antichi popoli americani

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antichi popoli americani
INDICE
1.
ANTICHI POPOLI AMERICANI – INTRODUZIONE. ---------------------------------------------------------------- 2
2.
MESSICO. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
2.1 Il MESSICO DALLE ORIGINI AD OGGI. -------------------------------------------------------------------------------- 4
2.2 CITTÀ DEL MESSICO. ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 10
2.3 TEOTIHUACÁN E TULA. --------------------------------------------------------------------------------------------------- 22
2.5 CITTÀ COLONIALI DEL CENTRO. -------------------------------------------------------------------------------------- 29
2.6 LO STATO DI OAXACA. ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 37
2.7 IL MONDO MAYA. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 44
2.8 IL CHIAPAS. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 47
2.5 LA PENISOLA DELLO YUCATÁN. ----------------------------------------------------------------------------------------56
3.
PERÙ E BOLIVIA. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 72
3.1 PERÙ, LA TERRA E LA STORIA. ---------------------------------------------------------------------------------------- 72
3.2 LA CAPITALE LIMA ED I DINTORNI. ----------------------------------------------------------------------------------- 81
3.3 LA PAMPA DI NAZCA. ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 90
3.4 AREQUIPA. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 97
3.5 CUZCO. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 103
3.6 DA CUZCO A MACHU PICHU. ------------------------------------------------------------------------------------------ 109
3.7 MACHU PICHU. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 113
3.8 PUNO ED IL LAGO TITICACA. ------------------------------------------------------------------------------------------ 117
3.9 LA BOLIVIA - DA TIAHUANACO A LA PAZ. ------------------------------------------------------------------------- 122
4.
L’ISOLA DI PASQUA (RAPANUI). ------------------------------------------------------------------------------------ 129
4.1 L'ISOLA DI PASQUA. ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 129
4.2 LA CIVILTÀ DEI MOAI. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 133
4.3 LA CULTURA DI ORONGO. ---------------------------------------------------------------------------------------------- 144
Il testo è tratto dal sito web http://www.travelphotoblog.org dello stesso autore.
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ANTICHI POPOLI AMERICANI
INTRODUZIONE
Messico, Perù e Bolivia e l’Isola di Pasqua sono stati tre destinazioni che hanno
permesso di scoprire antiche popolazioni autoctone di alcuni moderni stati americani.
Nel Messico i conquistatori spagnoli hanno incontrato nel suo pieno sviluppo la civiltà
Azteca che in 200 anni aveva creato un grande impero esteso fino al Guatemala. La
capitale lasciò stupiti gli Spagnoli per la sua grandezza per le strade larghe e diritte, i
canali, i ponti, gli acquedotti, gli edifici e il traffico, paragonabile alle più grandi città
spagnole del tempo. In seguito, con la ricerca archeologica e dalle relationes dei
conquistatori conservate nella Biblioteca Reale di Madrid, si scoprirono altre
popolazioni e civiltà mesoamericane, alcune sparite, come gli Olmechi, i Toltechi e gli
Zapotechi e altre in decadenza, come i Maya, con l’abbandono delle città, culture che
avevano raggiunto conoscenze astronomiche e matematiche avanzate con un calendario
solare preciso e una scrittura ideografica raffinata. Dall’agricoltura indigena sono
state importate in Europa: il mais, il fagiolo e la zucca, l'avogado, la patata dolce, il
pomodoro e il cacao e, fra gli animali domestici, il tacchino. La cultura indigena si è
tramandata nei discendenti con i costumi, l’artigianato e i riti religiosi che si sono fusi
nel sincretismo con quelli della religione cattolica portata dagli Spagnoli. Il viaggio in
Messico ha documentato il meglio di tutte queste culture con le descrizioni e le foto.
Poco più di un secolo dopo, gli Spagnoli, guidati da Francisco Pizarro, conquistarono
l’impero degli Incas in Perù che si stendeva per 3000 km in lunghezza e 650 km in
larghezza, dalla costa occidentale dell’America meridionale fino agli altipiani. Dalla
valle di Cuzco, dove avevano fondato la capitale all’inizio del XIII secolo, gli Incas si
erano espansi dal 1400, in meno di 80 anni, sottomettendo popoli diversi, assimilando
le loro culture millenarie in un’unica struttura sociale e cancellando il ricordo del
passato. La conquista spagnola fu rapida perché l’imperatore Atahualpa fu prima
sequestrato e poco dopo giustiziato con l’accusa di complotto, nonostante fosse stato
approntato un ingente riscatto in oro. Ne derivò la disgregazione della società, ma in
breve iniziarono le rivolte. Gli Incas comandati ora dal nuovo Inca, Manco,
dimostrarono coraggio e organizzazione imparando presto a usare i cavalli e le armi
strappati agli spagnoli e dimostrandosi culturalmente superiori agli Aztechi. Tuttavia,
gli Spagnoli, raccolti tutti i rinforzi affluiti, occuparono, uno dopo l’altro, tutti i
territori dell’impero.
Gli Incas, come gli Aztechi, non furono però le uniche civiltà precolombiane che
fiorirono nell'America Meridionale. La rapidità con cui avvenne la conquista provocò il
collasso della cultura locale e del legame con il passato. Solo dopo l’indipendenza del
1821 e con l’interesse per l’archeologia si riscoprirono gli storici della conquista,
testimoni diretti attendibili, con le cronache di Pedro Cieza de Leon, soldato di
Pizarro, i Comentarios Reales dell'Inca Garcilao de la Vega, figlio di padre europeo e
madre inca, e gli archivi della corte spagnola. Si apprese che altri popoli fin da 1000
anni prima della nostra epoca avevano preceduto gli Incas, noti ora con i nomi di
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Chavin, Tiahuanaco, Chimu, Mochica, Paracas, Nazca. Durante il viaggio s’incontreranno
le loro tracce nei musei e nei luoghi visitati. Raggiunto il lago Titicaca, il più alto del
mondo, si passa la frontiera con la Bolivia, dove si trovano i resti della civiltà di
Tiahuanaco, luogo di origine degli Incas.
