quattro condizioni della donna a confronto. donna
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quattro condizioni della donna a confronto. donna
QUATTRO CONDIZIONI DELLA DONNA A CONFRONTO. DONNA ORIENTALE,DONNA ISLAMICA,DONNA AFRICANA,DONNA OCCIDENTALE. LA DONNA NEL TEMPO La condizione della donna è sempre stata caratterizzata da una situazione di inferiorità sia sul piano sociale che giuridico e politico. Questa discriminazione a danno della donna, viene giustificata per lo più da una sua pretesa inferiorità fisica. Nel mondo miceneo, secondo quanto si può dedurre dai poemi omerici, la donna, pur sottoposta all'autorità del marito, era in grande considerazione e godette di una libertà impensabile nell'età successiva. Il suo normale destino era il matrimonio, riceveva dal padre una dote e lo sposo, che non poteva rifiutare; il contratto matrimoniale prevedeva che lo sposo le facesse un dono, che ella avrebbe potuto tenere con se nella nuova famiglia. Il suo precipuo dovere era quello di provvedere al buon andamento della vita domestica, controllare il lavoro delle schiave, allattare i figli e provvedere alla loro educazione nei primi anni di vita. Godeva anche di molta libertà e poteva uscire di casa senza il marito purché accompagnata da un'ancella. Della donna greca abbiamo notizia solo di quella ateniese. Essa viveva praticamente reclusa, se sposata usciva di casa soltanto nelle feste religiose, in occasione di un matrimonio o di un funerale; ma se in casa giungeva improvvisamente un uomo qualsiasi a far visita, doveva subito ritirarsi nel gineceo; se nubile non poteva neanche girare per casa. La sua capacità giuridica era pressappoco nulla: fino a 14 anni era sotto la giurisdizione del padre e in seguito doveva avere un tutore, sia il padre, il fratello o il marito; non poteva fare testamento e solo in casi sporadici poteva essere citata come testimone in un processo; però poteva diventare sacerdotessa, e se mamma, allattare e allevare i figli, proprio come la donna micenea. Diverse erano le etère (termine con cui venivano indicate le cortigiane), superiori alla media greca per cultura e raffinatezza del gusto, prive degli scrupoli moralistici che tenevano le donne relegate in casa intente ai lavori domestici, le etère avevano una intensa vita di relazioni. Furono famose Aspasia, compagna di Pericle; Frine ritratta da Prassitele e difesa in un famoso processo da Iperide; Gliceria, amata da Arpalo che edificò una statua in suo onore; Leonzio, la compagna di Epicuro e una sua omonima amata dal poeta Ermesianatte che le dedicò dei versi. In Etruria, da quanto si conosce dalle effigi di coppie di sposi sulle tombe, che l'archeologia ci ha tramandato, si può pensare che la società etrusca tenesse in grande considerazione, la donna e il matrimonio. La donna romana godette di maggiore libertà rispetto a quella greca, essa svolse sempre un ruolo importante nella famiglia, non solo come mamma e custode della casa, ma spesso anche come confidente e consigliere del marito, e riceveva inoltre una istruzione regolare. Però anche qui era sottoposta all'autorità del marito. L'avvento del cristianesimo, non modifica la condizione giuridica della donna, pur assegnandole un ruolo fondamentale in seno alla famiglia che viene a ricostituirsi come nucleo fondamentale della vita associata, la sottomissione al marito era ancora vigente; ma il cristianesimo almeno la sottrasse all'umiliazione del ripudio. Nel IV secolo cominciarono a diffondersi i movimenti spirituali femminili e si affermava una nuova immagine della donna accanto a quella tradizionale di madre e di sposa: la donna vergine. Nella prima età medioevale, questa nuova spiritualità femminile ha portato alla nascita di moltissime istituzioni monastiche. Con l'arrivo dei Longobardi diventa oggetto del guerriero, è sottoposta alla tutela (mundio o mundeburdio) del padre o del fratello, passando sotto quella del marito dopo le nozze; queste erano organizzate e decise senza che fosse stato previsto il suo consenso e assimilate ad un atto di compravendita. Nell'età cavalleresca, nonostante l'idealità cortese, la posizione giuridica della donna non subì sostanziali modificazioni. Gli statuti comunali, poi, ne limitarono i diritti patrimoniali. Bisogna aspettare la tarda età comunale per vedere che le vengono rese possibili un'evoluzione intellettuale e sociale, e in questo periodo si hanno grandi figure femminili: da Chiara di Assisi e Caterina da Siena a Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga. Ma sotto il profilo giuridico la sua condizione rimase invariata e s'aggravò nell'età successiva dominata dal soffocante moralismo controriformistico: venne sottratta alla cultura e relegata in mansioni domestiche. Dobbiamo aspettare il XVIII secolo perché comincino a serpeggiare idee favorevoli alla sua formazione culturale. E la inizia ad avviarsi anche alle discipline scientifiche. Le grandi rivoluzioni, quella francese e quella americana, la portano al riconoscimento dei diritti civili, pur lasciandola ancora senza quelli politici. Il codice napoleonico, assicura la parità giuridica della donna nubile, all'interno della famiglia, invece, ripristinava la piena sottomissione al marito. Tuttavia ora vedeva aprirsi davanti spazi ampi di intervento sociale: campo preferito è quello dell'educazione, in Francia e in Gran Bretagna soprattutto, ma anche in Italia si hanno figure femminile che arse dall'ardore romantico e risorgimentale, hanno svolto opera di educatrici, fra le tante si ricordano: Matilde Calindri, Amelia Calani e Anna Ricasoli. Durante la metà del XIX secolo cominciano a concretizzarsi le prime vere conquiste sociali. Il codice del 1865 sancisce l'alienabilità della dote, la reciprocità degli obblighi economici dei coniugi e la corresponsabilità nei confronti dei figli; ottiene l'accessibilità agli studi superiori, in Italia la prima donna si è laureata nel 1877. Negli Stati Uniti una legge del 1840 dava alla donna sposata la piena disponibilità dei suoi guadagni e dei suoi beni personali. In Italia una legge uguale venne promulgata solo nel 1919. Intanto allo scoppio della prima guerra mondiale, in dodici stati della Confederazione americana veniva riconosciuto alla donna il diritto politico; poco dopo lo stesso riconoscimento veniva accordato anche dalla Danimarca, Paesi Bassi, URSS e Islanda; nel 1918 seguirà la Gran Bretagna, che tuttavia riserva tale diritto solo alla donna che ha compiuto i trent'anni. Nel periodo fra le due guerre sia in America che nel resto d'Europa veniva riconosciuto anche il diritto di voto, in Italia si dovrà aspettare il 1945. Da questo momento il movimento di emancipazione della donna si fa più agguerrito anche in Italia, e di conseguenza il processo di equiparazione si fa più celere. Nel 1956 viene ammessa nelle corti d'assise e nei tribunali dei minorenni, come giudice popolare; nel 1960 ottiene il libero accesso a tutte le cariche pubbliche, tranne quelle militari e diplomatiche; la piena parità giuridica nel lavoro viene ottenuta nel 1962, tuttavia nell'ambito familiare è ancora vigente la discriminazione del "diritto di famiglia". Solo nel 1977 una riforma generale ha finalmente abolito ogni discriminazione, mentre risale al 1979 la prima nomina ad ambasciatore e alla presidenza della Camera dei Deputati. Più tempo passa e più vediamo la donna prendere possesso di posti di comando che una volta non si sarebbe mai sognato di poter avere. La donna schiava e sottomessa all'uomo non esiste più. Essa ha preso e prende sempre più coscienza di sé e delle sue capacità; rifiuta una vita che fino a qualche anno fa accettava con naturalezza. La figura della casalinga come "nostra madre" o "nostra nonna", che tutto dedicava alla famiglia, che viveva per la famiglia va scomparendo, il suo posto viene preso da una donna nuova che ha innumerevoli interessi oltre quelli domestici. Oggi la donna ha propri contatti sociali che le danno più consapevolezza delle sue forze e del suo valore. Il sociologo americano Robert Morison ha posto in evidenza come nella nostra epoca, la crisi della famiglia, la sconvolgente evoluzione della società, il progresso tecnico e lo spirito scientifico che dominano il nostro tempo, hanno spostato l'educazione dalla famiglia alla scuola, facendole assumere maggiore importanza a detrimento del prestigio della famiglia. In effetti la famiglia può assolvere benissimo il compito di istruzione e di educazione in una società statica, ma non è più in grado di assolvere il proprio compito in una società che cambia rapidamente. Ma questo processo di emancipazione della donna è proprio indipendenza? Le apparenze ingannano! Oggi la donna è schiava del "doppio lavoro", quello casalingo e quello che presta fuori. Allora che cosa bisognerà fare per renderle giustizia? A mio avviso bisognerebbe prolungare la permanenza dei bambini a scuola ed estendere il ruolo di questa; bisognerebbe creare una rete di ristoranti economici per sgravarla almeno del lavoro della cucina; occorrerebbe affidare la pulizia degli alloggi a squadre formate appositamente; creare impianti di lavaggio collettivi, ecc. La situazione non è certo confortante per le nostre donne! In Russia, ad esempio, il 78% dei medici sono donne, come lo sono il 70% degli insegnanti e il 32% dei giudici; e ancora, il 32% del "gentil sesso" esercita la professione di ingegnere. Da noi, in Italia, le donne che lavorano rappresentano appena il 5% dei funzionari direttivi e solo il 24% è alle dipendenze dello stato. L'unico settore in cui la donna italiana domina è la scuola; ma anche qui non si possono fare considerazioni positive. Molte volte sono ragioni pratiche che la spingono all'insegnamento perché le permette di avere più tempo per la famiglia e per la casa. Quindi parlando di emancipazione della donna non si può affermare che sia una libera scelta. Questo cambiamento nella vita della donna, come abbiamo visto, si è maturato negli anni gradualmente. Quali le cause? Come ha potuto questa autentica rivoluzione essere portata avanti, senza essere contrastata? Come ha potuto l'uomo veder sfumare il suo dominio sulla donna, senza reagire? Si è trattato, a mio avviso, di un processo sociale che trova le sue origini, le sue cause e i suoi presupposti nella crisi della famiglia e nella trasformazione della società. La crisi della famiglia è senza dubbio di origine sociale. Qualche tempo fa la famiglia aveva solide fondamenta, perché il nucleo familiare assicurava ai suoi componenti protezione e sicurezza. Oggi in questo mondo dominato dalla tecnologia, in cui il successo del singolo dipende dalle sue capacità, dalla sua intelligenza e dalla sua abilità, i legami con la famiglia vengono privati di ogni significato. Bisogna anche riconoscere che ieri la base economica della famiglia era data dalla proprietà, oggi la famiglia vive di reddito di lavoro. La giovane donna sa che può rendersi indipendente e vivere una propria vita diventando operaia o impiegata, sa che la industrializzazione della società le permette di non essere più legata alla condizione domesticoarcaica su cui poggiava il rapporto tradizionale con la famiglia. Inoltre c'è da ricordare che un tempo la famiglia svolgeva anche una sua funzione sia nell'istruzione che nell'educazione. Oggi l'evoluzione della società è sconvolgente. Il progresso tecnico e lo spirito scientifico dominano il nostro tempo. Una volta la scoperta era del tutto casuale e la società ne sentiva le conseguenze senza sconvolgimenti improvvisi. Oggi la ricerca scientifica lavora per creare nuove condizioni di vita e nella nostra società non solo la somma delle conoscenze aumenta con rapidità enorme, ma la loro diffusione è quasi istantanea. La condizione tradizionale della donna poteva essere sopportata fino a quando essa era chiusa in famiglia. Quando la moderna industrializzazione le ha offerto innumerevoli possibilità di lavoro, la sua condizione, con l'ingresso nel mondo del lavoro, ha visto notevoli e continui cambiamenti, raggiungendo l'emancipazione voluta. Ma al momento può parlarsi di emancipazione nel senso vero della parola? Possiamo dire, se guardiamo alla realtà delle cose, senza farci fuorviare dalle apparenze a volte ingannevoli che oggi la donna, almeno per il momento, nella sua lotta, è ben lontana dal poter cantare vittoria. Oggi è schiava del lavoro, quello casalingo e quello che svolge nel processo produttivo. La società non ha ancora assunto su di sé i compiti del lavoro familiare e la cura della casa, la preparazione dei pasti e tutti i compiti che rientrano nell'economia domestica sono svolti non come lavoro vero e proprio, ma sempre sotto l'etichetta di "lavoro casalingo", dizione che ancora adesso ha il significato di negazione del lavoro. Ho detto che la donna è ben lontana dal cantare vittoria, ma sempre guardando alla realtà, si può dire che la donna, oggi, divide col marito la responsabilità della famiglia, che una volta era comandata da un'autorità maritale, come abbiamo visto più su, ed ora è guidata da un'autorità parentale, nel senso che anche la madre partecipa del potere familiare, quindi, anche se si può riscontrare un primato maschile nell'esercizio del comando in famiglia, non si può più parlare di esclusività. L'accesso alle carriere, che si è visto iniziare nel 1979, ancora oggi, vede la donna scavalcata dall'uomo, per un incarico importante viene sempre preferito un uomo di pari grado e magari di capacità più limitate, e solo perché ha il merito di essere uomo. Questo stato di cose ha contribuito e contribuisce ad escludere i figli che non riescono a dare un senso vero alla vita e solo perché sono stati costretti a crescere senza la vicinanza della mamma, senza impregnare le narici e i pori dell'odore della donna che li ha messi al mondo; infatti hanno avuto una "balia" di metallo con figure animate che non ha fatto niente per la loro educazione; sono cresciuti senza sentire il calore del fiato materno, non hanno potuto contare sulla loro presenza attiva, e sono venuti su senza conoscere chi avrebbe dovuto guidarli, chi avrebbe dovuto insegnar loro il comportamento da tenere, senza il suono di quella voce che avrebbe dovuto far capire loro che cosa è bene, che cosa è male, che cosa è amore, che cosa è delusione, che cosa è gioia e che cosa è dolore; senza quella voce che avrebbe dovuto consolarli nei momenti di tristezza, che avrebbe dovuto dividere con loro le prime gioie, le primissime scoperte amorose. Sì non sono stati soli, ma può la televisione sostituire la mamma o il papà? In questo modo si sono trovato soli, incapaci di confidarsi con i genitori, e proprio perché è mancato loro il contatto comunicativo con i propri genitori, è mancata la confidenza con essi. La donna sarà veramente libera ed emancipata solo quando avrà capito che di fronte alla maternità, deve mettere da parte ogni ambizione carrieristica e dedicarsi interamente al figlio, deve capire che il figlio deve maturare aiutato dai genitori, soprattutto dalla madre, dovrà essere guidato quando sta per formare e realizzare la propria personalità, e poi potrà ricevere quella fiducia che gli è necessaria e della quale sicuramente non approfitterà. La più grande ambizione per una donna-madre dovrebbe essere quella di vedere il figlio ben educato, con una personalità matura e formata. In una società civile permeata di una sana moralità, merita più rispetto la donna che sa rinunciare ai suoi sogni per viverli con il figlio e che sappia risolvere con dignità i suoi problemi, che sappia responsabilmente affrontare le conseguenze che la rinuncia comporta, perché solo allora è veramente una donna libera ed emancipata. Condizione della donna nell'Islam. Di Manuela Del Papa. