perché non si sposano
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perché non si sposano
Giuseppe Governanti perché non si sposano il celibato imposizione medievale mortificante Ai miei figli affinché, in un mondo addormentato dai “poteri”, amplino le loro conoscenze attraverso la ricerca e il confronto, con umiltà e rigore. Giuseppe Governanti La ricerca della verità è una porta sempre aperta attraverso la quale le molte verità confliggono e si annullano. Il confronto in umiltà abbatte gli ostacoli, stempera gli assolutismi e avvicina gli uomini. (G. G.) prefazione Data l’età media di preti e suore, fra venti anni ci saranno pochissimi preti. Ci sono 25 mila sacerdoti sposati in USA e circa 150 mila in tutto il mondo che non possono essere usati perché la Chiesa applica una regola medioevale che ha imposto il celibato. (Monsignor Milingo) la sfida di monsignor milingo Sua eccellenza monsignor E. Milingo sposa a 71 anni, 27 maggio 2001, la signorina Maria Sung Rien, destando clamore e sconcerto tra i cattolici. Il matrimonio viene celebrato dal Reverendo Sun Myung Moon, fondatore della Chiesa dell’Unificazione alla quale Monsignor Milingo aveva precedentemente aderito. Chiesa dell’Unificazione (Associazione spirituale per l’unificazione del mondo cristiano) È una delle tante sette religiose cristiane, fondata dal Rev. Moon in Corea nel Maggio del 1954. Si propone la redenzione dell’umanità attraverso la formazione della “famiglia benedetta” e, quin- 7 di, si considera ecumenica e missionaria. Il testo “Principio Divino”, attribuito al Rev. Moon, contiene i principi fondanti della dottrina: creazione, caduta (peccato), restaurazione (redenzione). Dio, profondo amore, creò gli uomini per avere un oggetto da amare ed essere felice. Nel creato c’è l’aspetto duale della mascolinità e della femminilità, derivato da Dio. Adamo ed Eva, espressione di questa dualità, unendosi in matrimonio, ma solo dopo aver raggiunto la maturità, avrebbero generato nella purezza, come “Veri Genitori”, dei figli di Dio, vivendo in armonia e pace. Ma il disegno di Dio non si realizzò perché Eva ebbe una relazione sessuale con Lucifero (peccato originale) e poi con Adamo, prima del tempo stabilito. Ciò determinò la fine del legame tra l’uomo e Dio, che divenne un Dio della sofferenza. Così, la Trinità originaria (Dio, Adamo, Eva) non fu costituita. Dio non rinuncia al suo disegno e manda sulla terra un Messia, Gesù, per riscattare l’umanità e realizzare ciò in cui Adamo ed Eva avevano fallito. Ma il popolo ebraico lo tradisce crocifiggendolo e impedendogli di realizzare compiutamente la sua missione. La salvezza portata da Gesù è solo spirituale perché non si sposò. L’umanità, quindi, rimase nell’attesa di un secondo Messia. Nascerà come un uomo, si sposerà, avrà figli, creerà la famiglia perfetta, unificherà tutte le religioni, stabilendo il regno di Dio sulla terra e così sarà realizzata la Trinità (Dio, il secondo Messia e la moglie). Da tutto ciò si evince che il celibato è da evitare poiché la redenzione fisica si realizza solo 8 attraverso l’unione tra uomo e donna. I matrimoni di gruppo celebrati dal Reverendo e da sua moglie, pertanto, occupano un ruolo centrale nella liturgia della Chiesa. Il secondo messia è, senza dubbio, il Rev. Moon, in quanto, stando alle scritture, doveva nascere in Corea tra il 1917 e il 1930. Il Reverendo nasce in Corea nel 1920. Prima dell’incontro con Giovanni Paolo II, il 7 Agosto 2001, in conseguenza del quale lasciava la moglie e faceva ritorno a Roma, accettando di ritirarsi in meditazione, affidato alle cure dei focolarini, monsignor Milingo così scriveva: “Relazioni clandestine e matrimoni, figli illegittimi, omosessualità rampante e sesso illecito hanno infestato il sacerdozio al punto che la Commissione ONU per i diritti umani ha investigato la Chiesa per abusi sessuali” (The Post dell’Agosto 2001 – Lusaka). Ciò non gli impediva di scrivere una lettera a Giovanni Paolo II (11 Agosto 2001) intrisa d’umiltà e di ravvedimento: “Sua Santità Papa Giovanni Paolo II, io sottoscritto, […] dopo avere concluso il colloquio sulla questione in discussione: […] io in questo momento reimpegno la mia vita nella Chiesa Cattolica con tutto il cuore, rinuncio alla mia convivenza con Maria Sung e ai miei rapporti con il Rev. Moon […]”. Dopo varie vicende che lo hanno visto protagonista e dopo un periodo di lunga assenza (2004 – 2006) dalla vita pubblica, riappare a Washington 9 (12 Luglio 2006) dove annuncia di essere tornato a vivere con la moglie. Accanto vi sono l’arcivescovo George Augustus Stallings fondatore della “Congregazione dei cattolici afroamericani” e l’arcivescovo Patrick Trujillo della “Old Catholic Church in America”, entrambi sostenitori dell’abolizione del celibato sacerdotale. La Chiesa di Roma lo invita alla riconciliazione per non incorrere nella sospensione a divinis. La sospensione a divinis misteris celebrandis (sospensione dalla celebrazione dei misteri divini) è una punizione disciplinare che la Chiesa applica ai sacerdoti colpevoli di gravi mancanze disciplinari. Essa è disposta di norma per i sacerdoti che contraggono matrimonio, con o senza la dispensa, perché l’autorità ecclesiastica non ritiene opportuno che essi continuino ad esercitare il ministero sacerdotale: i sacerdoti sospesi non possono amministrare i sacramenti né celebrare a messa e la confessione – unica deroga la necessità di confessare un moribondo. Gli atti esplicati durante la sospensione, che può essere parziale e sospesa, divengono illeciti ma non invalidi. Monsignor Milingo non risponde e continua a sostenere l’abolizione della regola del celibato. Ordina vescovi quattro sacerdoti sposati, appartenenti all’associazione “Married Priests Now”. 10 Così, assieme ai quattro sacerdoti, è scomunicato latae sententiae per aver violato il canone 1382 del Codice di Diritto Canonico (un vescovo non può consacrare un altro vescovo senza il mandato pontificio). La scomunica, tra le tre censure ecclesiastiche (interdetto, sospensione a divinis, scomunica) previste dal Codice di Diritto Canonico, è la più grave. La scomunica latae sententiae (letteralmente: sentenze emesse) colpisce in modo automatico, in altre parole senza l’intervento diretto dell’autorità ecclesiastica, il sacerdote che si macchia di ben precisi delitti canonici. Il canone 1382 così recita: “Il Vescovo che senza mandato pontificio consacra qualcuno Vescovo e chi da esso ricevette la consacrazione, incorrono nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica”. Monsignor Milingo non accetta la scomunica e il 27 Settembre, in una conferenza a Washington, dichiara anche in nome dei quattro vescovi da lui ordinati: “Non accettiamo la scomunica e amorevolmente la rimandiamo al nostro amato Santo Padre, perché la riconsideri”. Invita, quindi, Benedetto XVI a riaccogliere i preti sposati nella Chiesa cattolica, sostenendo di aver agito “come gli apostoli” nel nominare i vescovi. “Il nostro unico obiettivo – continua – è riportare il sacerdozio sposato nella Chiesa” e dare modo a 150 mila preti sposati al mondo di riprende11 re il loro servizio sacerdotale interrotto “per colpa di una regola medievale della Chiesa che impone loro il celibato”. Conclude, infine, ricordando che la Chiesa “ha sempre avuto preti sposati, era la norma per dodici secoli, trentanove papi erano sposati […]”. Questa presa di posizione rappresenta l’epilogo di un dramma cominciato, come abbiamo visto, nel 2001 col matrimonio con Maria Sung. La vicenda di Mons. Milingo rappresenta una sfida al Vaticano, in piena coscienza e consapevolezza, sul celibato, una rottura col passato, un tentativo di rinnovamento. Apre un capitolo nuovo nella storia millenaria della Chiesa, che riguarda il rapporto tra il sacerdozio e il celibato, divenuto dogma (fu introdotto nel diritto canonico solo nel 1917), e tra i sacerdoti e i fedeli che pensano, con poche eccezioni, che il celibato sia nato assieme al Cristianesimo. Codice di diritto canonico (Codex Juris Canonici) Il CIC è l’insieme delle norme giuridiche della Chiesa Cattolica che regola l’attività dei fedeli, le relazioni interecclesiastiche e con la società esterna. È composto di sette libri comprensivi di 1752 canoni. Pio X nel 1915 decise di riprendere un progetto di Pio IX e, quindi, unificò in un unico codice le varie leggi promulgate in situazioni e tempi diversi. L’opera fu completata dal successore Benedetto XV nel 1917. Fu Giovanni Paolo II a promulgare il 25 Gennaio 1983 la versione riformata del CIC. Il titolo rimane invariato, mentre 12 il testo ufficiale è scritto in latino. Il paragrafo 1 del canone 277 (Titolo III, Capitolo III, Obblighi e diritti dei chierici) così recita: “I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il Regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini”. “I chierici si comportino con la dovuta prudenza in rapporti con persone la cui familiarità può mettere in pericolo l’obbligo della continenza oppure suscitare lo scandalo dei fedeli (paragrafi 1 e 2)”. Il canone 291 (Titolo III, Capitolo IV, La perdita dello stato clericale): “[…] la perdita dello stato clericale non comporta la dispensa dell’obbligo del celibato: questa viene concessa unicamente dal Romano Pontefice”. L’opera del monaco camaldolese Giovanni Graziano “Concordia discordantium canonum” (meglio conosciuta come “Decreto di Graziano”), composta attorno al 1142, rappresenta il primo tentativo di dare ordine a quanto la Chiesa aveva stabilito sull’obbligo del celibato. L’obbligo della continenza è trattato nelle “distinzioni” dalla 26 alla 34 e dalla 81 alla 84. A sostegno di quanto scrive G. Graziano, Raymundo da Penafort (Liber Extra di papa Giovanni Gregorio IX) così si esprime: “I vescovi, i sacerdoti, i diaconi devono osservare la continenza anche con le loro spose. Questo hanno insegnato gli apostoli con il loro esempio e anche con le loro disposizioni…”. 13 Tale obbligo si fonda su una duplice ragione: “Sia la purezza sacerdotale, affinché così possano ottenere in tutta sincerità ciò che con la loro preghiera chiedono a Dio; la seconda ragione è che possono pregare senza impedimenti ed esercitare il loro ufficio, perché non possono fare le due cose insieme: cioè servire la moglie e la Chiesa”. Per una monarchia assoluta quale è la Chiesa, storicamente retriva a rivedere le proprie abitudini e i propri convincimenti in relazione al divenire sociale, dove le contestazioni emerse vengono opportunamente celate, Mons. Milingo, con la sua presa di posizione ardita e netta di farla finita col celibato, è un rivoluzionario pericoloso che va emarginato un po’ alla volta, senza creare traumi all’interno dell’istituzione religiosa e tra i fedeli. È giusto che i sacerdoti si sposino? È una domanda alla quale le autorità religiose devono dare una risposta convincente. È una domanda alla quale i cattolici devono rispondere e per farlo devono sapere, attraverso un excursus storico, che il celibato del clero fu istituito in maniera ufficiale (le sacre scritture, quindi, non ne parlano) nel Concilio d’Elvira (Spagna 300 – 313) e solo per il clero spagnolo. È interessante riportare stralci del carteggio intercorso, dopo il matrimonio tra Mons. Milingo e Maria Sung, tra la Santa Sede e Monsignor Milingo, 14 il quale ormai sembra definitivamente avviato verso la formazione di una nuova Chiesa. — Il 28 Maggio 2001, Joaquin Navarro Valls, direttore della “Sala Stampa della Santa Sede”, rilascia la seguente dichiarazione: “Ovviamente la Santa Sede ha preso atto con vivo rammarico del gesto compiuto dall’Arcivescovo Mons. Milingo. Con la partecipazione al rito pubblico di matrimonio presso la setta di Moon egli si è posto di fatto fuori della Chiesa Cattolica. […] Egli però non può essere considerato come vescovo della Chiesa Cattolica ed i fedeli sono invitati a trarre le dovute conseguenze del suo comportamento e delle sue azioni, che costituiscono il presupposto per le previste sanzioni canoniche […]”. — Il 16 Luglio 2001, si ha la “Notifica della Congregazione per la dottrina della fede” presieduta dal Prefetto Cardinal Ratzinger (oggi Papa Benedetto XVI) e dal segretario Tarcisio Bertone (oggi, Segretario di Stato e Camerlengo di Santa Romana Chiesa) : “La Congregazione per la Dottrina della Fede […], in ossequio al compito suo proprio di tutelare la fede e la morale nella vita della Chiesa, si trova nella necessità di procedere, secondo la mente del canone 1347 comma 1 del CIC. […] La stessa Congregazione […] intima all’Arcivescovo Milingo, a norma del succitato canone 1347 comma 1 del CIC, la seguente pubblica ammonizione canonica: a) di separarsi dalla signora Maria 15 Sung; b) di rompere ogni legame con la setta Family Federation for World Peace and Unification; c) di dichiarare pubblicamente la sua fedeltà alla dottrina e alla prassi ecclesiastica del celibato e di manifestare la sua obbedienza al Sommo Pontefice con un gesto chiaro ed inequivocabile. Nel caso che a detta ammonizione non segua, entro il 20 Agosto p.v., un formale atto dell’Ecc.mo Milingo di esecuzione di quanto sopra richiestogli, si procederà all’irrogazione della scomunica riservata alla Sede Apostolica”. — L’11 Agosto 2001, Mons. Milingo così scrive a Maria Sung: “Alla mia sorella Maria Sung pace in Cristo. La mia Madre Chiesa Cattolica mi ha chiamato a ritornare nel suo ovile […] le persone che mi aspettano sono molte […]. Le parole del Santo Padre mi hanno commosso: “in nome di Gesù Cristo ritorna nella Chiesa Cattolica”. Il mio vivo desiderio è quindi di obbedire al Santo Padre e sottomettermi alle leggi della Santa Madre Chiesa. Io ti amo come sorella. Continuerò a pregare per te per tutta la mia vita, il Signore ti benedica”. — Il 14 Agosto 2001 Mons. Milingo invia una lettera a Giovanni Paolo II: “Sua Santità Giovanni Paolo II, io sottoscritto, dinanzi a Sua Eminenza Cardinale Giovanni Battista Cheli e Sua Eccellenza Arcivescovo Tarcisio Bertone, dopo aver concluso il colloquio sulla questione in discussione: 16 tramite il loro consiglio e fraterna correzione, e quella da parte di Sua Eccellenza Mons. Stanislao, io in questo momento re–impegno la mia vita nella Chiesa Cattolica con tutto il cuore, rinuncio alla mia convivenza con Maria Sung e ai miei rapporti con la Federazione di Famiglie per la Pace Mondiale. Soprattutto le sue parole: “nel nome di Gesù, ritorna nella Chiesa Cattolica”, sono state sia un richiamo alla mia Chiesa Madre sia un ordine paterno rivolto a me per vivere la mia fedeltà e obbedienza a Lei, Rappresentante di Gesù sulla Terra, capo della Chiesa Cattolica. Raccomandandomi alle sue preghiere e alla Sua Benedizione, io sono il suo umile e obbediente servo, Arcivescovo E. Milingo”. — Il 22 Agosto 2001, il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Dr Joaquin Navarro Valls rilascia ai giornalisti la dichiarazione: “Mons. Milingo incontrerà la Signora Maria Sung per comunicarle le sue decisioni. Sia questo incontro che le condizioni di esso sono state decise da Mons. Milingo nella sua totale libertà: la Santa Sede non può né vuole imporre nulla alla coscienza dell’arcivescovo”. — Il 25 Agosto Mons. Milingo scrive al Santo Pontefice: “Santo Padre, mentre Le dico grazie, Santo Padre, mi rendo conto che questo breve e semplice “grazie” è troppo poco […]. Ha pronunciato parole che ancora risuonano nelle mie orecchie: 17 “Nel nome di Gesù, torni alla Chiesa Cattolica”. […] Come figlio prodigo Lei mi ha inviato a Sua Eccellenza l’Arcivescovo Bertone. […] Era come se Lei dicesse: “Milingo era morto ed è tornato alla vita. […] Ho capito le sue parole […]. Voglio muovermi insieme a Lei, Santo Padre, con i miei fratelli Vescovi, con tutta la Chiesa Cattolica […]”. Chiedendo le Sue benedizioni, amore e perdono, io sono, Santo Padre, Suo umile e obbediente servo, Arcivescovo E. Milingo”. — Il 29 Agosto 2001 Mons. Milingo incontra Maria Sung all’Hotel Arcangelo alla quale consegna una lettera, resa pubblica da Joaquin Navarro Valls: “[…] Il mio impegno nella vita della Chiesa, tramite il celibato, non mi permette di essere sposato. Il richiamo della mia Chiesa al mio primo impegno è giusto. […] Io sono consapevole della tua sofferenza, io sono con te in tutte le tue sofferenze, pregando per te ogni giorno. Non soltanto io, ma ci sono tanti che sono con te. La benedizione di Dio ti accompagnerà per tutta la tua vita. Con sincerità. — L’8 Settembre 2006, il prefetto della “Congregazione dei Vescovi” Cardinale Giovanbattista Re invia una lettera di “ammonizione canonica” a Mons. Milingo con la quale lo invita a scrivere entro il 15 Ottobre una lettera di pentimento al Papa per non incorrere nella “sospensione canonica” prevista dal diritto clericale. Non è difficile 18 avvertire nella lettera un disdicevole atto di violenza che coinvolge assieme a Mons. Milingo i tanti preti sposati e le loro famiglie, non solo mogli ma, soprattutto, figli innocenti. Simili lettere, che rappresentano una sottile e grave forma di ricatto per i sacerdoti e i loro familiari, alimentano il pregiudizio popolare, fondato sull’ignoranza, e svegliano in loro un ampio senso di colpa come se dovessero provare vergogna di un sentimento pulito, quale è l’amore. — Il 3 Novembre 2006, Mons. Milingo scrive al Papa Benedetto XVI e ai Vescovi della Conferenza episcopale degli USA una lettera con la quale chiede che la Chiesa Romana richiami “i sacerdoti sposati nel pieno esercizio ministeriale della Chiesa”: “La Chiesa ha sempre avuto al suo interno sacerdoti sposati e Gesù chiamò al suo interno uomini sposati selezionati a diventare suoi apostoli. […] Una prassi alla quale è necessario ritornare perché molte parrocchie nel mondo non hanno sacerdoti sufficienti per servire il popolo di Dio. […] La soluzione alla crisi e alla chiusura dei luoghi di culto è semplice: richiamare in servizio i preti sposati”. — Il 27 Novembre 2006, il Cardinale Re scrive a Mons. Milingo: “Il Santo Padre ha ricevuto le lettere che Vostra Eccellenza gli ha inviato il 10 e 13 Ottobre u.s., nelle quali da un lato manifesta il desiderio di serbare un affetto filiale per Lui e 19 per l’unità della Chiesa di Cristo, dall’altro contraddice lo stesso intento, dato che tacitamente è incorso nella scomunica latae sententiae comminata dalla Santa Sede, come previsto dal canone 1382 del C.I.C., perché il 24 Settembre 2006 ha consacrato quattro vescovi. […] Lei è consapevole che sono gravemente illecite, illegittime e non saranno mai accettate in quanto di grave danno per la Chiesa e per il Popolo di Dio. Allo stesso modo Lei sa che questi atteggiamenti La responsabilizzano davanti a Dio, gravandola di un peccato grave che, naturalmente, La escluderà dalla Chiesa con la scomunica. Con l’Associazione Married Priests Now da Lei fondata è andato contro la volontà di Cristo e della Chiesa, la quale non approverà né mai istituirà una simile associazione. Stando così le cose, ritengo mio dovere ricordarLe, che il celibato presbiterale, liberamente scelto e basato sul dono di sé a Cristo è di un tale valore […] La Chiesa Latina […] desidera mantenere il celibato del sacerdozio ministeriale gerarchico, perché lo ritiene un bene così prezioso, che nulla sarebbe in grado di sostituirlo. […] Le ripeto, quindi, che il suo comportamento è gravemente errato e immorale e Lei si è escluso apertamente dalla comunione gerarchica con il Romano Pontefice e con il Collegio Episcopale: non c’è altra via di salvezza per la Sua anima, se non quella della conversione. […] La Chiesa Le 20 chiede di avere l’umiltà e il coraggio di riconciliarsi con Dio e con il successore di San Pietro, affidandosi alla misericordia di Dio, per riavere la pace e ottenere ancora una volta la gioia della grazia e della dignità perduta. […] Con l’augurio di ogni bene […] — È interessante il contenuto di una lettera del 29 Gennaio 2007 in risposta al cardinale Re del prete sposato Antonio de Angelis: “È ridicola e contraddittoria l’implorazione del Cardinale Re all’Arcivescovo Milingo di recedere dalla prelatura dei preti sposati nel nome della Chiesa di Pietro se lo stesso Pietro, primo papa voluto da Cristo, era sposato con Perpetua ed aveva una figlia di nome Domitilla. […] Fu la Chiesa medievale del primo millennio a imporre il celibato del clero nel 1139 con papa Innocenzo II perché i preti fossero più disponibili a seguire i crociati […]. Celibato innaturale che da allora produsse i crimini della clandestinità delle famiglie del clero, con figli clandestini, aborti indotti, situazioni disumane giudicate ipocritamente illegali dai tribunali dell’Inquisizione ecclesiastica che fece salire al rogo migliaia di persone innocenti. L’allontanamento sempre contro natura dei minori dalle loro famiglie per chiuderli nei seminari maschili e nei conventi femminili secondo le nuove norme del Concilio di Trento del 1545, incominciò a creare situazioni di squilibri mentali 21 e deformazioni sessuali come la pedofilia, l’omosessualità e il lesbismo, tutte situazioni anomale e criminose che sono a tutt’oggi sotto gli occhi delle cronache quotidiane per opera di cardinali, vescovi, monsignori e parroci. Non sono quindi i preti sposati, cara eminenza cardinale Re, a dover chiedere perdono alla Chiesa di Pietro ma il clero celibe”. — Il 13 Dicembre 2006, Mons. Milingo risponde al Cardinale Re, indirizzando la lettera al Papa: “Santo Padre, grazie per la Sua cortese risposta attraverso il Cardinale Re. […] Noi vogliamo i Suoi consigli, li rispettiamo e ne facciamo tesoro. […] Abbiamo veramente bisogno di un dialogo più sostenuto. […] Affermiamo apertamente che non intendiamo né vogliamo tagliarci fuori dalla Madre Chiesa. Crediamo che abbiamo un grosso contributo da offrirLe attraverso l’Associazione Married Priests Now! Prelatura, che migliorerà la vita dei nostri preti e arricchirà la Chiesa. […] Auspichiamo inoltre che, a tempo debito, nel prossimo futuro, possiamo essere messi in grado di incontrarLa […] per dibattere questo argomento e aiutare a risolvere la nostra situazione. […] La Chiesa continuirà ad essere una istituzione di paura e di castigo o di perdono e di amore? La sua lettera non sembra offrire nessun indizio di cambiamento nell’ingiusto e radicale obbligo del celibato come condizione richiesta per 22 il presbiterato. […] Noi sosteniamo la necessità del celibato, specialmente per i preti degli ordini religiosi, chierici o altro, che di fatto lo hanno scelto liberamente. Può essere una libera scelta, solo se non viene imposto come requisito per un incarico o per un’attività il celibato di per sé è un bene. Non siamo contrari per partito preso, deve essere facoltativo e non una condizione indispensabile per il presbiterato. […] Non stiamo cercando delle novità, ma solo il ritorno a quello che la Chiesa aveva all’inizio e cioè i preti e i vescovi sposati. Prima di tutto Cristo ha scelto dei preti sposati. San Pietro era un uomo sposato. I primi secoli della Chiesa hanno visto papi, vescovi, preti e diaconi sposati. Nel Rito Latino il presbiterato uxorato ha prosperato per i primi dodici secoli. […] L’obbligo al celibato è diventato un idolo, un vitello d’oro. Ma Dio ha ordinato: “Non preferite gli idoli a me”. Abbattiamo il vitello d’oro del celibato obbligatorio, prima che esso distrugga la Chiesa intera! Com’è possibile dare più valore al celibato che al matrimonio? I preti sposati non servono il Signore con uguale dedizione, non Lo amano con la stessa misura dei loro fratelli celibi? La santità del matrimonio eleva il ministero presbiterale e lo porta più vicino al Popolo di Dio. La famiglia del prete diventa un modello di come dovrebbe essere la famiglia cristiana: un riflesso dell’amore della Trinità, la 23 comunione di tre persone nell’amore di una sola. […] Se lo ricordi bene: il matrimonio è un sacramento il celibato no. È una scelta. Il matrimonio è tanto sacro quanto il presbiterato. Tutti e due sono sacramenti alla stessa maniera. Il celibato non diventa mai un sacramento e nulla aggiunge al presbiterato. Se il celibato è scelto liberamente è un grande dono ma è distinto dal presbiterato. E non può mai diventare un dono maggiore di quello del matrimonio dei preti sposati. Siccome il matrimonio è un sacramento e viene da Dio, è una chiamata più eminente di quella del celibato. […] Come può la chiamata di Dio alla santità del clero essere in contrasto con la chiamata alla santità degli sposati? […] La Chiesa statunitense ha visto piombare sui vescovi e sul clero la vergogna e la disgrazia della crisi della pedofilia, mostrando così che l’abuso criminale dei bambini da parte dei preti cattolici romani è ampio e diffuso almeno quanto quello di altre categorie non votate al celibato. Questa è la prova esplicita che il carisma del celibato […] per molti non è affatto quel segno, ma piuttosto una disciplina che li ha indotti all’esecrabile bisogno di nascondere la verità. Ciò ha procurato un danno incommensurabile alla causa di Cristo. I fedeli non hanno più fiducia nei loro preti celibi. […] Riprendere la tradizione del clero sposato potrebbe aiutare a ristabilire quella credibilità che è stata gravemente 24 danneggiata dallo scandalo della pedofilia. […] Dio Onnipotente nel giorno del giudizio, chiamerà il Pastore di Roma a rendere conto della Sua coscienza e di come ha pascolato il gregge. Quante persone vengono private del cibo eucaristico per il viaggio terreno a causa della presuntuosa legge del celibato? Questa norma è in contrasto con l’insegnamento più importante del Cristo: “Fate questo in memoria di me (L 22, 19)”. […] Riferendosi ad alcuni documenti, Lei ha affermato: “Non si potrà mai sperare che la Chiesa riammetta nell’esercizio ministeriale quei preti che sono venuti meno al celibato e hanno finito per sposarsi”. Gesù offrirebbe il perdono e direbbe: “chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra (Gv 8, 7)”. La sua risposta, invece da adito a delle eccezioni, perché sa bene che diversi preti divorziati sono stati riammessi al pieno esercizio del ministero anche se non hanno provveduto al mantenimento della moglie e dei figli. La più grande preoccupazione della Chiesa non è il celibato, ma il matrimonio e la donna. Essa denigra e opprime le donne. La riammissione dei preti divorziati costituisce un precedente. Ma è un precedente infelice, perché avviene solo in funzione dello strappo del matrimonio e della famiglia. Noi speriamo che lo Spirito Santo prevarrà e che i preti sposati, che resistono dignitosamente con le loro mogli, torneranno ad esercitare anche 25 nel Rito Latino. […] Il peccato non grava sui preti ma sul Papa e i Cardinali che hanno imposto il celibato obbligatorio a dei giovani inesperti. Il diritto dell’uomo al matrimonio è inalienabile e non può essere impedito neppure in nome del lavoro più idealizzato e nobile che ci sia. Il requisito del celibato è una forma di ricatto spirituale e di estorsione. Una richiesta disumana. La Chiesa ha sbagliato verso questi preti e ne ha tratto vantaggio per il bene dell’istituzione. Perché non ha firmato la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” promulgata dalle Nazioni Unite? Potrebbe essere anche perché l’imposizione del celibato nega i diritti dovuti ad uomo e ad ogni donna? […] Al Sinodo del 2005 c’è stata ampia discussione sul celibato e molti eminenti cardinali e vescovi sono intervenuti per sostenerlo… […]. C’è bisogno di nuovi riferimenti sul clero uxorato e non di vecchie citazioni circa il celibato perfetto. Fausto Marinetti, a nome di un gruppo di preti sposati, scrive “ai fratelli di fede” una lettera aperta che vuole essere la summa chiara delle motivazioni che hanno indotto un gruppo sempre crescente di sacerdoti a lasciare l’abito talare e sposarsi e l’evidente colpa della Chiesa che sembra non comprendere le esigenze dei suoi sacerdoti, sempre più chiusa in una torre d’avorio che la isola dal mondo e dalle nuove esigenze legate all’inarrestabile progresso tecnologi26 co e sociale. La lettera pone, altresì, delle domande alle quali la Chiesa deve rispondere perché rappresentano “il problema” che può, se non correttamente e saggiamente guidato, condurla alla rovina assieme all’umanità. “Il caso Milingo ci invita a considerare il celibato dei preti oltre la superficialità della cronaca mondana. I fatti del giorno, realtà di Dio, Signore della storia, ci sollecitano ad andare oltre i luoghi comuni per crescere in età e grazia. Proviamo a ricordarli: — Nonostante le asserzioni di principio, si continua a considerare la sessualità come intrinsecamente pericolosa, impura, cattiva, disdicevole per il funzionario del culto. Il piacere è considerato opera del diavolo, il femminile il più rovinoso concorrente di Dio. […] Non ci siamo liberati dal dualismo e dal manicheismo culturale, che vede la corporeità con gli occhiali neri. Eppure Dio continua a dire che “tutto è buono, che nulla è profano, impuro ai suoi occhi e a quelli di coloro che amano. Non è ciò che entra nel corpo, ma ciò che esce dal cuore che inquina l’uomo”. — Si usa ripetere che il celibato dei preti è libero. Quale libertà se la loro scelta è condizionata al celibato? Come può essere libero chi viene coltivato in un ambiente dove si fa di tutto per smaterializzarlo, sacralizzarlo, angelizzarlo, distruggendo la sua umanità? Il clima di ossessione (nega il tuo corpo, la donna è tentazione, le pulsioni 27 sono peccato), deterrenza (se vieni meno, sei un giuda traditore), terrorismo psicologico in cui cresce il candidato, non annulla la sua capacità di scelta? Eppure i seminari minori chiusi in occidente, scoppiano di aspiranti nel terzo mondo (nuova vittima della storia, che paga per i peccati del mondo e della Chiesa?) dove si continua ad applicare metodi che si sono rivelati inumani e fallimentari. Reclutare, fare proselitismo di ragazzini per indottrinarli è, secondo i dettami dei diritti umani delle Nazioni Unite, un crimine contro l’umanità. Purtroppo la Chiesa non ha sottoscritto questo documento, perché sarebbe tenuta a non discriminare le donne e a non fare incetta di minorenni. — Non è temerarietà indurre in tentazione dei giovani immaturi, i quali, fino a una certa età, sono trascinati dall’ideale della salvezza delle anime (quindi dimenticano i corpi!) e poi, quando si fa sentire l’esigenza naturale della paternità, sono costretti a fare i conti con il proprio essere complementare con quello dell’altro sesso? […] Quale manuale, quali strumenti vengono forniti per affrontare la parete celibataria da sesto grado? […] — Se il celibato, come si suol dire, fosse un dono speciale, non sarebbe ingiusto e capriccioso quel Dio che lo dà a chi vuole, facendo distinzione di persone, privilegiando alcuni a scapito di altri? 