Maestà, stese una relazione, Remarques
sur le vampyrisme de l’an 1755. In essa il clinico attribuì i comportamenti a superstizione e la presunta incorruttibilità di taluni cadaveri a proprietà particolari dei terreni di sepoltura. Rescritto sui
vampiri (1755) in G. Pilo, S. Fusco, op. cit., p. 978.
26 «Di vampiri con tutte le loro caratteristiche tipiche si incominciò a parlare con frenesia negli
ambienti culturali dell’Europa (Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna), intorno alla prima metà
del XVIII secolo al punto da incuriosire i filosofi illuministi, del calibro di Rousseau e Voltaire; la
posizione dei due filosofi, era però nettamente antitetica. [. . . ] Per l’ironico Voltaire l’argomento
vampiri fu un ottimo pretesto per affermare che “le vere sanguisughe non abitavano nei cimiteri
ma in confortevoli palazzi” [. . . ] Rousseau invece si diceva convinto della credenza su vampiri»
(R. Agazzi, op. cit., p. 92).
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salotti bene delle corti d’Europa dei primi del Settecento il vampiro riuscisse
ad incuriosire più di quanto non si possa immaginare.27
Il demonologo Jules Eudes de Mirville e il diplomatico Henri-Gougonot des
Mousseaux asseriscono che le anime sono possedute dal demonio, il quale ne animerebbe i corpi; Gougonot utilizza l’espressione “prendere a prestito” il corpo di
un defunto per spiegare come i comportamenti dei vampiri siano direttamente collegabili all’azione e all’influenza diabolica. Rispetto al vampiro “folklorico”, la
tipologia di vampiro che si viene creando, e che rimarrà tale in letteratura, non è
quella di un semplice cadavere animato dal demonio: si tratta piuttosto di un’anima al servizio del male, sul cui corpo agisce il fascino perverso che, modificando
l’individuo, lo rende irriconoscibile ai suoi stessi familiari.
Nel corso dell’Ottocento la spiegazione demonologica del vampiro diventa
dominante fra i cattolici, capovolgendo completamente le posizioni del secolo
precedente.
In letteratura questo cambiamento si traduce nella formazione del carattere diabolico associato al vampiro. Anche il vampiro “folklorico” mostra delle connessioni con il male ma è solo nell’Ottocento che la figura del vampiro assume uno
spessore psicologico con caratteristiche in tutto riconducibili ad un fascino maligno. I precedenti letterari, da quelli latini fino ai primi esempi settecenteschi, poco
avevano del “tutto tondo” ottocentesco. Benché i romanzieri si fossero già occupati
di vampiri, Dracula era ancora in divenire.
Lo scetticismo di Benedetto XVI e degli illuministi fu salutare per placare il
diffondersi della superstizione. [. . . ] Già alla fine del Settecento il vampiro
pare dimenticato. Il nostro spettro anemico ricompare esuberante nel secolo XIX ma l’interesse nei suoi confronti è puramente letterario; il vampiro
è ormai un distinto signore in redingote pronto ad invadere i salotti letterari.
La superstizione vampiresca è ormai relegata in qualche sperduto villaggio
slavo.28
Nel corso del Novecento, spicca un nome fra gli altri: il reverendo Summers
apre un nuovo capitolo nella storia del dibattito teologico. Nelle opere dedicate al
tema vampirologico, The Vampire, His Kith, and Kin e The Vampire in Europe29 ,
viene ribadita la ferma convinzione dell’esistenza dei vampiri: da un punto di vista teologico si tratterebbe di “non-morti” che escono dalle tombe per opera del
diavolo. Dal punto di vista estetico, questa nuova posizione nel corso del Novecento ha assegnato al vampiro delle connotazioni estetiche peculiari, che ancora
permangono all’interno della produzione estetica odierna.
27
Ibid., p. 93.
Ibid., p. 98.
29 Cfr. M. Summers, The Vampire in Europe, Kegan Paul, London 1929.
28
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3 Conclusioni
Il mito del vampiro è stato posto in relazione all’ancestrale paura dei morti e del
loro ritorno. Testimonianze letterarie esistono nella letteratura latina e accompagnano nei secoli la produzione scritta. È soltanto nel Settecento, in concomitanza
con il dibattito teologico, che il mito letterario del vampiro comincia ad acquisire
una propria identità, diversa rispetto alla tradizione del vampiro “folklorico”.
In particolare, viene dotato di un maggiore spessore psicologico, i tratti fisici
sono completamente diversi rispetto alla tradizione, il suo comportamento, lungi
dall’essere solo improntato al soddisfacimento dei suoi bisogni primari quali sesso
e cibo, è determinato da un piano diabolico.
Rispetto alla produzione letteraria precedente, il “nuovo vampiro” non è un
mostro (Striges, Empuse) dalla fluttuante identità, e non è nemmeno un cadavere
rianimato da potenze maligne: la sua origine molto spesso non viene chiarita.
Indizi della sua natura sono caratteristiche fisiche molto evidenti: viso pallido, denti aguzzi, mani scarne, orecchie appuntite, alito pestilenziale. Lo sguardo
assolutamente peculiare, un misto di fascino e perversità, è il tratto più significante.
Le differenze con il vampiro “folklorico” sono marcate: nelle cronache settecentesche si descrivono i sospetti vampiri come rubizzi, riconoscibili per il loro
girovagare notturno in cerca di sangue o intenti ad arrecare disturbo ai parenti.
Socialmente, il nuovo vampiro appartiene invece alla upper class, è un nobile, sostiene conversazioni di alto livello nei migliori salotti dell’aristocrazia europea, il
suo scopo non è semplicemente quello di succhiare sangue: egli pare perseguire un
piano diabolico di cui si ignorano i contorni.
Rispetto al vampiro “folklorico”, considerato uno spettro senz’anima e senza
cuore, il vampiro moderno di Prest, di Stoker o quello postmoderno della Rice,
avverte la propria condizione come tragica esperienza di “morto e non-morto”.
Il vampiro è un eroe capovolto, si contrappone eticamente al bene, teoreticamente al vero, esteticamente al bello. La sua è una religione ribaltata. Il vampiro
è un seduttore: l’aspetto fisico, ma soprattutto il fascino particolare, lo rendono
molto più avvincente del bello tradizionale. Il suo sguardo è inconfondibile.
Attraverso l’inganno, simulando e mutando di forma, seduce e incanta, mostro
errante in senso fisico e metafisico.
La sua capacità di trasformazione è tale che il vampiro riesce ad essere insieme
kitsch e comico, a penetrare all’interno delle strisce dei fumetti con la stessa disinvoltura e con il medesimo carico di fascino con il quale si insinua tra le pareti delle
abitazioni delle proprie vittime.
Ma il vampiro, oltre a ciò, è anche uno specchio della società contemporanea,
e come tale riflette, lui che aborrisce specchi e superfici riflettenti, ansie e motivi
dell’uomo. È inquieto, dubbioso, pervaso da interrogativi religiosi e desideri di
conoscenza. Il mostro, strumento di indagine euristica, diventa il motore primo
della conoscenza, si avvia verso la fonte del sapere con avidità, pari a quella con la
quale beve la vita, il sangue, alle sue vittime.
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La fisionomia del vampiro è così tracciata, la categoria del vampiresco delineata. L’avventura estetica del vampiro, attraverso i secoli, le mode, le arti ha inizio:
sarà possibile ritrovare queste caratteristiche inalterate in contesti e ambiti artistici
differenti.
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