Il terzo viaggio è all’Isola di Pasqua, piccola isola sperduta nell’oceano a quasi 4000
km dalle coste cilene, che deve il suo nome all’essere stata scoperta nel giorno di
Pasqua del 1722. Non era stata rivendicata ancora da nessuna nazione fino al 1888,
quando ne prese possesso un capitano cileno in nome del suo governo. La presenza di
grandi statue di pietra, i moai, lungo le sue coste, suscitò il mistero sulle origini e il
crollo della civiltà nell’isola. Siamo di fronte a una storia di deforestazione progressiva
fino all’estinzione di tutte le specie arboree, materia prima per le canoe necessarie
alla pesca e alla navigazione, per il riscaldamento e per le funi e il trasporto dei moai.
In origine l’isola era ricca di varie specie di palme che cominciarono a essere
abbattute subito dopo l’arrivo dei primi colonizzatori polinesiani, intorno al 400 della
nostra era. Sembra che le palme si siano esaurite intorno al 1500 e da allora non
fecero più parte della dieta degli isolani. Alla fine del 1600, il collasso dell’economia
suscitò le guerre fra le tribù e l’abbattimento dei moai con il rifiuto del culto degli
antenati cui erano dedicati. Sorsero nuove credenze religiose per creare un legame
sociale, ma si diffuse l’antropofagia nelle feste delle comunità riprendendo un costume
atavico dei popoli polinesiani. Poi arrivarono i Cileni e gli archeologi.
Il collasso di questa civiltà potrebbe essere un monito per l’umanità intera che si
avvia all’esaurimento di tutte le risorse non rinnovabili della Terra.
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AGOSTO 1978 E NOVEMBRE-DICEMBRE 2003
VIAGGIO IN MESSICO
CAPITOLO 1 - Il MESSICO DALLE ORIGINI AD OGGI
Il Messico di oggi è erede di due grandi culture: quella autoctona mesoamericana, degli altipiani
messicani e delle terre basse meridionali, che forgiò le popolazioni indigene, e quella europea ispanica
che nel 1500 si scontrò in modo violento con la prima e apparentemente la annientò con la Conquista.
L'impero azteco e la sua civiltà scomparirono, come erano scomparse le precedenti civiltà, compresa
quella dei Maya più a sud che, nonostante la grande evoluzione sociale raggiunta, erano sempre civiltà
neolitiche che lavoravano la pietra con la pietra e non usarono mai la ruota, perché non avevano animali
da traino. Seguirono tre secoli di dominazione spagnola in cui si formò un nuovo popolo di meticci
(mestizos) e di oriundi europei. Poi con l'indipendenza, nacque una nazione d'impronta europea
nell'organizzazione e in economia, ma con una cultura che, accanto all'eredità dell'epoca coloniale, ha
mantenuto le antiche tradizioni dei popoli originari. Il Messico è ricchissimo dei resti archeologici delle
civiltà precolombiane e insieme conserva i tesori d'arte del barocco coloniale, ambedue in gran numero
dichiarati dall'UNESCO patrimonio dell'Umanità. Dall'agricoltura indigena messicana provengono
specie vegetali prima sconosciute in Europa come il mais, il fagiolo e la zucca, l'avogado, la patata
dolce, il pomodoro e il cacao e, fra gli animali domestici, il tacchino. Il Messico copre un'area
geografica che passa dal clima temperato a quello tropicale e offre una grande varietà di ecosistemi,
dalle distese desertiche alle foreste pluviali; vi sono montagne e vulcani attivi, un grande sviluppo
costiero, di circa 10000 km sul lato del Pacifico e del Mar dei Caraibi, ed ha grandi riserve minerarie e
giacimenti petroliferi. Il Messico è ora la più popolosa nazione di lingua spagnola del mondo, con 98
milioni di abitanti su circa due milioni di kmq (sei volte l'Italia), e la sua capitale, Città del Messico, è
una megalopoli con una popolazione di circa 22 milioni di abitanti.
LA STORIA
La storia del Messico si può dividere in tre fasi. La prima è quella preispanica, che si può fare partire
dal 1800 a.C. e vede lo sviluppo delle culture mesoamericane, negli altipiani e nelle terre basse
tropicali, fino al prevalere degli Aztechi e al rapido estendersi del loro impero, dal 1300 fino al 1521.
Questa è la data della distruzione della capitale Tenochtitlán per opera degli Spagnoli di Cortés. Segue
il periodo coloniale, durato circa tre secoli, dal 1521 al 1813, data della dichiarazione d'indipendenza e
della creazione dello stato del Messico. Nella terza fase, fino ai giorni nostri, si assiste all'evoluzione
dello stato moderno.
Si suppone che circa 3800 anni fa le bande nomadi di cacciatori raccoglitori, arrivati in Mesoamerica,
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diventarono stanziali, a seguito della domesticazione e della coltivazione delle piante e si formarono
delle città autonome. L'evoluzione culturale accelerò e si misero le basi per lo sviluppo dei primi centri
di potere. Gli insediamenti più antichi sono quelli degli Olmechi, sulle coste del Golfo del Messico,
nelle foreste basse di Veracruz e del Tabasco e nei centri di La Venta, Tres Zapotes e S. Lorenzo. Si sa
poco di essi, l'arte olmeca ci ha lasciato delle teste colossali di basalto, immagini di governanti, con
copricapo come elmi e i tratti del volto negroidi, oggetti in giada e pietre dure che testimoniano scambi
commerciali con paesi anche lontani. Gli Olmechi ebbero inoltre profonda influenza culturale su altri
popoli confinanti, Maya e Zapotechi. Siamo in un periodo definito preclassico, che arriva fino al 200
d.C.. La Venta fu il primo centro cerimoniale e il dio giaguaro degli Olmechi fu poi adottato dalle
culture successive. La civiltà Olmeca sparì bruscamente nel 400 a.C., dopo la distruzione di La Venta.
In modo indipendente si svilupparono Zapotechi e Maya, rispettivamente nelle aree di Oaxaca, a Mont
Albán, e nello Yucatán. A Mont Albán si nota un miglioramento delle tecniche agricole e si assiste al
sorgere del centro cerimoniale più importante di tutta la regione con costruzioni in pietra. Dagli
Olmechi e dai Maya, gli Zapotechi appresero la scrittura e le conoscenze astronomiche.
Anche se la cronologia dei Maya, secondo il loro calendario risale al 3214 a.C., le prime culture maya
risalgono a poco prima del secondo millennio a.C., quando cominciò la coltivazione di mais, cotone,
gomma e cacao e l'allevamento di tacchini e api. Di data più tarda sono i primi insediamenti stabili e la
civiltà urbana si sviluppò solo nel successivo periodo classico.