28 Se questo carisma fosse indispensabile per fare il presbitero, allora non sarebbe tenuto a darlo a tutti coloro che vi sono chiamati? — Non è abbastanza chiara la rivendicazione paolina al diritto degli apostoli di essere “accompagnati da una moglie” (1 Cor 9, 5 ss)? Perché non tornare alle origini, quando il presbitero era un anziano di provata virtù, designato dalla comunità, coltivato nel e dal popolo di Dio? La prassi apostolica non è una norma collaudata, più efficace della “legge canonica” valevole solo per i cattolici di rito latino? Perché ciò che vale per la Chiesa di rito orientale non è valido per quella di rito latino? E i pastori protestanti che si convertono al cattolicesimo non continuano ad esercitare il ministero con mogli e figli? I preti con famiglia delle chiese clandestine dell’est sono forse diventati dei maniaci sessuali? — Un terzo del clero abbandona. La perseveranza sta diventando eccezione, il lasciare, regola. Non è evidente che c’è più di qualcosa a monte, che non va? E l’umiliante vergogna (altro che pari dignità) delle donne schiave dell’amore di un prete? E lo scandaloso crimine delle migliaia di preti pedofili, senza calcolare gli alcolizzati, i gay, gli alienati, quelli in cura psichiatrica, ecc. non induce a riflettere se vale la pena mantenere una norma canonica, cioè umana, semplicemente disciplinare? Non è troppo alto il prezzo del celiba29 to? — […] Nel vocabolario di Cristo non esiste la parola scomunica. Nella sua legge il fratello è sempre fratello, il figlio, sempre figlio. L’amore non è più ampio e più forte del limite umano? La storia delle reciproche scomuniche, degli scismi, delle inquisizioni, dei roghi e dei Santi Offizi non ci ha insegnato nulla? La dichiarazione universale dei diritti umani non è ancora arrivata in sacrestia? […] Milingo, come tutti i figli di Adamo, compresi i prelati, non è esente da limiti, imprudenze, strumentalizzazioni. Ma il medico non dovrebbe cercare la medicina piuttosto che il castigo? Come mai il padre non scomunica il figlio prodigo, ma attende con ansia il giorno della festa? Chiesa di Dio, che ti dichiari esperta in umanità, non è ben più grave il peccato d’ingiustizia? Quando ti deciderai a condannare gli arricchiti a spese degli impoveriti? Quando denuncerai l’ingiustizia strutturale dei popoli bianchi e cristiani, che usano i popoli del sud come i nuovi schiavi di un’economia di guerra infinita e globale? Quando scenderai dal piedistallo della casta per seguire Cristo, che ha scelto per palcoscenico solo una stalla e il Calvario, pur di farsi fratello e sorella dei diseredati? Non ha preferito farsi condannare piuttosto che condannare chiunque? Perché non disertare, finalmente!, le corti dei grandi per abbracciare i crocifissi sen30 za strumentalizzare la loro croce? Come parlare di civiltà dell’amore se non pratichiamo la giustizia, non produciamo martiri per la salvezza dalla fame, dall’AIDS, dallo sfruttamento organizzato con le leggi del mercato? Alle vittime non interesserà tanto il caso Milingo. Ma non hanno diritto di sapere da che parte stai e non solo a parole?” (Roma 27 Settembre 2006) Richiamarsi ad epoche apostoliche, come fa la Chiesa Latina, per giustificare il celibato non è esplicativo né esaustivo, e mette in ambascia il fedele, semplice e umile, sopraffatto da cotanto abbondante sapere, che non serve per far comprendere ma per imporre dall’alto di una cattedra costruita su dogmi terreni, situazioni e norme spesso molto lontane dal Vangelo, testo ispirato e su cui si fonda il Cristianesimo. Molti apostoli, infatti, erano sposati e possibilmente lo era anche Paolo. È bene ricordare che Paolo affermò esplicitamente che “un vescovo deve avere una sola moglie” (1 Timoteo 3, 2; Tito 1, 6) e “i diaconi siano mariti di una sola moglie, sappiano governare bene i loro figli e la loro casa (1 Timoteo 3, 12). D’altra parte se venivi ordinato celibe, tale dovevi restare. San Tommaso sostiene che Gesù non separò Pietro dalla moglie (la suocera di Pietro fu guarita da Gesù: Matteo 8, 14; Marco 1, 29; Luca 4, 38) perché non desiderava sciogliere un vincolo sacro agli occhi di Dio. 31 Il pesante influsso gnostico (decisamente sessuofobico) e l’interferenza di una cultura semibarbarica nella quale la donna valeva molto poco condussero ad una visione in cui la castità rimpiazzò la carità come principale virtù evangelica. La religione diventò sempre più ascetica, casta, dolorosa e priva di gioia e il piacere sessuale venne identificato come il primo e più amaro frutto del peccato originale. La regola di proibire ai preti di sposarsi dopo l’ordinazione sacerdotale divenne presto generale. Pur dandogli ufficialità, il concilio di Nicea del 325 stabilì, comunque, che i preti già sposati avevano l’obbligo di tenere con sé la moglie, nonostante l’opposizione del vescovo di Roma che, ricordiamolo, solo agli inizi del VII secolo fu chiamato “papa” (capo di tutti i vescovi) e per di più dall’autorità politica, l’imperatore Foca, in contrasto con il vescovo Ciriaco di Costantinopoli, che lo aveva scomunicato per aver fatto assassinare il suo predecessore. Gregorio I, il vescovo di Roma del momento non accettò perché fedele alla tradizione episcopale del cristianesimo dell’epoca: “Ma voi non vi fate chiamare maestro; perché uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli. Non chiamate nessuno sulla Terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli. Non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra Guida, il Cristo…” (Matteo 23: 8 – 10). Fu il vescovo successivo ad accettare il titolo di papa con nome di Bonifacio III. Era stato 32 lo stesso Bonifacio nella sua doppia funzione di apocrisarius e di consigliere dell’imperatore a chiedere ed ottenere un decreto imperiale che determinava che “la sede di San Pietro l’Apostolo deve essere a capo di tutte le Chiese”, affermando così che il vescovo universale (papa) appartenesse esclusivamente al vescovo di Roma. 33 storicità dell’esistenza di gesù … il dio incarnato Quetzalcoatl nacque nel 300 a.C. da una vergine immacolata chiamata Chimalman e condusse una vita umile e compassionevole, si ritirò poi nel deserto dove digiunò per quaranta giorni, fu adorato come un dio e infine venne crocifisso tra due ladri e dopo essere stato seppellito discese all’inferno e il terzo giorno resuscitò. (Kersey Graves) Il Cristianesimo è una religione monoteista con forti legami alla religione ebraica, fondata nel secolo I sull’insegnamento attribuito a Gesù Cristo. Pur tra mille cambiamenti, ha attraversato la storia dell’umanità dall’Impero Romano ad oggi e, tra le tante contraddizioni, ha rappresentato e rappresenta per milioni di uomini un importante punto di riferimento. Gesù è il comune nome ebraico Yesu, pervenuto attraverso il greco dei vangeli Iesous e il latino Iesus. Il suo significato è “Dio è salvezza” (Mt 1, 21). 35 Viene indicato con diversi appellativi, quali Gesù di Nazareth, Gesù nazareno, Gesù Cristo (dal greco Christos che letteralmente significa “unto” e corrisponde al termine ebraico “messia” che dal I secolo indicava i capirivolta ebrei del Regno di Giuda). Gesù, parlando di sé, usava l’appellativo “figlio dell’uomo” poiché s’identificava con una profezia dell’antico testamento. I discepoli lo chiamavano “rabbi” (maestro), in quanto esperto d’esegesi sacra. Nei vangeli è chiamato anche “Figlio di Dio” e “Signore”, lo status riconosciutogli dalle comunità cristiane. Per la dottrina cristiana Gesù è il figlio di Dio fatto uomo, venuto sulla terra per redimere l’umanità. Ma Gesù, l’uomo, è realmente esistito, in altre parole è storicamente esistito, come sono esistiti personaggi suoi contemporanei come Ottaviano, Erode, …? La tesi dell’inesistenza storica, dovuta alla scarsa consistenza delle prove, porta gli studiosi sostenitori, a parlare di mito. Alle supposte prove dell’esistenza di Gesù, quindi, si dà la stessa valenza di quelle attestanti l’esistenza di personaggi come Mitra, Dioniso, Sol invictus. Sulla divinità indo–iranica Mitra, 3400 anni fa circa, l’ideologia/leggenda afferma: nacque dalla vergine Anahita; nacque in una grotta nella notte tra il 24 e il 25 dicembre; fu detto il salvatore, la luce, il verbo; ebbe 13 seguaci; morì a 33 anni; risorse dopo tre giorni. 36 D’altro canto gli Ebrei non riconoscono Gesù né come profeta né come Dio, mentre i musulmani lo considerano un profeta. Data l’enorme distanza temporale che ci separa dal periodo storico considerato, le prove dell’esistenza non sono, in ogni modo, del tutto certe. Si può solo tentare una soluzione al dilemma ricorrendo a scrupolose indagini filologiche e storiche. Filologia: il complesso delle indagini che mirano a riportare un testo alla sua forma originaria (liberandolo da errori e rimaneggiamenti), a interpretarlo, a precisarne (quando vi siano dubbi) l’autore, il periodo e l’ambiente culturale. (Dizionario Garzanti) Ciò detto, va ricordato che la maggior parte dei documenti portati a sostegno dell’esistenza di Gesù è “di parte” mentre sono molto pochi gli scritti non cristiani che ne portano traccia. Già non c’è accordo sul luogo e sulla data di nascita (Betlemme 7/4 a.C. ? – Gerusalemme 30/33). Dionigi il Piccolo, vissuto a Roma nel VII secolo, rifacendosi ai vangeli e alle tradizioni, stabilì che Gesù nacque nell’anno 754 dalla fondazione di Roma e introdusse l’uso di contare gli anni “ab incarnatione Domini nostri Jesu Christi” che, a partire dall’VIII secolo, fu adottato in tutto il mondo cristiano. Oggi, la maggioranza degli sto- 37 rici sostiene che il calcolo di Dionigi sia sbagliato e che Gesù sia nato tra il 7 il 4 a. C. I pochi testi d’autori non cristiani a noi pervenuti che parlano di Gesù, riguardano autori greci, romani ed ebrei e risalgono quasi per intero al II secolo. Non sono testi originali, ma copie che nel corso dei secoli hanno di fatto subito oltre a danneggiamenti dovuti a cattive riproduzioni, anche manipolazioni e rimaneggiamenti “ideologici”. Inoltre, autori coevi a Gesù nei loro scritti non lo menzionano né fanno riferimento a fatti collegati a lui o al Cristianesimo. Difficile intuirne le motivazioni che possibilmente furono legate sia allo scarso interesse che Gesù rivestiva per la Giudea, sia alla poca importanza data ad un profeta tra i molti di cui allora era ricca la Palestina e che per di più aveva predicato per pochi anni. Né gli scrittori Filone (ca. 20 a.C. – 50 d.C.), Seneca (ca. 50 a.C. – 40 d.C.) e Plutarco (ca. 45 – 125) citano Gesù. Il che fa pensare o che Gesù, sebbene sia esistito, sia stato una figura che in loro non ha suscitato interesse (al contrario, ricordano molte persone che hanno avuto una minore importanza storica), oppure che egli non sia affatto esistito. Plinio il Giovane (23 – 70), informato testimone delle vicende palestinesi dal 65 al 70, ignora completamente l’esistenza di Gesù. 38 Lo storico Giuseppe Flavio nel 93 d.C. pubblica l’opera “Antichità giudaiche” in cui si fa riferimento a Gesù, alla sua morte e resurrezione (Testimonium Flavianum). Le copie pervenute fino a noi non sono originali ma derivate da fonti cristiane, sulla cui autenticità si sono avute accese dispute sin dal secolo XVII. Giuseppe Flavio (ca. 37 – 103 d.C.), il cui nome originale era Joseph Ben Matthias (Giuseppe figlio di Mattia), è uno storico ebreo di lingua greca. Partecipò ad una delle tante rivolte giudaiche contro i Romani. Fatto prigioniero da Vespasiano, fu da questi successivamente liberato. Così, per riconoscenza, ne assunse il nome Flavius. Opere: Antichità giudaiche, Guerra giudaica, Autobiografia). Gli studiosi John Dominic Crossan e K.H. Rengstorff sostengono che il testo è incoerente sia con riferimento allo stile di scrittura di Giuseppe Flavio sia a fatti sicuramente a lui noti. Concludono, quindi, che una parte o la totalità dei passi sia stata falsificata e contenga interpolazioni cristiane. Agapio di Hierapolis in un suo manoscritto arabo, scoperto nel X secolo (la storia del suo ritrovamento è avvolta nel mistero) riporta il passo di “Giuseppe l’Ebreo”. Le indagini filologiche più recenti concordano nel dare scarsa importanza al testo arabo anche se 39 non del tutto falso. D’altronde, Agapio riporta quanto affermato da Giuseppe Flavio. Nella tabella sottostante sono riportati, perché il lettore possa compararli e fare le sue deduzioni, i testi di Giuseppe Flavio, quello sgrossato dalle interpolazioni cristiane, quello d’Agapio di Hierapolis e quello conservato presso l’Università di Gerusalemme (prof. Shomo Pines): Giuseppe Flavio: “Ci fu verso questo tempo Gesù uomo saggio, se pur bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei Greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli, infatti, apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e altre migliaia di meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati cristiani.” J.D.Crossan – K.H. Rengstorff: “Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio; era infatti autore di opere straordinarie (o nuove), maestro di uomini che accolgono con piacere la verità (o le nuove dottrine), ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti Greci. Quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Ancora oggi non è venuta meno la tribù di quel- 40 li che, da Costui, sono stati chiamati cristiani.” Agapio di Hierapolis: “Similmente dice Giuseppe l’Ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso (o dotto), e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono alla sua dottrina e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente, il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie”. Prof. Shlomo Pines, testo conservato presso l’Università di Gerusalemme: “A quell’epoca viveva un saggio di nome Gesù. La sua condotta era buona ed era stimato per la sua virtù. Numerosi furono quelli che, tra i Giudei e le altre Nazioni, divennero suoi discepoli. Pilato lo condannò ad essere crocifisso ed a morire. Ma coloro che erano suoi discepoli non smisero di seguire il suo insegnamento. Essi raccontarono che era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione e che era vivo. Forse era il Messia di cui i profeti hanno raccontato tante meraviglie.” Alcuni studiosi sostengono che il teologo olandese Gerhard Johann Vossius, vissuto nel XVII secolo, era in possesso di un manoscritto delle “Antichità giudaiche” in cui non si trovava traccia del riferimento a Gesù. L’esistenza del manoscritto, che oggi 41 si dovrebbe trovare in un museo dell’Aia, proverebbe la manomissione cristiana del documento. Ma di un tale manoscritto non c’è traccia, né abbiamo un qualche scritto dello stesso Vossius in cui sostiene di possedere una copia delle Antichità senza il “testimonium”. Nemmeno i primi Padri della Chiesa (Giustino, Tertulliano, Cipriano), che avrebbero potuto usarlo nella lotta contro gli Ebrei, fanno riferimento al “Testimonium Flavianum” e il teologo Origene, vissuto tra il 185 e 253, afferma, quasi a volerne rilevare l’inattendibilità, che Flavio non era cristiano. Così stando le cose, l’unico riferimento storico certo su Gesù, esterno al Cristianesimo, si trova nel libro XIV degli Annali di Tacito (55 – 117). Ma è solo un breve accenno, che riporta voci che circolavano nel II secolo circa la responsabilità dei cristiani nell’incendio di Roma: “Sed non ope humana, non largitionibus principis aut deum placamentis decedebat infamia quin iussum incendium crederetur. Ergo abolendo rumori Nero subdidit reos et quaesitissimis poenis adfecit, quos per flagitia invisos vulgus Christianos appellabat. Auctor nominis eius Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat (Allora per zittire ogni diceria, Nerone addossò la colpa di tutto ai Cristiani… I Cristiani prendevano il nome da Cristo che era stato crocifisso per opera del procuratore Ponzio Pilato, sotto l’impero di Tiberio)”. 42 Svetonio (70 – 126) nella “Vita di Claudio” (De Caesarum) scrive: “Claudio espulse i Giudei da Roma, visto che sotto l’impulso di un certo Christus non cessarono di agitarsi (Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantis Roma expulit)”. Infine, Plinio il Giovane (61 – 113), che era stato inviato dall’imperatore Traiano nella provincia di Bitinia e Ponto per reprimere le eterie (associazioni segrete che turbavano l’ordine pubblico), scrive una lettera allo stesso con la quale chiede consiglio sul modo più idoneo di procedere contro le persone che siano accusate d’essere cristiane (“…o mio signore… non ho mai preso parte ad istruttorie a carico dei cristiani…”) (Epistularum, x, 96). È in ogni modo certo che Gesù era ebreo e che era chiamato rabbi, come si legge nel Vangelo di Giovanni: “Nel gruppo dei farisei c’era un tale che si chiamava Niccodemo. Era uno dei capi ebrei. Egli venne a cercare Gesù, di notte, e gli disse: – Rabbi, sappiamo che sei un maestro… (Gv 3, 1 – 21)”. Il biblista Mauro Pesce (“Inchiesta su Gesù” di Augias – Pesce) afferma: “I testi evangelici, letti con attenzione e senza preconcetti, dimostrano quanto profondamente Gesù sentisse la propria ebraicità […]. Molte sue idee e parole, molte sue azioni si comprendono solo se le si vede come manifestazione del suo ebraismo”. Nell’ebraismo non è mai esistito dovere alcuno di celibato. Così, un rabbi del tempo di Gesù molto di 43 rado rimaneva celibe, poiché il suo atto sarebbe stato visto come un’inosservanza del primo mitzvah : “sii fruttuoso e moltiplicati”. Mitzvah: è un comandamento o precetto divino. In tutto sono 613 e sono parte fondamentale della Thorah, i primi cinque libri della “Bibbia ebraica”. Con ciò non si vuole affermare che Gesù è stato sposato, ma solo indicare l’usanza ebraica per cui gli ebrei maschi, specie se rabbi, dovevano costituire una famiglia allietata da numerosa prole. Benché il cristianesimo derivi dall’ebraismo, questo non considera Gesù il Messia né gli riconosce caratteristiche divine. Ritiene, inoltre, che il Messia del vecchio testamento non sia ancora disceso sulla Terra. Lo studioso Leo Baeck in un suo saggio del 1938 (Il vangelo: un documento ebraico) cerca di dimostrare, servendosi di un’approfondita analisi filologica, che i vangeli, liberati da aggiunte paoline spiccatamente antigiudaiche, ci danno un messaggio profondamente ebraico di Gesù. D’altro canto nelle fonti ebraiche antiche non si trovano riferimenti a Gesù. 44 il celibato nella storia della chiesa La Riforma non fu un tentativo di riformulare la fede cristiana per una nuova era. Fu piuttosto una battaglia su questioni che riguardavano gli ordini della Chiesa. Non era arrivato il tempo in cui ai cristiani si sarebbe reso necessario ripensare ai segni fondamentali e distintivi del cristianesimo stesso. Sono convinto che il mondo cristiano di oggi stia affrontando questo momento. Il cuore e l’anima stessa del cristianesimo saranno il contenuto di questa riforma. Il dibattito che è stato costruito per secoli è ora emerso alla visione pubblica. Tutti i passati sforzi ecclesiastici per tenerlo a bada e negarne l’esistenza hanno certamente fallito, e continueranno a farlo. La necessità di una nuova riforma teologica parte da quando Copernico e Galileo spostarono questo pianeta dalla sua precedente, presunta collocazione al centro dell’universo, dove si credeva che la vita umana si scaldasse sotto l’attenzione costante di una divinità definita paterna. (John S. Spong) 45 La dottrina cattolica, così come oggi la conosciamo, si è formata nell’ampio spazio di venti secoli. Dottrina: l’insieme delle regole e delle teorie su cui si fonda una religione. Numerose contraddizioni e aspre contese, che derivarono da modi diversi d’intendere la “parola” di Gesù, agitarono i primi secoli di storia del Cristianesimo che dovette combattere numerose eresie e subire scissioni, l’ultima delle quali, per consistenza numerica dei fedeli e importanza politica, possiamo indicarla nella formazione della Chiesa anglicana. La dottrina, quindi, fu elaborata attraverso vari concili ecumenici o locali (diocesani, provinciali, nazionali) e dalle opere dei tanti “padri” e “dottori” della chiesa che sono tuttora punto di riferimento d’ogni argomentazione teologica e giustificativa. Concilio: assemblea di vescovi della chiesa cattolica per deliberare su materie dottrinali, disciplinari o di costume. Il concilio è ecumenico se riunisce tutti o la maggior parte dei vescovi. Sono considerati ecumenici solo quelli ratificati dal Papa anche se non dallo stesso convocati. Il primo concilio ecumenico fu convocato da Costantino il Grande a Nicea nel 325, l’ultimo da Giovanni XXIII a Roma l’11 Ottobre 1962. Concili ecumenici riconosciuti dalla Chiesa cattolica: 46 ——Concilio di Nicea I (325) ——Concilio di Costantinopoli I (381) ——Concilio d’Efeso (431) ——Concilio di Calcedonia (451) ——Concilio di Costantinopoli II (553) ——Concilio di Costantinopoli III (680 – 681) ——Concilio di Nicea II (787) ——Concilio di Costantinopoli IV (869 – 870) ——Concilio Lateranense I (1123) ——Concilio Lateranense II (1139) ——Concilio Lateranense III (1179) ——Concilio Lateranense IV (1215) ——Concilio di Lione I (1245) ——Concilio di Lione II (1274) ——Concilio di Vienne (1311 – 1312) ——Concilio di Costanza (1414 – 1418) ——Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze (1431– 1445) ——Concilio Lateranense V (1512 – 1517) ——Concilio di Trento (1545 – 1563) ——Concilio Vaticano I (1870) ——Concilio Vaticano II (1962 – 1965) È evidente, insomma, che non tutti i principi dottrinali sono stati indicati da Gesù, come, per esempio, l’infallibilità del papa, il dogma dell’immacolata o dell’Assunzione o il celibato sacerdotale. Quest’ultimo è divenuto nel corso dei secoli una regola tanto “rigida” da essere inserito nel diritto canonico. Gesù, stando al suo insegnamento, come emerge dai vangeli, libera gli uomini dal concetto d’impuri47 tà legata alla sfera sessuale. “Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l’uomo (Matteo 15: 19)”. I primi cristiani vissero seguendo questo insegnamento e gli apostoli esercitavano il loro ministero continuando a vivere con le loro mogli come ci dice Paolo nella prima lettera ai Corinzi: “Non abbiamo anche noi il diritto di portare con noi una moglie credente come l’hanno gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Pietro?” E nella prima lettera a Timoteo afferma: “Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola moglie […]”. Chi dirige bene una famiglia può dirigere bene una chiesa. Le “Costituzioni apostoliche, terzo/quarto secolo, contengono la regola per cui gli uomini sposati, al momento della loro ordinazione, hanno l’obbligo di tenere con loro la moglie (Canones Apostolorum, can.6: “Episcopus aut presbyter uxorem suam non abjiciat”. – “Episcopus aut presbyter uxorem propriam nequaquam sub obtentu religionis abjiciat. Si vero rejecerit excommunicetur; sed si perseveraverit, dejiciatur”). Costituzione Apostolica Costituzione Apostolica (in latino Constitutio Apostolica) è l’appellativo che viene dato per 48 alcuni documenti papali particolarmente importanti e solenni, riguardanti un insegnamento definitivo o disposizioni molto importanti. A causa della gravità di queste epistole sono emesse come “bolle pontificie”. Per loro natura le Costituzioni sono dirette a tutti i fedeli. Esse sono di carattere generico. Quando si vuole esprimere qualcosa di più esplicito, si usano le espressioni: ——costituzione dogmatica ——costituzione pastorale (da Wikipedia, l’enciclopedia libera) I ministri della Chiesa, dunque, nei primi due secoli sono uomini sposati. Solo nei primi anni del secolo successivo alcuni di essi scelgono di condurre una vita di continenza. Origene (185 – 254) nel “Commento a San Matteo”, pur sostenendo che “gli sposi che fanno uso della loro sessualità sono impuri, poiché sono in certo qual modo insozzati e immondi coloro che usano dei piaceri dell’amore”, non propone nessuna legge celibataria. Afferma solo che il sacerdote che assiste ai divini altari deve essere unto di castità (Ante omnia sacerdos, qui divinis assistit altaribus, castitate debet accingi). Ciò per un’esigenza di purezza rituale. “Si tratta di una concezione dell’Antico Testamento, secondo cui l’atto liturgico doveva richiedere una purezza da parte del celebrante, e quindi si chiedeva al clero ammogliato di astenersi dai rapporti sessuali. Dal 49 momento in cui la liturgia della messa diventa più frequente, è evidente che c’è necessità di astenersi dai rapporti sessuali quotidianamente e, allora, pian piano, si chiede al clero, prima di dividere il letto, poi la casa, poi di mandare via la moglie. Con conseguenze drammatiche… Perché mandare via la moglie significava, prima liberarla dal vincolo matrimoniale e quindi lasciarla in una condizione di abbandono e di inferiorità grave” (Adriana Valerio teologa, ricercatrice di Storia del Cristianesimo all’Università di Napoli). Lo stesso Tertulliano (160 – 220 ca.) non indica alcuna legge in proposito. Anche se considera il matrimonio “species stupri” e la donna “porta inferi”, afferma che la castità è la condizione indispensabile per una vita cristiana. La condizione del clero uxorato fu costume normale per alcuni decenni ancora. Poi intervennero autorevoli uomini della Chiesa, padri e dottori, a “indicare” la strada della continenza: S. Efrem affermava che la castità fa sì che l’uomo diventi angelo (“effecit angelum de homine”); S. Basilio va oltre, sostenendo che la castità rende l’uomo simile a Dio (“pudicitia hominem Deo simillimum facit”); S. Ambrogio scriveva che colui che avrà conservato la castità è un angelo (“qui castitatem servaverit angelus est; qui perdidit diabolus”), che mentre gli angeli sono puri per natura, i casti sono puri per vitù (“huius virtutis merito homines angelis aequantur”); 50 S. Bernardo dichiarava che l’uomo casto differisce dall’angelo solo nella felicità non già nella virtù (“differunt quidam inter se homo pudicus et angelus, sed felicitate, non virtute”). Nonostante ciò, nel primo millennio non fu avanzata alcuna richiesta per formalizzare il celibato, cioè renderlo regola. Anche se, come afferma Odifreddi (P. G. Odifreddi “Perché non possiamo essere cristiani”, ed. Longanesi, pag 195), “fin dagli inizi, per motivi di purità rituale, venne interdetto ai celebrandi il rapporto sessuale nella notte precedente la celebrazione, facendo tradizionalmente riferimento a due versetti del Levitico (Levitico, XV, 16 – 18; 22, 4): “La donna e l’uomo che abbiano avuto un rapporto con emissione seminale saranno immondi fino a sera” e “nessun uomo della stirpe di Aronne che abbia avuto un’emissione seminale potrà mangiare le cose sante finché non sia mondo”. Levitico. Il Levitico è il terzo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana. Essendo parte del Pentateuco (i primi cinque libri del Tanakh: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio), si ritrova nell’Antico Testamento secondo tutte le confessioni religiose che ad esso si richiamano. Secondo l’opinione tradizionale ebraica e poi cristiana il libro del Levitico sarebbe stato scritto da Mosé in persona. La maggior parte degli esegeti moderni ritiene che tutto il Pentateuco sia in real- 51 tà una raccolta tarda di scritti di epoche diverse. Il libro è incentrato sulle leggi e le norme culturali– ritualistiche relative ai sacrifici, al sacerdozio, alla consacrazione dell’altare e alle feste. Questo ne fa una delle fonti principali per il diritto ebraico. In seguito furono stabilite alcune norme di castità sessuale, ma, continua Odifreddi, “non per questo i preti cessarono di essere mariti, amanti e padri. Ad esempio, tra i papi del primo millennio, una dozzina erano figli di sacerdoti e quattro addirittura di papi: Innocenzo I (401 – 417), Silverio (536 – 537), Anastasio III (911 – 913) e Giovanni XI (931 – 935) rispettivamente figli di Anastasio I (399 – 401), Ormisda (514 – 523) e Sergio III (904 – 911). Le abitudini erano tanto diffuse che, quando papa Gregorio VII, emanò un primo decreto di celibato nel 1074, il clero europeo si ribellò violentemente, soprattutto in Germania, Francia e Spagna. I decreti successivi, fino al Concilio di Trento, ebbero poca fortuna. Occorse, così, aspettare il Concilio Vaticano II perché “la motivazione di purità sessuale, ispirata al motto di Gerolamo omnis coitus immundus “fosse” sostituita con un richiamo al motto di Gesù: “Lasciate le mogli per il regno di Dio” (Luca XVIII, 29 – 30). Fino a tutto il Cinquecento i papi continuarono tranquillamente ad avere figli: Alessandro VI (1492 – 1503), Paolo III (1534 – 1549), Giuliano II (1503 – 52 1513), Pio IV (1559 – 1565) e Gregorio XIII (1572 – 1585). (Odifreddi…) I ministri della Chiesa, dunque, nei primi due secoli sono uomini sposati. Solo nei primi anni del secolo successivo alcuni di essi scelgono di condurre una vita di continenza. Cercheremo di capire come e quando il celibato diventa regola, attraverso le delibere dei vari concili, gli interventi papali (encicliche e altro) e il pensiero dei padri e dei dottori della Chiesa. Il maggior numero possibile d’informazioni, trascrivendo fedelmente i brani concernenti l’argomento trattato, sarà fornito al lettore quali strumento per comprendere la “questio” e per promuovere, se lo riterrà opportuno, un ulteriore approfondimento. concili Il Concilio di Elvira (località presso Granada in Spagna, 300 – 313) riunì solo i vescovi e i presbiteriani spagnoli. Contiene la prima legge sul celibato, il cui canone 33 così recita: “Si è d’accordo sul divieto completo che vale per i vescovi, i sacerdoti e i diaconi, ossia per tutti i chierici (N.d.A.: qualsiasi membro del clero secolare o regolare) che sono impegnati nel servizio dell’altare, che devono astenersi dalle loro mogli e non generare figli; chi ha fatto questo deve essere escluso dallo stato clericale”. Il precedente canone 27 proibiva agli stessi di abitare 53 assieme a donne che non erano la sorella o la figlia consacrata vergine. Il Concilio di Nicea, convocato e presieduto dall’imperatore Costantino I nel 325, stabilì: “Questo grande sinodo proibisce assolutamente ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi e in genere a qualsiasi membro del clero di tenere delle donne di nascosto, a meno che non si tratti della propria madre, di una sorella, di una zia, o di persone che siano al di sopra di ogni sospetto (canone 3)”. I canoni 27 e 33 del Concilio di Elvira non vennero confermati, come nel successivo sinodo di Gangra (340 – 341). Per la Chiesa cattolica, “l’Ordine Sacro è il sacramento che dà la potestà di esercitare i sacri ministeri che riguardano il culto di Dio e la salute delle anime, e che imprime nell’anima di chi lo riceve il carattere di ministro di Dio” (Catechismo Maggiore di San Pio X, 1905). I diversi gradi dell’ordine erano divisi in due categorie: gli ordini maggiori (presbiterato, diaconato e suddiaconato) e gli ordini minori (accolitato, esorcistato, lettorato, ostiariato) non considerati sacramenti. Paolo VI, con la lettera apostolica in forma di motu proprio “Ministeria Quaendam”, riforma la disciplina dell’ordine sacro. Sono soppressi il suddiaconato e gli ordini minori che sono sostituiti dai Ministeri di Lettore e d’Accolito. Gli ordini maggiori rappresentano tre gradi (episcopato, presbiterato, diaconato) dell’unico sacramento dell’Ordine. 