I servizi segreti italiani nella Grande Guerra

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I servizi segreti italiani nella Grande Guerra
I servizi segreti italiani
nella Grande Guerra
Che cosa è oggi un agente segreto?
L'agente segreto è una persona calata nella sua epoca, che
vive il suo tempo attraversato da conflitti sociali e politici
oggi non più soltanto limitati a quelli tra strutture militari di
organismi contrapposti, ma articolati ed estesi ai più vari
settori delle relazioni umane. E' perciò vecchia e datata
l'immagine dell'agente che cerca di informarsi sul
potenziale difensivo di uno Stato: o meglio, è superata
l'idea che l'agente faccia solo questo. Oggi l'atto di
aggressione non ha contorni definiti o definibili, ma viene
scoperto attraverso la ricostruzione minuziosa di vari
tasselli apparentemente insignificanti, l'uno separato
dall'altro, messi in opera da gruppi od organismi, interni od
esterni, la cui azione è molto più pericolosa di
un'aggressione frontale.
I protagonisti della guerra segreta: i
servizi d'informazione militari
Nel corso della Grande Guerra ogni Stato ebbe a disposizione il
proprio reparto di servizi segreti, tuttavia non tutti avevano la
stessa coesione, gli stessi diritti o la stessa struttura. Quelli che più
caratterizzarono il nostro territorio furono l'Ufficio I, il Servizio
d'Informazione italiano, e l'Evidenzbureau, quello austroungarico,
che, dopo il periodo di collaborazione nella Triplice Alleanza, si
trovarono a indagare e agire l'uno contro l'altro.
L'Evidenzbureau
La sua nascita risaliva agli inizi del 1800 e nel corso del secolo,
anche per l'importanza politica ed economica assunta dalla
Duplice Monarchia, l'EB (questa è la denominazione mantenuta
dal Servizio fino al crollo dell'Impero) ampliò i suoi poteri
divenendo una potente arma che contribuiva efficacemente al
mantenimento dell'ordine e della sicurezza del plurietnico Impero.
Infatti l'Impero austroungarico, in quanto eminentemente
composito, doveva preoccuparsi più di ogni altra cosa di
conoscere ciò che veniva preparato contro di esso, non solo
all'esterno ma anche all'interno. Da ciò la grande importanza data
al Servizio Informazioni che estendeva da per tutto i suoi
tentacoli, in intima unione con la Polizia.
Quando ai primi mesi del 1915 fu chiaro che l'Italia a breve
scadenza avrebbe dichiarato guerra all'Austria, l'EB intensificò in
maniera massiccia l'attività informativa ai danni dell'Italia,
coadiuvato in ciò anche dai Consolati austriaci di Venezia, Napoli
e Milano ancora aperti (che dopo le competenze passarono a quelli
tedeschi, ai quali, per un errore politico, dichiarammo guerra solo
l’anno dopo). Nell'imminenza dell'inizio delle ostilità da parte
dell'Italia, l'EB potenziò anche tutti i suoi posti periferici di
informazione e trasferì in Svizzera, a Zurigo, la "Sezione
sabotaggio" dell'EB, Marina, che prima era dislocata a Trieste
sotto la denominazione di copertura di "Ufficio di Descrizione
Costiera".
Il Servizio Informazioni
Il Servizio Informazioni, noto anche come Ufficio I, allo scoppio
delle ostilità risultava, nelle sue diverse componenti, assai carente,
sia sotto l'aspetto strutturale che funzionale. L'incalzare degli
avvenimenti e soprattutto lo schieramento dell'Italia a favore delle
Potenze dell'Intesa, determinatosi negli ultimi mesi, aveva reso
necessario ricorrere, in tempi brevissimi, ad una riorganizzazione
delle sue strutture informative, orientandole ad operare contro
l'Austria-Ungheria, che, come è noto, era stata, unitamente alla
Germania, nostra alleata nell'ambito del Trattato della Triplice
Alleanza.