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Vai a: Navigazione, cerca Donna con hijab in Tunisia Lo studio della condizione della donna nell'Islam riguarda le attitudini e le credenze riguardo i ruoli e le responsabilità delle donne all'interno della religione islamica. La complessa relazione tra donna e Islam è definita tanto dai testi islamici quanto dalla storia e cultura del mondo islamico. In base al Corano, le donne sono uguali agli uomini di fronte a Dio. La Sharia (legge islamica) include differenze tra i ruoli di genere, i diritti e gli obblighi della donna e dell'uomo. Gli interpreti dei testi giuridici islamici hanno diversi giudizi circa l'interpretazione delle norme religiose sulla condizione della donna. Secondo i più conservatori, le differenze tra uomo e donna sono dovute ad un diverso status e responsabilità dei due, mentre il liberalismo musulmano, il femminismo islamico ed altri gruppi hanno argomentato a favore di interpretazioni più originali ed aperte. I paesi a maggioranza musulmana concedono alla donna vari gradi di diritti riguardo a matrimonio, divorzio, diritti civili, status legale, abbigliamento ed istruzione, in base a diverse interpretazioni della dottrina islamica e dei principi di laicità. Tali paesi presentano alcune donne in alte posizioni politiche, ed hanno prodotto diversi capi di stato donna. Condizione sociale Dal punto di vista religioso non sembrano esserci problemi; per la legge islamica la donna è ontologicamente uguale all’uomo, ha gli stessi doveri, non c’è per essa alcuna discriminazione nella vita eterna che l’attende dopo la morte. I problemi cominciano quando dal campo religioso si passa a quello sociale. Infatti il Corano stabilisce: «gli uomini sono preposti alle donne perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle.» Questo significa, in pratica, che la donna, finché rimane in famiglia, è sottoposta all’autorità del padre e dopo, quando si sposa, passa sotto l’autorità del marito. Paradossalmente esclusa da questa tutela ( wilāya ) è la nubile non più giovane ( anīs ), che può in tutto e per tutto gestirsi senza dipendere dall'altrui beneplacito. Nel mondo islamico le donne non sono ugualmente discriminate in tutti i Paesi, per cui parlando dei diritti delle donne islamiche occorre precisare a quale piano ci si riferisca, se teorico-religioso o praticopolitico, ed a che paese si faccia riferimento. In alcuni Stati esse hanno ormai ottenuto parecchi privilegi una volta destinati quasi esclusivamente agli uomini, ma negli Stati più tradizionalisti e in quelli che mirano alla reintroduzione a pieno titolo della sharīa, dove le norme del Corano sono interpretate ed applicate in maniera più rigida e rigorosa, le donne non vivono una situazione egualitaria in termini di libertà, e sono considerate ad un livello inferiore rispetto all’uomo. Fonti coraniche Il principio della superiorità maschile è enunciato dal Corano nella sura IV, detta al-Nisā (delle donne), al versetto 34: « Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono [per esse] i loro beni. Le [donne] virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete l'insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse. Allah è altissimo, grande » (Trad. di Alessandro Bausani) Così, in virtù di questo precetto, le donne sono private persino dei fondamentali diritti umani e civili: non godono della libertà di spostamento, della libertà di espressione e di parola; non possono procedere negli studi né tanto meno fare carriera o ricoprire cariche o posizioni di responsabilità in campo civile o religioso. Non possono decidere il proprio destino né quello dei propri figli e sono totalmente sottomesse all'uomo, da cui possono venire ripudiate (e non viceversa). Sono eventualmente costrette a convivere con altre mogli scelte dall'uomo; e sono obbligate a coprire il proprio corpo e spesso anche il viso. La poligamia è lecita e prevista dal Corano per gli uomini (Sura "delle donne", versetto 3) con la limitazione se temete di non essere giusti con loro sposatene una sola o le ancelle in vostro possesso. Questa limitazione ha indotto alcuni commentatori modernisti ad affermare che, poiché è impossibile essere giusti con più di una donna (come è detto nella stessa sura al versetto 129) la poligamia è virtualmente illecita. Al v. 15 della stessa sura si dice se alcune delle vostre donne avranno commesso atti indecenti portate quattro testimoni contro di loro, e se questi porteranno testimonianza del fatto, chiudetele in casa fin che non le coglierà la morte o fin quando Dio apra loro una via. Dai commentatori questa punizione s'intende abrogata dal v. 2 della sura "della Luce", in cui si afferma che l'adultera e l'adultero siano puniti con cento colpi di frusta ciascuno alla presenza di un gruppo di credenti, ma in questo caso si parla di adulterio mentre nell'altra sura si parla di atti indecenti e i commentatori non sono d'accordo se per atti indecenti debba intendersi l'adulterio. Secondo il Corano l'uomo può ripudiare la moglie e non v'è nessun accenno che la moglie possa farlo nei confronti del marito. Nella sura "della Luce". il v. 31 prescrive che le credenti abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne, non mostrino troppo le loro parti belle ad altri che agli uomini della famiglia e non battano i piedi sì da mostrare le loro parti nascoste. Secondo un'usanza che è precedente al Corano questo versetto proibirebbe alla donne di mostrare il volto e quindi avrebbe giustificato nei tempi passati l'esistenza dei ginecei (harem) in cui erano rinchiuse le donne, custodite nel caso di personalità di grande ricchezza, da guardiani evirati, nonché l'uso oggi in certi Stati islamici di vesti che coprono interamente il viso. Circa l'obbligo di portare il velo e coprire il volto non c'è alcun versetto che lo prescriva espressamente e nemmeno il v. 59 della sura "delle Fazioni alleate" lo afferma, anche se dice: Dì alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si coprano dei loro mantelli, che sono grandi veli che vanno dalla testa ai piedi. Circa il divieto di battere i piedi forse ci si riferisce alla non liceità del ballo per le donne musulmane. Nella sura "del Misericordioso" si parla del paradiso con le vergini a disposizione degli uomini ma è pur vero che lo stesso Testo sacro islamico afferma che esistono anche ghulām (schiavi, paggi). Insensati i commenti di certi esegeti secondo cui a popolare l'inferno sarebbero in maggioranza le donne, anche se questo attesta una certa qual attitudine mentale maschilista, fortemente presente nella cultura islamica. Se tutto ciò appare in qualche modo soggetto a interpretazione ( ijtihād ), sì da smentire chi affermi apoditticamente che il velo o la supremazia dell'uomo sulla donna siano previsti, nella loro accezione più avvilentemente maschilista, dal Corano, ben diversa è la situazione legata al diritto ereditario. Nella medesima sura "delle donne", al v. 11, è infatti detto in merito all'eredità ai figli Iddio vi raccomanda di lasciare al maschio la parte di due femmine e in molti altri punti del Corano si evidenzia uno stato d'inferiorità della donna rispetto all'uomo, anche se sono frequenti le raccomandazioni ai mariti di trattare con gentilezza e giustizia le loro mogli anche nei rapporti sessuali, in caso di poligamia. Ovviamente alle donne non è concesso avere più di un marito. Il principio della superiorità maschile è evidenziato anche nel verso 228 della sura 2: « “Le donne divorziate osservino un ritiro della durata di tre cicli, e non è loro permesso nascondere quello che Allah ha creato nei loro ventri, se credono in Allah e nell'Ultimo Giorno. E i loro sposi avranno priorità se, volendosi riconciliare, le riprenderanno durante questo periodo. Esse hanno diritti equivalenti ai loro doveri, in base alle buone consuetudini, ma gli uomini sono superiori. Allah è potente, è saggio”. » ( sura 2 verso 228 ) che Hamza Roberto Piccardo scrittore ed ex-segretario dell'UCOII nella versione del Corano da lui stesso curata per Newton & Compton commenta così: « "In un penoso sforzo di omologare l’Islàm alla cultura occidentale, alcuni commentatori modernisti hanno scritto che la superiorità riguarda solo il diritto dell’uomo al ripudio della moglie, facoltà che non gode di reciprocità. In realtà si tratta di qualcosa di molto più importante e fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio, individuale, famigliare, sociale. L’uomo e la donna sono due realtà complementari imprescindibili l’una dall’altra. Se così non fosse, Allah (gloria a Lui l’Altissimo) non avrebbe formato Eva dalla costola di Adamo, avrebbe fornito entrambi i generi di apparati riproduttivi completi ecc. ecc. La struttura fisica dell’uomo è capace di grandi sforzi e di exploit significativi, quella della donna, di fatica mediamente ripartita e grande sopportazione del dolore. La sensibilità maschile è tutta esteriore, proiettata in un ambito extrafamigliare che tende a diventare pubblico e politico. Quella femminile è interiore, attenta a sé stessa, tesa alla protezione di quanto acquisito o all’acquisizione di semplici mezzi di sostentamento e di sicurezza. La psicologia maschile è immaginifica, creativa, sperimentale, amante del rischio, desiderosa di novità, di affermazione dell’io, il più delle volte ampia e superficiale. Quella femminile è concreta, tradizionale, nemica dell’azzardo, desiderosa di certezze, di conservazione del “mio”, il più delle volte profonda e limitata. Nell’ambito famigliare il rispetto della Legge di Allah e della Sunna dell’Inviato fa sì che non si creino situazioni tali da esigere un’affermazione di potere che mortifichi la complementarietà dei coniugi. Ma oltre alla complementarietà c’è un problema di leadership, nella famiglia e nella società, che non significa predominio, oppressione o disconoscimento della prevalenza femminile in una quantità di settori e corcostanze. Allah (gloria a Lui l’Altissimo) affida questo ruolo dirigente al maschio. È un compito gravoso e difficile, di cui l’uomo farebbe spesso volentieri a meno, e di cui è tenuto a rispondere davanti ad Allah." » Chador a Tehran Donna con niqab negli Emirati Arabi Donna in Marocco Niqab Donna in Yemen La donna nell’Islam Diritti delle donne islamiche Il tema dei diritti delle donne nell’Islam è al centro di accesi dibattiti e di giudizi estremamente contrastanti. Da un lato, molti osservatori sostengono che non è facile parlare di "diritti" delle donne islamiche dal momento che la maggior parte di esse sono private delle più elementari norme civili : "Dalla minore libertà di spostamento alla minore libertà d'espressione, di parola, di saluto; minore possibilità di avanzare negli studi o nella carriera e di rivestire cariche o ruoli di responsabilità in ambito civile o religioso; quasi nessuna possibilità di partecipare alla vita politica o di venire eletta; scarsa possibilità di decidere il proprio destino o quello dei propri figli; sottomissione all'uomo, da cui può venire ripudiata (e non viceversa); convivenza con altre mogli scelte dall'uomo; obbligo, in molti paesi, di coprire il proprio corpo e spesso anche il viso; imposizione, in molti paesi, dell'infibulazione e dell'escissione; frequenti gravidanze non scelte liberamente, ma imposte dal marito. La condizione della donna nell'Islam varia molto da nazione a nazione. In quegli Stati ove le leggi del Corano sono applicate più rigidamente, le donne vivono in minori condizioni di libertà rispetto all'uomo, e spesso sono poste su un gradino inferiore. Esse però non sempre avvertono come ingiustizia la diversità della loro condizione, ricevuta come abitudine culturale. Ma anche se l'avvertissero come ingiustizia, non sempre sono in grado con le proprie forze di modificare la propria situazione". Dall’altro, la cultura islamica sostiene che le donne accedono a specifici diritti sociali: "La donna, come l'uomo, è un entità indipendente e quindi un soggetto umano pienamente responsabile delle sue scelte e delle sue azioni. Inoltre i doveri previsti dalla Shari'a, la legge islamica, sono gli stessi tra gli uomini e le donne. Inoltre la donna costituisce persona giuridica a sé, a prescindere dal marito, dal padre o da qualsiasi parente maschio tant'è vero che può scegliere di diventare musulmana a prescindere dalla fede dei suoi parenti più prossimi Ma ha anche la possibilità di scegliere autonomamente se accettare un matrimonio o meno, e se non vi è l'assenso della donna il matrimonio non può essere considerato valido. La donna ha diritto ad una sua propria proprietà privata, che non è tenuta a condividere con nessuno. La dote che l'uomo versa a la donna viene a far parte proprio di questa sua proprietà va investita nei suoi bisogni personali e non va investita nelle esigenze della famiglia, che devono essere sostenute dall'uomo, ma alle quali la donna può decidere spontaneamente, e in accordo con il marito, di parteciparvi anche con una sua attività lavorativa fuori dalle mura domestiche". La donna nel Corano Nel Corano, testo sacro della religione islamica, molteplici sono i riferimenti nei confronti della donna nei suoi aspetti spirituali, in quelli sociali e in quelli economici; secondo l’interpretazione che viene data da alcuni studiosi del testo sacro del Corano, la donna è considerata pari all’uomo, gode di molteplici diritti, deve essere rispettata ed amata. In una sorta di concezione "stilnovistica" è l’ancella – tramite, attraverso la quale è possibile "elevarsi" a Dio. " Chiunque - sia esso maschio o femmina - faccia delle opere buone, ed abbia fede, in verità a costui Noi daremo una nuova vita che sia buona e pura, ed elargiremo a tali individui la loro ricompensa in base alle loro azioni. (Corano 16:97, vedere anche 4:124). Il Corano indica chiaramente che il matrimonio è condivisione tra le due metà della società, e che i suoi obiettivi, oltre al perpetuarsi della vita umana, sono il benessere emotivo e l'armonia spirituale. Le sue basi sono l'amore e la misericordia. "E tra i Suoi segni vi è questo: Che Egli creò compagne per voi da tra di voi in cui possiate trovare riposo, pace mentale in esse, ed Egli ordinò tra voi amore e misericordia. Ecco, qui vi sono invero segni per le persone che riflettono." (Corano 30:21)." Maggiori approfondimenti sul testo del Corano e sul modo in cui è venuto e viene interpretato nei confronti della donna si possono trovare: La famiglia nell’Islam Il diritto di famiglia non segue i percorsi della legislazione civile ma affonda le radici nel diritto sacro dell’Islam, la Shari’a, riformulata in codici e leggi dai diversi stati Arabi durante l’ultimo secolo. Per il diritto musulmano il matrimonio è un contratto. L’Islam non conosce il concetto teologico di sacramento caratteristico del Cristianesimo. "Il matrimonio musulmano è essenzialmente un contratto consensuale. La nozione di sacramento è estranea all’islam, anche se ciò non significa che il matrimonio sia una realtà esclusivamente profana. Il matrimonio può essere sciolto per iniziativa di uno dei coniugi oppure consensualmente e l’analisi delle cause di scioglimento (ed anche di nullità) evidenza un’attenzione alla effettiva vitalità del rapporto coniugale in termini che presentano qualche punto di contatto con i principi sottesi alla disciplina del divorzio attualmente vigenti in molti Paesi occidentali". (Cfr. per maggiori approfondimenti: Ferrari Silvio, La pluralità dei matrimoni dal punto di vista religioso (cristianesimo, ebraismo, islam), in Donati Pierpaolo (a cura di), Identità e varietà dell’essere famiglia. Il fenomeno della "pluralizzazione", Settimo rapporto Cisf in Italia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001, pp. 309 – 349). "Come ogni altro contratto, il matrimonio è concluso con il consenso delle parti contrattanti. Le parti del contratto non coincidono però necessariamente con gli sposi. Occorre considerare che, secondo la sharî‘a, ogni persona può essere titolare del rapporto matrimoniale, anche il bambino appena nato. Se l’individuo, a causa dell’età immatura, non è in grado di decidere e di concludere il matrimonio, qualcuno lo farà per lui: il tutore matrimoniale (walî), che normalmente è il padre. Nei matrimoni precoci la volontà matrimoniale è del tutore, che quindi esercita il potere di costrizione matrimoniale (ijbâr). Tale potere cessa quando l’individuo ad esso sottoposto raggiunge la pubertà. Fa eccezione, secondo i malikiti, la donna vergine. La verginità, allo stesso modo della giovane età, implica poca conoscenza della vita, e giustifica il prolungarsi del potere di costrizione del tutore…Le parti possono apporre al contratto clausole e stipulazioni dirette a modificarne gli effetti tipici, purché non contrastanti con i principi irrinunciabili che lo reggono. Tale opinione, tradizionalmente riferibile alla sola scuola h³anbalita, è oggi recepita da tutti i legislatori. È quindi possibile che la moglie pretenda dal marito l’impegno di non trasferire il domicilio coniugale dalla città di origine, di permetterle di esercitare una professione o di partecipare alla vita pubblica, di non chiederle di seguirlo nei suoi viaggi. Il marito può inoltre promettere di non sposare un’altra donna (clausola di monogamia), o può dare alla donna mandato di autoripudiarsi. Alcuni suggeriscono che tramite l’apposizione di una clausola gli sposi possano decidere la comunione degli acquisti, in deroga al regime patrimoniale normale che è quello della perfetta separazione dei patrimoni dei coniugi. Nei matrimoni misti, accordi particolari circa l’educazione religiosa dei figli, in contrasto con il principio per cui i figli devono essere educati nella religione paterna, sono destinati a essere considerati nulli…La vita coniugale che trae vita dal matrimonio è segnata dalla preminenza dell’uomo: la donna deve mettersi a sua disposizione e prestargli obbedienza. Il corrispettivo di tale quotidiana sottomissione è il mantenimento che l’uomo versa alla moglie, indipendentemente dalla condizione di bisogno di lei: esso comprende il vitto, l’alloggio, il vestiario, le spese mediche e il servizio. L’insubordinazione ingiustificata della donna determina la sospensione del mantenimento. Il mantenimento è dovuto per tutto il tempo che la donna resta nella potestà dell’uomo, cioè fino alla fine del ritiro legale (‘idda) che segue lo scioglimento del matrimonio per morte, ripudio o divorzio. Il ritiro legale permette di accertare l’eventuale gravidanza della donna; esso dura generalmente tre mesi, dopo i quali il marito non ha più alcun obbligo nei confronti della moglie. Dopo lo scioglimento del matrimonio, la donna che non ha redditi propri resta a carico della famiglia di origine o dei figli. Famiglia e matrimonio nell’Islam Per quel che concerne l’educazione dei figli vige una netta distinzione dei ruoli educativi paterni e materni. E’ il padre in prima persona a prendere le decisioni relative all’educazione della prole: "Al padre spetta in esclusiva il potere di prendere le decisioni relative all’educazione del figlio, alla sua istruzione, all’avviamento al lavoro, al matrimonio e all’amministrazione dei suoi beni. Egli è il rappresentante legale del minore. Tutti questi sono aspetti particolari della wila\ya, la potestà paterna. In assenza del padre, il posto è preso da un agnato o dal tutore nominato nel testamento (was³i\). Se mancano sia gli agnati sia il tutore testamentario, il giudice provvede alla nomina di un rappresentante del minore (muqaddam). La madre deve invece custodire, sorvegliare e curare il figlio: ciò costituisce il contenuto della h³ad³a\na, o custodia del bambino. La custodia è considerata un compito squisitamente femminile: in caso di assenza o incapacità della madre, è una parente femmina, generalmente del lato materno, a sostituirla". Il messaggero dell’Islam, La famiglia nell’Islam, in "Donna e società", n.84, sett.