Il periodo Classico, che si fa andare dal 200 all'800 della nostra epoca, è il periodo di maggior
sviluppo dei popoli mesoamericani, con società molto stratificate e teocratiche, controllate da un'elite
sacerdotale e sostenute da una florida agricoltura e da una vasta rete di interscambi commerciali. Mont
Albán raggiunse il suo apogeo fra il 500 e il 750. Poi le tribù mixteche provenienti dal nord occuparono
il posto degli Zapotechi, integrandosi, e Mont Albán si andò trasformando in un'area sacra cimiteriale.
Intanto, a nord della regione del lago di Texcoco, la città di Teotihuacán, fondata nel 150 a.C., divenne
un grande centro religioso, fra il 400 e il 750, e la sua influenza si estese a tutto il Mesoamerica;
contava circa 200000 abitanti e manteneva contatti commerciali con Mont Albán e i Maya. I sovrani
erano divinizzati dopo la morte e le loro maggiori divinità erano il dio del fuoco e il dio della pioggia.
Teotihuacán decadde e fu abbandonata nel 700 circa e, fino al 1000, ci fu un periodo di transizione con
migrazioni delle popolazioni Chichimeche, dal nord verso il sud, e un riassetto territoriale e politico. Fra
i nuovi popoli, i clan militari toltechi fondarono, alla fine del 700, la città di Tollán, odierna Tula, che
occupò il posto di Teotihuacán come centro culturale e religioso. Un personaggio leggendario, Ce Acatl
Topiltzin, prese il potere ed introdusse il culto di Quetzalcoatl, il Serpente piumato, a cui fu poi
identificato. Secondo una leggenda azteca, il re Ca Acatl avrebbe lasciato Tollán promettendo di
ritornare e gli Aztechi erano ancora in attesa del suo ritorno, quando arrivò Cortés e ciò li indusse ad
accoglierlo come una divinità.
Nel periodo Classico i Maya si diffusero nell'ampia zona tropicale che comprende tutta la penisola
dello Yucatán, il Guatemala, il Belize, El Salvador e l'Honduras. Qui si svilupparono numerose città
stato, ognuna con un centro religioso e di potere, intorno cui gravitava un'ampia zona agricola, dove
viveva e lavorava la popolazione. L'élite sacerdotale raggiunse profonde conoscenze astronomiche e
matematiche, scoprì lo zero, ancora ignoto ai popoli del vecchio mondo, e creò una scrittura simbolica e
un calendario molto elaborato capace di datare avvenimenti anche remoti. Notevoli furono le opere
pubbliche come strade lastricate, lavori di canalizzazione e irrigazione. Nello Yucatán fu fondata
Chichén Itzá da parte delle tribù Itzá, poi sorsero Palenque, Bonampak, Tulum e Kabah. Nel 692
Chichén Itzá fu inspiegabilmente abbandonata, forse a seguito di un periodo di siccità.
Il periodo Postclassico si fa andare dal 900 fino alla conquista spagnola del 1521. Nel 987 Chichén
Itzá fu rioccupata e ricostruita dai Toltechi, migrati da Tollán, che riunificarono le disperse popolazioni
maya. I Maya-Toltechi costituirono la lega di Mayapán (1007-1204) fra tre città confederate, Chichén
Itzá, Mayapán e Uxmal. Mayapán accrebbe la sua egemonia sulla lega e sui centri dello Yucatán
settentrionale, infine fu distrutta nel 1441 e si assistette al progressivo abbandono delle città dello
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Yucatán per una serie di calamità. La civiltà maya si era già esaurita, quando gli Spagnoli arrivarono
nello Yucatán nel 1518.
Alla fine del 1200 una nuova tribù guerriera di lingua nahua, che si diceva provenisse dall'Aztlan nel
Messico nord-occidentale e si chiamava Aztechi-Méxica, arrivò sulle isole del lago di Texcoco
nell'altopiano centrale messicano, la valle dell'Anahuac, e qui, nel 1325, fondò la sua capitale, MéxicoTenochtitlán. In 200 anni gli Aztechi crearono un grande impero rendendo tributarie 317 città fino al
Guatemala. Gli Aztechi erano guerrieri, agricoltori e commercianti; relegati inizialmente nelle poche
isole della laguna, ingrandirono le terre coltivabili creando delle isole galleggianti di tronchi e di
giunchi ricoperti di terra su cui coltivavano mais, fagioli e meloni. Questi giardini galleggianti, detti
chinampa, finivano con il fissarsi con le radici al fondo del lago, creando un sistema continuo di isole e
di canali, interconnesso da ponti e da strade. Gli Aztechi regolarono le acque dei laghi separando con
dighe le acque dolci, alimentate dai monti vicini, dalle acque salate del Texcoco e costruirono un
acquedotto. Queste dighe collegavano anche la città alla terraferma con grandi strade rialzate. All'arrivo
degli Spagnoli la città doveva avere circa 300000 abitanti.
La società azteca era articolata in forma gerarchica, al vertice stava il re e i due sacerdoti principali,
quello del dio del sole e della guerra, Huitzilopochtli, e quello del dio della pioggia, Tlaloc. Poi
venivano i nobili, i liberi, i contadini e gli schiavi. Molto considerati erano i commercianti perché, con
i loro viaggi e i contatti con altri popoli, divenivano informatori del re e gettavano le basi per le sue
strategie di conquista. Dagli oggetti ritrovati si deduce che i legami commerciali arrivavano
dall'Arizona, a nord, al Nicaragua, a sud.
Il mito della creazione degli Aztechi era basato sulla nascita del sole dal sacrificio di una divinità che
aveva dato inizio all'era attuale; le ere precedenti erano finite in un cataclisma e anche l'ultima, quella
del quinto sole, era destinata a perire come le altre. Gli uomini erano tenuti a sostenere la vita del sole
mediante sacrifici di sangue. Alla fine di ogni secolo azteco, ogni 52 anni, il popolo attendeva con
terrore l'alba del nuovo giorno e il ritorno del sole. Da qui l'esigenza di sacrifici umani cruenti.