Mentre il Servizio austroungarico poteva vantare un'esistenza più
che secolare, corroborata dalla solida esperienza, dall'elevata
preparazione dei Quadri e da profonde motivazioni di ordine
ideologico e morale, in un contesto di rigida disciplina militare
che ne esaltava ancor più l'efficienza e l'aggressività, quello
italiano era allo stato embrionale e risultava sostenuto più dallo
spirito patriottico di qualche ufficiale particolarmente sensibile
alle esigenze di intelligence che da una efficiente organizzazione
centrale e periferica, tanto che venne definito come "dilettantesco"
da alcuni esponenti politici del tempo. Il Servizio italiano fu
quindi ristrutturato e potenziato nel breve volgere di qualche mese,
sotto l'incalzare degli avvenimenti. Il suo alleato migliore furono
gli irredenti. Trentini, Triestini, Fiumani e Dalmati non furono da
noi sollecitati, ma vennero a noi spontaneamente, insistentemente,
a spronarci ad accettare il concorso della loro attività, per la quale
rischiavano beni, libertà personale, famiglia e la loro stessa vita.
La storia e le riforme dell'Ufficio I
L'Ufficio I, costituito da prima dell'inizio del ventesimo secolo,
vide la prima delle sue serie modernizzazioni nel 1900, anno in cui
venne sciolto e ricostruito. Con la spedizione in Libia del 1911-12,
l'Ufficio fu rafforzato e, con l'aiuto di noti geografi, riuscì a
preparare, in vista dello sbarco, dettagliate carte geografiche del
Paese.
Nel 1912 il comando venne assunto dal colonnello Rosolino Poggi
che, mirando maggiormente a una politica di spionaggio offenso
piuttosto che difensivo, diede ordine di controllare gli alleati della
Triplice Alleanza. Si ebbe poi una svolta nel 1914, quando, in
vista dell'entrata in guerra dell'Italia, le strutture furono fortemente
ampliate. Per assicurarsi una maggiore discrezione, l'Ufficio venne
spacciato come un'organizzazione artigianale e dilettantesca, con
poca utilità.
Nel 1915 Giovanni Garruccio Melis, alpinista, si sostituì a Poggi,
e vennero nominati molti alpinisti come ufficiali, probabilmente
per maggiore sicurezza e attendibilità. Il Comando Supremo, oltre
a controllare gli ITO (uffici territoriali di ogni armata) si occupava
anche di controspionaggio (affidato ai carabinieri), messaggi
cifrati, stampa e propaganda. Per evitare che le informazioni
venissrero divulgate o disperse, Garruccio fondò una seconda sede
a Berna e la rese la sede dell'Ufficio esteri.
Nel 1916, per le specifiche esigenze di guerra, fu costituito un
Ufficio centrale di investigazione (UCI) nell'ambito della
Direzione generale di Polizia di Stato, con compiti di controllo dei
movimenti politici ostili alla guerra, la cui esistenza fu
regolarizzata nel 1917.
In quello stesso periodo Garruccio cercò di espandere l'influenza
del suo Ufficio, soprattutto nell'ambito delle scelte
operative-militari. Alla fine dell'anno la gestione delle tattiche di
guerra venne lasciata alle ITO, mentre all'Ufficio I vennero
affidate la raccolta delle informazioni relative ai fronti e i
collegamenti tra i centri esteri e gli uffici territoriali di Roma e
Milano. Questa manovra di Garruccio lo portò a identificare
l'Ufficio più come un corpo di polizia privato e segreto, ma i
probabili accordi con esponenti politici avversari di Cadorna, i
quali lo aiutavano a organizzare sempre più uffici politico-militari,
facendogli ricoprire una posizione avversa e decisamente scomoda
per Cadorna.
Ormai nel centro del mirino, la sconfitta di Caporetto e le accuse
di personalissimi, inadeguata gestione, assenze e distrazioni,
offrirono al generale motivazioni sufficienti per sollevare Poggi
dal suo incarico e sostituirlo nel 1917 con Odoardo Marchetti,
anche se pubblicamente risultò che era stato lo stesso Garruccio ad
abbandonare il suo lavoro. Il suo operato venne addirittura bollato
come scarsamente duttile e ottuso borucratismo, tuttavia è difficile
stabilire se la colpa debba essere ricondotta a lui o agli ordini di
Cadorna.
Sfortunatamente numerose spiate vennero ritenute false o
inattendibili, causando così conseguenze disastrose: molte
battaglie che si sarebbero potute vincere vennero perse in
partenza, e inoltre si sarebbero potute evitare anche alcune
sconfitte decisive, prima fra tutte quella di Caporetto, per la quale
potevamo contare su molti nemici caduti prigionieri e irredenti.