-dic. 1987, pp. 134-138 Donne "senza volto"? Anche per quel che riguarda l’usanza di coprirsi il volto, tipica dei Paesi musulmani si riscontrano diversi punti di vista tra loro anche contraddittori. Da un lato il volto coperto è legato alla tradizione, un’antica usanza che viene mantenuta e che si è consolidata in numerosi paesi orientali; dall’altro è visto quale ulteriore limitazione alla liberà femminile, simbolo di repressione da parte di un mondo e di un tipo di cultura prettamente maschilista. Il recente film "Viaggio a Kandahar" opera del regista iraniano Mohsen Makhamlbaf, con maestria e poesia ha indagato questo aspetto della cultura e della società afgana attraverso il racconto del viaggio che la protagonista compie ritornando in Afghanistan, sua terra d’origine. Secondo la studiosa Leila Ahmedfu nell'era degli Abbasidi inizia, in Medio Oriente, la compravendita delle donne come merce e oggetti d'uso sessuale. Da allora le donne sono considerate esclusivamente come esseri sessuati. Qualsiasi cosa facciano sono in primo luogo e soprattutto corpi seducenti. Il volto nascosto Il velo, con tutte le sue forme diffuse nel mondo musulmano (haïk nella tradizione algerina, chador in quella iraniana, burqa in quella del subcontinente indiano) non è stato introdotto dall'islam, ma ripreso dalla tradizione bizantina, per diventare il simbolo della condizione economica del padrone di casa che poteva tenere moglie e figlie a casa, proteggendo l'onore della famiglia. È soltanto nel corso del 1900 che il velo diventa centrale nella questione della condizione femminile nell'islam: nel 1923 Huda Shaarawi, la prima femminista egiziana, in un atto audace, si toglie il velo nella stazione ferroviaria del Cairo; nel 1936 Reza Khan, padre dell'ultimo shah di Persia, vieta il velo nel tentativo di modernizzare ed occidentalizzare il paese; nel 1947 il sultano Muhammad V invita sua figlia a togliersi il velo in pubblico. Negli anni della guerra di liberazione in Algeria le donne rivendicano l'uso del velo come affermazione della loro identità araba e musulmana. I movimenti integralisti vedono nel velo una questione di importanza ideologica e di ordine pubblico, garantito soltanto se le donne sono nascoste, invisibili e intoccabili e di questo le donne afgane sono diventate un tragico emblema. Un problema aperto: mutilazioni genitali femminili Si tratta di una pratica tradizionale tipica di alcune popolazioni africane che impone di asportare (escissione) o mutilare (infibulazione) parte dei genitali delle bambine in tenera età. Il fenomeno non è recente, è un rito di antica tradizione per garantire alla donna "purezza" e "fedeltà", tuttavia i rischi e le conseguenze sono gravissimi: infezioni emorragiche anche mortali e danni permanenti che in gravidanza e nel parto possono avere pesanti conseguenze per il neonato. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono oltre 120 milioni le donne vittime di "mutilazioni genitali". I Paesi più interessati sono quelli del Corno d’Africa (Somalia, Eritrea, Gibuti ed Etiopia), ma anche in altri paesi come Egitto, Kenia, Burkina Faso, Senegal questi rituali sono ancora diffusi e anche fuori da questi territori questa pratica riguarda donne e bambine anche quando emigrano o nascono in altri paesi. Molteplici sono le segnalazioni di operatori sanitari, anche in Italia, che dichiarano di non sapere come comportarsi quando viene loro richiesto di praticare rescissioni o infibulazioni. In un’intervista (vedi: Mutilazioni femminili: difendere i diritti e la salute delle donne, in "Sir", n. 29, aprile 1999), Graziella Sacchetti, ginecologa dell’ospedale S. Paolo di Milano ha asserito: "Serve una maggiore collaborazione tra medici e mediatori culturali per un lavoro di informazione nelle comunità etniche di appartenenza delle donne, rispettandone le tradizioni. Va fatto capire che le mutilazioni femminili non sono previste dal Corano e che provocano gravi conseguenze fisiche e psicologiche". Voci di donne Alcune donne, rappresentanti della cultura islamica, attraverso testimonianze scritte, hanno dato voce alla loro realtà. La voce di un passato e di un presente raccontato in prima persona. Testimoni dirette della loro identità di donna e di persona in una società e in una cultura così diverse dalla nostra. Assia Djebar, algerina, è una scrittrice, storica e cineasta è rappresenta una tra le figure più complesse e ricche operanti sulla scena contemporanea internazionale. Attraverso la lettura dei suoi testi è possibile avere la testimonianza diretta della condizione femminile nel mondo mussulmano. Il suo è un viaggio nella storia , un viaggio che la conduce a imbattersi in una immagine, quella dell'Algeria che ora le appare come una donna, che non ha (avuto) diritto di parola, che non ha (avuto) accesso alla scrittura, perché a coprire il suo sapere e la sua lingua, ricacciate indietro e forzatamente dimenticate, i conquistatori hanno imposto la propria lingua, la propria cultura, la propria legge. L'identità del presente si è costruita in questo impasto inconsapevole, privo di prospettiva storica, che ha aderito alla pelle come una maschera troppo a lungo indossata e che ci si è ormai dimenticati di portare, finendo per scambiarla per il proprio volto. Come donna e femminista, Assia Djebar è mossa dal bisogno di scrivere la sua storia e la memoria delle sue antenate, dall'urgenza di portare alla luce la vita dentro le case, dietro le file di persiane chiuse che danno sulla strada, dentro ai reticoli dei cortili interni, nei bagni turchi, dietro il velo. Ha bisogno, per trovare un senso alla sua sofferenza e lenire il dolore provocato dalla consapevolezza, che non l'abbandona mai, dell'esistenza di schiere di donne imprigionate, di portare alla superficie della parola scritta quel non detto, le emozioni, la sofferenza, il rimosso della storia. Questo viaggio nella non-visibilità delle donne incontra alla fine la stessa immagine del viaggio nella storia, quella della donna/Algeria. Ragazze a Cairo Una letteratura al femminile: Assia Djebar Io, donna dell’Islam senza veli Un’altra "voce" di donna islamica è quella di Shashikumar Mehmooda appartenente al movimetno RAWA (Revolutinary Association of The Women of Afghanistan). Parla della misoginia patologica dei talebani e della lotta di RAWA per sopravvivere. "La vita delle donne sotto i regimi fondamentalisti come quello dei talebani è terribile. I fondamentalisti non accettano il fatto che le donne facciano parte della società. Ora l'Afghanistan è un paese spettrale e a causa dei continui combattimenti e dell'aumentato livello di criminalità, le donne del paese non sono molto di più che zombi. A loro non è permesso farsi curare, istruirsi o divertirsi. Vengono legate per strada a causa delle più strane ragioni e le loro mani vengono tagliate se rubano un pezzo di pane. "I talebani non accettano il fatto che le donne facciano parte della società" Donne afghane in lotta Alessandra Garusi (giornalista e scrittrice) riporta un’intervista fatta ad una donna afghana descrivendo le sensazioni e la particolare situazione di quel momento: Nascosta sotto ampissime vesti di colore blu, una donna esce dall'ombra e sussurra con un filo di voce, in un inglese fortemente accentato: "Sono un'educatrice. Avresti un lavoro per me, non a Kabul, in provincia?" L'odore rancido delle fogne all'aperto impregna l'aria di questo caldo pomeriggio e il latrare dei cani randagi in lontananza fa sì che la domanda della donna sia poco più che un bisbiglio. Un'altra donna fuori da una moschea guarda di sfuggita uno straniero, poi china di colpo la testa quasi a volersi seppellire all'interno del suo burqa1 e si fa avanti con la mano tesa: "Non sono una che fa l'elemosina, ma non ho scelta. Ho bisogno di cibo per la mia famiglia", dice una voce da dentro. La donna musulmana e l’Occidente Di Alessia Cappella di Patrizia Khadija dal Monte Questo titolo sembra dare per scontato che le due realtà, donna musulmana e Occidente, siano separate, invece questo incontro è già avvenuto, è nella realtà dei fatti, e io ne sono testimone nel mio stesso nome, che dice anche la mia prospettiva e cioè quella di credere nella possibilità di un connubio fecondo tra islam e Occidente, senza che un’istanza debba annientare l’altra. Questo incontro, questa esigenza di conciliazione tra mondi diversi, questo lasciarsi contaminare è dunque la mia situazione esistenziale e quotidiana. Certo non tutti sono chiamati a vivere così da vicino l’incontro tra le due realtà ma tutti, musulmani, musulmane e italiani, italiane non possono eluderlo completamente, perché la convivenza di culture diverse è ormai parte della realtà e quotidianità, la nuova normalità delle nostre città in questa fase storica. Se nei fatti l’incontro tra islam e l’Occidente è già consumato, la qualità di questo incontro è ancora aperta, da definire… Specie per l’Italia, in cui l’incontro con l’islam è piuttosto recente, legato al fenomeno dell’immigrazione che è cominciata da circa 20 anni fa nel nostro paese. “In pochi anni l’Italia si è trasformato da Paese di emigrazione in Paese di immigrazione. Secondo gli ultimi dati sono 3 milioni e 35mila gli stranieri regolarmente soggiornanti nel nostro Paese, quasi il doppio rispetto a cinque anni fa. (di cui un milione e duecentomila più o meno, di religione musulmana).L’incidenza sulla popolazione totale è cresciuta al 5,2% e si è allineata alla media europea, pur restando lontana dai picchi dell’8-9% che si registrano in Paesi come la Spagna e la Germania… E’ un cambiamento epocale, che pone problemi, ma offre anche importanti opportunità…” “Ben poche persone avrebbero potuto prevedere, prima della seconda guerra mondiale, ciò che sarebbe accaduto durante la seconda metà del XX secolo. Di fatto, abbiamo assistito ad un grande sconvolgimento in Europa ed il paesaggio sociale, politico, economico e culturale non è più lo stesso. La ricostruzione dell’Europa, distrutta da anni di lunghe guerre, necessitò un’ingente quantità di manodopera a buon mercato. Ciò portò all’arrivo delle prime ondate di migrazione nella “vecchia Europa”, in particolare in Gran Bretagna , Francia e poi in Germania (dopo il 1950) e in altri paesi. Queste ondate e quelle successive, andavano a costruire la maggior parte delle popolazioni immigrate nei paesi occidentali. Se è vero che c’era un gran numero di lavoratori italiani e spagnoli, la proporzione dei musulmani originari dell’Asia (nel caso della Gran Bretagna), del Nord Africa (in Francia) o della Turchia (in Germania) era altrettanto importante, e in meno di quindici anni (1945-1960) si può dire che gruppi di musulmani o di comunità musulmane avevano già fatto la loro comparsa, almeno nei tre paesi europei menzionati. Ciò che viene chiamato “l’immigrazione economica” non cessò fino al 1970, visto che il bisogno di lavoratori si attenuò e l’economia come il tessuto sociale europeo mostrarono i primi segni di scompiglio e di disfunzione strutturale. Tra il 1950 ed il 1970 il numero dei musulmani residenti nei paesi europei era diverse volte raddoppiato. Così non si trattava più di poche migliaia di musulmani: ormai i paesi di accoglienza dovevano fare i conti con diverse centinaia di migliaia di musulmani che vivevano all’interno delle loro frontiere. Furono fondate molte famiglie, nacquero molti bambini e la vecchia intenzione di “tornare a casa propria” aveva cominciato a dissiparsi o a diventare una speranza lontana. Durante gli 1970 e 1980 ci fu un’evoluzione, nella mentalità dei musulmani: era ormai chiaro che l’avvenire doveva essere pensato e costruito in Occidente. Coscienti della nuova situazione, e animati dalla volontà di progettare la loro identità, certi musulmani cominciarono ad organizzarsi costruendo moschee e fondando organizzazioni islamiche con lo scopo di fornire alle persone comuni luoghi dove pregare, riunirsi, imparare, partecipare a diverse attività. Negli anni novanta appare finalmente una situazione originale che difficilmente si poteva prevedere. Circa 15-17 milioni di musulmani vivevano nell’Europa occidentale e facevano parte della società- molti di loro avevano preso la nazionalità del paese europeo in cui vivono- e sono, di conseguenza, più visibili a causa dell’imperativo del culto???e della pratica islamica e delle diverse attività delle loro organizzazioni. A tutto ciò si aggiunge il fatto che si contano molti convertiti all’islam che, così come i musulmani delle nuove generazioni divenuti europei, sono a casa propria in Europa: sono cittadini europei; europei e musulmani. Si possono quindi mettere in evidenza almeno cinque dati di fatto obiettivi che riguardano la realtà dei musulmani in Europa: 1. presso un gran numero di giovani musulmani nati e che vivono in Europa esiste una rinascita della spiritualità e della pratica islamica, così come un sentimento d’appartenenza ad una comunità religiosa. 2. il numero dei musulmani europei autoctoni è in aumento, grazie alla conversione all’islam e più in generale, grazie all’arrivo delle nuove generazioni, seconda, terza, quarta e quinta, in diversi paesi. 3. il numero dei luoghi di culto si è moltiplicato di quattro o persino cinque volte, ma resta ancora insufficiente e certe moschee sono di fatto garage o magazzini. 4. il numero di organizzazioni islamiche in Europa è in costante crescita. Molti paesi hanno già registrato più di 1000 organizzazioni dichiarate ufficialmente (moschee o diversi istituti islamici). Questo fenomeno si osserva dovunque in Europa…” Dunque da poco in Italia, alle spalle nostre una società monoculturale, in cui valori e disvalori avevano un profilo ben definito e comunque il loro cambiamento avveniva sotto la spinta di forze interne, come è stato ad esempio per il ‘68. Da qui uno dei motivi che rendono ragione della difficoltà di accettare usi e costumi diversi da quelli propri, e particolarmente il modo di essere delle donne musulmane di cui vogliamo parlare stasera. Paure dalle due parti perché si è costretti a porsi in confronto con i valori degli altri e ripensare ai propri… E tante volte anche il linguaggio con cui uno dice le proprie ragioni diventa inadeguato: si vuol dire una cosa e gli altri ne capiscono un’altra. Si mischiano poi anche le paure della stasi economica, per non dire recessione che facilmente trova dei capri espiatori negli immigrati (e la religione musulmana è associata inevitabilmente all’immigrazione) e con la falsa idea che questi rubino il lavoro ai cittadini italiani… “In un Paese a bassa natalità come l’Italia l’immigrazione garantisce la necessaria vitalità demografica e contribuisce alla sostenibilità del sistema pensionistico… I lavoratori immigrati sono una risorsa fondamentale per le nostre imprese e le nostre famiglie… Tutte le analisi economiche concordano sul fatto che l’immigrazione produce sviluppo e non toglie lavoro ai residenti.