54 Il Concilio di Roma (386), il secondo Concilio di Cartagine (390) e il Sinodo Romano (402) giustificarono la scelta del celibato e decretarono il divieto del matrimonio per il clero. In particolare il concilio di Cartagine approvò una dichiarazione vincolante, che oggi fa parte del Codice dei canoni della Chiesa Africana, formalizzata nel concilio di Cartagine dell’anno 419 nella rubrica “Che la castità dei Leviti e sacerdoti deve essere custodita”, la quale così afferma: “Siccome nel concilio precedente è stato trattato della continenza e della castità, i tre gradi i quali per motivo dell’ordinazione sono legati ad un certo obbligo di castità – vale a dire il Vescovo, il sacerdote e il diacono – devono essere più completamente istruiti sulla conservazione della castità… conviene che… tutti coloro che servono ai diversi sacramenti, siano continenti in tutto (continentes esse in omnibus) affinché ciò che hanno insegnato gli apostoli e mantenuto l’antichità, lo osserviamo anche noi”. Il Concilio di Telepte (Africa – Febbraio 418) trattò della continenza degli ecclesiastici (can. 9). Il concilio fece propria la lettera di Siricio “Epistola tractoria” nella quale erano comunicati gli atti del concilio di Roma del 6 Gennaio 386, convocato dallo stesso Siricio, nei quali si affermava che anche le tradizioni orali sono vincolanti e s’invitavano tutti i vescovi ad osservare le nove disposizioni. In particolare la nona vietava ai sacerdoti e ai leviti, occupa55 ti giornalmente nell’esercizio del ministero, d’avere rapporti sessuali con le loro spose. La lettera si chiude con l’invito ad ubbidire alle citate disposizioni sostenute dalla tradizione. Il Concilio di Toledo (539, locale) prescrisse ai vescovi di vendere le donne sospettate di usare commercio sessuale con i preti. Il Concilio di Tours (567, locale) stabilì che gli ecclesiastici che giacevano con la propria moglie sarebbero stati ridotti allo stato laicale. Nel canone 20 troviamo per la prima volta il termine diaconessa, per indicare senz’altro la moglie del diacono e condannare le unioni dei rappresentanti del clero che non osservavano la continenza (Rosanna Barcellona e Teresa Sardella “Munera Amicitiae”, pag. 41). Il Concilio Trullano (Trullo 692), convocato dall’imperatore Giustiniano II, determinò in modo vincolante la disciplina sul celibato che fu fissata in sette canoni, quattro dei quali (3, 6, 12, 13) sono di seguito riportati. Can. 3: Coloro che dopo il battesimo abbiano contratto un secondo matrimonio o vissuto in concubinato, sposato una vedova, una divorziata, una prostituta o un’attrice, non possono essere ordinati né vescovi, né sacerdoti, né diaconi. Can. 6: I sacerdoti e i diaconi, dopo l’ordinazione, non possono sposarsi. 56 Can 12: I vescovi, dopo l’ordinazione, non possono coabitare con la loro moglie e devono astenersi dal matrimonio. Can. 13: I sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi possono convivere con le loro mogli e usare il matrimonio tranne quando prestano il servizio all’altare e celebrano i sacri misteri, poiché nell’occasione devono essere continenti. Nel can. 13 si legge ancora: “ se un sacerdote o un diacono caccia la moglie con il pretesto della pietà sia scomunicato, e se persiste che sia destituito”. Il Concilio Trullano è un concilio della Chiesa Bizantina, convocato e frequentato dai suoi vescovi e sostenuto dall’autorità dell’Imperatore. Roma non inviò rappresentanti né riconobbe il concilio come ecumenico. Le disposizioni approvate sul celibato sacerdotale differiscono in modo sostanziale, da quelle praticate a Roma per quanto riguarda i gradi di ordine sacro al di sotto del vescovo, che possono sposarsi purché si astengano dall’uso del matrimonio durante il tempo del servizio effettivo all’altare, limitato in Oriente alla domenica o altro giorno della settimana. Alle comunità orientali che si riunirono con Roma fu concesso di continuare la loro tradizione celibataria differente. Il Concilio di Nicea (787; convocato dall’imperatrice Irene) stabilì: “Ora per le donne, vivere nella casa di un vescovo o in un convento è motivo di grave of57 fesa. Perciò chiunque si sappia possedere una schiava femmina o una donna libera nel palazzo episcopale o in un monastero per qualche servizio, sia esso biasimato. E se continua a trattenerla, sia deposto. Se accade che delle donne lavorino in campagna, e se un vescovo o un egumeno (N.d.A.: capo delle comunità monastiche) desiderano andare là, così che il vescovo o l’egumeno vi rimangano per lungo tempo, le donne non continuino il loro lavoro, ma si mandino in un altro luogo fino alla partenza del vescovo, in modo che non ci siano occasioni di lamento”. (canone XVIII)”. Il Concilio d’Aix la Chapelle dell’836 ammise apertamente che nei conventi avvengono aborti per nascondere le gravidanze. Il vescovo e santo Ulrico scrisse, traendo argomenti dalle sacre scritture, che è più conveniente che i preti si sposino e fu, quindi, accusato con una lettera anonima di non aver sostenuto il celibato sacerdotale. I Concili di Trosly (909), Ausburg (952), Ause (994) e Poitiers (1000) si occuparono delle passioni sfrenate del clero. Accusarono di ciò le concubine e fu ordinato che queste donne fossero arrestate, frustate e tosate. Non dimentichiamo che siamo alla vigilia dell’anno 1000, quando è diffusa l’idea della fine del mondo. Il Concilio di Pavia del 1022, presieduto da Benedetto VIII e dall’imperatore Enrico II di Germania, così si esprime: “Tutte le figlie e i figli dei chierici 58 che siano nati da donna libera o schiava, da legittima consorte o concubina… saranno schiavi della Chiesa per l’eternità”. Inoltre, l’arcivescovo di Milano Ariberto sottoscrisse i provvedimenti contro i chierici sposati e i concubinari non solo per motivi religiosi, ma per evitare che il patrimonio della Chiesa, poiché i figli ereditavano i benefici ecclesiastici, si depauperasse. Si stabilì, infine, che gli ecclesiastici non potevano sposarsi. Fu però Gregorio VII, con il decreto sul celibato del 1074 a proibire ai preti sposati di celebrare le funzioni ecclesiastiche e definì concubine le loro legittime mogli. Il Concilio Lateranense I (convocato dal papa Callisto II nel 1122, si tenne a Roma dal 18/03/1123 all’11/04/1123) affermò: “Proibiamo nel modo più assoluto ai sacerdoti, diaconi, suddiaconi di vivere con le concubine o le mogli e di coabitare con donne diverse da quelle con cui il concilio di Nicea ha permesso di vivere soltanto per ragioni di necessità, cioè: la madre, la sorella, la zia paterna o materna, o altre simili, sulle quali onestamente non possa sorgere alcun sospetto (can. 3)”. Il canone 21 fece assoluto divieto ai ministri ordinati e ai monaci di sposarsi; stabilì, inoltre, nulli “pleno jure” i matrimoni di ordinati cui si fece obbligo di confessarli come peccato. Il Concilio Lateranense II (Roma 1139; Innocenzo II) approvò una disposizione secondo la quale i 59 matrimoni contratti dai chierici maggiori, come pure quelli dei consacrati attraverso voti di vita religiosa, non fossero considerati solo illeciti ma anche invalidi. Con ciò Innocenzo II determinò che il celibato ecclesiastico fosse condizione per accedere al ministero ordinato e mezzo per osservare la “lex continentiae” (largamente e pubblicamente disattesa in quelle epoche. Basti dire che ci sono stati sette papi sposati, di cui cinque con figli; tredici papi figli di papi o di preti, come rileva una statistica pubblicata dalla rivista “sulla Strada” – M. Fumagalli, Le donne dei preti nella chiesa cattolica). Il canone sette, inoltre, richiamava in vigore un decreto di Gregorio VII di proibire ai laici di assistere alla messa dei preti concubinari. Il Concilio Lateranense III (Roma 1179; Alessandro III) condannò l’incontinenza del clero ed estese la legge dell’invalidità del matrimonio ai suddiaconi. Il Concilio Lateranense IV (Roma 1215; Innocenzo III) proibì ai chierici (canone 14) il concubinato e fu ribadito l’obbligo del celibato: “Perché i costumi e il comportamento del clero siano riformati in meglio, tutti cerchino di vivere una vita pura e casta, specialmente quelli che hanno ricevuto gli ordini sacri: si guardino, quindi, da ogni vizio d’impurità, specie da quello per cui “l’ira di Dio scese dal cielo sui figli della ribellione (Ef. 5, 6)”, affinché possano servire Dio onnipotente con cuore puro 60 e corpo casto. E perché un facile perdono non sia incentivo alla trasgressione, stabiliamo che chi sia preso in flagrante delitto d’incontinenza sia punito secondo le sanzioni canoniche, in proporzione al suo peccato…”. Il Concilio di Lione II (1274; Gregorio X) condannò il concubinaggio e stabilì “l’obbligo del celibato per tutti i sacerdoti. Il canone 16 dichiarava: “Mettendo fine ad un’antica questione, dichiariamo pubblicamente che quelli che si sono risposati restino privi di qualsiasi privilegio proprio dei chierici, e soggetti alla norme repressive del foro secolare, nonostante qualsiasi contraria consuetudine. A questi proibiamo, inoltre, sotto pena di scomunica, di portare la tonsura o l’abito clericale”. I Concili di Basilea, Ferrara, Firenze, Roma (si svolsero nello spazio di tempo che va dal 23/07/1431 al 07/05/1437; convocato da Martino V, fu portato avanti da Eugenio IV), nella sessione XX così si decretò: “[…] Qualsiasi chierico […] fosse pure il vescovo di Roma (il papa), dopo essere venuto a conoscenza di questa costituzione, fosse un concubinario, sia ipso facto sospeso per tre mesi dal percepire i frutti di tutti i suoi benefici […]. Naturalmente, il superiore è tenuto ad ammonire questo pubblico concubinario perché allontani entro brevissimo tempo la concubina. Se egli non l’allontanasse, o si riprendesse quella che ha mandato 61 via o altra, questo santo sinodo ordina che lo si privi senz’altro di tutti i suoi benefici”. […] I prelati si preoccupino… di allontanare dai loro sudditi, anche con l’aiuto del braccio secolare, queste concubine; e non permettano che i figli nati dal loro concubinato vivano presso il padre. […] E siccome ogni peccato di fornicazione è proibito dalla legge divina… per l’osservanza di questo divino precetto, quelli che ne hanno il dovere si diano da fare in ogni modo, sia con ammonizioni salutari (?) che con gli altri rimedi canonici”. Il papa regnante Eugenio IV (1431 – 1447; al secolo Gabriele Condulmer), convocò, in risposta a Basilea, un proprio concilio a Firenze che stabilì che “Basilea era un covo di mendicanti […] apostati, ribelli, blasfemi, uomini colpevoli di sacrilegio e che, senza eccezione, meritavano di essere cacciati indietro nell’inferno al quale appartenevano”. Il Concilio Lateranense V (Roma 1512 – 1517; Giulio II) si occupò, non del celibato, ma di “quell’orrendo crimine, per colpa del quale le città corrotte e oscene (N.d.A.: Sodoma e Gomorra) vennero bruciate dalla divina condanna […]”. Così il concilio stabilisce per decreto che qualunque membro del clero, che sia stato sorpreso in quel vizio contro natura per via del quale l’ira divina cadde sui figli dell’empietà, venga allontanato dall’ordine clericale, oppure venga costretto a far penitenza in un monastero (http:// www.oliari.com/chiesa/lepanto.html). 62 Il Concilio di Trento (12/12/1545 – 04/12/1563; convocato da Paolo III, fu presieduto da ben tre papi: Paolo III, Giulio III e Pio IV) dedicò alcune sessioni ai desideri della carne e alla continenza dei ministri della Chiesa. È giusto sapere che, nonostante concili e decreti, in Germania i sacerdoti continuavano a sposarsi o a convivere, come si evince da quanto dichiarato nel 1542 dall’arcivescovo Alberto di Brandeburgo al nunzio pontificio Morone: “Io so che tutti i miei preti vivono in concubinato. Ma che posso farci?”. Sessione II: “Il sacrosanto concilio tridentino […] ha stabilito che debbano esortarsi, ed esorta di fatto, tutti i fedeli cristiani raccolti nella città di Trento, perché vogliano correggersi del male e dei peccati finora commessi, e, nel futuro, camminare nel timore del Signore, e non seguire i desideri della carne […]”. Sessione XXIV (canone 10): “Se qualcuno dirà che lo stato coniugale è da preferirsi alla verginità o al celibato e che non è cosa migliore e più beata rimanere nella verginità e nel celibato, che unirsi in matrimonio, sia anatema”. Sessione XXV (capitolo I): “(tutti i religiosi) in modo particolare osservino fedelmente quello che riguarda la perfezione della loro professione, come i voti e i precetti di obbedienza, povertà e castità […]”. 63 (Capitolo XIV): “Quanto sia turpe ed indegno del nome dei chierici, che si sono consacrati al culto di Dio, vivere nell’abiezione dell’impurità e nell’immondo concubinato, lo dimostra a sufficienza la cosa stessa, in sé, per il comune disagio di tutti i fedeli e il grande disonore della milizia clericale. Perché, dunque, i ministri della Chiesa siano richiamati a quell’incontinenza e integrità di vita, che si deve e perché, di conseguenza, il popolo impari a riverirli tanto maggiormente, quanto più si accorgerà che essi conducono una vita onesta, il santo sinodo proibisce a qualsiasi chierico di tenere, in casa o fuori, concubine o altre donne su cui possano cadere sospetti o di avere con esse qualche relazione. Altrimenti siano puniti con le pene stabilite dai sacri canoni […] Se ammoniti dai superiori non si astenessero da esse, siano privati […]. Se poi, perseverando nella colpa con la stessa o altra donna, non ascoltassero neppure la seconda ammonizione, non solo perderanno […] ma saranno anche sospesi dall’amministrazione degli stessi benefici […]. Se, finalmente, così sospesi, non le rimandassero o anche avessero qualche relazione con esse, allora siano privati per sempre di ogni beneficio […] e siano resi inabili per l’avvenire e considerati indegni di qualsiasi onore […]. Se poi avvenisse che, dopo averle rimandate, osassero riprendere la relazione interrotta o anche riprendere con se altre simili donne scandalose, oltre alle pene già dette, siano colpiti con la sco64 munica, e non vi sarà appello o esenzione che possa impedirlo […]. Qualora anche i vescovi […] non si astenessero da tale delitto e, ammoniti dal sinodo provinciale, non si correggessero, siano ipso facto sospesi; e, se continuassero, siano anche deferiti al Romano Pontefice, che li punirà secondo la qualità della colpa, e, se necessario, anche con la privazione”. Il Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962 – 7 dicembre 1965; convocato da Giovanni XXIII, fu presieduto anche da Paolo VI fino alla conclusione) affrontò con grande rigidità l’argomento e nella “Presbyterorum Ordinis” si legge: “[…] il celibato che prima veniva raccomandato ai sacerdoti, in seguito è stato imposto per legge nella Chiesa Latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli ordini sacri. Questo sacro Sinodo torna ad approvare e confermare tale legislazione per quanto riguarda coloro che sono destinati al presbiterato, avendo piena certezza nello Spirito che il dono del celibato, così confacente al sacerdozio della Nuova Legge, viene concesso in grande misura dal Padre a condizione che tutti coloro che partecipano del sacerdozio di Cristo con il sacramento dell’Ordine, anzi la Chiesa intera, lo richiedano con umiltà e insistenza. Il sacro Sinodo esorta inoltre tutti i presbiteri, i quali hanno liberamente abbracciato il sacro celibato seguendo l’esempio di Cristo […] ad aderirvi generosamente e cordialmen- 65 te e a perseverare fedelmente in questo stato […]”. pontefici Siricio (384 – 399) fu il primo Papa ad emanare dei decreti sul celibato. Nella lettera “Directa ad decessorem” del 10/01/385 al vescovo Imerio di Tarragona afferma che la questione della continenza è da secoli obbligatoria e ribadisce fermamente che “noi tutti, vescovi, presbiteri e diaconi, vi ci troviamo legati fin dal giorno della nostra ordinazione e sottomettiamo i nostri cuori e i nostri corpi al servizio della sobrietà e della purezza […]”. Inoltre: “Il Signore Gesù […] volle che la figura della Chiesa, di cui è lo sposo, emani lo splendore della castità […] dalla legge indissolubile di queste disposizioni siamo legati noi tutti sacerdoti […] affinché dal giorno della nostra ordinazione consegniamo sia i nostri cuori sia i nostri corpi alla sobrietà e alla pudicizia, per piacere al Signore nostro Dio nei sacrifici che ogni giorno offriamo”. Nel gennaio del 386 convoca a Roma un concilio dell’Italia centro-settentrionale che decreta l’obbligo della continenza per i chierici maggiori: “È degno, casto e onesto […] che (vescovi), presbiteri e diaconi non abbiano rapporti con la loro consorte dato che essi sono assorbiti dai doveri quotidiani del loro ministero”. Siricio afferma che questi non erano obblighi nuovi, ma punti fermi della fede e della disciplina tra66 scurati. Essi devono essere ripristinati, poiché sono disposizioni dei padri apostolici secondo le parole della sacra scrittura: “State saldi e osservate le nostre tradizioni che avete ricevute sia a viva voce sia per iscritto (2 Ts 2, 15)”. Durante il sinodo (convocato intorno al 390 - 392) fu scomunicato il monaco romano Gioviniano che tra le altre cose non condivideva i pregi del celibato. Il decreto fu inviato ad Ambrogio, vescovo di Milano, che convocò un sinodo dei vescovi dell’Italia settentrionale che approvò le decisioni di Roma. Innocenzo I (401 – 417) nella lettera “Dominus inter” (attribuita sia a Damaso che a Siricio) così risponde alla terza delle sedici domande poste dai vescovi della Gallia e riguardante la “castità e purezza dei sacerdoti”: “In primo luogo è stato deciso riguardo ai vescovi, sacerdoti e diaconi che devono partecipare ai sacrifici divini, attraverso le mani dei quali viene comunicata la grazia del battesimo e offerto il Corpo di Cristo, che vengono costrette non solo da noi, ma dalla scrittura divina alla castità: ai quali anche i padri hanno ingiunto di conservare la continenza corporale”. In successive tre lettere (a Victricius di Rouen, a Exsuperius di Tolosa e ai vescovi Massimo e Severo della Calabria) si associa al pensiero di Siricio e scrive che gli impenitenti dovevano essere allontanati dal ministero sacerdotale. 67 Leone Magno (440 – 461) scrive nel 456 a Rustico, vescovo di Narbonne: “La legge della continenza è la stessa per i ministri dell’altare (diaconi) come per i sacerdoti e i vescovi. Quando erano ancora laici e lettori era loro permesso di sposarsi e di generare figli. Ma assurgendo ai gradi suddetti è cominciato per loro il non essere più lecito ciò che lo era prima. Affinché perciò il matrimonio carnale diventasse un matrimonio spirituale è necessario che le spose di prima non già si mandassero via ma che si avessero come se non le si avessero, affinché così rimanesse salvo l’amore coniugale ma cessasse allo stesso tempo anche l’uso del matrimonio.” Leone Magno estende l’obbligo della continenza ai suddiaconi, ma dopo l’ordinazione. Pelagio II (579 – 590) profonde molto impegno a promuovere il celibato, introducendo rigide restrizioni nel clero siciliano. Gregorio I Magno della famiglia degli Anici (590 – 604), nello stabilire che ogni desiderio sessuale è peccato, disponeva che il suddiacono dopo l’ordinazione fosse obbligato alla continenza perfetta. Confermava il canone 3 del concilio di Nicea che proibiva ai chierici maggiori la convivenza con le donne. Un uomo che ha passato la notte con la moglie, affermava, non può entrare in una chiesa se prima non si è lavato e non ha fatto doverosa penitenza. 68 Nicola I (858 – 867) raccomandava di astenersi da ogni piacere della carne nei giorni di festa. Benedetto VIII (1012 – 1024), al secolo Teofilatto dei Conti di Tuscolo, nel concilio di Pavia del 1022, oltre a condannare il concubinaggio, in uno dei decreti per la riforma del clero, faceva divieto agli ecclesiastici di sposarsi. A tal proposito Pietro Verri scrive: “erasi fatta la legge che obbligava al celibato i sacerdoti”. Leone IX (1048 - 1054), al secolo Brunone dei Conti di Egisheim-Dagsburg nel sinodo di Pasqua (Reims) del 1049 ribadisce il celibato del clero dal rango di sottodiacono in su e condanna il nicolaismo. Nicolaismo: setta eretica citata nell’Apocalisse (Ap. 2: 6 e 2: 15, 16) fondata, come affermano alcuni studiosi, da Nicola di Antiochia. Ammetteva il matrimonio dei sacerdoti. Nel Medioevo indicava quei sacerdoti che vivevano in concubinato e praticavano riti sessuali di carattere orgiastico. Stefano X (1057 – 1058), al secolo Federico dei Duchi di Lorena, mostrò grande impegno verso il rafforzamento del celibato ecclesiastico. Niccolò II (1058 – 1061), al secolo Gerardo di Borgogna, nel concilio lateranense del 1059, irrigidisce la disciplina del clero. Nello stesso anno invia il cardinale Pier Damiani, che si era distinto nella lotta contro il nicolaismo, 69 a Milano dove intervenne contro la prassi dilagante del matrimonio dei sacerdoti e contro il comportamento licenzioso di molti di loro, riuscendo a fare accettare, almeno nella forma, il celibato ecclesiastico. Il Damiani, gran moralizzatore, nelle sue lettere si scaglia contro i chierici intemperanti che vivono “velut iure matrimonii confoederentur uxoribus” e considera le concubine degli ecclesiastici “empie tigri”, “arpie” e “vipere furiose”. Alessandro II (1061 – 1073), al secolo Anselmo da Baggio, prezioso collaboratore d’Ildebrando di Soana (il futuro Gregorio VII) e sostenitore dei Patarini nella lotta contro il concubinato, nel concilio di Roma del 22 Aprile del 1063 conferma i decreti che prima erano stati emanati contro il matrimonio dei preti. “Appena dopo la sua elezione, papa Alessandro II (Pietro Verri in “Storia di Milano” cap. V) scrisse la lettera “Omnibus Mediolanensibus clero et populo”: Speramus autem in Eo qui de virgine dignatus est nasci, quia nostri ministerii tempore sancta clericorum castitas exaltabitur, et incontinentium luxuria cum caeteris haeresibus confundetur […]”. Questo fu un avviso che precorse le nuove iniziative contro i sacerdoti ammogliati. Patarini: i seguaci della Pataria (dal milanese dialettale patee, stracci). Il movimento, fondato da Landolfo Cotta e Arialdo da Carimate, nel 1049 a Milano, esortava la popolazione a rifiutare i sacra- 70 menti dai sacerdoti corrotti e nicolaiti. Ne fecero parte il clero più basso e la popolazione più povera. Ebbe termine nel 1075 con la morte del fratello di Cotta, Ercembardo. Gregorio VII (1073 – 1085), al secolo Ildebrando Aldobrandeschi di Soana, con i suoi decreti distrusse i legami matrimoniali dei sacerdoti. Diede un forte appoggio all’obbligatorietà del celibato del clero per affermare in tal modo la supremazia papale sui vescovi. “Nondimeno ei conobbe ad un tempo i vantaggi che il celibato dovea produrre all’autorità del principe della Chiesa; e n’è prova la maravigliosa perseveranza e il rigore inflessibile con che attese all’esecuzione di questa legge. L’abolizione delle investiture scioglieva la Chiesa da ogni dipendenza; e l’abolizione del matrimonio dava al sommo pontefice un grandissimo numero di sudditi, sparsi in tutta la superficie della terra; uomini sciolti d’ogni obbligo di famiglia, di legge civile e di patria”. (“Opere edite e postume di Ugo Foscolo, vol II, Felice Le Monnier – Firenze, 1850). Nell’enciclica “Dictatus Papae” del 1074, introduttiva del sinodo romano del 1075, per confermare il celibato sacerdotale, scioglie le genti dal dovere dell’obbedienza verso i sacerdoti sposati, fino ad incoraggiarli, l’anno successivo, a prendere posizione contro di loro, privandoli anche del sostentamento. 