perché non si sposano

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perché non si sposano
Giuseppe Governanti
perché
non si sposano
il celibato
imposizione medievale
mortificante
Ai miei figli affinché, in un mondo addormentato dai “poteri”,
amplino le loro conoscenze attraverso la ricerca e il confronto, con
umiltà e rigore.
Giuseppe Governanti
La ricerca della verità è una porta sempre aperta attraverso la
quale le molte verità confliggono
e si annullano.
Il confronto in umiltà abbatte gli
ostacoli, stempera gli assolutismi
e avvicina gli uomini. (G. G.)
prefazione
Data l’età media di preti e suore,
fra venti anni ci saranno pochissimi preti. Ci sono 25 mila sacerdoti
sposati in USA e circa 150 mila in
tutto il mondo che non possono
essere usati perché la Chiesa applica una regola medioevale che
ha imposto il celibato.
(Monsignor Milingo)
la sfida di monsignor milingo
Sua eccellenza monsignor E. Milingo sposa a 71
anni, 27 maggio 2001, la signorina Maria Sung Rien,
destando clamore e sconcerto tra i cattolici. Il matrimonio viene celebrato dal Reverendo Sun Myung
Moon, fondatore della Chiesa dell’Unificazione alla
quale Monsignor Milingo aveva precedentemente
aderito.
Chiesa dell’Unificazione (Associazione spirituale per l’unificazione del mondo cristiano)
È una delle tante sette religiose cristiane, fondata dal Rev. Moon in Corea nel Maggio del 1954.
Si propone la redenzione dell’umanità attraverso
la formazione della “famiglia benedetta” e, quin-
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di, si considera ecumenica e missionaria. Il testo
“Principio Divino”, attribuito al Rev. Moon, contiene i principi fondanti della dottrina: creazione,
caduta (peccato), restaurazione (redenzione). Dio,
profondo amore, creò gli uomini per avere un
oggetto da amare ed essere felice. Nel creato c’è
l’aspetto duale della mascolinità e della femminilità, derivato da Dio. Adamo ed Eva, espressione
di questa dualità, unendosi in matrimonio, ma
solo dopo aver raggiunto la maturità, avrebbero
generato nella purezza, come “Veri Genitori”, dei
figli di Dio, vivendo in armonia e pace. Ma il disegno di Dio non si realizzò perché Eva ebbe una relazione sessuale con Lucifero (peccato originale)
e poi con Adamo, prima del tempo stabilito. Ciò
determinò la fine del legame tra l’uomo e Dio, che
divenne un Dio della sofferenza. Così, la Trinità
originaria (Dio, Adamo, Eva) non fu costituita.
Dio non rinuncia al suo disegno e manda sulla
terra un Messia, Gesù, per riscattare l’umanità e
realizzare ciò in cui Adamo ed Eva avevano fallito.
Ma il popolo ebraico lo tradisce crocifiggendolo
e impedendogli di realizzare compiutamente la
sua missione. La salvezza portata da Gesù è solo
spirituale perché non si sposò. L’umanità, quindi, rimase nell’attesa di un secondo Messia. Nascerà come un uomo, si sposerà, avrà figli, creerà
la famiglia perfetta, unificherà tutte le religioni,
stabilendo il regno di Dio sulla terra e così sarà
realizzata la Trinità (Dio, il secondo Messia e la
moglie). Da tutto ciò si evince che il celibato è da
evitare poiché la redenzione fisica si realizza solo
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attraverso l’unione tra uomo e donna. I matrimoni di gruppo celebrati dal Reverendo e da sua moglie, pertanto, occupano un ruolo centrale nella
liturgia della Chiesa. Il secondo messia è, senza
dubbio, il Rev. Moon, in quanto, stando alle scritture, doveva nascere in Corea tra il 1917 e il 1930. Il
Reverendo nasce in Corea nel 1920.
Prima dell’incontro con Giovanni Paolo II, il 7
Agosto 2001, in conseguenza del quale lasciava la
moglie e faceva ritorno a Roma, accettando di ritirarsi in meditazione, affidato alle cure dei focolarini,
monsignor Milingo così scriveva: “Relazioni clandestine e matrimoni, figli illegittimi, omosessualità
rampante e sesso illecito hanno infestato il sacerdozio al punto che la Commissione ONU per i diritti
umani ha investigato la Chiesa per abusi sessuali”
(The Post dell’Agosto 2001 – Lusaka).
Ciò non gli impediva di scrivere una lettera a
Giovanni Paolo II (11 Agosto 2001) intrisa d’umiltà e di ravvedimento: “Sua Santità Papa Giovanni
Paolo II, io sottoscritto, […] dopo avere concluso il
colloquio sulla questione in discussione: […] io in
questo momento reimpegno la mia vita nella Chiesa
Cattolica con tutto il cuore, rinuncio alla mia convivenza con Maria Sung e ai miei rapporti con il Rev.
Moon […]”.
Dopo varie vicende che lo hanno visto protagonista e dopo un periodo di lunga assenza (2004
– 2006) dalla vita pubblica, riappare a Washington
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(12 Luglio 2006) dove annuncia di essere tornato a
vivere con la moglie. Accanto vi sono l’arcivescovo
George Augustus Stallings fondatore della “Congregazione dei cattolici afroamericani” e l’arcivescovo
Patrick Trujillo della “Old Catholic Church in America”, entrambi sostenitori dell’abolizione del celibato sacerdotale.
La Chiesa di Roma lo invita alla riconciliazione
per non incorrere nella sospensione a divinis.
La sospensione a divinis misteris celebrandis (sospensione dalla celebrazione dei misteri divini) è
una punizione disciplinare che la Chiesa applica
ai sacerdoti colpevoli di gravi mancanze disciplinari. Essa è disposta di norma per i sacerdoti che
contraggono matrimonio, con o senza la dispensa,
perché l’autorità ecclesiastica non ritiene opportuno che essi continuino ad esercitare il ministero
sacerdotale: i sacerdoti sospesi non possono amministrare i sacramenti né celebrare a messa e la
confessione – unica deroga la necessità di confessare un moribondo. Gli atti esplicati durante
la sospensione, che può essere parziale e sospesa,
divengono illeciti ma non invalidi.
Monsignor Milingo non risponde e continua a
sostenere l’abolizione della regola del celibato.
Ordina vescovi quattro sacerdoti sposati, appartenenti all’associazione “Married Priests Now”.
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Così, assieme ai quattro sacerdoti, è scomunicato
latae sententiae per aver violato il canone 1382 del
Codice di Diritto Canonico (un vescovo non può
consacrare un altro vescovo senza il mandato pontificio).
La scomunica, tra le tre censure ecclesiastiche (interdetto, sospensione a divinis, scomunica) previste dal Codice di Diritto Canonico, è la più grave. La scomunica latae sententiae (letteralmente:
sentenze emesse) colpisce in modo automatico, in
altre parole senza l’intervento diretto dell’autorità ecclesiastica, il sacerdote che si macchia di ben
precisi delitti canonici. Il canone 1382 così recita:
“Il Vescovo che senza mandato pontificio consacra
qualcuno Vescovo e chi da esso ricevette la consacrazione, incorrono nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica”.
Monsignor Milingo non accetta la scomunica e il 27
Settembre, in una conferenza a Washington, dichiara anche in nome dei quattro vescovi da lui ordinati:
“Non accettiamo la scomunica e amorevolmente la
rimandiamo al nostro amato Santo Padre, perché la
riconsideri”. Invita, quindi, Benedetto XVI a riaccogliere i preti sposati nella Chiesa cattolica, sostenendo di aver agito “come gli apostoli” nel nominare
i vescovi. “Il nostro unico obiettivo – continua – è
riportare il sacerdozio sposato nella Chiesa” e dare
modo a 150 mila preti sposati al mondo di riprende11
re il loro servizio sacerdotale interrotto “per colpa di
una regola medievale della Chiesa che impone loro il
celibato”. Conclude, infine, ricordando che la Chiesa “ha sempre avuto preti sposati, era la norma per
dodici secoli, trentanove papi erano sposati […]”.
Questa presa di posizione rappresenta l’epilogo
di un dramma cominciato, come abbiamo visto, nel
2001 col matrimonio con Maria Sung.
La vicenda di Mons. Milingo rappresenta una sfida al Vaticano, in piena coscienza e consapevolezza,
sul celibato, una rottura col passato, un tentativo di
rinnovamento. Apre un capitolo nuovo nella storia
millenaria della Chiesa, che riguarda il rapporto tra
il sacerdozio e il celibato, divenuto dogma (fu introdotto nel diritto canonico solo nel 1917), e tra i sacerdoti e i fedeli che pensano, con poche eccezioni, che
il celibato sia nato assieme al Cristianesimo.
Codice di diritto canonico (Codex Juris Canonici)
Il CIC è l’insieme delle norme giuridiche della
Chiesa Cattolica che regola l’attività dei fedeli, le relazioni interecclesiastiche e con la società
esterna. È composto di sette libri comprensivi di
1752 canoni. Pio X nel 1915 decise di riprendere un
progetto di Pio IX e, quindi, unificò in un unico
codice le varie leggi promulgate in situazioni e
tempi diversi. L’opera fu completata dal successore Benedetto XV nel 1917. Fu Giovanni Paolo II a
promulgare il 25 Gennaio 1983 la versione riformata del CIC. Il titolo rimane invariato, mentre
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il testo ufficiale è scritto in latino. Il paragrafo 1
del canone 277 (Titolo III, Capitolo III, Obblighi
e diritti dei chierici) così recita: “I chierici sono
tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il Regno dei cieli, perciò sono
vincolati al celibato, che è un dono particolare
di Dio mediante il quale i ministri sacri possono
aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso
e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente
al servizio di Dio e degli uomini”. “I chierici si
comportino con la dovuta prudenza in rapporti
con persone la cui familiarità può mettere in pericolo l’obbligo della continenza oppure suscitare
lo scandalo dei fedeli (paragrafi 1 e 2)”. Il canone
291 (Titolo III, Capitolo IV, La perdita dello stato
clericale): “[…] la perdita dello stato clericale non
comporta la dispensa dell’obbligo del celibato:
questa viene concessa unicamente dal Romano
Pontefice”. L’opera del monaco camaldolese Giovanni Graziano “Concordia discordantium canonum” (meglio conosciuta come “Decreto di Graziano”), composta attorno al 1142, rappresenta il
primo tentativo di dare ordine a quanto la Chiesa
aveva stabilito sull’obbligo del celibato. L’obbligo della continenza è trattato nelle “distinzioni”
dalla 26 alla 34 e dalla 81 alla 84. A sostegno di
quanto scrive G. Graziano, Raymundo da Penafort (Liber Extra di papa Giovanni Gregorio IX)
così si esprime: “I vescovi, i sacerdoti, i diaconi
devono osservare la continenza anche con le loro
spose. Questo hanno insegnato gli apostoli con il
loro esempio e anche con le loro disposizioni…”.
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Tale obbligo si fonda su una duplice ragione: “Sia
la purezza sacerdotale, affinché così possano ottenere in tutta sincerità ciò che con la loro preghiera chiedono a Dio; la seconda ragione è che
possono pregare senza impedimenti ed esercitare
il loro ufficio, perché non possono fare le due cose
insieme: cioè servire la moglie e la Chiesa”.
Per una monarchia assoluta quale è la Chiesa, storicamente retriva a rivedere le proprie abitudini e
i propri convincimenti in relazione al divenire sociale, dove le contestazioni emerse vengono opportunamente celate, Mons. Milingo, con la sua presa
di posizione ardita e netta di farla finita col celibato,
è un rivoluzionario pericoloso che va emarginato
un po’ alla volta, senza creare traumi all’interno
dell’istituzione religiosa e tra i fedeli.
È giusto che i sacerdoti si sposino? È una domanda
alla quale le autorità religiose devono dare una risposta convincente.
È una domanda alla quale i cattolici devono rispondere e per farlo devono sapere, attraverso un
excursus storico, che il celibato del clero fu istituito
in maniera ufficiale (le sacre scritture, quindi, non
ne parlano) nel Concilio d’Elvira (Spagna 300 – 313)
e solo per il clero spagnolo.
È interessante riportare stralci del carteggio intercorso, dopo il matrimonio tra Mons. Milingo e
Maria Sung, tra la Santa Sede e Monsignor Milingo,
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il quale ormai sembra definitivamente avviato verso
la formazione di una nuova Chiesa.
— Il 28 Maggio 2001, Joaquin Navarro Valls, direttore della “Sala Stampa della Santa Sede”, rilascia
la seguente dichiarazione: “Ovviamente la Santa
Sede ha preso atto con vivo rammarico del gesto compiuto dall’Arcivescovo Mons. Milingo.
Con la partecipazione al rito pubblico di matrimonio presso la setta di Moon egli si è posto di
fatto fuori della Chiesa Cattolica. […] Egli però
non può essere considerato come vescovo della
Chiesa Cattolica ed i fedeli sono invitati a trarre
le dovute conseguenze del suo comportamento e
delle sue azioni, che costituiscono il presupposto
per le previste sanzioni canoniche […]”.
— Il 16 Luglio 2001, si ha la “Notifica della Congregazione per la dottrina della fede” presieduta dal
Prefetto Cardinal Ratzinger (oggi Papa Benedetto
XVI) e dal segretario Tarcisio Bertone (oggi, Segretario di Stato e Camerlengo di Santa Romana
Chiesa) : “La Congregazione per la Dottrina della
Fede […], in ossequio al compito suo proprio di
tutelare la fede e la morale nella vita della Chiesa,
si trova nella necessità di procedere, secondo la
mente del canone 1347 comma 1 del CIC. […] La
stessa Congregazione […] intima all’Arcivescovo
Milingo, a norma del succitato canone 1347 comma 1 del CIC, la seguente pubblica ammonizione canonica: a) di separarsi dalla signora Maria
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Sung; b) di rompere ogni legame con la setta Family Federation for World Peace and Unification;
c) di dichiarare pubblicamente la sua fedeltà alla
dottrina e alla prassi ecclesiastica del celibato e
di manifestare la sua obbedienza al Sommo Pontefice con un gesto chiaro ed inequivocabile. Nel
caso che a detta ammonizione non segua, entro
il 20 Agosto p.v., un formale atto dell’Ecc.mo Milingo di esecuzione di quanto sopra richiestogli,
si procederà all’irrogazione della scomunica riservata alla Sede Apostolica”.
— L’11 Agosto 2001, Mons. Milingo così scrive a
Maria Sung: “Alla mia sorella Maria Sung pace
in Cristo. La mia Madre Chiesa Cattolica mi ha
chiamato a ritornare nel suo ovile […] le persone che mi aspettano sono molte […]. Le parole
del Santo Padre mi hanno commosso: “in nome
di Gesù Cristo ritorna nella Chiesa Cattolica”. Il
mio vivo desiderio è quindi di obbedire al Santo
Padre e sottomettermi alle leggi della Santa Madre Chiesa. Io ti amo come sorella. Continuerò a
pregare per te per tutta la mia vita, il Signore ti
benedica”.
— Il 14 Agosto 2001 Mons. Milingo invia una lettera
a Giovanni Paolo II: “Sua Santità Giovanni Paolo
II, io sottoscritto, dinanzi a Sua Eminenza Cardinale Giovanni Battista Cheli e Sua Eccellenza
Arcivescovo Tarcisio Bertone, dopo aver concluso il colloquio sulla questione in discussione:
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tramite il loro consiglio e fraterna correzione, e
quella da parte di Sua Eccellenza Mons. Stanislao, io in questo momento re–impegno la mia
vita nella Chiesa Cattolica con tutto il cuore, rinuncio alla mia convivenza con Maria Sung e ai
miei rapporti con la Federazione di Famiglie per
la Pace Mondiale. Soprattutto le sue parole: “nel
nome di Gesù, ritorna nella Chiesa Cattolica”,
sono state sia un richiamo alla mia Chiesa Madre sia un ordine paterno rivolto a me per vivere
la mia fedeltà e obbedienza a Lei, Rappresentante
di Gesù sulla Terra, capo della Chiesa Cattolica.
Raccomandandomi alle sue preghiere e alla Sua
Benedizione, io sono il suo umile e obbediente
servo, Arcivescovo E. Milingo”.
— Il 22 Agosto 2001, il Direttore della Sala Stampa
della Santa Sede, Dr Joaquin Navarro Valls rilascia ai giornalisti la dichiarazione: “Mons. Milingo incontrerà la Signora Maria Sung per comunicarle le sue decisioni. Sia questo incontro che
le condizioni di esso sono state decise da Mons.
Milingo nella sua totale libertà: la Santa Sede non
può né vuole imporre nulla alla coscienza dell’arcivescovo”.
— Il 25 Agosto Mons. Milingo scrive al Santo Pontefice: “Santo Padre, mentre Le dico grazie, Santo
Padre, mi rendo conto che questo breve e semplice “grazie” è troppo poco […]. Ha pronunciato
parole che ancora risuonano nelle mie orecchie:
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“Nel nome di Gesù, torni alla Chiesa Cattolica”.
[…] Come figlio prodigo Lei mi ha inviato a Sua
Eccellenza l’Arcivescovo Bertone. […] Era come
se Lei dicesse: “Milingo era morto ed è tornato
alla vita. […] Ho capito le sue parole […]. Voglio muovermi insieme a Lei, Santo Padre, con i
miei fratelli Vescovi, con tutta la Chiesa Cattolica […]”. Chiedendo le Sue benedizioni, amore e
perdono, io sono, Santo Padre, Suo umile e obbediente servo, Arcivescovo E. Milingo”.
— Il 29 Agosto 2001 Mons. Milingo incontra Maria Sung all’Hotel Arcangelo alla quale consegna
una lettera, resa pubblica da Joaquin Navarro
Valls: “[…] Il mio impegno nella vita della Chiesa, tramite il celibato, non mi permette di essere sposato. Il richiamo della mia Chiesa al mio
primo impegno è giusto. […] Io sono consapevole della tua sofferenza, io sono con te in tutte le
tue sofferenze, pregando per te ogni giorno. Non
soltanto io, ma ci sono tanti che sono con te. La
benedizione di Dio ti accompagnerà per tutta la
tua vita. Con sincerità.
— L’8 Settembre 2006, il prefetto della “Congregazione dei Vescovi” Cardinale Giovanbattista Re
invia una lettera di “ammonizione canonica” a
Mons. Milingo con la quale lo invita a scrivere
entro il 15 Ottobre una lettera di pentimento al
Papa per non incorrere nella “sospensione canonica” prevista dal diritto clericale. Non è difficile
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avvertire nella lettera un disdicevole atto di violenza che coinvolge assieme a Mons. Milingo i
tanti preti sposati e le loro famiglie, non solo mogli ma, soprattutto, figli innocenti. Simili lettere,
che rappresentano una sottile e grave forma di ricatto per i sacerdoti e i loro familiari, alimentano
il pregiudizio popolare, fondato sull’ignoranza, e
svegliano in loro un ampio senso di colpa come
se dovessero provare vergogna di un sentimento
pulito, quale è l’amore.
— Il 3 Novembre 2006, Mons. Milingo scrive al
Papa Benedetto XVI e ai Vescovi della Conferenza episcopale degli USA una lettera con la
quale chiede che la Chiesa Romana richiami “i
sacerdoti sposati nel pieno esercizio ministeriale
della Chiesa”: “La Chiesa ha sempre avuto al suo
interno sacerdoti sposati e Gesù chiamò al suo
interno uomini sposati selezionati a diventare
suoi apostoli. […] Una prassi alla quale è necessario ritornare perché molte parrocchie nel mondo non hanno sacerdoti sufficienti per servire il
popolo di Dio. […] La soluzione alla crisi e alla
chiusura dei luoghi di culto è semplice: richiamare in servizio i preti sposati”.
— Il 27 Novembre 2006, il Cardinale Re scrive a
Mons. Milingo: “Il Santo Padre ha ricevuto le lettere che Vostra Eccellenza gli ha inviato il 10 e
13 Ottobre u.s., nelle quali da un lato manifesta
il desiderio di serbare un affetto filiale per Lui e
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per l’unità della Chiesa di Cristo, dall’altro contraddice lo stesso intento, dato che tacitamente
è incorso nella scomunica latae sententiae comminata dalla Santa Sede, come previsto dal canone 1382 del C.I.C., perché il 24 Settembre 2006
ha consacrato quattro vescovi. […] Lei è consapevole che sono gravemente illecite, illegittime
e non saranno mai accettate in quanto di grave
danno per la Chiesa e per il Popolo di Dio. Allo
stesso modo Lei sa che questi atteggiamenti La
responsabilizzano davanti a Dio, gravandola di
un peccato grave che, naturalmente, La escluderà
dalla Chiesa con la scomunica. Con l’Associazione Married Priests Now da Lei fondata è andato
contro la volontà di Cristo e della Chiesa, la quale
non approverà né mai istituirà una simile associazione. Stando così le cose, ritengo mio dovere
ricordarLe, che il celibato presbiterale, liberamente scelto e basato sul dono di sé a Cristo è di
un tale valore […] La Chiesa Latina […] desidera
mantenere il celibato del sacerdozio ministeriale
gerarchico, perché lo ritiene un bene così prezioso, che nulla sarebbe in grado di sostituirlo. […]
Le ripeto, quindi, che il suo comportamento è
gravemente errato e immorale e Lei si è escluso
apertamente dalla comunione gerarchica con il
Romano Pontefice e con il Collegio Episcopale:
non c’è altra via di salvezza per la Sua anima, se
non quella della conversione. […] La Chiesa Le
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chiede di avere l’umiltà e il coraggio di riconciliarsi con Dio e con il successore di San Pietro,
affidandosi alla misericordia di Dio, per riavere
la pace e ottenere ancora una volta la gioia della
grazia e della dignità perduta. […] Con l’augurio
di ogni bene […]
— È interessante il contenuto di una lettera del 29
Gennaio 2007 in risposta al cardinale Re del
prete sposato Antonio de Angelis: “È ridicola e
contraddittoria l’implorazione del Cardinale Re
all’Arcivescovo Milingo di recedere dalla prelatura dei preti sposati nel nome della Chiesa di
Pietro se lo stesso Pietro, primo papa voluto da
Cristo, era sposato con Perpetua ed aveva una
figlia di nome Domitilla. […] Fu la Chiesa medievale del primo millennio a imporre il celibato
del clero nel 1139 con papa Innocenzo II perché
i preti fossero più disponibili a seguire i crociati
[…]. Celibato innaturale che da allora produsse
i crimini della clandestinità delle famiglie del
clero, con figli clandestini, aborti indotti, situazioni disumane giudicate ipocritamente illegali
dai tribunali dell’Inquisizione ecclesiastica che
fece salire al rogo migliaia di persone innocenti.
L’allontanamento sempre contro natura dei minori dalle loro famiglie per chiuderli nei seminari maschili e nei conventi femminili secondo le
nuove norme del Concilio di Trento del 1545, incominciò a creare situazioni di squilibri mentali
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e deformazioni sessuali come la pedofilia, l’omosessualità e il lesbismo, tutte situazioni anomale
e criminose che sono a tutt’oggi sotto gli occhi
delle cronache quotidiane per opera di cardinali,
vescovi, monsignori e parroci. Non sono quindi
i preti sposati, cara eminenza cardinale Re, a dover chiedere perdono alla Chiesa di Pietro ma il
clero celibe”.
— Il 13 Dicembre 2006, Mons. Milingo risponde
al Cardinale Re, indirizzando la lettera al Papa:
“Santo Padre, grazie per la Sua cortese risposta
attraverso il Cardinale Re. […] Noi vogliamo i
Suoi consigli, li rispettiamo e ne facciamo tesoro.
[…] Abbiamo veramente bisogno di un dialogo
più sostenuto. […] Affermiamo apertamente che
non intendiamo né vogliamo tagliarci fuori dalla
Madre Chiesa. Crediamo che abbiamo un grosso
contributo da offrirLe attraverso l’Associazione
Married Priests Now! Prelatura, che migliorerà la vita dei nostri preti e arricchirà la Chiesa.
[…] Auspichiamo inoltre che, a tempo debito, nel
prossimo futuro, possiamo essere messi in grado di incontrarLa […] per dibattere questo argomento e aiutare a risolvere la nostra situazione.
[…] La Chiesa continuirà ad essere una istituzione di paura e di castigo o di perdono e di amore?
La sua lettera non sembra offrire nessun indizio
di cambiamento nell’ingiusto e radicale obbligo del celibato come condizione richiesta per
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il presbiterato. […] Noi sosteniamo la necessità
del celibato, specialmente per i preti degli ordini religiosi, chierici o altro, che di fatto lo hanno
scelto liberamente. Può essere una libera scelta,
solo se non viene imposto come requisito per un
incarico o per un’attività il celibato di per sé è
un bene. Non siamo contrari per partito preso,
deve essere facoltativo e non una condizione indispensabile per il presbiterato. […] Non stiamo
cercando delle novità, ma solo il ritorno a quello che la Chiesa aveva all’inizio e cioè i preti e i
vescovi sposati. Prima di tutto Cristo ha scelto
dei preti sposati. San Pietro era un uomo sposato. I primi secoli della Chiesa hanno visto papi,
vescovi, preti e diaconi sposati. Nel Rito Latino
il presbiterato uxorato ha prosperato per i primi
dodici secoli. […] L’obbligo al celibato è diventato un idolo, un vitello d’oro. Ma Dio ha ordinato: “Non preferite gli idoli a me”. Abbattiamo il
vitello d’oro del celibato obbligatorio, prima che
esso distrugga la Chiesa intera! Com’è possibile
dare più valore al celibato che al matrimonio? I
preti sposati non servono il Signore con uguale
dedizione, non Lo amano con la stessa misura
dei loro fratelli celibi? La santità del matrimonio
eleva il ministero presbiterale e lo porta più vicino al Popolo di Dio. La famiglia del prete diventa
un modello di come dovrebbe essere la famiglia
cristiana: un riflesso dell’amore della Trinità, la
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comunione di tre persone nell’amore di una sola.
[…] Se lo ricordi bene: il matrimonio è un sacramento il celibato no. È una scelta. Il matrimonio
è tanto sacro quanto il presbiterato. Tutti e due
sono sacramenti alla stessa maniera. Il celibato
non diventa mai un sacramento e nulla aggiunge
al presbiterato. Se il celibato è scelto liberamente
è un grande dono ma è distinto dal presbiterato.
E non può mai diventare un dono maggiore di
quello del matrimonio dei preti sposati. Siccome
il matrimonio è un sacramento e viene da Dio, è
una chiamata più eminente di quella del celibato. […] Come può la chiamata di Dio alla santità
del clero essere in contrasto con la chiamata alla
santità degli sposati? […] La Chiesa statunitense
ha visto piombare sui vescovi e sul clero la vergogna e la disgrazia della crisi della pedofilia,
mostrando così che l’abuso criminale dei bambini da parte dei preti cattolici romani è ampio
e diffuso almeno quanto quello di altre categorie
non votate al celibato. Questa è la prova esplicita
che il carisma del celibato […] per molti non è affatto quel segno, ma piuttosto una disciplina che
li ha indotti all’esecrabile bisogno di nascondere
la verità. Ciò ha procurato un danno incommensurabile alla causa di Cristo. I fedeli non hanno
più fiducia nei loro preti celibi. […] Riprendere la
tradizione del clero sposato potrebbe aiutare a ristabilire quella credibilità che è stata gravemente
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danneggiata dallo scandalo della pedofilia. […]
Dio Onnipotente nel giorno del giudizio, chiamerà il Pastore di Roma a rendere conto della
Sua coscienza e di come ha pascolato il gregge.
Quante persone vengono private del cibo eucaristico per il viaggio terreno a causa della presuntuosa legge del celibato? Questa norma è in
contrasto con l’insegnamento più importante del
Cristo: “Fate questo in memoria di me (L 22, 19)”.
[…] Riferendosi ad alcuni documenti, Lei ha affermato: “Non si potrà mai sperare che la Chiesa
riammetta nell’esercizio ministeriale quei preti
che sono venuti meno al celibato e hanno finito
per sposarsi”. Gesù offrirebbe il perdono e direbbe: “chi di voi è senza peccato scagli la prima
pietra (Gv 8, 7)”. La sua risposta, invece da adito
a delle eccezioni, perché sa bene che diversi preti
divorziati sono stati riammessi al pieno esercizio
del ministero anche se non hanno provveduto
al mantenimento della moglie e dei figli. La più
grande preoccupazione della Chiesa non è il celibato, ma il matrimonio e la donna. Essa denigra
e opprime le donne. La riammissione dei preti divorziati costituisce un precedente. Ma è un
precedente infelice, perché avviene solo in funzione dello strappo del matrimonio e della famiglia. Noi speriamo che lo Spirito Santo prevarrà e
che i preti sposati, che resistono dignitosamente
con le loro mogli, torneranno ad esercitare anche
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nel Rito Latino. […] Il peccato non grava sui preti ma sul Papa e i Cardinali che hanno imposto
il celibato obbligatorio a dei giovani inesperti. Il
diritto dell’uomo al matrimonio è inalienabile e
non può essere impedito neppure in nome del lavoro più idealizzato e nobile che ci sia. Il requisito del celibato è una forma di ricatto spirituale e
di estorsione. Una richiesta disumana. La Chiesa
ha sbagliato verso questi preti e ne ha tratto vantaggio per il bene dell’istituzione. Perché non ha
firmato la “Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo” promulgata dalle Nazioni Unite?
Potrebbe essere anche perché l’imposizione del
celibato nega i diritti dovuti ad uomo e ad ogni
donna? […] Al Sinodo del 2005 c’è stata ampia
discussione sul celibato e molti eminenti cardinali e vescovi sono intervenuti per sostenerlo…
[…]. C’è bisogno di nuovi riferimenti sul clero
uxorato e non di vecchie citazioni circa il celibato
perfetto.
Fausto Marinetti, a nome di un gruppo di preti sposati, scrive “ai fratelli di fede” una lettera aperta che
vuole essere la summa chiara delle motivazioni che
hanno indotto un gruppo sempre crescente di sacerdoti a lasciare l’abito talare e sposarsi e l’evidente
colpa della Chiesa che sembra non comprendere le
esigenze dei suoi sacerdoti, sempre più chiusa in una
torre d’avorio che la isola dal mondo e dalle nuove
esigenze legate all’inarrestabile progresso tecnologi26
co e sociale. La lettera pone, altresì, delle domande
alle quali la Chiesa deve rispondere perché rappresentano “il problema” che può, se non correttamente
e saggiamente guidato, condurla alla rovina assieme
all’umanità.
“Il caso Milingo ci invita a considerare il celibato
dei preti oltre la superficialità della cronaca mondana. I fatti del giorno, realtà di Dio, Signore della
storia, ci sollecitano ad andare oltre i luoghi comuni
per crescere in età e grazia. Proviamo a ricordarli:
— Nonostante le asserzioni di principio, si continua
a considerare la sessualità come intrinsecamente pericolosa, impura, cattiva, disdicevole per il
funzionario del culto. Il piacere è considerato
opera del diavolo, il femminile il più rovinoso
concorrente di Dio. […] Non ci siamo liberati dal
dualismo e dal manicheismo culturale, che vede
la corporeità con gli occhiali neri. Eppure Dio
continua a dire che “tutto è buono, che nulla è
profano, impuro ai suoi occhi e a quelli di coloro
che amano. Non è ciò che entra nel corpo, ma ciò
che esce dal cuore che inquina l’uomo”.