• L’immigrazione di alto livello professionale, in particolare, è uno strumento essenziale di competitività… Quando poi parliamo di islam e musulmani si addensano ulteriori nubi: antiche e moderne, di cui dobbiamo prendere coscienza, affinché la nostra comprensione sia onesta. L’incontro tra islam e Occidente, salvo rare eccezioni non è mai stato facile e si è consumato nella storia, più in chiave negativa che positiva, perché accompagnato da fatti politico-religiosi che vedeva le due comunità come antagoniste… “Con l’inarrestabile espansione che, dopo la morte del Profeta, aveva portato l’islam a conquistare in poco tempo un’immensa area che si estendeva dall’Andalusia all’Asia Centrale, si formò un’entità politicoculturale che l’Europa cristiana non poteva che considerare antagonista o almeno concorrenziale. Una nuova religione monoteistica e universalista si andava diffondendo nei territori del Nordafrica e del Medio Oriente affiancando e progressivamente rimpiazzando il cristianesimo locale, con grave preoccupazione da parte degli uomini di chiesa. Fu inevitabile che essi usassero, nei confronti dell’islam, gli stessi strumenti che avevano impiegato nella lotta contro le eresie: Muhammad divenne così ai loro occhi una specie di scismatico e qualcuno lo dipinse addirittura come un vescovo ambizioso il quale, non avendo ottenuto la carica di Papa, avrebbe dato vita per ripicca a una propria religione di cui si pretendeva profeta. I numerosi punti in comune tra l’islam e la precedente rivelazione giudaico-cristiana erano tali da giustificare in parte questo errore di prospettiva, mentre molto meno accettabile è il fatto che tante energie fossero spese nel tentativo di contrastare e confutare una fede della quale ben poco si conosceva. Il Corano restò infatti a lungo inaccessibile ai suoi stessi detrattori fino al XII secolo quando, su iniziativa dell’abate Pietro di Cluny (1092-1156), se ne ebbe finalmente la prima versione latina ad opera del dotto arcidiacono di origine inglese Roberto di Chester, detto anche di Ketton o di Retz (da Ketene nel Rutlandshire), coadiuvato da Hermann di Dalmazia, noto pure come di Carinzia o lo Slavo, e probabilmente da un ebreo di Spagna convertito all’islam… Benché lacunosa e arbitrariamente riformulata nella sequenza, tale traduzione delle sure coraniche rappresenta comunque un primo tentativo di accedere direttamente al testo che stava alla base del fenomeno islamico, senza più accontentarsi delle notizie incerte e frammentarie che circolavano in proposito. Qualcosa di analogo fu del resto promosso dallo stesso abate anche riguardo al Talmud. Fin da allora gli spiriti più acuti avevano percepito alcuni aspetti del problema che lo rendevano complesso e non riconducibile facilmente alle consuete categorie impiegate nei confronti delle sette cristiane: negli stessi scritti di Pietro di Cluny è chiara la coscienza della peculiare e irriducibile originalità dell’Islam (”Questo errore non è uscito da noi. . . “) e la sua sostanziale diversità rispetto ai vari movimenti in dissenso con l’autorità ecclesiastica (”non si può chiamare eresia se non ciò che esce dalla Chiesa e va contro di essa”)… Persino fonti francescane del 1200 riportano gli stessi stereotipi: “Maometto fu lussurioso, omicida, goloso, ladrone, e predicò che il destino beato dell’uomo nell’Aldilà consisterebbe nel mangiare, godere i piaceri della carne e indossare vesti preziose in deliziosi giardini. Egli ammette inoltre la poligamia e il commercio carnale non solo con mogli, ma anche con ancelle e concubine. Egli volle infatti semplificare la religione espungendone quanto era arduo a credersi o difficile ad attuarsi, e rese lecito al contrario tutto ciò a cui gli uomini viziosi e soprattutto gli Arabi erano proclivi – la lussuria, la gola e gli altri vizi – mentre non parlò neppure né dell’umiltà, né della carità, né delle altre virtù. E poiché capiva che in queste cose la sua falsità avrebbe potuto essere dimostrata facilmente, comandò che non si credesse niente di contraddittorio rispetto alla sua legge e che tutti coloro che vi si opponessero fossero uccisi… Si dovrà attendere però la fine del XVII secolo per avere una nuova versione latina del Corano, condotta con rigore e precisione, benché ancora funzionale alla confutazione del Testo sacro dell’islam, la quale è però tenuta separata dalla traduzione. Quest’opera monumentale e di grande valore è dovuta a padre Ludovico Marracci (m. 1700) e ad essa si sono rifatti i maggiori traduttori del Corano in lingue europee moderne i quali attinsero nello stesso tempo ad altri studi prodotti dallo sviluppo delle scienze orientalistiche che rivoluzionarono l’intero campo delle conoscenze relative alle civiltà dell’Africa e dell’Asia. I profondi mutamenti culturali verificatisi dal XVII secolo in poi portarono infatti allo sviluppo di varie discipline in forma sempre più aderente a nuovi criteri metodologici e ciò contribuì al superamento di molti pregiudizi e falsità ancora in larga misura diffusi intorno alla figura del fondatore dell’islam, al contenuto del suo messaggio e ai costumi dei suoi seguaci, in uno spirito radicalmente nuovo. E’ bene ricordare che tale passaggio non avvenne subito in forma completa e definitiva e che la stessa età dei Lumi ha talvolta confermato le distorsioni correnti a proposito dell’islam, anche se con finalità diverse da quelle degli eresiografi e dei teologi dei secoli precedenti, come nel caso di Voltaire che attaccò l’islam col chiaro intento di parlar male più della Chiesa che non dei musulmani… Nel Settecento l’interesse per il mondo islamico, da parte tanto dei poteri politici quanto delle autorità ecclesiastiche, fu molto rilevante. Né poteva essere altrimenti: l’Impero Ottomano restava comunque una delle maggiori potenze mondiali (nel 1683 aveva minacciato direttamente per la seconda volta la stessa Vienna) e i sintomi della sua decadenza, piuttosto che sostituire gli antichi timori, andavano sommandosi a essi e contribuivano a mantenere viva l’attenzione e a incrementare le conoscenze… Ciò non toglie che, contemporaneamente, la diffusione a più ampio raggio di notizie relative a questo Oriente potesse talvolta ridursi a una sorta di “ricostruzione” funzionale agli interessi e alle attese dei suoi osservatori esterni, come avvenne per le Mille e una notte. La stessa età dei Lumi ha talvolta confermato le distorsioni correnti a proposito dell’islam, anche se con finalità diverse da quelle degli eresiografi e dei teologi dei secoli precedenti: “in alcuni scrittori del XVIII secolo, in verità, c’era una tendenza a utilizzare le vicende e la missione di Maometto come un modo indiretto per criticare il cristianesimo, almeno nella forma in cui le chiese lo avevano insegnato. Maometto poteva essere presentato come un esempio degli eccessi del fanatismo e dell’ambizione e i suoi seguaci come esempi dell’umana crudeltà; in alternativa, poteva essere visto come uno che predicava una religione più razionale, o più vicina ad una fede puramente naturale, di quanto non fosse il cristianesimo” “…ma è con il secolo XIX, lo sviluppo della storiografia e l’espansione coloniale europea che si approfondiscono le conoscenze della religione islamica. Con esse venne rivalutata quindi in senso storico- critico la figura del profeta Muhammad e tutta la cultura islamica… fino ad un certo punto, poiché i militari, i politici, i missionari e gli studiosi dell’Oriente europei hanno spesso collaborato e la sopravvalutazione della civiltà europea comparve insieme alla sottovalutazione di quella araba.” Il frutto più maturo di una nuova tendenza può essere rintracciato nella dichiarazione conciliare Nostra Aetate: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano sua madre, la vergine Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (n.3). E tuttavia, questo sforzo di maggiore obiettività verso l’islam è inficiato dal clima politico che si è venuto a creare dopo l’11 settembre e le successive guerre. Lo sguardo verso la religione musulmana è oggi compromesso dalla situazione politica…. Per capire ciò citerò soltanto il rapporto di Doudou Diene del 18 settembre 2007, in cui si parla di “legittimazione intellettuale dell’islamofobia”. Quindi oggi si è passati da un atteggiamento spontaneo di difesa verso il diverso a giustificare concettualmente la propria avversione. Nelle venti pagine del suo rapporto presentato a metà settembre, Doudou Diene,rapporteur special dell’Onu, denuncia questa pratica culturale non solo nei governanti, politici e intellettuali, ma anche nei giornalisti, decisivi per il ruolo che hanno nella stereotipizzazione dell’altro. Soprattutto se l’altro è musulmano. “i media spesso rafforzano queste tendenze con la ripetizione selettiva di notizie che collegano l’islam alla violenza e omettendo di riferire le attività positive e le buone pratiche sponsorizzate dalle comunità musulmane. Mettono l’accento su leader che legittimano la violenza politica attraverso citazioni selettive dell’islam. Stereotipizzano le donne musulmane come di fondo discriminate, senza alcun riguardo per la diversità della loro situazione nei paesi musulmani”. Come denunciato da Doudou Diene, la figura della donna musulmana rappresenta uno dei luoghi preferiti per legittimare un atteggiamento anti-islamico. Spesso si contrappone il modello « universale » della donna occidentale liberata a quello della donna musulmana oppressa e quindi da liberare… Se nel secolo passato, specie nel periodo colonialista prevaleva una raffigurazione della donna musulmana, folkloristica, sensuale e intrigante… oggi si insiste continuamente sull’immagine di una donna maltrattata, privata di ogni diritto all’interno della propria società e della propria famiglia, schiava in tutto, anche nel modo di vestire… In realtà non si può parlare in senso univoco della condizione della donna musulmana sul terreno pratico, poiché esistono diversi paesi musulmani con diverse legislazioni, e spesso le situazioni discriminatorie sono collegabili più a variabili economiche, politiche, che non religiose. Molti dei problemi delle donne musulmane sono simili a quelli di altre donne in paesi in cui “…laddove vigono precise situazioni che accomunano questi paesi a tutti gli altri che si trovano nella cosiddetta periferia del mondo. Mancanza di risorse, instabilità politica, problemi di sviluppo, interferenze e diktat posti sul piano delle riforme “strutturali” dalla banca mondiale e dal fondo monetario internazionale per accedervi; tutto ciò si traduce in una sottrazione di fondi ai settori del sociale, dell’assistenza, della sanità e dell’educazione. Penalizzazioni gravi che colpiscono in primo luogo e soprattutto la fascia femminile della popolazione, la vincolano prima ancora dei retaggi culturali, poiché la costringono a concentrarsi sul ruolo riproduttivo, sulle cure filiali e domestiche. Ricordiamo che questi ultimi rappresentano fra l’altro ruoli e funzioni cruciali per la sopravvivenza di una società, e che qualora non sorretti da una forte politica sociale, ricadono principalmente sulla donna, soprattutto in un sistema organizzato in termini tradizionali, fondato su un’economia estremamente povera, caratterizzato da elevato e diffuso analfabetismo.” (Abdel Jabbar) All’interno delle comunità islamiche, ci sono almeno tre atteggiamenti diversi sulla questione femminile: uno che sottintende che il vero femminismo nel mondo musulmano non potrà affermarsi se non con l’accettazione del modello della donna occidentale. Questo è forse quello più visibile ed ascoltato, anche se rappresenta solo l’ 1% della popolazione….. Un altro di tipo conservatore, che si struttura come reazione alla paura dell’occidentalizzazione veicolata dal discorso femminista e ha alla base una lettura del Corano e della Sunna molto letteralista… E il terzo che si situa nell’ambito del riformismo legalitario, che continua a ritenere fondante il riferimento religioso, ma esercita la sua critica anche verso l’interno, ed è tesa a recuperare il modello genuino di femminilità della Rivelazione, sfrondandolo dalle aggiunte culturali, per incarnarlo nei lineamenti del tempo attuale. Si tratta del movimento femminista islamico. Il termine femminismo islamico, comincia ad apparire in opere di scrittrici musulmane a partire dalla metà anni novanta… “l’osservazione sul terreno, negli Stati-Uniti come in Europa, come pure nel mondo musulmano, dall’Africa all’Asia, passando per il Medio Oriente e l’Iran, mostra che un movimento è in cammino, il quale esprime chiaramente il rinnovamento del posto della donna nelle società islamiche e una liberazione, che rivendica la sua totale fedeltà ai principi dell’islam.” La donna è per almeno due importanti motivi luogo privilegiato di riflessione e di incontro tra islam e occidente. Il primo, nel senso che esiste una vicinanza naturale tra donne, che si muovono, lavorano, agiscono su terreni comuni, perché comuni sono gli spazi frequentati (scuole, mercati, ecc.) e comuni sono i sentimenti che animano le esperienze fondamentali dell’essere femminile. Ci sono esperienze fondamentali che uniscono le donne sotto ogni cielo: “Essere donna rimanda al corpo. A quello degli altri, anzitutto. E’ la donna che pensa alla necessità del corpo dei membri della famiglia: nutre, pulisce, veste i bambini; accudisce i vecchi; cura i malati. Tutte le necessità fisiche sono legate tacitamente alla donna, in particolare all’interno del nucleo familiare.” Il secondo motivo nel senso che l’essere donna obbliga la comunità islamica ad un ripensamento e purificazione dalle tradizioni culturali, perché la coscienza e i ruoli attuali della donna in Occidente sono uno dei luoghi di più forte cambiamento rispetto alle società tradizionali. Il riconoscere qual è il principio religioso e quale l’influenza culturale è uno dei temi più dibattuti all’interno dell’islam attuale e soprattutto uno dei compiti principali che si propone l’esegesi islamica femminile. Femminismo occidentale e femminismo islamico A differenza del mondo occidentale in cui il femminismo si sviluppa al di fuori dell’ambito religioso, spesso in opposizione ai suoi dettami, quello islamico non sente il bisogni di staccarsi dalla religione, anzi si propone di ritornare al modello di donna della rivelazione, attraverso una rilettura dei testi che mette in evidenza l’idea dell’uguaglianza, più volta affermata nel Corano tra essere maschile e femminile, e dimostrando come le culture successive hanno spesso esagerato la portata di certi testi e ignorato altri. Il Corano infatti dice chiaramente che se esiste una superiorità tra esseri umani, questa è solo sulla base della fede: “Oh umani, vi abbiamo creato da un’unica coppia di uomo e donna, abbiamo fatto di voi poi tribù e nazioni in modo che possiate conoscervi l’un l’altro [non disprezzarvi l'un l'altro]. Il più grande fra di voi agli occhi di Dio è colui che è più giusto [colui che maggiormente pratica taqwa, devozione”. Mentre quindi nel femminismo occidentale si tende a vedere la storia passata come un qualcosa da superare, di negativo per la donna, le donne islamiche riconoscono nella rivelazione islamica, correttamente intesa le radici dei loro diritti. Che queste riflessioni, tra cui la necessità di mettere in luce prima di tutto il discorso dell’uguaglianza, siano state recepite dalla comunità musulmana lo possiamo vedere ad esempio nella carta dei musulmani d’Europa presentata pochi giorni a Bruxelles, che recita così a proposito dell’uguaglianza: “L’islam invita alla perfetta uguaglianza tra uomo e donna in quanto esseri umani, nel reciproco rispetto. Considera che la vita equilibrata si basa sulla complementarità e l’armonia tra l’uomo e la donna. Rinnega ogni idea o comportamento che sottovaluta la donna o che la priva dei suoi diritti, anche se purtroppo abitudini errate sono presenti in certi ambienti musulmani. L’islam rifiuta ogni forma di sfruttamento della donna o che sia trattata come oggetto di piacere.” Accanto al tema dell’uguaglianza compare spesso nella riflessione islamica il concetto di complementarietà. Se l’occidente può dare all’islam una spinta a ritrovare quel senso profondo di uguaglianza fondamentale dell’uomo e della donna presente nei testi, la comunità islamica può offrire all’Occidente il recupero della nozione di complementarietà…. Se infatti il discorso sull’uguaglianza, è forte e chiaro in Occidente, appare molto più debole il concetto di complementarietà e quindi si tende ad interpretare ogni differenza tra uomo e donna come discriminazione. Una delle difficoltà del pensiero occidentale nel concepire la diversità uomo- donna in senso positivo è collegato al rifiuto del concetto di natura… “la ‘natura della donna’, identificata con la sua biologia, è invocata per difendere e giustificare le disuguaglianze di status tra uomo e donna. Ci si riferisce ad una ‘natura ‘ predeterminata e fissata una volta per tutte, che la donna tradirebbe ogni qualvolta si discosta da modelli tradizionali di essere madre, moglie, figlia e sorella… Oggi però la moda ideologica di spiegare le differenze – e ancor più i preconcetti su di esse – mediante il comodo sistema di interpretazione fornito dalla ‘natura femminile’, ha ceduto alla moda di riferire tutto alla società, o alla cultura. Questa riduzione è una visione semplicistica delle cose: non tutto è genetico, non tutto è ormonale, non tutto è ambientale..” «Oggi si tende a sostenere che l’intelligenza non ha sesso, come i mestieri. Io penso che ogni differenza sia un arricchimento. In realtà oggi non si promuove l’uguaglianza, ma un modello, quello maschile (cui anche le donne dovrebbero conformarsi), fondato sul successo sociale. L’idea di una “ neutralità” naturale è falsa e generatrice di conflitti e ineguaglianze. Il campo in cui l’uomo e la donna realizzano meglio la loro differenza, il tesoro di senso contenuti nella bipolarità sessuale, resta ancor oggi la paternità e la maternità». Nell’islam assieme all’idea dell’uguaglianza troviamo anche quello del valore della diversità tra femminile e maschile, della diversità come elemento essenziale alla completezza, e quindi di un equilibrio fra esseri differenti che si completano a vicenda, grazie ad un’idea forte di natura che è collegata al concetto di creazione. L’essere coppia non è casuale, è il modo profondo in cui Dio crea la vita: “Di ogni cosa noi abbiamo creato uno zawj, una coppia” ( LI,49). Dio ha voluto che l’unità si compia attraverso la diversità: “Egli Colui che ha creato i due generi, il maschio e la femmina.” ( Corano LIII/45) . La distinzione tra maschile e femminile non è dunque un accidente biologico, che si deve tentare di oscurare il più possibile, ma si tratta in realtà di un elemento profondo e sano della natura umana… Uguali e complementari, nell’origine: «O gente! Temete il vostro Signore che vi creò da un’unica nafs. Ne creò il (la) suo (sua) zawj e trasse da quei due, uomini e donne in gran numero…» (IV,1) e anche nell’amore: “Fa parte dei Suoi segni l’aver creato da voi, per voi , delle zawjat (compagne) affinché riposiate(sakina) presso di loro, e ha stabilito tra voi amore (wadda) e (rahma) tenerezza…” (XXX,21) …esse sono come una veste per voi e voi siete una veste per loro… (1I,87) Proprio l’amore, le relazioni di coppia sono l’ambito in cui possiamo meglio capire come una diversità sia sana, necessaria e complementare… Necessaria per il proseguire della vita, per l’assunzione dell’identità sessuale… Un’ ulteriore ricchezza che l’Occidente può offrire alla donna musulmana è la molteplicità dei ruoli che essa può rivestire, realizzando