71 Non fu una misura di salvaguardia dello spirito, ma del patrimonio della Chiesa. Questi provvedimenti trasformarono, infatti, migliaia di mogli di preti in prostitute. Molte, abbandonate ed evitate, si suicidarono. Vittore III (1086 – 1087), al secolo Dauferlo Epifani o Desiderio di Montecassino. Nonostante i decreti gregoriani, “l’obbligo della castità era difficile da imporre” per cui “il successore di Gregorio VII, Desiderio di Montecassino nel concilio di Benevento dell’Agosto 1087 era costretto a riconfermare i canoni gregoriani e quello dei papi riformatori” (Giancarlo Andenna, Il chierico, dagli Atti 9 del Centro Studi Normann-Svevi dell’Università degli Studi di Bari). Urbano II (1088 – 1099), al secolo Ottone di Langery, convoca una serie di sinodi (Clemont-Ferrand, Roma, Amalfi, Benevento, Troia, Bari, Piacenza) che tra vari argomenti, affrontano anche quello del celibato ecclesiastico. Nel concilio tenutosi a Menfi nel 1090 ordina il celibato ai chierici a partire dal suddiaconato. Nel concilio di Piacenza del 1095 condanna i matrimoni dei preti e accetta che i 500 religiosi che parteciparono al concilio per dimostrare il loro impulso evangelico, vendessero le loro mogli, nonché i figli, come schiave. Nel dare il via alla seconda crociata obbliga tutti i preti che partivano alla conquista di Gerusalem72 me a lasciare la propria moglie e i piaceri della vita familiare poiché avevano il dovere di essere spiritualmente pronti alla battaglia. Impone, quindi, la schiavitù alle mogli dei preti. Tali provvedimenti introdussero il celibato quale norma per l’intero clero nella Chiesa Occidentale. Callisto II, al secolo Guido di Borgogna (1119 – 1124), convocò un concilio a Rheims il 20 Ottobre 1119 dove furono presi nuovi e severi provvedimenti contro il matrimonio dei preti. Un altro concilio fu convocato nel Marzo del 1123 (il nono concilio ecumenico, il primo nel Laterano) nel quale fu ratificato il Concordato di Worms e vennero reiterati con forza vari canoni, tra cui quello contro il concubinato dei chierici. Innocenzo II (1130 – 1145), al secolo Gregorio Papareschi, proclamò che l’ordinazione sacerdotale costituisce “impedimento dirimente al matrimonio”. L’ordinazione sacerdotale ed il matrimonio, quindi, si escludono giuridicamente a vicenda, ma, nonostante ciò, il matrimonio viene vietato ai sacerdoti cattolici (fernandoliggio.org/art13.pdf). Alessandro III (1159 – 1181), al secolo Rolando Bandinelli, convoca nel 1179 il quarto concilio lateranense nel quale è confermato il celibato del clero e la legge dell’invalidità del matrimonio estesa ai suddiaconi (Decre.capp. 1 – 2. X, IV, 6). Bonifacio VIII (1294 – 1303), al secolo Benedetto Caetani, in visita a Pavia, oltremodo irritato, ordi73 na che i figli dei sacerdoti e dei monaci siano resi schiavi. Paolo IV (1555 – 1559), al secolo Giuseppe Pietro Carafa, il cui zelo riformista lo porta a licenziare Pierluigi da Palestrina da maestro della cappella pontificia perché sposato, vieta che siano scelti maestri, cappellani e cantori sposati. Pio XI (1922 – 1939), al secolo Damiano Achille Ratti, nella lettera enciclica “Ad catholici sacerdotii” del 20 Dicembre 1935 scrive: “Intimamente congiunta con la pietà, da cui deve ricevere consistenza e splendore, è l’altra gemma fulgidissima del sacerdote cattolico, la castità alla cui perfetta e totale osservanza i Chierici della Chiesa Latina costituiti negli ordini maggiori sono tenuti con obbligo sì grave che, trasgredendolo, sarebbero rei di sacrilegio” […] “Infatti, la legge del celibato ecclesiastico, la cui prima traccia scritta si riscontra in un canone del concilio di Elvira all’inizio del IV secolo, non fa che dar forza di obbligazione a una certa esigenza, che sgorga dal vangelo e dalla predicazione apostolica”. Pio XII (1939 – 1958), al secolo Giuseppe Giovanni Pacelli, nell’enciclica “Sacra Virginitas” del 25 Marzo 1954 scrive: “La sacra verginità e la castità perfetta consacrata al servizio di Dio sono certamente, per la Chiesa, tra i tesori più preziosi che il suo Autore le abbia lasciato, come eredità. Per questo motivo i santi padri sottolineavano che la verginità perpetua è un bene eccelso di carattere essenzialmente cri74 stiano. La castità perfetta è uno dei tre voti che costituiscono lo stato religioso ed è richiesta nei chierici della Chiesa latina ordinati negli ordini maggiori e nei membri degli istituti secolari”. Nell’esortazione apostolica “Menti Nostrae” (23/09/1950) si legge: “Il sacerdote ha come campo della propria attività tutto ciò che si riferisce alla vita soprannaturale, ed è organo di comunicazione e di incremento della stessa vita nel Corpo Mistico di Cristo. Perciò è necessario che egli rinunci a tutto ciò che è del mondo, per curare solamente ciò che è del Signore (1 Cor 7, 32.33). Ed è appunto perché egli deve essere libero dalle preoccupazioni del mondo per dedicarsi tutto al divino servizio, che la Chiesa ha stabilito la legge del celibato, affinché fosse sempre più manifesto a tutti che il sacerdote è Ministro di Dio e padre delle anime. Con la legge del celibato, il sacerdote, piuttosto che perdere il dono e l’ufficio della paternità, lo accresce all’infinito, giacché se non genera una figliolanza a questa vita terrena e caduca, la genera a quella celeste ed eterna. Quanto più rifulge la castità sacerdotale, tanto più il sacerdote diventa insieme con Cristo ostia pura, ostia santa, ostia immacolata”. Giovanni XXIII (1959 - 1963), al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, nell’Allocuzione al Sinodo Romano del 26 Gennaio 1960, così scrive: “Ci accora che […] si possa da qualcuno vaneggiare circa la volontà o la convenienza per la Chiesa cattolica di ri75 nunziare a ciò che per secoli e secoli fu e rimane una delle glorie più nobili e più pure del suo sacerdozio. La legge del celibato ecclesiastico e la cura di farla prevalere resta sempre un richiamo alle battaglie dei tempi eroici, quando la Chiesa di Cristo dovette battersi, e riuscì, al successo del suo trinomio glorioso, che è sempre emblema di vittoria: Chiesa di Cristo, libera, casta e cattolica”. Paolo VI (1963 - 1978), al secolo Antonio Maria Montini, il 24 Giugno 1967, nell’ambito del concilio, pubblica l’enciclica “Sacerdotalis Caelibatus” nella quale ribadisce la tradizione della Chiesa latina d’imporre il celibato ai sacerdoti: “ Il celibato sacerdotale, che la Chiesa custodisce da secoli come fulgida gemma, conserva tutto il suo valore anche nel nostro tempo […]. Noi dunque riteniamo che la vigente legge del sacro celibato debba ancora oggi, e fermamente, accompagnarsi al ministero ecclesiastico; essa deve sorreggere il ministro nella sua scelta esclusiva, perenne e totale dell’unico e sommo amore di Cristo e della consacrazione al culto di Dio e al servizio della Chiesa, e deve qualificare il suo stato di vita, sia nella comunità dei fedeli, che in quella profana. La scelta del celibato non comporta l’ignoranza e il disprezzo dell’istinto sessuale e dell’affettività, il che nocerebbe all’equilibrio fisico e psicologico del sacerdote, ma esige lucida comprensione, attento dominio di sé e sapiente sublimazione della propria psiche su un piano superiore. In tal modo, il 76 celibato, elevando integralmente l’uomo, contribuisce effettivamente alla sua perfezione”. Giovanni Paolo II (1978 - 2005), al secolo Karol Josef Wojtyla, conferma, durante il suo pontificato, quanto stabilito dalla Chiesa riguardo alla sessualità umana e al celibato dei preti, intervenendo molto spesso in difesa del celibato ecclesiastico. Nel discorso al clero di Roma del 09/11/1978, afferma: “[…] Perciò il nostro sacerdozio deve essere limpido ed espressivo. E se esso è nella tradizione della nostra Chiesa strettamente legato al celibato, lo è proprio per la limpidezza e l’espressività evangelica, alla quale si riferiscono le parole di Nostro Signore sul celibato per il regno dei cieli (cf. Mt 19, 12: vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli.)”. E, nella “lettera ai sacerdoti”, dell’8 Aprile 1979, così si esprime: “La Chiesa Latina ha voluto e continua a volere […] che tutti coloro i quali ricevono il sacramento dell’Ordine abbraccino questa rinuncia (al matrimonio) per il regno dei cieli. Il motivo (della rinuncia al matrimonio) […] è racchiuso nella verità che Cristo ha dichiarato […] che ognuno nella Chiesa ha il suo proprio dono. Il celibato è appunto dono dello Spirito. […] il celibato per il regno non è soltanto un segno escatologico, ma ha anche un grande significato sociale […]. Il sacerdote, attraverso il suo celibato diventa l’uomo per gli altri […] (e), rinunciando alla paternità ch’è propria degli sposi, 77 cerca un’altra paternità […], ricordando le parole dell’Apostolo circa i figli […] (cfr. 1 Cor 4, 15; Gal 4, 19). Sono essi figli del suo spirito, uomini affidati dal buon Pastore alla sua sollecitudine”. Nell’esortazione apostolica post-sinodale, “Pastores dabo vobis” del 25 Marzo 1992 si legge: “Espressione privilegiata del radicalismo (evangelico) sono i diversi consigli evangelici, che Gesù propone nel Discorso della Montagna e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra di loro, d’obbedienza, di castità e povertà […]. Tra i consigli evangelici, scrive il concilio, eccelle questo prezioso dono della grazia divina, dato dal padre ad alcuni di votarsi a Dio […] nella verginità e nel celibato. Questa perfetta continenza per il Regno dei cieli è sempre stata tenuta in singolare onore dalla Chiesa. Nella verginità e nel celibato la castità mantiene il suo significato originario, quello cioè di una sessualità umana vissuta come autentica manifestazione e prezioso servizio all’amore di comunione e di donazione interpersonale. Questo significato sussiste pienamente nella verginità, che realizza, pur nella rinuncia al matrimonio, il “significato sponsale” del corpo mediante una comunione e una donazione personale a Gesù Cristo e alla sua Chiesa […]. “Nella verginità l’uomo è in attesa, anche corporalmente, delle nozze escatologiche di Cristo con la Chiesa, donandosi integralmente alla Chiesa […]”. In questa luce si possono più facilmente comprendere e apprezzare i motivi 78 della scelta plurisecolare che la Chiesa d’Occidente ha fatto e ha mantenuto […] di conferire l’ordine presbiterale solo a uomini che diano prova di essere chiamati da Dio al dono della castità nel celibato assoluto e perpetuo. Nonostante avesse dichiarato nel 1993 che “il celibato non è essenziale al sacerdozio e non fu promulgato come una legge da parte di Cristo”, bloccò le richieste di dispense e si mostrò molto duro verso chi lasciava il sacerdozio. Nell’Udienza Generale del 14 Luglio 1993 dichiara: “[…] la Chiesa, infatti, ha ritenuto e ritiene che esso (il celibato sacerdotale, N.d.A.) rientri nella logica della consacrazione sacerdotale e della conseguente appartenenza totale a Cristo […] (anche se, parlando delle Chiese Orientali), la perfetta continenza, come dice il Concilio, non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio. Essa non appartiene all’essenza del sacerdozio come Ordine, e quindi non è imposta in modo assoluto in tutte le Chiese. Non sussistono, tuttavia, dubbi circa la sua convenienza e anzi congruenza con le esigenze dell’Ordine sacro.[…] Gesù non ha promulgato una legge, ma proposto un ideale di celibato, per il nuovo sacerdozio che istituiva. Questo ideale si è affermato sempre più nella Chiesa (dopo) una fase di Chiesa in via di organizzazione e, si può dire, di sperimentazione di ciò che, come disciplina degli stati di vita, 79 corrisponda meglio all’ideale e ai consigli proposti dal Signore. In base all’esperienza e alla riflessione si è progressivamente affermata la disciplina del celibato fino a generalizzarsi nella Chiesa occidentale in forza della legislazione canonica… per ragioni derivanti dalla congruenza sempre meglio scoperta tra il celibato e le esigenze del sacerdozio. Il Concilio Vaticano II enuncia i motivi di tale intima convenienza del celibato con il sacerdozio: “Con la verginità o il celibato osservato per il regno dei cieli, i presbiteri si consacrano a Cristo con un nuovo ed eccelso titolo, aderiscono più facilmente a lui con un amore non diviso, si dedicano più liberamente in lui e per lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo regno e la sua opera di rigenerazione divina, e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo”. È vero che oggi la pratica del celibato trova ostacoli… Il Sinodo dei Vescovi li ha considerati, ma ha ritenuto… siano superabili.[…] Per questo, pur ammettendo che il sommo pontefice possa valutare e disporre il da farsi in taluni casi, il Sinodo ha riaffermato che “nella Chiesa latina l’ordinazione presbiteriale di uomini sposati non è ammessa neppure in casi particolari”. La Chiesa ritiene che la coscienza di consacrazione totale, maturata nei secoli, abbia tuttora ragione di sussistere e di perfezionarsi sempre più. 80 Benedetto XVI (2005 -), Joseph Alois Ratzinger, nell’esortazione apostolica “Sacramentum caritatis” (13/03/2007) si legge: “Il fatto che Cristo stesso, sacerdote in eterno, abbia vissuto la sua missione fino al sacrificio della croce nello stato di verginità costituisce il punto di riferimento sicuro per cogliere il senso della tradizione della Chiesa Latina a questo proposito. Pertanto, non è sufficiente comprendere il celibato sacerdotale in termini meramente funzionali. In realtà, esso rappresenta una speciale conformazione allo stile di vita di Cristo stesso. Tale scelta è innanzitutto sponsale, è immedesimazione con il cuore di Cristo Sposo che dà la vita per la sua Sposa. […] Ribadisco la bellezza e l’importanza di una vita sacerdotale vissuta nel celibato come segno espressivo della dedizione totale ed esclusiva a Cristo, alla Chiesa e al Regno di Dio, e ne confermo quindi l’obbligatorietà per la tradizione latina. Il celibato sacerdotale vissuto con maturità, letizia e dedizione è una grandissima benedizione per la Chiesa e per la stessa società”. Nella “Lettera ai vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli della Chiesa Cattolica della Repubblica Popolare Cinese” del 12 Maggio 2007 così scrive: “[…] merita una menzione particolare la formazione al celibato dei candidati al sacerdozio. E’ importante che essi imparino a vivere e a stimare il celibato come dono prezioso di Dio e come segno eminentemente escatologico, che testimonia un 81 amore indiviso a Dio e al suo popolo e configura il sacerdote a Gesù Cristo, Capo e Sposo della Chiesa. Tale dono, infatti, in modo precipuo esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore (Pastores dabo vobis – 25/03/92) e rappresenta un valore profetico per il mondo d’oggi”. altre testimonianze Sant’Ambrogio (339 – 397) affermò che i ministri dell’altare precedentemente sposati, dopo l’ordinazione dovevano abbandonare il matrimonio. In “De Virginibus” scrive: “È stato sempre proprio della grazia sacerdotale spargere il seme della castità e suscitare l’amore per la verginità”. Nel confrontare lo stato di verginità e il martirio, sostiene che la verginità è più lodevole del martirio. Convinto che il celibato proviene dalla grazia implorata con la preghiera, nella “Preparatio ad missam” così si esprime: “Re dei vergini e amante della castità e della continenza perfetta, con la celeste rugiada della tua benedizione spegni nel mio corpo il fomite dell’ardente concupiscenza, affinché resti in me la castità del corpo e dell’anima”. Afferma, inoltre, che chi è in ministero non deve avere nessun rapporto coniugale (nec nullo coniugali coitu violandum)”. San Girolamo (347 – 420) confermò l’obbligo dei ministri dell’altare di vivere sempre continenti (Ad- 82 versus Vigilantium, 406) e affermò che il rapporto sessuale è una cosa sporca (omnis coitus immundus) Sant’Agostino (354 – 430) partecipò ai concili di Cartagine senza dissentire sui provvedimenti sul celibato del clero. Nella sua De coniugiis adulterinis, sostiene che “anche uomini sposati, se improvvisamente […] sono stati chiamati a far parte del clero maggiore e ordinati, sono tenuti alla continenza, diventando così esempio per i laici […]”. San Gregorio Magno (540 – 604), oltre a disporre che il suddiacono dopo l’ordinazione fosse obbligato alla continenza perfetta, confermava il canone 3 del concilio di Nicea che proibiva ai chierici maggiori la convivenza con le donne. Pier Damiani (1007 -1072) si pose l’obiettivo di combattere l’incontinenza nel clero e riportarlo alla virtù della purezza e della castità perfetta. Così espresse le sue idee sul celibato con diversi scritti. Col “De caelibatu sacerdotum” (1059) si rivolse al papa Niccolò II perché intervenisse con tutta la severità delle regole sacre contro quei sacerdoti immorali che avevano violato la castità. Nel 1064 inviò una lettera al vescovo di Torino Cuniberto e alla principessa Adelaide di Susa con la quale si scaglia contro i sacerdoti incontinenti che vivono “velut iure matrimoni confoederentur uxoribus” e apostrofa le loro concubine quali tigri, arpie e vipere furiose. 83 La sua attività moralizzatrice si estese all’abitudine alla sodomia diffusa nell’ambiente clericale. Nel “Liber Gomorrhianus così si esprime: “La sozzura sodomita s’insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico […] Ci sembra completamente assurdo che quelli che si insozzano abitualmente con questa malattia purulenta osino entrare nell’ordine o rimanere nel loro grado… chi si è macchiato con un maschio con quella vergognosa libidine, non merita di servire gli uffici ecclesiastici […]”. altri documenti Il canone 1037 (Titolo VI, cap. II, Requisiti previi all’ordinazione) del CIC (Codex Iuris Canonici) si rivolge agli ordinandi in questi termini. “Il promovendo al diaconato permanente, che non sia sposato, e così pure il promovendo al presbiterato, non siano ammessi all’ordine del diaconato, se non hanno assunto, mediante il rito prescritto, pubblicamente, davanti a Dio e alla Chiesa, l’obbligo del celibato oppure non hanno emesso i voti perpetui in un istituto religioso”. Il “Decreto della Santa Congregazione dei Sacramenti (27/12/1930)” fa obbligo ad ogni candidato al sacerdozio di giurare e dichiarare per iscritto di accettare con piena consapevolezza il celibato. Il Sinodo dei vescovi del 15 Febbraio 1971 nel documento finale “Ultimis temporibus” (30 Novembre 84 1971) afferma la necessità di conservare il celibato nella Chiesa Latina. La Nuova codificazione della Chiesa Latina del 1983 ribadisce: “I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il Regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini”. Sulla stessa linea si muove il Sinodo del 1990, dal quale scaturisce l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II (Pastoris dabo vobis), nella quale il celibato è presentato come un’esigenza di radicalismo evangelico, che favorisce in modo speciale lo stile di vita sponsale e che deriva dal rapportare la figura del sacerdote a Gesù Cristo, mediante il sacramento dell’ordine. Il catechismo della chiesa cattolica del 1992 ribadisce la medesima dottrina: “tutti i ministri ordinati nella Chiesa Latina, ad eccezione dei diaconi permanenti, sono normalmente scelti tra gli uomini credenti che vivono da celibi e che intendono conservare il celibato per il Regno dei cieli”. Nel Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia (22/10/2005), i padri sinodali affermano “l’importanza del dono inestimabile del celibato ecclesiastico nella prassi della Chiesa latina”. 85 Il 16 Novembre 2006, un comunicato della Sala Stampa del Vaticano, dopo l’incontro che Benedetto XVI ha presieduto con la partecipazione dei Cardinali e degli Arcivescovi Capi di Dicastero della Curia romana, così recita: “E’ stato riaffermato il valore della scelta del celibato ecclesiastico secondo la tradizione cattolica ed è stata ribadita l’esigenza di una solida formazione umana e cristiana sia per i seminaristi che per i sacerdoti già ordinati” 86 il celibato nelle altre chiese cristiane Molti cattolici, che conoscono solo le discipline canoniche latine o latinizzate, identificano i sacerdoti sposati con i protestanti e gli ortodossi. Potrebbero quindi rimanere sorpresi leggendo nel CCEO (Codice dei Canoni delle Chiese Orientali) che anche i sacerdoti e i diaconi della Chiesa cattolica possono scegliere liberamente il celibato o il matrimonio, ma prima dell’ordinazione. In nove chiese cattoliche orientali il celibato del clero è facoltativo come lo è il matrimonio (Nadir Giuseppe Perin). Tra le Chiese cristiane, la sola che prevede per legge il celibato sacerdotale per tutti i suoi ministri è quella cattolica apostolica romana. Le Chiese nate dal Cristianesimo sono tante e si distinguono dall’interpretazione della “parola” di Gesù che, occorre ricordarlo, non fondò, o non intendeva fondare, una religione, oggi così invasiva (“Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”– Matteo, cap. 22, v21) e così appariscente 87 nella sua ricchezza e formalità rituale, più dedita al secolo che alla salvezza delle anime. C’è molto fermento all’interno della Chiesa Cattolica, tanto che il Cardinale Claudio Hummes, che guida la “Congregazione per il clero” ha dichiarato che il celibato dei preti non è un dogma ma una norma disciplinare e, quindi, “La Chiesa deve discutere, se è necessario ridiscutere le norme del celibato”. Ma è stato messo a tacere dai… superiori, come vedremo più avanti. Se la chiesa di rito ortodosso, quella protestante, quella anglicana, e le numerose chiese orientali prevedono un sacerdozio uxorato, anche la chiesa cattolica romana, nonostante il vincolo di celibato imposto ai suoi sacerdoti, permette ad alcune chiese orientali “in comunione con Roma” che i suoi sacerdoti possano sposarsi. Così anche in Italia (Basilicata, Calabria e Sicilia) gli italianissimi sacerdoti delle diocesi di rito greco albanese, sono sposati. I rapporti tra Roma e queste Chiese sono regolati da una sorta di “gentlemen’s agreement” che, nel salvaguardare antiche tradizioni, evita la rottura col Vaticano. Nelle chiese greco–cattolica, siriaca, armena, copta, antiochena, melkita, etiope e tutte le comunità cattoliche dell’Europa dell’est i preti possono sposarsi e avere figli, nonostante sono riconosciuti dal Vaticano ed hanno lo stesso Papa. 88 Gentlemen’s agreement: (accordo tra gentiluomini) accordo informale tra due parti, che può essere scritto od orale. La sua caratteristica essenziale è che si basa per la sua realizzazione sull’onore e sul rispetto della parola data. Il 18 Ottobre 1990 Giovanni Paolo II promulga il “Nuovo Codice dei Canoni delle Chiese orientali”(CCEO), entrato in vigore il 1 Ottobre 1991, diverso da quello in vigore nella Chiesa latina, che definisce il rapporto tra “celibato e ministero sacerdotale”. Alcuni canoni così recitano: Canone 373 – Il celibato dei chierici scelto per il regno dei cieli e tanto conveniente per il sacerdozio, deve essere tenuto ovunque in grandissima stima, secondo la tradizione della Chiesa universale; così pure deve essere tenuto in onore lo stato dei chierici uniti in matrimonio, sancito attraverso i secoli dalla prassi della Chiesa primitiva e delle Chiese orientali. Canone 374 – I chierici celibi e coniugati devono risplendere per il decoro della castità; spetta al diritto particolare stabilire i mezzi opportuni da usare per raggiungere questo fine. Canone 375 – I chierici sposati offrano un luminoso esempio agli altri fedeli cristiani nel condurre la vita familiare e nell’educazione dei figli. Risulta evidente che l’aspirante al sacerdozio ha due possibilità di scelta: il sacerdozio uxorato o quello celibatario. Le Chiese orientali prendono questo nome per un fatto puramente geografico, in quanto svolgevano il loro attivismo nella parte orientale dell’Impero Romano. L’oriente cristiano nell’età patristica superò in 89 numero e splendore l’occidentale. Poi, a causa delle persecuzioni dell’Islam, dei Mongoli e dei Turchi, conobbe un periodo di decadenza e una consistente perdita di aderenti. Si ritiene che oggi i fedeli delle Chiese orientali unite a Roma (uniatismo) siano circa 15 milioni. Il Concilio di Trullo del 691, nel decretare che i diaconi e i preti potevano sposarsi solo prima dell’ordinazione mentre i vescovi non potevano, dà ufficialità alla tradizione orientale circa il rapporto tra il ministero sacerdotale e il celibato. Anche nella Chiesa orientale si tentò d’imporre il celibato a tutto il clero (Sinodo ecumenico del 325), ma l’accorato intervento di Pafnuzio, vescovo della Tebaide superiore, scongiurò il pericolo: “il matrimonio è in sé stesso onorevole, e il talamo nuziale incontaminato, esortandoli in nome di Dio a non recare danno alla Chiesa con restrizioni troppo severe. Non tutti, infatti, riescono a praticare una rigida continenza. Inoltre, l’atto coniugale tra marito e moglie si può chiamare casto […]”. “Pafnuzio considerava il celibato obbligatorio una Hiperbolé (o imposizione eccessiva) che non tiene conto delle esigenze della natura umana. Un tale zelo iperbolico nell’emanare canoni che proibiscono ai vescovi, preti, diaconi e suddiaconi sposati di continuare a vivere con la loro moglie e impongono il celibato ai candidati agli ordini sacri fa più male che bene alla Chiesa. Non tutti possono sopportare il grave sacri90 ficio di reprimere i desideri naturali” (Nadir Giuseppe Perin). Gelasio di Kyzikos, nella sua “Historia Concili Niceni” scrive che la decisione del primo sinodo di istituire il celibato facoltativo fu vantaggiosa per tutta la chiesa. Anche lo storico Sozomeno, V secolo, afferma che nel primo sinodo non fu emanata “nessuna norma al riguardo, rimettendo invece ogni decisione al libero giudizio degli interessati, senza pressioni di sorta” (Sozomenus, Storia Ecclesiastica). Il Sinodo di Gangra (365) col canone 1 scomunicava quanti condannavano il matrimonio e mostravano perplessità nel ricevere la comunione da un sacerdote sposato. Il canone 211 stabiliva: “Senza dubbio noi ammiriamo la verginità (s’intende il celibato) accompagnata dall’umiltà, e apprezziamo la continenza accompagnata dalla gravità e santità… ma al tempo stesso onoriamo la santa vita coniugale”. La Chiesa Valdese permette ai suoi sacerdoti il matrimonio. Paolo Ricca (Docente emerito di Storia della Chiesa della facoltà valdese di teologia di Roma) a tal proposito scrive: “Le ragioni per le quali il protestantesimo non considera il matrimonio un sacramento sono due. La prima è che, benché il matrimonio sia una creazione di Dio e come tale Gesù ne abbia parla91 to, la Bibbia non ne parla mai come un sacramento. Non è dunque vero che Gesù abbia “istituito” il matrimonio (come afferma il Concilio di Trento) o che abbia “elevato il matrimonio a dignità di sacramento” (come afferma la “Casti Connubi”, enciclica di Pio XI del 31 Dicembre 1930). La dottrina del matrimonio come sacramento non è biblica, per questo il protestantesimo l’ha abbandonata. Proprio perché il matrimonio non era un sacramento, i primi cristiani non lo consideravano un fatto religioso ma civile (ecco la seconda ragione), tanto che nei primi tre secoli non esiste nessuna celebrazione specificatamente cristiana del matrimonio. Solo nel IX secolo si cominciò a celebrare matrimoni in chiesa e solo verso il XII secolo i teologi cominciarono a discutere sulla natura sacramentale del matrimonio […]. In sostanza, per il protestantesimo il matrimonio non è un sacramento, non solo perché non c’è nella Bibbia, ma anche perché non appartiene, per almeno sette secoli, alla tradizione cristiana: è un’invenzione ecclesiastica tardiva. Questo non significa che il protestantesimo abbia svalutato il matrimonio. Al contrario, lo ha rivalutato contro l’idea medievale della “superiorità della verginità e del celibato” (tratto dalla rubrica “Dialoghi con Paolo Ricca” del settimanale “Riforma”; www.chiesavaldese.org). 92 L’Unione di Utrecht comprende le chiese dette vecchio cattoliche di Svizzera, Paesi Bassi, Germania, Austria, Repubblica Ceca, Croazia, Polonia, Stati Uniti e Canada. La consacrazione sacerdotale non è legata al celibato; è prevista l’ordinazione delle donne agli uffici sacerdotali (Sinodo 1999). L’Unione di Utrecht è nata nel 1889 dall’unione delle chiese vecchie cattoliche (vetero–cattoliche). Sono cattoliche nella fede e nel culto ma non accettano i due dogmi del primato di giurisdizione universale del Papa e dell’infallibilità (dogmi approvati nel 1870 dal Concilio Vaticano I). La loro struttura episcopale–sinodale permette la partecipazione e la valorizzazione della democrazia. Tutte le questioni, infatti, sono affrontate dal sinodo composto dal clero e dai laici rappresentanti le varie parrocchie, affermando il principio di democrazia. Nella Chiesa Ortodossa, come nelle Chiesa dell’est dell’Eurasia (Europa orientale e Asia) il vescovo è eletto tra i celibi. Molto spesso tra i monaci, perché questi hanno fatto voto di castità. Sacerdoti e diaconi possono essere celibi o sposati indifferentemente, purché non siano sposati in seconde nozze e non si sposino dopo l’ordinazione. 