Quando nel 1519 Fernand Cortés, proveniente da Cuba, sbarcò nel golfo del Messico e fondò un primo
insediamento che chiamò Veracruz, sull'impero Azteco regnava Montezuma II ormai informato
dell'arrivo di stranieri. Il suo atteggiamento fu ambiguo, condizionato dalla leggenda del promesso
ritorno di Quetzalcoatl; inviò ambasciatori e doni, ma si rifiutò di incontrarlo. Cortés, a sua volta
informato sulla diffusa ostilità agli Aztechi dei popoli soggetti, si fece alleate le tribù Totonache della
vicina Campoala e, lasciata una piccola guarnigione a Veracruz, mosse verso l'altopiano con 400 fanti,
15 cavalli e 7 cannoni, ma anche 1500 alleati totonachi e 1000 portatori. Salendo sull'altopiano, si
avvicinarono allo stato di Tlaxcala le cui tribù erano da tempo in guerra con gli Aztechi, ma furono
accolti in modo ostile e dovettero sostenere diverse battaglie. La superiorità delle armi spagnole fu però
decisiva e i capi accettarono l'alleanza offerta da Cortés. Nella loro capitale Tlaxcala Cortés ricevette
un'altra ambasceria di Montezuma, che ora lo invitava nella sua capitale, e quindi riprese l'avanzata.
Passò per Cholula, in territorio azteco, dove sventò un complotto e distrusse la città, quindi si diresse
direttamente alla volta di Tenochtitlán attraverso la sierra, accanto ai due vulcani Popocatépetl (la
montagna che fuma) e Iztaecihuatl (la donna bianca), dal profilo di una donna distesa. L'8 novembre del
1519 avanzò sulla diga che, attraverso il lago di Texcoco, arrivava al cuore della città. Gli Spagnoli e i
suoi alleati, ormai in numero di 7000, furono accolti con manifestazioni di amicizia. La vista della
grandezza e della ricchezza della città lasciò stupiti gli Spagnoli che la paragonarono a Siviglia e
Cordoba, per le strade larghe e diritte, i canali, i ponti, l'acquedotto, gli edifici e i mercati affollati di
gente e di mercanzie. Sentendosi minacciato all'interno di una città così grande, Cortés, con un colpo di
mano, sequestrò l'imperatore che, da quel momento, fu alla sua mercè, inoltre riuscì ad ottenere rinforzi
da Cuba e li portò a Tenochtitlán, dove nel frattempo era scoppiata la rivolta della popolazione.
Montezuma fu ferito durante i tumulti e morì poco dopo e gli Spagnoli, in difficoltà, decisero di
evacuare. La ritirata fu disastrosa perché i ponti della diga erano stati tagliati e gli Aztechi, guidati ora
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dal fratello di Montezuma, Cuitlahuac, li assalivano dai fianchi. Questa fu la "noche triste" degli
Spagnoli che, con i loro alleati, furono ridotti a un terzo. I tlascalani si erano però mantenuti fedeli
all'alleanza e si aggiunsero altre popolazioni insofferenti degli Aztechi. In breve tutta la regione, da
Veracruz ai vulcani, fu sotto il controllo degli Spagnoli, rinforzati da altri contingenti provenienti da
Cuba. Intanto Cuitlahuac era morto di vaiolo e gli era succeduto il nipote Cuauhtémoc deciso a
resistere. Cortés allora iniziò i piani per distruggere la capitale azteca. Fece costruire dei brigantini, con
parti da assemblare, per attraversare la laguna e, nel maggio del 1521, strinse l'assedio distruggendo
l'acquedotto. I brigantini furono l'arma vincente, perché sbaragliarono facilmente le flottiglie dei
guerrieri che presidiavano il lago e i canali, e gli Spagnoli occuparono saldamente le vie di accesso alla
capitale. L'assedio durò tre mesi e la lotta sostenuta fu sanguinosa, la città fu distrutta casa per casa, i
canali riempiti con le macerie e i templi incendiati. La battaglia finì il 13 agosto 1521 giorno di S.
Ippolito, che per questo oggi è patrono del Messico, e con essa l'impero dei Méxica. Cuauhtémoc fu
preso prigioniero e giustiziato nel 1525 con l'accusa di cospirazione.
Il Messico divenne colonia spagnola con il nome di Nuova Spagna e Cortés ne divenne governatore e
capitano generale nel 1522. Si formarono degli insediamenti urbani sul modello castigliano. Gli
indigeni furono in maggioranza assegnati come manodopera gratuita nelle encomiendas (concessioni di
territorio) dei coloni. Cominciarono ad arrivare dalla Spagna i francescani (1523), poi i domenicani
(1526), gli agostiniani (1533) e anche i gesuiti nel nord-ovest. Iniziò la conversione forzata degli
indigeni che assimilarono però solo gli aspetti esteriori del cristianesimo. Furono bruciati tutti i
documenti sacri e le tracce delle antiche pratiche religiose, perdendo un enorme patrimonio culturale.
Solo alla fine del 1700, i ritrovamenti archeologici e l'interpretazione dei pochi codici rimasti ha
permesso di ricostruire a ritroso la storia della popolazioni del Mesoamerica. La colonizzazione fu
accompagnata dallo sterminio dei nativi, già decimati dal vaiolo portato dagli Spagnoli. Alcuni religiosi,
fra cui Bartolomé de Las Casas, cercarono di alleviare lo stato di schiavitù creato dalle encomiendas,
ma queste durarono fino al 1729. Cortés finì di essere governatore nel 1528 e nel 1535 fu installato il
primo viceré. Mentre gli indigeni diminuivano riducendosi a meno di 2 milioni, gli Spagnoli immigrati
diventavano 57000 nel 1570 e si formava una società fortemente stratificata con al vertice i criollos, i
bianchi nati in colonia, con haciendas, dove i proprietari bianchi avevano un dominio assoluto sui
nativi, ma con un potere centrale dominato dai viceré che frenava lo sviluppo con l'oppressione fiscale e
il protezionismo commerciale. I criollos, che erano culturalmente sviluppati, erano sempre più
insofferenti al dominio spagnolo, ma sotto di loro cresceva lo scontento della folla dei meticci sempre
più numerosi e dei poveri sfruttati di tutte le razze.