così in essa altre caratteristiche della sua persona che venivano sacrificati in società di tipo tradizionale. Il dispiegarsi dell’essere femminile non si limita all’ambito familiare, tuttavia non possiamo non ricordare ancora una volta come esso, per la donna musulmana, (e anche per l’uomo) rimanga una priorità: la famiglia è il luogo in cui i rapporti sociali si fanno più intensi in assoluto e in essa germina la nuova vita. Vita che ha bisogno di tempo e di cure assidue per crescere bene, relazioni fondamentali come quelle con i genitori e con i figli che non possono essere trascurate. Il problema del rispetto degli anziani e della cura dei bambini, della disponibilità per gli ammalati che hanno sempre visto le donne in prima linea, difficilmente troveranno soluzioni adeguate senza di loro. La coppia certo può escogitare nuove soluzioni di partecipazione ai compiti interni ad essa, oggi la divisione dei ruoli va vissuta in modo più elastico, ma rimane il problema della cura della vita che esige molte energie e molta dedizione e che nella donna trova il miglior interprete possibile. Il tempo che viviamo, sfida la nostra capacità di mantenere la priorità e l’attenzione verso la famiglia e nello stesso tempo inventare equilibri nuovi perché sia uomini che donne possano esprimersi nella società più ampia e portare il loro contributo. La femminilità ha una sua visione particolare delle cose, meno competitiva e aggressiva, più conciliante e i tempi permettono che essa possa influire anche in quegli ambiti che tradizionalmente erano riservati agli uomini. In ultimo voglio ricordare come donna musulmana, significhi donna che si abbandona a Dio, donna credente, ed è un ricordo così della Trascendenza, di Chi è Colui che è il centro del mondo: “ In verità i musulmani e le musulmane, i credenti e le credenti, i devoti e le devote, i leali e le leali, i perseveranti e le perseveranti, i timorati e le timorate, quelli che fanno l’elemosina e quelle che fanno l’elemosina, i digiunatori e le digiunatrici, i casti e le caste, quelli che spesso ricordano Allah e quelle che spesso ricordano Allah sono coloro per i quali Allah ha disposto perdono ed enorme ricompensa.” (XXXIII,35). Di questo ricordo ha bisogno l’Occidente che è andato progressivamente riducendo il posto della religione ed il ricordo della divinità, a favore di un’immagine sproporzionata dell’uomo e della sua coscienza… L’islam possiede la capacità intrinseca di distinguere senza separare, c’è in esso un equilibrio tra vita terrena e vita eterna, e rappresenta la possibilità di superamento di quella frattura profonda nella cultura occidentale che è stata definita con “la morte di Dio”. Uomini e donne debbono però sforzarsi di testimoniare la loro fede nell’Altissimo, anche con la giustezza delle loro relazioni, condannando la violenza e la strumentalizzazione della donna. Oggi molta della credibilità del messaggio islamico si gioca proprio sulla capacità di coloro che si dicono credenti di rinnovare e incarnare in categorie proprie, ma consone all’oggi, la realtà e la posizione della donna, guidati dalle parole del Profeta, pace e benedizione su di lui, che ha tracciato il cammino dicendo: “I migliori tra voi sono coloro che trattano meglio le loro spose, ed io sono (in questo) il migliore tra voi.” LA DONNA AFRICANA Di Veronica Giliberto DONNE DIMENTICATE.LE MILLE MANI INVISIBILI DELL’AFRICA. CONDIZIONE DELLA DONNA E LAVORO DELLA DONNA . Il tema di cui ci occupiamo riguarda le trasformazioni in atto nella condizione femminile e nella vita famigliare nel contesto della realta’ africana. E’un discorso di portata generale perche’ la “questione donna” e’ all’ordine del giorno in tutto il continente africano visto che la figura femminile e’coinvolta in tutti i piu’cruciali problemi che travagliano questa terra. Dire “famiglia”in Africa significa parlare di donna,perche ’su di essa si addensano le maggiori responsabilita’ della conduzione famigliare sotto molti e diversi aspetti. Condizione della donna e lavoro della donna:in questo caso le due cose non possono esser prese separatamente;se in occidente “lavoro”indica emancipazione,realizzazione personale e autonomia della donna,in Africa la questione diventata vitale,parlare di lavoro infatti porta il discorso sulla vita stessa delle donne,il loro valore, e la loro sopravvivenza. A questo proposito infatti si e’ parlato si mani invisibili che silenziosamente ,da sempre, costruiscono l’Africa. Donna lavoratrice dunque,sempre e comunque; non esiste in Africa donna che non lavori,infatti viene definita donna-nutrice e donnaproduttrice. La donna africana e’ dunque la responsabile della casa, della famiglia e dell’educazione dei figli e non solo;ad esempio ha il compito pesantissimo di andare a procurare la legna da ardere,prendere l acqua dal pozzo(solitamente lontano diversi chilometri dal vilaggio.Le donne che vivono nelle zone rurali iniziano la loro giornata lavorativa all alba e non termina fino a quando ogni membro della famiglia e’ stato nutrito e curato. Nei paesi africani le donne rappresentano circa 80%della forza lavoro,soprattutto nel settore della produzione alimentare,ma non bisogna dimenticare che nonostante il loro impegno esse non possono ne’ possedere ne’controllare le terre che lavorano(salvo eccezioni in qualche paese). La situazione nelle citta’ e’ ancor piu peggiore,causata anche dalla mancanza di formazione che porta ad aumentare il lavoro nero e di conseguenza la crisi e la miseria,per non parlare poi della spudorata concorrenza degli uomini nei confronti delle piccole donne commercianti,ma in diversi casi hanno dimostrato grande coraggio e grande capacita’di organizzazione,lo dimostrarono trent’anni fa le “nanas-benz”un gruppo di donne ,in togo,hanno preso accordi in esclusiva con le grandi imprese europee di import-export per la vendita di accessori nel settore tessile per poi svilupparsi in altri settori(hanno iniziato la loro attivita’ commerciando parei). Anche nel settore dell’agricoltura le donne sono molto presenti;in Senegal ad esempio alcune donne commercianti trattano direttamente con i produttori alimentari o addirittura possiedono loro delle terre;in Burkina creano campi collettivi;a Lome’i grandi commercianti di pesce sono donne e possiedono due terzi dei pescherecci dei porti. L ‘unione fa la forza,e’ vero. A Ibadan le donne si sono unite in un’associazione,la Cowad (Committee on women and development,Comitato sulle donne e sullo sviluppo) per raggruppare i loro acquisti e ottenere prezzi vantaggiosi. A poco a poco la resistenza si organizza anche se in modo informale,avanzando molto lentamente. La strada da percorrere e’ molto lunga e difficile,e gli ostacoli numerosi. Infatti sono ancora tantissime le donne soffocate e rese quasi invisibili da una societa’di impronta maschile. La donna che viene data in sposa ad un uomo deve assicurare: LAVORO FERTILITA’ Anche se con le dure condizioni di vita e lo stress fisico a cui sono sottoposte le donne di questi paesi,quest ‘ultima dote viene messa a rischio. Le donne che abitano le campagne(ma non solo) sono date in sposa in eta’giovanissima e cominciano a fare figli quando sono poco piu’ che delle bambine che solitamente lavorano fino a due settimane prima del parto;la salute delle donne quindi e’ minacciata dal duro lavoro in tenera eta’,dal duro lavoro in periodo di gravidanza,e dalle pratiche dell’infibulazione e dell’escissione,tutto cio’porta ad un tasso altissimo di mortalita’.Una cifra fornita dall’Unicef 2007 ci dice che oltre 160.000 di donne africane muoiono durante la gravidanza ,nel parto,o nel periodo post-parto a causa di infezioni( nell’Africa subsahariana 1 donna su 16 muore durante la gravidanza o durante il parto). E’ evidente che le cause di questo dramma sono da attribuirsi sia alla scadente copertura sanitaria sia alle loro tradizioni e religioni che mettono la donna in secondo piano rispetto alla sua funzione di genitrice. Diritti umani violati. Diritti umani,pace e sicurezza sono obiettivi universali.La legislazione internazionale vieta ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e delle bambine. I principi sanciti dalla Dichiarazione Universale sono stati ripresi da tutta una articolata documentazione internazionale(convenzione,carte,dichiarazioni etc.) Secondo molti attivisti,impegnati in programmi internazionali e regionali ritengono che non basti una migliore legislazione per porre fine a questo fenomeno poiche’ la cultura rappresenta un ostacolo enorme che fa si che certe usanze ,tradizioni si mantengano ancora oggi. E’ molto diffusa nei paesi africani l’idea che la donna sia “proprieta’” dell’uomo ,quest’idea rappresenta infatti una norma culturale,ma non e’ l’unica. Mutilazione genitale femminile Violenze sessuali Matrimonio tra minori Delitti d’onore Disuguaglianza di genere Eredita’ sulla moglie ASPETTO SOCIOLOGICO-ANTROPOLOGICO.Queste pratiche sono considerate illegali,ma persistono perche sono profondamente radicate nella cultura di questi popoli,tanto da poter dire che le tradizioni culturali e le credenze hanno piu’ potere delle leggi.Il potere culturale opera attraverso la coercizione che puo’ essere visibile,nascosta all’interno delle strutture di governo e delle leggi oppure radicata nella percezione che gli individui hanno di se’. • Si verifica spesso che in alcune societa’ si attribuisca un forte significato alle mete culturali verso cui gli individui,a tal punto socializzati ai fini culturali condivisi dalla struttura sociale di appartenenza,si dedicano con un forte e intenso investimento emotivo a discapito del rispetto delle norme istituzionali sancite dallo stesso sistema sociale e culturale dominante(Iadanza,Consumi edonistici,pag.18) MGF (MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI) Questa cartina dell’Africa ci indica le zone in cui ancora oggi,vengono effettuate le pratiche MGF La mutilazione rituale e l’alterazione dei genitali delle bambine e delle donne e’ una tradizione antica;l’origine di questa pratica e’ pero’ sconosciuta. La MGF insieme all’ escissione e’ considerata una vera convenzione sociale con radici profonde,conferisce rispetto e prestigio alle bambine o ragazze che la subiscono e alle loro famiglie;non aver effettuato l’operazione e’ motivo di disonore e vergogna. Chi effettua le mutilazioni genitali femminili Le MGF sono una pratica diffusa principalmente in alcuni Paesi dell’Africa. Nei villaggi dei Paesi interessati vi sono donne, generalmente anziane e autorevoli, che con rudimentali strumenti, in condizioni igieniche precarie, con anestetici e disinfettanti naturali, intervengono sulle bambine, traendo da questa attività un reddito. Crescente è la tendenza alla medicalizzazione di questo rito, e quindi alla pratica di MGF all’interno di strutture sanitarie ad opera di operatori sanitari. Si fa notare che, essendo una pratica che menoma la funzionalità di parti vitali di una persona, prevalentemente di minore età, senza alcuna finalità terapeutica, è proibita dalle leggi della maggior parte dei Paesi occidentali e africani, oltre che dalla comunità scientifica. La escissione/mutilazione genitale femminile (E/MGF) ha una diffusione molto maggiore di quanto si sia pensato finora. Nel solo continente africano (Africa subsahariana, Egitto e Sudan), tre milioni di bambine e di donne all'anno subiscono una escissione/mutilazione genitale femminile. La E/MGF è un problema di portata mondiale. E' praticata non solo in Africa e nel Medio Oriente, ma anche presso le comunità di immigrati in tutti i paesi del mondo. L'Europa occidentale, l'America settentrionale (Canada e Stati Uniti), e l'Oceania (Australia e Nuova Zelanda), ospitano donne e bambine che sono state sottoposte alla E/MGF ed altre che corrono il rischio di subirla. La E/MGF è una convenzione sociale con radici profonde: conferisce prestigio e rispetto sociale alle bambine che la subiscono e alle loro famiglie. Non avere effettuato l'operazione, invece, è motivo di vergogna ed esclusione. Le aspettative sociali che circondano la E/MGF costituiscono un enorme ostacolo per quelle famiglie che altrimenti potrebbero volervi rinunciare. Nonostante il fatto che spesso siano addotti motivi religiosi per giustificare l'usanza, la E/MGF non è prescritta da alcuna religione. La E/MGF è un problema che riguarda i diritti umani. Viola i diritti umani fondamentali delle bambine e delle donne, privandole dell'integrità mentale e fisica, del diritto alla libertà dalla violenza e dalla discriminazione e, in casi estremi, anche della vita stessa. La pratica è anche una violazione del diritto del bambino allo sviluppo, alla protezione e alla partecipazione. Modificare le mentalità, le credenze e i comportamenti Capire la natura di convenzione sociale della E/MGF, che genera una forte pressione sociale sulle famiglie spingendole a sottoporre le figlie all'intervento, consente di capire perché famiglie che si rendono conto dei danni causati dalla pratica siano favorevoli alla sua continuazione. Essendo una condizione del prestigio sociale della bambina e delle sue possibilità di trovare un marito, se una famiglia da sola decide di rinunciare all'usanza, la figlia sarà stigmatizzata dalla sua comunità e non potrà sposarsi. La scelta di rinunciare alla pratica deve quindi essere collettiva. Se un numero sufficiente di singole persone è disposto a rinunciare alla E/MGF, le altre famiglie non hanno incentivi a proseguirla e vi rinunciano spontaneamente e rapidamente. Questa teoria sulle convenzioni sociali, che si è dimostrata valida nel caso di varie comunità, consente di capire come i comportamenti possano modificarsi. Il dialogo nella comunità è un aspetto essenziale per l'abolizione della E/MGF. La creazione di adeguati spazi e occasioni di dibattito pubblico e privo di giudizi sul fenomeno consente anche a coloro che di solito non hanno modo di far sentire la propria voce di esprimere la propria opinione. Nel caso della E/MGF, spesso si tratta delle donne e delle bambine, ma anche di uomini che non sempre hanno modo di parlare della questione. Le strategie più promettenti per aiutare le comunità ad abolire la E/MGF sono quelle che integrano la teoria accademica con le concrete esperienze sul terreno. Sono stati identificati sei elementi necessari ad avviare un processo di trasformazione sociale e incoraggiare un rapido e massiccio abbandono della pratica: 1)E' necessario che le comunità siano consapevoli dei danni causati dalla pratica. 2)Le comunità i cui membri si sposano fra di loro o hanno stretti rapporti in altro modo devono rinunciare collettivamente alla pratica. Questo consente loro di non trovarsi davanti alla difficile scelta di andare contro una tradizione consolidata. 3)E' necessario che le comunità dichiarino pubblicamente il loro impegno a rinunciare alla E/MGF. 4)E' necessario che le comunità coinvolgano i villaggi vicini, in modo che la loro decisione di rinunciare alla E/MGF possa essere diffusa e mantenuta. 5)Bisogna evitare che le comunità si sentano costrette o giudicate. Esse devono prendere coscienza dei diritti umani e rendersi conto di come questi diritti si applichino nella vita quotidiana. 