— Si usa ripetere che il celibato dei preti è libero.
Quale libertà se la loro scelta è condizionata al celibato? Come può essere libero chi viene coltivato
in un ambiente dove si fa di tutto per smaterializzarlo, sacralizzarlo, angelizzarlo, distruggendo la sua umanità? Il clima di ossessione (nega
il tuo corpo, la donna è tentazione, le pulsioni
27
sono peccato), deterrenza (se vieni meno, sei un
giuda traditore), terrorismo psicologico in cui
cresce il candidato, non annulla la sua capacità
di scelta? Eppure i seminari minori chiusi in occidente, scoppiano di aspiranti nel terzo mondo
(nuova vittima della storia, che paga per i peccati del mondo e della Chiesa?) dove si continua
ad applicare metodi che si sono rivelati inumani e fallimentari. Reclutare, fare proselitismo di
ragazzini per indottrinarli è, secondo i dettami
dei diritti umani delle Nazioni Unite, un crimine contro l’umanità. Purtroppo la Chiesa non ha
sottoscritto questo documento, perché sarebbe
tenuta a non discriminare le donne e a non fare
incetta di minorenni.
— Non è temerarietà indurre in tentazione dei giovani immaturi, i quali, fino a una certa età, sono
trascinati dall’ideale della salvezza delle anime
(quindi dimenticano i corpi!) e poi, quando si fa
sentire l’esigenza naturale della paternità, sono
costretti a fare i conti con il proprio essere complementare con quello dell’altro sesso? […] Quale manuale, quali strumenti vengono forniti per
affrontare la parete celibataria da sesto grado?
[…]
— Se il celibato, come si suol dire, fosse un dono
speciale, non sarebbe ingiusto e capriccioso quel
Dio che lo dà a chi vuole, facendo distinzione di
persone, privilegiando alcuni a scapito di altri?
28
Se questo carisma fosse indispensabile per fare
il presbitero, allora non sarebbe tenuto a darlo a
tutti coloro che vi sono chiamati?
— Non è abbastanza chiara la rivendicazione paolina al diritto degli apostoli di essere “accompagnati da una moglie” (1 Cor 9, 5 ss)? Perché non
tornare alle origini, quando il presbitero era un
anziano di provata virtù, designato dalla comunità, coltivato nel e dal popolo di Dio? La prassi
apostolica non è una norma collaudata, più efficace della “legge canonica” valevole solo per i
cattolici di rito latino? Perché ciò che vale per la
Chiesa di rito orientale non è valido per quella di
rito latino? E i pastori protestanti che si convertono al cattolicesimo non continuano ad esercitare
il ministero con mogli e figli? I preti con famiglia
delle chiese clandestine dell’est sono forse diventati dei maniaci sessuali?
— Un terzo del clero abbandona. La perseveranza
sta diventando eccezione, il lasciare, regola. Non
è evidente che c’è più di qualcosa a monte, che
non va? E l’umiliante vergogna (altro che pari
dignità) delle donne schiave dell’amore di un
prete? E lo scandaloso crimine delle migliaia di
preti pedofili, senza calcolare gli alcolizzati, i gay,
gli alienati, quelli in cura psichiatrica, ecc. non
induce a riflettere se vale la pena mantenere una
norma canonica, cioè umana, semplicemente disciplinare? Non è troppo alto il prezzo del celiba29
to?
— […] Nel vocabolario di Cristo non esiste la parola scomunica. Nella sua legge il fratello è sempre fratello, il figlio, sempre figlio. L’amore non è
più ampio e più forte del limite umano? La storia
delle reciproche scomuniche, degli scismi, delle
inquisizioni, dei roghi e dei Santi Offizi non ci ha
insegnato nulla? La dichiarazione universale dei
diritti umani non è ancora arrivata in sacrestia?
[…]
Milingo, come tutti i figli di Adamo, compresi i prelati, non è esente da limiti, imprudenze, strumentalizzazioni. Ma il medico non dovrebbe cercare la
medicina piuttosto che il castigo? Come mai il padre
non scomunica il figlio prodigo, ma attende con ansia il giorno della festa?
Chiesa di Dio, che ti dichiari esperta in umanità,
non è ben più grave il peccato d’ingiustizia? Quando ti deciderai a condannare gli arricchiti a spese
degli impoveriti? Quando denuncerai l’ingiustizia
strutturale dei popoli bianchi e cristiani, che usano
i popoli del sud come i nuovi schiavi di un’economia di guerra infinita e globale? Quando scenderai
dal piedistallo della casta per seguire Cristo, che ha
scelto per palcoscenico solo una stalla e il Calvario,
pur di farsi fratello e sorella dei diseredati? Non ha
preferito farsi condannare piuttosto che condannare chiunque? Perché non disertare, finalmente!,
le corti dei grandi per abbracciare i crocifissi sen30
za strumentalizzare la loro croce? Come parlare di
civiltà dell’amore se non pratichiamo la giustizia,
non produciamo martiri per la salvezza dalla fame,
dall’AIDS, dallo sfruttamento organizzato con le
leggi del mercato? Alle vittime non interesserà tanto
il caso Milingo. Ma non hanno diritto di sapere da
che parte stai e non solo a parole?” (Roma 27 Settembre 2006)
Richiamarsi ad epoche apostoliche, come fa la
Chiesa Latina, per giustificare il celibato non è esplicativo né esaustivo, e mette in ambascia il fedele,
semplice e umile, sopraffatto da cotanto abbondante sapere, che non serve per far comprendere ma per
imporre dall’alto di una cattedra costruita su dogmi
terreni, situazioni e norme spesso molto lontane dal
Vangelo, testo ispirato e su cui si fonda il Cristianesimo. Molti apostoli, infatti, erano sposati e possibilmente lo era anche Paolo. È bene ricordare che
Paolo affermò esplicitamente che “un vescovo deve
avere una sola moglie” (1 Timoteo 3, 2; Tito 1, 6) e “i
diaconi siano mariti di una sola moglie, sappiano
governare bene i loro figli e la loro casa (1 Timoteo
3, 12). D’altra parte se venivi ordinato celibe, tale dovevi restare.
San Tommaso sostiene che Gesù non separò Pietro dalla moglie (la suocera di Pietro fu guarita da
Gesù: Matteo 8, 14; Marco 1, 29; Luca 4, 38) perché
non desiderava sciogliere un vincolo sacro agli occhi di Dio.
31
Il pesante influsso gnostico (decisamente sessuofobico) e l’interferenza di una cultura semibarbarica
nella quale la donna valeva molto poco condussero
ad una visione in cui la castità rimpiazzò la carità
come principale virtù evangelica. La religione diventò sempre più ascetica, casta, dolorosa e priva di
gioia e il piacere sessuale venne identificato come il
primo e più amaro frutto del peccato originale.
La regola di proibire ai preti di sposarsi dopo l’ordinazione sacerdotale divenne presto generale. Pur
dandogli ufficialità, il concilio di Nicea del 325 stabilì, comunque, che i preti già sposati avevano l’obbligo di tenere con sé la moglie, nonostante l’opposizione del vescovo di Roma che, ricordiamolo, solo
agli inizi del VII secolo fu chiamato “papa” (capo
di tutti i vescovi) e per di più dall’autorità politica,
l’imperatore Foca, in contrasto con il vescovo Ciriaco di Costantinopoli, che lo aveva scomunicato per
aver fatto assassinare il suo predecessore.
Gregorio I, il vescovo di Roma del momento non
accettò perché fedele alla tradizione episcopale del
cristianesimo dell’epoca: “Ma voi non vi fate chiamare maestro; perché uno solo è il vostro Maestro,
e voi siete tutti fratelli. Non chiamate nessuno sulla
Terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro,
quello che è nei cieli. Non vi fate chiamare guide,
perché una sola è la vostra Guida, il Cristo…” (Matteo 23: 8 – 10). Fu il vescovo successivo ad accettare
il titolo di papa con nome di Bonifacio III. Era stato
32
lo stesso Bonifacio nella sua doppia funzione di apocrisarius e di consigliere dell’imperatore a chiedere
ed ottenere un decreto imperiale che determinava
che “la sede di San Pietro l’Apostolo deve essere a
capo di tutte le Chiese”, affermando così che il vescovo universale (papa) appartenesse esclusivamente al vescovo di Roma.
33
storicità dell’esistenza di gesù
… il dio incarnato Quetzalcoatl nacque nel 300 a.C. da una
vergine immacolata chiamata
Chimalman e condusse una vita
umile e compassionevole, si ritirò poi nel deserto dove digiunò
per quaranta giorni, fu adorato
come un dio e infine venne crocifisso tra due ladri e dopo essere stato seppellito discese all’inferno e il terzo giorno resuscitò.
(Kersey Graves)
Il Cristianesimo è una religione monoteista con
forti legami alla religione ebraica, fondata nel secolo I sull’insegnamento attribuito a Gesù Cristo.
Pur tra mille cambiamenti, ha attraversato la storia
dell’umanità dall’Impero Romano ad oggi e, tra le
tante contraddizioni, ha rappresentato e rappresenta
per milioni di uomini un importante punto di riferimento.
Gesù è il comune nome ebraico Yesu, pervenuto
attraverso il greco dei vangeli Iesous e il latino Iesus. Il suo significato è “Dio è salvezza” (Mt 1, 21).
35
Viene indicato con diversi appellativi, quali Gesù
di Nazareth, Gesù nazareno, Gesù Cristo (dal greco Christos che letteralmente significa “unto” e
corrisponde al termine ebraico “messia” che dal
I secolo indicava i capirivolta ebrei del Regno di
Giuda). Gesù, parlando di sé, usava l’appellativo
“figlio dell’uomo” poiché s’identificava con una
profezia dell’antico testamento. I discepoli lo
chiamavano “rabbi” (maestro), in quanto esperto
d’esegesi sacra. Nei vangeli è chiamato anche “Figlio di Dio” e “Signore”, lo status riconosciutogli
dalle comunità cristiane.
Per la dottrina cristiana Gesù è il figlio di Dio fatto
uomo, venuto sulla terra per redimere l’umanità. Ma
Gesù, l’uomo, è realmente esistito, in altre parole è
storicamente esistito, come sono esistiti personaggi
suoi contemporanei come Ottaviano, Erode, …?
La tesi dell’inesistenza storica, dovuta alla scarsa
consistenza delle prove, porta gli studiosi sostenitori, a parlare di mito. Alle supposte prove dell’esistenza di Gesù, quindi, si dà la stessa valenza di quelle
attestanti l’esistenza di personaggi come Mitra, Dioniso, Sol invictus.
Sulla divinità indo–iranica Mitra, 3400 anni fa
circa, l’ideologia/leggenda afferma: nacque dalla
vergine Anahita; nacque in una grotta nella notte
tra il 24 e il 25 dicembre; fu detto il salvatore, la
luce, il verbo; ebbe 13 seguaci; morì a 33 anni; risorse dopo tre giorni.
36
D’altro canto gli Ebrei non riconoscono Gesù né
come profeta né come Dio, mentre i musulmani lo
considerano un profeta.
Data l’enorme distanza temporale che ci separa
dal periodo storico considerato, le prove dell’esistenza non sono, in ogni modo, del tutto certe. Si
può solo tentare una soluzione al dilemma ricorrendo a scrupolose indagini filologiche e storiche.
Filologia: il complesso delle indagini che mirano a riportare un testo alla sua forma originaria
(liberandolo da errori e rimaneggiamenti), a interpretarlo, a precisarne (quando vi siano dubbi)
l’autore, il periodo e l’ambiente culturale. (Dizionario Garzanti)
Ciò detto, va ricordato che la maggior parte dei documenti portati a sostegno dell’esistenza di Gesù è
“di parte” mentre sono molto pochi gli scritti non
cristiani che ne portano traccia.
Già non c’è accordo sul luogo e sulla data di nascita (Betlemme 7/4 a.C. ? – Gerusalemme 30/33).
Dionigi il Piccolo, vissuto a Roma nel VII secolo, rifacendosi ai vangeli e alle tradizioni, stabilì
che Gesù nacque nell’anno 754 dalla fondazione
di Roma e introdusse l’uso di contare gli anni
“ab incarnatione Domini nostri Jesu Christi” che,
a partire dall’VIII secolo, fu adottato in tutto il
mondo cristiano. Oggi, la maggioranza degli sto-
37
rici sostiene che il calcolo di Dionigi sia sbagliato
e che Gesù sia nato tra il 7 il 4 a. C.
I pochi testi d’autori non cristiani a noi pervenuti
che parlano di Gesù, riguardano autori greci, romani ed ebrei e risalgono quasi per intero al II secolo.
Non sono testi originali, ma copie che nel corso dei
secoli hanno di fatto subito oltre a danneggiamenti
dovuti a cattive riproduzioni, anche manipolazioni
e rimaneggiamenti “ideologici”.
Inoltre, autori coevi a Gesù nei loro scritti non lo
menzionano né fanno riferimento a fatti collegati a
lui o al Cristianesimo. Difficile intuirne le motivazioni che possibilmente furono legate sia allo scarso
interesse che Gesù rivestiva per la Giudea, sia alla
poca importanza data ad un profeta tra i molti di
cui allora era ricca la Palestina e che per di più aveva
predicato per pochi anni.
Né gli scrittori Filone (ca. 20 a.C. – 50 d.C.), Seneca (ca. 50 a.C. – 40 d.C.) e Plutarco (ca. 45 – 125) citano Gesù. Il che fa pensare o che Gesù, sebbene sia
esistito, sia stato una figura che in loro non ha suscitato interesse (al contrario, ricordano molte persone
che hanno avuto una minore importanza storica),
oppure che egli non sia affatto esistito.
Plinio il Giovane (23 – 70), informato testimone
delle vicende palestinesi dal 65 al 70, ignora completamente l’esistenza di Gesù.
38
Lo storico Giuseppe Flavio nel 93 d.C. pubblica
l’opera “Antichità giudaiche” in cui si fa riferimento
a Gesù, alla sua morte e resurrezione (Testimonium
Flavianum). Le copie pervenute fino a noi non sono
originali ma derivate da fonti cristiane, sulla cui autenticità si sono avute accese dispute sin dal secolo
XVII.
Giuseppe Flavio (ca. 37 – 103 d.C.), il cui nome originale era Joseph Ben Matthias (Giuseppe figlio di
Mattia), è uno storico ebreo di lingua greca. Partecipò ad una delle tante rivolte giudaiche contro
i Romani. Fatto prigioniero da Vespasiano, fu da
questi successivamente liberato. Così, per riconoscenza, ne assunse il nome Flavius. Opere: Antichità giudaiche, Guerra giudaica, Autobiografia).
Gli studiosi John Dominic Crossan e K.H. Rengstorff
sostengono che il testo è incoerente sia con riferimento allo stile di scrittura di Giuseppe Flavio sia a
fatti sicuramente a lui noti. Concludono, quindi, che
una parte o la totalità dei passi sia stata falsificata e
contenga interpolazioni cristiane.
Agapio di Hierapolis in un suo manoscritto arabo, scoperto nel X secolo (la storia del suo ritrovamento è avvolta nel mistero) riporta il passo di “Giuseppe l’Ebreo”.
Le indagini filologiche più recenti concordano
nel dare scarsa importanza al testo arabo anche se
39
non del tutto falso. D’altronde, Agapio riporta quanto affermato da Giuseppe Flavio.
Nella tabella sottostante sono riportati, perché
il lettore possa compararli e fare le sue deduzioni, i
testi di Giuseppe Flavio, quello sgrossato dalle interpolazioni cristiane, quello d’Agapio di Hierapolis e
quello conservato presso l’Università di Gerusalemme (prof. Shomo Pines):
Giuseppe Flavio: “Ci fu verso questo tempo Gesù
uomo saggio, se pur bisogna chiamarlo uomo:
era infatti autore di opere straordinarie, maestro
di uomini che accolgono con piacere la verità, ed
attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei Greci.
Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce,
non cessarono coloro che da principio lo avevano
amato. Egli, infatti, apparve loro al terzo giorno
nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini
profeti queste e altre migliaia di meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù
di quelli che, da costui, sono chiamati cristiani.”
J.D.Crossan – K.H. Rengstorff: “Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio; era infatti autore
di opere straordinarie (o nuove), maestro di uomini che accolgono con piacere la verità (o le nuove dottrine), ed attirò a sé molti Giudei, e anche
molti Greci. Quando Pilato, per denunzia degli
uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato.
Ancora oggi non è venuta meno la tribù di quel-
40
li che, da Costui, sono stati chiamati cristiani.”
Agapio di Hierapolis: “Similmente dice Giuseppe l’Ebreo, poiché egli racconta nei trattati che
ha scritto sul governo dei Giudei: ci fu verso quel
tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù,
che dimostrava una buona condotta di vita ed era
considerato virtuoso (o dotto), e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli.
Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte,
ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono alla sua dottrina e raccontarono che
egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente, il Cristo del
quale i profeti hanno detto meraviglie”. Prof. Shlomo Pines, testo conservato presso l’Università
di Gerusalemme: “A quell’epoca viveva un saggio
di nome Gesù. La sua condotta era buona ed era
stimato per la sua virtù. Numerosi furono quelli
che, tra i Giudei e le altre Nazioni, divennero suoi
discepoli. Pilato lo condannò ad essere crocifisso
ed a morire. Ma coloro che erano suoi discepoli non smisero di seguire il suo insegnamento.
Essi raccontarono che era apparso loro tre giorni
dopo la sua crocifissione e che era vivo. Forse era
il Messia di cui i profeti hanno raccontato tante
meraviglie.”
Alcuni studiosi sostengono che il teologo olandese
Gerhard Johann Vossius, vissuto nel XVII secolo,
era in possesso di un manoscritto delle “Antichità
giudaiche” in cui non si trovava traccia del riferimento a Gesù. L’esistenza del manoscritto, che oggi
41
si dovrebbe trovare in un museo dell’Aia, proverebbe la manomissione cristiana del documento. Ma di
un tale manoscritto non c’è traccia, né abbiamo un
qualche scritto dello stesso Vossius in cui sostiene
di possedere una copia delle Antichità senza il “testimonium”.
Nemmeno i primi Padri della Chiesa (Giustino,
Tertulliano, Cipriano), che avrebbero potuto usarlo nella lotta contro gli Ebrei, fanno riferimento al
“Testimonium Flavianum” e il teologo Origene, vissuto tra il 185 e 253, afferma, quasi a volerne rilevare
l’inattendibilità, che Flavio non era cristiano.
Così stando le cose, l’unico riferimento storico
certo su Gesù, esterno al Cristianesimo, si trova nel
libro XIV degli Annali di Tacito (55 – 117). Ma è solo
un breve accenno, che riporta voci che circolavano nel II secolo circa la responsabilità dei cristiani
nell’incendio di Roma: “Sed non ope humana, non
largitionibus principis aut deum placamentis decedebat infamia quin iussum incendium crederetur. Ergo
abolendo rumori Nero subdidit reos et quaesitissimis
poenis adfecit, quos per flagitia invisos vulgus Christianos appellabat. Auctor nominis eius Christus
Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat (Allora per zittire ogni
diceria, Nerone addossò la colpa di tutto ai Cristiani… I Cristiani prendevano il nome da Cristo che
era stato crocifisso per opera del procuratore Ponzio
Pilato, sotto l’impero di Tiberio)”.
42
Svetonio (70 – 126) nella “Vita di Claudio” (De
Caesarum) scrive: “Claudio espulse i Giudei da
Roma, visto che sotto l’impulso di un certo Christus
non cessarono di agitarsi (Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantis Roma expulit)”.
Infine, Plinio il Giovane (61 – 113), che era stato
inviato dall’imperatore Traiano nella provincia di
Bitinia e Ponto per reprimere le eterie (associazioni
segrete che turbavano l’ordine pubblico), scrive una
lettera allo stesso con la quale chiede consiglio sul
modo più idoneo di procedere contro le persone che
siano accusate d’essere cristiane (“…o mio signore…
non ho mai preso parte ad istruttorie a carico dei
cristiani…”) (Epistularum, x, 96).
È in ogni modo certo che Gesù era ebreo e che
era chiamato rabbi, come si legge nel Vangelo di
Giovanni: “Nel gruppo dei farisei c’era un tale che
si chiamava Niccodemo. Era uno dei capi ebrei. Egli
venne a cercare Gesù, di notte, e gli disse: – Rabbi,
sappiamo che sei un maestro… (Gv 3, 1 – 21)”.
Il biblista Mauro Pesce (“Inchiesta su Gesù” di
Augias – Pesce) afferma: “I testi evangelici, letti con
attenzione e senza preconcetti, dimostrano quanto
profondamente Gesù sentisse la propria ebraicità […]. Molte sue idee e parole, molte sue azioni si
comprendono solo se le si vede come manifestazione
del suo ebraismo”.
Nell’ebraismo non è mai esistito dovere alcuno di
celibato. Così, un rabbi del tempo di Gesù molto di
43
rado rimaneva celibe, poiché il suo atto sarebbe stato visto come un’inosservanza del primo mitzvah :
“sii fruttuoso e moltiplicati”.
Mitzvah: è un comandamento o precetto divino.
In tutto sono 613 e sono parte fondamentale della
Thorah, i primi cinque libri della “Bibbia ebraica”.
Con ciò non si vuole affermare che Gesù è stato sposato, ma solo indicare l’usanza ebraica per cui gli
ebrei maschi, specie se rabbi, dovevano costituire
una famiglia allietata da numerosa prole.
Benché il cristianesimo derivi dall’ebraismo,
questo non considera Gesù il Messia né gli riconosce
caratteristiche divine. Ritiene, inoltre, che il Messia
del vecchio testamento non sia ancora disceso sulla
Terra.
Lo studioso Leo Baeck in un suo saggio del 1938
(Il vangelo: un documento ebraico) cerca di dimostrare, servendosi di un’approfondita analisi filologica, che i vangeli, liberati da aggiunte paoline spiccatamente antigiudaiche, ci danno un messaggio
profondamente ebraico di Gesù. D’altro canto nelle
fonti ebraiche antiche non si trovano riferimenti a
Gesù.
44
il celibato nella storia della chiesa
La Riforma non fu un tentativo
di riformulare la fede cristiana
per una nuova era. Fu piuttosto
una battaglia su questioni che riguardavano gli ordini della Chiesa. Non era arrivato il tempo in
cui ai cristiani si sarebbe reso necessario ripensare ai segni fondamentali e distintivi del cristianesimo stesso.
Sono convinto che il mondo cristiano di oggi stia affrontando questo momento. Il cuore e
l’anima stessa del cristianesimo
saranno il contenuto di questa
riforma. Il dibattito che è stato
costruito per secoli è ora emerso
alla visione pubblica. Tutti i passati sforzi ecclesiastici per tenerlo
a bada e negarne l’esistenza hanno certamente fallito, e continueranno a farlo. La necessità di una
nuova riforma teologica parte da
quando Copernico e Galileo spostarono questo pianeta dalla sua
precedente, presunta collocazione al centro dell’universo, dove si
credeva che la vita umana si scaldasse sotto l’attenzione costante
di una divinità definita paterna.
(John S. Spong)
45
La dottrina cattolica, così come oggi la conosciamo,
si è formata nell’ampio spazio di venti secoli.
Dottrina: l’insieme delle regole e delle teorie su
cui si fonda una religione.
Numerose contraddizioni e aspre contese, che
derivarono da modi diversi d’intendere la “parola”
di Gesù, agitarono i primi secoli di storia del Cristianesimo che dovette combattere numerose eresie e
subire scissioni, l’ultima delle quali, per consistenza
numerica dei fedeli e importanza politica, possiamo
indicarla nella formazione della Chiesa anglicana.
La dottrina, quindi, fu elaborata attraverso vari
concili ecumenici o locali (diocesani, provinciali,
nazionali) e dalle opere dei tanti “padri” e “dottori”
della chiesa che sono tuttora punto di riferimento
d’ogni argomentazione teologica e giustificativa.
Concilio: assemblea di vescovi della chiesa cattolica per deliberare su materie dottrinali, disciplinari o di costume. Il concilio è ecumenico se
riunisce tutti o la maggior parte dei vescovi. Sono
considerati ecumenici solo quelli ratificati dal
Papa anche se non dallo stesso convocati. Il primo
concilio ecumenico fu convocato da Costantino
il Grande a Nicea nel 325, l’ultimo da Giovanni
XXIII a Roma l’11 Ottobre 1962. Concili ecumenici riconosciuti dalla Chiesa cattolica:
46
——Concilio di Nicea I (325)
——Concilio di Costantinopoli I (381)
——Concilio d’Efeso (431)
——Concilio di Calcedonia (451)
——Concilio di Costantinopoli II (553)
——Concilio di Costantinopoli III (680 – 681)
——Concilio di Nicea II (787)
——Concilio di Costantinopoli IV (869 – 870)
——Concilio Lateranense I (1123)
——Concilio Lateranense II (1139)
——Concilio Lateranense III (1179)
——Concilio Lateranense IV (1215)
——Concilio di Lione I (1245)
——Concilio di Lione II (1274)
——Concilio di Vienne (1311 – 1312)
——Concilio di Costanza (1414 – 1418)
——Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze (1431–
1445)
——Concilio Lateranense V (1512 – 1517)
——Concilio di Trento (1545 – 1563)
——Concilio Vaticano I (1870)
——Concilio Vaticano II (1962 – 1965)
È evidente, insomma, che non tutti i principi dottrinali sono stati indicati da Gesù, come, per esempio, l’infallibilità del papa, il dogma dell’immacolata
o dell’Assunzione o il celibato sacerdotale. Quest’ultimo è divenuto nel corso dei secoli una regola tanto
“rigida” da essere inserito nel diritto canonico.
Gesù, stando al suo insegnamento, come emerge
dai vangeli, libera gli uomini dal concetto d’impuri47
tà legata alla sfera sessuale. “Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri,
le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non
rende immondo l’uomo (Matteo 15: 19)”.
I primi cristiani vissero seguendo questo insegnamento e gli apostoli esercitavano il loro ministero continuando a vivere con le loro mogli come
ci dice Paolo nella prima lettera ai Corinzi: “Non
abbiamo anche noi il diritto di portare con noi una
moglie credente come l’hanno gli altri apostoli e i
fratelli del Signore e Pietro?” E nella prima lettera
a Timoteo afferma: “Bisogna dunque che il vescovo
sia irreprensibile, marito di una sola moglie […]”.
Chi dirige bene una famiglia può dirigere bene una
chiesa.
Le “Costituzioni apostoliche, terzo/quarto secolo, contengono la regola per cui gli uomini sposati,
al momento della loro ordinazione, hanno l’obbligo
di tenere con loro la moglie (Canones Apostolorum,
can.6: “Episcopus aut presbyter uxorem suam non
abjiciat”. – “Episcopus aut presbyter uxorem propriam nequaquam sub obtentu religionis abjiciat. Si
vero rejecerit excommunicetur; sed si perseveraverit,
dejiciatur”).
Costituzione Apostolica
Costituzione Apostolica (in latino Constitutio
Apostolica) è l’appellativo che viene dato per
48
alcuni documenti papali particolarmente importanti e solenni, riguardanti un insegnamento definitivo o disposizioni molto importanti. A causa
della gravità di queste epistole sono emesse come
“bolle pontificie”. Per loro natura le Costituzioni
sono dirette a tutti i fedeli. Esse sono di carattere
generico. Quando si vuole esprimere qualcosa di
più esplicito, si usano le espressioni:
——costituzione dogmatica
——costituzione pastorale
(da Wikipedia, l’enciclopedia libera)
I ministri della Chiesa, dunque, nei primi due
secoli sono uomini sposati. Solo nei primi anni del
secolo successivo alcuni di essi scelgono di condurre
una vita di continenza.
Origene (185 – 254) nel “Commento a San Matteo”, pur sostenendo che “gli sposi che fanno uso
della loro sessualità sono impuri, poiché sono in certo qual modo insozzati e immondi coloro che usano
dei piaceri dell’amore”, non propone nessuna legge
celibataria. Afferma solo che il sacerdote che assiste
ai divini altari deve essere unto di castità (Ante omnia sacerdos, qui divinis assistit altaribus, castitate
debet accingi).
Ciò per un’esigenza di purezza rituale. “Si tratta
di una concezione dell’Antico Testamento, secondo
cui l’atto liturgico doveva richiedere una purezza
da parte del celebrante, e quindi si chiedeva al clero
ammogliato di astenersi dai rapporti sessuali. Dal
49
momento in cui la liturgia della messa diventa più
frequente, è evidente che c’è necessità di astenersi dai rapporti sessuali quotidianamente e, allora,
pian piano, si chiede al clero, prima di dividere il
letto, poi la casa, poi di mandare via la moglie. Con
conseguenze drammatiche… Perché mandare via
la moglie significava, prima liberarla dal vincolo
matrimoniale e quindi lasciarla in una condizione
di abbandono e di inferiorità grave” (Adriana Valerio teologa, ricercatrice di Storia del Cristianesimo
all’Università di Napoli).
Lo stesso Tertulliano (160 – 220 ca.) non indica
alcuna legge in proposito. Anche se considera il matrimonio “species stupri” e la donna “porta inferi”,
afferma che la castità è la condizione indispensabile
per una vita cristiana.
La condizione del clero uxorato fu costume normale per alcuni decenni ancora. Poi intervennero
autorevoli uomini della Chiesa, padri e dottori, a
“indicare” la strada della continenza: S. Efrem affermava che la castità fa sì che l’uomo diventi angelo (“effecit angelum de homine”); S. Basilio va oltre, sostenendo che la castità rende l’uomo simile
a Dio (“pudicitia hominem Deo simillimum facit”);
S. Ambrogio scriveva che colui che avrà conservato
la castità è un angelo (“qui castitatem servaverit angelus est; qui perdidit diabolus”), che mentre gli angeli sono puri per natura, i casti sono puri per vitù
(“huius virtutis merito homines angelis aequantur”);
50
S. Bernardo dichiarava che l’uomo casto differisce
dall’angelo solo nella felicità non già nella virtù
(“differunt quidam inter se homo pudicus et angelus,
sed felicitate, non virtute”).
Nonostante ciò, nel primo millennio non fu avanzata alcuna richiesta per formalizzare il celibato, cioè
renderlo regola.
Anche se, come afferma Odifreddi (P. G. Odifreddi “Perché non possiamo essere cristiani”, ed.
Longanesi, pag 195), “fin dagli inizi, per motivi di
purità rituale, venne interdetto ai celebrandi il rapporto sessuale nella notte precedente la celebrazione, facendo tradizionalmente riferimento a due versetti del Levitico (Levitico, XV, 16 – 18; 22, 4): “La
donna e l’uomo che abbiano avuto un rapporto con
emissione seminale saranno immondi fino a sera”
e “nessun uomo della stirpe di Aronne che abbia
avuto un’emissione seminale potrà mangiare le cose
sante finché non sia mondo”.
Levitico. Il Levitico è il terzo libro della Torah
ebraica e della Bibbia cristiana. Essendo parte
del Pentateuco (i primi cinque libri del Tanakh:
Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio),
si ritrova nell’Antico Testamento secondo tutte le
confessioni religiose che ad esso si richiamano.
Secondo l’opinione tradizionale ebraica e poi cristiana il libro del Levitico sarebbe stato scritto da
Mosé in persona. La maggior parte degli esegeti
moderni ritiene che tutto il Pentateuco sia in real-
51
tà una raccolta tarda di scritti di epoche diverse. Il
libro è incentrato sulle leggi e le norme culturali–
ritualistiche relative ai sacrifici, al sacerdozio, alla
consacrazione dell’altare e alle feste. Questo ne fa
una delle fonti principali per il diritto ebraico.