Nel 1700, le guerre di successione in Europa e la crisi economica della Spagna aumentarono
l'oppressione fiscale sulle colonie e poi, sull'esempio della rivoluzione americana e di quella francese,
cominciarono le prime sommosse. Il Messico fu però l'unico paese dell'America Latina, dove la rivolta
iniziò per opera dei ceti più poveri e non dell'aristocrazia creola. Nel 1810 un prete del basso clero,
Miguel Hidalgo y Castilla, dalla cittadina di Dolores Hidalgo, guidò i peones e instaurò un governo
popolare a Guadalajara sopprimendo la schiavitù e fu il primo appello all'indipendenza (el Grito de
Dolores), ma la rivolta presto si esaurì; poco dopo però, nella Sierra Madre del Sud, i nativi, guidati da
José Maria Morelos, proclamarono l'indipendenza nel 1813. Presto l'aristocrazia creola prese l'iniziativa,
il generale Agustin de Iturbide costrinse al rimpatrio l'ultimo viceré e, il 27 settembre del 1821,
proclamò l'indipendenza dalla Spagna e promulgò una costituzione federale sul modello degli Stati
Uniti. Iturbide, vista la debolezza dello stato centrale, l'anno dopo con un colpo di stato abrogò la
costituzione e si proclamò Imperatore, ma diede l'avvio, nei successivi 30 anni, a una successione di
colpi di stato e di dittature personali. Si affermò la personalità del generale Antonio Lopez de Santa
Anna cui si deve l'abolizione formale della schiavitù. Mentre era al potere, avvenne nel 1836 la
secessione del Texas cui seguì la guerra con gli Stati Uniti (1846-48) che finì disastrosamente con
l'invasione del Messico e l'occupazione di Città del Messico da parte dell'esercito degli Stati Uniti. La
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fine della guerra segnò anche la perdita del Nuovo Messico e della California settentrionale. Santa Anna
fu rovesciato, nella lotta che seguì fra conservatori e liberali, e nacque il movimento della Riforma che
ebbe i suoi ispiratori in Benito Juárez e Ignacio Comonfort. Nel 1857 fu promulgata una nuova
costituzione che stabiliva la laicizzazione dello stato e la riforma agraria e, dopo una lunga resistenza
dei conservatori, il Congresso nominò nel 1861 Presidente costituzionale Benito Juárez, primo uomo di
pura razza indigena a raggiungere una tale carica. Il grave deficit finanziario indusse il governo a
sospendere il pagamento del debito estero e a questo punto i governi europei decisero di intervenire, per
iniziativa di Napoleone III. Fu nominato Imperatore del Messico l'arciduca Massimiliano d'Asburgo
che, sostenuto dalle truppe francesi, sbarcò a Veracruz e occupò Città del Messico. Massimiliano
incontrò un'accanita opposizione, sia da parte dei conservatori per la sua politica liberale, sia da parte
dei liberali che lo consideravano un invasore e, quando nel 1866 Napoleone III ritirò il suo appoggio
militare, l'opposizione ebbe il sopravvento e Massimiliano, alla sua capitolazione a Querétaro nel 1867,
fu fucilato dopo un giudizio sommario. Le armi repubblicane avevano combattuto agli ordini del
generale Porfirio Diaz e questi fu nominato Presidente dopo la morte di Juárez. Dal 1867 al 1910, il
Messico fu sotto la guida politica di Porfirio Diaz che rafforzò il potere centrale, risanò l'economia
favorendo gli investimenti esteri e portò a termine la costruzione di una moderna rete ferroviaria di
19000 km. Il monopolio politico di Diaz aveva favorito però solo l'oligarchia fondiaria e mineraria del
paese, lasciando irrisolti i problemi dei peones, del proletariato urbano e l'asservimento degli indigeni.
In vista delle nuove elezioni del 1910 l'opposizione fece sentire la sua voce nella persona del suo
concorrente, Francisco Madero, che divenne Presidente nel 1911, ma si dimostrò debole. A questo
punto scoppiò la rivolta di Emiliano Zapata, nello stato centrale di Morelos, che impose la questione
agraria con un appello nazionale. Intanto Madero fu sostituito nel 1913 dal colpo di stato del generale
Victoriano Huerta e poco dopo assassinato. Scoppiò un'altra rivolta popolare negli stati meridionali di
Durango e Chihuahua guidata da Pancio Villa che, nonostante le sue origini contadine, si dimostrò
grande stratega. Huerta fu sconfitto e abbandonò il paese, Villa e Zapata nel novembre del 1914
entrarono trionfalmente a Città del Messico, ma il potere finì nelle mani di Venustiano Cárranza, già
oppositore costituzionale di Huerta, forte del sostegno degli Stati Uniti. La guerra era finita, ma il paese
non era ancora pacificato ed era allo stremo. Erano scoppiate epidemie e in totale i morti furono circa
un milione. Zapata e Villa, ritiratisi a vita privata, moriranno rispettivamente nel 1919 e nel 1923, uccisi
a tradimento dai loro oppositori. Cárranza promulgò nel 1917 una nuova costituzione, rimasta valida
fino ad oggi, che abolì i rapporti servili, impose regole al lavoro e riaffermò la separazione dello stato
dalla chiesa. L'economia del paese restava, però, sempre dominata dagli Stati Uniti. Una svolta si ebbe
nel 1934 con la presidenza di Lazzaro Cárdenas che accentuò il contenuto sociale, dando impulso alla
riforma agraria, distribuì 18 milioni di ettari alle comunità indigene, nazionalizzò le ferrovie e
l'industria petrolifera e fondò il Partido Revolucionario Mexicano (PRM). Sotto di lui fu accolto
Trotzkij come rifugiato politico.
Durante la seconda guerra mondiale il Messico fu alleato degli angloamericani e il dopoguerra vide lo
sviluppo dell'economia e l'industrializzazione del paese. La popolazione era passata, da 15 milioni al
tempo della rivoluzione, a 34 milioni, ma il partito dominante era sempre lo stesso e aveva assunto il
nome di Partido Rivolucionario Institucional (PRI). Il potere presidenziale divenne quasi dispotico
riducendo i poteri degli stati federali. La prima crisi del regime fu provocata dal movimento studentesco
nell'autunno del 1968, quando la protesta portò a occupazioni e barricate e la polizia rispose con il
massacro del 3 ottobre a Piazza delle Tre Culture di Città del Messico, a pochi giorni dall'apertura delle
Olimpiadi, sparando dagli elicotteri e dagli edifici. Il presidente Ordaz fece marcia indietro rilasciando
gli arrestati, ma i fatti ebbero risonanza in tutto il mondo e le Olimpiadi messicane, iniziate
regolarmente il 12 ottobre, furono occasioni di violente contestazioni specie dei neri americani contro
l'apartheid.
