I Macchiaioli prima dell`Impressionismo

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I Macchiaioli prima dell`Impressionismo
I Macchiaioli
prima dell’impressionismo
Nota informativa. La Mostra
Furono definiti Macchiaioli alcuni giovani artisti che a Firenze, a partire dagli anni Cinquanta
dell’Ottocento, avevano rinnovato la pittura basando la composizione del quadro sul rapporto dei
colori, esaltati dai contrasti di luce ed ombra: la ‘macchia’ altro non era se non la netta ed essenziale
porzione di colore che, convenientemente accostata ad altre, consentiva di ‘costruire’ sulla tela
immagini del reale forti ed essenziali, senza essere tradizionalmente descrittive.
La mostra vuole raccontare le origini, gli sviluppi e l’affermazione di questo importante movimento
che, fra il 1848 e il 1870, coinvolse non solo i pittori toscani ma anche gli artisti più innovativi che
da tutta Italia – e in special modo dal sud – raggiungevano la tranquilla città granducale per sfuggire
alla persecuzione politica, trovando nelle stanze del Caffè Michelangelo un punto di riferimento e il
giusto approdo per le loro idee democratiche e sperimentali.
La prima sezione della mostra – intitolata appunto ‘Artisti al Caffè Michelangelo’ – introduce a
quel clima appassionato e bohémien attraverso una serie di rare fotografie (tratte in massima parte
da quelle del fondo Vitali della Biblioteca Marucelliana di Firenze) che documentano lo spirito
anticonformista dei protagonisti del gruppo, portati all’ironia, al sarcasmo, alla canzonatura.
Accanto al celebre acquerello di Adriano Cecioni, che ritrae una delle riunioni di artisti ed
intellettuali al Caffè, sono qui esposte le caricature di Angelo Tricca, straordinarie istantanee dei
frequentatori del Michelangelo, molto efficaci per comprendere l’atteggiamento non convenzionale
di un movimento che, volendo contrastare l’ufficialità dell’Accademia, nascondeva con l’ironia e
gli eccessi goliardici l’impegnativo scambio di idee intelligenti e fertili che avrebbero mutato il
corso dell’arte ottocentesca. In questa sezione viene anche presentata una galleria di autoritratti –
notevoli quelli giovanili di Giovanni Fattori e di Silvestro Lega – e di ritratti nati nella cordialità del
sodalizio artistico: Boldini ritrae Fattori che dipinge nel suo studio e Giuseppe Abbati (con la benda
sull’occhio, perduto in combattimento) di passaggio nell’atelier;
Fattori coglie invece
due
bellissime pose di Diego Martelli e di sua moglie nella tenuta di Castiglioncello, fissando con
grande libertà pittorica l’immagine dei tutori e promotori del gruppo, che proprio nella loro tenuta
sul mare ospitarono i giovani del Caffè Michelangelo per studiare, secondo le nuove concezioni, il
paesaggio e gli effetti di luce.
Usciti dall’Accademia e con il preciso impegno di contrapporre al metodo classicista
dell’insegnamento dell’arte la sperimentazione della macchia e il diretto rapporto col ‘vero’, i pittori
del Michelangelo cominciano ad operare una vera e propria revisione dei generi pittorici che alle
Esposizioni sottostavano ad una ferrea gerarchia e a regole severe, ancora determinate dall’autorità
dei professori neoclassici e romantici. La mostra propone una rassegna di quei generi ponendo a
confronto, per la prima volta, i massimi esempi della pittura macchiaiola con l’intento di far
comprendere al visitatore in qual modo l’impegno dei pittori toscani seppe rinnovare i temi e gli
stili sui quali si accaniva la cultura figurativa italiana subito dopo l’Unità.
