I servizi segreti italiani nella Grande Guerra
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I servizi segreti italiani nella Grande Guerra
I servizi segreti italiani nella Grande Guerra Che cosa è oggi un agente segreto? L'agente segreto è una persona calata nella sua epoca, che vive il suo tempo attraversato da conflitti sociali e politici oggi non più soltanto limitati a quelli tra strutture militari di organismi contrapposti, ma articolati ed estesi ai più vari settori delle relazioni umane. E' perciò vecchia e datata l'immagine dell'agente che cerca di informarsi sul potenziale difensivo di uno Stato: o meglio, è superata l'idea che l'agente faccia solo questo. Oggi l'atto di aggressione non ha contorni definiti o definibili, ma viene scoperto attraverso la ricostruzione minuziosa di vari tasselli apparentemente insignificanti, l'uno separato dall'altro, messi in opera da gruppi od organismi, interni od esterni, la cui azione è molto più pericolosa di un'aggressione frontale. I protagonisti della guerra segreta: i servizi d'informazione militari Nel corso della Grande Guerra ogni Stato ebbe a disposizione il proprio reparto di servizi segreti, tuttavia non tutti avevano la stessa coesione, gli stessi diritti o la stessa struttura. Quelli che più caratterizzarono il nostro territorio furono l'Ufficio I, il Servizio d'Informazione italiano, e l'Evidenzbureau, quello austroungarico, che, dopo il periodo di collaborazione nella Triplice Alleanza, si trovarono a indagare e agire l'uno contro l'altro. L'Evidenzbureau La sua nascita risaliva agli inizi del 1800 e nel corso del secolo, anche per l'importanza politica ed economica assunta dalla Duplice Monarchia, l'EB (questa è la denominazione mantenuta dal Servizio fino al crollo dell'Impero) ampliò i suoi poteri divenendo una potente arma che contribuiva efficacemente al mantenimento dell'ordine e della sicurezza del plurietnico Impero. Infatti l'Impero austroungarico, in quanto eminentemente composito, doveva preoccuparsi più di ogni altra cosa di conoscere ciò che veniva preparato contro di esso, non solo all'esterno ma anche all'interno. Da ciò la grande importanza data al Servizio Informazioni che estendeva da per tutto i suoi tentacoli, in intima unione con la Polizia. Quando ai primi mesi del 1915 fu chiaro che l'Italia a breve scadenza avrebbe dichiarato guerra all'Austria, l'EB intensificò in maniera massiccia l'attività informativa ai danni dell'Italia, coadiuvato in ciò anche dai Consolati austriaci di Venezia, Napoli e Milano ancora aperti (che dopo le competenze passarono a quelli tedeschi, ai quali, per un errore politico, dichiarammo guerra solo l’anno dopo). Nell'imminenza dell'inizio delle ostilità da parte dell'Italia, l'EB potenziò anche tutti i suoi posti periferici di informazione e trasferì in Svizzera, a Zurigo, la "Sezione sabotaggio" dell'EB, Marina, che prima era dislocata a Trieste sotto la denominazione di copertura di "Ufficio di Descrizione Costiera". Il Servizio Informazioni Il Servizio Informazioni, noto anche come Ufficio I, allo scoppio delle ostilità risultava, nelle sue diverse componenti, assai carente, sia sotto l'aspetto strutturale che funzionale. L'incalzare degli avvenimenti e soprattutto lo schieramento dell'Italia a favore delle Potenze dell'Intesa, determinatosi negli ultimi mesi, aveva reso necessario ricorrere, in tempi brevissimi, ad una riorganizzazione delle sue strutture informative, orientandole ad operare contro l'Austria-Ungheria, che, come è noto, era stata, unitamente alla Germania, nostra alleata nell'ambito del Trattato della Triplice Alleanza. Mentre il Servizio austroungarico poteva vantare un'esistenza più che secolare, corroborata dalla solida esperienza, dall'elevata preparazione dei Quadri e da profonde motivazioni di ordine ideologico e morale, in un contesto di rigida disciplina militare