Per questo motivo molti uffici diventarono indipendenti, come
quelli di Milano e Venezia.
Durante tutto il corso della guerra divergenze e rivalità con
l'Ufficio riservato intralciarono l'attività dell'UCI, nel frattempo
ribattezzato USI (Ufficio Speciale d'Investigazione). Nel 1919
l'Ufficio riservato fu sciolto e l'attività di contrasto del
sovversivismo politico fu affidata alla I sezione della costituenda
DAGR (Divisione Affari Generali e Riservati), alle cui dipendenze
fu incardinato l'USI, che in seguito venne sciolto nel 1921.
Testimonianza di due spie
20 maggio 1859 - Quartiere del 4° battaglione Bersaglieri:
uscimmo in pattuglia in quattro plotoni, per le diverse direzioni
affidateci. Il mio plotone doveva raggiungere il ponte sul fiume
Reviglio, veder chi lo teneva, ispezionar la zona, possibilmente da
un'altura, e renderne conto allo Stato Maggiore per il tramonto.
Compito apparentemente semplice. Solo che all‘atto della partenza
ci s’avvide che mappe non ve n‘erano, o non di cosi dettagliate da
poterci fare affidamento, e che l’unica di una qualche attendibilità
era in mano al Generale, e che quindi non si poteva sottrarla a lui.
E sia! Ma nei mesi passati all‘Accademia, non si fece un gran
parlare dell‘estrema importanza che oggigiorno hanno i cartografi
nelle cose militari? E non sarebbe stato il caso di munirsi di buone
mappe di questi territori e non di questi solo?
Partimmo con l’indicazione, che dico?, l’ordine di chiedere ai
contadini, che, italiani e quindi di sicuro patrioti, ci avrebbero ben
dato corrette indicazioni! A volte parmi che le peggiori bestialità
che in camerata noi si diceva de’ nostri superiori, non fossero solo
goliardia giovanile ma esatta descrizione delle teste che, da sotto i
kepi colorati, dovrebbero comandarci!
Come se ai contadini piacesse di veder cavalli, cavalieri armati e
carriaggi per i lor campi, sulle loro aie! Come se fra costoro non
ce ne fossero di quelli che ci sono dalle mie parti, che per un
tallero da spendere in vino venderebbero la loro madre a un nano,
come canta la canzone del gagliardo ligure!
Arrivammo, dio solo sa come, al fiume. Ma il ponte? Dov‘era il
ponte? Lì, non c’era. Contadini in vista cui chiedere, nessuno.
Decisi allora che tanto valeva faticare in pochi e ordinai a quattro
soldati di avventurarsi due a valle e due a monte del fiume finché
non avessero trovato o avvistato il ponte, e allora uno restasse a
far di vedetta e l’altro tornasse; ma di non procedere oltre l’ora, e
allo scadere dell‘ora di tornare indietro a dove eravamo.
Fortuna ci baciò e dopo soli 20 minuti uno di coloro che erano
andati a valle tornò. Ponte in vista e sul ponte gli Austriaci, disse.
Che fare, come sempre s‘ostina a dire il mio amico Vladimiro?
L’ordine era di scoprir questo e null‘altro. Potevo ben tornare. Ma
mi parve fosse poco. Decisi quindi d’avviarmi alla volta del ponte,
imponendo tuttavia ai miei uomini il massimo silenzio:
avanzammo in pieno giorno come ladri nella notte, attenti al
menomo rumore.
Giunti alla vedetta, quel brav‘uomo del caporalmaggiore (vecchio
bracconiere, quindi uso a scappar le guardie, ma anche a contarle!)
ci disse d’aver contato fino a quel momento oltre quaranta uomini.
E a crescere, ché di continuo ve n‘arrivavano. Noi s‘era
venticinque in tutto.
Di nuovo mi chiesi: che fare? V’erano già informazioni a
sufficienza da riferire. Ma mi parve fosse ancora poco. Decisi
dunque di dividerci in due gruppi. Agli ordini del bracconiere
sarebbero rimasti 20 uomini, e si disponessero lungo la strada, ma
su un lato solo della stessa, e nella parte più alta. Io con altri
quattro, e tutti e solo volontari. Io sarei sceso in avanscoperta a
veder più da vicino e chi fossero e quanti fossero e quanti
sarebbero stati coloro che occupavano il ponte.