6)Le comunità hanno bisogno di un ambiente di sostegno, con misure legislative e politiche, sedi di discussione pubblica, sostegno da parte dei capi religiosi e di altri creatori di opinione, e messaggi da parte dei mezzi di informazione che sappiano rispettare la loro sensibilità culturale Politiche e leggi nazionali In Africa e in Medio Oriente, molti paesi si sono dotati di leggi che mettono al bando la E/MGF. Leggi contro la E/MGF sono state adottate anche in altri paesi, come l'Australia, il Canada, la Nuova Zelanda, gli Stati Uniti e in vari paesi dell'Europa occidentale, dove la questione della E/MGF si è manifestata in seguito alla presenza di comunità di immigrati. Il personale delle strutture sanitarie ha un ruolo importante nella gestione delle complicazioni prodotte dalla E/MGF e nel promuoverne l'abbandono. In Svezia, gli operatori sanitari svolgono presso i genitori un'opera di consulenza sui rischi della E/MGF per la salute, informandoli del fatto che la pratica è proibita dalla legge svedese. In molti paesi, come il Canada, la Danimarca, la Germania, l'Italia, la Svizzera e il Regno Unito, le associazioni dei medici hanno proibito qualsiasi coinvolgimento dei dottori nella pratica della E/MGF, con il motivo che costituisce una violazione del loro codice deontologico. Gli insegnanti, che operino in un contesto di istruzione formale oppure no, possono ricevere sostegno per imparare a riconoscere le bambine a rischio e per trattare i problemi relativi alla E/MGF nelle loro lezioni di scienze, biologia e igiene, come anche nelle lezioni sull'educazione personale, sociale, di genere oppure religiosa. Fornire ai mezzi di comunicazione di massa informazioni accurate ed aggiornate sul fenomeno e migliorare la capacità dei giornalisti di diffondere queste informazioni può essere fondamentale per "rompere la cortina di silenzio" intorno alla E/MGF e portare la questione alla pubblica attenzione. Le tendenze di sviluppo del fenomeno La E/MGF è fisicamente e psicologicamente dannosa e, in alcuni casi, letale. Le sue conseguenze immediate e a lungo termine sulla salute variano a seconda del tipo e dell'estensione dell'intervento praticato, dell'abilità di chi lo esegue, della pulizia degli strumenti e dell'ambiente, e delle condizioni fisiche della ragazza o donna che lo subisce. Per fortuna le statistiche dimostrano che: In alcuni paesi, i tassi di prevalenza sembrano essere in declino (Benin, Burkina Faso, Repubblica Centroafricana, Eritrea, Etiopia, Kenya, Nigeria, Tanzania e Yemen). In altri paesi (Costa d'Avorio, Egitto, Guinea, Mali, Mauritania, Niger e Sudan) i tassi si sono invece mantenuti relativamente stabili negli ultimi decenni. In alcuni paesi le bambine subiscono l'escissione in età più precoce. L'età mediana al momento dell'intervento è diminuita sensibilmente in Burkina Faso, Costa d'Avorio, Egitto, Kenya e Mali. Ciò può essere dovuto al tentativo dei genitori di nascondere la pratica alle autorità dello Stato e/o al desiderio di ridurre al minimo la resistenza da parte delle stesse ragazze. In alcuni paesi, tra i quali Egitto, Guinea e Mali, è in aumento la "medicalizzazione" della E/MGF, che è effettuata da personale medico in strutture sanitarie invece che da praticanti tradizionali. L'importanza degli aspetti cerimoniali associati alla E/MGF è in declino in molte comunità. Questa tendenza può anche essere in parte collegata all'esistenza di leggi che la proibiscono scoraggiando le celebrazioni pubbliche dell'evento. VIOLENZE SESSUALI La violenza alle donne, in qualunque forma si presenti, ma in particolare quando si tratta di violenza intrafamiliare, è uno dei fenomeni sociali più nascosti, è considerato come punta dell'iceberg dell'esercizio di potere e controllo dell'uomo sulla donna e si mostra in diverse forme come violenza fisica, psicologica e sessuale, fuori e dentro la famiglia. La violenza di genere è la violenza perpetrata contro donne e minori, basata sul genere, ed è ritenuta una violazione dei diritti umani. Parlare di violenza di genere in relazione alla diffusa violenza su donne e minori significa mettere in luce la dimensione “sessuata” del fenomeno in quanto manifestazione di un rapporto tra uomini e donne storicamente diseguali che ha condotto gli uomini a prevaricare e discriminare le donne e quindi come “ uno dei meccanismi sociali decisivi che costringono le donne a una posizione subordinata agli uomini”. La violenza sessuale nei conflitti. La violenza sessuale nell’ambito di un conflitto è ritenuta da tempo un danno collaterale degli scontri, praticato e accettato dai diversi attori coinvolti.In una società destabilizzata dove la violenza è diffusa, si crea un ambiente in cui gli stupri dilagano. L’aumento di sfollati e di nuclei familiari guidati da donne, fenomeno frequente in una situazione di conflitto, espone i civili a varie forme di violenza sessuale. A volte, la violenza è consumata da coloro i quali detengono un mandato per proteggere la popolazione. La violenza sessuale può anche essere usata come arma di guerra, parte di una strategia militare tesa a umiliare il nemico e a distruggere le comunità. Due stupri di massa da ricordare -Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite(UN), durante il genocidio commesso in Ruanda nel 1994, furono stuprate tra le 250.000 e le 500.000 donne. -Il massacro di Hassi Messaoud è un grave episodio di violenza contro le donne perpetrato nella bidonville di El-Haïcha, nella località algerina di Hassi Messaoud, il 17 luglio 2001. Quel giorno una banda di circa 300 scalmanati, eccitati da un'infuocata predica contro le donne sole, considerate una minaccia per la pubblica moralità, uscì dalla moschea e si diresse verso ElHaïcha, il quartiere-bidonville noto per ospitare numerose donne sole, lo assalirono picchiando, violentando, torturando e sottoponendo ad ogni sorta di sevizie e mutilazioni tutte coloro che trovarono. Hassi Messaoud è una località che vive dello sfruttamento dei pozzi di petrolio. Vi risiedono molti tecnici algerini e stranieri, e presso le loro famiglie hanno trovato un impiego molte donne come personale di servizio, addette alle pulizie ecc. Si tratta per lo più di donne in difficoltà economiche, giovani di famiglie povere, oppure vedove o ripudiate, che non hanno altro mezzo di sostentamento. Il selvaggio stupro di massa andò avanti per cinque ore prima che la polizia intervenisse. Le baracche vennero saccheggiate, molte donne vennero gettate in strada nude. Molte si ridestarono all'ospedale. Il processo ai responsabili, svoltosi davanti al tribunale criminale di Ouargla nel mese di giugno del 2002, si concluse con una manciata di lievi condanne. Le pressioni dei notabili locali e le minacce rivolte alle vittime impedirono un equo processo ed un'equa sentenza. Solo tre accusati vennero condannati a pene da uno a tre mesi di prigione, con le imputazioni di incitamento alla sommossa e furto. Su di una quarantina di vittime dell'aggressione solo tre hanno resistito in tribunale fino in fondo (una di esse era viva per miracolo essendo stata sepolta viva dopo essere stata violentata e torturata). Dopo le vibranti proteste di gruppi femministi e di difensori dei diritti umani in Algeria, il processo di appello, apertosi a Biskra il 16 dicembre 2004, ha ribaltato il giudizio di primo grado: la sentenza, emessa il 3 gennaio 2005, ha inflitto pesanti condanne a quasi tutti gli accusati. Una ventina di imputati (peraltro tutti contumaci) sono stati condannati a 20 anni, mentre altri tre, presenti al processo, sconteranno pene da tre a otto anni di prigione. DANNI PERMANENTI Le donne che subiscono violenze sessuali portano con se’ diverse problematiche per tutta la vita. Danni fisici Un episodio violento di aggressione sessuale può provocare danni fisici temporanei ,ma anche permanenti,dovuti dalla brutalita’ e dalla violenza con le quali gli uomini violentano le donne. HIV e altre malattie sessualmente trasmissibili Le malattie sessualmente trasmissibili(MTS), tra cui l’HIV/AIDS costituiscono un grave problema di salute per le vittime di violenza sessuale. È più probabile che una donna contragga l’HIV/AIDS durante uno stupro per via delle ferite che possono insorgere nei genitali durante la violenza. Sebbene alcune di queste malattie siano asintomatiche nelle donne, se non curate possono portare a danni permanenti come la fertilita’. Gravidanze indesiderate Uno stupro può portare a una gravidanza indesiderata. Laddove non esistono servizi medici per l’aborto o quando questi sono troppo costosi, le donne che non si sentono di dare alla luce un bambino concepito durante uno stupro sono esposte ai rischi di un aborto clandestino che a volte si concludono con la morte della madre. Traumi psicologici L’impatto psicologico di uno stupro può essere devastante. Secondo l’OMS, il trauma psicologico permane molto più a lungo di quello fisico. Anche se assistite con una terapia di sostegno psicologico, il 50% delle donne continua a soffrire di depressione e di sindrome da stress post-traumatico(molti tentano il suicidio o assumono droghe e alcol per alleviare lo stress) Stigma e ripudio Idanni causati da una violenza sessuale vanno ben oltre la sfera fisica e mentale. Le vittime di uno stupro sono spesso ripudiate dai loro partner e dalle famiglie. Sono cacciate di casa, restando senza un posto dove stare e senza aiuto. In molti paesi, una donna abbandonata dal marito non è ammessa nella società. vittime di uno stupro sono spesso stigmatizzate e umiliate all’interno delle loro comunità e sono spesso incolpate per la violenza subita. Nei casi in cui l’aggressore è colui il quale mantiene la famiglia, la vittima si sente obbligata a restare in silenzio e sopportare altre violenze per garantire la sopravvivenza della famiglia. In alcune culture, dove la verginità è associata all’onore, l’aggressore può essere obbligato a sposare la vittima, o un uomo della famiglia può uccidere la vittima nel tentativo di ristabilire l’onore della famiglia. Per tutti questi motivi, denunciare uno stupro richiede un coraggio enorme. Quando possono accedere alle cure, le vittime di uno stupro devono affrontare una scelta straziante: -FARSI CURARE, significa rivelare informazioni e subire il ripudio e la stigmatizzazione -MANTENERE IL SEGRETO, può comportare problemi di salute e in certi casi addirittura la morte. l'Oms Organizzazione mondiale della sanita’ ha voluto dare ai Paesi delle raccomandazioni per mettere a punto sistemi e strategie di prevenzione: integrazione dei programmi di prevenzione della violenza con quelli di formazione e informazione sanitaria rivolti ai bambini e ai ragazzi formazione degli operatori sanitari a riconoscere i sintomi di violenza nelle donne e a intraprendere azioni mirate a proteggerle e a supportarle attuazione di programmi di informazione e di supporto alle donne che denunciano violenze diffusione di iniziative volte a rendere la società in generale consapevole del problema della violenza domestica e a indurre una denuncia sociale nei confronti delle persone violente. Sud Africa/ Sondaggio choc: un uomo su quattro ammette di aver commesso violenze a sfondo sessuale Sondaggio choc in Su Africa: un uomo su quattro ammette di aver compiuto stupri, mentre molti confessano di aver attaccato più di una vittima. Lo studio mostra l’endemica cultura della violenza sessuale del Paese. Tre uomini su quattro rivelano che le prime violenze le hanno commesse da adolescenti; uno su venti ha commesso l’ultimo stupro nell’ultimo anno. Il Sud Africa ha il triste primato di essere uno dei paesi con il più alto tasso di violenza sulle donne a scopo sessuale: solo una parte di queste viene segnalata alle autorità e di queste solo alcune conducono a un giudizio. La professoressa Rachel Jewkes del Medical Research Council che ha condotto il sondaggio – le risposte sono garantite dall’anonimato – sostiene che la prevalenza della violenza sessuale è epressione di un’idea di mascolinità basata su una gerarchia di genere e sul diritto naturale dell’uomo a praticarla. È radicata in un ideale africano di virilita’ TRASFORMAZIONI IN ATTO PREMIO NOBEL PER LA PACE 2010 PER LE DONNE AFRICANE La proposta nasce a partire dalla constatazione del ruolo crescente che le donne africane hanno acquisito nella vita quotidiana dell’Africa. Le donne sono protagoniste e trainanti sia nei settori della vita quotidiana che nell’attività politica e sociale. Sono le donne in Africa che reggono l’economia familiare nello svolgimento di quell’attività, soprattutto di economia informale, che permette ogni giorno, anche in situazioni di emergenza, il riprodursi del miracolo della sopravvivenza. ECONOMIA da decenni sono protagoniste nella microfinanza: dalle storiche tontine dell’Africa occidentale, fino alle forme più elaborate di microcredito in tutte le parti dell’Africa. Microcredito che ha permesso la nascita di migliaia di piccole imprese. Le donne africane sono capaci nell’organizzazione della gestione dell’economia: esistono in Africa migliaia di cooperative che mettono insieme donne impegnate nell’agricoltura, nel commercio, nella formazione, nella lavorazione di prodotti agricoli. Le donne africane stanno svolgendo un ruolo sempre crescente nella definizione e nella ricerca di forme autoctone di sviluppo economico e sociale, attraverso l’organizzazione capillare delle attività economiche e sociali nei villaggi. SOCIALE-SANITARIOa stanno svolgendo un ruolo sempre crescente nella difesa della salute, soprattutto contro il morbo dell’HIV e della malaria. Sono loro che svolgono spesso formazione sanitaria nei villaggi. Sono i gruppi organizzati di donne che si stanno impegnando contro pratiche tradizionali dell’infibulazione e della mutilazione genitale. Sono le donne africane, infine, che riescono a organizzarsi per lottare per la pace e a mantenere la vita anche nelle situazioni più tragiche, in un impegno politico spesso capillare e non riconosciuto. Molto spesso con il rischio di subire violenza e sopraffazione. L’Africa oggi può sperare nel proprio futuro soprattutto a partire dalle donne comuni, quelle che vivono nei villaggi o nelle grandi città, in situazioni spesso di emergenza, e di cui le donne che sono emerse, sia nella politica, sia nella cultura, sia nell’attività imprenditoriale, non sono che un’espressione visibile. L’Africa è rosa: mogli, madri, figlie, ma non solo. Le donne restano il cardine della società africana, soprattutto nelle comunità rurali. Ma al loro tradizionale ruolo di madri e di mogli sono sempre di più le donne che affiancano la lotta per i propri diritti o l’impegno in politica. Le donne africane si stanno organizzando: si incontrano, discutono, si confrontano. Come è successo a Bamako, in Mali, durante la conferenza nel Forum “Le donne protagoniste” , o al primo Forum Internazionale delle Donne Imprenditrici, che si è appena chiuso a Milano. Tra loro, anche donne dalla Libia, dall’Algeria, dall’Egitto, dal Marocco, dalla Tunisia. I risultati concreti dell’impegno femminile in Africa si vedono: oltre al successo elettorale in Liberia di Ellen Johnson Shirleaf, primo presidente africano donna, attualmente in Africa ci sono 3 donne vicepresidenti, in Sudafrica, in Zimbabwe e in Burundi. Due invece i presidenti del consiglio, in Mozambico, e a São Tomé e Principe. Il Ruanda è in assoluto il Paese con la più alta percentuale di parlamentari donne (39 su 80). Nell’Unione Africana, metà dei membri della commissione sono donne, e donna è la presidente del parlamento pan africano, parlamento che ha iniziato un discussione sulla proprietà femminile della terra in Africa. Il futuro dell’Africa e quello della donna africana restano pieni di sfide, come denunciano anche i rapporti delle agenzie umanitarie, per esempio quello di dicembre 2006 dell’UNDP sulla situazione della donna nei paesi arabi, ma se l’Africa può guardare avanti con ottimismo è anche perché le donne africane si stanno facendo carico di un nuovo ruolo: essere parte del motore del cambiamento. ministero degli affari esteri..cooperazione italiana COOPERAZIONE ITALIANA Indirizzi strategici La programmazione ordinaria della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo ha tenuto conto della necessità di valorizzare la dimensione di genere all’interno delle politiche generali stabilite dalle istituzioni italiane e, nello stesso tempo, di incrociare questi aspetti peculiari con gli standard stabiliti a livello internazionale per la pari dignità tra uomini e donne nei meccanismi dello sviluppo. Si sono pertanto definite le seguenti priorità d’azione: 1. Empowerment delle donne Attraverso la promozione dell’imprenditorialità femminile e la loro partecipazione ai negoziati per le decisioni di interesse collettivo: questo obiettivo tiene in particolare conto la crescita della decisionalità delle donne non soltanto con il loro inserimento nelle istituzioni di rappresentanza politica, ma piuttosto attraverso una costante valorizzazione del loro contributo all’economia, in particolare a livello locale; 2. Salute riproduttiva La lunga tradizione di assistenza sociale e sanitaria, dell’Aiuto Pubblico Italiano, si è consolidata, anche attraverso la collaborazione con le Ong e con le associazioni delle donne, dando vita ad un approccio che tiene conto del diritto alla salute delle donne e dei loro figli, utilizzato anche nella formazione degli operatori del settore sanitario, nella lotta all’Aids e nei programmi dei consultori, soprattutto nelle area di cultura islamica; 3. Conflitti L’impegno della società civile e dell’associazionismo femminile italiani nel corso degli ultimi vent’anni ha fatto sì che il ruolo delle donne nelle situazioni di conflitto divenisse una priorità dell’operato della Dgcs e si sono intensificate le azioni pilota nel settore dell’emergenza; 4. Lotta alla tratta delle donne, anche minori Su questo punto l’impegno delle istituzioni nazionali di parità e della società civile italiana è stato di grande risonanza internazionale soprattutto a seguito dell’inserimento di questi atti come reati nel trattato istitutivo della Corte Penale Internazionale; 5. Lotta alla violenza sessuale contro le donne E' stata molto favorita dall’impegno diretto della Cooperazione Decentrata nella creazione di consultori, anche in luoghi di particolare difficoltà, in particolare nel Bacino Mediterraneo; la Campagna contro le Mutilazioni Genitali Femminili fa parte di questa azione complessiva. Nello specifico, sono attivi interventi della Cooperazione italiana in Cambogia, nei Territori Palestinesi e in America Centrale. DONNA AFRICANA E DONNA OCCIDENTALE A CONFRONTO Oggi le donne occidentali hanno una personalità giuridica pienamente indipendente. Non sono più soggette alla tutela maschile. La proprietà di una donna sposata rimane sua, invece di divenire legalmente proprietà di suo marito, come avveniva fino a non molto tempo fa. La donna è libera di scegliere tra una varietà di carriere professionali che in precedenza erano aperte soltanto agli uomini e la gamma di carriere che una donna può scegliere è in crescita. Inoltre, non deve più necessariamente abbandonare la sua professione se decide di sposarsi. Di fatto, una donna occidentale di oggi è molto meno drasticamente penalizzata a causa del suo sesso di quanto lo era sua nonna. La donna occidentale ha più possibilità di ricevere un istruzione adeguata,mentre in Africa il tasso di analfabetizzazione femminile rimane alto. La donna nel mondo occidentale non è solo uno strumento di riproduzione, la donna può lavorare, esprimere la propria opinione, non è solo madre, ma anche una lavoratrice, un elemento utile al paese per l'economia, la politica, ecc. La donna occidentale ha libertà anche nel modo di vestirsi. Nella cultura occidentale la donna non accetta la poligamia e ha la possibilità di separarsi dal marito senza essere stigmatizzata dalla società. La