In seguito furono stabilite alcune norme di castità
sessuale, ma, continua Odifreddi, “non per questo i
preti cessarono di essere mariti, amanti e padri.
Ad esempio, tra i papi del primo millennio, una
dozzina erano figli di sacerdoti e quattro addirittura
di papi: Innocenzo I (401 – 417), Silverio (536 – 537),
Anastasio III (911 – 913) e Giovanni XI (931 – 935)
rispettivamente figli di Anastasio I (399 – 401), Ormisda (514 – 523) e Sergio III (904 – 911).
Le abitudini erano tanto diffuse che, quando
papa Gregorio VII, emanò un primo decreto di celibato nel 1074, il clero europeo si ribellò violentemente, soprattutto in Germania, Francia e Spagna.
I decreti successivi, fino al Concilio di Trento, ebbero poca fortuna. Occorse, così, aspettare il
Concilio Vaticano II perché “la motivazione di purità sessuale, ispirata al motto di Gerolamo omnis
coitus immundus “fosse” sostituita con un richiamo
al motto di Gesù: “Lasciate le mogli per il regno di
Dio” (Luca XVIII, 29 – 30).
Fino a tutto il Cinquecento i papi continuarono
tranquillamente ad avere figli: Alessandro VI (1492
– 1503), Paolo III (1534 – 1549), Giuliano II (1503 –
52
1513), Pio IV (1559 – 1565) e Gregorio XIII (1572 – 1585).
(Odifreddi…)
I ministri della Chiesa, dunque, nei primi due
secoli sono uomini sposati. Solo nei primi anni del
secolo successivo alcuni di essi scelgono di condurre
una vita di continenza.
Cercheremo di capire come e quando il celibato
diventa regola, attraverso le delibere dei vari concili,
gli interventi papali (encicliche e altro) e il pensiero
dei padri e dei dottori della Chiesa.
Il maggior numero possibile d’informazioni, trascrivendo fedelmente i brani concernenti l’argomento trattato, sarà fornito al lettore quali strumento per
comprendere la “questio” e per promuovere, se lo riterrà opportuno, un ulteriore approfondimento.
concili
Il Concilio di Elvira (località presso Granada in
Spagna, 300 – 313) riunì solo i vescovi e i presbiteriani spagnoli. Contiene la prima legge sul celibato,
il cui canone 33 così recita: “Si è d’accordo sul divieto completo che vale per i vescovi, i sacerdoti e
i diaconi, ossia per tutti i chierici (N.d.A.: qualsiasi
membro del clero secolare o regolare) che sono impegnati nel servizio dell’altare, che devono astenersi dalle loro mogli e non generare figli; chi ha fatto
questo deve essere escluso dallo stato clericale”. Il
precedente canone 27 proibiva agli stessi di abitare
53
assieme a donne che non erano la sorella o la figlia
consacrata vergine.
Il Concilio di Nicea, convocato e presieduto
dall’imperatore Costantino I nel 325, stabilì: “Questo
grande sinodo proibisce assolutamente ai vescovi, ai
sacerdoti, ai diaconi e in genere a qualsiasi membro
del clero di tenere delle donne di nascosto, a meno
che non si tratti della propria madre, di una sorella,
di una zia, o di persone che siano al di sopra di ogni
sospetto (canone 3)”.
I canoni 27 e 33 del Concilio di Elvira non vennero
confermati, come nel successivo sinodo di Gangra
(340 – 341).
Per la Chiesa cattolica, “l’Ordine Sacro è il sacramento che dà la potestà di esercitare i sacri ministeri che riguardano il culto di Dio e la salute
delle anime, e che imprime nell’anima di chi lo
riceve il carattere di ministro di Dio” (Catechismo Maggiore di San Pio X, 1905). I diversi gradi
dell’ordine erano divisi in due categorie: gli ordini
maggiori (presbiterato, diaconato e suddiaconato)
e gli ordini minori (accolitato, esorcistato, lettorato, ostiariato) non considerati sacramenti. Paolo
VI, con la lettera apostolica in forma di motu proprio “Ministeria Quaendam”, riforma la disciplina
dell’ordine sacro. Sono soppressi il suddiaconato
e gli ordini minori che sono sostituiti dai Ministeri di Lettore e d’Accolito. Gli ordini maggiori
rappresentano tre gradi (episcopato, presbiterato,
diaconato) dell’unico sacramento dell’Ordine.
54
Il Concilio di Roma (386), il secondo Concilio di
Cartagine (390) e il Sinodo Romano (402) giustificarono la scelta del celibato e decretarono il divieto
del matrimonio per il clero.
In particolare il concilio di Cartagine approvò
una dichiarazione vincolante, che oggi fa parte del
Codice dei canoni della Chiesa Africana, formalizzata nel concilio di Cartagine dell’anno 419 nella
rubrica “Che la castità dei Leviti e sacerdoti deve
essere custodita”, la quale così afferma: “Siccome
nel concilio precedente è stato trattato della continenza e della castità, i tre gradi i quali per motivo
dell’ordinazione sono legati ad un certo obbligo di
castità – vale a dire il Vescovo, il sacerdote e il diacono – devono essere più completamente istruiti sulla
conservazione della castità… conviene che… tutti
coloro che servono ai diversi sacramenti, siano continenti in tutto (continentes esse in omnibus) affinché
ciò che hanno insegnato gli apostoli e mantenuto
l’antichità, lo osserviamo anche noi”.
Il Concilio di Telepte (Africa – Febbraio 418)
trattò della continenza degli ecclesiastici (can. 9).
Il concilio fece propria la lettera di Siricio “Epistola
tractoria” nella quale erano comunicati gli atti del
concilio di Roma del 6 Gennaio 386, convocato dallo stesso Siricio, nei quali si affermava che anche le
tradizioni orali sono vincolanti e s’invitavano tutti i
vescovi ad osservare le nove disposizioni. In particolare la nona vietava ai sacerdoti e ai leviti, occupa55
ti giornalmente nell’esercizio del ministero, d’avere
rapporti sessuali con le loro spose. La lettera si chiude con l’invito ad ubbidire alle citate disposizioni
sostenute dalla tradizione.
Il Concilio di Toledo (539, locale) prescrisse ai
vescovi di vendere le donne sospettate di usare commercio sessuale con i preti.
Il Concilio di Tours (567, locale) stabilì che gli
ecclesiastici che giacevano con la propria moglie sarebbero stati ridotti allo stato laicale. Nel canone 20
troviamo per la prima volta il termine diaconessa,
per indicare senz’altro la moglie del diacono e condannare le unioni dei rappresentanti del clero che
non osservavano la continenza (Rosanna Barcellona
e Teresa Sardella “Munera Amicitiae”, pag. 41).
Il Concilio Trullano (Trullo 692), convocato
dall’imperatore Giustiniano II, determinò in modo
vincolante la disciplina sul celibato che fu fissata in
sette canoni, quattro dei quali (3, 6, 12, 13) sono di
seguito riportati.
Can. 3: Coloro che dopo il battesimo abbiano
contratto un secondo matrimonio o vissuto in concubinato, sposato una vedova, una divorziata, una
prostituta o un’attrice, non possono essere ordinati
né vescovi, né sacerdoti, né diaconi.
Can. 6: I sacerdoti e i diaconi, dopo l’ordinazione, non possono sposarsi.
56
Can 12: I vescovi, dopo l’ordinazione, non possono coabitare con la loro moglie e devono astenersi
dal matrimonio.
Can. 13: I sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi possono convivere con le loro mogli e usare il matrimonio tranne quando prestano il servizio all’altare
e celebrano i sacri misteri, poiché nell’occasione devono essere continenti.
Nel can. 13 si legge ancora: “ se un sacerdote o un
diacono caccia la moglie con il pretesto della pietà
sia scomunicato, e se persiste che sia destituito”.
Il Concilio Trullano è un concilio della Chiesa
Bizantina, convocato e frequentato dai suoi vescovi e sostenuto dall’autorità dell’Imperatore.
Roma non inviò rappresentanti né riconobbe il
concilio come ecumenico. Le disposizioni approvate sul celibato sacerdotale differiscono in modo
sostanziale, da quelle praticate a Roma per quanto riguarda i gradi di ordine sacro al di sotto del
vescovo, che possono sposarsi purché si astengano dall’uso del matrimonio durante il tempo del
servizio effettivo all’altare, limitato in Oriente
alla domenica o altro giorno della settimana. Alle
comunità orientali che si riunirono con Roma fu
concesso di continuare la loro tradizione celibataria differente.
Il Concilio di Nicea (787; convocato dall’imperatrice Irene) stabilì: “Ora per le donne, vivere nella casa
di un vescovo o in un convento è motivo di grave of57
fesa. Perciò chiunque si sappia possedere una schiava femmina o una donna libera nel palazzo episcopale o in un monastero per qualche servizio, sia esso
biasimato. E se continua a trattenerla, sia deposto.
Se accade che delle donne lavorino in campagna, e
se un vescovo o un egumeno (N.d.A.: capo delle comunità monastiche) desiderano andare là, così che il
vescovo o l’egumeno vi rimangano per lungo tempo,
le donne non continuino il loro lavoro, ma si mandino in un altro luogo fino alla partenza del vescovo,
in modo che non ci siano occasioni di lamento”. (canone XVIII)”.
Il Concilio d’Aix la Chapelle dell’836 ammise
apertamente che nei conventi avvengono aborti per
nascondere le gravidanze. Il vescovo e santo Ulrico
scrisse, traendo argomenti dalle sacre scritture, che
è più conveniente che i preti si sposino e fu, quindi,
accusato con una lettera anonima di non aver sostenuto il celibato sacerdotale.
I Concili di Trosly (909), Ausburg (952), Ause
(994) e Poitiers (1000) si occuparono delle passioni
sfrenate del clero. Accusarono di ciò le concubine
e fu ordinato che queste donne fossero arrestate,
frustate e tosate. Non dimentichiamo che siamo alla
vigilia dell’anno 1000, quando è diffusa l’idea della
fine del mondo.
Il Concilio di Pavia del 1022, presieduto da Benedetto VIII e dall’imperatore Enrico II di Germania,
così si esprime: “Tutte le figlie e i figli dei chierici
58
che siano nati da donna libera o schiava, da legittima consorte o concubina… saranno schiavi della
Chiesa per l’eternità”.
Inoltre, l’arcivescovo di Milano Ariberto sottoscrisse i provvedimenti contro i chierici sposati e i
concubinari non solo per motivi religiosi, ma per
evitare che il patrimonio della Chiesa, poiché i figli
ereditavano i benefici ecclesiastici, si depauperasse.
Si stabilì, infine, che gli ecclesiastici non potevano sposarsi. Fu però Gregorio VII, con il decreto sul
celibato del 1074 a proibire ai preti sposati di celebrare le funzioni ecclesiastiche e definì concubine le
loro legittime mogli.
Il Concilio Lateranense I (convocato dal papa
Callisto II nel 1122, si tenne a Roma dal 18/03/1123
all’11/04/1123) affermò: “Proibiamo nel modo più
assoluto ai sacerdoti, diaconi, suddiaconi di vivere
con le concubine o le mogli e di coabitare con donne diverse da quelle con cui il concilio di Nicea ha
permesso di vivere soltanto per ragioni di necessità,
cioè: la madre, la sorella, la zia paterna o materna, o
altre simili, sulle quali onestamente non possa sorgere alcun sospetto (can. 3)”.
Il canone 21 fece assoluto divieto ai ministri ordinati
e ai monaci di sposarsi; stabilì, inoltre, nulli “pleno
jure” i matrimoni di ordinati cui si fece obbligo di
confessarli come peccato.
Il Concilio Lateranense II (Roma 1139; Innocenzo II) approvò una disposizione secondo la quale i
59
matrimoni contratti dai chierici maggiori, come
pure quelli dei consacrati attraverso voti di vita religiosa, non fossero considerati solo illeciti ma anche invalidi. Con ciò Innocenzo II determinò che il
celibato ecclesiastico fosse condizione per accedere
al ministero ordinato e mezzo per osservare la “lex
continentiae” (largamente e pubblicamente disattesa in quelle epoche. Basti dire che ci sono stati sette
papi sposati, di cui cinque con figli; tredici papi figli
di papi o di preti, come rileva una statistica pubblicata dalla rivista “sulla Strada” – M. Fumagalli, Le
donne dei preti nella chiesa cattolica).
Il canone sette, inoltre, richiamava in vigore un
decreto di Gregorio VII di proibire ai laici di assistere alla messa dei preti concubinari.
Il Concilio Lateranense III (Roma 1179; Alessandro III) condannò l’incontinenza del clero ed estese
la legge dell’invalidità del matrimonio ai suddiaconi.
Il Concilio Lateranense IV (Roma 1215; Innocenzo III) proibì ai chierici (canone 14) il concubinato e fu ribadito l’obbligo del celibato: “Perché i costumi e il comportamento del clero siano riformati
in meglio, tutti cerchino di vivere una vita pura e
casta, specialmente quelli che hanno ricevuto gli ordini sacri: si guardino, quindi, da ogni vizio d’impurità, specie da quello per cui “l’ira di Dio scese
dal cielo sui figli della ribellione (Ef. 5, 6)”, affinché
possano servire Dio onnipotente con cuore puro
60
e corpo casto. E perché un facile perdono non sia
incentivo alla trasgressione, stabiliamo che chi sia
preso in flagrante delitto d’incontinenza sia punito secondo le sanzioni canoniche, in proporzione al
suo peccato…”.
Il Concilio di Lione II (1274; Gregorio X) condannò il concubinaggio e stabilì “l’obbligo del celibato per tutti i sacerdoti. Il canone 16 dichiarava:
“Mettendo fine ad un’antica questione, dichiariamo
pubblicamente che quelli che si sono risposati restino privi di qualsiasi privilegio proprio dei chierici, e
soggetti alla norme repressive del foro secolare, nonostante qualsiasi contraria consuetudine. A questi
proibiamo, inoltre, sotto pena di scomunica, di portare la tonsura o l’abito clericale”.
I Concili di Basilea, Ferrara, Firenze, Roma (si
svolsero nello spazio di tempo che va dal 23/07/1431 al
07/05/1437; convocato da Martino V, fu portato avanti da Eugenio IV), nella sessione XX così si decretò:
“[…] Qualsiasi chierico […] fosse pure il vescovo di
Roma (il papa), dopo essere venuto a conoscenza di
questa costituzione, fosse un concubinario, sia ipso
facto sospeso per tre mesi dal percepire i frutti di
tutti i suoi benefici […].
Naturalmente, il superiore è tenuto ad ammonire
questo pubblico concubinario perché allontani entro brevissimo tempo la concubina. Se egli non l’allontanasse, o si riprendesse quella che ha mandato
61
via o altra, questo santo sinodo ordina che lo si privi
senz’altro di tutti i suoi benefici”.
[…] I prelati si preoccupino… di allontanare dai
loro sudditi, anche con l’aiuto del braccio secolare,
queste concubine; e non permettano che i figli nati
dal loro concubinato vivano presso il padre.
[…] E siccome ogni peccato di fornicazione è
proibito dalla legge divina… per l’osservanza di
questo divino precetto, quelli che ne hanno il dovere
si diano da fare in ogni modo, sia con ammonizioni
salutari (?) che con gli altri rimedi canonici”.
Il papa regnante Eugenio IV (1431 – 1447; al secolo Gabriele Condulmer), convocò, in risposta a
Basilea, un proprio concilio a Firenze che stabilì che
“Basilea era un covo di mendicanti […] apostati, ribelli, blasfemi, uomini colpevoli di sacrilegio e che,
senza eccezione, meritavano di essere cacciati indietro nell’inferno al quale appartenevano”.
Il Concilio Lateranense V (Roma 1512 – 1517;
Giulio II) si occupò, non del celibato, ma di “quell’orrendo crimine, per colpa del quale le città corrotte e
oscene (N.d.A.: Sodoma e Gomorra) vennero bruciate dalla divina condanna […]”. Così il concilio stabilisce per decreto che qualunque membro del clero,
che sia stato sorpreso in quel vizio contro natura per
via del quale l’ira divina cadde sui figli dell’empietà,
venga allontanato dall’ordine clericale, oppure venga costretto a far penitenza in un monastero (http://
www.oliari.com/chiesa/lepanto.html).
62
Il Concilio di Trento (12/12/1545 – 04/12/1563;
convocato da Paolo III, fu presieduto da ben tre
papi: Paolo III, Giulio III e Pio IV) dedicò alcune
sessioni ai desideri della carne e alla continenza dei
ministri della Chiesa.
È giusto sapere che, nonostante concili e decreti, in Germania i sacerdoti continuavano a sposarsi
o a convivere, come si evince da quanto dichiarato
nel 1542 dall’arcivescovo Alberto di Brandeburgo al
nunzio pontificio Morone: “Io so che tutti i miei preti vivono in concubinato. Ma che posso farci?”.
Sessione II: “Il sacrosanto concilio tridentino
[…] ha stabilito che debbano esortarsi, ed esorta
di fatto, tutti i fedeli cristiani raccolti nella città di
Trento, perché vogliano correggersi del male e dei
peccati finora commessi, e, nel futuro, camminare
nel timore del Signore, e non seguire i desideri della
carne […]”.
Sessione XXIV (canone 10): “Se qualcuno dirà
che lo stato coniugale è da preferirsi alla verginità
o al celibato e che non è cosa migliore e più beata
rimanere nella verginità e nel celibato, che unirsi in
matrimonio, sia anatema”.
Sessione XXV (capitolo I): “(tutti i religiosi) in
modo particolare osservino fedelmente quello che
riguarda la perfezione della loro professione, come
i voti e i precetti di obbedienza, povertà e castità
[…]”.
63
(Capitolo XIV): “Quanto sia turpe ed indegno
del nome dei chierici, che si sono consacrati al culto
di Dio, vivere nell’abiezione dell’impurità e nell’immondo concubinato, lo dimostra a sufficienza la cosa
stessa, in sé, per il comune disagio di tutti i fedeli e il
grande disonore della milizia clericale.
Perché, dunque, i ministri della Chiesa siano richiamati a quell’incontinenza e integrità di vita, che
si deve e perché, di conseguenza, il popolo impari a
riverirli tanto maggiormente, quanto più si accorgerà che essi conducono una vita onesta, il santo sinodo proibisce a qualsiasi chierico di tenere, in casa o
fuori, concubine o altre donne su cui possano cadere
sospetti o di avere con esse qualche relazione.
Altrimenti siano puniti con le pene stabilite dai
sacri canoni […] Se ammoniti dai superiori non si
astenessero da esse, siano privati […]. Se poi, perseverando nella colpa con la stessa o altra donna,
non ascoltassero neppure la seconda ammonizione,
non solo perderanno […] ma saranno anche sospesi
dall’amministrazione degli stessi benefici […]. Se,
finalmente, così sospesi, non le rimandassero o anche avessero qualche relazione con esse, allora siano
privati per sempre di ogni beneficio […] e siano resi
inabili per l’avvenire e considerati indegni di qualsiasi onore […]. Se poi avvenisse che, dopo averle rimandate, osassero riprendere la relazione interrotta
o anche riprendere con se altre simili donne scandalose, oltre alle pene già dette, siano colpiti con la sco64
munica, e non vi sarà appello o esenzione che possa
impedirlo […].
Qualora anche i vescovi […] non si astenessero
da tale delitto e, ammoniti dal sinodo provinciale,
non si correggessero, siano ipso facto sospesi; e, se
continuassero, siano anche deferiti al Romano Pontefice, che li punirà secondo la qualità della colpa, e,
se necessario, anche con la privazione”.
Il Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962 – 7 dicembre 1965; convocato da Giovanni XXIII, fu presieduto anche da Paolo VI fino alla conclusione) affrontò
con grande rigidità l’argomento e nella “Presbyterorum Ordinis” si legge: “[…] il celibato che prima
veniva raccomandato ai sacerdoti, in seguito è stato
imposto per legge nella Chiesa Latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli ordini sacri. Questo
sacro Sinodo torna ad approvare e confermare tale
legislazione per quanto riguarda coloro che sono
destinati al presbiterato, avendo piena certezza nello
Spirito che il dono del celibato, così confacente al sacerdozio della Nuova Legge, viene concesso in grande misura dal Padre a condizione che tutti coloro
che partecipano del sacerdozio di Cristo con il sacramento dell’Ordine, anzi la Chiesa intera, lo richiedano con umiltà e insistenza. Il sacro Sinodo esorta
inoltre tutti i presbiteri, i quali hanno liberamente
abbracciato il sacro celibato seguendo l’esempio di
Cristo […] ad aderirvi generosamente e cordialmen-
65
te e a perseverare fedelmente in questo stato […]”.
pontefici
Siricio (384 – 399) fu il primo Papa ad emanare dei
decreti sul celibato.
Nella lettera “Directa ad decessorem” del 10/01/385 al
vescovo Imerio di Tarragona afferma che la questione della continenza è da secoli obbligatoria e ribadisce fermamente che “noi tutti, vescovi, presbiteri
e diaconi, vi ci troviamo legati fin dal giorno della
nostra ordinazione e sottomettiamo i nostri cuori e
i nostri corpi al servizio della sobrietà e della purezza […]”. Inoltre: “Il Signore Gesù […] volle che
la figura della Chiesa, di cui è lo sposo, emani lo
splendore della castità […] dalla legge indissolubile
di queste disposizioni siamo legati noi tutti sacerdoti […] affinché dal giorno della nostra ordinazione
consegniamo sia i nostri cuori sia i nostri corpi alla
sobrietà e alla pudicizia, per piacere al Signore nostro Dio nei sacrifici che ogni giorno offriamo”.
Nel gennaio del 386 convoca a Roma un concilio
dell’Italia centro-settentrionale che decreta l’obbligo della continenza per i chierici maggiori: “È degno, casto e onesto […] che (vescovi), presbiteri e
diaconi non abbiano rapporti con la loro consorte
dato che essi sono assorbiti dai doveri quotidiani del
loro ministero”.
Siricio afferma che questi non erano obblighi nuovi, ma punti fermi della fede e della disciplina tra66
scurati. Essi devono essere ripristinati, poiché sono
disposizioni dei padri apostolici secondo le parole
della sacra scrittura: “State saldi e osservate le nostre
tradizioni che avete ricevute sia a viva voce sia per
iscritto (2 Ts 2, 15)”.
Durante il sinodo (convocato intorno al 390 - 392) fu
scomunicato il monaco romano Gioviniano che tra
le altre cose non condivideva i pregi del celibato. Il
decreto fu inviato ad Ambrogio, vescovo di Milano,
che convocò un sinodo dei vescovi dell’Italia settentrionale che approvò le decisioni di Roma.
Innocenzo I (401 – 417) nella lettera “Dominus
inter” (attribuita sia a Damaso che a Siricio) così
risponde alla terza delle sedici domande poste dai
vescovi della Gallia e riguardante la “castità e purezza dei sacerdoti”: “In primo luogo è stato deciso
riguardo ai vescovi, sacerdoti e diaconi che devono
partecipare ai sacrifici divini, attraverso le mani dei
quali viene comunicata la grazia del battesimo e offerto il Corpo di Cristo, che vengono costrette non
solo da noi, ma dalla scrittura divina alla castità: ai
quali anche i padri hanno ingiunto di conservare la
continenza corporale”.
In successive tre lettere (a Victricius di Rouen, a
Exsuperius di Tolosa e ai vescovi Massimo e Severo
della Calabria) si associa al pensiero di Siricio e scrive che gli impenitenti dovevano essere allontanati
dal ministero sacerdotale.
67
Leone Magno (440 – 461) scrive nel 456 a Rustico, vescovo di Narbonne: “La legge della continenza
è la stessa per i ministri dell’altare (diaconi) come
per i sacerdoti e i vescovi. Quando erano ancora laici
e lettori era loro permesso di sposarsi e di generare
figli. Ma assurgendo ai gradi suddetti è cominciato
per loro il non essere più lecito ciò che lo era prima.
Affinché perciò il matrimonio carnale diventasse un
matrimonio spirituale è necessario che le spose di
prima non già si mandassero via ma che si avessero
come se non le si avessero, affinché così rimanesse
salvo l’amore coniugale ma cessasse allo stesso tempo anche l’uso del matrimonio.”
Leone Magno estende l’obbligo della continenza
ai suddiaconi, ma dopo l’ordinazione.
Pelagio II (579 – 590) profonde molto impegno a
promuovere il celibato, introducendo rigide restrizioni nel clero siciliano.
Gregorio I Magno della famiglia degli Anici
(590 – 604), nello stabilire che ogni desiderio sessuale è peccato, disponeva che il suddiacono dopo
l’ordinazione fosse obbligato alla continenza perfetta. Confermava il canone 3 del concilio di Nicea
che proibiva ai chierici maggiori la convivenza con
le donne. Un uomo che ha passato la notte con la
moglie, affermava, non può entrare in una chiesa se
prima non si è lavato e non ha fatto doverosa penitenza.
68
Nicola I (858 – 867) raccomandava di astenersi
da ogni piacere della carne nei giorni di festa.
Benedetto VIII (1012 – 1024), al secolo Teofilatto
dei Conti di Tuscolo, nel concilio di Pavia del 1022,
oltre a condannare il concubinaggio, in uno dei decreti per la riforma del clero, faceva divieto agli ecclesiastici di sposarsi.
A tal proposito Pietro Verri scrive: “erasi fatta la
legge che obbligava al celibato i sacerdoti”.
Leone IX (1048 - 1054), al secolo Brunone dei
Conti di Egisheim-Dagsburg nel sinodo di Pasqua
(Reims) del 1049 ribadisce il celibato del clero dal
rango di sottodiacono in su e condanna il nicolaismo.
Nicolaismo: setta eretica citata nell’Apocalisse
(Ap. 2: 6 e 2: 15, 16) fondata, come affermano alcuni studiosi, da Nicola di Antiochia. Ammetteva il
matrimonio dei sacerdoti. Nel Medioevo indicava
quei sacerdoti che vivevano in concubinato e praticavano riti sessuali di carattere orgiastico.
Stefano X (1057 – 1058), al secolo Federico dei
Duchi di Lorena, mostrò grande impegno verso il
rafforzamento del celibato ecclesiastico.
Niccolò II (1058 – 1061), al secolo Gerardo di Borgogna, nel concilio lateranense del 1059, irrigidisce
la disciplina del clero.
Nello stesso anno invia il cardinale Pier Damiani, che si era distinto nella lotta contro il nicolaismo,
69
a Milano dove intervenne contro la prassi dilagante
del matrimonio dei sacerdoti e contro il comportamento licenzioso di molti di loro, riuscendo a fare
accettare, almeno nella forma, il celibato ecclesiastico. Il Damiani, gran moralizzatore, nelle sue lettere
si scaglia contro i chierici intemperanti che vivono
“velut iure matrimonii confoederentur uxoribus” e
considera le concubine degli ecclesiastici “empie tigri”, “arpie” e “vipere furiose”.
Alessandro II (1061 – 1073), al secolo Anselmo
da Baggio, prezioso collaboratore d’Ildebrando di
Soana (il futuro Gregorio VII) e sostenitore dei Patarini nella lotta contro il concubinato, nel concilio
di Roma del 22 Aprile del 1063 conferma i decreti
che prima erano stati emanati contro il matrimonio
dei preti.
“Appena dopo la sua elezione, papa Alessandro
II (Pietro Verri in “Storia di Milano” cap. V) scrisse
la lettera “Omnibus Mediolanensibus clero et populo”: Speramus autem in Eo qui de virgine dignatus est
nasci, quia nostri ministerii tempore sancta clericorum castitas exaltabitur, et incontinentium luxuria
cum caeteris haeresibus confundetur […]”. Questo fu
un avviso che precorse le nuove iniziative contro i
sacerdoti ammogliati.
Patarini: i seguaci della Pataria (dal milanese dialettale patee, stracci). Il movimento, fondato da
Landolfo Cotta e Arialdo da Carimate, nel 1049 a
Milano, esortava la popolazione a rifiutare i sacra-
70
menti dai sacerdoti corrotti e nicolaiti. Ne fecero
parte il clero più basso e la popolazione più povera. Ebbe termine nel 1075 con la morte del fratello
di Cotta, Ercembardo.
Gregorio VII (1073 – 1085), al secolo Ildebrando Aldobrandeschi di Soana, con i suoi decreti distrusse i legami matrimoniali dei sacerdoti. Diede
un forte appoggio all’obbligatorietà del celibato del
clero per affermare in tal modo la supremazia papale
sui vescovi.
“Nondimeno ei conobbe ad un tempo i vantaggi
che il celibato dovea produrre all’autorità del principe della Chiesa; e n’è prova la maravigliosa perseveranza e il rigore inflessibile con che attese all’esecuzione di questa legge.
L’abolizione delle investiture scioglieva la Chiesa
da ogni dipendenza; e l’abolizione del matrimonio
dava al sommo pontefice un grandissimo numero di
sudditi, sparsi in tutta la superficie della terra; uomini sciolti d’ogni obbligo di famiglia, di legge civile e
di patria”. (“Opere edite e postume di Ugo Foscolo, vol
II, Felice Le Monnier – Firenze, 1850).
Nell’enciclica “Dictatus Papae” del 1074, introduttiva del sinodo romano del 1075, per confermare
il celibato sacerdotale, scioglie le genti dal dovere
dell’obbedienza verso i sacerdoti sposati, fino ad incoraggiarli, l’anno successivo, a prendere posizione
contro di loro, privandoli anche del sostentamento.
71
Non fu una misura di salvaguardia dello spirito,
ma del patrimonio della Chiesa.
Questi provvedimenti trasformarono, infatti,
migliaia di mogli di preti in prostitute. Molte, abbandonate ed evitate, si suicidarono.
Vittore III (1086 – 1087), al secolo Dauferlo Epifani o Desiderio di Montecassino. Nonostante i decreti gregoriani, “l’obbligo della castità era difficile
da imporre” per cui “il successore di Gregorio VII,
Desiderio di Montecassino nel concilio di Benevento
dell’Agosto 1087 era costretto a riconfermare i canoni gregoriani e quello dei papi riformatori” (Giancarlo Andenna, Il chierico, dagli Atti 9 del Centro
Studi Normann-Svevi dell’Università degli Studi di
Bari).
Urbano II (1088 – 1099), al secolo Ottone di Langery, convoca una serie di sinodi (Clemont-Ferrand,
Roma, Amalfi, Benevento, Troia, Bari, Piacenza) che
tra vari argomenti, affrontano anche quello del celibato ecclesiastico.
Nel concilio tenutosi a Menfi nel 1090 ordina il
celibato ai chierici a partire dal suddiaconato.
Nel concilio di Piacenza del 1095 condanna i
matrimoni dei preti e accetta che i 500 religiosi che
parteciparono al concilio per dimostrare il loro impulso evangelico, vendessero le loro mogli, nonché i
figli, come schiave.
Nel dare il via alla seconda crociata obbliga tutti i
preti che partivano alla conquista di Gerusalem72
me a lasciare la propria moglie e i piaceri della vita
familiare poiché avevano il dovere di essere spiritualmente pronti alla battaglia. Impone, quindi, la
schiavitù alle mogli dei preti. Tali provvedimenti introdussero il celibato quale norma per l’intero clero
nella Chiesa Occidentale.