M’avviai con i quattro migliori fra coloro che s ‘erano offerti e
devo dire che fui commosso a veder quanti furono. Non tutti,
certo, ma sarebbe stato chieder troppo. Arrivammo al greto, e al
riparo della vegetazione quasi fino al ponte. Da lì, fra gli alberi,
vidi e contai oltre 200 “Alpenjaeger” tirolesi, e venti Ussari.
Troppi per qualsiasi cosa di pacifico avessero in mente gli
Austriaci per l’indomani da quelle parti! E mi parve anche di
veder arrivare altra truppa sullo sfondo dell’orizzonte per lo meno
a giudicare dalla polvere che se n'alzava. Mi parve infine che tutto
ciò non fosse poco, da riferire. E decisi di tornar indietro per la
stessa via. Ma fummo scorti e dalla riva opposta cominciarono a
bersagliarci. Per un po’ rispondemmo al fuoco ma solo per
prepararci a fuggire meglio. Ma di là dal fiume e tra gli alberi, vidi
sei o sette Ussari montar le selle; ed erano montate su cavalli alla
vista ben veloci!
Decisi che l’unica cosa da fare era fuggire il più velocemente
possibile per raggiungere il grosso del nostro gruppo, e pur
sentendo negli ultimi metri il fiato dei cavalli quasi sul collo, ce la
facemmo.
Anche perché di sua iniziativa il caporalmaggiore s'era appostato
fra la sterpaglia con altri tre commilitoni, bracconieri e ottimi
tiragliatori come lui, e riuscì a vuotar lui da solo due selle, e in
tutto ne furon vuotate nove. E gli Ussari prima ristettero, poi
tornarono indietro. Noi tornammo subito al campo e riferimmo, e
le nuove furono ben accolte, soprattutto perché solo noi ne
portammo! Gli altri plotoni o s'erano persi nella campagna, o non
avevano trovato nulla, chi per essere troppo presto tornato, chi
perché nulla v‘aveva da trovare.
Tratto dal romanzo "Cronache non ufficiali di due spie italiane"
di Massimo Mongai.
Spionaggio e Chiesa
Un ulteriore problema diplomatico era causato dai rapporti con la
Chiesa: con una clausola segreta all'interno dell'articolo 15 del
Trattato di Londra, stipulato nell'aprile del 1915, la monarchia
italiana era riuscita a ottenere dalla Gran Bretagna, dalla Francia e
dalla Russia zarista la promessa che la Santa Sede non sarebbe
stata ammessa a partecipare a una eventuale conferenza di pace.
Una simile eccessiva preoccupazione tradiva il nervosismo
esistente nelle alte sfere della politica italiana. Non c'è da
meravigliarsi che il Governo nutrisse forti sospetti nei confronti
delle manovre di Benedetto XV e dei suoi rapporti con le potenze
centrali. Il Governo in qualche modo era entrato in possesso del
cifrario del Vaticano e leggeva regolarmente i messaggi del Papa.
Il reclutameno delle spie
Per scegliere quali spie reclutare si seguivano alcuni principi
fondamentali, che determinavano i criteri della scelta:
-nella scelta delle spie vuolsi attentamente usare gran
discernimento, somma prudenza e scrupolosa antiveggenza per
non lasciarsi ingannare.
-vuolsi usare pur molta cura nel prescrivere un costante e
severissimo rigore verso quelle spie che destano sospetti e sono
traditrici, e per lo contrario ricompensare largamente quelle altre
che con pericolo, zelo e franchezza attendono al disimpegno di sì
pericoloso incarico, e recano importanti e sicure notizie.
-i rapporti delle spie voglionsi credere con molta circospezione,
accadendo talvolta che tali persone prive d’ogni mezzo di
sussistenza, allettate dalla lusinga di una doppia mercede, servano
le due parti nell’istesso tempo.
-vuolsi interdire alle spie di soggiornare presso il quartier generale
dopo eseguita la loro missione, e specialmente vigilare a che esse
non incontrino relazioni di sorta colla truppa.