La seconda sezione della mostra si occupa del soggetto di storia, che era il genere principale cui si
dedicavano gli artisti in Accademia: la Cacciata del duca di Atene di Stefano Ussi rappresenta uno
snodo fondamentale per l’importanza che questo dipinto ebbe nel dibattito antiaccademico avviatosi
al Caffè Michelangelo, divenendo capro espiatorio di tutte le polemiche contro gli artisti
conservatori. A confronto, i quadri di Meissonier e Delaroche venuti in mostra indicano il versante
più gradito ai macchiaioli, che apprezzavano nella pittura dei francesi il realismo della narrazione,
quello stesso che ebbero occasione di ammirare nelle opere esposte a Parigi nel 1855.
L’Esposizione Universale favorì, fra l’altro, l’incontro dei toscani con i meridionali Domenico
Morelli e Saverio Altamura, che a Firenze proseguiranno le loro discussioni sul nuovo stile della
pittura di storia e sul recupero dei valori della grande tradizione italiana. Questo momento di
radicale svolta è documentato in mostra dai suoi massimi esempi - i Martiri cristiani di Morelli, I
funerali di Buondelmonte di Altamura, L’esilio di Giano della Bella di Vito D’Ancona - dove il
tema storico vive in una luce atmosferica mai sino ad allora utilizzata nel soggetto neomedioevale –
affiancati dalle opere di Cristiano Banti, di Vincenzo Cabianca, di Odoardo Borrani e dalla Maria
Stuarda di Giovanni Fattori, opere che segnano con evidenza il rinnovamento del genere attuato dai
macchiaioli nel cuore stesso della cultura ufficiale.
Segue la sezione dedicata alla pittura di storia contemporanea, un genere scaturito principalmente
dalla necessità di consegnare all’arte l’epopea risorgimentale alla quale i macchiaioli avevano
partecipato attivamente anche con il sacrificio della vita. Intorno al monumentale quadro di
Giovanni Fattori illustrante un Episodio di Custoza, sono esposti i dipinti che segnalano la capacità
degli artisti toscani di affrontare temi ‘di cronaca’ senza cadere nella retorica o nella agiografia –
come allora spesso capitava all’arte di propaganda -, ma ricavando anzi dalle scene di battaglia
spunti per lo studio delle incidenze luminose, favorite dalla dinamica dei soggetti. Nei dipinti di
Signorini e Cabianca la luce è, infatti, protagonista principale della composizione per come
definisce gli spazi e le figure in azione, mentre a sentimenti di severa e commossa intimità si
rivolgono i quadri di Borrani (si veda in special modo Cucitrici di camicie rosse) e di Lega
(Ritratto di Garibaldi) che immettono nei fatti del Risorgimento componenti letterarie di grande
coinvolgimento sentimentale. Un caso a parte è rappresentato da uno dei capolavori della pittura
macchiaiola, La sala delle agitate di Telemaco Signorini, che introduce nel tema contemporaneo un
soggetto di crudezza realistica - in linea con gli interessi sociali condivisi dagli artisti toscani e
molto vivi grazie all’impegno civile di Diego Martelli -, quadro non a caso particolarmente
apprezzato da Edgar Degas, che lo aveva potuto vedere in uno dei suoi soggiorni fiorentini.
La quarta sezione della mostra è dedicata al ritratto, che fra i generi trattati dai macchiaioli si
sarebbe dimostrato il più congeniale all’applicazione del principio di verità, dal momento che
consentiva non soltanto lo studio ralistico dell’ambiente a sfondo della figura, ma anche l’indagine
somatica del protagonista e l’analisi del carattere e dei sentimenti. Tale indirizzo moderno prende
avvio con il Ritratto della nobildonna Morrocchi di Antonio Puccinelli e con la Famiglia Bianchini
di Antonio Ciseri, ancora dipendenti dai modelli di Ingres (autore venerato dai Macchiaioli) e vicini
nello stesso tempo alla pittura di Degas, che fra il 1859 e il 1860 stava lavorando, proprio a Firenze,
alla sua Famiglia Bellelli destando l’ammirazione degli artisti del Caffè Michelangelo. Nella
sezione sono esposti i caposaldi di questo genere ‘riformato’: dalla Nerina Badioli di Puccinelli ai
ritratti della prima moglie e della cugina Argia di Fattori, dal ritratto della moglie di Cecioni
all’Alaide Banti di Boldini, del quale viene esposto per la prima volta al pubblico l’intenso ritratto
dell’avvocato Comotto.