Callisto II, al secolo Guido di Borgogna (1119 –
1124), convocò un concilio a Rheims il 20 Ottobre
1119 dove furono presi nuovi e severi provvedimenti
contro il matrimonio dei preti. Un altro concilio fu
convocato nel Marzo del 1123 (il nono concilio ecumenico, il primo nel Laterano) nel quale fu ratificato
il Concordato di Worms e vennero reiterati con forza vari canoni, tra cui quello contro il concubinato
dei chierici.
Innocenzo II (1130 – 1145), al secolo Gregorio
Papareschi, proclamò che l’ordinazione sacerdotale
costituisce “impedimento dirimente al matrimonio”. L’ordinazione sacerdotale ed il matrimonio,
quindi, si escludono giuridicamente a vicenda, ma,
nonostante ciò, il matrimonio viene vietato ai sacerdoti cattolici (fernandoliggio.org/art13.pdf).
Alessandro III (1159 – 1181), al secolo Rolando
Bandinelli, convoca nel 1179 il quarto concilio lateranense nel quale è confermato il celibato del clero
e la legge dell’invalidità del matrimonio estesa ai
suddiaconi (Decre.capp. 1 – 2. X, IV, 6).
Bonifacio VIII (1294 – 1303), al secolo Benedetto
Caetani, in visita a Pavia, oltremodo irritato, ordi73
na che i figli dei sacerdoti e dei monaci siano resi
schiavi.
Paolo IV (1555 – 1559), al secolo Giuseppe Pietro
Carafa, il cui zelo riformista lo porta a licenziare
Pierluigi da Palestrina da maestro della cappella
pontificia perché sposato, vieta che siano scelti maestri, cappellani e cantori sposati.
Pio XI (1922 – 1939), al secolo Damiano Achille
Ratti, nella lettera enciclica “Ad catholici sacerdotii”
del 20 Dicembre 1935 scrive: “Intimamente congiunta con la pietà, da cui deve ricevere consistenza e
splendore, è l’altra gemma fulgidissima del sacerdote cattolico, la castità alla cui perfetta e totale osservanza i Chierici della Chiesa Latina costituiti negli
ordini maggiori sono tenuti con obbligo sì grave che,
trasgredendolo, sarebbero rei di sacrilegio” […] “Infatti, la legge del celibato ecclesiastico, la cui prima
traccia scritta si riscontra in un canone del concilio
di Elvira all’inizio del IV secolo, non fa che dar forza
di obbligazione a una certa esigenza, che sgorga dal
vangelo e dalla predicazione apostolica”.
Pio XII (1939 – 1958), al secolo Giuseppe Giovanni
Pacelli, nell’enciclica “Sacra Virginitas” del 25 Marzo 1954 scrive: “La sacra verginità e la castità perfetta
consacrata al servizio di Dio sono certamente, per
la Chiesa, tra i tesori più preziosi che il suo Autore
le abbia lasciato, come eredità. Per questo motivo i
santi padri sottolineavano che la verginità perpetua
è un bene eccelso di carattere essenzialmente cri74
stiano. La castità perfetta è uno dei tre voti che costituiscono lo stato religioso ed è richiesta nei chierici
della Chiesa latina ordinati negli ordini maggiori e
nei membri degli istituti secolari”.
Nell’esortazione apostolica “Menti Nostrae”
(23/09/1950) si legge: “Il sacerdote ha come campo
della propria attività tutto ciò che si riferisce alla
vita soprannaturale, ed è organo di comunicazione
e di incremento della stessa vita nel Corpo Mistico
di Cristo. Perciò è necessario che egli rinunci a tutto
ciò che è del mondo, per curare solamente ciò che è
del Signore (1 Cor 7, 32.33). Ed è appunto perché egli
deve essere libero dalle preoccupazioni del mondo
per dedicarsi tutto al divino servizio, che la Chiesa
ha stabilito la legge del celibato, affinché fosse sempre più manifesto a tutti che il sacerdote è Ministro
di Dio e padre delle anime. Con la legge del celibato,
il sacerdote, piuttosto che perdere il dono e l’ufficio
della paternità, lo accresce all’infinito, giacché se
non genera una figliolanza a questa vita terrena e caduca, la genera a quella celeste ed eterna. Quanto più
rifulge la castità sacerdotale, tanto più il sacerdote
diventa insieme con Cristo ostia pura, ostia santa,
ostia immacolata”.
Giovanni XXIII (1959 - 1963), al secolo Angelo
Giuseppe Roncalli, nell’Allocuzione al Sinodo Romano del 26 Gennaio 1960, così scrive: “Ci accora
che […] si possa da qualcuno vaneggiare circa la volontà o la convenienza per la Chiesa cattolica di ri75
nunziare a ciò che per secoli e secoli fu e rimane una
delle glorie più nobili e più pure del suo sacerdozio.
La legge del celibato ecclesiastico e la cura di farla prevalere resta sempre un richiamo alle battaglie
dei tempi eroici, quando la Chiesa di Cristo dovette
battersi, e riuscì, al successo del suo trinomio glorioso, che è sempre emblema di vittoria: Chiesa di
Cristo, libera, casta e cattolica”.
Paolo VI (1963 - 1978), al secolo Antonio Maria
Montini, il 24 Giugno 1967, nell’ambito del concilio, pubblica l’enciclica “Sacerdotalis Caelibatus”
nella quale ribadisce la tradizione della Chiesa latina d’imporre il celibato ai sacerdoti: “ Il celibato
sacerdotale, che la Chiesa custodisce da secoli come
fulgida gemma, conserva tutto il suo valore anche
nel nostro tempo […]. Noi dunque riteniamo che la
vigente legge del sacro celibato debba ancora oggi,
e fermamente, accompagnarsi al ministero ecclesiastico; essa deve sorreggere il ministro nella sua scelta
esclusiva, perenne e totale dell’unico e sommo amore di Cristo e della consacrazione al culto di Dio e al
servizio della Chiesa, e deve qualificare il suo stato
di vita, sia nella comunità dei fedeli, che in quella
profana. La scelta del celibato non comporta l’ignoranza e il disprezzo dell’istinto sessuale e dell’affettività, il che nocerebbe all’equilibrio fisico e psicologico del sacerdote, ma esige lucida comprensione,
attento dominio di sé e sapiente sublimazione della
propria psiche su un piano superiore. In tal modo, il
76
celibato, elevando integralmente l’uomo, contribuisce effettivamente alla sua perfezione”.
Giovanni Paolo II (1978 - 2005), al secolo Karol
Josef Wojtyla, conferma, durante il suo pontificato,
quanto stabilito dalla Chiesa riguardo alla sessualità umana e al celibato dei preti, intervenendo molto
spesso in difesa del celibato ecclesiastico.
Nel discorso al clero di Roma del 09/11/1978, afferma: “[…] Perciò il nostro sacerdozio deve essere
limpido ed espressivo. E se esso è nella tradizione
della nostra Chiesa strettamente legato al celibato,
lo è proprio per la limpidezza e l’espressività evangelica, alla quale si riferiscono le parole di Nostro
Signore sul celibato per il regno dei cieli (cf. Mt 19,
12: vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno
dei cieli.)”.
E, nella “lettera ai sacerdoti”, dell’8 Aprile 1979, così
si esprime: “La Chiesa Latina ha voluto e continua a
volere […] che tutti coloro i quali ricevono il sacramento dell’Ordine abbraccino questa rinuncia (al
matrimonio) per il regno dei cieli. Il motivo (della
rinuncia al matrimonio) […] è racchiuso nella verità che Cristo ha dichiarato […] che ognuno nella
Chiesa ha il suo proprio dono. Il celibato è appunto
dono dello Spirito. […] il celibato per il regno non
è soltanto un segno escatologico, ma ha anche un
grande significato sociale […]. Il sacerdote, attraverso il suo celibato diventa l’uomo per gli altri […] (e),
rinunciando alla paternità ch’è propria degli sposi,
77
cerca un’altra paternità […], ricordando le parole
dell’Apostolo circa i figli […] (cfr. 1 Cor 4, 15; Gal 4,
19). Sono essi figli del suo spirito, uomini affidati dal
buon Pastore alla sua sollecitudine”.
Nell’esortazione apostolica post-sinodale, “Pastores dabo vobis” del 25 Marzo 1992 si legge: “Espressione privilegiata del radicalismo (evangelico) sono
i diversi consigli evangelici, che Gesù propone nel
Discorso della Montagna e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra di loro, d’obbedienza, di
castità e povertà […]. Tra i consigli evangelici, scrive
il concilio, eccelle questo prezioso dono della grazia
divina, dato dal padre ad alcuni di votarsi a Dio […]
nella verginità e nel celibato. Questa perfetta continenza per il Regno dei cieli è sempre stata tenuta in
singolare onore dalla Chiesa. Nella verginità e nel
celibato la castità mantiene il suo significato originario, quello cioè di una sessualità umana vissuta
come autentica manifestazione e prezioso servizio
all’amore di comunione e di donazione interpersonale. Questo significato sussiste pienamente nella
verginità, che realizza, pur nella rinuncia al matrimonio, il “significato sponsale” del corpo mediante
una comunione e una donazione personale a Gesù
Cristo e alla sua Chiesa […]. “Nella verginità l’uomo
è in attesa, anche corporalmente, delle nozze escatologiche di Cristo con la Chiesa, donandosi integralmente alla Chiesa […]”. In questa luce si possono
più facilmente comprendere e apprezzare i motivi
78
della scelta plurisecolare che la Chiesa d’Occidente ha fatto e ha mantenuto […] di conferire l’ordine
presbiterale solo a uomini che diano prova di essere
chiamati da Dio al dono della castità nel celibato assoluto e perpetuo.
Nonostante avesse dichiarato nel 1993 che “il celibato non è essenziale al sacerdozio e non fu promulgato come una legge da parte di Cristo”, bloccò
le richieste di dispense e si mostrò molto duro verso
chi lasciava il sacerdozio.
Nell’Udienza Generale del 14 Luglio 1993 dichiara: “[…] la Chiesa, infatti, ha ritenuto e ritiene che
esso (il celibato sacerdotale, N.d.A.) rientri nella logica della consacrazione sacerdotale e della conseguente appartenenza totale a Cristo […] (anche se,
parlando delle Chiese Orientali), la perfetta continenza, come dice il Concilio, non è richiesta dalla
natura stessa del sacerdozio. Essa non appartiene
all’essenza del sacerdozio come Ordine, e quindi
non è imposta in modo assoluto in tutte le Chiese.
Non sussistono, tuttavia, dubbi circa la sua convenienza e anzi congruenza con le esigenze dell’Ordine sacro.[…] Gesù non ha promulgato una legge,
ma proposto un ideale di celibato, per il nuovo sacerdozio che istituiva. Questo ideale si è affermato
sempre più nella Chiesa (dopo) una fase di Chiesa in
via di organizzazione e, si può dire, di sperimentazione di ciò che, come disciplina degli stati di vita,
79
corrisponda meglio all’ideale e ai consigli proposti
dal Signore.
In base all’esperienza e alla riflessione si è progressivamente affermata la disciplina del celibato
fino a generalizzarsi nella Chiesa occidentale in forza della legislazione canonica… per ragioni derivanti dalla congruenza sempre meglio scoperta tra il
celibato e le esigenze del sacerdozio. Il Concilio Vaticano II enuncia i motivi di tale intima convenienza
del celibato con il sacerdozio: “Con la verginità o il
celibato osservato per il regno dei cieli, i presbiteri si
consacrano a Cristo con un nuovo ed eccelso titolo,
aderiscono più facilmente a lui con un amore non
diviso, si dedicano più liberamente in lui e per lui al
servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo regno e la sua opera di rigenerazione divina, e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo”. È vero che
oggi la pratica del celibato trova ostacoli… Il Sinodo
dei Vescovi li ha considerati, ma ha ritenuto… siano
superabili.[…] Per questo, pur ammettendo che il
sommo pontefice possa valutare e disporre il da farsi in taluni casi, il Sinodo ha riaffermato che “nella
Chiesa latina l’ordinazione presbiteriale di uomini
sposati non è ammessa neppure in casi particolari”.
La Chiesa ritiene che la coscienza di consacrazione
totale, maturata nei secoli, abbia tuttora ragione di
sussistere e di perfezionarsi sempre più.
80
Benedetto XVI (2005 -), Joseph Alois Ratzinger,
nell’esortazione apostolica “Sacramentum caritatis”
(13/03/2007) si legge: “Il fatto che Cristo stesso, sacerdote in eterno, abbia vissuto la sua missione fino
al sacrificio della croce nello stato di verginità costituisce il punto di riferimento sicuro per cogliere il
senso della tradizione della Chiesa Latina a questo
proposito. Pertanto, non è sufficiente comprendere
il celibato sacerdotale in termini meramente funzionali. In realtà, esso rappresenta una speciale conformazione allo stile di vita di Cristo stesso. Tale scelta
è innanzitutto sponsale, è immedesimazione con il
cuore di Cristo Sposo che dà la vita per la sua Sposa.
[…] Ribadisco la bellezza e l’importanza di una vita
sacerdotale vissuta nel celibato come segno espressivo della dedizione totale ed esclusiva a Cristo, alla
Chiesa e al Regno di Dio, e ne confermo quindi l’obbligatorietà per la tradizione latina. Il celibato sacerdotale vissuto con maturità, letizia e dedizione è una
grandissima benedizione per la Chiesa e per la stessa
società”.
Nella “Lettera ai vescovi, ai presbiteri, alle persone
consacrate e ai fedeli della Chiesa Cattolica della Repubblica Popolare Cinese” del 12 Maggio 2007 così
scrive: “[…] merita una menzione particolare la formazione al celibato dei candidati al sacerdozio. E’
importante che essi imparino a vivere e a stimare
il celibato come dono prezioso di Dio e come segno eminentemente escatologico, che testimonia un
81
amore indiviso a Dio e al suo popolo e configura il
sacerdote a Gesù Cristo, Capo e Sposo della Chiesa. Tale dono, infatti, in modo precipuo esprime il
servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore
(Pastores dabo vobis – 25/03/92) e rappresenta un valore profetico per il mondo d’oggi”.
altre testimonianze
Sant’Ambrogio (339 – 397) affermò che i ministri
dell’altare precedentemente sposati, dopo l’ordinazione dovevano abbandonare il matrimonio. In “De
Virginibus” scrive: “È stato sempre proprio della
grazia sacerdotale spargere il seme della castità e suscitare l’amore per la verginità”. Nel confrontare lo
stato di verginità e il martirio, sostiene che la verginità è più lodevole del martirio. Convinto che il celibato proviene dalla grazia implorata con la preghiera, nella “Preparatio ad missam” così si esprime: “Re
dei vergini e amante della castità e della continenza
perfetta, con la celeste rugiada della tua benedizione
spegni nel mio corpo il fomite dell’ardente concupiscenza, affinché resti in me la castità del corpo e
dell’anima”. Afferma, inoltre, che chi è in ministero
non deve avere nessun rapporto coniugale (nec nullo
coniugali coitu violandum)”.
San Girolamo (347 – 420) confermò l’obbligo dei
ministri dell’altare di vivere sempre continenti (Ad-
82
versus Vigilantium, 406) e affermò che il rapporto
sessuale è una cosa sporca (omnis coitus immundus)
Sant’Agostino (354 – 430) partecipò ai concili
di Cartagine senza dissentire sui provvedimenti sul
celibato del clero. Nella sua De coniugiis adulterinis,
sostiene che “anche uomini sposati, se improvvisamente […] sono stati chiamati a far parte del clero
maggiore e ordinati, sono tenuti alla continenza, diventando così esempio per i laici […]”.
San Gregorio Magno (540 – 604), oltre a disporre che il suddiacono dopo l’ordinazione fosse obbligato alla continenza perfetta, confermava il canone
3 del concilio di Nicea che proibiva ai chierici maggiori la convivenza con le donne.
Pier Damiani (1007 -1072) si pose l’obiettivo di
combattere l’incontinenza nel clero e riportarlo
alla virtù della purezza e della castità perfetta. Così
espresse le sue idee sul celibato con diversi scritti.
Col “De caelibatu sacerdotum” (1059) si rivolse al
papa Niccolò II perché intervenisse con tutta la severità delle regole sacre contro quei sacerdoti immorali che avevano violato la castità.
Nel 1064 inviò una lettera al vescovo di Torino
Cuniberto e alla principessa Adelaide di Susa con la
quale si scaglia contro i sacerdoti incontinenti che
vivono “velut iure matrimoni confoederentur uxoribus” e apostrofa le loro concubine quali tigri, arpie
e vipere furiose.
83
La sua attività moralizzatrice si estese all’abitudine alla sodomia diffusa nell’ambiente clericale.
Nel “Liber Gomorrhianus così si esprime: “La sozzura sodomita s’insinua come un cancro nell’ordine
ecclesiastico […] Ci sembra completamente assurdo
che quelli che si insozzano abitualmente con questa
malattia purulenta osino entrare nell’ordine o rimanere nel loro grado… chi si è macchiato con un maschio con quella vergognosa libidine, non merita di
servire gli uffici ecclesiastici […]”.
altri documenti
Il canone 1037 (Titolo VI, cap. II, Requisiti previi
all’ordinazione) del CIC (Codex Iuris Canonici) si
rivolge agli ordinandi in questi termini. “Il promovendo al diaconato permanente, che non sia sposato,
e così pure il promovendo al presbiterato, non siano ammessi all’ordine del diaconato, se non hanno
assunto, mediante il rito prescritto, pubblicamente,
davanti a Dio e alla Chiesa, l’obbligo del celibato oppure non hanno emesso i voti perpetui in un istituto
religioso”.
Il “Decreto della Santa Congregazione dei Sacramenti (27/12/1930)” fa obbligo ad ogni candidato
al sacerdozio di giurare e dichiarare per iscritto di
accettare con piena consapevolezza il celibato.
Il Sinodo dei vescovi del 15 Febbraio 1971 nel documento finale “Ultimis temporibus” (30 Novembre
84
1971) afferma la necessità di conservare il celibato
nella Chiesa Latina.
La Nuova codificazione della Chiesa Latina del
1983 ribadisce: “I chierici sono tenuti all’obbligo
di osservare la continenza perfetta e perpetua per
il Regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato,
che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a
Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di
dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli
uomini”.
Sulla stessa linea si muove il Sinodo del 1990, dal
quale scaturisce l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II (Pastoris dabo vobis), nella quale il celibato è presentato come un’esigenza di radicalismo
evangelico, che favorisce in modo speciale lo stile di
vita sponsale e che deriva dal rapportare la figura
del sacerdote a Gesù Cristo, mediante il sacramento
dell’ordine.
Il catechismo della chiesa cattolica del 1992 ribadisce la medesima dottrina: “tutti i ministri ordinati nella Chiesa Latina, ad eccezione dei diaconi
permanenti, sono normalmente scelti tra gli uomini
credenti che vivono da celibi e che intendono conservare il celibato per il Regno dei cieli”.
Nel Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia
(22/10/2005), i padri sinodali affermano “l’importanza del dono inestimabile del celibato ecclesiastico nella prassi della Chiesa latina”.
85
Il 16 Novembre 2006, un comunicato della Sala
Stampa del Vaticano, dopo l’incontro che Benedetto XVI ha presieduto con la partecipazione dei
Cardinali e degli Arcivescovi Capi di Dicastero della Curia romana, così recita: “E’ stato riaffermato il
valore della scelta del celibato ecclesiastico secondo
la tradizione cattolica ed è stata ribadita l’esigenza
di una solida formazione umana e cristiana sia per i
seminaristi che per i sacerdoti già ordinati”
86
il celibato nelle altre chiese cristiane
Molti cattolici, che conoscono solo
le discipline canoniche latine o latinizzate, identificano i sacerdoti
sposati con i protestanti e gli ortodossi. Potrebbero quindi rimanere sorpresi leggendo nel CCEO
(Codice dei Canoni delle Chiese
Orientali) che anche i sacerdoti
e i diaconi della Chiesa cattolica possono scegliere liberamente
il celibato o il matrimonio, ma
prima dell’ordinazione. In nove
chiese cattoliche orientali il celibato del clero è facoltativo come
lo è il matrimonio (Nadir Giuseppe Perin).
Tra le Chiese cristiane, la sola che prevede per legge
il celibato sacerdotale per tutti i suoi ministri è quella cattolica apostolica romana.
Le Chiese nate dal Cristianesimo sono tante e
si distinguono dall’interpretazione della “parola”
di Gesù che, occorre ricordarlo, non fondò, o non
intendeva fondare, una religione, oggi così invasiva
(“Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che
è di Dio”– Matteo, cap. 22, v21) e così appariscente
87
nella sua ricchezza e formalità rituale, più dedita al
secolo che alla salvezza delle anime.
C’è molto fermento all’interno della Chiesa Cattolica, tanto che il Cardinale Claudio Hummes, che
guida la “Congregazione per il clero” ha dichiarato
che il celibato dei preti non è un dogma ma una norma disciplinare e, quindi, “La Chiesa deve discutere,
se è necessario ridiscutere le norme del celibato”. Ma
è stato messo a tacere dai… superiori, come vedremo più avanti.
Se la chiesa di rito ortodosso, quella protestante, quella anglicana, e le numerose chiese orientali
prevedono un sacerdozio uxorato, anche la chiesa
cattolica romana, nonostante il vincolo di celibato
imposto ai suoi sacerdoti, permette ad alcune chiese
orientali “in comunione con Roma” che i suoi sacerdoti possano sposarsi. Così anche in Italia (Basilicata, Calabria e Sicilia) gli italianissimi sacerdoti
delle diocesi di rito greco albanese, sono sposati. I
rapporti tra Roma e queste Chiese sono regolati da
una sorta di “gentlemen’s agreement” che, nel salvaguardare antiche tradizioni, evita la rottura col Vaticano.
Nelle chiese greco–cattolica, siriaca, armena,
copta, antiochena, melkita, etiope e tutte le comunità cattoliche dell’Europa dell’est i preti possono
sposarsi e avere figli, nonostante sono riconosciuti
dal Vaticano ed hanno lo stesso Papa.
88
Gentlemen’s agreement: (accordo tra gentiluomini) accordo informale tra due parti, che può essere scritto od orale. La sua caratteristica essenziale
è che si basa per la sua realizzazione sull’onore e
sul rispetto della parola data. Il 18 Ottobre 1990
Giovanni Paolo II promulga il “Nuovo Codice dei
Canoni delle Chiese orientali”(CCEO), entrato in
vigore il 1 Ottobre 1991, diverso da quello in vigore
nella Chiesa latina, che definisce il rapporto tra
“celibato e ministero sacerdotale”. Alcuni canoni
così recitano: Canone 373 – Il celibato dei chierici
scelto per il regno dei cieli e tanto conveniente per
il sacerdozio, deve essere tenuto ovunque in grandissima stima, secondo la tradizione della Chiesa
universale; così pure deve essere tenuto in onore lo
stato dei chierici uniti in matrimonio, sancito attraverso i secoli dalla prassi della Chiesa primitiva e delle Chiese orientali. Canone 374 – I chierici
celibi e coniugati devono risplendere per il decoro
della castità; spetta al diritto particolare stabilire i
mezzi opportuni da usare per raggiungere questo
fine. Canone 375 – I chierici sposati offrano un luminoso esempio agli altri fedeli cristiani nel condurre la vita familiare e nell’educazione dei figli.
Risulta evidente che l’aspirante al sacerdozio ha
due possibilità di scelta: il sacerdozio uxorato o
quello celibatario.
Le Chiese orientali prendono questo nome per un
fatto puramente geografico, in quanto svolgevano il
loro attivismo nella parte orientale dell’Impero Romano. L’oriente cristiano nell’età patristica superò in
89
numero e splendore l’occidentale. Poi, a causa delle
persecuzioni dell’Islam, dei Mongoli e dei Turchi,
conobbe un periodo di decadenza e una consistente
perdita di aderenti. Si ritiene che oggi i fedeli delle
Chiese orientali unite a Roma (uniatismo) siano circa 15 milioni.
Il Concilio di Trullo del 691, nel decretare che
i diaconi e i preti potevano sposarsi solo prima
dell’ordinazione mentre i vescovi non potevano, dà
ufficialità alla tradizione orientale circa il rapporto
tra il ministero sacerdotale e il celibato.
Anche nella Chiesa orientale si tentò d’imporre il
celibato a tutto il clero (Sinodo ecumenico del 325),
ma l’accorato intervento di Pafnuzio, vescovo della
Tebaide superiore, scongiurò il pericolo: “il matrimonio è in sé stesso onorevole, e il talamo nuziale
incontaminato, esortandoli in nome di Dio a non
recare danno alla Chiesa con restrizioni troppo severe. Non tutti, infatti, riescono a praticare una rigida continenza. Inoltre, l’atto coniugale tra marito e moglie si può chiamare casto […]”. “Pafnuzio
considerava il celibato obbligatorio una Hiperbolé
(o imposizione eccessiva) che non tiene conto delle
esigenze della natura umana. Un tale zelo iperbolico nell’emanare canoni che proibiscono ai vescovi,
preti, diaconi e suddiaconi sposati di continuare a
vivere con la loro moglie e impongono il celibato ai
candidati agli ordini sacri fa più male che bene alla
Chiesa. Non tutti possono sopportare il grave sacri90
ficio di reprimere i desideri naturali” (Nadir Giuseppe Perin).
Gelasio di Kyzikos, nella sua “Historia Concili Niceni” scrive che la decisione del primo sinodo
di istituire il celibato facoltativo fu vantaggiosa per
tutta la chiesa. Anche lo storico Sozomeno, V secolo,
afferma che nel primo sinodo non fu emanata “nessuna norma al riguardo, rimettendo invece ogni
decisione al libero giudizio degli interessati, senza
pressioni di sorta” (Sozomenus, Storia Ecclesiastica).
Il Sinodo di Gangra (365) col canone 1 scomunicava quanti condannavano il matrimonio e mostravano perplessità nel ricevere la comunione da
un sacerdote sposato. Il canone 211 stabiliva: “Senza
dubbio noi ammiriamo la verginità (s’intende il celibato) accompagnata dall’umiltà, e apprezziamo la
continenza accompagnata dalla gravità e santità…
ma al tempo stesso onoriamo la santa vita coniugale”.
La Chiesa Valdese permette ai suoi sacerdoti il
matrimonio.
Paolo Ricca (Docente emerito di Storia della
Chiesa della facoltà valdese di teologia di Roma) a
tal proposito scrive: “Le ragioni per le quali il protestantesimo non considera il matrimonio un sacramento sono due.
La prima è che, benché il matrimonio sia una
creazione di Dio e come tale Gesù ne abbia parla91
to, la Bibbia non ne parla mai come un sacramento. Non è dunque vero che Gesù abbia “istituito” il
matrimonio (come afferma il Concilio di Trento) o
che abbia “elevato il matrimonio a dignità di sacramento” (come afferma la “Casti Connubi”, enciclica
di Pio XI del 31 Dicembre 1930).
La dottrina del matrimonio come sacramento
non è biblica, per questo il protestantesimo l’ha abbandonata.
Proprio perché il matrimonio non era un sacramento, i primi cristiani non lo consideravano un
fatto religioso ma civile (ecco la seconda ragione),
tanto che nei primi tre secoli non esiste nessuna celebrazione specificatamente cristiana del matrimonio. Solo nel IX secolo si cominciò a celebrare matrimoni in chiesa e solo verso il XII secolo i teologi
cominciarono a discutere sulla natura sacramentale
del matrimonio […]. In sostanza, per il protestantesimo il matrimonio non è un sacramento, non solo
perché non c’è nella Bibbia, ma anche perché non
appartiene, per almeno sette secoli, alla tradizione
cristiana: è un’invenzione ecclesiastica tardiva.
Questo non significa che il protestantesimo abbia
svalutato il matrimonio. Al contrario, lo ha rivalutato contro l’idea medievale della “superiorità della
verginità e del celibato” (tratto dalla rubrica “Dialoghi con Paolo Ricca” del settimanale “Riforma”;
www.chiesavaldese.org).
92
L’Unione di Utrecht comprende le chiese dette
vecchio cattoliche di Svizzera, Paesi Bassi, Germania, Austria, Repubblica Ceca, Croazia, Polonia,
Stati Uniti e Canada.
La consacrazione sacerdotale non è legata al celibato; è prevista l’ordinazione delle donne agli uffici
sacerdotali (Sinodo 1999).
L’Unione di Utrecht è nata nel 1889 dall’unione
delle chiese vecchie cattoliche (vetero–cattoliche).
Sono cattoliche nella fede e nel culto ma non accettano i due dogmi del primato di giurisdizione
universale del Papa e dell’infallibilità (dogmi approvati nel 1870 dal Concilio Vaticano I). La loro
struttura episcopale–sinodale permette la partecipazione e la valorizzazione della democrazia.
Tutte le questioni, infatti, sono affrontate dal sinodo composto dal clero e dai laici rappresentanti le varie parrocchie, affermando il principio di
democrazia.
Nella Chiesa Ortodossa, come nelle Chiesa
dell’est dell’Eurasia (Europa orientale e Asia) il vescovo è eletto tra i celibi. Molto spesso tra i monaci,
perché questi hanno fatto voto di castità. Sacerdoti e
diaconi possono essere celibi o sposati indifferentemente, purché non siano sposati in seconde nozze e
non si sposino dopo l’ordinazione.
93
Le Chiese ortodosse delle varie nazioni sono autocefale, perciò si autogovernano anche se riconoscono un primato d’onore al Patriarca di Costantinopoli. Le Chiese ortodosse più importanti sono
quella Greca, la Russa, la Serba e la Rumena.
Martin Lutero (1483 – 1546), fondatore del Protestantesimo, ammise il sacerdozio universale dei credenti in quanto battezzati (ogni credente è sacerdote
per sé stesso e accede alle scritture senza alcuna intermediazione) e non mantenne la netta distinzione
tra laici ed ecclesiastici, propria della Chiesa Latina.
Le comunità luterane oggi sono guidate da pastori e
vescovi (dal 20° secolo anche donne) eletti dalle comunità stesse, che affidano loro il compito di istruire i fedeli, predicare e celebrare i sacramenti (solo tre
sacramenti: eucaristia, battesimo e penitenza).
Martin Lutero considerava il celibato ecclesiastico uno stato contro natura ed esaltava il matrimonio, condizione dell’uomo divinamente voluta, e la
formazione della famiglia, destinata alla procreazione e a portare serenità: “La massima parte dell’umanità è soggetta alla legge di natura, poiché Dio ha
detto: crescete e moltiplicatevi. Per questo è santo
il matrimonio, e tanto più in quanto crea uno stato
di doveri e di sacrifici, che certamente ci abituano a
confidare in Dio”.
Così, in coerenza alla sua predicazione, il 13 Giugno 1525 sposò Katharina von Bora, che da due anni
94
aveva abbandonato la vita monastica, dalla quale
ebbe sei figli.
Ulrich Zwingli (1484 – 1531), teologo svizzero,
fondò la Chiesa Riformista Svizzera, assumendo
come modello la riforma di Matin Lutero. Tra i vari
provvedimenti, abolì gli ordini religiosi ed eliminò
il celibato sacerdotale. Zwingli visse more uxorio
(come marito e moglie senza essere coniugati) con la
vedova Anna Reinhard che, con l’abolizione del celibato, sposò nel 1524 e dalla quale ebbe quattro figli.