che ne esaltava ancor più l'efficienza e l'aggressività, quello italiano era allo stato embrionale e risultava sostenuto più dallo spirito patriottico di qualche ufficiale particolarmente sensibile alle esigenze di intelligence che da una efficiente organizzazione centrale e periferica, tanto che venne definito come "dilettantesco" da alcuni esponenti politici del tempo. Il Servizio italiano fu quindi ristrutturato e potenziato nel breve volgere di qualche mese, sotto l'incalzare degli avvenimenti. Il suo alleato migliore furono gli irredenti. Trentini, Triestini, Fiumani e Dalmati non furono da noi sollecitati, ma vennero a noi spontaneamente, insistentemente, a spronarci ad accettare il concorso della loro attività, per la quale rischiavano beni, libertà personale, famiglia e la loro stessa vita. La storia e le riforme dell'Ufficio I L'Ufficio I, costituito da prima dell'inizio del ventesimo secolo, vide la prima delle sue serie modernizzazioni nel 1900, anno in cui venne sciolto e ricostruito. Con la spedizione in Libia del 1911-12, l'Ufficio fu rafforzato e, con l'aiuto di noti geografi, riuscì a preparare, in vista dello sbarco, dettagliate carte geografiche del Paese. Nel 1912 il comando venne assunto dal colonnello Rosolino Poggi che, mirando maggiormente a una politica di spionaggio offenso piuttosto che difensivo, diede ordine di controllare gli alleati della Triplice Alleanza. Si ebbe poi una svolta nel 1914, quando, in vista dell'entrata in guerra dell'Italia, le strutture furono fortemente ampliate. Per assicurarsi una maggiore discrezione, l'Ufficio venne spacciato come un'organizzazione artigianale e dilettantesca, con poca utilità. Nel 1915 Giovanni Garruccio Melis, alpinista, si sostituì a Poggi, e vennero nominati molti alpinisti come ufficiali, probabilmente per maggiore sicurezza e attendibilità. Il Comando Supremo, oltre a controllare gli ITO (uffici territoriali di ogni armata) si occupava anche di controspionaggio (affidato ai carabinieri), messaggi cifrati, stampa e propaganda. Per evitare che le informazioni venissrero divulgate o disperse, Garruccio fondò una seconda sede a Berna e la rese la sede dell'Ufficio esteri. Nel 1916, per le specifiche esigenze di guerra, fu costituito un Ufficio centrale di investigazione (UCI) nell'ambito della Direzione generale di Polizia di Stato, con compiti di controllo dei movimenti politici ostili alla guerra, la cui esistenza fu regolarizzata nel 1917. In quello stesso periodo Garruccio cercò di espandere l'influenza del suo Ufficio, soprattutto nell'ambito delle scelte operative-militari. Alla fine dell'anno la gestione delle tattiche di guerra venne lasciata alle ITO, mentre all'Ufficio I vennero affidate la raccolta delle informazioni relative ai fronti e i collegamenti tra i centri esteri e gli uffici territoriali di Roma e Milano. Questa manovra di Garruccio lo portò a identificare l'Ufficio più come un corpo di polizia privato e segreto, ma i probabili accordi con esponenti politici avversari di Cadorna, i quali lo aiutavano a organizzare sempre più uffici politico-militari, facendogli ricoprire una posizione avversa e decisamente scomoda per Cadorna. Ormai nel centro del mirino, la sconfitta di Caporetto e le accuse di personalissimi, inadeguata gestione, assenze e distrazioni, offrirono al generale motivazioni sufficienti per sollevare Poggi dal suo incarico e sostituirlo nel 1917 con Odoardo Marchetti, anche se pubblicamente risultò che era stato lo stesso Garruccio ad abbandonare il suo lavoro. Il suo operato venne addirittura bollato come scarsamente duttile e ottuso borucratismo, tuttavia è difficile stabilire se la colpa debba essere ricondotta a lui o agli ordini di Cadorna. Sfortunatamente numerose spiate vennero ritenute false o inattendibili, causando così conseguenze disastrose: molte battaglie che si sarebbero potute vincere