93 Le Chiese ortodosse delle varie nazioni sono autocefale, perciò si autogovernano anche se riconoscono un primato d’onore al Patriarca di Costantinopoli. Le Chiese ortodosse più importanti sono quella Greca, la Russa, la Serba e la Rumena. Martin Lutero (1483 – 1546), fondatore del Protestantesimo, ammise il sacerdozio universale dei credenti in quanto battezzati (ogni credente è sacerdote per sé stesso e accede alle scritture senza alcuna intermediazione) e non mantenne la netta distinzione tra laici ed ecclesiastici, propria della Chiesa Latina. Le comunità luterane oggi sono guidate da pastori e vescovi (dal 20° secolo anche donne) eletti dalle comunità stesse, che affidano loro il compito di istruire i fedeli, predicare e celebrare i sacramenti (solo tre sacramenti: eucaristia, battesimo e penitenza). Martin Lutero considerava il celibato ecclesiastico uno stato contro natura ed esaltava il matrimonio, condizione dell’uomo divinamente voluta, e la formazione della famiglia, destinata alla procreazione e a portare serenità: “La massima parte dell’umanità è soggetta alla legge di natura, poiché Dio ha detto: crescete e moltiplicatevi. Per questo è santo il matrimonio, e tanto più in quanto crea uno stato di doveri e di sacrifici, che certamente ci abituano a confidare in Dio”. Così, in coerenza alla sua predicazione, il 13 Giugno 1525 sposò Katharina von Bora, che da due anni 94 aveva abbandonato la vita monastica, dalla quale ebbe sei figli. Ulrich Zwingli (1484 – 1531), teologo svizzero, fondò la Chiesa Riformista Svizzera, assumendo come modello la riforma di Matin Lutero. Tra i vari provvedimenti, abolì gli ordini religiosi ed eliminò il celibato sacerdotale. Zwingli visse more uxorio (come marito e moglie senza essere coniugati) con la vedova Anna Reinhard che, con l’abolizione del celibato, sposò nel 1524 e dalla quale ebbe quattro figli. Giovanni Calvino (1509 – 1564) sposò nell’Agosto 1540 la vedova Idelette de Bure dalla quale ebbe tre figli. Le ragioni che indussero il protestantesimo ad abbandonare la regola cattolica del celibato vengono esplicitate chiaramente da Luca Baratto (pastore e curatore del programma di Radiouno “Culto evangelico”): “Il celibato ecclesiastico non nasce col Cristianesimo, ma si sviluppa al suo interno come regola della Chiesa cristiana occidentale. Una disciplina dalla quale la Riforma protestante del XVI secolo decise di allontanarsi, soprattutto per due motivi. Il primo ha a che fare con la testimonianza biblica, sulla cui autorità il protestantesimo ha inteso riformare la Chiesa. Secondo la testimonianza delle Scritture, il celibato, infatti, non è un valore. Nell’Antico Testamento il matrimonio è un dono che riguarda tutto il popolo di Dio […]: la più grande 95 delle benedizioni è, infatti, avere una progenie a cui testimoniare le grandi cose che il Signore ha fatto. Nel Nuovo Testamento vengono citate le mogli degli apostoli (Corinzi 9: 5) e dei vescovi (Tito 1; 5–7) che per la loro reputazione è meglio che abbiano una sola sposa (Timoteo 3; 1–6). Insomma, l’imposizione del celibato non trova fondamento nella testimonianza biblica. C’è però una seconda e più ampia ragione che ha spinto i riformatori ad ammettere il matrimonio dei pastori: una diversa valutazione del mondo secolare. La vocazione cristiana secondo il protestantesimo può essere vissuta soltanto nel mondo secolare: non esistono né luoghi appartati come i monasteri, né condizioni particolari come il sacerdozio, nei quali vivere una fedeltà maggiore di quella che ti consente la vita di tutti i giorni. Per questo la Riforma chiuse i primi e abolì, con l’idea del sacerdozio universale, la distinzione tra clero e laicato. Un pastore […] è un laico come tutti gli altri che è chiamato ad esprimere la sua vocazione nella vita di tutti i giorni, accompagnando la sua comunità e condividendo con essa tutti quei doni che il Signore elargisce, tra i quali il matrimonio, con le responsabilità che esso comporta, la famiglia”. La Chiesa Anglicana, quasi un accidente storico, affonda le sue radici nella predicazione del teologo John Wycliffe (1324 c.a –1384) e assorbe il movimen96 to dei lollardi che posero alla base della loro predicazione le “Dodici conclusioni”. Sia Wycliffe che i lollardi, con sfumature più o meno marcate, negarono qualsiasi autorità al sacerdozio. Essi credevano in un sacerdozio laico e non accettavano il celibato clericale imposto dalla Chiesa di Roma. Wycliffe, infatti, negava che le Sacre Scritture conferissero autorità al Papa e alla gerarchia ecclesiastica. Lollardi: gruppo religioso attivo in Inghilterra fino agli inizi della Riforma Protestante Inglese nella quale si fuse. Ebbe come riferimento le idee di John Wycliffe. L’origine e il significato del termine non sono certi. Si tende ad accettare un’iniziale origine olandese (lollaerd: qualcuno che borbotta) e una tarda, inglese (loller: un fannullone, un mendicante pigro e dedito all’imbroglio). Le “Dodici conclusioni”, il loro compendio dottrinale, non costituisce un corpus organico (molto spesso le idee espresse dal singolo lollardiano non concordano con una o più “considerazioni”. Regnava, insomma, una qualche forma d’anarchia.). I principi fondamentali possono così riassumersi: ——la corruzione della Chiesa (ne costituivano un grave aspetto le messe di suffragio e le preghiere dei morti: i morti andavano pregati tutti allo stesso modo; ostentava troppe ricchezze che dovevano essere usate per aiutare i poveri); 97 ——le icone erano pericolose perché potevano portare all’idolatria; ——negavano autorità al sacerdozio perciò non ritenevano necessaria la confessione poiché il sacerdote non aveva il potere di rimettere i peccati; ——rifiutavano il celibato ecclesiastico; ——non accettavano gli aspetti esteriori della dottrina cattolica quali la transustanziazione (indica la trasformazione, all’atto della consacrazione eucaristica, delle sostanze del pane e del vino, nelle sostanze del corpo e del sangue di Cristo), l’esorcismo, il pellegrinaggio e la benedizione che allontanavano la Chiesa dalla diffusione della parola di Dio; ——non accettavano né l’aborto né la pena di morte; ——rifiutavano la guerra e la violenza. Inizialmente, i lollardi furono considerati eretici, poi furono protetti dai nobili anticlericali inglesi, quindi furono perseguitati (morirono sul rogo l’artigiano John Badby e sir John Oldcastle che aveva organizzato un’insurrezione). Infine, si confusero nella Chiesa Anglicana. La Chiesa Anglicana fonda la sua dottrina su 39 precetti o articoli di religione, racchiusi nel Prayer Book. L’attuale testo, se si escludono alcune revisioni apportate, è quello del 1571. 98 Il precetto XXXII così recita: “A vescovi, preti e diaconi non è fatto obbligo dalla legge di Dio né di scegliere lo stato della vita solitaria né di astenersi dal matrimonio. È quindi perfettamente lecito per loro, come per tutti gli altri cristiani, di contrarre matrimonio a loro propria discrezione, se ritengono che esso possa servire meglio alla pietà”. La Chiesa Anglicana nasce ufficialmente con l’”Atto di supremazia” votato nel 1534 dal Parlamento inglese. Enrico VIII sposa nel 1509 Caterina d’Aragona che, nonostante le numerose gravidanze, non riesce a dargli un erede. Chiede allora di poter divorziare da Caterina e sposare Anna Bolena. Papa Clemente VII non è d’accordo, anzi, quando Enrico sposa Anna il 25 Gennaio del 1533, nel Luglio dello stesso anno, decide di scomunicarlo. Il Parlamento inglese reagisce approvando una serie di leggi che resero impossibile una composizione della disputa con Roma: ——Lo “Statute in Restraint of Appeals (Statuto per la limitazione degli appelli)” proibisce al clero inglese di ricorrere al Papa; ——L’“Ecclesiastical Appointments Act (Atto sulle nomine ecclesiastiche)” stabilisce che il clero sceglierà i vescovi tra quelli nominati dal re; ——L’“Act of Supremacy (Atto di Supremazia)” dichiara il re unico Capo Supremo sulla terra della Chiesa d’Inghilterra; 99 ——Il “Treasons Act (Atto sui tradimenti)” considerava il non voler riconoscere il re come tale un atto di tradimento, punibile con la morte; ——L’“Act of Succession (Atto di Successione)” convalida il matrimonio tra Enrico VIII e Anna Bolena. Dopo il tentativo di restaurazione di Maria I, Elisabetta I, che le successe nel 1559, promulgò l’Atto di Uniformità col quale ripristinò il “Book of common Prayer”, il libro di preghiere della Chiesa Anglicana, e, quattro anni dopo, l’atto di supremazia che ristabilisce l’autorità della corona sulla Chiesa. L’11 Novembre 1992 il sinodo della chiesa anglicana delibera di ammettere le donne al sacerdozio. Le prime ordinazioni si ebbero il 12 Marzo 1994, eliminando un tabù del cristianesimo. Nelle Chiese di seguito elencate, i preti possono sposarsi: ——Chiesa cattolica italo – greca (abbazia di Grottaferrata nel Lazio, eparchie di Lungro in Calabria e di Piana degli Albanesi in Sicilia, in Italia) —— —— —— —— —— —— Chiesa greco – cattolica albanese (Albania) Chiesa greco – cattolica bielorussa (Bielorussia) Chiesa greco – cattolica bulgara (Bulgaria) Chiesa greco – cattolica croata (Croazia) Chiesa greco – cattolica di Grecia (Grecia e Turchia) Chiesa greco – cattolica di Serbia e Montenegro (Serbia e Montenegro) —— Chiesa greco – cattolica macedone (Macedonia) —— Chiesa greco – cattolica melchita (Siria, Libano, Israele, Palestina, Giordania, Iraq, Egitto e comunità mediorientali nel mondo) 100 —— Chiesa greco – cattolica rumena (Romania, Stati Uniti) —— Chiesa greco – cattolica rutena (eparchia di Mukacevo, Ucraina) —— Chiesa greco – cattolica russa (Russia) —— Chiesa greco – cattolica slovacca (Slovacchia, Canada) —— Chiesa greco – cattolica ucraina (Ucraina, Polonia, Stati Uniti, Canada, Finlandia, Norvegia, Svezia, Argentina, Brasile, Australia e comunità ucraine nel mondo) —— Chiesa greco – cattolica ungherese (Ungheria) —— Chiesa cattolica copta (Egitto) —— Chiesa cattolica etiope o geez (Etiopia, Eritrea) —— Chiesa cattolica maronita (Libano, Cipro, Giordania, Israele, Palestina, Egitto, Siria Argentina, Canada, Messico Australia) —— Chiesa cattolica sira (Libano, Iraq, Giordania, Kuwait. Palestina, Egitto, Sudan, Siria, Turchia, Stati Uniti, Canada, Venezuela) —— Chiesa cattolica siro – malankarese (India) —— Chiesa cattolica di rito caldeo (Iran, Iraq, libano, Egitto, Siria, Turchia, Stati Uniti) —— Chiesa cattolica siro – malabarese (India e Stati Uniti) —— Chiesa cattolica di rito armeno (Libano, Iran, Iraq, Egitto, Siria, Turchia, Ucraina, Grecia, Romania, Argentina, Canada, Stati Uniti e altre zone dell’America Latina e dell’Europa orientale) 101 il celibato nella vita dei pontefici …ho sognato una Chiesa nella povertà e nell’umiltà, che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede spazio alla gente che pensa più in là. Una Chiesa che da coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa. (Cardinale Carlo Maria Martini “Jerusaler Nachtgesprache”) Come abbiamo visto, il Concilio di Elvira (300 – 313 ca.), canone 33, imponeva ai sacerdoti di “astenersi dalle loro mogli” e il successivo Concilio di Nicea (325) vietava “di tenere delle donne di nascosto”. Se ne deduce che per i sacerdoti era normale non solo sposarsi, ma convivere con donne che non fossero le loro mogli. Successivi concili, numerose Encicliche e Decreti che, pur nella loro ripetitività di contenuto, si occuparono del celibato, ci lasciano pensare che i papi che si sono succeduti e le gerarchie si occuparono 103 del problema con grande solerzia e impegno perché la Chiesa nella sua totalità apparisse portatrice di moralità, lontana dai piaceri della carne. In realtà non fu così e le numerose testimonianze, anche di uomini di chiesa, ci dicono che le alte gerarchie predicavano bene, ma, quanto a razzolare, lo facevano male. Ci furono lunghi periodi in cui perfino nei palazzi del Vaticano il concubinaggio e il sesso mercificato erano manifesti. Il cardinale Cesare Barone (latinizzato Baronius, 1538 – 1607) definì il vaticano: “Il dominio delle prostitute” che “di fatto determinò l’ancor più scandaloso dominio dei puttanieri” (Annales Ecclesiastici, folio, iii Antwerp 1597) Se perfino i Papi avevano rapporti con donne di diversa estrazione sociale e avevano figli, alcuni riconosciuti e con un avvenire assicurato (nepotismo), perché decretavano il celibato, perseguitando non solo i sacerdoti, ma soprattutto le loro mogli che in molti casi furono vendute come schiave assieme ai figli? La corruzione e il piacere della carne coinvolgevano i monasteri, molti dei quali erano ridotti a vere e proprie case di piacere. I testi dei cronisti dell’epoca, pervenuti miracolosamente fino a noi, ci dicono che nel IX secolo molti conventi erano rifugio di omosessuali o bordelli nei quali l’infanticidio era la norma poiché le suore incinte, per evitare infezioni 104 letali, facevano nascere i bambini per poi strangolarli. Il vescovo Liutprando da Cremona ci ha lasciato un quadro notevole della scelleratezza e dissolutezza dei papi e dei colleghi episcopali: “Andavano a caccia […] tenevano ricchi banchetti con danzatrici al termine delle battute e si appartavano con queste svergognate prostitute su letti con lenzuola di seta e coperte con ricami in oro (“Antapodosis, storia papale dall’886 al 950”)”. La preparazione culturale e spirituale dei pontefici lasciava molto a desiderare, gli standard morali di molti erano assai bassi e la regola del celibato non veniva seguita ovunque (Catholic Enciclopedia). San Pier Damiani (1007 – 1072), il più antico censore della sua epoca, ci descrive un inquietante quadro della decadenza della moralità del clero nelle fosche pagine del suo “Libro di Gomorra”. In questo documento, stranamente sopravvissuto a secoli di roghi di libri da parte della Chiesa, afferma: “Nei papi è presente una naturale tendenza all’omicidio e alla brutalità. Né costoro hanno la minima propensione a domare la loro abominevole lussuria; molti sono stati visti indulgere alla licenziosità per i piaceri della carne e, di conseguenza, usare tale libertà per perpetrare ogni sorta di crimine”. In Catholic Enciclopedia […] si legge: “In base alla testimonianza di san Bruno, vescovo di Segni, 105 all’epoca dell’elezione di Leone X (1049), l’intera chiesa era immersa nella dissolutezza […]; Simone Mago (simonia) imperava sulla chiesa, i cui papi e vescovi erano dediti alla lussuria e alla fornicazione”. La libidine dei chierici, come ci dice Isidoro (558 – 636), era così diffusa che non era più considerata un vizio, ma era tollerata. In una lettera a papa Zaccaria (741 – 752), Bonifacio (Winfrid Bonifatius), l’apostolo dei tedeschi, descrive una situazione assai decadente della Chiesa franca dell’VIII secolo: “[…] da più di ottanta anni i Franchi non tenevano assemblee ecclesiastiche […]; gli arcivescovi erano nelle grinfie […] di preti adulteri; c’erano diaconi che vivevano nella lussuria sin dalla giovinezza; così son pervenuti al diaconato e ancora mantengono di notte nei loro letti quattro, cinque o più concubine, né si vergognano di leggere il vangelo […] e in siffatte condizioni diventano sacerdoti, anzi persino vescovi”. La lotta della Chiesa contro il matrimonio dei preti, dunque, ebbe l’effetto contrario da quello sperato. Il clero si abbandonò al concubinaggio e all’incesto, divenuto una piaga non più eludibile se il Concilio di Metz del 753 proclamò: “Qualora i preti intrattengano rapporti sessuali con monache, madri, sorelle, se occupano posizioni gerarchiche elevate saranno deposti, se appartenenti al basso clero, saranno fustigati”. 106 Non c’è da meravigliarsi se persino papa Innocenzo III, il fautore delle crociate contro gli albigesi, scrisse che in Linguadoca (regione della Francia meridionale) l’origine del male che si era impadronito dei prelati di quelle regioni “risiede nell’arcivescovo di Narbonne” che “[…] nei dieci anni in cui ha retto la carica non ha visitato una sola volta la sua diocesi […] dove tutti possono osservare che preti e monaci […] hanno preso mogli e amanti e vivono di usura”. San Bonaventura di Bagnoregio (1217 ca – 1274), cardinale e generale dei francescani e poi dottore della Chiesa, paragonò Roma alla meretrice dell’Apocalisse, mentre Francesco Petrarca descrive la corte di Avignone al tempo di Clemente VI come “la vergogna dell’umanità, un covo di vizi, una fogna dove è raccolta tutta la sporcizia del mondo […]. Tutto quanto in quel luogo respira menzogna: […] soprattutto i letti”. Avignone è una cittadina della Francia meridionale collocata sulla sinistra del fiume Rodano. Di origini molto antiche, fu colonia greca e città romana col nome di Avenio, ebbe grande importanza allorquando papa Clemente V vi spostò la sede papale. Il periodo, che gli storici ricordano come “cattività avignonese”, va dal 1309 al 1377, quando Gregorio XI riportò a Roma la sede pontificia, sollecitato da Caterina da Siena e dallo stesso re di Francia impegnato nella guerra dei cent’anni. La causa dello spostamento ad Avignone della sede 107 papale risale ai contrasti tra il papa Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo il Bello che “pretendeva” che anche il clero pagasse le tasse. Ad Avignone si susseguirono i seguenti sette papi: ——Clemente V (1305 – 1314; Bertrand de Got) ——Giovanni XXII (1316 – 1334; Jacques d’Euse) ——Benedetto XII (1334 – 1342; Jacques Fournier) ——Clemente VI (1342 – 1352; Pierre Roger) ——Innocenzo VI (1352 – 1362; Etienne Aubert) ——Urbano V (1362 – 2370; Guillaune de Grimoard) ——Gregorio XI (1370 – 1378; Roger de Beaufort) A partire dal Concilio di Trento tali nefandezze diminuirono, almeno in apparenza, tanto che il teologo cattolico Curci nel 1883 scriveva: “[…] oggi le cose non vanno meglio che nel secolo XVI, prima dell’introduzione della riforma tridentina, quando le concubine dei prelati, accompagnate dai servi in livrea dei loro protettori, scorrazzavano per le vie di Roma. […] durante gli ultimi anni del pontificato di Pio IX in una provincia meridionale c’era una piccola diocesi, nella quale non ci fu prete, né il vescovo faceva eccezione, che non mantenesse pubblicamente la sua donna” (Fernando Liggio “Il celibato e le aberrazioni del clero cattolico”). F. Quaranta nel suo libro “Preti sposati nel medioevo” presenta cinque testi che vanno dall’XI al XIII secolo che ci danno testimonianza delle “sof108 ferenze e la resistenza opposta dai chierici ad una modifica violenta e ritenuta ingiusta, imposta alla tradizione del matrimonio dei preti, fino ad allora seguita e rispettata”. “Il primo testo in questione riguarda il vescovo Ulrico di Imola, nel 1059, con il suo deciso rifiuto all’attacco dei cosiddetti riformatori gregoriani contro il clero sposato […]. Il secondo testo, di un anonimo scoliaste (n.d.a: nell’antichità chi annotava i testi degli scrittori) italo–greco del 1037, commissionato da Nicola di Reggio, vescovo della Calabria bizantina, è una particolare e interessante difesa del matrimonio del clero. Il terzo, risalente al 1078 […], riporta un profondo, intelligente e sincero trattato a favore dei preti sposati […]. Il quarto è un discorso di Landolfo Seniore (storico dell’XI secolo) che attacca violentemente la Pataria, un movimento socio–religioso alleato con gli autodefinitesi riformatori gregoriani che […] considera e fa considerare i preti sposati come pubblici peccatori. Il quinto testo è a favore del clero sposato da parte di un ellefono dell’Italia meridionale, Nicola, abate del monastero di Casale presso Lecce: “[…] è contro la legge privare coloro che fanno parte del collegio sacerdotale dell’onorato matrimonio e dell’incontaminato talamo” (recensione di Marcello – “Sulla Strada” n°4/2000 del libro di F. Quaranta “Preti sposati nel Medioevo”, edizione Claudiana). 109 Nella storia della Chiesa molti papi furono sposati con figli e molti, pur non sposati, ebbero figli, sebbene deliberazioni conciliari li impegnassero a comportamenti diversi. Il cardinale John Farley, storico del cattolicesimo nonché arcivescovo di New York, riferendosi ai papi, ammise velatamente che “le antiche leggende delle loro vite dissolute potrebbero in parte corrispondere a verità […] che non sostennero in modo austero la virtù dei costumi sessuali, mentre l’ingiustizia era una prerogativa generale della corte papale, tuttavia è probabile che il perfezionamento morale fosse alla testa dei loro pensieri” (Catolic Encyclopedia, Pecci Ed., iii, pag. 207). Di norma la reale reputazione dei papi è stata rappresentata in modo talmente erroneo che molti non sanno che così tanti papi erano non solo depravati, ma anche i più crudeli e perfidi strateghi militari mai visti (Tony […] Nexus n° 68, pag 35). L’elenco che segue, sebbene non esaustivo nel numero né nelle informazioni concernenti i singoli papi, cerca di dare al lettore un aspetto, certamente non secondario, ma spesso nascosto dalle biografie cristiane, della vita dei pontefici che con l’esempio dovevano dar seguito alle posizioni assunte in merito al celibato del clero: Damaso I (366 – 384), eletto papa rinunciò a moglie e figlio. 110 Siricio (384 – 399), quando divenne papa, abbandonò la moglie. Sostenne la necessità per il clero sposato di dormire in letti separati. Anastasio I (399 – 401), a detta di San Girolamo, sarebbe il padre d’Innocenzo I, suo successore. Innocenzo I (401 – 417) sostenne le istanze di Siricio. Sisto III (432 – 440) fu processato per aver sedotto una suora. Si difese dicendo: “Lasciate che chi è senza peccato tiri la prima pietra”. (Marco Capurro “Venti secoli di papato”). Leone I Magno (440 – 461) affermò che i vescovi e i preti sposati dovevano trattare la moglie come sorella. S. Felice III (483 – 492), sposato, pare abbia avuto almeno un figlio, Gordiano, padre del futuro papa Agapito I. (www.santiebeati.it) S. Omisda (514 – 523), sposato, ebbe un figlio che divenne papa col nome di Silverio (536 – 537). Adriano II (867 – 872), sposato e con una figlia prima di essere eletto papa, viveva in Laterano con la moglie Stefania e la figlia da lei avuta. Sergio III (904 – 911) ebbe un figlio da Marozia la quale riuscì con le sue trame a farlo diventare papa col nome di Giovanni XI. Giovanni X (914 – 929) ebbe una figlia dall’amante Teodora, che in seguito “fu ripudiata”. Poi “adescò l’avvenente giovane figlia di Ugo di Provenza nel suo talamo papale” (tony…). Liutprando scrisse che fu 111 fatto papa perché era diventato l’amante di Teodora. Giovanni XI (931 – 935), figlio di Marozia e del papa Sergio III, come fu confermato dallo storico Flodoardo (894 – 966), fu dedito ai piaceri triviali e condusse una vita sfrenata e dissoluta. Giovanni XII (955 – 964), pronipote di Marozia, divenne papa a 16 anni. Manteneva un harem nel palazzo Laterano ed era sempre alla ricerca di nuove amanti, tanto che l’imperatore Ottone di Sassonia nel 961 gli scrisse una lettera d’accusa: “Tutti quanti, religiosi e laici, accusano Voi, Santità, di omicidio, spergiuro, sacrilegio, incesto con le vostre parenti, comprese due vostre sorelle, e di avere invocato, come un pagano, Giove, Venere e altri demoni”. Di queste accuse fu chiamato a rispondere dal sinodo convocato da Ottone stesso in San Pietro il 6 novembre 963 (Liutprando Cremonensis “Antapodosis”). Ma nel frattempo il papa era fuggito “in carrozza con due amanti e uno scrigno di gioielli, e riparò in un castello del Lazio (Indro Montanelli “Storia d’Italia”). Durante alcuni bagordi brindò a Sodoma e nominò la sua infame signora/prostituta Marcia responsabile del suo bordello a palazzo del Laterano (Antapodotis). Secondo il monaco cronista Benedetto del Soratte “gli piaceva avere intorno il suo gruppo di donne scarlatte e durante il processo intentato contro di lui 112 per l’assassinio di un suo avversario, il suo clero giurò che aveva avuto rapporti incestuosi con la sorella e violentate alcune monache (Annales of Beneventum sui monumenta Germaniae). Giovanni XII forse fu uno dei peggiori papi di tutti i tempi. Depravato, sempre circondato da prostitute e da ragazzi di vita, finì la sua indegna esistenza scaraventato fuori da una finestra dal marito della sua amante di turno, che lo aveva colto sul fatto (“in flagrante delicto”), una tale Stefanetta (www. eresie.it). Nel “The Oxford Dictionary of Popes di J. N. D. Kelly” (Oxford University Press, 1986, pag. 126) si legge: “Non aveva neanche diciott’anni, e le testimonianze dell’epoca sono concordi sul suo disinteresse per le cose spirituali, la sua dedizione ai piaceri triviali e la sua vita sfrenata e dissoluta”. Di lui Montanelli scrive (Storia d’Italia): “Giovanni XII era un giovane sensuale e turbolento. I suoi ritrovi preferiti erano la taverna e il bordello. Sotto la sua gestione il Vaticano non differì molto da questi locali. Alla cura delle anime, antiponeva quella dei corpi, specialmente femminili […]. Non c’era gentildonna e, dicono i maligni, gentiluomo che non fossero stati ospiti della sua alcova […]. Nessuna romana osava avventurarsi per le strade dell’Urbe ai cui angoli stavano appostati i lenoni (lenone: favoreggiatore, sfruttatore della prostituzione; ruffiano, mezzano – dal Grande Dizionario Garzan113 ti) del papa, pronti a rapire le donne e condurle con forza in Vaticano. Giovanni XII aveva un harem ben fornito e con le sue concubine era assai prodigo” Il cardinale Bellarmino disse di lui: “Fuerit fieri omnium deterrimus” (il peggiore di tutti i papi). Benedetto VII (975 – 983) fu ucciso da un marito geloso. Il cardinale Baronio nelle “Cronache” riferendosi a Benedetto VII, Benedetto V, Leone VIII, Giovanni XIII, li chiama “non apostolicos sed apostaticos” e ancora “nello scanno di Pietro siedono non uomini ma mostri con l’aspetto di uomini… vanagloriose messaline piene di brame carnali ed esperte in ogni forma d’orrore governano Roma e prostituiscono lo scanno di San Pietro per i loro favoriti o le loro puttane”. Giovanni XIII (965 – 972). Dalle notizie dateci da Liutprando da Cremona, morì per mano di un marito geloso. Bonifacio VII (974 – 984 – 985), è considerato dalla Chiesa, dal 1903, un antipapa. Visse per la soddisfazione dei sensi. Fuggì a Costantinopoli nel 974, dopo aver disonorato una giovinetta, portando con sé il tesoro di Pietro. Ritornato a Roma, viene ucciso a coltellate mentre era a letto con una delle amanti. Benedetto IX (1032 – 1044; 1047 – 1048), al secolo Teofilatto Muscolo, divenne papa all’età di 11 anni. I cronisti dell’epoca ne parlano come di un mostro d’immoralità. Nel 1045, per amore di una donna abdica lasciando il papato al suo padrino Giovanni 114 Graziano, che diventerà papa col nome di Gregorio VI, in cambio di 70 Kg d’oro. In seguito, lasciato dalla donna, decise di riprendersi il papato. Così si ebbero ben tre papi contemporaneamente: Silvestro III, Benedetto IX e Gregorio VI. Enrico di Germania, convocato un concilio a Sutra, giudica Silvestro un impostore, lo riduce allo stato laico e lo condanna in un eremo. Benedetto rinuncia spontaneamente all’incarico mentre Gregorio VI dove rinunciare perché accusato di simonia per i 70 Kg d’oro pagati. Pier Damiani fa un’amara considerazione: “Quel miserabile sguazzò nell’immoralità dall’inizio alla fine del suo pontificato”. Innocenzo IV (1243 – 1254), al secolo Sinibaldo Fieschi, fa pervenire al popolo di Lione che lo aveva ospitato, dopo il rifiuto inglese, un’incredibile lettera di ringraziamento, scritta dal cardinale Hugo, che la dice lunga sulla sua moralità e sui rapporti con le donne: “Durante il nostro soggiorno nella vostra città, noi (la curia romana) siamo stati di caritatevole assistenza per voi. Al nostro arrivo c’erano tre o quattro sorelle dell’amore, mentre alla nostra partenza vi abbiamo lasciato […] un bordello che si estende da una parte all’altra della città” (Marco Capurro “Venti secoli di papato”). Clemente IV (1265 – 1268), al secolo Guy Foulques, prima di farsi monaco certosino fu sposato ed ebbe due figlie. 115 Bonifacio VIII (1294 – 1303), al secolo Benedetto Caetani, fu un libertino, tanto da tenere con sé come amanti una donna sposata e la figlia di lei. Gli furono rivolte numerose accuse tra cui quella di sodomia (Wikipedia). “Bonifacio VIII, secondo alcune cronache è accusato di una relazione intima con una contessa francese, episodio che non siamo in grado di dimostrare” (Tony Bushby “La storia criminale del papato – Nexus n° 69 del 2007, pag. 43). Durante il processo che si svolse a Parigi contro di lui, settembre 1303, affermò, a conferma del disprezzo per la Chiesa che rappresentava: “Gesù Cristo non è mai esistito e l’eucaristia non è altro che farina e acqua. La madonna era una vergine tanto quanto lo era mia madre, e l’adulterio non è più peccaminoso che fregarsi le mani” (A history of the popes, Dr. Joseph Mc Cabe, Londra 1939). Niccolò V (1328 – 1329), al secolo Pietro Rainalducci di Corvara, sposato con figli, non era nemmeno prete. Fu eletto al soglio pontificio da un comitato di tredici membri rappresentanti del clero romano per volontà dell’imperatore Ludovico il Bavaro. Benedetto XII (1334 – 1342), al secolo Jacques Fournier, aveva voluto come amante la sorella di Francesco Petrarca che, pur essendo favorevole al celibato, inteso come valore aggiunto di ogni religioso, sottolineò come le alte sfere della gerarchia, papa compreso, praticassero sesso. Il papa addirittura riconosceva i figli (Nexus). 116 Clemente VI (1342 – 1352), al secolo Pierre Roger de Beaufort, ebbe diverse amanti e numerosi figli che, bisogna dire a suo merito, riconobbe tutti. I suoi incontri privati erano chiamati “sessioni di indulgenza plenaria”. Francesco Petrarca, in una lettera ad un suo amico vescovo così descrive l’Avignone di Clemente VI: “Sebbene infatti […] mai non vi trovassero albergo la fede e la carità, e di quel luogo ciò dir si possa ciò che già fu detto di Annibale, nulla essere in esso di vero, nulla di sacro, non timore di Dio, non santità dei giuramenti, non religione […]”. Urbano VI (1378 – 1379), al secolo Bartolomeo Prignano, ebbe figli e figlie. Clemente VII (1378 – 1394), al secolo Roberto di Ginevra, cugino del re di Francia, trascorse la sua esistenza passando da un letto all’altro. La Chiesa lo considera un antipapa. Giovanni XXIII, al secolo Baldassare Cossa (1410 – 1415), prima di pervenire al soglio pontificio era conosciuto per essere un ex pirata, un avvelenatore, un uccisore di massa, un fornicatore con una predilezione per le suore, un adultero e un magnaccia. La chiesa l’ha cancellato dagli elenchi perché lo considera un antipapa. Il giorno di tutti i santi del 1414 aprì il concilio di Costanza (erano presenti, dicono le cronache dell’epoca, circa 1200 prostitute per il clero) e il gior117 no di Natale l’imperatore Sigismondo gli ordinò di dare le dimissioni. Fuggito a Schaffausen, è ripreso dalla guardie imperiali e ricondotto a Costanza dove fu accusato di pirateria, assassinio, violenza carnale, sodomia ed incesto. A Roma era noto che l’unica forma d’esercizio fisico che faceva era quella a letto. Secondo la cronaca del tempo, mentre era legato pontificio sedusse 200 donne e un numero simile di uomini. (Gibbon “The decline and fall; fernandoliggio.org/art13.pdf) Eugenio IV (1431 – 1447), al secolo Gabriele Condulmer, trascorse la maggior parte dei nove anni del suo esilio vivendo nei bordelli di Napoli (enciclopedia di Diderot –Nexus n°69 del 2007, pag. 44) Felice V (1439 – 1449), sposato con Maria figlia di Filippo II l’Ardito, ebbe un figlio, Amedeo di Savoia. Pio II (1458 – 1464), al secolo Enea Silvio Piccolomini, trascorse “una giovinezza spensierata allietata dall’amore di una certa Angela, cantata nei suoi versi col nome di Cinthia (Claudio Rendina – I papi, storia e segreti)”. Durante una missione in Scozia presso Giacomo I, affidatagli dal cardinale Albergati, ebbe un’”esperienza inebriante […] ricca di piccanti avventure, frutto delle quali furono due figli, avuti da una scozzese e da una brettone”. Sisto IV, al secolo Francesco Della Rovere, (1471 – 1484). Ebbe diversi figli chiamati, come voleva il 118 costume dell’epoca “i nipoti del papa”. I cronisti suoi contemporanei scrivono che Pietro Riario fu il suo favorito e lo storico Theodor Griesinger ritiene fosse nato dall’amore incestuoso con la sorella. Fu il primo papa a concedere una licenza legale ai bordelli di Roma. Concesse, inoltre, ai preti di poter tenere una compagna dopo aver pagato l’apposita tassa. Si legge che fece progetti perché i monasteri diventassero “bordelli pieni di prostitute di primissima scelta, scarne per digiuno ma colme di lussuria” (A history of the popes; analoghe descrizioni dei conventi di secoli precedenti sono reperibili anche negli Annali di Hildesheim 890 c.a.). Il cancelliere d’Infessura scrive che fu bisessuale e un gran pederasta, tanto che molti furono coloro che ricevettero l’ordinazione cardinalizia come ricompensa dei piaceri sessuali ricevuti. Innocenzo VIII (1484 – 1492), al secolo Giovan Battista Cybo, non sposato, ebbe molti figli. Ne riconobbe ufficialmente due, Franceschetto e Teodorina; gli altri erano considerati nipotini e vivevano a corte. Fu lo stesso Innocenzo VIII a celebrare in Vaticano il 20 gennaio 1488 le nozze di Franceschetto con Maddalena, la figlia del signore di Firenze. Un cronista del tempo commenta “che fu grave scandalo vedere il santo padre partecipare al banchetto in compagnia di alcune belle donne in occasione del matrimonio della nipote Peretta con Alfonso del Carretto, marchese di Finale”. 