Giovanni Calvino (1509 – 1564) sposò nell’Agosto
1540 la vedova Idelette de Bure dalla quale ebbe tre
figli.
Le ragioni che indussero il protestantesimo ad
abbandonare la regola cattolica del celibato vengono
esplicitate chiaramente da Luca Baratto (pastore e
curatore del programma di Radiouno “Culto evangelico”): “Il celibato ecclesiastico non nasce col Cristianesimo, ma si sviluppa al suo interno come regola della Chiesa cristiana occidentale. Una disciplina
dalla quale la Riforma protestante del XVI secolo
decise di allontanarsi, soprattutto per due motivi.
Il primo ha a che fare con la testimonianza biblica, sulla cui autorità il protestantesimo ha inteso
riformare la Chiesa. Secondo la testimonianza delle
Scritture, il celibato, infatti, non è un valore.
Nell’Antico Testamento il matrimonio è un dono
che riguarda tutto il popolo di Dio […]: la più grande
95
delle benedizioni è, infatti, avere una progenie a cui
testimoniare le grandi cose che il Signore ha fatto.
Nel Nuovo Testamento vengono citate le mogli
degli apostoli (Corinzi 9: 5) e dei vescovi (Tito 1; 5–7)
che per la loro reputazione è meglio che abbiano una
sola sposa (Timoteo 3; 1–6). Insomma, l’imposizione del celibato non trova fondamento nella testimonianza biblica.
C’è però una seconda e più ampia ragione che ha
spinto i riformatori ad ammettere il matrimonio dei
pastori: una diversa valutazione del mondo secolare.
La vocazione cristiana secondo il protestantesimo
può essere vissuta soltanto nel mondo secolare: non
esistono né luoghi appartati come i monasteri, né
condizioni particolari come il sacerdozio, nei quali
vivere una fedeltà maggiore di quella che ti consente
la vita di tutti i giorni. Per questo la Riforma chiuse
i primi e abolì, con l’idea del sacerdozio universale,
la distinzione tra clero e laicato. Un pastore […] è un
laico come tutti gli altri che è chiamato ad esprimere
la sua vocazione nella vita di tutti i giorni, accompagnando la sua comunità e condividendo con essa
tutti quei doni che il Signore elargisce, tra i quali il
matrimonio, con le responsabilità che esso comporta, la famiglia”.
La Chiesa Anglicana, quasi un accidente storico,
affonda le sue radici nella predicazione del teologo
John Wycliffe (1324 c.a –1384) e assorbe il movimen96
to dei lollardi che posero alla base della loro predicazione le “Dodici conclusioni”.
Sia Wycliffe che i lollardi, con sfumature più o
meno marcate, negarono qualsiasi autorità al sacerdozio. Essi credevano in un sacerdozio laico e non
accettavano il celibato clericale imposto dalla Chiesa di Roma. Wycliffe, infatti, negava che le Sacre
Scritture conferissero autorità al Papa e alla gerarchia ecclesiastica.
Lollardi: gruppo religioso attivo in Inghilterra
fino agli inizi della Riforma Protestante Inglese
nella quale si fuse. Ebbe come riferimento le idee
di John Wycliffe. L’origine e il significato del termine non sono certi. Si tende ad accettare un’iniziale origine olandese (lollaerd: qualcuno che borbotta) e una tarda, inglese (loller: un fannullone,
un mendicante pigro e dedito all’imbroglio). Le
“Dodici conclusioni”, il loro compendio dottrinale, non costituisce un corpus organico (molto
spesso le idee espresse dal singolo lollardiano non
concordano con una o più “considerazioni”. Regnava, insomma, una qualche forma d’anarchia.).
I principi fondamentali possono così riassumersi:
——la corruzione della Chiesa (ne costituivano un
grave aspetto le messe di suffragio e le preghiere dei morti: i morti andavano pregati tutti allo
stesso modo; ostentava troppe ricchezze che
dovevano essere usate per aiutare i poveri);
97
——le icone erano pericolose perché potevano portare all’idolatria;
——negavano autorità al sacerdozio perciò non
ritenevano necessaria la confessione poiché
il sacerdote non aveva il potere di rimettere i
peccati;
——rifiutavano il celibato ecclesiastico;
——non accettavano gli aspetti esteriori della dottrina cattolica quali la transustanziazione (indica la trasformazione, all’atto della consacrazione eucaristica, delle sostanze del pane e del
vino, nelle sostanze del corpo e del sangue di
Cristo), l’esorcismo, il pellegrinaggio e la benedizione che allontanavano la Chiesa dalla diffusione della parola di Dio;
——non accettavano né l’aborto né la pena di morte;
——rifiutavano la guerra e la violenza.
Inizialmente, i lollardi furono considerati eretici, poi furono protetti dai nobili anticlericali inglesi, quindi furono perseguitati (morirono sul
rogo l’artigiano John Badby e sir John Oldcastle
che aveva organizzato un’insurrezione). Infine, si
confusero nella Chiesa Anglicana.
La Chiesa Anglicana fonda la sua dottrina su 39
precetti o articoli di religione, racchiusi nel Prayer
Book. L’attuale testo, se si escludono alcune revisioni apportate, è quello del 1571.
98
Il precetto XXXII così recita: “A vescovi, preti e
diaconi non è fatto obbligo dalla legge di Dio né di
scegliere lo stato della vita solitaria né di astenersi
dal matrimonio. È quindi perfettamente lecito per
loro, come per tutti gli altri cristiani, di contrarre
matrimonio a loro propria discrezione, se ritengono
che esso possa servire meglio alla pietà”.
La Chiesa Anglicana nasce ufficialmente con
l’”Atto di supremazia” votato nel 1534 dal Parlamento inglese. Enrico VIII sposa nel 1509 Caterina d’Aragona che, nonostante le numerose gravidanze, non riesce a dargli un erede. Chiede allora
di poter divorziare da Caterina e sposare Anna
Bolena. Papa Clemente VII non è d’accordo, anzi,
quando Enrico sposa Anna il 25 Gennaio del 1533,
nel Luglio dello stesso anno, decide di scomunicarlo. Il Parlamento inglese reagisce approvando
una serie di leggi che resero impossibile una composizione della disputa con Roma:
——Lo “Statute in Restraint of Appeals (Statuto per
la limitazione degli appelli)” proibisce al clero
inglese di ricorrere al Papa;
——L’“Ecclesiastical Appointments Act (Atto sulle
nomine ecclesiastiche)” stabilisce che il clero
sceglierà i vescovi tra quelli nominati dal re;
——L’“Act of Supremacy (Atto di Supremazia)” dichiara il re unico Capo Supremo sulla terra della Chiesa d’Inghilterra;
99
——Il “Treasons Act (Atto sui tradimenti)” considerava il non voler riconoscere il re come tale un
atto di tradimento, punibile con la morte;
——L’“Act of Succession (Atto di Successione)” convalida il matrimonio tra Enrico VIII e Anna
Bolena.
Dopo il tentativo di restaurazione di Maria I, Elisabetta I, che le successe nel 1559, promulgò l’Atto
di Uniformità col quale ripristinò il “Book of common Prayer”, il libro di preghiere della Chiesa Anglicana, e, quattro anni dopo, l’atto di supremazia
che ristabilisce l’autorità della corona sulla Chiesa.
L’11 Novembre 1992 il sinodo della chiesa anglicana delibera di ammettere le donne al sacerdozio.
Le prime ordinazioni si ebbero il 12 Marzo 1994,
eliminando un tabù del cristianesimo.
Nelle Chiese di seguito elencate, i preti possono
sposarsi:
——Chiesa cattolica italo – greca (abbazia di Grottaferrata nel Lazio, eparchie di Lungro in Calabria e di Piana
degli Albanesi in Sicilia, in Italia)
——
——
——
——
——
——
Chiesa greco – cattolica albanese (Albania)
Chiesa greco – cattolica bielorussa (Bielorussia)
Chiesa greco – cattolica bulgara (Bulgaria)
Chiesa greco – cattolica croata (Croazia)
Chiesa greco – cattolica di Grecia (Grecia e Turchia)
Chiesa greco – cattolica di Serbia e Montenegro (Serbia e
Montenegro)
—— Chiesa greco – cattolica macedone (Macedonia)
—— Chiesa greco – cattolica melchita (Siria, Libano, Israele,
Palestina, Giordania, Iraq, Egitto e comunità mediorientali nel mondo)
100
—— Chiesa greco – cattolica rumena (Romania, Stati Uniti)
—— Chiesa greco – cattolica rutena (eparchia di Mukacevo,
Ucraina)
—— Chiesa greco – cattolica russa (Russia)
—— Chiesa greco – cattolica slovacca (Slovacchia, Canada)
—— Chiesa greco – cattolica ucraina (Ucraina, Polonia, Stati
Uniti, Canada, Finlandia, Norvegia, Svezia, Argentina,
Brasile, Australia e comunità ucraine nel mondo)
—— Chiesa greco – cattolica ungherese (Ungheria)
—— Chiesa cattolica copta (Egitto)
—— Chiesa cattolica etiope o geez (Etiopia, Eritrea)
—— Chiesa cattolica maronita (Libano, Cipro, Giordania, Israele, Palestina, Egitto, Siria Argentina, Canada, Messico
Australia)
—— Chiesa cattolica sira (Libano, Iraq, Giordania, Kuwait. Palestina, Egitto, Sudan, Siria, Turchia, Stati Uniti, Canada,
Venezuela)
—— Chiesa cattolica siro – malankarese (India)
—— Chiesa cattolica di rito caldeo (Iran, Iraq, libano, Egitto,
Siria, Turchia, Stati Uniti)
—— Chiesa cattolica siro – malabarese (India e Stati Uniti)
—— Chiesa cattolica di rito armeno (Libano, Iran, Iraq, Egitto, Siria, Turchia, Ucraina, Grecia, Romania, Argentina,
Canada, Stati Uniti e altre zone dell’America Latina e
dell’Europa orientale)
101
il celibato nella vita dei pontefici
…ho sognato una Chiesa nella
povertà e nell’umiltà, che non
dipende dalle potenze di questo
mondo. Una Chiesa che concede
spazio alla gente che pensa più in
là. Una Chiesa che da coraggio,
specialmente a chi si sente piccolo
o peccatore. Una Chiesa giovane.
Oggi non ho più di questi sogni.
Dopo i settantacinque anni ho
deciso di pregare per la Chiesa.
(Cardinale Carlo Maria Martini
“Jerusaler Nachtgesprache”)
Come abbiamo visto, il Concilio di Elvira (300 – 313
ca.), canone 33, imponeva ai sacerdoti di “astenersi
dalle loro mogli” e il successivo Concilio di Nicea
(325) vietava “di tenere delle donne di nascosto”. Se
ne deduce che per i sacerdoti era normale non solo
sposarsi, ma convivere con donne che non fossero le
loro mogli.
Successivi concili, numerose Encicliche e Decreti
che, pur nella loro ripetitività di contenuto, si occuparono del celibato, ci lasciano pensare che i papi
che si sono succeduti e le gerarchie si occuparono
103
del problema con grande solerzia e impegno perché
la Chiesa nella sua totalità apparisse portatrice di
moralità, lontana dai piaceri della carne. In realtà
non fu così e le numerose testimonianze, anche di
uomini di chiesa, ci dicono che le alte gerarchie predicavano bene, ma, quanto a razzolare, lo facevano
male.
Ci furono lunghi periodi in cui perfino nei palazzi del Vaticano il concubinaggio e il sesso mercificato erano manifesti.
Il cardinale Cesare Barone (latinizzato Baronius,
1538 – 1607) definì il vaticano: “Il dominio delle prostitute” che “di fatto determinò l’ancor più scandaloso dominio dei puttanieri” (Annales Ecclesiastici,
folio, iii Antwerp 1597)
Se perfino i Papi avevano rapporti con donne
di diversa estrazione sociale e avevano figli, alcuni
riconosciuti e con un avvenire assicurato (nepotismo), perché decretavano il celibato, perseguitando
non solo i sacerdoti, ma soprattutto le loro mogli che
in molti casi furono vendute come schiave assieme
ai figli?
La corruzione e il piacere della carne coinvolgevano i monasteri, molti dei quali erano ridotti a vere
e proprie case di piacere. I testi dei cronisti dell’epoca, pervenuti miracolosamente fino a noi, ci dicono che nel IX secolo molti conventi erano rifugio di
omosessuali o bordelli nei quali l’infanticidio era la
norma poiché le suore incinte, per evitare infezioni
104
letali, facevano nascere i bambini per poi strangolarli.
Il vescovo Liutprando da Cremona ci ha lasciato
un quadro notevole della scelleratezza e dissolutezza dei papi e dei colleghi episcopali: “Andavano a
caccia […] tenevano ricchi banchetti con danzatrici
al termine delle battute e si appartavano con queste
svergognate prostitute su letti con lenzuola di seta e
coperte con ricami in oro (“Antapodosis, storia papale dall’886 al 950”)”.
La preparazione culturale e spirituale dei pontefici lasciava molto a desiderare, gli standard morali
di molti erano assai bassi e la regola del celibato non
veniva seguita ovunque (Catholic Enciclopedia).
San Pier Damiani (1007 – 1072), il più antico
censore della sua epoca, ci descrive un inquietante
quadro della decadenza della moralità del clero nelle
fosche pagine del suo “Libro di Gomorra”.
In questo documento, stranamente sopravvissuto a secoli di roghi di libri da parte della Chiesa,
afferma: “Nei papi è presente una naturale tendenza all’omicidio e alla brutalità. Né costoro hanno la
minima propensione a domare la loro abominevole
lussuria; molti sono stati visti indulgere alla licenziosità per i piaceri della carne e, di conseguenza,
usare tale libertà per perpetrare ogni sorta di crimine”.
In Catholic Enciclopedia […] si legge: “In base
alla testimonianza di san Bruno, vescovo di Segni,
105
all’epoca dell’elezione di Leone X (1049), l’intera
chiesa era immersa nella dissolutezza […]; Simone
Mago (simonia) imperava sulla chiesa, i cui papi e
vescovi erano dediti alla lussuria e alla fornicazione”.
La libidine dei chierici, come ci dice Isidoro (558
– 636), era così diffusa che non era più considerata
un vizio, ma era tollerata.
In una lettera a papa Zaccaria (741 – 752), Bonifacio (Winfrid Bonifatius), l’apostolo dei tedeschi,
descrive una situazione assai decadente della Chiesa
franca dell’VIII secolo: “[…] da più di ottanta anni i
Franchi non tenevano assemblee ecclesiastiche […];
gli arcivescovi erano nelle grinfie […] di preti adulteri; c’erano diaconi che vivevano nella lussuria sin
dalla giovinezza; così son pervenuti al diaconato e
ancora mantengono di notte nei loro letti quattro,
cinque o più concubine, né si vergognano di leggere
il vangelo […] e in siffatte condizioni diventano sacerdoti, anzi persino vescovi”.
La lotta della Chiesa contro il matrimonio dei
preti, dunque, ebbe l’effetto contrario da quello sperato. Il clero si abbandonò al concubinaggio
e all’incesto, divenuto una piaga non più eludibile
se il Concilio di Metz del 753 proclamò: “Qualora i
preti intrattengano rapporti sessuali con monache,
madri, sorelle, se occupano posizioni gerarchiche
elevate saranno deposti, se appartenenti al basso
clero, saranno fustigati”.
106
Non c’è da meravigliarsi se persino papa Innocenzo III, il fautore delle crociate contro gli albigesi,
scrisse che in Linguadoca (regione della Francia meridionale) l’origine del male che si era impadronito
dei prelati di quelle regioni “risiede nell’arcivescovo
di Narbonne” che “[…] nei dieci anni in cui ha retto
la carica non ha visitato una sola volta la sua diocesi
[…] dove tutti possono osservare che preti e monaci
[…] hanno preso mogli e amanti e vivono di usura”.
San Bonaventura di Bagnoregio (1217 ca – 1274),
cardinale e generale dei francescani e poi dottore della Chiesa, paragonò Roma alla meretrice
dell’Apocalisse, mentre Francesco Petrarca descrive
la corte di Avignone al tempo di Clemente VI come
“la vergogna dell’umanità, un covo di vizi, una fogna dove è raccolta tutta la sporcizia del mondo […].
Tutto quanto in quel luogo respira menzogna: […]
soprattutto i letti”.
Avignone è una cittadina della Francia meridionale collocata sulla sinistra del fiume Rodano. Di
origini molto antiche, fu colonia greca e città romana col nome di Avenio, ebbe grande importanza allorquando papa Clemente V vi spostò la sede
papale. Il periodo, che gli storici ricordano come
“cattività avignonese”, va dal 1309 al 1377, quando
Gregorio XI riportò a Roma la sede pontificia, sollecitato da Caterina da Siena e dallo stesso re di
Francia impegnato nella guerra dei cent’anni. La
causa dello spostamento ad Avignone della sede
107
papale risale ai contrasti tra il papa Bonifacio VIII
e il re di Francia Filippo il Bello che “pretendeva”
che anche il clero pagasse le tasse. Ad Avignone si
susseguirono i seguenti sette papi:
——Clemente V (1305 – 1314; Bertrand de Got)
——Giovanni XXII (1316 – 1334; Jacques d’Euse)
——Benedetto XII (1334 – 1342; Jacques Fournier)
——Clemente VI (1342 – 1352; Pierre Roger)
——Innocenzo VI (1352 – 1362; Etienne Aubert)
——Urbano V (1362 – 2370; Guillaune de Grimoard)
——Gregorio XI (1370 – 1378; Roger de Beaufort)
A partire dal Concilio di Trento tali nefandezze
diminuirono, almeno in apparenza, tanto che il teologo cattolico Curci nel 1883 scriveva: “[…] oggi le
cose non vanno meglio che nel secolo XVI, prima
dell’introduzione della riforma tridentina, quando
le concubine dei prelati, accompagnate dai servi in
livrea dei loro protettori, scorrazzavano per le vie di
Roma. […] durante gli ultimi anni del pontificato di
Pio IX in una provincia meridionale c’era una piccola diocesi, nella quale non ci fu prete, né il vescovo
faceva eccezione, che non mantenesse pubblicamente la sua donna” (Fernando Liggio “Il celibato e le
aberrazioni del clero cattolico”).
F. Quaranta nel suo libro “Preti sposati nel medioevo” presenta cinque testi che vanno dall’XI al
XIII secolo che ci danno testimonianza delle “sof108
ferenze e la resistenza opposta dai chierici ad una
modifica violenta e ritenuta ingiusta, imposta alla
tradizione del matrimonio dei preti, fino ad allora
seguita e rispettata”.
“Il primo testo in questione riguarda il vescovo Ulrico di Imola, nel 1059, con il suo deciso rifiuto all’attacco dei cosiddetti riformatori gregoriani contro il clero sposato […].
Il secondo testo, di un anonimo scoliaste (n.d.a:
nell’antichità chi annotava i testi degli scrittori) italo–greco del 1037, commissionato da Nicola di Reggio, vescovo della Calabria bizantina, è una particolare e interessante difesa del matrimonio del clero.
Il terzo, risalente al 1078 […], riporta un profondo,
intelligente e sincero trattato a favore dei preti sposati […]. Il quarto è un discorso di Landolfo Seniore
(storico dell’XI secolo) che attacca violentemente la
Pataria, un movimento socio–religioso alleato con
gli autodefinitesi riformatori gregoriani che […]
considera e fa considerare i preti sposati come pubblici peccatori. Il quinto testo è a favore del clero sposato da parte di un ellefono dell’Italia meridionale,
Nicola, abate del monastero di Casale presso Lecce:
“[…] è contro la legge privare coloro che fanno parte
del collegio sacerdotale dell’onorato matrimonio e
dell’incontaminato talamo” (recensione di Marcello
– “Sulla Strada” n°4/2000 del libro di F. Quaranta
“Preti sposati nel Medioevo”, edizione Claudiana).
109
Nella storia della Chiesa molti papi furono sposati con figli e molti, pur non sposati, ebbero figli,
sebbene deliberazioni conciliari li impegnassero a
comportamenti diversi.
Il cardinale John Farley, storico del cattolicesimo
nonché arcivescovo di New York, riferendosi ai papi,
ammise velatamente che “le antiche leggende delle
loro vite dissolute potrebbero in parte corrispondere
a verità […] che non sostennero in modo austero la
virtù dei costumi sessuali, mentre l’ingiustizia era
una prerogativa generale della corte papale, tuttavia
è probabile che il perfezionamento morale fosse alla
testa dei loro pensieri” (Catolic Encyclopedia, Pecci
Ed., iii, pag. 207). Di norma la reale reputazione dei
papi è stata rappresentata in modo talmente erroneo che molti non sanno che così tanti papi erano
non solo depravati, ma anche i più crudeli e perfidi
strateghi militari mai visti (Tony […] Nexus n° 68,
pag 35).
L’elenco che segue, sebbene non esaustivo nel
numero né nelle informazioni concernenti i singoli
papi, cerca di dare al lettore un aspetto, certamente
non secondario, ma spesso nascosto dalle biografie
cristiane, della vita dei pontefici che con l’esempio
dovevano dar seguito alle posizioni assunte in merito al celibato del clero:
Damaso I (366 – 384), eletto papa rinunciò a moglie e figlio.
110
Siricio (384 – 399), quando divenne papa, abbandonò la moglie. Sostenne la necessità per il clero
sposato di dormire in letti separati.
Anastasio I (399 – 401), a detta di San Girolamo,
sarebbe il padre d’Innocenzo I, suo successore.
Innocenzo I (401 – 417) sostenne le istanze di Siricio.
Sisto III (432 – 440) fu processato per aver sedotto una suora. Si difese dicendo: “Lasciate che chi è
senza peccato tiri la prima pietra”. (Marco Capurro
“Venti secoli di papato”).
Leone I Magno (440 – 461) affermò che i vescovi
e i preti sposati dovevano trattare la moglie come
sorella.
S. Felice III (483 – 492), sposato, pare abbia avuto
almeno un figlio, Gordiano, padre del futuro papa
Agapito I. (www.santiebeati.it)
S. Omisda (514 – 523), sposato, ebbe un figlio che
divenne papa col nome di Silverio (536 – 537).
Adriano II (867 – 872), sposato e con una figlia
prima di essere eletto papa, viveva in Laterano con
la moglie Stefania e la figlia da lei avuta.
Sergio III (904 – 911) ebbe un figlio da Marozia la
quale riuscì con le sue trame a farlo diventare papa
col nome di Giovanni XI.
Giovanni X (914 – 929) ebbe una figlia dall’amante Teodora, che in seguito “fu ripudiata”. Poi “adescò
l’avvenente giovane figlia di Ugo di Provenza nel suo
talamo papale” (tony…). Liutprando scrisse che fu
111
fatto papa perché era diventato l’amante di Teodora.
Giovanni XI (931 – 935), figlio di Marozia e del
papa Sergio III, come fu confermato dallo storico
Flodoardo (894 – 966), fu dedito ai piaceri triviali e
condusse una vita sfrenata e dissoluta.
Giovanni XII (955 – 964), pronipote di Marozia,
divenne papa a 16 anni. Manteneva un harem nel
palazzo Laterano ed era sempre alla ricerca di nuove
amanti, tanto che l’imperatore Ottone di Sassonia
nel 961 gli scrisse una lettera d’accusa: “Tutti quanti,
religiosi e laici, accusano Voi, Santità, di omicidio,
spergiuro, sacrilegio, incesto con le vostre parenti,
comprese due vostre sorelle, e di avere invocato,
come un pagano, Giove, Venere e altri demoni”.
Di queste accuse fu chiamato a rispondere dal sinodo convocato da Ottone stesso in San Pietro il 6 novembre 963 (Liutprando Cremonensis “Antapodosis”).
Ma nel frattempo il papa era fuggito “in carrozza
con due amanti e uno scrigno di gioielli, e riparò
in un castello del Lazio (Indro Montanelli “Storia
d’Italia”).
Durante alcuni bagordi brindò a Sodoma e nominò la sua infame signora/prostituta Marcia responsabile del suo bordello a palazzo del Laterano
(Antapodotis).
Secondo il monaco cronista Benedetto del Soratte “gli piaceva avere intorno il suo gruppo di donne
scarlatte e durante il processo intentato contro di lui
112
per l’assassinio di un suo avversario, il suo clero giurò che aveva avuto rapporti incestuosi con la sorella
e violentate alcune monache (Annales of Beneventum sui monumenta Germaniae).
Giovanni XII forse fu uno dei peggiori papi di
tutti i tempi. Depravato, sempre circondato da prostitute e da ragazzi di vita, finì la sua indegna esistenza scaraventato fuori da una finestra dal marito
della sua amante di turno, che lo aveva colto sul fatto (“in flagrante delicto”), una tale Stefanetta (www.
eresie.it).
Nel “The Oxford Dictionary of Popes di J. N. D.
Kelly” (Oxford University Press, 1986, pag. 126) si
legge: “Non aveva neanche diciott’anni, e le testimonianze dell’epoca sono concordi sul suo disinteresse
per le cose spirituali, la sua dedizione ai piaceri triviali e la sua vita sfrenata e dissoluta”.
Di lui Montanelli scrive (Storia d’Italia): “Giovanni XII era un giovane sensuale e turbolento. I
suoi ritrovi preferiti erano la taverna e il bordello.
Sotto la sua gestione il Vaticano non differì molto
da questi locali. Alla cura delle anime, antiponeva
quella dei corpi, specialmente femminili […]. Non
c’era gentildonna e, dicono i maligni, gentiluomo
che non fossero stati ospiti della sua alcova […].
Nessuna romana osava avventurarsi per le strade
dell’Urbe ai cui angoli stavano appostati i lenoni (lenone: favoreggiatore, sfruttatore della prostituzione;
ruffiano, mezzano – dal Grande Dizionario Garzan113
ti) del papa, pronti a rapire le donne e condurle con
forza in Vaticano. Giovanni XII aveva un harem ben
fornito e con le sue concubine era assai prodigo” Il
cardinale Bellarmino disse di lui: “Fuerit fieri omnium deterrimus” (il peggiore di tutti i papi).
Benedetto VII (975 – 983) fu ucciso da un marito
geloso. Il cardinale Baronio nelle “Cronache” riferendosi a Benedetto VII, Benedetto V, Leone VIII,
Giovanni XIII, li chiama “non apostolicos sed apostaticos” e ancora “nello scanno di Pietro siedono
non uomini ma mostri con l’aspetto di uomini…
vanagloriose messaline piene di brame carnali ed
esperte in ogni forma d’orrore governano Roma e
prostituiscono lo scanno di San Pietro per i loro favoriti o le loro puttane”.
Giovanni XIII (965 – 972). Dalle notizie dateci
da Liutprando da Cremona, morì per mano di un
marito geloso.
Bonifacio VII (974 – 984 – 985), è considerato
dalla Chiesa, dal 1903, un antipapa. Visse per la soddisfazione dei sensi. Fuggì a Costantinopoli nel 974,
dopo aver disonorato una giovinetta, portando con
sé il tesoro di Pietro. Ritornato a Roma, viene ucciso
a coltellate mentre era a letto con una delle amanti.
Benedetto IX (1032 – 1044; 1047 – 1048), al secolo
Teofilatto Muscolo, divenne papa all’età di 11 anni.
I cronisti dell’epoca ne parlano come di un mostro
d’immoralità. Nel 1045, per amore di una donna
abdica lasciando il papato al suo padrino Giovanni
114
Graziano, che diventerà papa col nome di Gregorio
VI, in cambio di 70 Kg d’oro. In seguito, lasciato
dalla donna, decise di riprendersi il papato. Così si
ebbero ben tre papi contemporaneamente: Silvestro
III, Benedetto IX e Gregorio VI. Enrico di Germania, convocato un concilio a Sutra, giudica Silvestro
un impostore, lo riduce allo stato laico e lo condanna in un eremo. Benedetto rinuncia spontaneamente all’incarico mentre Gregorio VI dove rinunciare
perché accusato di simonia per i 70 Kg d’oro pagati.
Pier Damiani fa un’amara considerazione: “Quel
miserabile sguazzò nell’immoralità dall’inizio alla
fine del suo pontificato”.
Innocenzo IV (1243 – 1254), al secolo Sinibaldo
Fieschi, fa pervenire al popolo di Lione che lo aveva
ospitato, dopo il rifiuto inglese, un’incredibile lettera di ringraziamento, scritta dal cardinale Hugo,
che la dice lunga sulla sua moralità e sui rapporti
con le donne: “Durante il nostro soggiorno nella vostra città, noi (la curia romana) siamo stati di caritatevole assistenza per voi. Al nostro arrivo c’erano
tre o quattro sorelle dell’amore, mentre alla nostra
partenza vi abbiamo lasciato […] un bordello che si
estende da una parte all’altra della città” (Marco Capurro “Venti secoli di papato”).
Clemente IV (1265 – 1268), al secolo Guy Foulques, prima di farsi monaco certosino fu sposato ed
ebbe due figlie.
115
Bonifacio VIII (1294 – 1303), al secolo Benedetto
Caetani, fu un libertino, tanto da tenere con sé come
amanti una donna sposata e la figlia di lei. Gli furono rivolte numerose accuse tra cui quella di sodomia (Wikipedia). “Bonifacio VIII, secondo alcune
cronache è accusato di una relazione intima con una
contessa francese, episodio che non siamo in grado
di dimostrare” (Tony Bushby “La storia criminale
del papato – Nexus n° 69 del 2007, pag. 43).
Durante il processo che si svolse a Parigi contro di lui, settembre 1303, affermò, a conferma del
disprezzo per la Chiesa che rappresentava: “Gesù
Cristo non è mai esistito e l’eucaristia non è altro
che farina e acqua. La madonna era una vergine tanto quanto lo era mia madre, e l’adulterio non è più
peccaminoso che fregarsi le mani” (A history of the
popes, Dr. Joseph Mc Cabe, Londra 1939).
Niccolò V (1328 – 1329), al secolo Pietro Rainalducci di Corvara, sposato con figli, non era nemmeno prete. Fu eletto al soglio pontificio da un comitato
di tredici membri rappresentanti del clero romano
per volontà dell’imperatore Ludovico il Bavaro.
Benedetto XII (1334 – 1342), al secolo Jacques
Fournier, aveva voluto come amante la sorella di
Francesco Petrarca che, pur essendo favorevole al
celibato, inteso come valore aggiunto di ogni religioso, sottolineò come le alte sfere della gerarchia,
papa compreso, praticassero sesso. Il papa addirittura riconosceva i figli (Nexus).
116
Clemente VI (1342 – 1352), al secolo Pierre Roger de Beaufort, ebbe diverse amanti e numerosi figli che, bisogna dire a suo merito, riconobbe tutti.
I suoi incontri privati erano chiamati “sessioni di
indulgenza plenaria”.
Francesco Petrarca, in una lettera ad un suo amico vescovo così descrive l’Avignone di Clemente VI:
“Sebbene infatti […] mai non vi trovassero albergo
la fede e la carità, e di quel luogo ciò dir si possa ciò
che già fu detto di Annibale, nulla essere in esso di
vero, nulla di sacro, non timore di Dio, non santità
dei giuramenti, non religione […]”.
Urbano VI (1378 – 1379), al secolo Bartolomeo
Prignano, ebbe figli e figlie.
Clemente VII (1378 – 1394), al secolo Roberto di
Ginevra, cugino del re di Francia, trascorse la sua
esistenza passando da un letto all’altro. La Chiesa lo
considera un antipapa.