vennero perse in partenza, e inoltre si sarebbero potute evitare anche alcune sconfitte decisive, prima fra tutte quella di Caporetto, per la quale potevamo contare su molti nemici caduti prigionieri e irredenti. Per questo motivo molti uffici diventarono indipendenti, come quelli di Milano e Venezia. Durante tutto il corso della guerra divergenze e rivalità con l'Ufficio riservato intralciarono l'attività dell'UCI, nel frattempo ribattezzato USI (Ufficio Speciale d'Investigazione). Nel 1919 l'Ufficio riservato fu sciolto e l'attività di contrasto del sovversivismo politico fu affidata alla I sezione della costituenda DAGR (Divisione Affari Generali e Riservati), alle cui dipendenze fu incardinato l'USI, che in seguito venne sciolto nel 1921. Testimonianza di due spie 20 maggio 1859 - Quartiere del 4° battaglione Bersaglieri: uscimmo in pattuglia in quattro plotoni, per le diverse direzioni affidateci. Il mio plotone doveva raggiungere il ponte sul fiume Reviglio, veder chi lo teneva, ispezionar la zona, possibilmente da un'altura, e renderne conto allo Stato Maggiore per il tramonto. Compito apparentemente semplice. Solo che all‘atto della partenza ci s’avvide che mappe non ve n‘erano, o non di cosi dettagliate da poterci fare affidamento, e che l’unica di una qualche attendibilità era in mano al Generale, e che quindi non si poteva sottrarla a lui. E sia! Ma nei mesi passati all‘Accademia, non si fece un gran parlare dell‘estrema importanza che oggigiorno hanno i cartografi nelle cose militari? E non sarebbe stato il caso di munirsi di buone mappe di questi territori e non di questi solo? Partimmo con l’indicazione, che dico?, l’ordine di chiedere ai contadini, che, italiani e quindi di sicuro patrioti, ci avrebbero ben dato corrette indicazioni! A volte parmi che le peggiori bestialità che in camerata noi si diceva de’ nostri superiori, non fossero solo goliardia giovanile ma esatta descrizione delle teste che, da sotto i kepi colorati, dovrebbero comandarci! Come se ai contadini piacesse di veder cavalli, cavalieri armati e carriaggi per i lor campi, sulle loro aie! Come se fra costoro non ce ne fossero di quelli che ci sono dalle mie parti, che per un tallero da spendere in vino venderebbero la loro madre a un nano, come canta la canzone del gagliardo ligure! Arrivammo, dio solo sa come, al fiume. Ma il ponte? Dov‘era il ponte? Lì, non c’era. Contadini in vista cui chiedere, nessuno. Decisi allora che tanto valeva faticare in pochi e ordinai a quattro soldati di avventurarsi due a valle e due a monte del fiume finché non avessero trovato o avvistato il ponte, e allora uno restasse a far di vedetta e l’altro tornasse; ma di non procedere oltre l’ora, e allo scadere dell‘ora di tornare indietro a dove eravamo. Fortuna ci baciò e dopo soli 20 minuti uno di coloro che erano andati a valle tornò. Ponte in vista e sul ponte gli Austriaci, disse. Che fare, come sempre s‘ostina a dire il mio amico Vladimiro? L’ordine era di scoprir questo e null‘altro. Potevo ben tornare. Ma mi parve fosse poco. Decisi quindi d’avviarmi alla volta del ponte, imponendo tuttavia ai miei uomini il massimo silenzio: avanzammo in pieno giorno come ladri nella notte, attenti al menomo rumore. Giunti alla vedetta, quel brav‘uomo del caporalmaggiore (vecchio bracconiere, quindi uso a scappar le guardie, ma anche a contarle!) ci disse d’aver contato fino a quel momento oltre quaranta uomini. E a crescere, ché di continuo ve n‘arrivavano. Noi s‘era venticinque in tutto. Di nuovo mi chiesi: che fare? V’erano già informazioni a sufficienza da riferire. Ma mi parve fosse ancora poco. Decisi dunque di dividerci in due gruppi. Agli ordini del bracconiere sarebbero rimasti 20 uomini, e si disponessero lungo la strada, ma su un lato solo della stessa, e nella parte più alta. Io con altri quattro, e tutti e solo volontari. Io sarei sceso in avanscoperta