-le spie debbono essere interrogate in disparte. Le principali
domande da fare loro sono lo seguenti:
a. Il collocamento de’ quartieri generali del nemico, de’ parchi,
delle linee di battaglia, delle riserve, de’ magazzini, degli spedali.
b. La forza de’corpi ed il nome de’comandanti principali.
c. Se si attendono soccorsi e da qual parte debbono giungere.
d. Le mosse che il nemico intende di effettuare.
e Le notizie che circolano nel campo dell’avversario.
f. I siti da cui egli si procaccia i viveri, e se sono abbondanti.
g. Le malattie che regnano nell’armata nemica e loro cause.
h. Se la posizione che occupa è trincerata o no.
i. Se attende a ristaurar strade, ponti, canali ecc.
k. Le perdite sofferte dal nemico ne’combattimenti, o per altre
cause.
l. Quali sieno le tendenze degli abitanti, e quali le risorse
economiche del paese occupato dal nemico.
Luisa Zeni
Luisa Zeni, sentita di bocca del colonnello Marchetti in persona, di
partenza per la Svizzera per “recuperare” la nostra migliore spia.
Costei pare sia una giovane di vent'anni, fervente patriota,
poliglotta, che ha accettato di fingersi austriaca con il nome di
Josephine Muller. Dal 22 maggio al 9 agosto 1915 la nostra
‘fraulein” si è trasferita con documenti falsi ad Innsbruck all'Hotel
Union, in una pensione frequentata da ufficiali austriaci. Con quali
mezzi non voglio sapere, è riuscita per mesi a passare
informazioni sulla consistenza delle forze che fronteggiano in quel
fronte le armate italiane. Ma non basta. E stata arrestata e
“miracolosamente “, a detta del tenete Massari, è riuscita a
liberarsi e poi a fuggire.
Gli ho chiesto cosa intendeva con “miracolosamente” e lui non ha
saputo rispondere. Ho suggerito l’uso delle molto ben descritte (da
lui) grazie femminili della signorina e lui è arrossito! Cosa abbia
fatto la signorina Zeni per avere le informazioni da uomini esposti
al rischio di morire in combattimento, non so, ma se è giovane e
bella, posso ben immaginarlo. Fatto sta che è riuscita a fuggire, si
è imbrancata in un gruppo di profughi ed ha portato altre
informazioni ancora in Svizzera.
Pare che Marchetti (Tullio) se ne sia partito da Roma per andare a
incontrarla di persona e che le abbia già ottenuto “per gli
eccezionali meriti dimostrati” una medaglia d’argento al valor
militare. Credo sia la prima donna in assoluto che la riceve nella
storia d’Italia. Decisamente un personaggio che sarebbe piaciuto
alla mia Lidia.
Tratto da una testimonianza su Luisa Zeni.
Il "Colpo di Zurigo", quando i
migliori 007 erano italiani
Il 24 febbraio 1917, quattro agenti segreti scivolano nella strade di
Zurigo in festa per il Carnevale, entrano nel consolato austriaco,
aprono le porte con chiavi false, forzano la cassaforte e infine
fuggono con l'elenco delle operazioni in corso e i nomi di agenti
segreti e sabotatori operanti in Italia.
Non è la trama di un film di 007, bensì uno dei migliori colpi dei
nostri servizi segreti, anzi «Il Colpo di Zurigo», messo a segno il
24 febbraio del 1917. Quanto all'efficacia dell'azione, gli alti gradi
militari giudicheranno i suoi effetti «superiori a qualsiasi battaglia
vinta» durante la Prima Guerra Mondiale.
Il colpo di mano viene deciso quando, dopo due anni di indagini,
la Regia Marina scopre come non solo dietro una lunga serie di
«incidenti» ci fosse la mano dei servizi segreti austriaci, ma che la
base delle operazioni in Italia è nel consolato viennese a Zurigo. In
Svizzera dunque si nasconde la mente dei sabotaggi iniziati nel
1915 nel porto di Brindisi quando salta in aria la «Benedetto
Brin», una delle migliori corazzate italiane affonda nel giro di
pochi minuti, uccidendo 454 marinai. Un disastro replicato il 2
agosto 1916 quando le fiamme distruggono nel porto di Taranto
un'altra corazzata, la Leonardo da Vinci, uccidendo 270 tra
marinai e ufficiali. Quindi tutto un susseguirsi di «inspiegabili»
disastri: l'incendio al porto di Genova, il piroscafo Etruria saltato
in aria a Livorno, l'hangar dei dirigibili in fiamme ad Ancona. E
ancora: la distruzione della fabbrica di esplosivi a Cengio nel
savonese e del treno carico di munizioni a La Spezia e
danneggiamento della centrale idroelettrica di Terni.