Giovanni XXIII, al secolo Baldassare Cossa
(1410 – 1415), prima di pervenire al soglio pontificio
era conosciuto per essere un ex pirata, un avvelenatore, un uccisore di massa, un fornicatore con una
predilezione per le suore, un adultero e un magnaccia.
La chiesa l’ha cancellato dagli elenchi perché lo
considera un antipapa.
Il giorno di tutti i santi del 1414 aprì il concilio
di Costanza (erano presenti, dicono le cronache
dell’epoca, circa 1200 prostitute per il clero) e il gior117
no di Natale l’imperatore Sigismondo gli ordinò di
dare le dimissioni. Fuggito a Schaffausen, è ripreso
dalla guardie imperiali e ricondotto a Costanza dove
fu accusato di pirateria, assassinio, violenza carnale, sodomia ed incesto. A Roma era noto che l’unica
forma d’esercizio fisico che faceva era quella a letto. Secondo la cronaca del tempo, mentre era legato
pontificio sedusse 200 donne e un numero simile di
uomini. (Gibbon “The decline and fall; fernandoliggio.org/art13.pdf)
Eugenio IV (1431 – 1447), al secolo Gabriele Condulmer, trascorse la maggior parte dei nove anni del
suo esilio vivendo nei bordelli di Napoli (enciclopedia di Diderot –Nexus n°69 del 2007, pag. 44)
Felice V (1439 – 1449), sposato con Maria figlia
di Filippo II l’Ardito, ebbe un figlio, Amedeo di Savoia.
Pio II (1458 – 1464), al secolo Enea Silvio Piccolomini, trascorse “una giovinezza spensierata allietata dall’amore di una certa Angela, cantata nei suoi
versi col nome di Cinthia (Claudio Rendina – I papi,
storia e segreti)”.
Durante una missione in Scozia presso Giacomo
I, affidatagli dal cardinale Albergati, ebbe un’”esperienza inebriante […] ricca di piccanti avventure,
frutto delle quali furono due figli, avuti da una scozzese e da una brettone”.
Sisto IV, al secolo Francesco Della Rovere, (1471
– 1484). Ebbe diversi figli chiamati, come voleva il
118
costume dell’epoca “i nipoti del papa”. I cronisti suoi
contemporanei scrivono che Pietro Riario fu il suo
favorito e lo storico Theodor Griesinger ritiene fosse
nato dall’amore incestuoso con la sorella. Fu il primo papa a concedere una licenza legale ai bordelli di
Roma. Concesse, inoltre, ai preti di poter tenere una
compagna dopo aver pagato l’apposita tassa. Si legge che fece progetti perché i monasteri diventassero
“bordelli pieni di prostitute di primissima scelta,
scarne per digiuno ma colme di lussuria” (A history
of the popes; analoghe descrizioni dei conventi di secoli precedenti sono reperibili anche negli Annali di
Hildesheim 890 c.a.).
Il cancelliere d’Infessura scrive che fu bisessuale
e un gran pederasta, tanto che molti furono coloro
che ricevettero l’ordinazione cardinalizia come ricompensa dei piaceri sessuali ricevuti.
Innocenzo VIII (1484 – 1492), al secolo Giovan
Battista Cybo, non sposato, ebbe molti figli.
Ne riconobbe ufficialmente due, Franceschetto
e Teodorina; gli altri erano considerati nipotini e
vivevano a corte. Fu lo stesso Innocenzo VIII a celebrare in Vaticano il 20 gennaio 1488 le nozze di
Franceschetto con Maddalena, la figlia del signore
di Firenze. Un cronista del tempo commenta “che
fu grave scandalo vedere il santo padre partecipare
al banchetto in compagnia di alcune belle donne in
occasione del matrimonio della nipote Peretta con
Alfonso del Carretto, marchese di Finale”.
119
Nonostante le numerose richieste contro il concubinaggio, le disattese e qualcuno, molto ironicamente scrisse: “Sua santità si alza la mattina dal suo
letto di puttane per aprire e chiudere i cancelli del
Purgatorio e del Paradiso”. I suoi unici interessi furono le donne e il sesso.
Il vaticano divenne un’istituzione governata dalla sua numerosa progenie di figli illegittimi, mentre
i costi per il mantenimento delle sue donne, figli e
figlie assunsero dimensioni gigantesche (Tony Bushby “La storia criminale del papato”, Nexus n° 69
del 2007, pag. 48).
Innocenzo morì il 25 Luglio 1492 lasciando numerosi figli (Octo Nocens pueros genuit, totidemque
puellas; Hunc merito poterit dicere Roma patrem:
Innocenzo generò otto figli maschi e altrettante figlie; così a buon diritto Roma potrà chiamarlo padre
– Gianfranco “Incontri con Pasquino”, Roma 2004,
pag 24).
Jacob Burckhardt così parla del figlio Franceschetto: “Innocenzo VIII e suo figlio (Franceschetto Cybo) eressero addirittura una banca di grazie
temporali, nella quale, dietro il pagamento di tasse alquante elevate, poteva ottenersi l’impunità per
qualsiasi assassinio o delitto […] (La civiltà del Rinascimento in Italia).
Alessandro VI (1492 – 1503), al secolo Rodrigo
Borgia, non sposato, ebbe sette figli. Arciverscovo
di Valencia era famoso perché faceva sesso con una
120
signora e le sue due bellissime figlie che lo seguirono
anche in Italia. Da una di loro, Giovanna Cattanei
detta Vannozza, ebbe il figlio Cesare e la figlia Lucrezia. Alla sua corte c’era ogni perversione, dalle
orge all’incesto.
“Il suo percorso terreno fu disseminato di numerosi figli, ovviamente tutti illegittimi. Da una relazione con Giovanna Cattanei nacquero quattro figli
e altri tre da una donna sconosciuta. Nel corso del
suo pontificato gli nacquero altri due figli, mentre
la sua amante ufficiale fu Giulia Farnese, moglie di
Orsino Orsini (www.ratzingerbenedettoXVI.com).
Secondo le cronache dell’epoca con Lucrezia,
definita “figlia, moglie e nuora del papa” generò dei
“nipotini”. Anche la quindicenne Giulia Farnese divenne sua amante (concubina papae, ovvero, in termini blasfemi, “sposa di Cristo”) e nel “Diarum” di
Burchard si legge che la figlia di Giulia, Laura, aveva
come padre Alessandro VI.
Giulio II (1503 – 1513), al secolo Giuliano della
Rovere, non sposato, fu un donnaiolo impenitente e
da cardinale ebbe tre figli. Tra i suoi contemporanei
ebbe fama di sodomita come scrisse nel 1509 il diarista veneziano Girolamo Priuli: “Conduzeva cum
(con) lui li sui ganimedi, id est (cioè) alchuni bellissimi giovani, cum li quali si diceva publice (pubblicamente) che l’havea acto carnale cum loro, ymmo
che lui era patiente (passivo) et se dilectava molto di
questo citio sogomoreo, cossa veramente abhoren121
da in chadauno” (G. Priuli, Diarii). Questa testimonianza va presa con le dovute precauzioni poiché
Giulio II era un nemico dichiarato della Repubblica
di Venezia e Priuli era veneziano.
La sua fama di sodomita, comunque, venne sfruttata dai protestanti contro il papismo.
Leone X, al secolo Giovanni di Lorenzo de’ Medici (1513 – 1521), ebbe una passione, giudicata eccessiva dai suoi contemporanei, per le bellezze mondane.
“È indiscutibile, afferma Claudio Rendina, che
lussuria e corruzione dei costumi giunsero sotto Leone X alle forme più abiette”.
Domenico Romoli, suo cuoco personale, era un
esperto di erbe, di essenze e di ricette afrodisiache.
Di queste approfittava il pontefice, specialmente durante i frequenti festeggiamenti in compagnia delle
“amiche” Beatrice Ferrarese e Lucrezia da Clarice,
soprannominata “Matrema non vole” per la risposta
che soleva dare ai suoi amanti.
Francesco Guicciardini, suo contemporaneo, ci
parla della sua presunta omosessualità: “credettesi
per molti, nel primo tempo del suo pontificato, che
e’ fusse castissimo; ma si scoperse poi dedito eccessivamente, e ogni dì più senza vergogna, in quegli
piaceri che con onestà non si possono nominare”
(F. Guicciardini, Storia d’Italia, libro XVI, cap. 12).
L’accusa di sodomia venne fortemente e comprensibilmente sostenuta dai protestanti.
122
Clemente VII (1523 – 1534), al secolo Giulio de’
Medici. Guicciardini ci tramanda che era eccessivamente dedito ai piaceri della carne, specialmente a
quelli che per decenza non possono essere menzionati.
Paolo III (1534 – 1549), al secolo Alessandro Farnese, non sposato ebbe tre figli e una figlia. Per il suo
libertinaggio fu soprannominato il cardinal sottana.
Ordinò che “i colpevoli e i sospetti (di reati contro l’ortodossia e la morale) devono essere imprigionati e giudicati fino alla sentenza finale (morte)”. Ciò
nonostante viveva tranquillissimo con le sue diverse
partners (una l’aveva sposata prima di accedere agli
ordini) e i suoi figli legittimi (ne legittimò solo tre,
Pier Luigi, Paolo e Costanza) e illegittimi. Paolo III,
quindi, praticava materialmente quanto proibiva ai
fedeli.
Paradossalmente, con la bolla del 22 Maggio 1542
convocò, su pressione del Contarini, il Concilio di
Trento che ebbe inizio il 13 Dicembre 1545.
Giulio III, al secolo Giovanni Maria Ciocchi del
Monte, “impose al fratello Baldovino di adottare un
certo Fabiano […] un quindicenne depravato che assunse il nome d’Innocenzo del Monte; è molto probabile che fosse figlio del papa, perché resterebbero
inspiegabili tante premure ed affetto per un essere
così abietto (Claudio Rendina, I papi – storia e segreti, Newton & Compton Editori)”.
123
Pio IV (1559 – 1565), al secolo Giovanni Angelo
Medici di Marignano, non sposato, fu padre di tre
figli naturali (Corpus Canada).
Gregorio XIII ( 1572 – 1585), al secolo Ugo Boncompagni, non sposato, ebbe un figlio, Giacomo,
che legittimò.
124
la situazione oggi all’interno della chiesa
Io credo che oggi molti preti si
sentano eunuchi, resi tali dagli
uomini, mentre la scelta di castità dovrebbe tornare ad essere
assunta in piena libertà da tutti
quei sacerdoti che la ritengono
adeguata al proprio personale
cammino spirituale. Oggi il celibato risulta essere una norma
restrittiva ormai pesante da gestire, soprattutto perché non più
supportata da quei canali di sublimazione che in passato intervenivano offrendo al prete naturali giustificazioni sostitutive.
(Pier Giorgio Rauzi)
Numerose sono oggi le associazioni di preti sposati
sia in Italia che nel resto del mondo.
È un fenomeno di lungo percorso, precedente il
caso Milingo, che ha tenuto banco sui media internazionali e ha determinato prese di posizioni all’interno della Chiesa Latina, solo anni prima impensabili, che ci dicono dello stato di malessere diffuso
tra i sacerdoti.
Il papa e i suoi più stretti collaboratori, fuori del
secolo in cui viviamo, continuamente stravolto da
125
cambiamenti che investono tutti gli aspetti del vivere, cercano, come sempre hanno fatto, di piagare
la ferita, che però non accenna a rimarginarsi, usando sempre i soliti metodi, vecchi quanto antica è la
Chiesa, che i governi assoluti, e la Chiesa è uno di
questi, usano: la minaccia e il ricatto avvolti dal dovere dell’obbedienza.
Tra i fautori del matrimonio dei sacerdoti, ricordiamo Nicola d’Antiochia, II secolo, che sosteneva
che il celibato per gli ecclesiastici non era necessario
(la Chiesa lo considera un eretico e a lui fa risalire la
dottrina del nicolaismo); il vescovo di Milano Elvidio, IV secolo, convinto assertore della superiorità
del matrimonio nei confronti del celibato, affermò,
tra l’altro, che Maria, dopo Gesù, ebbe da Giuseppe
altri figli (fu scomunicato tra il 390 e il 392).
Più recentemente, Leon Joseph Suenens (1904 –
1996), cardinale belga di forte personalità, durante il
Concilio Vaticano II propose di ripristinate il diaconato come ordine permanente anche per gli uomini
sposati e non solo come preparazione al sacerdozio.
In seguito divenne uno dei più tenaci oppositori del
celibato ecclesiastico, entrando in contrasto con Paolo VI.
Il 2 Febbraio 1970, dopo che in Olanda si ebbero alcune prese di posizione pubbliche a favore del
matrimonio dei sacerdoti, Paolo VI sente la necessità d’inviare una lettera all’allora segretario di stato,
cardinale Villot, nella quale si legge: “Signor cardi126
nale, le dichiarazioni rese pubbliche in questi giorni in Olanda sopra il celibato ecclesiastico ci hanno
profondamente addolorato ed hanno sollevato tante
questioni sul Nostro spirito: per i motivi di così grave atteggiamento, contrario alla sacrosanta norma
vigente nella nostra Chiesa Latina; per le ripercussioni in tutto il popolo di Dio, specialmente nel clero e nei giovani che si preparano al sacerdozio; per
le conseguenze perturbatrici nella vita dell’intera
Chiesa e per la risonanza che essa provoca presso
tutti i cristiani, ed anche tra gli altri membri della
famiglia umana. […] Ci sentiamo in dovere di riaffermare chiaramente ciò che Noi abbiamo già dichiarato e più volte ripetuto, cioè che il legame tra
sacerdozio e celibato, stabilito da secoli dalla Chiesa
Latina, costituisce per essa un bene sommamente
prezioso e insostituibile.
Sarebbe grave temerità sottovalutare o addirittura lasciar cadere in desuetudine questo legame consacrato dalla tradizione, segno incomparabile di una
dedizione totale all’amore di Cristo (cfr. Matth.12,
29). […] Quanto ai preti che fossero venuti a trovarsi, malauguratamente, nella impossibilità radicale di
preservarlo – Noi sappiamo che si tratta solo di un
piccolo gruppo […] – è con gran dolore che Noi ci
induciamo ad accogliere la loro istante preghiera di
essere prosciolti dalla loro promessa e dispensati dai
loro obblighi, dopo un attento esame di ogni singolo
caso. […] La Chiesa, pertanto, continuerà domani
127
come ieri ad affidare il divino ministero della parola,
della fede e dei sacramenti della grazia ai soli sacerdoti che restino fedeli ai loro obblighi”.
Romeo Fabbri (Sulla Strada, 1994, n° 31) si rivolgeva in questi termini a Giovanni Paolo II: “Ciò che
si può sperare alle soglie del terzo millennio, è che
Giovanni Paolo II […] tolga definitivamente quel
nefasto obbligatorio legame tra celibato e ministero
ordinato che è stato introdotto all’inizio del secondo
millennio; legame che, dopo quella data, non è stato
osservato dalla maggior parte dei preti e che ha procurato troppi misfatti nella vita personale dei ministri e in quella pubblica delle comunità ecclesiali, e
può essere solo quello liberamente scelto per amore
del regno dei cieli […] (M. Fumagalli “Le donne dei
preti nella chiesa cattolica”).
Ma Giovanni Paolo II aveva già risposto con
la “lettera circolare” del 14 Ottobre 1980 (prot. n°
1281615) della “Sacra Congregatio Doctrina Fidei”:
“Nella lettera rivolta a tutti i sacerdoti della Chiesa
il giovedì santo 1979, il sommo pontefice Giovanni
Paolo II, riferendosi […] alla dottrina esposta dal
Concilio Vaticano II, successivamente da Paolo VI
nell’enciclica Sacerdotalis Caelibatus e poi dal sinodo dei vescovi del 1971, ha nuovamente illustrato con
chiarezza la grande stima che si deve avere del celibato sacerdotale nella Chiesa Latina.
Il Santo Padre ricorda che si tratta di cosa di
grande importanza che è particolarmente connes128
sa con la dottrina del Vangelo. Dietro l’esempio di
Cristo Signore e in conformità con la dottrina apostolica e la sua propria tradizione la Chiesa Latina ha
voluto e vuole tuttora che tutti coloro che ricevono
il sacramento dell’ordine abbraccino anche questa
rinuncia, non solo come segno escatologico, ma anche come “il segno di una libertà che è a sua volta
ordinata al ministero”.
Osserva, infatti, il sommo pontefice: “Ogni cristiano che riceve il sacramento dell’ordine s’impegna al celibato con piena coscienza e libertà, dopo
una preparazione pluriennale, una profonda riflessione e un’assidua preghiera. Egli prende la decisione
per la vita nel celibato dopo essere giunto alla ferma
convinzione che Cristo gli concede questo dono per
il bene della Chiesa e per il servizio degli altri […]. È
ovvio che una tale decisione obbliga non soltanto in
virtù della responsabilità personale. Si tratta qui di
mantenere la parola data a Cristo e alla Chiesa”. Del
resto i cristiani uniti in matrimonio hanno il diritto
[…] di aspettarsi “il buon esempio e la testimonianza della fedeltà alla vocazione fino alla morte”.
Il 21 Ottobre 2003, un giorno dopo che il papa
Giovanni Paolo II aveva annunciato la sua nomina al porporato, il cardinale scozzese Keith Micha
O’brien, attuale presidente della Conferenza Episcopale Scozzese, si espresse a favore del clero sposato,
del clero omosessuale e della pillola contraccettiva,
irritando il Vaticano, che intervenne e alcuni giorni
129
dopo il prelato nella cattedrale di Edimburgo così si
espresse: “Io attesto che accetto e intendo difendere
la legge del celibato ecclesiastico così come proposta
dal magistero della Chiesa cattolica […].” Ma una
settimana dopo, in un’intervista al “Daily Telegraph” caldeggia l’idea di un clero sposato augurandosi
che i vertici della Chiesa incomincino a discuterne.
Le stesse motivazioni addotte da Giovanni Paolo II,
corredate da citazioni evangeliche e paoline, vengono ribadite in un’intervista concessa il 12 Febbraio
2006 al quotidiano “Il Meridiano” da sua eminenza,
il cardinale Dario Castrillòn Hoyos, prefetto per la
Congregazione per il clero.
Alla domanda se il celibato dei sacerdoti è una
questione disciplinare e di legislazione ecclesiastica
che si potrebbe cambiare, il cardinale dà la seguente
risposta: “[…] il celibato per i cristiani non costituisce una questione […] ma è un dono di Dio che la
Chiesa riceve continuamente e vuole custodire, convinta che esso è un bene eccelso per se stessa e per il
mondo intero.
Il magistero della Chiesa lo ha ribadito fin dai
tempi apostolici e lo ha riaffermato più volte anche
nell’ultimo concilio ecumenico (n.d.a: Concilio Vaticano II) e in modo particolare nella Costituzione
Lumen Gentium dove troviamo quest’affermazione: “eccelle questo prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni (cf. Mt 19,11; 1 Cor. 7, 7)
di votarsi a Dio solo più facilmente e con un cuore
130
senza divisioni (cf. 1 Cor. 7, 32–34) nella verginità e
nel celibato”. […] Il Decreto conciliare Presbiterorum ordinis […] dichiara: “la perfetta e perpetua
continenza per il Regno dei Cieli, raccomandata da
Cristo Signore (cfr. Mt. 19,12), nel corso dei secoli e
anche ai giorni nostri gioiosamente abbracciata e lodevolmente osservata da non pochi fedeli, è sempre
stata considerata dalla Chiesa come particolarmente
confacente alla vita sacerdotale”.
Esiste, infatti, uno stretto legame del celibato con
l’ordinazione sacerdotale, sacramento che configura
ontologicamente il sacerdote a Gesù Cristo, Capo e
Sposo della Chiesa.
Aggiungo che il celibato sacerdotale è, sì legge
ecclesiastica, ma la normativa canonica non deve
essere intesa come un’imposizione arbitraria della
Chiesa […]. La legge ecclesiastica del celibato ha la
sua radice nel mistero di Cristo e della sua Chiesa.
D’altronde non possiamo dimenticare che tutta la
legislazione ecclesiastica ha il suo fondamento nella
volontà salvifica di Dio Padre, realizzata in Cristo,
per mezzo dello Spirito Santo.
La norma canonica guida la Chiesa nella missione che Cristo le ha affidato: di essere sacramento
universale di salvezza. […] Il magistero della Chiesa,
anche dopo l’ultimo concilio ecumenico, ha ribadito
che esistono motivazioni teologiche di natura cristologica, ecclesiologica ed escatologica […].
131
Il primo enunciato è di natura cristologica: Cristo, il quale è vissuto celibe, ha chiesto agli apostoli
di imitarlo e di seguirlo con un cuore non diviso e
di lasciare tutto, per portare all’umanità intera, fino
ai confini della terra e in attesa della sua venuta, la
salvezza da lui stesso conquistata sulla croce.
Il secondo è di natura ecclesiologica: il sacerdote
quale ministro sacro di Cristo è chiamato ad amare
la Chiesa nel modo totale ed esclusivo con cui Cristo Capo e Sposo l’ha amata, vale a dire con tutto se
stesso, anima e corpo, testimoniando così l’amore
sponsale di Cristo verso la Chiesa, sua Sposa, e ricevendone un’ampia paternità spirituale in Cristo.
Il terzo enunciato è di natura escatologica: mediante la sua piena comunione e la sua donazione
personale a Cristo e alla sua Chiesa, il presbitero
prefigura e anticipa nel mondo la comunione e la
donazione perfette e definitive che Cristo avrà con
la sua Chiesa, nella vita eterna, essendo così segno
vivente di quel mondo futuro”.
In questa luce si possono più facilmente capire i
motivi della scelta plurisecolare che la Chiesa Latina
ha fatto e mantiene: “di conferire l’ordine sacerdotale solamente agli uomini che diano prova di essere
chiamati da Dio al dono della castità nel celibato assoluto e perpetuo”, come si afferma nell’Esortazione
Apostolica “Pastore dabo vobis”.
Del resto, i cristiani uniti nel matrimonio hanno
il diritto di aspettarsi dai sacerdoti “il buon esempio
132
e la testimonianza della fedeltà alla vocazione fino
alla morte”.
Roland Minnerath, vescovo cattolico di Dijon
(Francia), nel suo recente libro “Aux Bourguignons
qui croient au Ciel et a ceux qui n’y croient pas (Agli
abitanti della Borgogna che credono al cielo e a quelli che non ci credono)”, esprime delle riflessioni critiche sul celibato obbligatorio, indicando una soluzione che potrebbe essere presa in esame, se solo il
Vaticano lo volesse. “Il celibato, scrive Minnerath, è
una questione di disciplina. Ma, un giorno ci si accorge che questa tradizione rischia di privare di preti alcune comunità, al punto di portarle alla scomparsa, perché non modificarla?”. Sottolinea che “non
si tratta di passare […] dal celibato al matrimonio”
perché “ il dono del celibato resta intero e magnifico.
Si tratterebbe soltanto, in casi eccezionali (per permettere alle comunità di sopravvivere) di consentire
l’ordinamento di uomini sposati (viri probati), con
figli già grandi ed autonomi finanziariamente”.
Nello stesso periodo “Le Figarò” denunciava una
“caduta vertiginosa” delle vocazioni in Francia che
avrà gravi conseguenze per molte comunità che in
un futuro non molto lontano si vedranno privati di
una guida spirituale: nel 1966 furono ordinati 566
nuovi sacerdoti, nel 2004 solo 90, una debacle (!)
dell’84 per cento.
L’Abbé Pierre, nel suo ultimo libro intervista col
giornalista e filosofo Frédéric Lenoir “Mon Dieu…
133
Pourquoi? (Dio mio… perché?)”, confessa di avere
sperimentato il desiderio sessuale: “Ho deciso molto
presto di dedicare la mia vita a Dio e agli altri, ma
il voto di castità non elimina il desiderio sessuale.
Anch’io ho talvolta ceduto, in modo passeggero, senza relazioni stabili con una donna”. Nel commentare
il Codice da Vinci e la teoria del possibile rapporto
tra Gesù e Maria Maddalena, afferma: “Non vedo
alcun argomento teologico che proibisca a Gesù, il
Verbo incarnato, di conoscere un’esperienza sessuale”. Quindi si dichiara non ostile ai preti sposati, raccontando: “Conosco preti che vivono in concubinato
con una donna che amano da anni e che accettano
bene questa situazione. Continuano ad essere buoni
preti.” È convinto per ciò che nella Chiesa Cattolica
Latina debbano convivere “preti sposati e preti celibi
che possano consacrarsi totalmente alla preghiera e
agli altri”.
Il cardinale Godfried Danneels, arcivescovo di
Bruxelles e presidente della Conferenza Episcopale Belga, in un’intervista al quotidiano belga ”La
dernière Heure/Les Sport” del 9 Marzo 2006, alla
domanda se “il matrimonio dei preti è impossibile
da prendere in considerazione?”, dà la seguente risposta: “Il suo divieto deriva da una legge cosiddetta
positiva della Chiesa, il che significa che può essere
cambiata. Si tratta di una legge disciplinare, che non
è fondata sul sacerdozio. Di fatto si può essere preti senza essere celibi: così nella Chiesa Orientale la
134
maggior parte dei preti è sposata […]. Il più grande
ostacolo per il prete non è il celibato, ma la difficoltà
di dare la propria vita per cause invisibili. Ci si sente
anche soli a volte.”
Il cardinale elettore brasiliano Claudio Hummes, appena eletto prefetto per La Congregazione
per il Clero, il 3 Dicembre 2006, prima di partire per
Roma per presiedere al nuovo incarico, rilascia al
quotidiano “Estado do Sao Paolo” un’intervista molto progressista sulla possibilità che si possa abolire il
celibato sacerdotale.
Ancora una volta il Vaticano, preoccupato da dichiarazione di tale pregnanza, per di più rilasciate
da un alto prelato, interviene e non soddisfatto di
quanto il cardinale dichiara al suo arrivo a Roma
(“Io non ho nessuna dottrina sul celibato dei sacerdoti: quello che dico è quello che la Chiesa dice. E
ovviamente è il pontefice che guida la Chiesa, io
sono al suo servizio”.) lo costringe, quasi un’umiliazione, a rilasciare una dichiarazione scritta pubblicata sul “Bollettino della sala stampa della Santa
Sede” che smentisce nella sostanza le dichiarazioni
del giorno precedente.
Il cardinale Hummes aveva dichiarato all’“Estado do Sao Paolo”: “Partendo dalla considerazione
che i celibi fanno parte della storia e della cultura
cattolica, la Chiesa può riflettere sopra questo tema,
perché il celibato non è un dogma ma una forma disciplinare”. Aggiunge che alcuni apostoli, come ab135
biamo già visto, erano sposati e che la proibizione
del matrimonio e la regola del celibato sacerdotale
furono introdotte secoli dopo.
Non essendo un dogma, quindi, si presta ad una
possibile, per molti, opportuna, riforma.
Sia anatema! Si sarebbe gridato secoli prima. Ma
al giorno d’oggi basta una smentita ufficiale scritta
e data ai media.
“La Chiesa dovrà in primo luogo discuterne e
ridiscuterne” perché essa, ha precisato, “non è immobile e quando è necessario sa cambiare anche se
vuole i suoi tempi”.
Vale la pena riportare la dichiarazione ufficiale di
Sua Eminenza Carlo Hummes, pubblicata sul “Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede”: “A proposito degli echi suscitati dalle mie parole riportate
dal giornale Estado do Sao Paolo desidero precisare
quanto segue. Nella Chiesa è sempre stato chiaro che
l’obbligo del celibato per i sacerdoti non è un dogma,
ma una norma disciplinare. Tanto è vero che essa
vale per la Chiesa Latina, ma non per i riti orientali,
dove, anche nelle comunità unite alla Chiesa Cattolica, è normale che vi siano preti sposati. È, tuttavia, anche chiaro che la norma del celibato per i
sacerdoti nella Chiesa Latina è molto antica e poggia
su una tradizione consolidata e su forti motivazioni, di carattere sia teologico–spirituale sia pratico–
pastorale, ribadite anche dai papi. Anche nel recente
sinodo dei vescovi sui sacerdoti l’opinione più dif136
fusa fra i padri è che un allargamento della regola
del celibato non sarebbe stato una soluzione neppure per il problema della scarsità di vocazioni, che è
da collegare piuttosto ad altre cause, a cominciare
dalla cultura secolarizzata moderna, come dimostra
l’esperienza anche delle altre confessioni cristiane,
che hanno sacerdoti o pastori sposati. Tale questione non è quindi attualmente all’ordine del giorno
delle autorità ecclesiastiche, come recentemente ribadito dopo l’ultima riunione dei capi dicastero con
il Santo Padre”.
Quasi a voler mettere un sigillo alla dichiarazione, ecco come si esprime Benedetto XVI nel suo
discorso ai vescovi brasiliani dell’11 Maggio 2007:
“Tenete sempre presente che il celibato sacerdotale
costituisce un dono che la Chiesa ha ricevuto e vuole conservare, convinta che esso è un bene per lei e
per mondo”.
Meglio troncare di netto il discorso che affrontare il problema che viene vissuto con sofferenza da un
numero sempre più crescente di sacerdoti.
Il cardinale Cormac Murphy O’Connor, vescovo di Londra e presidente della Conferenza Episcopale dell’Inghilterra, in un’intervista al “Financial
Times” del 27 Dicembre del 2007, riguardo all’ordinazione sacerdotale relativa al celibato risponde che
“La Chiesa può cambiare e dire sì”. “Noi abbiamo un
certo numero di preti sposati in questa diocesi, continua il cardinale, che erano in precedenza anglicani
137
e che sono già sposati”. Rivolgendosi poi all’intervistatore: “Se tu mi chiedi: pensi che la Chiesa possa
cambiare e ordinare molti uomini sposati? La risposta è: sì, è possibile”. Parlando di “uomini sposati”
il cardinale O’Connor si riferisce ai cosiddetti “viri
probati” che, dopo aver dato per anni un buono e
continuo esempio di vita cristiana, potrebbero ricevere l’ordinazione sacerdotale.
Il tema era stato affrontato nell’ultima assemblea
del sinodo dei vescovi tenutosi a Roma dal 2 al 16
Ottobre 2005, in cui alcuni padri, come emerge nella proposizione 11, hanno fatto riferimento ai “viri
probati” per dare soluzione alla crisi delle vocazioni
che priva numerosi fedeli di un punto di riferimento importante qual è il sacerdote. Ma, come al solito, il papa e la Chiesa hanno ribadito la linea della
tradizione, lontana duemila anni dalle necessità del
nuovo secolo.
“La questione (n.d.a: dell’ordinazione di uomini
sposati) può essere posta come avviene nella Chiesa
greco–cattolica”, dichiara il cardinale francese Roger Etchegaray, presidente emerito del “Pontificio
Consiglio Giustizia e Pace”, in un’intervista al quotidiano francese “Le Parisien” il 12 Novembre 2007.
110 laici cattolici partecipanti ad un corso di teologia ed ispirati dalla lettura del libro di Carlos Mesters, carmelitano e noto biblista brasiliano, “Com
Jesus na cantramao” (Con Gesù controcorrente)
scrivono una lettera a Benedetto XVI, pubblicata
138
dal quotidiano nazionale brasiliano “Folha de Sao
Paulo” il 28 Settembre 2007 con la quale esprimono
la propria insoddisfazione circa l’insensibilità vaticana, auspicando l’apertura di un dibattito sui problemi aperti tra i quali l’ammissione al sacerdozio
di uomini sposati e il reintegro nell’ordine dei preti
sposati. Il dibattito è tanto urgente, sottolineano, in
quanto in Brasile c’è un prete ogni 10.000 abitanti
(in Italia il rapporto è un prete ogni 1.000 abitanti).