La presidenza di Luis Echeverría (1970-76) accentuò l'intervento statale con investimenti e sussidi
cercando il consenso, ma fece triplicare il deficit e ne seguì la svalutazione del peso e l'inflazione.
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Fortunatamente la scoperta di grandi giacimenti petroliferi rovesciò la situazione economica sotto la
nuova presidenza di José Lopez Portillo (1976-82), ma il paese entrò in un vortice di spese,
investimenti e debiti e, quando dal 1981, il prezzo del petrolio calò, sopravvenne una crisi pesante con
una nuova svalutazione e un debito estero fuori controllo. Nelle successive elezioni, il PRI continuò a
mantenere il potere per mancanza di alternative, la politica economica però cambiò radicalmente
tuttavia, nonostante la firma dell'accordo del Libero Scambio fra Messico Stati Uniti e Canada
(NAFTA), la situazione restava critica ancora nel 1992 e i problemi sociali si fecero più acuti. Nel
Chiapas, uno degli stati più poveri del paese, il NAFTA acuì la crisi agricola e, all'inizio del 1994, fra
gli indigeni di S. Cristobal de Las Casas, scoppiò una rivolta armata che s'ispirava a Emiliano Zapata;
fu creato l'EZNL (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) e gli zapatisti occuparono città e
fattorie. Il governo riprese subito il controllo delle città, ma la guerriglia è rimasta endemica. Nelle
ultime elezioni del 2 luglio 2000, per la prima volta dopo 71 anni, il PRI è stato battuto da una
coalizione guidata dal partito di opposizione PAN (Partido de Action Nacional) ed è stato eletto
Presidente Vicente Fox Quesada. Il nuovo presidente ha ritirato le truppe dal Chiapas e nel 2001 sono
stati ratificati gli accordi per una pacificazione. Nel settembre 2003, si è tenuta a Cancún la conferenza
del WTO (World Trade Organization) per affrontare molti punti controversi sulla liberalizzazione degli
scambi commerciali fra gli stati aderenti, ma è finita con un nulla di fatto senza trovare nessun
consenso.
IL VIAGGIO
L'itinerario descritto nel seguito riunisce e integra i luoghi visitati in occasione dei due viaggi
effettuati nell'agosto 1978 e alla fine del 2003, distanziati da più di 25 anni durante i quali si sono
verificati molti cambiamenti. Le foto testimoniano, dove possibile, lo stato più recente (2003), tranne
che per i luoghi visitati esclusivamente nel 1978, come il sito archeologico di Tula, diverse cittadine
intorno a Città del Messico e alcuni siti archeologici in terra Maya. Per ogni località però, è
espressamente indicato in quali anni è stata visitata e in aggiunta, quando il luogo è comune ai due
viaggi, è indicato se una foto è del 1978.
Il viaggio nell'agosto 1978 è stato organizzato in modo autonomo, con le agenzie locali, nelle due
tappe successive di Città del Messico e Mérida ed ha avuto una durata di circa 20 giorni. Il viaggio del
2003 è stato organizzato per un gruppo di iscritti all'Associazione Culturale Itinera di Roma, dal 28
novembre al 9 dicembre.
L'itinerario qui descritto, inizia da Città del Messico, tappa obbligata in ambedue i viaggi, si visitano
poi i due principali siti archeologici precolombiani Teotihuacán e Tula e quindi alcune cittadine
dell'altopiano messicano come Tepotzotlán, Toluca, Cuernavaca, Taxco e Puebla passando per il Parco
dei Vulcani e la città di Cholula con i resti della sua grande piramide. Si scende poi a sud nello stato di
Oaxaca con la capitale omonima, altra città coloniale, e vicino si ammirano i siti archeologici di Mont
Albán e Mitla. La seconda parte del percorso è dedicata alle regioni messicane di civiltà Maya: il
Chiapas e la penisola dello Yucatán. Il Chiapas è una regione tropicale, ricca di fiumi e foreste e
affascinante per natura e abitanti di antiche tradizioni; qui s'incontra Palenque, il sito archeologico
maya più famoso del Messico. Nella penisola dello Yucatán, con capitale Mérida, si visitano numerosi
siti maya, i due più importanti e noti, come Uxmal e Chichén Itzá, e altri due non meno interessanti
come Kabah e Dzibilchaltun. L'ultima tappa è Cancún, nello stato di Quintana Roo, sul lato orientale
della penisola dello Yucatán, famoso luogo di vacanze balneari sulla riviera corallina.
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AGOSTO 1978 E NOVEMBRE-DICEMBRE 2003
VIAGGIO IN MESSICO
CAPITOLO 2 - CITTÀ DEL MESSICO (1978 E 2003)
Città del Messico è una megalopoli di 22 milioni di abitanti posta su un altopiano a 2240 m di quota
fra due catene di monti. Sul lato est si sollevano due vulcani: il Popocatépetl e l'Iztaccihuatl di oltre
5000 m, il centro della città giace in gran parte sul fondo disseccato di un antico sistema di laghi, il più
grande dei quali era Texcoco sui cui isolotti era sorta México-Tenochtitlán, l'antica capitale degli
Aztechi. Solo nella parte meridionale della città rimane ora una rete di canali, ultime tracce dell'antico
lago di Xochimilco. Sorgendo su una superficie formata essenzialmente da materiali di riporto, il centro
della città subisce ancora un lento sprofondamento, di circa 3 cm/anno, che rende necessari continui
restauri e lavori di consolidamento. Città del Messico occupa ora un'estensione di circa 40 km, da nord
a sud, e di 30 km, da est a ovest, superficie che costituisce il Distrito Federal (D.F.) della Repubblica
del Messico.