119 Nonostante le numerose richieste contro il concubinaggio, le disattese e qualcuno, molto ironicamente scrisse: “Sua santità si alza la mattina dal suo letto di puttane per aprire e chiudere i cancelli del Purgatorio e del Paradiso”. I suoi unici interessi furono le donne e il sesso. Il vaticano divenne un’istituzione governata dalla sua numerosa progenie di figli illegittimi, mentre i costi per il mantenimento delle sue donne, figli e figlie assunsero dimensioni gigantesche (Tony Bushby “La storia criminale del papato”, Nexus n° 69 del 2007, pag. 48). Innocenzo morì il 25 Luglio 1492 lasciando numerosi figli (Octo Nocens pueros genuit, totidemque puellas; Hunc merito poterit dicere Roma patrem: Innocenzo generò otto figli maschi e altrettante figlie; così a buon diritto Roma potrà chiamarlo padre – Gianfranco “Incontri con Pasquino”, Roma 2004, pag 24). Jacob Burckhardt così parla del figlio Franceschetto: “Innocenzo VIII e suo figlio (Franceschetto Cybo) eressero addirittura una banca di grazie temporali, nella quale, dietro il pagamento di tasse alquante elevate, poteva ottenersi l’impunità per qualsiasi assassinio o delitto […] (La civiltà del Rinascimento in Italia). Alessandro VI (1492 – 1503), al secolo Rodrigo Borgia, non sposato, ebbe sette figli. Arciverscovo di Valencia era famoso perché faceva sesso con una 120 signora e le sue due bellissime figlie che lo seguirono anche in Italia. Da una di loro, Giovanna Cattanei detta Vannozza, ebbe il figlio Cesare e la figlia Lucrezia. Alla sua corte c’era ogni perversione, dalle orge all’incesto. “Il suo percorso terreno fu disseminato di numerosi figli, ovviamente tutti illegittimi. Da una relazione con Giovanna Cattanei nacquero quattro figli e altri tre da una donna sconosciuta. Nel corso del suo pontificato gli nacquero altri due figli, mentre la sua amante ufficiale fu Giulia Farnese, moglie di Orsino Orsini (www.ratzingerbenedettoXVI.com). Secondo le cronache dell’epoca con Lucrezia, definita “figlia, moglie e nuora del papa” generò dei “nipotini”. Anche la quindicenne Giulia Farnese divenne sua amante (concubina papae, ovvero, in termini blasfemi, “sposa di Cristo”) e nel “Diarum” di Burchard si legge che la figlia di Giulia, Laura, aveva come padre Alessandro VI. Giulio II (1503 – 1513), al secolo Giuliano della Rovere, non sposato, fu un donnaiolo impenitente e da cardinale ebbe tre figli. Tra i suoi contemporanei ebbe fama di sodomita come scrisse nel 1509 il diarista veneziano Girolamo Priuli: “Conduzeva cum (con) lui li sui ganimedi, id est (cioè) alchuni bellissimi giovani, cum li quali si diceva publice (pubblicamente) che l’havea acto carnale cum loro, ymmo che lui era patiente (passivo) et se dilectava molto di questo citio sogomoreo, cossa veramente abhoren121 da in chadauno” (G. Priuli, Diarii). Questa testimonianza va presa con le dovute precauzioni poiché Giulio II era un nemico dichiarato della Repubblica di Venezia e Priuli era veneziano. La sua fama di sodomita, comunque, venne sfruttata dai protestanti contro il papismo. Leone X, al secolo Giovanni di Lorenzo de’ Medici (1513 – 1521), ebbe una passione, giudicata eccessiva dai suoi contemporanei, per le bellezze mondane. “È indiscutibile, afferma Claudio Rendina, che lussuria e corruzione dei costumi giunsero sotto Leone X alle forme più abiette”. Domenico Romoli, suo cuoco personale, era un esperto di erbe, di essenze e di ricette afrodisiache. Di queste approfittava il pontefice, specialmente durante i frequenti festeggiamenti in compagnia delle “amiche” Beatrice Ferrarese e Lucrezia da Clarice, soprannominata “Matrema non vole” per la risposta che soleva dare ai suoi amanti. Francesco Guicciardini, suo contemporaneo, ci parla della sua presunta omosessualità: “credettesi per molti, nel primo tempo del suo pontificato, che e’ fusse castissimo; ma si scoperse poi dedito eccessivamente, e ogni dì più senza vergogna, in quegli piaceri che con onestà non si possono nominare” (F. Guicciardini, Storia d’Italia, libro XVI, cap. 12). L’accusa di sodomia venne fortemente e comprensibilmente sostenuta dai protestanti. 122 Clemente VII (1523 – 1534), al secolo Giulio de’ Medici. Guicciardini ci tramanda che era eccessivamente dedito ai piaceri della carne, specialmente a quelli che per decenza non possono essere menzionati. Paolo III (1534 – 1549), al secolo Alessandro Farnese, non sposato ebbe tre figli e una figlia. Per il suo libertinaggio fu soprannominato il cardinal sottana. Ordinò che “i colpevoli e i sospetti (di reati contro l’ortodossia e la morale) devono essere imprigionati e giudicati fino alla sentenza finale (morte)”. Ciò nonostante viveva tranquillissimo con le sue diverse partners (una l’aveva sposata prima di accedere agli ordini) e i suoi figli legittimi (ne legittimò solo tre, Pier Luigi, Paolo e Costanza) e illegittimi. Paolo III, quindi, praticava materialmente quanto proibiva ai fedeli. Paradossalmente, con la bolla del 22 Maggio 1542 convocò, su pressione del Contarini, il Concilio di Trento che ebbe inizio il 13 Dicembre 1545. Giulio III, al secolo Giovanni Maria Ciocchi del Monte, “impose al fratello Baldovino di adottare un certo Fabiano […] un quindicenne depravato che assunse il nome d’Innocenzo del Monte; è molto probabile che fosse figlio del papa, perché resterebbero inspiegabili tante premure ed affetto per un essere così abietto (Claudio Rendina, I papi – storia e segreti, Newton & Compton Editori)”. 123 Pio IV (1559 – 1565), al secolo Giovanni Angelo Medici di Marignano, non sposato, fu padre di tre figli naturali (Corpus Canada). Gregorio XIII ( 1572 – 1585), al secolo Ugo Boncompagni, non sposato, ebbe un figlio, Giacomo, che legittimò. 124 la situazione oggi all’interno della chiesa Io credo che oggi molti preti si sentano eunuchi, resi tali dagli uomini, mentre la scelta di castità dovrebbe tornare ad essere assunta in piena libertà da tutti quei sacerdoti che la ritengono adeguata al proprio personale cammino spirituale. Oggi il celibato risulta essere una norma restrittiva ormai pesante da gestire, soprattutto perché non più supportata da quei canali di sublimazione che in passato intervenivano offrendo al prete naturali giustificazioni sostitutive. (Pier Giorgio Rauzi) Numerose sono oggi le associazioni di preti sposati sia in Italia che nel resto del mondo. È un fenomeno di lungo percorso, precedente il caso Milingo, che ha tenuto banco sui media internazionali e ha determinato prese di posizioni all’interno della Chiesa Latina, solo anni prima impensabili, che ci dicono dello stato di malessere diffuso tra i sacerdoti. Il papa e i suoi più stretti collaboratori, fuori del secolo in cui viviamo, continuamente stravolto da 125 cambiamenti che investono tutti gli aspetti del vivere, cercano, come sempre hanno fatto, di piagare la ferita, che però non accenna a rimarginarsi, usando sempre i soliti metodi, vecchi quanto antica è la Chiesa, che i governi assoluti, e la Chiesa è uno di questi, usano: la minaccia e il ricatto avvolti dal dovere dell’obbedienza. Tra i fautori del matrimonio dei sacerdoti, ricordiamo Nicola d’Antiochia, II secolo, che sosteneva che il celibato per gli ecclesiastici non era necessario (la Chiesa lo considera un eretico e a lui fa risalire la dottrina del nicolaismo); il vescovo di Milano Elvidio, IV secolo, convinto assertore della superiorità del matrimonio nei confronti del celibato, affermò, tra l’altro, che Maria, dopo Gesù, ebbe da Giuseppe altri figli (fu scomunicato tra il 390 e il 392). Più recentemente, Leon Joseph Suenens (1904 – 1996), cardinale belga di forte personalità, durante il Concilio Vaticano II propose di ripristinate il diaconato come ordine permanente anche per gli uomini sposati e non solo come preparazione al sacerdozio. In seguito divenne uno dei più tenaci oppositori del celibato ecclesiastico, entrando in contrasto con Paolo VI. Il 2 Febbraio 1970, dopo che in Olanda si ebbero alcune prese di posizione pubbliche a favore del matrimonio dei sacerdoti, Paolo VI sente la necessità d’inviare una lettera all’allora segretario di stato, cardinale Villot, nella quale si legge: “Signor cardi126 nale, le dichiarazioni rese pubbliche in questi giorni in Olanda sopra il celibato ecclesiastico ci hanno profondamente addolorato ed hanno sollevato tante questioni sul Nostro spirito: per i motivi di così grave atteggiamento, contrario alla sacrosanta norma vigente nella nostra Chiesa Latina; per le ripercussioni in tutto il popolo di Dio, specialmente nel clero e nei giovani che si preparano al sacerdozio; per le conseguenze perturbatrici nella vita dell’intera Chiesa e per la risonanza che essa provoca presso tutti i cristiani, ed anche tra gli altri membri della famiglia umana. […] Ci sentiamo in dovere di riaffermare chiaramente ciò che Noi abbiamo già dichiarato e più volte ripetuto, cioè che il legame tra sacerdozio e celibato, stabilito da secoli dalla Chiesa Latina, costituisce per essa un bene sommamente prezioso e insostituibile. Sarebbe grave temerità sottovalutare o addirittura lasciar cadere in desuetudine questo legame consacrato dalla tradizione, segno incomparabile di una dedizione totale all’amore di Cristo (cfr. Matth.12, 29). […] Quanto ai preti che fossero venuti a trovarsi, malauguratamente, nella impossibilità radicale di preservarlo – Noi sappiamo che si tratta solo di un piccolo gruppo […] – è con gran dolore che Noi ci induciamo ad accogliere la loro istante preghiera di essere prosciolti dalla loro promessa e dispensati dai loro obblighi, dopo un attento esame di ogni singolo caso. […] La Chiesa, pertanto, continuerà domani 127 come ieri ad affidare il divino ministero della parola, della fede e dei sacramenti della grazia ai soli sacerdoti che restino fedeli ai loro obblighi”. Romeo Fabbri (Sulla Strada, 1994, n° 31) si rivolgeva in questi termini a Giovanni Paolo II: “Ciò che si può sperare alle soglie del terzo millennio, è che Giovanni Paolo II […] tolga definitivamente quel nefasto obbligatorio legame tra celibato e ministero ordinato che è stato introdotto all’inizio del secondo millennio; legame che, dopo quella data, non è stato osservato dalla maggior parte dei preti e che ha procurato troppi misfatti nella vita personale dei ministri e in quella pubblica delle comunità ecclesiali, e può essere solo quello liberamente scelto per amore del regno dei cieli […] (M. Fumagalli “Le donne dei preti nella chiesa cattolica”). Ma Giovanni Paolo II aveva già risposto con la “lettera circolare” del 14 Ottobre 1980 (prot. n° 1281615) della “Sacra Congregatio Doctrina Fidei”: “Nella lettera rivolta a tutti i sacerdoti della Chiesa il giovedì santo 1979, il sommo pontefice Giovanni Paolo II, riferendosi […] alla dottrina esposta dal Concilio Vaticano II, successivamente da Paolo VI nell’enciclica Sacerdotalis Caelibatus e poi dal sinodo dei vescovi del 1971, ha nuovamente illustrato con chiarezza la grande stima che si deve avere del celibato sacerdotale nella Chiesa Latina. Il Santo Padre ricorda che si tratta di cosa di grande importanza che è particolarmente connes128 sa con la dottrina del Vangelo. Dietro l’esempio di Cristo Signore e in conformità con la dottrina apostolica e la sua propria tradizione la Chiesa Latina ha voluto e vuole tuttora che tutti coloro che ricevono il sacramento dell’ordine abbraccino anche questa rinuncia, non solo come segno escatologico, ma anche come “il segno di una libertà che è a sua volta ordinata al ministero”. Osserva, infatti, il sommo pontefice: “Ogni cristiano che riceve il sacramento dell’ordine s’impegna al celibato con piena coscienza e libertà, dopo una preparazione pluriennale, una profonda riflessione e un’assidua preghiera. Egli prende la decisione per la vita nel celibato dopo essere giunto alla ferma convinzione che Cristo gli concede questo dono per il bene della Chiesa e per il servizio degli altri […]. È ovvio che una tale decisione obbliga non soltanto in virtù della responsabilità personale. Si tratta qui di mantenere la parola data a Cristo e alla Chiesa”. Del resto i cristiani uniti in matrimonio hanno il diritto […] di aspettarsi “il buon esempio e la testimonianza della fedeltà alla vocazione fino alla morte”. Il 21 Ottobre 2003, un giorno dopo che il papa Giovanni Paolo II aveva annunciato la sua nomina al porporato, il cardinale scozzese Keith Micha O’brien, attuale presidente della Conferenza Episcopale Scozzese, si espresse a favore del clero sposato, del clero omosessuale e della pillola contraccettiva, irritando il Vaticano, che intervenne e alcuni giorni 129 dopo il prelato nella cattedrale di Edimburgo così si espresse: “Io attesto che accetto e intendo difendere la legge del celibato ecclesiastico così come proposta dal magistero della Chiesa cattolica […].” Ma una settimana dopo, in un’intervista al “Daily Telegraph” caldeggia l’idea di un clero sposato augurandosi che i vertici della Chiesa incomincino a discuterne. Le stesse motivazioni addotte da Giovanni Paolo II, corredate da citazioni evangeliche e paoline, vengono ribadite in un’intervista concessa il 12 Febbraio 2006 al quotidiano “Il Meridiano” da sua eminenza, il cardinale Dario Castrillòn Hoyos, prefetto per la Congregazione per il clero. Alla domanda se il celibato dei sacerdoti è una questione disciplinare e di legislazione ecclesiastica che si potrebbe cambiare, il cardinale dà la seguente risposta: “[…] il celibato per i cristiani non costituisce una questione […] ma è un dono di Dio che la Chiesa riceve continuamente e vuole custodire, convinta che esso è un bene eccelso per se stessa e per il mondo intero. Il magistero della Chiesa lo ha ribadito fin dai tempi apostolici e lo ha riaffermato più volte anche nell’ultimo concilio ecumenico (n.d.a: Concilio Vaticano II) e in modo particolare nella Costituzione Lumen Gentium dove troviamo quest’affermazione: “eccelle questo prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni (cf. Mt 19,11; 1 Cor. 7, 7) di votarsi a Dio solo più facilmente e con un cuore 130 senza divisioni (cf. 1 Cor. 7, 32–34) nella verginità e nel celibato”. […] Il Decreto conciliare Presbiterorum ordinis […] dichiara: “la perfetta e perpetua continenza per il Regno dei Cieli, raccomandata da Cristo Signore (cfr. Mt. 19,12), nel corso dei secoli e anche ai giorni nostri gioiosamente abbracciata e lodevolmente osservata da non pochi fedeli, è sempre stata considerata dalla Chiesa come particolarmente confacente alla vita sacerdotale”. Esiste, infatti, uno stretto legame del celibato con l’ordinazione sacerdotale, sacramento che configura ontologicamente il sacerdote a Gesù Cristo, Capo e Sposo della Chiesa. Aggiungo che il celibato sacerdotale è, sì legge ecclesiastica, ma la normativa canonica non deve essere intesa come un’imposizione arbitraria della Chiesa […]. La legge ecclesiastica del celibato ha la sua radice nel mistero di Cristo e della sua Chiesa. D’altronde non possiamo dimenticare che tutta la legislazione ecclesiastica ha il suo fondamento nella volontà salvifica di Dio Padre, realizzata in Cristo, per mezzo dello Spirito Santo. La norma canonica guida la Chiesa nella missione che Cristo le ha affidato: di essere sacramento universale di salvezza. […] Il magistero della Chiesa, anche dopo l’ultimo concilio ecumenico, ha ribadito che esistono motivazioni teologiche di natura cristologica, ecclesiologica ed escatologica […]. 131 Il primo enunciato è di natura cristologica: Cristo, il quale è vissuto celibe, ha chiesto agli apostoli di imitarlo e di seguirlo con un cuore non diviso e di lasciare tutto, per portare all’umanità intera, fino ai confini della terra e in attesa della sua venuta, la salvezza da lui stesso conquistata sulla croce. Il secondo è di natura ecclesiologica: il sacerdote quale ministro sacro di Cristo è chiamato ad amare la Chiesa nel modo totale ed esclusivo con cui Cristo Capo e Sposo l’ha amata, vale a dire con tutto se stesso, anima e corpo, testimoniando così l’amore sponsale di Cristo verso la Chiesa, sua Sposa, e ricevendone un’ampia paternità spirituale in Cristo. Il terzo enunciato è di natura escatologica: mediante la sua piena comunione e la sua donazione personale a Cristo e alla sua Chiesa, il presbitero prefigura e anticipa nel mondo la comunione e la donazione perfette e definitive che Cristo avrà con la sua Chiesa, nella vita eterna, essendo così segno vivente di quel mondo futuro”. In questa luce si possono più facilmente capire i motivi della scelta plurisecolare che la Chiesa Latina ha fatto e mantiene: “di conferire l’ordine sacerdotale solamente agli uomini che diano prova di essere chiamati da Dio al dono della castità nel celibato assoluto e perpetuo”, come si afferma nell’Esortazione Apostolica “Pastore dabo vobis”. Del resto, i cristiani uniti nel matrimonio hanno il diritto di aspettarsi dai sacerdoti “il buon esempio 132 e la testimonianza della fedeltà alla vocazione fino alla morte”. Roland Minnerath, vescovo cattolico di Dijon (Francia), nel suo recente libro “Aux Bourguignons qui croient au Ciel et a ceux qui n’y croient pas (Agli abitanti della Borgogna che credono al cielo e a quelli che non ci credono)”, esprime delle riflessioni critiche sul celibato obbligatorio, indicando una soluzione che potrebbe essere presa in esame, se solo il Vaticano lo volesse. “Il celibato, scrive Minnerath, è una questione di disciplina. Ma, un giorno ci si accorge che questa tradizione rischia di privare di preti alcune comunità, al punto di portarle alla scomparsa, perché non modificarla?”. Sottolinea che “non si tratta di passare […] dal celibato al matrimonio” perché “ il dono del celibato resta intero e magnifico. Si tratterebbe soltanto, in casi eccezionali (per permettere alle comunità di sopravvivere) di consentire l’ordinamento di uomini sposati (viri probati), con figli già grandi ed autonomi finanziariamente”. Nello stesso periodo “Le Figarò” denunciava una “caduta vertiginosa” delle vocazioni in Francia che avrà gravi conseguenze per molte comunità che in un futuro non molto lontano si vedranno privati di una guida spirituale: nel 1966 furono ordinati 566 nuovi sacerdoti, nel 2004 solo 90, una debacle (!) dell’84 per cento. L’Abbé Pierre, nel suo ultimo libro intervista col giornalista e filosofo Frédéric Lenoir “Mon Dieu… 133 Pourquoi? (Dio mio… perché?)”, confessa di avere sperimentato il desiderio sessuale: “Ho deciso molto presto di dedicare la mia vita a Dio e agli altri, ma il voto di castità non elimina il desiderio sessuale. Anch’io ho talvolta ceduto, in modo passeggero, senza relazioni stabili con una donna”. Nel commentare il Codice da Vinci e la teoria del possibile rapporto tra Gesù e Maria Maddalena, afferma: “Non vedo alcun argomento teologico che proibisca a Gesù, il Verbo incarnato, di conoscere un’esperienza sessuale”. Quindi si dichiara non ostile ai preti sposati, raccontando: “Conosco preti che vivono in concubinato con una donna che amano da anni e che accettano bene questa situazione. Continuano ad essere buoni preti.” È convinto per ciò che nella Chiesa Cattolica Latina debbano convivere “preti sposati e preti celibi che possano consacrarsi totalmente alla preghiera e agli altri”. Il cardinale Godfried Danneels, arcivescovo di Bruxelles e presidente della Conferenza Episcopale Belga, in un’intervista al quotidiano belga ”La dernière Heure/Les Sport” del 9 Marzo 2006, alla domanda se “il matrimonio dei preti è impossibile da prendere in considerazione?”, dà la seguente risposta: “Il suo divieto deriva da una legge cosiddetta positiva della Chiesa, il che significa che può essere cambiata. Si tratta di una legge disciplinare, che non è fondata sul sacerdozio. Di fatto si può essere preti senza essere celibi: così nella Chiesa Orientale la 134 maggior parte dei preti è sposata […]. Il più grande ostacolo per il prete non è il celibato, ma la difficoltà di dare la propria vita per cause invisibili. Ci si sente anche soli a volte.” Il cardinale elettore brasiliano Claudio Hummes, appena eletto prefetto per La Congregazione per il Clero, il 3 Dicembre 2006, prima di partire per Roma per presiedere al nuovo incarico, rilascia al quotidiano “Estado do Sao Paolo” un’intervista molto progressista sulla possibilità che si possa abolire il celibato sacerdotale. Ancora una volta il Vaticano, preoccupato da dichiarazione di tale pregnanza, per di più rilasciate da un alto prelato, interviene e non soddisfatto di quanto il cardinale dichiara al suo arrivo a Roma (“Io non ho nessuna dottrina sul celibato dei sacerdoti: quello che dico è quello che la Chiesa dice. E ovviamente è il pontefice che guida la Chiesa, io sono al suo servizio”.) lo costringe, quasi un’umiliazione, a rilasciare una dichiarazione scritta pubblicata sul “Bollettino della sala stampa della Santa Sede” che smentisce nella sostanza le dichiarazioni del giorno precedente. Il cardinale Hummes aveva dichiarato all’“Estado do Sao Paolo”: “Partendo dalla considerazione che i celibi fanno parte della storia e della cultura cattolica, la Chiesa può riflettere sopra questo tema, perché il celibato non è un dogma ma una forma disciplinare”. Aggiunge che alcuni apostoli, come ab135 biamo già visto, erano sposati e che la proibizione del matrimonio e la regola del celibato sacerdotale furono introdotte secoli dopo. Non essendo un dogma, quindi, si presta ad una possibile, per molti, opportuna, riforma. Sia anatema! Si sarebbe gridato secoli prima. Ma al giorno d’oggi basta una smentita ufficiale scritta e data ai media. “La Chiesa dovrà in primo luogo discuterne e ridiscuterne” perché essa, ha precisato, “non è immobile e quando è necessario sa cambiare anche se vuole i suoi tempi”. Vale la pena riportare la dichiarazione ufficiale di Sua Eminenza Carlo Hummes, pubblicata sul “Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede”: “A proposito degli echi suscitati dalle mie parole riportate dal giornale Estado do Sao Paolo desidero precisare quanto segue. Nella Chiesa è sempre stato chiaro che l’obbligo del celibato per i sacerdoti non è un dogma, ma una norma disciplinare. Tanto è vero che essa vale per la Chiesa Latina, ma non per i riti orientali, dove, anche nelle comunità unite alla Chiesa Cattolica, è normale che vi siano preti sposati. È, tuttavia, anche chiaro che la norma del celibato per i sacerdoti nella Chiesa Latina è molto antica e poggia su una tradizione consolidata e su forti motivazioni, di carattere sia teologico–spirituale sia pratico– pastorale, ribadite anche dai papi. Anche nel recente sinodo dei vescovi sui sacerdoti l’opinione più dif136 fusa fra i padri è che un allargamento della regola del celibato non sarebbe stato una soluzione neppure per il problema della scarsità di vocazioni, che è da collegare piuttosto ad altre cause, a cominciare dalla cultura secolarizzata moderna, come dimostra l’esperienza anche delle altre confessioni cristiane, che hanno sacerdoti o pastori sposati. Tale questione non è quindi attualmente all’ordine del giorno delle autorità ecclesiastiche, come recentemente ribadito dopo l’ultima riunione dei capi dicastero con il Santo Padre”. Quasi a voler mettere un sigillo alla dichiarazione, ecco come si esprime Benedetto XVI nel suo discorso ai vescovi brasiliani dell’11 Maggio 2007: “Tenete sempre presente che il celibato sacerdotale costituisce un dono che la Chiesa ha ricevuto e vuole conservare, convinta che esso è un bene per lei e per mondo”. Meglio troncare di netto il discorso che affrontare il problema che viene vissuto con sofferenza da un numero sempre più crescente di sacerdoti. Il cardinale Cormac Murphy O’Connor, vescovo di Londra e presidente della Conferenza Episcopale dell’Inghilterra, in un’intervista al “Financial Times” del 27 Dicembre del 2007, riguardo all’ordinazione sacerdotale relativa al celibato risponde che “La Chiesa può cambiare e dire sì”. “Noi abbiamo un certo numero di preti sposati in questa diocesi, continua il cardinale, che erano in precedenza anglicani 137 e che sono già sposati”. Rivolgendosi poi all’intervistatore: “Se tu mi chiedi: pensi che la Chiesa possa cambiare e ordinare molti uomini sposati? La risposta è: sì, è possibile”. Parlando di “uomini sposati” il cardinale O’Connor si riferisce ai cosiddetti “viri probati” che, dopo aver dato per anni un buono e continuo esempio di vita cristiana, potrebbero ricevere l’ordinazione sacerdotale. Il tema era stato affrontato nell’ultima assemblea del sinodo dei vescovi tenutosi a Roma dal 2 al 16 Ottobre 2005, in cui alcuni padri, come emerge nella proposizione 11, hanno fatto riferimento ai “viri probati” per dare soluzione alla crisi delle vocazioni che priva numerosi fedeli di un punto di riferimento importante qual è il sacerdote. Ma, come al solito, il papa e la Chiesa hanno ribadito la linea della tradizione, lontana duemila anni dalle necessità del nuovo secolo. “La questione (n.d.a: dell’ordinazione di uomini sposati) può essere posta come avviene nella Chiesa greco–cattolica”, dichiara il cardinale francese Roger Etchegaray, presidente emerito del “Pontificio Consiglio Giustizia e Pace”, in un’intervista al quotidiano francese “Le Parisien” il 12 Novembre 2007. 110 laici cattolici partecipanti ad un corso di teologia ed ispirati dalla lettura del libro di Carlos Mesters, carmelitano e noto biblista brasiliano, “Com Jesus na cantramao” (Con Gesù controcorrente) scrivono una lettera a Benedetto XVI, pubblicata 138 dal quotidiano nazionale brasiliano “Folha de Sao Paulo” il 28 Settembre 2007 con la quale esprimono la propria insoddisfazione circa l’insensibilità vaticana, auspicando l’apertura di un dibattito sui problemi aperti tra i quali l’ammissione al sacerdozio di uomini sposati e il reintegro nell’ordine dei preti sposati. Il dibattito è tanto urgente, sottolineano, in quanto in Brasile c’è un prete ogni 10.000 abitanti (in Italia il rapporto è un prete ogni 1.000 abitanti). Nella lettera, firmata a nome dei 110 laici dall’ex postulante francescano Carlos Alberto Roma, si legge: “Cresce la nostra insoddisfazione, in quanto laici cattolici, rispetto all’insensibilità della gerarchia della nostra Chiesa che è in Vaticano. La questione di fondo è l’esplicita mancanza di coraggio nel compiere i passi necessari per condurre la Chiesa nel XXI secolo, specialmente attraverso l’apertura ai laici […]. Noi laici chiediamo perdono per avere osato inviare questa lettera direttamente a Sua Santità, senza passare attraverso le istanze competenti. Ma questo tema è molto delicato e le istanze locali non sono autorizzate a discuterlo. Sollecitiamo allora che si apra questo dibattito. Nelle nostre celebrazioni domenicali abbiamo posto delle domande alle nostre sorelle e ai nostri fratelli della parrocchia e abbiamo constatato che più del 95% ritiene che la nostra Chiesa debba compiere nuovi passi. Il Brasile ha, in proporzione, il minor numero di preti cattolici nel mondo […]. Di fronte a questa 139 grave carenza […] noi chiediamo: perché non riconoscere il sacerdozio di uomini sposati e il sacerdozio femminile e ricondurre i preti sposati al servizio della Chiesa? Sappiamo che nel corso della storia, 39 papi sono stati sposati. Il primo fu l’apostolo Pietro (Lc 4, 38–39). Secondo le ricerche del Centro di Statistica Religiosa e di Ricerche Sociali, pubblicate il 31 Gennaio 2006, in Brasile esistono circa 5.000 preti sposati senza diritto di esercitare il proprio ministero. La maggior parte sente palpitare il proprio cuore nella vocazione al sacerdozio. Non si tratta di un atto violento contro il Signore della vita che ha inviato missionari a lavorare? […] I tempi attuali spingono ad operare una vigorosa revisione e a cambiare i nostri paradigmi. Esortiamo Sua Santità a creare una commissione, composta anche da laici e laiche, per approfondire (le) questioni: ——creazione di due modelli di sacerdozio: a) per i celibi; b) per i preti sposati […] ——reintegrazione in servizio alla Chiesa dei preti già sposati e che sentono ancora la vocazione per il sacerdozio […]. La gerarchia della nostra Chiesa cattolica continuerà ad essere indifferente? O si aprirà allo Spirito Santo e farà un passo avanti? Non possiamo ulteriormente rimandare tale dibattito […] (da “il dialogo, lunedì 29 Ottobre 2007)”. 