Nella lettera, firmata a nome dei 110 laici dall’ex
postulante francescano Carlos Alberto Roma, si legge: “Cresce la nostra insoddisfazione, in quanto laici cattolici, rispetto all’insensibilità della gerarchia
della nostra Chiesa che è in Vaticano. La questione di fondo è l’esplicita mancanza di coraggio nel
compiere i passi necessari per condurre la Chiesa
nel XXI secolo, specialmente attraverso l’apertura
ai laici […]. Noi laici chiediamo perdono per avere
osato inviare questa lettera direttamente a Sua Santità, senza passare attraverso le istanze competenti.
Ma questo tema è molto delicato e le istanze locali
non sono autorizzate a discuterlo. Sollecitiamo allora che si apra questo dibattito. Nelle nostre celebrazioni domenicali abbiamo posto delle domande
alle nostre sorelle e ai nostri fratelli della parrocchia
e abbiamo constatato che più del 95% ritiene che la
nostra Chiesa debba compiere nuovi passi.
Il Brasile ha, in proporzione, il minor numero
di preti cattolici nel mondo […]. Di fronte a questa
139
grave carenza […] noi chiediamo: perché non riconoscere il sacerdozio di uomini sposati e il sacerdozio femminile e ricondurre i preti sposati al servizio
della Chiesa? Sappiamo che nel corso della storia, 39
papi sono stati sposati. Il primo fu l’apostolo Pietro
(Lc 4, 38–39).
Secondo le ricerche del Centro di Statistica Religiosa e di Ricerche Sociali, pubblicate il 31 Gennaio
2006, in Brasile esistono circa 5.000 preti sposati
senza diritto di esercitare il proprio ministero. La
maggior parte sente palpitare il proprio cuore nella vocazione al sacerdozio. Non si tratta di un atto
violento contro il Signore della vita che ha inviato
missionari a lavorare? […] I tempi attuali spingono
ad operare una vigorosa revisione e a cambiare i nostri paradigmi. Esortiamo Sua Santità a creare una
commissione, composta anche da laici e laiche, per
approfondire (le) questioni:
——creazione di due modelli di sacerdozio: a) per i celibi;
b) per i preti sposati […]
——reintegrazione in servizio alla Chiesa dei preti già
sposati e che sentono ancora la vocazione per il sacerdozio […].
La gerarchia della nostra Chiesa cattolica continuerà ad essere indifferente? O si aprirà allo Spirito
Santo e farà un passo avanti? Non possiamo ulteriormente rimandare tale dibattito […] (da “il dialogo, lunedì 29 Ottobre 2007)”.
140
Come è difficile fermare un fiume in piena mentre continua a piovere, allo stesso modo è difficile
mettere un freno alle continue prese di coscienza
di quei sacerdoti, sempre più numerosi, pronti a recepire l’aria nuova che investe la quiete stanca del
Vaticano.
Lo stato di malcontento latente e la presa di coscienza del clero, dall’ordine più basso a quello più
alto, è così evidente che non basta più l’intervento
autoritario del papa a fermare l’anelito di libertà che
sta vibrando nella Chiesa latina.
Come si può, infatti, non tenere in debito conto
la voce autorevole del vescovo di Friburgo Robert
Zollitsch, appena eletto presidente della Conferenza
Episcopale Tedesca?
Zollitsch, in un’intervista al settimanale “Der
Spiegel” del 17 Febbraio 2008, si dichiara favorevole
al matrimonio per i preti “perché il celibato non è
un precetto di diritto divino ma ecclesiastico”. Va
ancora oltre quando accetta le unioni omosessuali,
sottolineando che non si tratta “di liberalità perché è
una realtà sociale. Come cattolico il mio ideale sono
ovviamente il matrimonio e la famiglia, ma se esistono persone con questa predisposizione, lo Stato
può adottare le opportune regolamentazioni”.
Poi, dicendosi “contrario al divieto di riflessione”
sulla rinuncia al celibato, rende più esplicito il suo
pensiero: “Constatiamo la diminuzione delle vocazioni, la sfida del Vangelo è difficile da trasmettere.
141
È ovvio che il collocamento tra l’essere prete e il celibato non è teologicamente necessario”.
Come per Hummes, dunque, anche per Zollitsch
il celibato non è un precetto divino.
Semplice coincidenza? Non credo, visto che anche i preti brasiliani, il 21 Febbraio 2008, scrivono
una lettera al presidente per la Congregazione per
il Clero, cardinale Hummes affinché la consegni a
Benedetto XVI.
L’istanza al pontefice è parte integrante del documento finale della loro convention nazionale, ad
Indaia Tuba, nello stato di San Paolo, terminata il
19 febbraio.
I preti brasiliani, nel chiedere che venga loro concessa la possibilità di avere una famiglia, sostengono
due tipi di sacerdozio: il celibatario, che potrebbe
essere obbligatorio solo per quei sacerdoti che facciano voto di castità, e il sacerdozio senza obbligo
di celibato.
Chiedono, inoltre, che i coniugati ritenuti degni,
possano essere nominati sacerdoti dai Vescovi e che
i sacerdoti allontanati dall’ordine per aver formato
una famiglia, siano reintegrati.
È importante sapere che i sacerdoti in tutto il
Brasile sono 18.685 e la Chiesa brasiliana è numericamente tra le più forti del mondo.
Il “Corriere della sera” (articolo del 21 Febbraio
2008) scrive che “secondo quanto riferito al quotidiano “El Pais” da un vescovo che non ha voluto ri142
velare il suo nome, in Brasile già da tempo laici sposati vengono ordinati preti: “Roma lo sa, ma chiede
che non sia reso pubblico”.
A un sondaggio on–line del “Corriere della Sera”
(22 Febbraio 2008), 29.782 votanti, alla domanda
“pensate che sia giusto che anche i sacerdoti possano sposarsi e avere figli?”, hanno risposto: il 62,9%
si, il 37,1 % no.
Un sondaggio di “Panorama”, meglio articolato,
dà risultati molto simili a quelli del “Corriere”.
Lei è favorevole o contrario al matrimonio dei
preti?
Sondaggio Celibato ecclesiastico
(Panorama)
70
60
61,8
50
40
29,8
30
20
10
0
8,4
Favorevoli
Contrari
Non so
Solo cattolici
58,6
60
50
33,6
40
30
7,8
20
10
0
Favorevoli
Contrari
Non so
143
35
30
25
20
Tutti
15
Cattolici
10
5
0
1
2
3
4
5
6
Il matrimonio per i sacerdoti significherebbe:
1 – dare più equilibrio alla vita affettiva dei preti.
2 – incrementare le vocazioni al sacerdozio.
3 – sminuire la figura del sacerdote.
4 – ridurre i casi di deviazione sessuale.
5 – trasformare i preti in impiegati della religione.
6 – non so.
144
testimonianze e proposte
Nelle controversie sulla moralità
del matrimonio e il valore del celibato, tra la Chiesa Apostolica e
le sette gnostiche, la chiesa adottò una posizione moderata, conforme alla Bibbia, socialmente
pragmatica e basata su una comprensione realistica della natura
umana. Lodò e onorò la verginità,
ma elevò anche lo stato naturale
di unione fisica, alla dignità di
sacramento. Nel sacramento del
matrimonio, s’invoca la grazia
divina su marito e moglie, perché
diventino synergùs, cioé collaboratori di Dio nell’opera della creazione. La fede e la prassi della
chiesa apostolica erano in pieno
accordo con la Bibbia, e rispettavano anche le scelte e la libera
volontà di ognuno. In tal caso,
matrimonio e celibato – prima o
dopo l’ordinazione sacerdotale –
non potrebbero essere che facoltativi. (p. Nadir Giuseppe Perin)
Per poter soltanto provare, ma non è la stessa cosa
(dice un proverbio siciliano che “una cosa è piangere
e un’altra è veder piangere”), il dramma che vivono
145
i preti che sono stati sospesi per l’amore portato ad
una donna e i familiari, basta collegarsi ai tanti siti
delle numerose associazioni di preti sposati.
Nel sito dell’associazione “Vocatio” nel documento di presentazione, diviso in paragrafi, si possono
leggere le motivazioni che hanno indotto e inducono
molti sacerdoti ad abbandonare il celibato. Riporterò il documento nei suoi passi essenziali e determinanti, ma non per intero come dovrebbe essere per
una migliore comprensione e interpretazione. È sottolineato il sacrosanto loro diritto, se lo desiderano,
di crearsi una famiglia che non ritengono inconciliabile con il ministero del sacerdozio. Anzi, mentre
il matrimonio è un sacramento, non lo è il celibato
che è una legge imposta (il celibato obbligatorio fu
introdotto nel Codice di Diritto Canonico solo nel
1917, regnante papa Benedetto XV, al secolo Giacomo Della Chiesa) e come tale può essere annullata o
modificata, come tutte le cose di questa terra.
chi sono i preti sposati?
Alcuni sacerdoti cattolici validamente ordinati
scelgono per svariati motivi […] di sposarsi. Il loro
ministero è però vincolato dal Diritto Canonico al
celibato e la loro decisione fa scattare da parte della
Chiesa Cattolica, o meglio della sua gerarchia, tutta
una serie di sanzioni e di atti tendenti a punire nel
modo più duro possibile questa scelta. […] Un pre146
te sposato è allontanato perciò dal suo ministero e
deve ricominciare da capo la sua vita, cercando casa
e lavoro, bandito dalle comunità ecclesiali o a malapena tollerato ai suoi margini.
Ma qualcosa sta cambiando e i preti sposati per
primi hanno preso coscienza che la loro scelta è positiva, conforme alla Sacra Scrittura e alla tradizione
della Chiesa Cattolica. Il matrimonio è, inoltre, uno
dei diritti fondamentali dell’uomo e nessuno per
nessun motivo può impedirne l’esercizio […], mostrando che il matrimonio non è assolutamente in
contrasto con il servizio alla comunità. Non viene
in nessun modo disprezzato il celibato, solo si ricorda che è un dono che Dio fa ad alcuni uomini, non
un’imposizione…
cosa comporta per il sacerdote sposarsi
Il matrimonio secondo l’odierno codice del Diritto
Canonico… non è mai ammesso per i sacerdoti. La
conseguenza per chi decide di sposarsi senza aver ricevuto la necessaria dispensa dalla Santa Sede è la scomunica applicata automaticamente, senza bisogno di
processi o condanne personali, e, naturalmente, senza dispensa, il matrimonio è possibile solo civilmente.
147
la dispensa
La dispensa che permette al sacerdote di sposarsi
“legalmente” può essere concessa solamente […] dal
Papa. […] Paolo VI concedeva in fretta e senza difficoltà la dispensa ai sacerdoti che la chiedevano, ma
con la salita al soglio di Pietro di Giovanni Paolo II
le cose sono cambiate e […] per frenare l’emorragia
[…] ha imposto regole severissime per l’ottenimento
della dispensa. Anzi, contro le indicazioni del Concilio Vaticano II […] ha introdotto una sacralizzazione del celibato sacerdotale: un sacerdote ordinato
validamente lo è per sempre, ma la gerarchia è andata oltre e ha deciso (1979) che ordinazione sacerdotale e celibato sono inscindibilmente uniti ed eterni.
La dispensa oggi viene concessa solo se è possibile
dimostrare che prima dell’ordinazione esisteva un
qualche impedimento grave, oppure vi era costrizione […].
tradizione della Chiesa e Sacra Scrittura
[…] fino all’anno 1100 circa sacerdoti e vescovi potevano sposarsi regolarmente. Furono motivi molto “terreni” che portarono al celibato: non si volevano suddividere con le eredità i beni ecclesiastici
che allora erano ingenti. La prassi del matrimonio
dei preti continua ancora oggi nella Chiesa Cattolica Orientale. […] Sacerdoti anglicani convertiti al
148
cattolicesimo hanno potuto continuare ad esercitare
il ministero pur essendo sposati e con figli…dimostrando così la non obbligatorietà del celibato per il
sacerdozio.
È importante ricordare che gli apostoli erano
sposati e hanno continuato ad esserlo; nella seconda
lettera ai Corinzi San Paolo si lamenta e parla di Pietro e degli altri apostoli che vanno ad evangelizzare
portandosi appresso la moglie, mentre lui è sempre
solo: “[…] Non abbiamo il diritto di portare con noi
una moglie (donna per la traduzione CEI), come
fanno gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?
(1Cor 9, 1–5)”. […] Anche nelle lettere pastorali di
San Paolo si trovano continue indicazioni al merito:
“[…] Ma bisogna che il Vescovo sia irreprensibile,
non sposato che una sola volta, […]. Sappia dirigere
bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con
ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di
Dio? (1 Tm 3, 1–5).
libertà di scelta?
Il celibato è […] una legge interna […] e non ha nessuna caratteristica di assolutezza. […]
In realtà non si capisce perché riguardo al celibato non ci possano essere ripensamenti. Ancora
San Paolo scrive: “Ai non sposati e alle vedove dico:
è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se
149
non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio
sposarsi che ardere (1 Cor 7, 8–9)”. Molti preti non
sono veramente liberi nella loro scelta. Forse nessuno li ha aiutati a cercare veramente la loro vocazione,
ma sono stati delicatamente e abilmente manipolati
per giungere a credere che il celibato fosse un dono
che Dio ha fatto loro. Ma come può essere un dono
di Dio se non ce la fanno a viverlo?
Quando un giovane si sente chiamato […] viene
[…] dirottato verso la scelta del celibato […] Inizia
allora da parte dei formatori […] un lungo lavoro di
condizionamento della persona […] per convincerla
ad accettare il celibato come unica e vera necessità,
appoggiandosi […] su un sottile ricatto: se non accetti il celibato non ami Dio, non credi veramente
in Gesù Cristo. Ma non si può reprimere la propria
vocazione all’amore e all’affetto, grandissimi doni di
Dio anche questi […].
atteggiamento della gerarchia
La gerarchia preferisce e tollera il rapporto nascosto
tra un sacerdote e una donna piuttosto che vedere
un suo prete sposato. […]
Quali possibili soluzioni?
Ci sono tre livelli successivi di possibile soluzione […].
1. Prioritario è chiedere che sia concessa facilmente
ai sacerdoti che vogliono sposarsi la dispensa senza
150
umiliazioni e tempi biblici di attesa. […] 2. In un secondo momento è necessario considerare seriamente la possibilità per la Chiesa Cattolica di ammettere
sia dei preti sposati a svolgere il ministero sacerdotale…sia far si che degli sposati possano diventare
sacerdoti. […] 3. Il discorso si amplia in vista della
necessità del rinnovamento della Chiesa …la quale
sembra arenata in reflussi storici e in un inarrestabile declino soprattutto nei paesi occidentali. […].”
Il teologo Basilio Petrà, autore del libro “Preti sposati: Per volontà di Dio?”, afferma che, “guardando
le fonti della Chiesa Orientale, sarà facile notare che
nella conservazione del sacerdozio uxorato si è sempre tenuto presente innanzitutto la fedeltà alle lettere del Corpus Paulinum.
Il teologo Hein Jurgen Vogels in “Celibato. Dono,
non obbligo” sostiene che il legame indissolubile tra
sacerdozio e celibato non può essere fondato sulla
Sacra Scrittura, anche se la Chiesa Latina lo mantiene ancora, nonostante le dubbie ragioni sulle quali
un tempo si fondava e l’attuale prassi cattolica che
permette alle Chiese unite a Roma di mantenere il
sacerdozio uxorato.
H. J. Vogels, nato a Berlino nel 1933, ordinato sacerdote nel 1959, dottore in teologia, nel 1979 si è
sposato con Renata Schwarz e perciò è stato sospeso dall’esercizio del ministero. Dal 1986 è membro
della Commissione Esecutiva della Federazione
Internazionale dei Sacerdoti sposati.
151
Vogels accetta totalmente la dottrina cattolica
ufficiale sul sacerdozio e sui ministeri ma critica,
attingendo alla Scrittura, come già detto, la saldatura sacerdozio–celibato imposta dalla Chiesa Latina.
Cita, quindi, quanto san Paolo scrive nella lettera ai
Corinzi (9, 1–5): “Non sono forse libero io? Non sono
un apostolo? […] Non abbiamo il diritto di portare
con noi una moglie, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?”
Questa citazione, già usata nell’intervista sù riportata, non è ripetitiva, come può sembrare, ma
esplicativa. Ci dice come l’esatta traduzione di una
singola parola può cambiare il significato di un’intera citazione, se non della […] storia. Quanto segue
riporta il pensiero di Vogels in merito:
Il diritto degli apostoli di portare le proprie mogli
con loro (The apostles’ right to take their wives with
them), traduzione di Stefania Salomone, 22 Marzo
2008. Un prete che non abbia ricevuto il dono del
celibato ha il...diritto naturale e spirituale di vivere il sacramento del matrimonio come dice Paolo
nella prima lettera ai Corinzi (7, 7): “Ciascuno ha
il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un
altro”. […] “Non abbiamo il diritto di portare con
noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? (1 Cor 9,
5)”. Paolo in questo versetto reclama un diritto
apostolico. Secondo l’analisi di G. Zuntz, il testo
originale sicuramente parla, nel passaggio decisivo, del diritto di portare le donne con sé (gynai-
152
kas peri gein), al plurale, senza l’aggiunta del termine sorelle (adelpàs). Il testo successivo recita
invece: adelphen gynaika periàgein, “portare una
donna come sorella”, che, tuttavia, non cambia il
significato essenziale, poiché per “sorella” s’intende seguace di Cristo. Il significato di “moglie”
dato al termine “donna” non viene intaccato. Se si
sottolinea oltre al termine “sorella” il termine
“donna”, e se, come sembra possibile, questa è la
versione più accreditata, non c’è dubbio che la
donna che accompagna gli apostoli sia proprio la
moglie. È questo il senso della nostra esegesi.
Zuntz adduce la seguente ragione per la preferenza riservata al testo più breve “ginaikas”: i sostenitori di questo testo breve “Uxores circumducere”
sono molti – a partire da Tertulliano (155 – 220
ca.), Clemente d’Alessandria (150 ca. – 215), S. Ilario di Poitiers (315 ca. – 367), il saggio persiano
Afrate (morto nel 345), cui possiamo aggiungere
Ambrosiastro (n.d.a: autore anonimo di un commentario sulle lettere di Paolo di Tarso. Sul sacerdozio dei fedeli sosteneva che tutti possono diventare sacerdoti: “Sotto la legge i sacerdoti nascevano
dalla stirpe del Levita Aronne, ora al contrario
tutti appartengono alla classe sacerdotale, dal momento che Pietro apostolo dice: Voi siete un genere sacerdotale e regale, perciò dal popolo si può
fare un sacerdote”. – Ambrosiastro, Comm. In Ep.
Ad Ephes. 4, 11 – 12 PL 17, 41 OD) e il primo S. Girolamo nell’Adversus Helvidium (383) e nell’Epistola 22 (384) – (n.d.a: in seguito la posizione di
San Girolamo cambia e nella lettera a Pammachio
153
scrive: “Il Cristo vergine, la vergine Maria, hanno
per ogni sesso consacrato gli inizi della verginità;
gli apostoli furono o vergini o continenti dopo il
matrimonio. Vescovi, sacerdoti e diaconi scelti
vergini o vedovi; e in ogni caso, una volta ricevuto
il sacerdozio, osservavano la castità perfetta”.) e
non possono aver scritto i loro testi influenzandosi a vicenda: bisogna tornare all’epoca in cui le
copie di questi manoscritti così diffuse furono fatte da una fonte comune, cioè, da un manoscritto
antico. I più antichi manoscritti giunti fino a noi,
primo fra tutti il Papiro 46, che risale al terzo secolo, mentre gli altri partono dal quarto–quinto
secolo, contengono il testo più lungo. […] Lo stesso ritroviamo in due manoscritti del nono secolo,
chiamati Boernerianus (G) e Augiensis (F) (arrivati sino a noi in latino e in greco). (Si) ritiene migliore il testo breve (e) il testo di Clemente e di
Tertulliano, della fine del secondo secolo, può essere ritenuto valido […]. In tutti i casi, bisogna
notare che i primi padri della Chiesa hanno tradotto il termine ginaikas, che ritroviamo in entrambe le versioni, senza eccezione alcuna, con
“uxores”, cioè mogli. L’ultima versione della Vulgata–Clementina, datata intorno al 1592, quando
fu distribuita come traduzione ufficiale della Bibbia latina dopo il Concilio di Trento, che certificò
la traduzione di S. Gerolamo come autentica, richiede ampia discussone. Questa edizione postuma cambia l’ordine delle parole del testo più lungo: sororem mulierem circumducendi, cioè
portare con sé una sorella come donna; e si legge
154
così: mulierem sororem circumducendi, cioè portare con sé una moglie come una sorella, che ne
modifica profondamente il senso. Così come il
doppio accusativo in Matteo (1, 20): mè phobetès
paralebein Marian tèn gynaika sou, o in latino:
noli timere accipere Mariam conjugem tuam, deve
essere tradotto: “non temere di prendere Maria,
come tua sposa”, così anche nella prima lettera ai
Corinzi (9, 5) sororem mulierem circumducere,
deve essere tradotto come “prendere con sé una
sorella come donna”, o moglie. Capovolgerlo rende la traduzione in tutti i casi impossibile. E non
produce un significato chiaro: “Portare con sé una
donna come sorella”, cosa dovrebbe significare?
“Una donna come cristiana”, non ha senso; “una
donna solo se è realmente tua sorella carnale”, forse è quello che si è voluto fare intendere, ma non
sembra essere nelle intenzioni di Paolo e riporterebbe l’idea di “matrimonio spirituale”, propria
del terzo secolo, indietro al tempo degli apostoli;
“una donna come sorella (appartenente ad un ordine) sarebbe un pessimo anacronismo: gli ordini
religiosi sorgono a partire dal sesto secolo. Girolamo, considerato l’autore della versione latina della
Vulgata, non sa di questo cambiamento. È accertato che nei suoi scritti successivi Girolamo preferisca tradurre come sorores mulieres (sorelle come
donne) invece che uxores (mogli) rifacendosi, in
assenza del manoscritto che recita così, ai codici
greci che contengono il testo più lungo. […] Gli
stessi manoscritti della Vulgata che (i redattori)
consultarono, incluso il famoso Codex Amiatinus,
155
unanimamente riportavano la dicitura sororem
mulierem. L’edizione critica più recente della Vulgata, Wordsworth–White del 1913, è stata in grado
di citare solo due dei trenta manoscritti in cui il
senso della frase veniva alterato. Data la conoscenza dell’epoca, gli editori del 1592 non erano in
grado di esaltare questi manoscritti e preferirono
riferirsi al Codex Amiatinus, (ma) hanno tentato
di nascondere, per quanto possibile, attraverso la
trasposizione, l’ovvio significato delle parole testuali: “Non abbiamo il diritto di essere accompagnati da una moglie, come gli altri apostoli?”, quasi a prevenire la norma che sarebbe stata poi
introdotta, come precisa proibizione ai successori
degli apostoli di rito latino occidentale. […] Che
questa frase di S. Paolo sia ancora così poco conosciuta, si deve anche alla trasposizione della Vulgata “ufficiale” che è stata considerata per quattrocento anni il testo autentico, anche se non
corrispondeva a quello di Girolamo e alla Bibbia.
[…] La parola di Dio deve essere intesa in modo
più profondo, come testimonia il Nuovo Testamento quando parla della resistenza di Pietro ai
Sommi Sacerdoti (Atti 4, 19; 5, 29). Il “diritto di
essere accompagnati da una moglie”, che anche
Paolo ha “così come tutti gli altri apostoli e fratelli del Signore, così come Pietro/Cefa”, ovviamente
elimina ogni giustificazione sulla norma ecclesiastica del celibato […]. Tertulliano, il testimone più
antico di questo testo, fornisce l’interpretazione
più vecchia e probabilmente la più imparziale.
Scrive nel De Exhortatione Castitatis (circa 204):
156
“Anche gli Apostoli potevano sposarsi e portare le
mogli con loro”. Non c’è dubbio che sia una citazione del paragrafo della prima lettera ai Corinzi
(9, 5) […]; ne deriva la frase successiva di Tertulliano: “Potevamo così anche vivere il Vangelo”, licebat et de evangelio ali, citazione anch’essa dalla
lettera di Paolo (9, 4–14) […]. È strano e significativo allo stesso tempo che Tertulliano aggiunga
alle parole di Paolo (9, 5) “Avevano il diritto di
sposarsi”, quando Paolo parla esclusivamente del
diritto di essere accompagnati dalla moglie. Tertulliano è quindi assertore del diritto naturale degli apostoli, nonostante nel contesto egli stesso
abbia optato per non sposarsi. Tredici anni dopo
Tertulliano cambia opinione, forse per suo avvicinamento al Montanismo e nel De Monogamia traduce gynaikes come “donne che li servivano”. Clemente d’Alessandria (prima del 215) nel Paedagogos
II (1, 9) mette la frase “essere accompagnati dalle
mogli” sullo stesso piano del “mangiare e bere”
[…] essendo “naturali utilizzi”, cioè, “diritti naturali”. Secondo Eusebio di Cesarea (265–335) […],
l’apostolo Filippo aveva tre figlie e parla della storia di Giuda Taddeo, il fratello di Gesù. […] Chi
ha figli e nipoti ha ovviamente una moglie. Anche
S. Ilario di Poitier (310–367) interpreta il versetto
di Paolo (9, 5) in modo tale che il naturale “diritto
di sposarsi” è espressamente dichiarato come
quello degli apostoli. […] I suoi scritti risalgono a
prima della lettera del papa Siricio a Himerio di
Terragona nel 385 e, quindi, in assenza di una legge che rendesse obbligatoria l’astinenza sessuale
157
del clero. […] Così, Girolamo (347–420) è chiaramente influenzato dalla legislazione e in Adversus
Jovinianum (393), preferisce tradurre ginaikas con
“mulieres”, donne, piuttosto che “uxores”, mogli.
[…] Tutti gli scritti successivi della Chiesa furono
influenzati dall’interpretazione di Girolamo,
quando affermava che le donne servivano Gesù e i
suoi apostoli. […] Un esempio della convinzione
della Chiesa che la lettera ai Corinzi parlasse di
mogli è la lettera di Umberto da Selva Candida
all’abate Niketas (1054), riprodotta nel Decretum
Gratiani, in cui ammette il diritto dei preti di
“avere moglie” (uxores), come abbiamo letto che
gli apostoli avevano […] O. Kuss, J. Kuzinger, C.
Spicq ed E. B. Allo convergono sul fatto che si
trattasse proprio delle “mogli”. H. D. Wendland
ha dato una svolta al dibattito. Non si parla di diritto di sposarsi, ma del diritto di sostegno da parte delle comunità. Questo deriva da un esame dettagliato della prima lettera ai Corinzi ( 9: 4, 6–14)
e il diritto di avere una compagna è solo accennato. Il senso di questo accenno è che gli apostoli
non potevano chiedere alle chiese di mantenere
anche le loro mogli. Paolo nella lettera ai Corinzi,
versetto 15, dichiara di non fare uso dei diritti nei
versetti precedenti enunciati. Parla, quindi
dell’abitudine di alcuni apostoli di portare con
loro in missione le proprie mogli e il loro diritto di
pretendere per loro cibo e acqua dalle comunità,
allo stesso modo di come pretendevano per se
stessi. Anche se preferissimo il testo lungo, “una
sorella come moglie”, questa interpretazione non
158
altererebbe il senso, poiché l’oggetto “diritto”
dell’apostolo può essere solo una moglie, naturalmente cristiana, cioè “una sorella”, non una cameriera. […] I diritti enunciati da Paolo non sono
diritti di tutti i cristiani: i semplici cristiani non
possono pretendere sostentamento economico
dalle comunità.[…] Paolo sottolinea le origini divine dei diritti apostolici (1 Cor 9, 14): “Così anche
il Signore ha disposto che quelli che annunziano il
vangelo vivano del vangelo”. […] Come dimostrano sia Paolo che gli altri, il diritto divino non contempla una rinuncia volontaria “al loro utilizzo (1
Cor 9,15)”. Mantengono il diritto anche se vi rinunciano. […] Quindi, anche se hanno lasciato
(gli apostoli) le loro mogli e rinunciato al diritto
di sposarsi per un certo tempo, dopo l’ascensione
del Signore sono tornati a vivere con le mogli e,
come dice Paolo (1 Cor 9, 5), le hanno portate in
missione. […] La possibilità di fare uso in qualunque momento dei suoi diritti, è una delle ragioni
per cui Paolo ne parla spesso: insiste di “avere” gli
stessi diritti di tutti gli altri apostoli, sulla base di
un’eguaglianza di status con tutti loro. […] (Si
chiede retoricamente): non abbiamo il diritto di
essere accompagnati da una moglie? (1 Cor 9, 2 ).
È chiaro che usa i suoi diritti per dimostrare che la
sua autorità apostolica è identica a quella degli altri. È cruciale che questi siano diritti reali e possano essere esercitati in qualsiasi momento. Egli ha
“ancora” il diritto di scegliere una donna come
compagna, non gli è negato per sempre (anche se)
egli ha rinunciato ad usare quel diritto. […] Se-
159
condo Paolo, qualunque successore degli apostoli,
in pratica qualunque prete, si può sposare anche
dopo l’ordinazione. Possiamo affermare che dove
troviamo la parola gyné nel Nuovo Testamento, in
connessione con un uomo, anér, significa sempre
“moglie” […]. Quindi, in (1 Cor 9, 5), la stessa parola gyné, in stretta connessione col termine “uomini”, indica la compagna, cioè la moglie degli
apostoli. Moglie, pertanto e non donna credente
come afferma la Bibbia tradotta dalla Conferenza
Episcopale Italiana del 1971. Tutti i padri della
Chiesa, o famosi scrittori ecclesiastici dei primi
secoli, tradussero e interpretarono la parola guné
con uxores, cioè moglie. Fonte: www.ildialogo.org
(www.chiesaincammino.org)
La posizione critica di Vogels si spinge ancora oltre, fino a considerare nulla la legge sul celibato: “La
volontaria astensione da questo diritto è possibile e
buono, ma è una questione personale: il diritto, la libertà di sposarsi rimane accordata dal Signore […]”.
Ma “ci si chiede se contro il diritto di tutti gli uomini, apostoli compresi, garantito da Dio Creatore e da
Cristo Signore, ad avere una moglie, la proibizione
al riguardo da parte della Chiesa come legislatore
umano possa proprio reclamare una qualsiasi validità. Non si tratta piuttosto di una legge nulla fin
dall’inizio?”
A conclusione della sua dimostrazione esegetica,
Vogels afferma: “se nella Chiesa Cattolica Orientale
160
vi è il clero uxorato – anch’esso lodato dal Vaticano II – e se la Santa Sede accetta come candidati al
sacerdozio pastori protestanti e anglicani convertiti,
è evidente che la ufficialmente ribadita connessione
sacerdozio–celibato come legge generale della Chiesa Latina è davvero fragile e piena di contraddizioni
(Adista n° 61 del 9/11/2004)”.