Un tema particolarmente caro alla sensibilità dei pittori toscani appassionati al principio di verità è
quello intimista, indirizzato cioè alla rappresentazione di scene domestiche ambientate nei luoghi
frequentati dai nostri artisti negli anni (dopo il 1859) che vedevano Firenze mutare precipitosamente
d’aspetto per l’esigenza dei Savoia di trasformarla in città capitale. La costa livornese, la campagna
di Piagentina, gli interni più modesti e poetici, diventavano così l’ambientazione ideale per episodi
di vita quotidiana esaltata quale poetico rifugio nei confronti della brutalità del progresso. Nascono
in quel clima capolavori quali La rotonda dei bagni Palmieri di Fattori, Un dopo pranzo e Il canto
di uno stornello di Lega, gli interni con figure di Adriano Cecioni (di cui la mostra offre una
eccezionale selezione), che dimostrano la capacità dei macchiaioli di intrecciare scenari
commoventi a contenuti di notevole valenza letteraria, evocando nello stesso tempo la semplice
solennità della pittura quattrocentesca toscana – in special modo quella di Piero della Francesca –
per dimostrare l’appartenenza ad una nobile tradizione che poteva fronteggiare con orgoglio le
ingerenze della cultura straniera.
Fra i macchiaioli è Cecioni a rievocare le giornate trascorse all’aria aperta per studiare gli effetti di
luce e di colore prodotti da un bucato steso, da un branco di pecore, da un gruppo di cipressi sulla
collina. Fra Liguria e Toscana viene infatti elaborato, a partire dagli anni Sessanta, un vero e
proprio metodo di resa del paesaggio consistente nel prelievo di soggetti dal vero poi meditato in
studio e finalmente composto attraverso il controllato accostamento di porzioni di colore nettamente
fra loro scandite, così da suggerire volume e spazialità fortemente irraggiati da una luce limpida e
definitoria. Al genere del paesaggio, che fra tutti era quello meno considerato nell’ambito della
cultura ufficiale, è dedicata la sesta sezione della mostra, dove si incontrano le tavolette
sperimentali di Abbati, Sernesi e D’Ancona, nelle quali la semplicità della veduta ha come
corrispettivo uno studio del colore e della luce sino ad allora mai tentato; le visioni di mare di
Cabianca e le due bellissime vedute della piazza di Settignano di Telemaco Signorini; gli angolii di
Castiglioncello dipinti da Abbati e da Borrani; gli scorci assolati della Maremma tradotti da
Giovanni Fattori in un abbacinante studio di toni complementari .
L’itinerario della mostra si conclude con una sceltissima rassegna di opere che documentano
l’attività di alcuni pittori macchiaioli dopo il 1870, quando è già finito il sodalizio pittorico nato
nelle stanze del Caffè Michelangelo e di quegli artisti alcuni sono precocemente scomparsi, altri
emigrati a Parigi (come Boldini, De Nittis, Zandomeneghi), altri ancora già implicati nelle correnti
del naturalismo europeo. La scelta dimostra la varietà degli esiti raggiunti dopo quella data da
Fattori, con Lo staffato e il Ritratto della figliastra; da Lega, con il Mazzini morente; da Signorini,
con la Toeletta del mattino (eccezionalmente prestata dal collezionista), da Borrani, con i Renaioli.
Una sequenza di capolavori che attestano l’evoluzione e i risultati di un movimento sviluppatosi
prima dell’Impressionismo – quest’ultimo cominciava infatti ad assumere la propria identità
nell’ottavo decennio del secolo – e maturato con statuti poetici ben definiti e tali da aver costituito
un punto di riferimento per tutti coloro che, dopo l’unità d’Italia, si erano raccolti intorno alla
moderne istanze del principio di verità.