140 Come è difficile fermare un fiume in piena mentre continua a piovere, allo stesso modo è difficile mettere un freno alle continue prese di coscienza di quei sacerdoti, sempre più numerosi, pronti a recepire l’aria nuova che investe la quiete stanca del Vaticano. Lo stato di malcontento latente e la presa di coscienza del clero, dall’ordine più basso a quello più alto, è così evidente che non basta più l’intervento autoritario del papa a fermare l’anelito di libertà che sta vibrando nella Chiesa latina. Come si può, infatti, non tenere in debito conto la voce autorevole del vescovo di Friburgo Robert Zollitsch, appena eletto presidente della Conferenza Episcopale Tedesca? Zollitsch, in un’intervista al settimanale “Der Spiegel” del 17 Febbraio 2008, si dichiara favorevole al matrimonio per i preti “perché il celibato non è un precetto di diritto divino ma ecclesiastico”. Va ancora oltre quando accetta le unioni omosessuali, sottolineando che non si tratta “di liberalità perché è una realtà sociale. Come cattolico il mio ideale sono ovviamente il matrimonio e la famiglia, ma se esistono persone con questa predisposizione, lo Stato può adottare le opportune regolamentazioni”. Poi, dicendosi “contrario al divieto di riflessione” sulla rinuncia al celibato, rende più esplicito il suo pensiero: “Constatiamo la diminuzione delle vocazioni, la sfida del Vangelo è difficile da trasmettere. 141 È ovvio che il collocamento tra l’essere prete e il celibato non è teologicamente necessario”. Come per Hummes, dunque, anche per Zollitsch il celibato non è un precetto divino. Semplice coincidenza? Non credo, visto che anche i preti brasiliani, il 21 Febbraio 2008, scrivono una lettera al presidente per la Congregazione per il Clero, cardinale Hummes affinché la consegni a Benedetto XVI. L’istanza al pontefice è parte integrante del documento finale della loro convention nazionale, ad Indaia Tuba, nello stato di San Paolo, terminata il 19 febbraio. I preti brasiliani, nel chiedere che venga loro concessa la possibilità di avere una famiglia, sostengono due tipi di sacerdozio: il celibatario, che potrebbe essere obbligatorio solo per quei sacerdoti che facciano voto di castità, e il sacerdozio senza obbligo di celibato. Chiedono, inoltre, che i coniugati ritenuti degni, possano essere nominati sacerdoti dai Vescovi e che i sacerdoti allontanati dall’ordine per aver formato una famiglia, siano reintegrati. È importante sapere che i sacerdoti in tutto il Brasile sono 18.685 e la Chiesa brasiliana è numericamente tra le più forti del mondo. Il “Corriere della sera” (articolo del 21 Febbraio 2008) scrive che “secondo quanto riferito al quotidiano “El Pais” da un vescovo che non ha voluto ri142 velare il suo nome, in Brasile già da tempo laici sposati vengono ordinati preti: “Roma lo sa, ma chiede che non sia reso pubblico”. A un sondaggio on–line del “Corriere della Sera” (22 Febbraio 2008), 29.782 votanti, alla domanda “pensate che sia giusto che anche i sacerdoti possano sposarsi e avere figli?”, hanno risposto: il 62,9% si, il 37,1 % no. Un sondaggio di “Panorama”, meglio articolato, dà risultati molto simili a quelli del “Corriere”. Lei è favorevole o contrario al matrimonio dei preti? Sondaggio Celibato ecclesiastico (Panorama) 70 60 61,8 50 40 29,8 30 20 10 0 8,4 Favorevoli Contrari Non so Solo cattolici 58,6 60 50 33,6 40 30 7,8 20 10 0 Favorevoli Contrari Non so 143 35 30 25 20 Tutti 15 Cattolici 10 5 0 1 2 3 4 5 6 Il matrimonio per i sacerdoti significherebbe: 1 – dare più equilibrio alla vita affettiva dei preti. 2 – incrementare le vocazioni al sacerdozio. 3 – sminuire la figura del sacerdote. 4 – ridurre i casi di deviazione sessuale. 5 – trasformare i preti in impiegati della religione. 6 – non so. 144 testimonianze e proposte Nelle controversie sulla moralità del matrimonio e il valore del celibato, tra la Chiesa Apostolica e le sette gnostiche, la chiesa adottò una posizione moderata, conforme alla Bibbia, socialmente pragmatica e basata su una comprensione realistica della natura umana. Lodò e onorò la verginità, ma elevò anche lo stato naturale di unione fisica, alla dignità di sacramento. Nel sacramento del matrimonio, s’invoca la grazia divina su marito e moglie, perché diventino synergùs, cioé collaboratori di Dio nell’opera della creazione. La fede e la prassi della chiesa apostolica erano in pieno accordo con la Bibbia, e rispettavano anche le scelte e la libera volontà di ognuno. In tal caso, matrimonio e celibato – prima o dopo l’ordinazione sacerdotale – non potrebbero essere che facoltativi. (p. Nadir Giuseppe Perin) Per poter soltanto provare, ma non è la stessa cosa (dice un proverbio siciliano che “una cosa è piangere e un’altra è veder piangere”), il dramma che vivono 145 i preti che sono stati sospesi per l’amore portato ad una donna e i familiari, basta collegarsi ai tanti siti delle numerose associazioni di preti sposati. Nel sito dell’associazione “Vocatio” nel documento di presentazione, diviso in paragrafi, si possono leggere le motivazioni che hanno indotto e inducono molti sacerdoti ad abbandonare il celibato. Riporterò il documento nei suoi passi essenziali e determinanti, ma non per intero come dovrebbe essere per una migliore comprensione e interpretazione. È sottolineato il sacrosanto loro diritto, se lo desiderano, di crearsi una famiglia che non ritengono inconciliabile con il ministero del sacerdozio. Anzi, mentre il matrimonio è un sacramento, non lo è il celibato che è una legge imposta (il celibato obbligatorio fu introdotto nel Codice di Diritto Canonico solo nel 1917, regnante papa Benedetto XV, al secolo Giacomo Della Chiesa) e come tale può essere annullata o modificata, come tutte le cose di questa terra. chi sono i preti sposati? Alcuni sacerdoti cattolici validamente ordinati scelgono per svariati motivi […] di sposarsi. Il loro ministero è però vincolato dal Diritto Canonico al celibato e la loro decisione fa scattare da parte della Chiesa Cattolica, o meglio della sua gerarchia, tutta una serie di sanzioni e di atti tendenti a punire nel modo più duro possibile questa scelta. […] Un pre146 te sposato è allontanato perciò dal suo ministero e deve ricominciare da capo la sua vita, cercando casa e lavoro, bandito dalle comunità ecclesiali o a malapena tollerato ai suoi margini. Ma qualcosa sta cambiando e i preti sposati per primi hanno preso coscienza che la loro scelta è positiva, conforme alla Sacra Scrittura e alla tradizione della Chiesa Cattolica. Il matrimonio è, inoltre, uno dei diritti fondamentali dell’uomo e nessuno per nessun motivo può impedirne l’esercizio […], mostrando che il matrimonio non è assolutamente in contrasto con il servizio alla comunità. Non viene in nessun modo disprezzato il celibato, solo si ricorda che è un dono che Dio fa ad alcuni uomini, non un’imposizione… cosa comporta per il sacerdote sposarsi Il matrimonio secondo l’odierno codice del Diritto Canonico… non è mai ammesso per i sacerdoti. La conseguenza per chi decide di sposarsi senza aver ricevuto la necessaria dispensa dalla Santa Sede è la scomunica applicata automaticamente, senza bisogno di processi o condanne personali, e, naturalmente, senza dispensa, il matrimonio è possibile solo civilmente. 147 la dispensa La dispensa che permette al sacerdote di sposarsi “legalmente” può essere concessa solamente […] dal Papa. […] Paolo VI concedeva in fretta e senza difficoltà la dispensa ai sacerdoti che la chiedevano, ma con la salita al soglio di Pietro di Giovanni Paolo II le cose sono cambiate e […] per frenare l’emorragia […] ha imposto regole severissime per l’ottenimento della dispensa. Anzi, contro le indicazioni del Concilio Vaticano II […] ha introdotto una sacralizzazione del celibato sacerdotale: un sacerdote ordinato validamente lo è per sempre, ma la gerarchia è andata oltre e ha deciso (1979) che ordinazione sacerdotale e celibato sono inscindibilmente uniti ed eterni. La dispensa oggi viene concessa solo se è possibile dimostrare che prima dell’ordinazione esisteva un qualche impedimento grave, oppure vi era costrizione […]. tradizione della Chiesa e Sacra Scrittura […] fino all’anno 1100 circa sacerdoti e vescovi potevano sposarsi regolarmente. Furono motivi molto “terreni” che portarono al celibato: non si volevano suddividere con le eredità i beni ecclesiastici che allora erano ingenti. La prassi del matrimonio dei preti continua ancora oggi nella Chiesa Cattolica Orientale. […] Sacerdoti anglicani convertiti al 148 cattolicesimo hanno potuto continuare ad esercitare il ministero pur essendo sposati e con figli…dimostrando così la non obbligatorietà del celibato per il sacerdozio. È importante ricordare che gli apostoli erano sposati e hanno continuato ad esserlo; nella seconda lettera ai Corinzi San Paolo si lamenta e parla di Pietro e degli altri apostoli che vanno ad evangelizzare portandosi appresso la moglie, mentre lui è sempre solo: “[…] Non abbiamo il diritto di portare con noi una moglie (donna per la traduzione CEI), come fanno gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? (1Cor 9, 1–5)”. […] Anche nelle lettere pastorali di San Paolo si trovano continue indicazioni al merito: “[…] Ma bisogna che il Vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, […]. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? (1 Tm 3, 1–5). libertà di scelta? Il celibato è […] una legge interna […] e non ha nessuna caratteristica di assolutezza. […] In realtà non si capisce perché riguardo al celibato non ci possano essere ripensamenti. Ancora San Paolo scrive: “Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se 149 non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere (1 Cor 7, 8–9)”. Molti preti non sono veramente liberi nella loro scelta. Forse nessuno li ha aiutati a cercare veramente la loro vocazione, ma sono stati delicatamente e abilmente manipolati per giungere a credere che il celibato fosse un dono che Dio ha fatto loro. Ma come può essere un dono di Dio se non ce la fanno a viverlo? Quando un giovane si sente chiamato […] viene […] dirottato verso la scelta del celibato […] Inizia allora da parte dei formatori […] un lungo lavoro di condizionamento della persona […] per convincerla ad accettare il celibato come unica e vera necessità, appoggiandosi […] su un sottile ricatto: se non accetti il celibato non ami Dio, non credi veramente in Gesù Cristo. Ma non si può reprimere la propria vocazione all’amore e all’affetto, grandissimi doni di Dio anche questi […]. atteggiamento della gerarchia La gerarchia preferisce e tollera il rapporto nascosto tra un sacerdote e una donna piuttosto che vedere un suo prete sposato. […] Quali possibili soluzioni? Ci sono tre livelli successivi di possibile soluzione […]. 1. Prioritario è chiedere che sia concessa facilmente ai sacerdoti che vogliono sposarsi la dispensa senza 150 umiliazioni e tempi biblici di attesa. […] 2. In un secondo momento è necessario considerare seriamente la possibilità per la Chiesa Cattolica di ammettere sia dei preti sposati a svolgere il ministero sacerdotale…sia far si che degli sposati possano diventare sacerdoti. […] 3. Il discorso si amplia in vista della necessità del rinnovamento della Chiesa …la quale sembra arenata in reflussi storici e in un inarrestabile declino soprattutto nei paesi occidentali. […].” Il teologo Basilio Petrà, autore del libro “Preti sposati: Per volontà di Dio?”, afferma che, “guardando le fonti della Chiesa Orientale, sarà facile notare che nella conservazione del sacerdozio uxorato si è sempre tenuto presente innanzitutto la fedeltà alle lettere del Corpus Paulinum. Il teologo Hein Jurgen Vogels in “Celibato. Dono, non obbligo” sostiene che il legame indissolubile tra sacerdozio e celibato non può essere fondato sulla Sacra Scrittura, anche se la Chiesa Latina lo mantiene ancora, nonostante le dubbie ragioni sulle quali un tempo si fondava e l’attuale prassi cattolica che permette alle Chiese unite a Roma di mantenere il sacerdozio uxorato. H. J. Vogels, nato a Berlino nel 1933, ordinato sacerdote nel 1959, dottore in teologia, nel 1979 si è sposato con Renata Schwarz e perciò è stato sospeso dall’esercizio del ministero. Dal 1986 è membro della Commissione Esecutiva della Federazione Internazionale dei Sacerdoti sposati. 151 Vogels accetta totalmente la dottrina cattolica ufficiale sul sacerdozio e sui ministeri ma critica, attingendo alla Scrittura, come già detto, la saldatura sacerdozio–celibato imposta dalla Chiesa Latina. Cita, quindi, quanto san Paolo scrive nella lettera ai Corinzi (9, 1–5): “Non sono forse libero io? Non sono un apostolo? […] Non abbiamo il diritto di portare con noi una moglie, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?” Questa citazione, già usata nell’intervista sù riportata, non è ripetitiva, come può sembrare, ma esplicativa. Ci dice come l’esatta traduzione di una singola parola può cambiare il significato di un’intera citazione, se non della […] storia. Quanto segue riporta il pensiero di Vogels in merito: Il diritto degli apostoli di portare le proprie mogli con loro (The apostles’ right to take their wives with them), traduzione di Stefania Salomone, 22 Marzo 2008. Un prete che non abbia ricevuto il dono del celibato ha il...diritto naturale e spirituale di vivere il sacramento del matrimonio come dice Paolo nella prima lettera ai Corinzi (7, 7): “Ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro”. […] “Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? (1 Cor 9, 5)”. Paolo in questo versetto reclama un diritto apostolico. Secondo l’analisi di G. Zuntz, il testo originale sicuramente parla, nel passaggio decisivo, del diritto di portare le donne con sé (gynai- 152 kas peri gein), al plurale, senza l’aggiunta del termine sorelle (adelpàs). Il testo successivo recita invece: adelphen gynaika periàgein, “portare una donna come sorella”, che, tuttavia, non cambia il significato essenziale, poiché per “sorella” s’intende seguace di Cristo. Il significato di “moglie” dato al termine “donna” non viene intaccato. Se si sottolinea oltre al termine “sorella” il termine “donna”, e se, come sembra possibile, questa è la versione più accreditata, non c’è dubbio che la donna che accompagna gli apostoli sia proprio la moglie. È questo il senso della nostra esegesi. Zuntz adduce la seguente ragione per la preferenza riservata al testo più breve “ginaikas”: i sostenitori di questo testo breve “Uxores circumducere” sono molti – a partire da Tertulliano (155 – 220 ca.), Clemente d’Alessandria (150 ca. – 215), S. Ilario di Poitiers (315 ca. – 367), il saggio persiano Afrate (morto nel 345), cui possiamo aggiungere Ambrosiastro (n.d.a: autore anonimo di un commentario sulle lettere di Paolo di Tarso. Sul sacerdozio dei fedeli sosteneva che tutti possono diventare sacerdoti: “Sotto la legge i sacerdoti nascevano dalla stirpe del Levita Aronne, ora al contrario tutti appartengono alla classe sacerdotale, dal momento che Pietro apostolo dice: Voi siete un genere sacerdotale e regale, perciò dal popolo si può fare un sacerdote”. – Ambrosiastro, Comm. In Ep. Ad Ephes. 4, 11 – 12 PL 17, 41 OD) e il primo S. Girolamo nell’Adversus Helvidium (383) e nell’Epistola 22 (384) – (n.d.a: in seguito la posizione di San Girolamo cambia e nella lettera a Pammachio 153 scrive: “Il Cristo vergine, la vergine Maria, hanno per ogni sesso consacrato gli inizi della verginità; gli apostoli furono o vergini o continenti dopo il matrimonio. Vescovi, sacerdoti e diaconi scelti vergini o vedovi; e in ogni caso, una volta ricevuto il sacerdozio, osservavano la castità perfetta”.) e non possono aver scritto i loro testi influenzandosi a vicenda: bisogna tornare all’epoca in cui le copie di questi manoscritti così diffuse furono fatte da una fonte comune, cioè, da un manoscritto antico. I più antichi manoscritti giunti fino a noi, primo fra tutti il Papiro 46, che risale al terzo secolo, mentre gli altri partono dal quarto–quinto secolo, contengono il testo più lungo. […] Lo stesso ritroviamo in due manoscritti del nono secolo, chiamati Boernerianus (G) e Augiensis (F) (arrivati sino a noi in latino e in greco). (Si) ritiene migliore il testo breve (e) il testo di Clemente e di Tertulliano, della fine del secondo secolo, può essere ritenuto valido […]. In tutti i casi, bisogna notare che i primi padri della Chiesa hanno tradotto il termine ginaikas, che ritroviamo in entrambe le versioni, senza eccezione alcuna, con “uxores”, cioè mogli. L’ultima versione della Vulgata–Clementina, datata intorno al 1592, quando fu distribuita come traduzione ufficiale della Bibbia latina dopo il Concilio di Trento, che certificò la traduzione di S. Gerolamo come autentica, richiede ampia discussone. Questa edizione postuma cambia l’ordine delle parole del testo più lungo: sororem mulierem circumducendi, cioè portare con sé una sorella come donna; e si legge 154 così: mulierem sororem circumducendi, cioè portare con sé una moglie come una sorella, che ne modifica profondamente il senso. Così come il doppio accusativo in Matteo (1, 20): mè phobetès paralebein Marian tèn gynaika sou, o in latino: noli timere accipere Mariam conjugem tuam, deve essere tradotto: “non temere di prendere Maria, come tua sposa”, così anche nella prima lettera ai Corinzi (9, 5) sororem mulierem circumducere, deve essere tradotto come “prendere con sé una sorella come donna”, o moglie. Capovolgerlo rende la traduzione in tutti i casi impossibile. E non produce un significato chiaro: “Portare con sé una donna come sorella”, cosa dovrebbe significare? “Una donna come cristiana”, non ha senso; “una donna solo se è realmente tua sorella carnale”, forse è quello che si è voluto fare intendere, ma non sembra essere nelle intenzioni di Paolo e riporterebbe l’idea di “matrimonio spirituale”, propria del terzo secolo, indietro al tempo degli apostoli; “una donna come sorella (appartenente ad un ordine) sarebbe un pessimo anacronismo: gli ordini religiosi sorgono a partire dal sesto secolo. Girolamo, considerato l’autore della versione latina della Vulgata, non sa di questo cambiamento. È accertato che nei suoi scritti successivi Girolamo preferisca tradurre come sorores mulieres (sorelle come donne) invece che uxores (mogli) rifacendosi, in assenza del manoscritto che recita così, ai codici greci che contengono il testo più lungo. […] Gli stessi manoscritti della Vulgata che (i redattori) consultarono, incluso il famoso Codex Amiatinus, 155 unanimamente riportavano la dicitura sororem mulierem. L’edizione critica più recente della Vulgata, Wordsworth–White del 1913, è stata in grado di citare solo due dei trenta manoscritti in cui il senso della frase veniva alterato. Data la conoscenza dell’epoca, gli editori del 1592 non erano in grado di esaltare questi manoscritti e preferirono riferirsi al Codex Amiatinus, (ma) hanno tentato di nascondere, per quanto possibile, attraverso la trasposizione, l’ovvio significato delle parole testuali: “Non abbiamo il diritto di essere accompagnati da una moglie, come gli altri apostoli?”, quasi a prevenire la norma che sarebbe stata poi introdotta, come precisa proibizione ai successori degli apostoli di rito latino occidentale. […] Che questa frase di S. Paolo sia ancora così poco conosciuta, si deve anche alla trasposizione della Vulgata “ufficiale” che è stata considerata per quattrocento anni il testo autentico, anche se non corrispondeva a quello di Girolamo e alla Bibbia. […] La parola di Dio deve essere intesa in modo più profondo, come testimonia il Nuovo Testamento quando parla della resistenza di Pietro ai Sommi Sacerdoti (Atti 4, 19; 5, 29). Il “diritto di essere accompagnati da una moglie”, che anche Paolo ha “così come tutti gli altri apostoli e fratelli del Signore, così come Pietro/Cefa”, ovviamente elimina ogni giustificazione sulla norma ecclesiastica del celibato […]. Tertulliano, il testimone più antico di questo testo, fornisce l’interpretazione più vecchia e probabilmente la più imparziale. Scrive nel De Exhortatione Castitatis (circa 204): 156 “Anche gli Apostoli potevano sposarsi e portare le mogli con loro”. Non c’è dubbio che sia una citazione del paragrafo della prima lettera ai Corinzi (9, 5) […]; ne deriva la frase successiva di Tertulliano: “Potevamo così anche vivere il Vangelo”, licebat et de evangelio ali, citazione anch’essa dalla lettera di Paolo (9, 4–14) […]. È strano e significativo allo stesso tempo che Tertulliano aggiunga alle parole di Paolo (9, 5) “Avevano il diritto di sposarsi”, quando Paolo parla esclusivamente del diritto di essere accompagnati dalla moglie. Tertulliano è quindi assertore del diritto naturale degli apostoli, nonostante nel contesto egli stesso abbia optato per non sposarsi. Tredici anni dopo Tertulliano cambia opinione, forse per suo avvicinamento al Montanismo e nel De Monogamia traduce gynaikes come “donne che li servivano”. Clemente d’Alessandria (prima del 215) nel Paedagogos II (1, 9) mette la frase “essere accompagnati dalle mogli” sullo stesso piano del “mangiare e bere” […] essendo “naturali utilizzi”, cioè, “diritti naturali”. Secondo Eusebio di Cesarea (265–335) […], l’apostolo Filippo aveva tre figlie e parla della storia di Giuda Taddeo, il fratello di Gesù. […] Chi ha figli e nipoti ha ovviamente una moglie. Anche S. Ilario di Poitier (310–367) interpreta il versetto di Paolo (9, 5) in modo tale che il naturale “diritto di sposarsi” è espressamente dichiarato come quello degli apostoli. […] I suoi scritti risalgono a prima della lettera del papa Siricio a Himerio di Terragona nel 385 e, quindi, in assenza di una legge che rendesse obbligatoria l’astinenza sessuale 157 del clero. […] Così, Girolamo (347–420) è chiaramente influenzato dalla legislazione e in Adversus Jovinianum (393), preferisce tradurre ginaikas con “mulieres”, donne, piuttosto che “uxores”, mogli. […] Tutti gli scritti successivi della Chiesa furono influenzati dall’interpretazione di Girolamo, quando affermava che le donne servivano Gesù e i suoi apostoli. […] Un esempio della convinzione della Chiesa che la lettera ai Corinzi parlasse di mogli è la lettera di Umberto da Selva Candida all’abate Niketas (1054), riprodotta nel Decretum Gratiani, in cui ammette il diritto dei preti di “avere moglie” (uxores), come abbiamo letto che gli apostoli avevano […] O. Kuss, J. Kuzinger, C. Spicq ed E. B. Allo convergono sul fatto che si trattasse proprio delle “mogli”. H. D. Wendland ha dato una svolta al dibattito. Non si parla di diritto di sposarsi, ma del diritto di sostegno da parte delle comunità. Questo deriva da un esame dettagliato della prima lettera ai Corinzi ( 9: 4, 6–14) e il diritto di avere una compagna è solo accennato. Il senso di questo accenno è che gli apostoli non potevano chiedere alle chiese di mantenere anche le loro mogli. Paolo nella lettera ai Corinzi, versetto 15, dichiara di non fare uso dei diritti nei versetti precedenti enunciati. Parla, quindi dell’abitudine di alcuni apostoli di portare con loro in missione le proprie mogli e il loro diritto di pretendere per loro cibo e acqua dalle comunità, allo stesso modo di come pretendevano per se stessi. Anche se preferissimo il testo lungo, “una sorella come moglie”, questa interpretazione non 158 altererebbe il senso, poiché l’oggetto “diritto” dell’apostolo può essere solo una moglie, naturalmente cristiana, cioè “una sorella”, non una cameriera. […] I diritti enunciati da Paolo non sono diritti di tutti i cristiani: i semplici cristiani non possono pretendere sostentamento economico dalle comunità.[…] Paolo sottolinea le origini divine dei diritti apostolici (1 Cor 9, 14): “Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo”. […] Come dimostrano sia Paolo che gli altri, il diritto divino non contempla una rinuncia volontaria “al loro utilizzo (1 Cor 9,15)”. Mantengono il diritto anche se vi rinunciano. […] Quindi, anche se hanno lasciato (gli apostoli) le loro mogli e rinunciato al diritto di sposarsi per un certo tempo, dopo l’ascensione del Signore sono tornati a vivere con le mogli e, come dice Paolo (1 Cor 9, 5), le hanno portate in missione. […] La possibilità di fare uso in qualunque momento dei suoi diritti, è una delle ragioni per cui Paolo ne parla spesso: insiste di “avere” gli stessi diritti di tutti gli altri apostoli, sulla base di un’eguaglianza di status con tutti loro. […] (Si chiede retoricamente): non abbiamo il diritto di essere accompagnati da una moglie? (1 Cor 9, 2 ). È chiaro che usa i suoi diritti per dimostrare che la sua autorità apostolica è identica a quella degli altri. È cruciale che questi siano diritti reali e possano essere esercitati in qualsiasi momento. Egli ha “ancora” il diritto di scegliere una donna come compagna, non gli è negato per sempre (anche se) egli ha rinunciato ad usare quel diritto. […] Se- 159 condo Paolo, qualunque successore degli apostoli, in pratica qualunque prete, si può sposare anche dopo l’ordinazione. Possiamo affermare che dove troviamo la parola gyné nel Nuovo Testamento, in connessione con un uomo, anér, significa sempre “moglie” […]. Quindi, in (1 Cor 9, 5), la stessa parola gyné, in stretta connessione col termine “uomini”, indica la compagna, cioè la moglie degli apostoli. Moglie, pertanto e non donna credente come afferma la Bibbia tradotta dalla Conferenza Episcopale Italiana del 1971. Tutti i padri della Chiesa, o famosi scrittori ecclesiastici dei primi secoli, tradussero e interpretarono la parola guné con uxores, cioè moglie. Fonte: www.ildialogo.org (www.chiesaincammino.org) La posizione critica di Vogels si spinge ancora oltre, fino a considerare nulla la legge sul celibato: “La volontaria astensione da questo diritto è possibile e buono, ma è una questione personale: il diritto, la libertà di sposarsi rimane accordata dal Signore […]”. Ma “ci si chiede se contro il diritto di tutti gli uomini, apostoli compresi, garantito da Dio Creatore e da Cristo Signore, ad avere una moglie, la proibizione al riguardo da parte della Chiesa come legislatore umano possa proprio reclamare una qualsiasi validità. Non si tratta piuttosto di una legge nulla fin dall’inizio?” A conclusione della sua dimostrazione esegetica, Vogels afferma: “se nella Chiesa Cattolica Orientale 160 vi è il clero uxorato – anch’esso lodato dal Vaticano II – e se la Santa Sede accetta come candidati al sacerdozio pastori protestanti e anglicani convertiti, è evidente che la ufficialmente ribadita connessione sacerdozio–celibato come legge generale della Chiesa Latina è davvero fragile e piena di contraddizioni (Adista n° 61 del 9/11/2004)”. Frà Tommaso Maria di Gesù dei frati minori rinnovati di Palermo ci ricorda che Tertulliano fu ordinato sacerdote quando era già sposato, tanto da dedicare due suoi scritti alla moglie; che il Concilio di Nicea del 325 respinse la proposta di vietare il matrimonio ai preti; che nel 911, come si legge in “Storia della Repubblica di Venezia” di C. Cappelletti, i veneziani elessero quale vescovo della città Orciano che andò a vivere con moglie e figli nel palazzo vescovile; che monsignor Veggian nel suo libro “Il celibato ecclesiastico” riporta numerose iscrizioni tombali riguardanti preti e vescovi dei primi seicento anni del cristianesimo da cui si evince che erano sposati con prole. Pier Giorgio Rauzi, sociologo ed ex prete, in un’intervista (1 Giugno 2002) dichiarava ad Elisa Bellé: “[…] L’obbligo del celibato […] nasce quando la Chiesa entra in possesso di beni materiali e s’impone allo scopo d’impedire la trasmissione ereditaria di tali beni agli eventuali discendenti del sacerdote che li ha amministrati, in modo che i possedimenti ecclesiastici rimangano nelle mani della Chiesa.” 