Frà Tommaso Maria di Gesù dei frati minori
rinnovati di Palermo ci ricorda che Tertulliano fu
ordinato sacerdote quando era già sposato, tanto da
dedicare due suoi scritti alla moglie; che il Concilio
di Nicea del 325 respinse la proposta di vietare il matrimonio ai preti; che nel 911, come si legge in “Storia della Repubblica di Venezia” di C. Cappelletti, i
veneziani elessero quale vescovo della città Orciano che andò a vivere con moglie e figli nel palazzo
vescovile; che monsignor Veggian nel suo libro “Il
celibato ecclesiastico” riporta numerose iscrizioni
tombali riguardanti preti e vescovi dei primi seicento anni del cristianesimo da cui si evince che erano
sposati con prole.
Pier Giorgio Rauzi, sociologo ed ex prete, in
un’intervista (1 Giugno 2002) dichiarava ad Elisa
Bellé: “[…] L’obbligo del celibato […] nasce quando la
Chiesa entra in possesso di beni materiali e s’impone allo scopo d’impedire la trasmissione ereditaria
di tali beni agli eventuali discendenti del sacerdote
che li ha amministrati, in modo che i possedimenti ecclesiastici rimangano nelle mani della Chiesa.”
161
“Inoltre”, continua, “va tenuto distinto il termine
celibato, che ha origini giuridiche, da quello strettamente teologico di castità. Come si legge nel vangelo
di Matteo (19, 12) la scelta della castità è invece considerata da Cristo come un’anticipazione del Regno
dei Cieli ed Egli afferma che “vi sono eunuchi i quali
vennero resi tali dagli uomini e vi sono eunuchi che
si resero tali da sé per il Regno dei Cieli”. Io credo
che molti preti si sentano proprio eunuchi, resi tali
dagli uomini, mentre la scelta di castità dovrebbe
tornare ad essere assunta in piena libertà da tutti
quei sacerdoti che la ritengono adeguata al proprio
personale cammino spirituale […]”.
William Clery scrive quanto segue sul quindicinale CORPUS Reports (testo: The following is a book
review that appeared in the bi–monthly):
“Mary Pat Fox, responsabile del VOTF (Voice of
the Faithful), ha fatto notizia suggerendo un nuovo
studio approfondito sulla tematica del celibato (New
York Times, 24 Giugno 2007). Ma una nuova ricerca sull’argomento sembra inevitabile, anche in virtù
della connessione tra il celibato e gli abusi sessuali del clero che sono alla base di questo complicato
puzzle. […]
L’esperta dell’Adelphi University, Virginia Goldner, un medico docente di psicologia […] fa gravi dichiarazioni sul prete che abusa dei bambini in uno
studio recentemente pubblicato da Analytic Press,
Predatory Priests and Silenced Victims (Preti abu162
satori e vittime obbligate al silenzio). A pag 14, la
Goldner dice che, nell’analizzare le radici del problema, si può affermare che la causa non sia il celibato, ma l’obbligatorietà del celibato. È piuttosto
l’idealizzazione cattolica del celibato, quale eroico
sacrificio da esprimersi a svantaggio della sessualtà,
in particolare etero, che ha posto le basi per le deviazioni sessuali.
Se analizziamo le sue parole, esse rappresentano
un critica radicale al modo in cui i cattolici pensano al celibato. Infatti, è garantito che i cattolici non
affermerebbero mai che il celibato non è una cosa
salutare, essendo esso una norma stabilita. Ma la
Goldner sembra affermare proprio questo. Come
preparare, (allora), il terreno alle devianze sessuali? Basta idealizzare il concetto cattolico del celibato
come sacrificio eroico. È esattamente ciò che non
dobbiamo più permettere. Il celibato liberamente
scelto non è in questione. Il concetto di “glorificazione” è il problema. In un’ottica laica, si potrebbe
dire che dà il messaggio sbagliato, capovolge completamente la faccenda.
È affascinante notare che il Buddismo Zen in
Giappone sorprendentemente proibisce il celibato ai
religiosi […] I responsabili dei templi Zen non sono
più monaci (che implica lo stato celibatario), ma neanche laici: sono chierici. […] Le autorità giapponesi
che hanno potere decisionale in merito a questo hanno detto: “La delicata funzione dell’universo risiede
163
nell’energia dell’unione tra uomo e donna. Unione
sessuale che rappresenta la realizzazione del principio cosmico”. […] Non sembra che le cose riguardo
il celibato possano cambiare nella chiesa cattolica di
rito latino. Gli ultimi pontefici continuano a “glorificarlo”. Ma il panorama è molto cambiato da quando sono scoppiati gli scandali di abusi sessuali sui
minori da parte dei preti, unitamente agli esborsi
dei risarcimenti che ammontano al momento a più
di due miliardi di dollari. Ci sono oggi nuovi interrogativi, il più urgente dei quali è “come proteggere
i bambini in futuro”.
Il vescovo di Sidney Geoffrey Robinson, alcuni
mesi fa, durante una conferenza in Australia, disse
che “Giovanni Paolo II avrebbe potuto fermare lo
scandalo (pedofilia), ma non l’ha fatto”. Nonostante
gli attacchi di Roma, fu accusato di eresia, successivamente dichiarò: “Ma prima che lo facciano santo,
dovrebbero chiedersi cosa ha fatto realmente per fermare lo scandalo”. Non riesce a comprendere perché
il Papa sia rimasto in silenzio e perché addirittura
non si sia mai domandato quali fossero le cause e
le possibili soluzioni. “È molto difficile, perfino per
un papa, cambiare una cultura”. Robinson si riferiva
all’aura sacrale che circonda il celibato presbiterale,
che i papi hanno incoraggiato per mille anni, mantenendo la norma celibataria, nonostante l’evidenza
che la sua obbligatorietà ha creato ciò che Robinson
definisce “condizioni di vita insane” per i presbiteri.
164
“Il celibato, secondo un’erronea equazione, significa
senza sesso e senza sesso significa santo. Il problema
è che la gente viene programmata a credere in questa aura […] I disastri arrivano quando alcuni preti
sessualmente perversi sfruttano la loro aura a danno
di minori”. (Articolo di Robert Blair Kaiser, fonte “Il
Dialogo”).
Nel suo libro “Confronting and power sex in the
catholic church” indica nell’obbligo del celibato la
causa principale della misoginia e dell’omofobia di
molti sacerdoti degenerati poi negli scandali sessuali che affliggono la Chiesa che, ciononostante, mantiene intatto il suo atteggiamento nei confronti del
sesso.
Il quotidiano Lidove Noviny ha riportato che Kofron, segretario personale del vescovo di Praga Vaclav Maly, è stato riordinato “sub–conditione” dal
vescovo, con dispensa papale e con una procedura
riservata a coloro già ordinati con altro rito. Kofron,
infatti, era stato ordinato prete in segreto nei primi
anni 80 nella Chiesa clandestina che operava nella
Cecoslovacchia comunista dell’epoca. Ma dopo la
Rivoluzione di Velluto del 1989, tutti i preti ordinati clandestinamente potevano richiedere una nuova
ordinazione.
Il documento aggiungeva che Kofron sarebbe
stato il solo prete cattolico di rito latino sposato
nell’intera Repubblica Ceca, dato che tutti gli altri
preti sposati clandestini avevano aderito alla chiesa
165
cattolica di rito greco, la quale prevede l’esistenza di
preti sposati pur restando fedele a Roma. L’ordinazione di Krofon, sposato e padre di quattro figli, non
avrà conseguenze sulla regola del celibato clericale,
ha detto un portavoce dell’arcidiocesi di Praga. (art.
di Jonathan Luxmoore).
Domenica 29 Giugno 2008 è iniziata la raccolta di firme al fine di presentare una petizione per
l’ammissione degli uomini sposati al sacerdozio
alla prossima Conferenza Episcopale d’Inghilterra e
Galles, che si terrà nel prossimo Novembre.
L’iniziativa è stata presa da Maureen Robinson
ed è stata già sottoscritta da numerosi organizzaazioni e personalità del mondo cattolico inglese.
Tale petizione segue quella promossa in Australia dallo scrittore di fama Paul Collins, dove 17.000
cattolici l’hanno sottoscritta e presentata al loro vescovo. (Il Dialogo, 28 Giugno 2008)
Il Rev. Donald Cozzens, prete cattolico docente alla John Carroll University di Cleveland e già
autore del libro “Rendere il celibato facoltativo”,
nell’intervista rilasciata nel Maggio 2008 a Nicole
Neroulias, afferma che negli USA si è registrata una
costante e forte diminuzione del numero dei preti
cattolici, “[…] a fronte della sostituzione di 100 preti
che lasciano per motivi diversi, ci sono solo 35 nuove
ordinazioni”.
Sottolineando che “lo scandalo degli abusi sessuali del clero ha avuto un ruolo importante” nel
166
calo delle vocazioni, alla domanda se ritiene che il
celibato obbligatorio abbia avuto un ruolo fondamentale, così risponde: “Io ritengo che il celibato sia
un grande dono, e sia meraviglioso per coloro che
hanno ricevuto questa chiamata; può rappresentare
un disagio per coloro che sono chiamati al presbiterato, ma non ad essere celibi […]”.
Aggiunge che “il celibato è una norma della Chiesa, non un dogma. Papa Giovanni Paolo II ha avuto
e ora Benedetto XVI ha, la possibilità di cambiare la
norma in ogni momento lo ritenesse opportuno. C’è
un discreto numero di Conferenze Episcopali che
fanno appello affinché il Vaticano rifletta e discuta
sul tema del celibato”. Si mostra realista, se non scettico, sui temi del cambiamento: “Sarà la situazione
stessa a portare al cambiamento di questa norma,
ma credo sia ingenuo pensare che i numeri cambieranno in breve”.
E se il Vaticano decidesse che i preti possono
sposarsi […]? La risposta è precisa e chiara: “Non ho
idea di quanti preti si sposerebbero. L’età media dei
preti di oggi supera i 60 anni e il matrimonio è sia
un impegno che un grande cambiamento. Ma credo
fermamente che ci sarebbero più seminaristi se il celibato fosse facoltativo”.
Il calo delle vocazioni, specie nei Paesi occidentali, risulta molto preoccupante.
In Italia, già nel 1969, come si legge su La Stampa
dell’1 Febbraio 1969 (sac. Adolfo Percelsi), è dimi167
nuito il numero dei seminaristi, più di 6.000 preti
hanno lasciato il ministero sacerdotale senza la dovuta dispensa papale, mentre giacciono circa 4.000
richieste di sacerdoti per ottenere le nozze legittime.
Un articolo apparso su “Panorama” (n° 43 del 2007,
pag. 102) dal titolo “Lasciate che gli spretati tornino
a me”, afferma che molti dei 6.000 preti che hanno
lasciato il ministero chiedono di tornare e “il Papa
studia come recuperarli”.
Dei 50–55 mila preti sposati viventi nel mondo
(N.d.A.: altre fonti hanno cifre più alte, attorno a 100
mila), secondo i dati diffusi dalla Congregazione del
Clero, 11.200 hanno chiesto di tornare nella Chiesa
“senza abbandonare, come ci dice il gesuita Gianpaolo Salvini (direttore della rivista Civiltà Cattolica),
la vita di preti sposati”. “Al Papa”, continua l’articolo,
“sono stati consegnati diversi progetti che puntano a
valorizzare i preti sposati che vogliono essere riammessi al sacerdozio per supplire alla scarsità di vocazioni […]. […] Una proposta prevede che sacerdoti
sposati con più di 25 anni di matrimonio alle spalle possano essere recuperati almeno come diaconi.
Dall’America Latina arrivano proposte per favorire
l’ordinazione sacerdotale dei “viri probati”, vale a
dire uomini sposati di provata fede.[…] Cresce però
anche il numero dei vescovi cattolici che chiedono la
dispensa per sposarsi. Le domande presentate sono
una ventina”.
168
Claudio Balzaretti ha trattato il problema dell’abbandono della vita consacrata di preti diocesani, religiosi e suore in Italia e nel mondo (Rivista di Vocatio SULLA STRADA n° 29, 37, 38, 48 e 57).
Risulta così che fino al 1990 il numero dei sacerdoti nel mondo (diocesani e religiosi compresi) era
di 400.000 e gli abbandoni raggiungevano il numero di 120.000. In Italia su 56.000, abbandonavano in
9.000.
L’ultimo aggiornamento di Balzaretti è del 2002
e riguarda gli anni 97, 98 e 99.
In Italia (clero diocesano) anno 97: 43 abbandoni su 494 consacrati; anno 98: 32 abbanboni su 485
consacrati; anno 99: 44 abbandoni su 556 consacrati.
Questi abbandoni riguardano solo i sacerdoti che
hanno ottenuto la dispensa. Con gli abbandoni di
fatto, i numeri ufficiali vanno raddoppiati: anno 97,
86 abbandoni su 494 consacrati; anno 98, 62 abbandoni su 485 consacrati; anno 99, 88 abbandoni su 556
consacrati. Si ha così il seguente totale: 236 abbandoni su 1535 consacrati, il 16%. Per i religiosi la percentuale arriva al 22%.
Il fenomeno, come si evidenzia, è preoccupante
soprattutto per i religiosi che abbandonano.
Il loro inserimento nella vita civile è molto difficile anche se “i regolamenti interni della Chiesa invitano i superiori ad aiutare coloro che lasciano […]
ma è solo un invito […] aiutano gli amici degli amici
[…] Solo il figliol prodigo […] solo quelli che torna169
no a Canossa […] tutti gli altri devono scomparire
dalla faccia della terra […] (Lorenzo Maestri).
I seguenti stralci di una lettera, di un prete sposato (www.donne–cosi.org), significativa della scarsa
fiducia che i preti sposati ripongono nella gerarchia
romana, mostrano, tuttavia, la speranza che una
forte pressione possa determinare una risoluzione
accettata da tutti del rovinoso problema: “Sono un
prete di 46 anni e, da tempo, leggo le dolorose testimonianze di tanti miei confratelli costretti a vivere nella clandestinità per quello che la gerarchia
vaticana ritiene un peccato gravissimo: innamorarsi
di una donna. Ormai bisognerebbe aver capito che
la gerarchia è sessuofoba e si fa forte di leggi medievali per reprimere ciò che la Bibbia ci presenta
come il più grande dono che Dio ha fatto all’umanità: l’Amore. […] Una norma canonica del XII secolo
è diventata verità teologica che reprime in migliaia
di preti […] l’emozione più bella […]. Vorrei che i
reverendissimi porporati di santa madre chiesa meditassero il Cantico dei cantici che è parola divina e
vivessero un pò di più in mezzo a quel mondo che
tanto disprezzano, invece di starsene ad ammuffire
dentro le mura vaticane e da lì decidere le sorti di
tanti cristiani sparsi nel mondo, legiferando continuamente a colpi di diritto canonico. […] Gesù ci ha
fatti liberi, gli uomini di Gesù ci hanno reso di nuovo schiavi. […] Per favore, in nome di Gesù Cristo
smettetela di fare i guardiani dell’umanità e scen170
dete sulle strade del mondo: perché nostro Signore
abita negli uomini che mettete in croce ogni giorno
con la vostra rigidità giuridica. Che Dio mi perdoni
per ciò che sto dicendo alla sua chiesa ma non posso
fare silenzio […] (17 Giugno 2004).
Cantico dei Cantici: libro poetico dell’Antico Testamento, che celebra l’amore di due sposi. Attribuito a Salomone (re d’Israele ca 961 – 925 a.C.),
ma risalente al sec.IV a.C., è interpretato simbolicamente (rapporto Dio – uomo, Dio – Israele o
Cristo – Chiesa) da eug ‘92.
Il celibato non rappresenta l’unico motivo di
scontro tra i sacerdoti e i religiosi e la gerarchia
romana. Altri carboni ardono sotto la quiete della
cenere, che la Chiesa non vuole o non sa spegnere,
forse per paura di creare scandalo o movimento in
una struttura immobile da secoli, sempre rivolta a
conservare e non a cercare strade di partecipazione
e di confronto al suo stesso interno onde rendere più
attuali strutture e norme obsolete, ostacolo spesso alla formazione di quella ecclesia di cui parlava
Gesù.
Per esemplificare, mi sembra eclatante la “Dichiarazione dell’Unione Nazionale delle Suore
Americane sulla proibizione al ministero di suor
Gramick” (Notificazione della Congregazione per
la Congregazione della fede, Roma 31 Maggio 1999),
fondatrice assieme a Padre Robert Nugent nel 1977
171
dell’organizzazione New Ways Ministry col fine di
promuovere “giustizia e riconciliazione” fra lesbiche e omosessuali cattolici e la più vasta comunità
cattolica, che non rinnegano la loro appartenenza,
ma chiedono con forza che gli uomini della Curia
Romana “cambino” e stiano dalla parte della verità
e dei tanti che soffrono: “ L’Unione Nazionale delle
Suore Americane è offesa dall’ingiustizia fatta alla
nostra sorella Jeannine Gramick per mano della
Congregazione per la Dottrina della Fede. Questa
rabbia sta esplodendo in tutto il nostro paese e anche in altre parti del mondo. Invece di proibire il suo
ministero pastorale rivolto alle lesbiche, ai gay e alle
loro famiglie, sollecitiamo il Vaticano ad onorare
suor Gramick per aver mostrato a persone oppresse
il volto compassionevole ed amorevole della Chiesa.
Il suo lavoro di più di 25 anni nel costruire ponti tra
gli omosessuali e la Chiesa ha contribuito alla credibilità della Chiesa istituzionale. Il popolo di Dio
si sta sollevando. Diciamo: “Basta, Basta! Non più
misure repressive da uomini che mettono pesanti
fardelli sulle spalle di altri e non alzano un dito in
segno di compassione o gratitudine”.
Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti!
1 – Perché chiudete la porta in faccia alle relazioni d’amore di lesbiche e gay e mettete a riparo i preti
e i vescovi omosessuali nei vostri ripostigli.
Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti!
172
2 – Perché insegnate le vostre parole e quelle dei
vostri predecessori, invece d’insegnare il messaggio
di salvezza di Gesù e il Vangelo.
Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti!
3 – Perché voi “divorate” i diritti umani dei ministri della Chiesa usando procedure d’investigazione
segrete e autoritarie.
Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti!
4 – Perché vi rifiutate di ascoltare le voci di dissenso alle vostre misure repressive.
Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti!
5 – A motivo della vostra ossessione per le questioni sessuali, piuttosto che dell’attenzione alla dignità della persona umana. Perché cosa è davvero
intrinsecamente male? Le debolezze sessuali degli
individui? O il pregiudizio, la discriminazione, la
violenza contro quanti sono giudicati diversi? Guide
cieche! Scolate il moscerino e inghiottite il cammello.
Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti.
6 – Perché interferite nella gestione interna delle
Congregazioni religiose e ignorate l’autonomia della
leadership profetica
Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti!
7 – Perché abusate della vostra autorità resuscitando l’inquisizione e indagando la coscienza degli
altri.
Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti!
173
8 – Perché schiacciate un ministero amorevole
per le persone omosessuali e le loro famiglie e spingete i religiosi a mettere in questione il valore dello
statuto canonico delle congregazioni religiose nel
momento in cui intendono rivolgere il loro ministero agli emarginati.
Come possono le vostre azione scandalose sfuggire al giudizio del popolo di Dio? Badate, Dio
manda messaggeri e voi li mettete a morte. Il vostro ingiusto legalismo, giustamente sfidato dalla disobbedienza ecclesiastica, sta soffocando il popolo
di Dio. NCAN dice Basta, Basta! (Adista n° 74, 18
Ottobre 1999)”.
Della notifica, riguardante ovviamente anche
Padre Robert Nugent, vale la pena citare alcuni passi
significativi, come esempio d’intolleranza e di incapacità di adeguamento a situazioni con cui la società
convive, come se l’opera di apostolato, o d’intervento compassionevole, non possa spingersi oltre un
certo limite, quello della dottrina, al di là del quale
ogni cosa è perduta: “[…] Fin dall’inizio, nel presentare l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità,
Padre Nugent e Suor Gramick ne hanno ripetutamente messo in discussione elementi centrali”. Seguono tentativi di chiarificazione fino “all’ordine di
separarsi totalmente e completamente da New Ways
Ministry, aggiungendo che non avrebbero potuto
esercitare alcun apostolato senza presentare fedelmente la dottrina della chiesa circa la malizia intrin174
seca degli atti omosessuali.[…] Essi continuarono a
mantenere e a diffondere posizioni ambigue circa
l’omosessualità e criticarono esplicitamente documenti del Magistero della Chiesa su questo problema”. Seguono altre richieste di chiarificazione e viene istituita nel 1988 un’apposita commissione “per
studiare e valutare le loro dichiarazioni ed attività
pubbliche e per determinare se queste erano fedeli
all’insegnamento cattolico sull’omosessualità. […]
Dopo la pubblicazione di Building Bridges, l’esame
della Commissione si concentrò soprattutto su questo libro che riassumeva le loro attività ed idee.[…]
Pur rilevando la presenza di alcuni aspetti positivi
nell’apostolato di Suor Gramick e di Padre Nugent,
la Commissione trovò serie lacune nei loro scritti
ed attività pastorali, che erano incompatibili con la
pienezza della morale cristiana. La Commissione,
perciò, raccomandò delle misure disciplinari […]”.
La Commissione trasmette, quindi, il caso alla Congregazione per la Dottrina della Fede “nella speranza che Padre Nugent e Suor Gramick sarebbero stati
disponibili ad esprimere il loro assenso alla dottrina
cattolica sull’omosessualità” invitandoli “a rispondere in modo chiaro ad alcune domande riguardanti la
loro posizione sulla moralità degli atti omosessuali e
sull’inclinazione omosessuale”. Le loro risposte non
furono ritenute sufficientemente chiare nel merito
della questione, aggravate dai contenuti della loro ultima pubblicazione Voices of Hope per cui “ la Con175
gregazione decise che il caso doveva essere risolto
secondo la procedura indicata nel suo Regolamento
per l’esame delle dottrine”. Le dichiarazioni dei due
“imputati” furono ritenute “erronee e pericolose”
[…] e “furono ad essi trasmesse. A ciascuno fu chiesto di rispondere alla contestazione personalmente ed indipendentemente dall’altro […]. I membri
della Commissione […] furono unanimi nella loro
decisione che le risposte dei due, pur contenendo
alcuni elementi positivi,erano inaccettabili […]. Fu
pertanto deciso che essi avrebbero dovuto preparare
una dichiarazione pubblica, che sarebbe stata sottoposta al giudizio della Congregazione” con la quale
“si chiedeva loro di esprimere un assenso interiore
all’insegnamento della Chiesa Cattolica sull’omosessualità e di riconoscere che i due summenzionati
libri contenevano errori (da Galileo ad oggi la Chiesa è rimasta immutabile!)”. Le due dichiarazioni
non furono ritenute sufficienti dalla Congregazione.
“Suor Gramick… semplicemente rifiutava di esprimere ogni qualsivoglia assenso all’insegnamento
della Chiesa sull’omosessualità […]. Padre Nugent
non era disposto a sottoscrivere che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati e aggiungeva un paragrafo che metteva in questione la natura
definitiva ed immutabile della dottrina cattolica su
questo punto. Essendo quindi falliti i ripetuti tentativi […] la CDF è costretta a dichiarare che […]
le posizioni espresse da Suor Jeannine Gramick e
176
Padre Robert Nugent in merito alla malizia intrinseca degli atti omosessuali ed al disordine oggettivo
dell’inclinazione omosessuale sono dottrinalmente
inaccettabili perché non trasmettono fedelmente il
chiaro e costante insegnamento della Chiesa Cattolica su questo punto […] a Suor Jeannine Gramick e
a Padre Robert Nugent è permanentemente vietata
ogni attività pastorale in favore delle persone omosessuali ed essi non sono eleggibili, per un periodo
indeterminato, ad alcuno ufficio nei loro rispettivi
istituti religiosi. Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo
II […] ha approvato la presente Notificazione […] e
ne ha ordinato la pubblicazione”. Seguono le firme
del Cardinale Joseph Ratzinger, prefetto, e dell’arcivescovo Tarcisio Bertone, segretario.
Dalla vicenda sopraddetta, risulta evidente che
necessita un cambiamento nel modo di pensare e
di essere della Gerarchia vaticana, che gestisce la
Chiesa, specie nei componenti più vicini alla gente, in maniera molto rigida, dando l’impressione di
allontanarsi dai molti problemi del secolo, nei quali
dovrebbe immettersi se vuole svolgere la funzione
apostolica che è chiamata ad assolvere.
“I preti sposati”, afferma Piero Barbaini (La
Chiesa sbagliata, ed. Il Formichiere), ”rappresentano
nel mondo cattolico la sfida vivente al maschilismo
della Chiesa ed al suo devastante contagio, avverso
all’umanità del Vangelo e alla riattualizzazione di
un Vangelo per l’umanità”.
177
Il pessimismo di Barbaini trova espressione
nell’amara considerazione: “Molti degli aspetti secondo i quali la chiesa si presenta come “ufficiale”
appartengono al fenomeno della degenerazione. Il
mio modo di maturare nei confronti della chiesa
è stato quello di scoprire una chiesa reale che normalmente è lontana, talvolta antitetica, rispetto alla
chiesa ufficiale (che) usa dei valori espressi dalla
chiesa reale per sostenersi […]. Usa della fede di un
credente, dell’amore di una madre, della generosità
di un bambino, dell’entusiasmo di un giovane per
poi definire e impiantare una chiesa come potere,
una chiesa come papato, come gerarchia, come impresa burocratica; usa dei momenti esistenziali importanti (la nascita, il matrimonio, la morte, ecc.)
per trasferirli in un regime legale di codificazioni e
di controlli che costituiscono la base di una gestione redditizia (in precisi termini di soldi e di potere),
che poi giustifica come azioni soprannaturali, come
“sacramenti” che agiscono “ex opere operato” (cioè
come congegni automatici). E usa soprattutto categorie antropologiche (cultura, storia e società), in
particolari categorie della vita associata (economia,
politica e diplomazia) per istituire un regime centralizzato, assolutistico e dittatoriale, definendosi come
“chiesa spirituale e comunitaria”. Ecco, per me, dove
si nasconde la chiesa sbagliata, è la chiesa falsa che
usa l’uomo […]. Per questo il Figlio dell’uomo si è
battuto contro la casta sacerdotale del suo ambiente
178
e del suo tempo: perché essa dominava mentendo,
indicando all’uomo una vita irreale, un’esistenza
ingannevole, che lo soggiogavano anziché liberarlo
[…] lo liquidarono e cercarono in tutte le epoche di
vanificare la rivoluzione perenne. Questa, che l’uomo non sia mai usato dall’uomo; che lo stare assieme sia effetto dell’amore, non della legge; che la conversione e la salvezza si attuino nell’animo, non nel
meccanismo dei segni; che la vocazione, la missione
e l’impegno nel bene siano la massima espressione
della libera scelta, della decisione umana, non il risultato di un reclutamento e di un proselitismo che
sfruttano l’immaturità e l’indigenza degli uomini;
che l’adorazione sia anzitutto interiore, sempre umile, spesso nascosta, quella che spesso sfugge alla solennità dei trionfi e al fragore delle masse. Questo
messaggio è stato esattamente capovolto quando è
caduto tra le mani della casta di Roma: Cristo è stato strumentalizzato e l’impero curiale ha creato una
storia di antitesi al fermento evangelico. Il segno di
contraddizione è dentro il sistema e la rivoluzione
cristiana diventa esemplare nel mondo quando abbatte la corruzione interiore. La chiesa reale corrisponde a questa rivoluzione nascosta e sconosciuta
[…]; la chiesa ufficiale normalmente corrisponde
alla sovrastruttura reazionaria […]. Il cattolicesimo
vaticano, impresario e mercenario, gerarchico e burocratico, legalista e inquisitore, poliziesco e repressivo, rappresenta oggi la massima degenerazione
179
del cristianesimo autentico. La rivoluzione cristiana
troverà qui il suo prossimo impatto, perché qui è
sommo il segno di contraddizione”.
In una recente intervista concessa a Davide Pelando, la teologa Adriana Narri sostiene che gli
abusi sessuali da parte dei sacerdoti possono essere
ascritti alla loro “formazione molto carente” perché
“si formano in seminari dove non ci sono donne e
quindi sono in una situazione anomala. E quindi
tutta la psicologia dei sacerdoti è molto viziata”. “Li
farebbe sposare?”, chiede ancora Pelando. La risposta è chiara e netta: “Si, certo, solo quelli che lo vogliono. È che il celibato dovrebbe essere una scelta
libera: la maggior parte dei preti non sceglierebbe
il celibato, è un obbligo imposto e subito dalla gran
maggioranza di loro”. (Megachip)
L’ottantunenne Cardinale Carlo Maria Martini,
ex arcivescovo di Milano, tra i più carismatici prelati
della Chiesa Cattolica, in un’intervista alla Bbc nel
lontano 1995, riguardo al celibato ecclesiastico affermava che (rappresenta) “un’area non regolata dalla
dottrina. Esso deriva da una decisione storica che
può essere cambiata e adattata alle differenti culture”.
Oggi, nel libro “Colloqui notturni a Gerusalemme” (“Jerusalemer Nachtgesprache”, ed. Herder),
scritto col gesuita Georg Sporschill, un po’ il suo
testamento spirituale, ritorna sull’argomento. Per il
cardinale, il celibato deve essere una vera vocazione
180
perché non tutti hanno il carisma per accoglierlo.
“La Chiesa dovrà farsi venire qualche idea. La possibilità di ordinare viri probati va discussa”. Il libro
affronta altri temi importanti per la vita della Chiesa
che “deve avere il coraggio di riformarsi, realizzando cambiamenti concreti che vengono chiesti ormai
a voce alta”.
Nei personaggi citati non c’è rancore. Né preconcetti influenzano i loro scritti, ma il riconoscimento
di una realtà di sofferenza che può essere cambiata
solo se i massimi vertici del Vaticano abbandonassero, attraverso un confronto serio e coerente coi tempi, umile e costruttivo, una concezione medievale
del ministero sacerdotale, che imprigiona tanti sacerdoti, costretti a vivere il loro amore per una donna nella clandestinità o ad abbandonare la strada
che avevano scelto di servire la Chiesa e diffondere
il Vangelo.
Ma le attuali gerarchie vaticane, pur immerse nel
secolo con attività varie, e papa Benedetto XVI non
sembrano in grado di raccogliere il messaggio che
da più parti arriva loro, nelle forme più varie, una richiesta d’aiuto di migliaia di preti che chiedono solo
di ritornare a vivere nel vangelo. L’abbandono di una
norma, introdotta tra l’altro nel Diritto Canonico
solo nel 1917, venne forse vissuta come un cedimento, un indebolimento del potere di ricatto che da secoli viene esercitato verso la parte più esposta della
Chiesa che sono appunto i presbiteri, che, sempre in
181
prima linea, giorno dopo giorno vengono giudicati
da migliaia di fedeli che non conoscono, come dovrebbero, i molti “misteri” sui quali la Chiesa fonda
il suo carisma.
182
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Rivista Adista
Rivista Il dialogo
Rivista Nexus
189
Sommario
prefazione.................................................................................. 7
storicità dell’esistenza di gesù....................................... 35
il celibato nella storia della chiesa............................ 45
il celibato nelle altre chiese cristiane........................ 87
il celibato nella vita dei pontefici..............................103
la situazione oggi all’interno della chiesa.............125
testimonianze e proposte.................................................145
bibliografia...........................................................................185
191