donna occidentale detiene la parità dei sessi. LETTURA CONSIGLIATA:LA MASAI BIANCA. STORIA VERA DI UNA PASSIONE AFRICANA-CORINNE HOFMANN- DONNA ORIENTALE Di Anna Barresi DUE FIGURE IMPORTANTI NELLA STORIA ORIENTALE: LA GEISHA GIAPPONESE LA DONNA CINESE COI PIEDI DI LOTO LA GEISHA "Geisha", è un termine giapponese composto da due termini (gei) che significa "arte" e (sha) che vuol dire "persona"; la traduzione letterale, quindi, del termine geisha in italiano potrebbe essere "artista", o "La persona d'arte". geisha ieri Tradizionalmente le geisha cominciavano il loro apprendimento in tenerissima età. Le fanciulle dovevano attraversare varie fasi, prima di diventare maiko e poi geisha vere e proprie, tutto questo sotto la supervisione della "oka-san", la proprietaria della casa di geisha. Le ragazze nella prima fase di apprendimento, ossia non appena arrivano nell'okiya, sono chiamate "shikomi", e venivano subito messe a lavoro come domestiche. Il duro lavoro al quale sono sottoposte era pensato per forgiarne il carattere; alla più piccola shikomi della casa spettava il compito di attendere che tutte le geisha fossero tornate, alla sera, dai loro appuntamenti, talvolta attendendo persino le due o le tre di notte. Durante questo periodo di apprendistato, la shikomi poteva cominciare, se la oka-san lo riteneva opportuno, a frequentare le classi della scuola per geisha dell'hanamachi. Qui l'apprendista cominciava ad imparare le abilità di cui, diventata geisha, sarebbe dovuta essere maestra: suonare lo shamisen, lo shakuhachi (un flauto di bambù), o le percussioni, cantare le canzoni tipiche, eseguire la danza tradizionale, l'adeguata maniera di servire il tè e le bevande alcoliche, come il sake, come creare composizioni floreali e la calligrafia, oltre che imparare nozioni di poesia e di letteratura ed intrattenere i clienti nei ryotei. Il rapporto tra onee-san e imoto-san (che vuol dire "sorella minore") era estremamente stretto: l'insegnamento della onee-san, infatti, era molto importante per il futuro lavoro dell'apprendista, poiché la maiko doveva apprendere abilità rilevanti, come l'arte della conversazione, che a scuola non le erano state insegnate. Arrivate a questo punto, le geisha solitamente cambiavano il proprio nome con un "nome d'arte", e la onee-san spesso aiutava la sua maiko a sceglierne uno che,secondo la tradizione deve contenere la parte iniziale del suo nomee che secondo lei, si sarebbe adattato alla protetta. La lunghezza del periodo di apprendistato delle maiko poteva durare fino a cinque anni, dopo i quali la maiko veniva promossa al grado di geisha, grado che manteneva fino al suo ritiro. Sotto questa veste, adesso, la geisha poteva cominciare a ripagare il debito che, fino ad allora, aveva contratto con l'okiya; l'addestramento per diventare geisha, infatti, era molto oneroso, e la casa si accollava le spese delle sue ragazze a patto che queste, lavorando, ripagassero il loro debito. Queste somme erano spesso molto ingenti, e a volte le geisha non riuscivano mai a ripagare gli okiya. La geisha oggi Ai giorni nostri, il rituale di formazione ed educazione della geisha non è molto diverso da quello di cento anni fa. Le discipline in cui ogni geisha si deve specializzare sono le medesime, e la serietà con cui vengono offerte è sancita dal kenban , kenban?, una sorta di albo professionale che obbliga coloro che vi sono iscritte al rispetto di regole morali ed estetiche molto severe, dall'abbigliamento, al trucco, allo stile di vita. Il loro salario, inoltre, è fissato da organi statali appositamente adibiti; Come si è detto precedentemente, le geisha stanno man mano scomparendo. La ragione principale, infatti, del successo delle geisha in passato va trovata nella passata posizione sociale della donna, soprattutto nel periodo Kamakura; essa doveva, infatti, rimanere confinata in casa, e riceveva un'educazione molto approssimativa, che non permetteva loro di conversare e di interessare adeguatamente i loro uomini. La geisha, perciò, compensava una figura femminile poco attraente, assolutamente sottomessa all'uomo e totalmente priva di una propria personalità, fornendo all'uomo quell'interesse che egli non riusciva a trovare tra le mura della propria abitazione. Ed è proprio la mutata condizione sociale della donna dei giorni nostri che sta facendo scomparire la figura della geisha. Le scuole stanno chiudendo una dietro l'altra e le ragazze iscritte sono in numero sempre minore, poiché il duro tirocinio a cui devono sottostare non è più gradito alle nuove generazioni. Nel 1920, infatti, c'erano più di 80.000 geisha in tutto il Giappone, ma oggi sono molte meno di un paio di migliaia Come già accennato in precedenza, esiste oggi molta confusione, specialmente fuori dal Giappone, riguardo la natura della professione della geisha; nella cultura popolare occidentale, le geisha sono frequentemente scambiate con prostitute di lusso. L'equivoco, che ha cominciato a diffondersi dal periodo dell'occupazione americana del Giappone, nella cultura cinese è, se possibile, ancor più marcato; in cinese, infatti, la parola geisha è tradotta con il termine yì jì dove jì ha il significato, appunto, di "prostituta Le geisha sono donne nubili, e possono decidere di sposarsi solo ritirandosi dalla professione. Se anche gli impegni di una geisha possono includere anche intrattenimenti di tipo amoroso, questo non è previsto nella sua professione. Una vera geisha non viene pagata per fare sesso, anche se può scegliere di avere relazioni con uomini incontrati durante il suo lavoro, sebbene mantenute al di fuori del contesto del suo lavoro come geisha. Era uso nel passato che una geisha, per stabilirsi, prendesse un danna, o patrono. Tradizionalmente il danna era un uomo ricco, talvolta sposato, che aveva i mezzi per accollarsi le enormi spese di cui il lavoro di geisha abbisognava; anche oggi la tradizione del danna è viva, in Giappone, ma solo qualche geisha ne sceglie uno. Anche se succedeva spesso che una geisha ed il suo danna si innamorassero, il sesso non era richiesto come pagamento per il supporto finanziario che il danna elargiva. Le convenzioni e i valori che si celavano dietro questo particolare rapporto sono molto intricate, sconosciute ed incomprensibili agli occidentali, come a molti giapponesi stessi. donna giapponese: tra tradizione e innovazione La scuola : tra infantilizzazione ed emancipazione La scuola impone ai ragazzi un ritmo molto severo, il sistema è basato su una forte competizione tra gli allievi. I ragazzi sono così molto stressati ed incitati a raggiungere certi obiettivi. Il risultato di questo sistema molto rigido e severo è che spesso infantilizza il giovane ponendolo in una situazione di inferiorità rispetto all'adulto e alla struttura educativa e sociale nella quale cresce. D'altra parte, la scuola è anche il luogo dove si incontrano altri ragazze/i, dove nasce un dialogo tra coetanee e dove si mettono in discussioni le regole sociali e la struttura famigliare. La scuola è molto importante nella vita di una giovane ragazza per il semplice fatto che gli dedica gran parte del suo tempo, ed è in quel luogo che definirà così il suo stile, la sua personalità , la sua immagine... La famiglia : serenità e tradizione In famiglia, in casa, si ritrovano strutture sociali tradizionali con una forte autorità paterna ed un ruolo legato alla cura del focolare associato alla figura materna. La ragazza si appropria del suo statuto di figlia e si sottomette ai riti e alle regole acquisite e vissute in quel universo. Anche la famiglia è un gruppo di appartenenza per la giovane donna, ma è spesso un gruppo in cui essa non esprime sua vera personalità come quando è con le amiche. La casa è per lei un luogo di riposo dove il ruolo che le viene assegnato è quello della "figlia"; è anche il luogo dove si tramandano le tradizioni. Il fidanzato : una relazione importante più conformista che provocatrice Ascoltando le ragazze giapponesi si resta sorpresi del modo naturale con cui parlano del loro ragazzo, nessun sentimento di vergogna o di disagio, la grande maggioranza delle ragazze giapponesi hanno un fidanzato. Stranamente la relazione col sesso opposto non è espressa in termini di rottura, di provocazione, ma bensì in termini di conformismo. La struttura famigliare è molto importante in Giappone, è a questo proposito un paese molto marcato dal confucianesimo. Il ruolo della donna si definisce nelle sue responsabilità nei confronti dei propri parenti , dei sui figli (in particolar modo) e di suo marito. E' per questo importante avere anche molto presto un fidanzato, un compagno che potrebbe poi diventare un marito. Anche le ragazze le più stravaganti esprimono una certa serenità, appagamento e una qualche sottomissione quando parlano del loro fidanzato. Già da molto giovani definiscono il modo in cui si relazioneranno al proprio marito e come decideranno di vivere il loro status di moglie/madre. Come abbiamo visto, la ragazza giapponese è esposta a vari ambienti nei quali si adatta in modo diverso appropriandosi dei ruoli che le sono stati predefiniti o lasciandosi andare ed esprimendo la sua personalità, le sue aspirazioni. Questa fascia di età è particolarmente interessante perché è quella in cui si definisce l'identità della ragazza , il rapporto con la propria femminilità e lo status che poi deciderà di assumere in società. DIFFERENZE TRA PRATICHE DI ALLEVAMENTO TRA LE FAMIGLIE CINESI E QUELLE GIAPPONESI: nelle famiglie giapponesi le pratiche di allevamento sono caratterizzate da un elevato controllo genitoriale, da una disciplina rigida, dal rispetto per i più anziani e per le tradizioni e dal mantenimento dell’armonia. Nelle famiglie giapponesi, dove i bambini sono considerati estensioni delle madri, il valore che più di ogni altro viene veicolato è quello dell’interdipendenza, che si concretizza anche nell’utilizzo di pratiche, come il dormire insieme o fare il bagno insieme, che permettono la continua vicinanza fisica della madre al bambino. Un’altra caratteristica delle modalità d’allevamento dei genitori giapponesi consiste nel proteggere il bambino da ogni forma di stress. DONNA CINESE Loto d’oro Con Loto d'oro o Gigli d'oro si indicano i piedi artificialmente deformati delle donne cinesi. Il nome è dovuto all'andatura precaria e oscillante che assumevano le donne sottoposte a questa pratica, in auge dall'inizio della dinastia Song e durante le dinastie Ming e Qing e gradualmente scomparsa durante la prima metà del XX secolo. La pianta dei piedi veniva piegata e mantenuta di una lunghezza tra i 7 e i 12 centimetri. Nelle famiglie più ricche ed influenti le bambine venivano fasciate quando erano molto piccole, in base al loro sviluppo, in genere tra i 2 e gli 8 anni; questo rendeva la pratica meno dolorosa e meno traumatica psicologicamente. Nelle classi contadine la fasciatura cominciava più tardi perché le bambine dovevano essere abili al lavoro fino a che non si concordava loro un matrimonio, o fino a che non erano in età da matrimonio, comunque prima dei 15 anni, finché le ossa erano ancora malleabili. Per deformare i piedi nella loro forma definitiva erano necessari almeno 3 anni, talvolta anche 5 o 10. Per tutta la vita, i piedi necessitavano di continue attenzioni e di scarpine rigide che fossero sufficientemente resistenti da sorreggere il peso della donna. Le scarpette andavano indossate anche di notte affinché la deformazione non regredisse. Dopo la fasciatura il piede assumeva una forma a mezzaluna. Prima di essere fasciati, i piedi erano lavati e puliti dai residui organici (pelle morta e ulcere), quindi erano cosparsi di allume, avente funzione anti-emorragica e coagulante. La benda era larga cinque cm e lunga fino a tre metri. La deformazione consisteva in due operazioni distinte: 1. piegare le quattro dita più piccole (ad esclusione dell'alluce) al di sotto della pianta del piede 2. avvicinare l'alluce ed il tallone inarcando il collo del piede. Le articolazioni del tarso e le ossa metatarsali venivano progressivamente deformate. 3. In questo modo i talloni diventano l'unico punto di appoggio, causando l'andatura fluttuante della donna, come il loto che si piega al vento. 4. Nelle famiglie povere, in cui le ragazze dovevano conservare la capacità di camminare per lavorare, era praticata una fasciatura leggera consistente solo nella prima delle due operazioni (il ripiegamento delle dita). Il piede rimaneva più grande e precludeva il matrimonio con un uomo di ceto elevato. Nella Cina meridionale, era praticato un terzo tipo di fasciatura in cui, invece delle due suddette operazioni, l'alluce veniva piegato all'indietro e verso l'alto. La pratica era molto dolorosa, perché il piede non smetteva di crescere ma cresceva deformato: le ossa conseguentemente si frastagliavano per poi saldarsi irregolarmente. Spesso le ossa dei metatarsi si rompevano, o venivano appositamente rotte, così come le articolazioni. Le unghie andavano sempre tagliate molto corte per evitare infezioni, ma nonostante tutti gli accorgimenti una fasciatura poteva portare a infezioni, setticemia, cancrena anche con perdita delle dita. I piedi così deformati erano coperti da minuscole scarpine lavorate, fabbricate dalla donna per esaltare la forma del piede e per mostrare le sue doti artigianali; erano accuratamente disegnate per evidenziare la forma arcuata ed appuntita del piede. Ogni scarpina era una forma d'arte ed un passaporto della donna. La dimensione del piede, e la struttura della scarpa dicevano tutto ciò che era necessario su di una donna: la sua capacità di sopportare il dolore, le sue abilità casalinghe. Anche in Occidente il piede piccolo è considerato bello, basta pensare alle ballerine o alle scarpe con i tacchi a spillo, che causano un'andatura oscillante ed hanno la punta. Si consideri anche la fiaba di Cenerentola, originaria della Cina. L'usanza si diffuse inizialmente fra le classi più facoltose della popolazione, per motivi estetici. Ma presto cambiò significato, diventando simbolo di status sociale: una donna con i piedi fasciati, impossibilitata a svolgere lavori pesanti o rurali, aveva un marito facoltoso. Per questo stesso motivo, la pratica cominciò a diffondersi nelle classi meno abbienti che potevano dare in sposa una figlia ad una famiglia facoltosa, stabilendo legami interfamiliari che aumentavano il prestigio della propria famiglia. Le ragazze povere venivano anche vendute come concubine e il prezzo era legato alle dimensioni e alla perfezione dei piedi. L'usanza era tramandata da madre in figlia, La pratica fu incoraggiata dal Confucianesimo, che vedeva nel Loto d'oro una dimostrazione perfetta di sottomissione della donna all'uomo, che legava le donne molto più delle pratiche di menomazione sessuale diffuse in altre zone del mondo. Le donne con i piedi fasciati erano fisicamente dipendenti dal loro uomo, ed era estremamente difficile allontanarsi dalla propria casa a causa della difficoltà di equilibrio. Una pratica di combattimento derivante da una donna: LEGGENDA DI UNA PRATICA DI LOTTA CON PROTAGONISTA UNA GIAPPONESE Yim Wing Chun Ng Mui conobbe Yim Yee, proprietario del negozio dove lei comprava il dau fu e la figlia di costui Yim Wing Chun (traduzione letterale: Radiosa Primavera). La bellezza della ragazza attirò l’attenzione di un malvivente locale di nome Wong (traduzione letterale: Tigre), che voleva ad ogni costo sposare la fanciulla, terrorizzando sia lei che il padre. I due ne parlarono a Ng Mui,. La monaca decise quindi di insegnare alla giovane le sue tecniche di affinché fosse in grado di difendersi. lotta, Yim Wing Chun si allenò duramente nel Gung Fu, giorno e notte, fino a quando non si sentì pronta ad affrontare Wong in un combattimento, dal successo del quale sarebbe dipesa la sua libertà. Yim Wing Chun vinse con semplicità il combattimento, mettendo in fuga il malvivente. In seguito Yim Wing Chun fu sfidata da molti Maestri, ma nessuno mai riuscì a sconfiggerla, al punto che lei stessa giurò che avrebbe sposato solo chi sarebbe stato capace di batterla. Un giorno si presentò a lei Leung Bok Chau, che aveva appreso il Gung Fu dall’Abate Chi Sim, lei si innamorò di lui e in un combattimento finse di essere sconfitta, cosi da poterlo sposare. Dopo il matrimonio, Yim Wing Chun rivelò la verità al marito ed in un nuovo combattimento lo sconfisse facilmente, dimostrandogli così la funzionalità dello stile di Ng Mui. Leung Bok Chau fu sorpreso dalla grandezza dello stile, volle che la moglie gli insegnasse i vari principi che animavano quest'Arte ed insieme li perfezionarono ed ampliarono. Fu Leung Bok Chan a dare allo stile il nome Wing Chun (pronuncia: Wihng Cheùn, traduzione letterale: Radiosa Primavera) in onore della moglie. Le leggende si sono sviluppate proprio con il fine di nascondere questa realtà. Il fatto di asserire che il Wing Tsun sia stato concepito da una donna è un chiaro simbolo della radice taoista dello stile. Infatti, il punto di vista taoista tende a privilegiare l'elemento femminile ed è significativo, a questo proposito, il passo del VI capitolo del Tao Te Ching (Il Libro dei Mutamenti) in cui all'origine di tutto è situata la figura enigmatica della Misteriosa Femmina (“La porta della misteriosa femmina è la scaturigine del Cielo e della Terra”). LE RELIGIONI IN CINA: La Repubblica Popolare di Cina è ufficialmente atea. La popolazione religiosa si suddivide però in: • • Confuciana, Taoista e Buddhista 95% Cristiana 3,5% • Islamica 1,5% (non quantificata con certezza) • • Il