161 “Inoltre”, continua, “va tenuto distinto il termine celibato, che ha origini giuridiche, da quello strettamente teologico di castità. Come si legge nel vangelo di Matteo (19, 12) la scelta della castità è invece considerata da Cristo come un’anticipazione del Regno dei Cieli ed Egli afferma che “vi sono eunuchi i quali vennero resi tali dagli uomini e vi sono eunuchi che si resero tali da sé per il Regno dei Cieli”. Io credo che molti preti si sentano proprio eunuchi, resi tali dagli uomini, mentre la scelta di castità dovrebbe tornare ad essere assunta in piena libertà da tutti quei sacerdoti che la ritengono adeguata al proprio personale cammino spirituale […]”. William Clery scrive quanto segue sul quindicinale CORPUS Reports (testo: The following is a book review that appeared in the bi–monthly): “Mary Pat Fox, responsabile del VOTF (Voice of the Faithful), ha fatto notizia suggerendo un nuovo studio approfondito sulla tematica del celibato (New York Times, 24 Giugno 2007). Ma una nuova ricerca sull’argomento sembra inevitabile, anche in virtù della connessione tra il celibato e gli abusi sessuali del clero che sono alla base di questo complicato puzzle. […] L’esperta dell’Adelphi University, Virginia Goldner, un medico docente di psicologia […] fa gravi dichiarazioni sul prete che abusa dei bambini in uno studio recentemente pubblicato da Analytic Press, Predatory Priests and Silenced Victims (Preti abu162 satori e vittime obbligate al silenzio). A pag 14, la Goldner dice che, nell’analizzare le radici del problema, si può affermare che la causa non sia il celibato, ma l’obbligatorietà del celibato. È piuttosto l’idealizzazione cattolica del celibato, quale eroico sacrificio da esprimersi a svantaggio della sessualtà, in particolare etero, che ha posto le basi per le deviazioni sessuali. Se analizziamo le sue parole, esse rappresentano un critica radicale al modo in cui i cattolici pensano al celibato. Infatti, è garantito che i cattolici non affermerebbero mai che il celibato non è una cosa salutare, essendo esso una norma stabilita. Ma la Goldner sembra affermare proprio questo. Come preparare, (allora), il terreno alle devianze sessuali? Basta idealizzare il concetto cattolico del celibato come sacrificio eroico. È esattamente ciò che non dobbiamo più permettere. Il celibato liberamente scelto non è in questione. Il concetto di “glorificazione” è il problema. In un’ottica laica, si potrebbe dire che dà il messaggio sbagliato, capovolge completamente la faccenda. È affascinante notare che il Buddismo Zen in Giappone sorprendentemente proibisce il celibato ai religiosi […] I responsabili dei templi Zen non sono più monaci (che implica lo stato celibatario), ma neanche laici: sono chierici. […] Le autorità giapponesi che hanno potere decisionale in merito a questo hanno detto: “La delicata funzione dell’universo risiede 163 nell’energia dell’unione tra uomo e donna. Unione sessuale che rappresenta la realizzazione del principio cosmico”. […] Non sembra che le cose riguardo il celibato possano cambiare nella chiesa cattolica di rito latino. Gli ultimi pontefici continuano a “glorificarlo”. Ma il panorama è molto cambiato da quando sono scoppiati gli scandali di abusi sessuali sui minori da parte dei preti, unitamente agli esborsi dei risarcimenti che ammontano al momento a più di due miliardi di dollari. Ci sono oggi nuovi interrogativi, il più urgente dei quali è “come proteggere i bambini in futuro”. Il vescovo di Sidney Geoffrey Robinson, alcuni mesi fa, durante una conferenza in Australia, disse che “Giovanni Paolo II avrebbe potuto fermare lo scandalo (pedofilia), ma non l’ha fatto”. Nonostante gli attacchi di Roma, fu accusato di eresia, successivamente dichiarò: “Ma prima che lo facciano santo, dovrebbero chiedersi cosa ha fatto realmente per fermare lo scandalo”. Non riesce a comprendere perché il Papa sia rimasto in silenzio e perché addirittura non si sia mai domandato quali fossero le cause e le possibili soluzioni. “È molto difficile, perfino per un papa, cambiare una cultura”. Robinson si riferiva all’aura sacrale che circonda il celibato presbiterale, che i papi hanno incoraggiato per mille anni, mantenendo la norma celibataria, nonostante l’evidenza che la sua obbligatorietà ha creato ciò che Robinson definisce “condizioni di vita insane” per i presbiteri. 164 “Il celibato, secondo un’erronea equazione, significa senza sesso e senza sesso significa santo. Il problema è che la gente viene programmata a credere in questa aura […] I disastri arrivano quando alcuni preti sessualmente perversi sfruttano la loro aura a danno di minori”. (Articolo di Robert Blair Kaiser, fonte “Il Dialogo”). Nel suo libro “Confronting and power sex in the catholic church” indica nell’obbligo del celibato la causa principale della misoginia e dell’omofobia di molti sacerdoti degenerati poi negli scandali sessuali che affliggono la Chiesa che, ciononostante, mantiene intatto il suo atteggiamento nei confronti del sesso. Il quotidiano Lidove Noviny ha riportato che Kofron, segretario personale del vescovo di Praga Vaclav Maly, è stato riordinato “sub–conditione” dal vescovo, con dispensa papale e con una procedura riservata a coloro già ordinati con altro rito. Kofron, infatti, era stato ordinato prete in segreto nei primi anni 80 nella Chiesa clandestina che operava nella Cecoslovacchia comunista dell’epoca. Ma dopo la Rivoluzione di Velluto del 1989, tutti i preti ordinati clandestinamente potevano richiedere una nuova ordinazione. Il documento aggiungeva che Kofron sarebbe stato il solo prete cattolico di rito latino sposato nell’intera Repubblica Ceca, dato che tutti gli altri preti sposati clandestini avevano aderito alla chiesa 165 cattolica di rito greco, la quale prevede l’esistenza di preti sposati pur restando fedele a Roma. L’ordinazione di Krofon, sposato e padre di quattro figli, non avrà conseguenze sulla regola del celibato clericale, ha detto un portavoce dell’arcidiocesi di Praga. (art. di Jonathan Luxmoore). Domenica 29 Giugno 2008 è iniziata la raccolta di firme al fine di presentare una petizione per l’ammissione degli uomini sposati al sacerdozio alla prossima Conferenza Episcopale d’Inghilterra e Galles, che si terrà nel prossimo Novembre. L’iniziativa è stata presa da Maureen Robinson ed è stata già sottoscritta da numerosi organizzaazioni e personalità del mondo cattolico inglese. Tale petizione segue quella promossa in Australia dallo scrittore di fama Paul Collins, dove 17.000 cattolici l’hanno sottoscritta e presentata al loro vescovo. (Il Dialogo, 28 Giugno 2008) Il Rev. Donald Cozzens, prete cattolico docente alla John Carroll University di Cleveland e già autore del libro “Rendere il celibato facoltativo”, nell’intervista rilasciata nel Maggio 2008 a Nicole Neroulias, afferma che negli USA si è registrata una costante e forte diminuzione del numero dei preti cattolici, “[…] a fronte della sostituzione di 100 preti che lasciano per motivi diversi, ci sono solo 35 nuove ordinazioni”. Sottolineando che “lo scandalo degli abusi sessuali del clero ha avuto un ruolo importante” nel 166 calo delle vocazioni, alla domanda se ritiene che il celibato obbligatorio abbia avuto un ruolo fondamentale, così risponde: “Io ritengo che il celibato sia un grande dono, e sia meraviglioso per coloro che hanno ricevuto questa chiamata; può rappresentare un disagio per coloro che sono chiamati al presbiterato, ma non ad essere celibi […]”. Aggiunge che “il celibato è una norma della Chiesa, non un dogma. Papa Giovanni Paolo II ha avuto e ora Benedetto XVI ha, la possibilità di cambiare la norma in ogni momento lo ritenesse opportuno. C’è un discreto numero di Conferenze Episcopali che fanno appello affinché il Vaticano rifletta e discuta sul tema del celibato”. Si mostra realista, se non scettico, sui temi del cambiamento: “Sarà la situazione stessa a portare al cambiamento di questa norma, ma credo sia ingenuo pensare che i numeri cambieranno in breve”. E se il Vaticano decidesse che i preti possono sposarsi […]? La risposta è precisa e chiara: “Non ho idea di quanti preti si sposerebbero. L’età media dei preti di oggi supera i 60 anni e il matrimonio è sia un impegno che un grande cambiamento. Ma credo fermamente che ci sarebbero più seminaristi se il celibato fosse facoltativo”. Il calo delle vocazioni, specie nei Paesi occidentali, risulta molto preoccupante. In Italia, già nel 1969, come si legge su La Stampa dell’1 Febbraio 1969 (sac. Adolfo Percelsi), è dimi167 nuito il numero dei seminaristi, più di 6.000 preti hanno lasciato il ministero sacerdotale senza la dovuta dispensa papale, mentre giacciono circa 4.000 richieste di sacerdoti per ottenere le nozze legittime. Un articolo apparso su “Panorama” (n° 43 del 2007, pag. 102) dal titolo “Lasciate che gli spretati tornino a me”, afferma che molti dei 6.000 preti che hanno lasciato il ministero chiedono di tornare e “il Papa studia come recuperarli”. Dei 50–55 mila preti sposati viventi nel mondo (N.d.A.: altre fonti hanno cifre più alte, attorno a 100 mila), secondo i dati diffusi dalla Congregazione del Clero, 11.200 hanno chiesto di tornare nella Chiesa “senza abbandonare, come ci dice il gesuita Gianpaolo Salvini (direttore della rivista Civiltà Cattolica), la vita di preti sposati”. “Al Papa”, continua l’articolo, “sono stati consegnati diversi progetti che puntano a valorizzare i preti sposati che vogliono essere riammessi al sacerdozio per supplire alla scarsità di vocazioni […]. […] Una proposta prevede che sacerdoti sposati con più di 25 anni di matrimonio alle spalle possano essere recuperati almeno come diaconi. Dall’America Latina arrivano proposte per favorire l’ordinazione sacerdotale dei “viri probati”, vale a dire uomini sposati di provata fede.[…] Cresce però anche il numero dei vescovi cattolici che chiedono la dispensa per sposarsi. Le domande presentate sono una ventina”. 168 Claudio Balzaretti ha trattato il problema dell’abbandono della vita consacrata di preti diocesani, religiosi e suore in Italia e nel mondo (Rivista di Vocatio SULLA STRADA n° 29, 37, 38, 48 e 57). Risulta così che fino al 1990 il numero dei sacerdoti nel mondo (diocesani e religiosi compresi) era di 400.000 e gli abbandoni raggiungevano il numero di 120.000. In Italia su 56.000, abbandonavano in 9.000. L’ultimo aggiornamento di Balzaretti è del 2002 e riguarda gli anni 97, 98 e 99. In Italia (clero diocesano) anno 97: 43 abbandoni su 494 consacrati; anno 98: 32 abbanboni su 485 consacrati; anno 99: 44 abbandoni su 556 consacrati. Questi abbandoni riguardano solo i sacerdoti che hanno ottenuto la dispensa. Con gli abbandoni di fatto, i numeri ufficiali vanno raddoppiati: anno 97, 86 abbandoni su 494 consacrati; anno 98, 62 abbandoni su 485 consacrati; anno 99, 88 abbandoni su 556 consacrati. Si ha così il seguente totale: 236 abbandoni su 1535 consacrati, il 16%. Per i religiosi la percentuale arriva al 22%. Il fenomeno, come si evidenzia, è preoccupante soprattutto per i religiosi che abbandonano. Il loro inserimento nella vita civile è molto difficile anche se “i regolamenti interni della Chiesa invitano i superiori ad aiutare coloro che lasciano […] ma è solo un invito […] aiutano gli amici degli amici […] Solo il figliol prodigo […] solo quelli che torna169 no a Canossa […] tutti gli altri devono scomparire dalla faccia della terra […] (Lorenzo Maestri). I seguenti stralci di una lettera, di un prete sposato (www.donne–cosi.org), significativa della scarsa fiducia che i preti sposati ripongono nella gerarchia romana, mostrano, tuttavia, la speranza che una forte pressione possa determinare una risoluzione accettata da tutti del rovinoso problema: “Sono un prete di 46 anni e, da tempo, leggo le dolorose testimonianze di tanti miei confratelli costretti a vivere nella clandestinità per quello che la gerarchia vaticana ritiene un peccato gravissimo: innamorarsi di una donna. Ormai bisognerebbe aver capito che la gerarchia è sessuofoba e si fa forte di leggi medievali per reprimere ciò che la Bibbia ci presenta come il più grande dono che Dio ha fatto all’umanità: l’Amore. […] Una norma canonica del XII secolo è diventata verità teologica che reprime in migliaia di preti […] l’emozione più bella […]. Vorrei che i reverendissimi porporati di santa madre chiesa meditassero il Cantico dei cantici che è parola divina e vivessero un pò di più in mezzo a quel mondo che tanto disprezzano, invece di starsene ad ammuffire dentro le mura vaticane e da lì decidere le sorti di tanti cristiani sparsi nel mondo, legiferando continuamente a colpi di diritto canonico. […] Gesù ci ha fatti liberi, gli uomini di Gesù ci hanno reso di nuovo schiavi. […] Per favore, in nome di Gesù Cristo smettetela di fare i guardiani dell’umanità e scen170 dete sulle strade del mondo: perché nostro Signore abita negli uomini che mettete in croce ogni giorno con la vostra rigidità giuridica. Che Dio mi perdoni per ciò che sto dicendo alla sua chiesa ma non posso fare silenzio […] (17 Giugno 2004). Cantico dei Cantici: libro poetico dell’Antico Testamento, che celebra l’amore di due sposi. Attribuito a Salomone (re d’Israele ca 961 – 925 a.C.), ma risalente al sec.IV a.C., è interpretato simbolicamente (rapporto Dio – uomo, Dio – Israele o Cristo – Chiesa) da eug ‘92. Il celibato non rappresenta l’unico motivo di scontro tra i sacerdoti e i religiosi e la gerarchia romana. Altri carboni ardono sotto la quiete della cenere, che la Chiesa non vuole o non sa spegnere, forse per paura di creare scandalo o movimento in una struttura immobile da secoli, sempre rivolta a conservare e non a cercare strade di partecipazione e di confronto al suo stesso interno onde rendere più attuali strutture e norme obsolete, ostacolo spesso alla formazione di quella ecclesia di cui parlava Gesù. Per esemplificare, mi sembra eclatante la “Dichiarazione dell’Unione Nazionale delle Suore Americane sulla proibizione al ministero di suor Gramick” (Notificazione della Congregazione per la Congregazione della fede, Roma 31 Maggio 1999), fondatrice assieme a Padre Robert Nugent nel 1977 171 dell’organizzazione New Ways Ministry col fine di promuovere “giustizia e riconciliazione” fra lesbiche e omosessuali cattolici e la più vasta comunità cattolica, che non rinnegano la loro appartenenza, ma chiedono con forza che gli uomini della Curia Romana “cambino” e stiano dalla parte della verità e dei tanti che soffrono: “ L’Unione Nazionale delle Suore Americane è offesa dall’ingiustizia fatta alla nostra sorella Jeannine Gramick per mano della Congregazione per la Dottrina della Fede. Questa rabbia sta esplodendo in tutto il nostro paese e anche in altre parti del mondo. Invece di proibire il suo ministero pastorale rivolto alle lesbiche, ai gay e alle loro famiglie, sollecitiamo il Vaticano ad onorare suor Gramick per aver mostrato a persone oppresse il volto compassionevole ed amorevole della Chiesa. Il suo lavoro di più di 25 anni nel costruire ponti tra gli omosessuali e la Chiesa ha contribuito alla credibilità della Chiesa istituzionale. Il popolo di Dio si sta sollevando. Diciamo: “Basta, Basta! Non più misure repressive da uomini che mettono pesanti fardelli sulle spalle di altri e non alzano un dito in segno di compassione o gratitudine”. Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti! 1 – Perché chiudete la porta in faccia alle relazioni d’amore di lesbiche e gay e mettete a riparo i preti e i vescovi omosessuali nei vostri ripostigli. Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti! 172 2 – Perché insegnate le vostre parole e quelle dei vostri predecessori, invece d’insegnare il messaggio di salvezza di Gesù e il Vangelo. Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti! 3 – Perché voi “divorate” i diritti umani dei ministri della Chiesa usando procedure d’investigazione segrete e autoritarie. Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti! 4 – Perché vi rifiutate di ascoltare le voci di dissenso alle vostre misure repressive. Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti! 5 – A motivo della vostra ossessione per le questioni sessuali, piuttosto che dell’attenzione alla dignità della persona umana. Perché cosa è davvero intrinsecamente male? Le debolezze sessuali degli individui? O il pregiudizio, la discriminazione, la violenza contro quanti sono giudicati diversi? Guide cieche! Scolate il moscerino e inghiottite il cammello. Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti. 6 – Perché interferite nella gestione interna delle Congregazioni religiose e ignorate l’autonomia della leadership profetica Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti! 7 – Perché abusate della vostra autorità resuscitando l’inquisizione e indagando la coscienza degli altri. Guai a voi, uomini della Curia Vaticana, ipocriti! 173 8 – Perché schiacciate un ministero amorevole per le persone omosessuali e le loro famiglie e spingete i religiosi a mettere in questione il valore dello statuto canonico delle congregazioni religiose nel momento in cui intendono rivolgere il loro ministero agli emarginati. Come possono le vostre azione scandalose sfuggire al giudizio del popolo di Dio? Badate, Dio manda messaggeri e voi li mettete a morte. Il vostro ingiusto legalismo, giustamente sfidato dalla disobbedienza ecclesiastica, sta soffocando il popolo di Dio. NCAN dice Basta, Basta! (Adista n° 74, 18 Ottobre 1999)”. Della notifica, riguardante ovviamente anche Padre Robert Nugent, vale la pena citare alcuni passi significativi, come esempio d’intolleranza e di incapacità di adeguamento a situazioni con cui la società convive, come se l’opera di apostolato, o d’intervento compassionevole, non possa spingersi oltre un certo limite, quello della dottrina, al di là del quale ogni cosa è perduta: “[…] Fin dall’inizio, nel presentare l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità, Padre Nugent e Suor Gramick ne hanno ripetutamente messo in discussione elementi centrali”. Seguono tentativi di chiarificazione fino “all’ordine di separarsi totalmente e completamente da New Ways Ministry, aggiungendo che non avrebbero potuto esercitare alcun apostolato senza presentare fedelmente la dottrina della chiesa circa la malizia intrin174 seca degli atti omosessuali.[…] Essi continuarono a mantenere e a diffondere posizioni ambigue circa l’omosessualità e criticarono esplicitamente documenti del Magistero della Chiesa su questo problema”. Seguono altre richieste di chiarificazione e viene istituita nel 1988 un’apposita commissione “per studiare e valutare le loro dichiarazioni ed attività pubbliche e per determinare se queste erano fedeli all’insegnamento cattolico sull’omosessualità. […] Dopo la pubblicazione di Building Bridges, l’esame della Commissione si concentrò soprattutto su questo libro che riassumeva le loro attività ed idee.[…] Pur rilevando la presenza di alcuni aspetti positivi nell’apostolato di Suor Gramick e di Padre Nugent, la Commissione trovò serie lacune nei loro scritti ed attività pastorali, che erano incompatibili con la pienezza della morale cristiana. La Commissione, perciò, raccomandò delle misure disciplinari […]”. La Commissione trasmette, quindi, il caso alla Congregazione per la Dottrina della Fede “nella speranza che Padre Nugent e Suor Gramick sarebbero stati disponibili ad esprimere il loro assenso alla dottrina cattolica sull’omosessualità” invitandoli “a rispondere in modo chiaro ad alcune domande riguardanti la loro posizione sulla moralità degli atti omosessuali e sull’inclinazione omosessuale”. Le loro risposte non furono ritenute sufficientemente chiare nel merito della questione, aggravate dai contenuti della loro ultima pubblicazione Voices of Hope per cui “ la Con175 gregazione decise che il caso doveva essere risolto secondo la procedura indicata nel suo Regolamento per l’esame delle dottrine”. Le dichiarazioni dei due “imputati” furono ritenute “erronee e pericolose” […] e “furono ad essi trasmesse. A ciascuno fu chiesto di rispondere alla contestazione personalmente ed indipendentemente dall’altro […]. I membri della Commissione […] furono unanimi nella loro decisione che le risposte dei due, pur contenendo alcuni elementi positivi,erano inaccettabili […]. Fu pertanto deciso che essi avrebbero dovuto preparare una dichiarazione pubblica, che sarebbe stata sottoposta al giudizio della Congregazione” con la quale “si chiedeva loro di esprimere un assenso interiore all’insegnamento della Chiesa Cattolica sull’omosessualità e di riconoscere che i due summenzionati libri contenevano errori (da Galileo ad oggi la Chiesa è rimasta immutabile!)”. Le due dichiarazioni non furono ritenute sufficienti dalla Congregazione. “Suor Gramick… semplicemente rifiutava di esprimere ogni qualsivoglia assenso all’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità […]. Padre Nugent non era disposto a sottoscrivere che gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati e aggiungeva un paragrafo che metteva in questione la natura definitiva ed immutabile della dottrina cattolica su questo punto. Essendo quindi falliti i ripetuti tentativi […] la CDF è costretta a dichiarare che […] le posizioni espresse da Suor Jeannine Gramick e 176 Padre Robert Nugent in merito alla malizia intrinseca degli atti omosessuali ed al disordine oggettivo dell’inclinazione omosessuale sono dottrinalmente inaccettabili perché non trasmettono fedelmente il chiaro e costante insegnamento della Chiesa Cattolica su questo punto […] a Suor Jeannine Gramick e a Padre Robert Nugent è permanentemente vietata ogni attività pastorale in favore delle persone omosessuali ed essi non sono eleggibili, per un periodo indeterminato, ad alcuno ufficio nei loro rispettivi istituti religiosi. Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II […] ha approvato la presente Notificazione […] e ne ha ordinato la pubblicazione”. Seguono le firme del Cardinale Joseph Ratzinger, prefetto, e dell’arcivescovo Tarcisio Bertone, segretario. Dalla vicenda sopraddetta, risulta evidente che necessita un cambiamento nel modo di pensare e di essere della Gerarchia vaticana, che gestisce la Chiesa, specie nei componenti più vicini alla gente, in maniera molto rigida, dando l’impressione di allontanarsi dai molti problemi del secolo, nei quali dovrebbe immettersi se vuole svolgere la funzione apostolica che è chiamata ad assolvere. “I preti sposati”, afferma Piero Barbaini (La Chiesa sbagliata, ed. Il Formichiere), ”rappresentano nel mondo cattolico la sfida vivente al maschilismo della Chiesa ed al suo devastante contagio, avverso all’umanità del Vangelo e alla riattualizzazione di un Vangelo per l’umanità”. 177 Il pessimismo di Barbaini trova espressione nell’amara considerazione: “Molti degli aspetti secondo i quali la chiesa si presenta come “ufficiale” appartengono al fenomeno della degenerazione. Il mio modo di maturare nei confronti della chiesa è stato quello di scoprire una chiesa reale che normalmente è lontana, talvolta antitetica, rispetto alla chiesa ufficiale (che) usa dei valori espressi dalla chiesa reale per sostenersi […]. Usa della fede di un credente, dell’amore di una madre, della generosità di un bambino, dell’entusiasmo di un giovane per poi definire e impiantare una chiesa come potere, una chiesa come papato, come gerarchia, come impresa burocratica; usa dei momenti esistenziali importanti (la nascita, il matrimonio, la morte, ecc.) per trasferirli in un regime legale di codificazioni e di controlli che costituiscono la base di una gestione redditizia (in precisi termini di soldi e di potere), che poi giustifica come azioni soprannaturali, come “sacramenti” che agiscono “ex opere operato” (cioè come congegni automatici). E usa soprattutto categorie antropologiche (cultura, storia e società), in particolari categorie della vita associata (economia, politica e diplomazia) per istituire un regime centralizzato, assolutistico e dittatoriale, definendosi come “chiesa spirituale e comunitaria”. Ecco, per me, dove si nasconde la chiesa sbagliata, è la chiesa falsa che usa l’uomo […]. Per questo il Figlio dell’uomo si è battuto contro la casta sacerdotale del suo ambiente 178 e del suo tempo: perché essa dominava mentendo, indicando all’uomo una vita irreale, un’esistenza ingannevole, che lo soggiogavano anziché liberarlo […] lo liquidarono e cercarono in tutte le epoche di vanificare la rivoluzione perenne. Questa, che l’uomo non sia mai usato dall’uomo; che lo stare assieme sia effetto dell’amore, non della legge; che la conversione e la salvezza si attuino nell’animo, non nel meccanismo dei segni; che la vocazione, la missione e l’impegno nel bene siano la massima espressione della libera scelta, della decisione umana, non il risultato di un reclutamento e di un proselitismo che sfruttano l’immaturità e l’indigenza degli uomini; che l’adorazione sia anzitutto interiore, sempre umile, spesso nascosta, quella che spesso sfugge alla solennità dei trionfi e al fragore delle masse. Questo messaggio è stato esattamente capovolto quando è caduto tra le mani della casta di Roma: Cristo è stato strumentalizzato e l’impero curiale ha creato una storia di antitesi al fermento evangelico. Il segno di contraddizione è dentro il sistema e la rivoluzione cristiana diventa esemplare nel mondo quando abbatte la corruzione interiore. La chiesa reale corrisponde a questa rivoluzione nascosta e sconosciuta […]; la chiesa ufficiale normalmente corrisponde alla sovrastruttura reazionaria […]. Il cattolicesimo vaticano, impresario e mercenario, gerarchico e burocratico, legalista e inquisitore, poliziesco e repressivo, rappresenta oggi la massima degenerazione 179 del cristianesimo autentico. La rivoluzione cristiana troverà qui il suo prossimo impatto, perché qui è sommo il segno di contraddizione”. In una recente intervista concessa a Davide Pelando, la teologa Adriana Narri sostiene che gli abusi sessuali da parte dei sacerdoti possono essere ascritti alla loro “formazione molto carente” perché “si formano in seminari dove non ci sono donne e quindi sono in una situazione anomala. E quindi tutta la psicologia dei sacerdoti è molto viziata”. “Li farebbe sposare?”, chiede ancora Pelando. La risposta è chiara e netta: “Si, certo, solo quelli che lo vogliono. È che il celibato dovrebbe essere una scelta libera: la maggior parte dei preti non sceglierebbe il celibato, è un obbligo imposto e subito dalla gran maggioranza di loro”. (Megachip) L’ottantunenne Cardinale Carlo Maria Martini, ex arcivescovo di Milano, tra i più carismatici prelati della Chiesa Cattolica, in un’intervista alla Bbc nel lontano 1995, riguardo al celibato ecclesiastico affermava che (rappresenta) “un’area non regolata dalla dottrina. Esso deriva da una decisione storica che può essere cambiata e adattata alle differenti culture”. Oggi, nel libro “Colloqui notturni a Gerusalemme” (“Jerusalemer Nachtgesprache”, ed. Herder), scritto col gesuita Georg Sporschill, un po’ il suo testamento spirituale, ritorna sull’argomento. Per il cardinale, il celibato deve essere una vera vocazione 180 perché non tutti hanno il carisma per accoglierlo. “La Chiesa dovrà farsi venire qualche idea. La possibilità di ordinare viri probati va discussa”. Il libro affronta altri temi importanti per la vita della Chiesa che “deve avere il coraggio di riformarsi, realizzando cambiamenti concreti che vengono chiesti ormai a voce alta”. Nei personaggi citati non c’è rancore. Né preconcetti influenzano i loro scritti, ma il riconoscimento di una realtà di sofferenza che può essere cambiata solo se i massimi vertici del Vaticano abbandonassero, attraverso un confronto serio e coerente coi tempi, umile e costruttivo, una concezione medievale del ministero sacerdotale, che imprigiona tanti sacerdoti, costretti a vivere il loro amore per una donna nella clandestinità o ad abbandonare la strada che avevano scelto di servire la Chiesa e diffondere il Vangelo. Ma le attuali gerarchie vaticane, pur immerse nel secolo con attività varie, e papa Benedetto XVI non sembrano in grado di raccogliere il messaggio che da più parti arriva loro, nelle forme più varie, una richiesta d’aiuto di migliaia di preti che chiedono solo di ritornare a vivere nel vangelo. L’abbandono di una norma, introdotta tra l’altro nel Diritto Canonico solo nel 1917, venne forse vissuta come un cedimento, un indebolimento del potere di ricatto che da secoli viene esercitato verso la parte più esposta della Chiesa che sono appunto i presbiteri, che, sempre in 181 prima linea, giorno dopo giorno vengono giudicati da migliaia di fedeli che non conoscono, come dovrebbero, i molti “misteri” sui quali la Chiesa fonda il suo carisma. 182 bibliografia Alexis Francois Artaud de Montor, Storia dei sommi pontefici, Società editrice, Torino, 1853 Tony Bushby, La storia criminale del papato, Nexus n° 68, 69, 70 Luigi Cascioli, La favola di Cristo Karl Heinz Deschner, Storia criminale del Cristianesimo, edizione Ariele Peter De Rosa, Vicari di Cristo – Il lato oscuro del papato, Gruppo Editoriale Armenia Giovanni Di Capua, Marozia – La pornografia pontificia attorno all’anno 1000 Antonino Di Stefano, Riformatori ed eretici nel medioevo, 1938 Horst Fuhrmann, Soria dei Papi da Pietro a Giovanni Paolo II, Laterza, Bari Mariateresa Fumagalli, Le donne dei preti della chiesa cattolica – Storie vere di amori in Vaticano, Baldini e Castoldi Dalai Francesco Guicciardini, Storia d’Italia Eric John, The popes: a concise biographical, Burns & Oates Basilio Petrà, Preti sposati. Per volontà di Dio?, EDB, Bologna 2004 185 Claudio Rendina, Cardinali e cortigiani, Newton & Compton Claudio Rendina, I Papi – Storia e segreti, Newton & Compton editori Gaetano Moroni Romano, Dizionario di erudizione storico–ecclesiastica, vol XCIII, in Venezia Tipografia Emiliana, MDCCCLIX Alceste Santini, Dizionario dei Papi e del papato, Elle U Multimedia, 2000 Alfons M. Stickler, Il celibato ecclesiastico: La sua storia e i suoi fondamenti teologici T. Veggian, Il celibato ecclesiastico Heinz Jurgen Vogels, Celibato, Non obbligo, Il segno dei Gabrielli Editori, Verona Giancarlo Zizola, Il conclave – Storia e segreti, Newton & Compton editori N. D. 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