Il Centro Storico gravita intorno a Plaza de la Constitutión e si allunga a ovest, fino all'Alameda
Central, il più antico parco della città sfiorato dal Paseo de la Reforma. Questa è un'arteria lunga circa
12 km, da nord-est e sud-ovest, che incrocia l'Avenida Insurgentes, l'arteria longitudinale più lunga, di
circa 42 km. A sud-ovest, il Paseo de la Reforma raggiunge il bosco di Chapultepec, la più grande area
verde della città, residenza estiva dei viceré, poi scuola militare nel 1841 e residenza Imperiale di
Massimiliano d'Asburgo; qui si trova anche il Museo Nazionale di Antropologia. Sul lato nord-est del
Paseo de la Reforma si trova la Basilica di Guadalupe, il più famoso centro di culto delle popolazioni
indigene, dedicato alla Vergine di Guadalupe.
A sud, l'Avenida Insurgentes raggiunge la Città Universitaria, un immenso campus di 300 ettari con
zone sportive, giardini e i grandi edifici delle facoltà costruite nel decennio 1950. Più a sud, oltre la
Circumvallazione Sud, c'è l'area archeologica di Cuicuilco, ricoperta dall'eruzione del vulcano Xitle nel
200 a.C. circa, dove è stato trovato un grande centro cerimoniale del periodo Preclassico. Proseguendo
la Circumvallazione Sud verso est e poi scendendo più a sud, si arriva al villaggio lacustre di
Xochimilco, resto di un'antica laguna d'acqua dolce di epoca azteca, popolare luogo di attrazione per i
fine settimana.
Lo sviluppo industriale degli ultimi decenni ha fatto sorgere intorno alla città più di 40000 industrie
manifatturiere molto diversificate, molte con capitale straniero, che forniscono oltre la metà della
produzione industriale del paese e occupano più del 60% della manodopera del settore. Da questa
concentrazione nascono il grave inquinamento della città e il tentativo di decentrare le produzioni.
Il sistema di trasporti interno è molto capillare e la rete metropolitana, iniziata nel 1969 e in gran parte
di superficie, contribuisce a snellite il grave problema del traffico.
IL CENTRO STORICO
Il cuore della città è la Plaza de la Constitutión, la grande piazza chiamata popolarmente Zócalo da
quando, nel 1843, si costruì lo zoccolo di un monumento all'Indipendenza poi non più innalzato e, per
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analogia, Zócalo è chiamata la piazza principale di tutte le città coloniali del Messico.
Nel periodo
coloniale
era
detta Plaza Real,
centro religioso e
del potere intorno
cui si sviluppò la
città.
Questa
piazza era anche
il
centro
dell'antica
capitale azteca,
luogo del mercato
Plaza de la Constitutión - Cattedrale.
(tiangui) e vicino
ai grandi templi dell'area sacra, il Teocalli.
Sul lato nord della piazza c'è la Cattedrale metropolitana, iniziata
nel 1573, per sostituire la prima modesta chiesa eretta da Cortés
dopo la conquista, e completata alla fine del 1700. Lo stile è barocco
nella facciata e neo-classico nel coronamento e nelle due torri di
Facciata del Sagrario.
gusto francese. Sul lato destro della cattedrale sorge il Sagrario, la
chiesa dove erano conservati gli oggetti liturgici, i tesori e gli archivi dell'Arcivescovo.
La facciata del Sagrario è decorata con una profusione di ornamenti
nello stile churrigueresco diffuso dall'architetto e scultore spagnolo
Benito Churriguera (1665-1725), capostipite di una dinastia di
architetti barocchi catalani, che esportarono lo stile in America
Latina.
L'interno della
cattedrale
è
grandioso, a tre
navate separate
da
fasci
di
colonne
scanalate,
ma
davanti
all'ingresso
principale e prima
che inizi la navata
Cattedrale - Cappella del Perdono.
centrale, sorge la
Cappella del Perdono consacrata nel 1737, con un altare in mogano
Interno della Cattedrale.
completamente rivestito di lamine d'oro.
Sul lato est della piazza sorge il Palacio Nacional, oggi sede del governo della Repubblica degli Stati
Uniti del Messico con tutti gli uffici annessi. Il luogo dove sorge è quello della reggia di Moctezuma,
ricostruita da Cortés dal 1523 e poi divenuta la residenza dei viceré spagnoli dal 1562. Il palazzo ha
subito un gran numero di ricostruzioni; nell'ultima del 1927 fu aggiunto l'ultimo piano. La facciata
fronteggia la piazza per più di 200 m, scandita da file di finestre e balconi e tutta costruita in pietra
vulcanica locale detta tezontle. Ci sono tre ingressi monumentali, a destra quello riservato al Presidente
della Repubblica, al centro quello principale per i visitatori e le cerimonie, quello di sinistra fu aggiunto
nel 1950. Dall'ingresso centrale si accede al cortile principale con tre ordini di arcate e una fontana
centrale. Questo cortile esisteva già nel primo palazzo costruito da Cortés e nel 1526 vi si tenne la
prima corrida in onore del ritorno di Cortés dalla spedizione in Honduras.
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PALACIO NACIONAL
A sinistra, la grande facciata su Plaza de la Constitutión (foto 1978).
A destra, il cortile principale (foto 1878).
Storia del Messico di Diego Rivera
(foto 1978).
Uno scalone monumentale porta ai piani superiori e
ai loggiati sul cortile; le pareti dello scalone e del
primo loggiato sono state affrescate dal pittore
messicano Diego Rivera (1886-1957).
Le scene sullo scalone ripercorrono la storia del
Messico, dalla conquista alla rivoluzione per
l'indipendenza e dalla costituzione del 1847 fino ai
giorni nostri.
In basso ci sono le scene della conquista, l'aquila
con il serpente nel becco simboleggia la fondazione
della capitale azteca.
Poi ci sono le scene della colonizzazione spagnola
e dell'Inquisizione con gli autodafé.
PALACIO NACIONAL - DIPINTI SULLE PARETI DEL PRIMO LOGGIATO
A sinistra, una ricostruzione della capitale México- Tenochtitlán.
A destra, la civiltà dei Totonachi e la loro capitale Totonacapan.
Gli episodi più recenti della storia sono dipinti sotto le arcate; nella più grande ci sono le scene della
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guerra d'indipendenza messicana (1810-21), nell'arco a sinistra la rivoluzione agraria e di Madero.
Alle pareti del loggiato, al primo piano, c'è una serie di riquadri, dove sono rappresentate le civiltà
preispaniche, cominciando da una ricostruzione della capitale México- Tenochtitlán e le attività agricole
e di artigianato delle varie popolazioni.