confucianesimo è una delle maggiori scuole filosofiche, morali, politiche e, in qualche misura, religiose della Cina. Si è sviluppato nel corso di due millenni a partire dagli insegnamenti del filosofo Kǒngfūzǐ, il «Maestro Kong» (551-479 a.C.), conosciuto in occidente col nome latinizzato di Confucio. Confucio creò un sistema rituale e una dottrina morale e sociale, che si proponevano di rimediare alla decadenza spirituale della Cina, in un'epoca di profonda corruzione e di gravi sconvolgimenti politici[1]. Confucio non volle mai, invece, trattare questioni soprannaturali e che trascendessero l'esperienza umana. Nel confucianesimo non c'è alcuno spunto soteriologico e questo rende difficile considerarlo una religione, se non in senso sociologico, come lo ha considerato Max Weber[2]. • • Il "fare" confuciano si estrinseca per mezzo dei riti (li) che sono un complesso di norme che regolano i rapporti umani, indicando la strada giusta da seguire, in ogni occasione. ogni rapporto umano e sociale è stabilito da riti. In particolare vengono prese in considerazione cinque tipi di relazioni sociali, alle quali possono essere ricondotte per analogia tutte le altre. Esse sono quelle tra principe e suddito, tra padre e figlio, tra fratello maggiore e fratello minore, tra marito e moglie e tra amico e amico. Non si tratta mai di un rapporto di parità: anche nella relazione tra amico e amico si distingue l'amico più anziano da quello più giovane. Per ciascuna di queste relazioni Confucio, e più di lui la sua scuola, codificò regole di comportamento assai rigide, limitative della libertà e dell'autonomia dell'individuo. Nel sistema confuciano, infatti, l'unica libertà per l'uomo è quella di migliorarsi in vista della piena adesione del suo comportamento al modello propostogli dal complesso dei riti. Questo miglioramento può giungere fino alla perfezione totale TAOISMO: • • Yin e yang sono, nel Taoismo, i due aspetti del Tao e principi del cosmo. Lo yang è l'aspetto positivo di tutte le cose. Yang è la luce, il pieno, il sesso maschile; in contrapposizione a yin che rappresenta il vuoto, il buio e il sesso femminile. Le due componenti dell'essenza primordiale dell'universo sono intrinseche in ogni cosa, e questo fa sì che la dottrina taoista sia dualistica solo all'apparenza. È infatti dalla combinazione e fusione delle due manifestazioni dell'essere che germina la vita. La donna, che è il vuoto in quanto questo è il simbolo del grembo materno, partorisce la vita solo dopo che l'uomo si è unito a lei riempiendola. Il panteismo del Taoismo sta proprio nell'affermare che dietro alla necessaria bipolarità di ogni cosa sta l'unità infinita, il Tao, che Laozi descrive come la misteriosa femmina, la madre delle diecimila creature. Ogni cosa esiste perché esiste anche il suo opposto, con il quale essa si può combinare generando la vita. La luce non esisterebbe se non esistesse il buio, il freddo non esisterebbe se non esistesse il caldo, la vita non esisterebbe se non esistesse il trapasso. Nel concetto di yin e yang sta anche la valorizzazione della donna radicata nella dottrina taoista. Il vuoto, lo spazio fecondo, è la vera essenza dell'universo. Lo spazio vuoto tra gli stipiti è ciò che veramente conta in una finestra, poiché è ciò che da senso all'intero sistema, che permette di guardare oltre. Secondo queste dottrine, confucianesimo e taoismo, il mondo avrebbe origine dalla lotta reciproca e dall'unione di due principi fondamentali, yang e yin, rispettivamente principio maschile e principio femminile. Da questa unione dialettica deriva tutto il mondo sensibile il cui manifestarsi, risultato della lotta tra due opposti, segue una via ideale, il dao, nella quale tende immancabilmente a costituirsi, venire a mancare e ricostituirsi un equilibrio che, di per sé, è continuamente instabile. Yang, principio positivo, maschile, è il principio della forza, della luce e di tutto ciò che può esservi ricondotto; yin è il suo contrario, principio femminile, negativo, dell'oscurità e della debolezza in genere. L'un principio, però, non può fare a meno dell'altro né esserne completamente separato: il primo presuppone il secondo e viceversa, senza che mai uno dei due • possa ottenere una vittoria definitiva o prevalere escludendo il suo contrario dialettico. BUDDHISMO: • Buddhismo è una religione, una filosofia e una via di vita nata nel VI secolo a.C. a partire dagli insegnamenti di Siddhartha Gautama, comunemente conosciuto come il Buddha ovvero l'Illuminato. Il Buddhismo si fonda sull'idea secondo la quale tutti possono ripercorrere la via spirituale codificata da Siddhartha, divenendo a loro volta dei buddha come ce ne furono in passato e ce ne saranno in futuro. La pratica della dottrina buddhista ha lo scopo di risvegliare spiritualmente il genere umano, con il quale ogni singolo può giungere al Nirvana, ovvero all'Illuminazione o liberazione dalle sofferenze. Il Buddhismo si è sviluppato nel corso dei secoli ed è oggi suddiviso in tre grandi confessioni, il Buddhismo Theravāda, il Mahāyāna e il Mahāyāna Vajrayāna. Il clero buddhista, detto anche sangha (letteralmente "associazione" o "assemblea"), consiste in tutti gli ordini di monaci e monache direttamente o indirettamente discesi dall'ordine originariamente fondato da Siddhartha Gautama nel V secolo avanti Cristo. Secondo le testimonianze riportate da antiche scritture i primi ordini erano fortemente monastici; i membri conducevano una vita austera e meditativa. Nel corso del tempo, con la diffusione del Buddhismo, l'approccio alla vita clericale è divenuto più variegato e si differenzia oggi di tradizione in tradizione RELIGIONE GIAPPONESE: Lo Shintoismo , o semplicemente Shinto , , è una religione nativa del Giappone e nel passato è stata la sua religione di Stato (oggi no). Prevede l'adorazione dei Kami, un termine che si può tradurre come divinità, spiriti naturali o semplicemente presenze spirituali. Alcuni kami sono locali e possono essere considerati come gli spiriti guardiani di un luogo particolare, ma altri possono rappresentare uno specifico oggetto o un evento naturale, come per esempio Amaterasu, la dea del Sole. Il Dio dei cristiani in giapponese viene tradotto come "kami". Anche le persone illustri, gli eroi e gli avi divengono oggetto di venerazione dopo la morte e vengono a loro volta annoverati tra i kami. La parola Shinto nasce dall'unione dei due kanji: 神 shin che significa "divinità", "spirito"(il carattere può essere anche letto come kami in giapponese ed è a sua volta formato dall'unione di altri due ideogrammi 示 "altare" e 申 "parlare , riferire"; letteralmente ciò che parla, si manifesta dall'altare. 申 ne determina anche la lettura) e 道 tō in cinese Tao ("via", "sentiero" e per estensione; in senso filosofico rende il significato di pratica o disciplina come in Jyudo o Karatedo o ancora Aikido). Quindi, Shinto significa letteralmente "pratica degli Dèi", "via degli Dèi". Dopo la seconda guerra mondiale lo Shintoismo perse la sua condizione di religione di stato. L'introduzione della scrittura nel V secolo e del Buddhismo nel VI secolo ebbero un profondo impatto nello sviluppo di un sistema unificato di credenze shintoiste. Nel giro di un breve periodo di tempo all'inizio del periodo Nara, il Kojiki (Memorie degli eventi antichi, 712) ed il Nihonshoki (Annali del Giappone, 720 circa) furono scritti compilando miti e leggende esistenti in un resoconto unificato. Questi resoconti avevano un duplice scopo: innanzitutto favorire l'introduzione di temi taoisti, confuciani e buddhisti nella narrativa, mirati a impressionare i cinesi dimostrando che la cultura giapponese non era inferiore alla loro; in secondo luogo queste narrazioni erano volte a legittimare la casa imperiale, facendola discendere dalla dea del Sole Amaterasu. La maggior parte del territorio del Giappone moderno era sotto un controllo frammentario da parte della famiglia imperiale, e gruppi etnici rivali confinanti continuavano ad essere ostili. DONNA INDIANA Di Giuseppina Elia Donne indiane, vittime da sempre di Nirmala Carvalho Una cultura che relega la donna in una condizione di totale inferiorità all'origine dei 10 milioni di bambine non nate. La nascita di una figlia problema economico ed anche di reputazione sociale. Mumbai (AsiaNews) – I dati sui 10 milioni di bambine mai nate in India, resi noti ieri dalla rivista medica Lancet, hanno riportato l'attenzione sulla condizione femminile in questo Paese, dove l'aborto selettivo è solo la punta di un iceberg fatto di matrimoni forzati, sfruttamento sessuale, umiliazioni e suicidi legati all'alto costo della dote matrimoniale. Le donne indiane, al di là della classe sociale, dello stato economico e della religione rimangono soggetti vulnerabili in una società che ancora distingue gli essere umani tra toccabili e intoccabili. Di fronte a disuguaglianze che hanno radici culturali e storiche neppure la Chiesa cattolica riesce a trovare un efficace modo per contrastarle. Alcune tribù nomadi costringevano in passato le donne alla schiavitù sessuale e a volte alla poliandria. Come in alcune zone del Punjab, dove una ragazza doveva sposare tutti gli uomini di una famiglia al fine di evitare la frammentazione delle proprietà terriere di questa. L'aborto selettivo e l'uso dell'amniocentesi per conoscere il sesso del feto possono considerarsi una versione "più civilizzata" degli infanticidi di bambine che si praticavano con regolarità prima degli ultimi 20 anni dal nord al sud del paese. Le modalità con cui avvenivano questi omicidi erano più o meno le stesse: soffocamento, assunzione forzata di grandi dosi di oppio, strozzamento tramite l'immissione di molto riso nella bocca. Quest'ultimo più diffuso nel sud. In India dal 1994 è illegale determinare il sesso del feto e abortire sulle base di questo. L'amniocentesi è però molto richiesta per questo scopo da donne di ogni classe sociale e numerose cliniche e ospedali la praticano in segreto. Purtroppo su uno che viene preso 10, o forse più, riescono a scampare ai controlli. Lo squilibrio nel rapporto maschio/femmina in Stati come l'Haryana e il Punjab, nel nord, è solo un indice del problema. In queste zone una figlia è un peso a causa del suo sesso e per questo grava anche sulla reputazione della famiglia. Nel sud del Paese, invece, una donna è soprattutto un problema economico a causa dell'alto costo della dote matrimoniale, che ammonta a milioni di rupie. In Kerala il problema tocca anche la comunità cristiana, dove molte ragazze si suicidano perché i genitori non possono permettersi la loro dote. Il Kerala detiene infatti il primato dei suicidi tra adolescenti e adulte. Altre giovani invece scelgono di sposarsi in un altro Stato, lontano dalla loro comunità e religione solo per evitare la dote. Le Chiese cristiane, al di là della denominazione, non sono state finora in grado di arginare il fenomeno e spesso le donne le ritengono sostenitrici dei diritti degli uomini. Per questo da più parti si chiede alla Chiesa di prendere in modo più deciso la difesa delle donne indiane non solo opponendosi all'aborto, ma anche lanciando una campagna contro il sistema delle doti matrimoniali e la limitazione solo agli uomini dei diritti di proprietà sulle terre. Tra le donne in India cresce la rabbia e la voglia di protesta. Ma queste rimangono spesso represse per la mancanza di preparazione culturale ad opporsi e presentarsi come valido interlocutore all'interno della società civile India, scuola superiore gratuita per le figlie femmine per evitare aborti selettivi Il governo mira a controllare la crescita della popolazione, a sradicare la pratica dell'aborto selettivo e migliorare la condizione delle donne nella società. New Delhi (AsiaNews/Agenzie) – L'India renderà gratuita l'istruzione superiore e universitaria alle ragazze, uniche figlie femmine della famiglia. Con il provvedimento il governo mira a contenere la crescita della popolazione e soprattutto a sradicare la pratica degli aborti selettivi. Il piano prevede oltre all'esenzione dalle tasse, una borsa di studio mensile di 800 rupie (pari a 14,9 euro) per le scuole superiori, mille per l'università e 2 mila rupie per studi post laurea. Le famiglie con solo 2 figlie donne usufruiranno di un taglio del 50% sulle tasse scolastiche, ma non riceveranno sussidi. In India l'istruzione è gratuita per tutti solo fino alle scuole elementari. Il tasso di analfabetismo tra le donne è del 60%. Con queste scelte New Delhi intende migliorare le condizioni delle donne in una società, dove di tradizione i genitori preferiscono figli maschi. "Il nostro schema – spiega un funzionario del ministero federale per lo Sviluppo delle risorse umane – aiuterà in modo notevole a controllare la popolazione: esso è diretto soprattutto quelle famiglie che generano più figli nella speranza di un maschio". Attivisti per l'alfabetizzazione e i diritti civili hanno ben accolto il progetto delle autorità: annunciato la settimana scorsa, esso verrà applicato a partire dal prossimo semestre accademico (maggio) in tutte le scuole, college e università, private e statali. Alcuni esperti, però, avvertono che il progetto avrà un impatto limitato. Narayan Banerjee – direttore del Centro per gli studi dello sviluppo delle donne – sottolinea che "gli aborti selettivi sono molto diffusi tra la popolazione ricca dei centri urbani, che può permettersi di pagare gli studi alle figlie; il piano del governo non influenzerà questo tipo di realtà". Nella maggior parte del mondo, vi sono più femmine che maschi, in base al normale andamento demografico e alla maggiore resistenza delle femmine alla nascita. A causa di aborti selettivi e di infanticidi, l'India, insieme alla Cina, è tra i paesi che presentano una tendenza contraria. Secondo il più recente censimento governativo, risalente al 2001, in India vi sono 927 ragazze su mille maschi, cifra in calo rispetto alle 945 del 1991 e alle 962 del 1981. In alcune parti del paese il rapporto tra giovani donne e maschi è di 800 ogni mille. L'India è sempre stato tra i più grandi laboratori di aggressive politiche per il controllo delle nascite attraverso aborti, contraccezione, sterilizzazione. Di recente il governo sembra orientato verso nuove forme di pianificazione familiare. Tra queste rientra la promozione di una campagna a livello nazionale per la promozione di metodi naturali nelle coppie. Le donne in India si sposano giovaniQuasi la meta’ delle donne in India si sposano prima di aver compiuto 18 anni nonostante che da 80 anni esistano leggi che proibiscono questa pratica. E’ quanto emerge da una ricerca pubblicata sul giornale scientifico The Lancet e rilanciata oggi dal quotidiano The Times of India. Una equipe di ricercatori indiani e statunitensi ha elaborato dati riguardanti oltre 22.000 donne indiane di eta’ fra i 20 ed i 24 anni, rilevando appunto che il 44,5% di loro si e’ sposata prima di raggiungere la maggiore eta’. La responsabile indiana della ricerca, Anita Raj, ha aggiunto che un aspetto ancora piu’ preoccupante e’ che un quinto di queste donne (il 22,6%) si e’ sposata prima dei 16 e un 2,6% prima dei 13. Lo studio evidenzia inoltre che oltre la meta’ delle spose adolescenti (48,4%) ha avuto un bambino prima di raggiungere la maggiore eta’. ”Questi risultati – ha concluso Raj – suggeriscono che ne’ i recenti sviluppi in campo economico e nell’emancipazione delle donne, ne’ gli specifici programmi rivolti a prevenire le gravidanze nelle adolescenti, hanno ottenuto l’effetto di arginare questo inquietante fenomeno delle sposebambine L'India e l' emancipazione della donna INDIA: SUOCERA PUO' PICCHIARE NUORA, LA EDUCA NEW DELHI - Una suocera che prende a calci la nuora non è passibile di pena da un tribunale con l'accusa di crudeltà. Lo ha deciso la suprema corte indiana, rispondendo ad una serie di appelli di nuore, mariti e suocere. In particolare il più alto tribunale indiano ha detto che la suocera può rimproverare la nuora, darle vestiti usati, eventualmente schiaffeggiarla o prenderla a calci e riprendersi i regali fatti durante le nozze. La decisione della corte, riportata dall'agenzia PTI, è arrivata a seguito del ricorso di una donna indiana che, già alla sua seconda esperienza matrimoniale, ha accusato la suocera di crudeltà ed il marito di complicità con la madre. I giudici le hanno dato torto, ribadendo la vena educativa delle azioni della suocera ed il suo ruolo di madre. In India, dopo il matrimonio, la sposa va a vivere con il marito a casa dei genitori di quest'ultimo dove, il più delle volte, viene in realtà schiavizzata dalla suocera. Gli stipendi vengono consegnati tutti al padre dello sposo che distribuisce i soldi tra i componenti della famiglia, mentre alla sposa resta l'obbligo delle pulizie e di badare alla casa. Nel caso in cui la coppia non riesca ad avere figli o abbia una figlia femmina, i suoceri incolpano della cosa la nuora. Anche la dote di quest'ultima viene totalmente incamerata dai suoceri. Non a caso ci sono parecchi casi di suicidi tra le spose e denunce di maltrattamenti nei confronti delle suocere. La sentenza della suprema corte è destinata a scatenare le proteste dei movimenti femministi che stanno aumentando nel paese. CONCLUSIONI La strada da percorrere è ancora molto lunga e difficile e gli ostacoli sono numerosi,ma pian piano le donne stanno opponendo resistenza per ottenere un ruolo all’interno della società,e per ottenere le pari opportunita’per entrambi i sessi nella sfera privata,nel mondo politico ed economico.