a veder più da vicino e chi fossero e quanti fossero e quanti sarebbero stati coloro che occupavano il ponte. M’avviai con i quattro migliori fra coloro che s ‘erano offerti e devo dire che fui commosso a veder quanti furono. Non tutti, certo, ma sarebbe stato chieder troppo. Arrivammo al greto, e al riparo della vegetazione quasi fino al ponte. Da lì, fra gli alberi, vidi e contai oltre 200 “Alpenjaeger” tirolesi, e venti Ussari. Troppi per qualsiasi cosa di pacifico avessero in mente gli Austriaci per l’indomani da quelle parti! E mi parve anche di veder arrivare altra truppa sullo sfondo dell’orizzonte per lo meno a giudicare dalla polvere che se n'alzava. Mi parve infine che tutto ciò non fosse poco, da riferire. E decisi di tornar indietro per la stessa via. Ma fummo scorti e dalla riva opposta cominciarono a bersagliarci. Per un po’ rispondemmo al fuoco ma solo per prepararci a fuggire meglio. Ma di là dal fiume e tra gli alberi, vidi sei o sette Ussari montar le selle; ed erano montate su cavalli alla vista ben veloci! Decisi che l’unica cosa da fare era fuggire il più velocemente possibile per raggiungere il grosso del nostro gruppo, e pur sentendo negli ultimi metri il fiato dei cavalli quasi sul collo, ce la facemmo. Anche perché di sua iniziativa il caporalmaggiore s'era appostato fra la sterpaglia con altri tre commilitoni, bracconieri e ottimi tiragliatori come lui, e riuscì a vuotar lui da solo due selle, e in tutto ne furon vuotate nove. E gli Ussari prima ristettero, poi tornarono indietro. Noi tornammo subito al campo e riferimmo, e le nuove furono ben accolte, soprattutto perché solo noi ne portammo! Gli altri plotoni o s'erano persi nella campagna, o non avevano trovato nulla, chi per essere troppo presto tornato, chi perché nulla v‘aveva da trovare. Tratto dal romanzo "Cronache non ufficiali di due spie italiane" di Massimo Mongai. Spionaggio e Chiesa Un ulteriore problema diplomatico era causato dai rapporti con la Chiesa: con una clausola segreta all'interno dell'articolo 15 del Trattato di Londra, stipulato nell'aprile del 1915, la monarchia italiana era riuscita a ottenere dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dalla Russia zarista la promessa che la Santa Sede non sarebbe stata ammessa a partecipare a una eventuale conferenza di pace. Una simile eccessiva preoccupazione tradiva il nervosismo esistente nelle alte sfere della politica italiana. Non c'è da meravigliarsi che il Governo nutrisse forti sospetti nei confronti delle manovre di Benedetto XV e dei suoi rapporti con le potenze centrali. Il Governo in qualche modo era entrato in possesso del cifrario del Vaticano e leggeva regolarmente i messaggi del Papa. Il reclutameno delle spie Per scegliere quali spie reclutare si seguivano alcuni principi fondamentali, che determinavano i criteri della scelta: -nella scelta delle spie vuolsi attentamente usare gran discernimento, somma prudenza e scrupolosa antiveggenza per non lasciarsi ingannare. -vuolsi usare pur molta cura nel prescrivere un costante e severissimo rigore verso quelle spie che destano sospetti e sono traditrici, e per lo contrario ricompensare largamente quelle altre che con pericolo, zelo e franchezza attendono al disimpegno di sì pericoloso incarico, e recano importanti e sicure notizie. -i rapporti delle spie voglionsi credere con molta circospezione, accadendo talvolta che tali persone prive d’ogni mezzo di sussistenza, allettate dalla lusinga di una doppia mercede, servano le due parti nell’istesso tempo. -vuolsi interdire alle spie di soggiornare presso il quartier generale dopo eseguita la loro missione, e specialmente vigilare a che esse non incontrino relazioni di sorta colla truppa. -le spie debbono essere interrogate in disparte. Le principali domande da fare loro sono lo seguenti: a. Il collocamento de’ quartieri generali del nemico, de’ parchi, delle linee di battaglia, delle riserve, de’ magazzini, degli spedali. b. La forza de’corpi ed il nome de’comandanti principali. c. Se si attendono soccorsi e da qual parte debbono giungere. d. Le mosse che il nemico intende di effettuare. e Le notizie che circolano nel campo dell’avversario. f. I siti da cui egli si procaccia i viveri, e se sono abbondanti. g. Le malattie che regnano nell’armata nemica e loro cause. h. Se la posizione che occupa è trincerata o no. i. Se attende a ristaurar strade, ponti, canali ecc. k. Le perdite sofferte dal nemico ne’combattimenti, o per altre cause. l. Quali sieno le tendenze degli abitanti, e quali le risorse economiche del paese occupato dal nemico. Luisa Zeni Luisa Zeni, sentita di bocca del colonnello Marchetti in persona, di partenza per la Svizzera per “recuperare” la nostra migliore spia. Costei pare sia una giovane di vent'anni, fervente patriota, poliglotta, che ha accettato di fingersi austriaca con il nome di Josephine Muller. Dal 22 maggio al 9 agosto 1915 la nostra ‘fraulein” si è trasferita con documenti falsi ad Innsbruck all'Hotel Union, in una pensione frequentata da ufficiali austriaci. Con quali mezzi non voglio sapere, è riuscita per mesi a passare informazioni sulla consistenza delle forze che fronteggiano in quel fronte le armate italiane. Ma non basta. E stata arrestata e “miracolosamente “, a detta del tenete Massari, è riuscita a liberarsi e poi a fuggire. Gli ho chiesto cosa intendeva con “miracolosamente” e lui non ha saputo rispondere. Ho suggerito l’uso delle molto ben descritte (da lui) grazie femminili della signorina e lui è arrossito! Cosa abbia fatto la signorina Zeni per avere le informazioni da uomini esposti al rischio di morire in combattimento, non so, ma se è giovane e bella, posso ben immaginarlo. Fatto sta che è riuscita a fuggire, si è imbrancata in un gruppo di profughi ed ha portato altre informazioni ancora in Svizzera. Pare che Marchetti (Tullio) se ne sia partito da Roma per andare a incontrarla di persona e che le abbia già ottenuto “per gli eccezionali meriti dimostrati” una medaglia d’argento al valor militare. Credo sia la prima donna in assoluto che la riceve nella storia d’Italia. Decisamente un personaggio che sarebbe piaciuto alla mia Lidia. Tratto da una testimonianza su Luisa Zeni. Il "Colpo di Zurigo", quando i migliori 007 erano italiani Il 24 febbraio 1917, quattro agenti segreti scivolano nella strade di Zurigo in festa per il Carnevale, entrano nel consolato austriaco, aprono le porte con chiavi false, forzano la cassaforte e infine fuggono con l'elenco delle operazioni in corso e i nomi di agenti segreti e sabotatori operanti in Italia. Non è la trama di un film di 007, bensì uno dei migliori colpi dei nostri servizi segreti, anzi «Il Colpo di Zurigo», messo a segno il 24 febbraio del 1917. Quanto all'efficacia dell'azione, gli alti gradi militari giudicheranno i suoi effetti «superiori a qualsiasi battaglia vinta» durante la Prima Guerra Mondiale. Il colpo di mano viene deciso quando, dopo due anni di indagini, la Regia Marina scopre come non solo dietro una lunga serie di «incidenti» ci fosse la mano dei servizi segreti austriaci, ma che la base delle operazioni in Italia è nel consolato viennese a Zurigo. In Svizzera dunque si nasconde la mente dei sabotaggi iniziati nel 1915 nel porto di Brindisi quando salta in aria la «Benedetto Brin», una delle migliori corazzate italiane affonda nel giro di pochi minuti, uccidendo 454 marinai. Un disastro replicato il 2 agosto 1916 quando le fiamme distruggono nel porto di Taranto un'altra corazzata, la Leonardo da Vinci, uccidendo 270 tra marinai e ufficiali. Quindi tutto un susseguirsi di «inspiegabili» disastri: l'incendio al porto di Genova, il piroscafo Etruria saltato in aria a Livorno, l'hangar dei dirigibili in fiamme ad Ancona. E ancora: la distruzione