Ma la fortuna alla fine volta le spalle agli austriaci e i carabinieri
riescono ad arrestare un sabotatore mentre sta cercando di piazzare
dell'esplosivo sotto la diga delle Marmore. È un italiano, ha tradito
per denaro, come confermerà una secondo attentatore fermato in
tempo presso le centrali elettriche del Chiamonte e del Sempione.
I due forniscono anche il «preziario»: 300mila lire per distruggere
un sommergibile, 500mila un incrociatore, un milione una
corazzata, cifre enormi per l'epoca, equivalenti a svariati milioni di
euro. Ma soprattutto, indicano nel consolato austriaco, a Zurigo la
base operativa degli agenti segreti e nel diplomatico, il capitano di
corvetta Rudolph Mayer, il loro capo.
Il governo affida al capitano di corvetta Pompeo Aloisi, 42 anni, il
compito di distruggere la rete di spie. Egli mette sotto stretta
sorveglianza l'edificio, matura il piano per penetrare nell'edifici e
arruola una squadra di specialisti.
Il primo, l'avvocato livornese Livio Brin, rifugiato a Zurigo, che
offre appoggio logistico. Poi un agente segreto austriaco, il cui
nome non sarà mai rivelato, che spiegherà dove trovare la
cassaforte e fornirà i calchi per aprire le varie porte. Quindi uno
specialista nel fare i doppioni, l'abilissimo fabbro Remigio
Bronzin, un profugo triestino. Poi due ingegneri triestini,
Salvatore Bonnes e Ugo Cappelletti, e il marinaio Stenos Tanzini,
di Lodi, a cui vien affidato il compito di guidare il commando.
Manca lo scassinatore, individuato in Natale Papini. Lo
rintracciano in carcere a Livorno, dove era finito per avere
svaligiato una banca di Viareggio. Gli fanno decidere tra recarsi a
Zurigo e, in caso di successo del colpo, venire liberato e
profumatamente ricompensato, oppure finire subito in prima linea.
Scelta molto facile.
Aloisi decide di agire il 22 febbraio in pieno carnevale, la
confusione può rendere più facile l'azione. Tanzini, Papini,
Bronzin e Bini scivolano nelle strade piene di gente in festa,
entrano nell'edificio, aprono 16 porte una dopo l'altra. Ma quando
sembra fatta, ecco una diciassettesima, inattesa: l'agente
doppiogiochista l'aveva sempre vista aperta e non pensava fosse
necessario procurarsi un ulteriore ostacolo. La spia austriaca, si
procura anche quel calco, Bronzin fabbrica la chiave a tempo di
record e il 24 il gruppo è pronto per il nuovo tentativo. Questa
volta non sembra esserci ostacoli, i due guardiani sono assenti, il
cane di guardia addormentato con il cloroformio e le porte si
aprono una dopo l'altra. Non resta che attaccare la cassaforte con
la fiamma ossidrica, ma un ultimo imprevisto per poco non fa
strage del commando: dal buco aperto nella parete d'acciaio esce
un gas venefico.
Una trappola di cui i «nostri» se ne accorgono in tempo, aprono le
finestre e continuano a lavorare con stracci bagnati sulla bocca.
Dopo quattro ore il forziere cede e rivela i suoi tesori: l'intera rete
di spie e le operazioni in corso. Ma anche una grossa somma di
denaro, 650 sterline d'oro e 875 mila franchi svizzeri, gioielli e
una preziosa collezione di francobolli. Con il bottino vengono
riempite tre valigie che Tanzini e Papini portano in stazione
mentre Bronzin si reca al consolato italiano ad avvisare
Cappelletti e Bonnes che tutto è andato bene. Poi Bonnes e
Bronzin raggiungono Tanzini e Papini alla stazione e partono
insieme per Berna, dove consegnano il materiale ad Aloisi. In
tempo di esaminare i documenti, poi in Italia polizia e carabinieri
iniziano ad arrestare i sabotatori. In beve l'intera rete di spie
austriache viene smantellata, facendo prendere alla guerra una
piega in favore dell'Italia. «Meglio di una vittoria in battaglia»
sarà il commento degli altri gradi delle nostre Forze Armate.