della fabbrica di esplosivi a Cengio nel savonese e del treno carico di munizioni a La Spezia e danneggiamento della centrale idroelettrica di Terni. Ma la fortuna alla fine volta le spalle agli austriaci e i carabinieri riescono ad arrestare un sabotatore mentre sta cercando di piazzare dell'esplosivo sotto la diga delle Marmore. È un italiano, ha tradito per denaro, come confermerà una secondo attentatore fermato in tempo presso le centrali elettriche del Chiamonte e del Sempione. I due forniscono anche il «preziario»: 300mila lire per distruggere un sommergibile, 500mila un incrociatore, un milione una corazzata, cifre enormi per l'epoca, equivalenti a svariati milioni di euro. Ma soprattutto, indicano nel consolato austriaco, a Zurigo la base operativa degli agenti segreti e nel diplomatico, il capitano di corvetta Rudolph Mayer, il loro capo. Il governo affida al capitano di corvetta Pompeo Aloisi, 42 anni, il compito di distruggere la rete di spie. Egli mette sotto stretta sorveglianza l'edificio, matura il piano per penetrare nell'edifici e arruola una squadra di specialisti. Il primo, l'avvocato livornese Livio Brin, rifugiato a Zurigo, che offre appoggio logistico. Poi un agente segreto austriaco, il cui nome non sarà mai rivelato, che spiegherà dove trovare la cassaforte e fornirà i calchi per aprire le varie porte. Quindi uno specialista nel fare i doppioni, l'abilissimo fabbro Remigio Bronzin, un profugo triestino. Poi due ingegneri triestini, Salvatore Bonnes e Ugo Cappelletti, e il marinaio Stenos Tanzini, di Lodi, a cui vien affidato il compito di guidare il commando. Manca lo scassinatore, individuato in Natale Papini. Lo rintracciano in carcere a Livorno, dove era finito per avere svaligiato una banca di Viareggio. Gli fanno decidere tra recarsi a Zurigo e, in caso di successo del colpo, venire liberato e profumatamente ricompensato, oppure finire subito in prima linea. Scelta molto facile. Aloisi decide di agire il 22 febbraio in pieno carnevale, la confusione può rendere più facile l'azione. Tanzini, Papini, Bronzin e Bini scivolano nelle strade piene di gente in festa, entrano nell'edificio, aprono 16 porte una dopo l'altra. Ma quando sembra fatta, ecco una diciassettesima, inattesa: l'agente doppiogiochista l'aveva sempre vista aperta e non pensava fosse necessario procurarsi un ulteriore ostacolo. La spia austriaca, si procura anche quel calco, Bronzin fabbrica la chiave a tempo di record e il 24 il gruppo è pronto per il nuovo tentativo. Questa volta non sembra esserci ostacoli, i due guardiani sono assenti, il cane di guardia addormentato con il cloroformio e le porte si aprono una dopo l'altra. Non resta che attaccare la cassaforte con la fiamma ossidrica, ma un ultimo imprevisto per poco non fa strage del commando: dal buco aperto nella parete d'acciaio esce un gas venefico. Una trappola di cui i «nostri» se ne accorgono in tempo, aprono le finestre e continuano a lavorare con stracci bagnati sulla bocca. Dopo quattro ore il forziere cede e rivela i suoi tesori: l'intera rete di spie e le operazioni in corso. Ma anche una grossa somma di denaro, 650 sterline d'oro e 875 mila franchi svizzeri, gioielli e una preziosa collezione di francobolli. Con il bottino vengono riempite tre valigie che Tanzini e Papini portano in stazione mentre Bronzin si reca al consolato italiano ad avvisare Cappelletti e Bonnes che tutto è andato bene. Poi Bonnes e Bronzin raggiungono Tanzini e Papini alla stazione e partono insieme per Berna, dove consegnano il materiale ad Aloisi. In tempo di esaminare i documenti, poi in Italia polizia e carabinieri iniziano ad arrestare i sabotatori. In beve l'intera rete di spie austriache viene smantellata, facendo prendere alla guerra una piega in favore dell'Italia. «Meglio di una vittoria in battaglia» sarà il commento degli altri gradi delle nostre Forze Armate.