Oltre l'angolo nord-est dello Zócalo, si trova un grande plastico della capitale azteca al centro dei laghi
e con le due grandi strade rialzate fra loro perpendicolari, che la collegavano alla terraferma. Più avanti
si trovano gli scavi del Tempio Mayor, la grande piramide che portava sulla sommità i templi del dio
del sole e della guerra, Huitzilopochtli, e del dio della pioggia, Tlaloc. Il tempio era all'incrocio fra le
due grandi strade ed era considerato il centro dell'universo. I primi resti del tempio furono trovati nel
1913-14 e i primi scavi sistematici sono quelli del 1978 che hanno portato al ritrovamento di un gran
numero di oggetti di valore. L'orientamento del tempio era verso ponente.
ZOCALO - PLASTICO DELLA CAPITALE AZTECA
A sinistra, plastico della capitale Mexico- Tenochtitlán.
A destra, scavi del Tempio Mayor di Mexico-Tenochtitlán.
Vicino
all'angolo sud-est
della piazza, dove
sbocca l'Avenida
Pino
Suarez,
quasi sull'antico
tracciato
della
strada rialzata sud
della
capitale
azteca, si trova il
monumento che
ricorda
la
Monumento alla fondazione
leggenda
della
di Tenochtitlán (foto1978).
fondazione
di
Tenochtitlán sul luogo dove fu vista un'aquila su un cactus che
divorava un serpente. Per gli Aztechi il cactus rappresentava la terra,
l'aquila l'aria e il serpente l'acqua, simboli della natura e dalla vita, e
questo è diventato il simbolo del Messico che si trova nella bandiera
Torre Latino-Americana.
nazionale.
Sulla Pino Suarez più a sud, si trova la chiesa di Gesù Nazzareno,
una volta associata all'ospedale omonimo che fu il primo fondato da Cortés nel luogo del suo primo
incontro con l'imperatore Moctezuma II, in questa chiesa sono finite nel 1794 le spoglie di Cortés
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Lo Zócalo dalla Torre
Latino-Americana (foto 1978).
traslate dalla Spagna nel 1562.
A ovest dello Zócalo, all'incrocio fra via Francisco
Madero e l'Avenida Lazaro Cárdenas, si solleva la
Torre Latino-Americana, un grattacielo di 47 piani
con una piattaforma panoramica al 42° piano, da cui
si può godere un'ampia vista della città.
Verso est si vede lo Zócalo con l'Avenida Francisco
Madero e, a ovest, il Parco Alameda Central, creato
nel 1592 dal viceré e destinato a un mercato.
Dal 1571 divenne luogo degli autodafe del tribunale
dell'Inquisizione e vi si bruciavano in pubblico gli
eretici.
Nel 1900, durante la dittatura di Porfirio Diaz, sul
lato est del parco fu costruito il Palazzo delle Belle
Arti, un imponente edificio di marmo sede del teatro
Nazionale con una capacità di 3500 posti.
Sul lato opposto dell'Avenida Cárdenas, la strada che costeggia il Teatro, si trova l'edificio della Posta
Centrale (Correos Central) di gusto eclettico innalzato all'inizio del 1900 in forme gotico-veneziane e
del plateresco spagnolo.
VISTA DALL'ALTO DELLA TORRE LATINO-AMERICANA
A sinistra, il Parco Alameda Central (foto1978).
A destra, il Teatro Nazionale (foto 1978).
PARCO CHAPULTEPEC E MUSEO DI ANTROPOLOGIA
A ovest del parco Alameda passa la maggiore arteria della capitale, il Paseo della Reforma, iniziata
dall'imperatore Massimiliano d'Austria per collegare la sua residenza, del Castello di Chapultepec, con
la sede del governo al Palazzo Nazionale.
L'arteria fu poi completata prolungandola verso nord-est all'inizio del 1900, ispirandola agli Champs
Elysée di Parigi, ed è interrotta da piazze circolari con al centro monumenti commemorativi dedicati a
personaggi importanti: dall'ultimo sovrano Azteco, Cuauhtémoc (foto sotto a sinistra del 1978), a
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Cristoforo Colombo.
Dopo aver incrociato l'Avenida de los Insurgentes, il Paseo de la
Reforma giunge, a sud-ovest, al grande parco di Chapultepec che si
estende intorno a una collina per circa 400 ettari, con laghi artificiali e
grandi zone alberate.
Il parco ha origine al tempo degli Aztechi e da qui partiva l'acquedotto
che alimentava la capitale Tenochtitlán. Il nome di Chapultepec significa
"cavalletta" in lingua nahuatl. Sulla collina esistevano un tempio azteco e
la residenza estiva dell'imperatore che fu usata anche da Cortés dopo la
conquista; i viceré vi costruirono un palazzo nel 1785.
Dopo l'Indipendenza fu trasformato in scuola militare e qui i cadetti
resistettero accanitamente agli attacchi dell'esercito statunitense durante
l'invasione del 1847. In memoria fu innalzato un monumento a "Los
Niños Heroes" con sei colonne terminanti a punta.
L'imperatore Massimiliano d'Asburgo fece costruire accanto la sua
residenza, l'Alcazar, con giardini all'italiana, completato dopo la sua
caduta e usato dai governanti del paese.
Dalla terrazza dell'Alcazar si ha un ampio panorama sulla città, sul parco e, nelle giornate limpide, si
possono vedere verso sud-est i due vulcani Popocatépetl e Iztaccihuatl.
PARCO CHAPULTEPEC
A sinistra, il Castello di Chapultepec, antica Scuola Militare (foto1978).
A destra, panorama della città dalla terrazza dell'Alcazar (foto1978).
Patio del Museo Nazionale di Antropologia.
Nel parco di Chapultepec si trovano uno zoo, campi
sportivi e diversi musei, fra questi il più importante è
certamente il Museo Nazionale di Antropologia,
costruito dal 1963 al 1964 in soli 19 mesi, e subito
inaugurato. Occupa un'area di 45000 mq, ed espone
una collezione ricchissima con una presentazione
impeccabile.
Il grande patio d'ingresso è protetto in parte da un
ampio ombrello piano sorretto da una colonna con
rilievi, circondata da un velo di pioggia che cade
dall'alto. Si comincia sulla destra con la storia della
migrazione umana nell'America del nord, attraverso
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lo stretto di Bering durante le ultime glaciazioni. Si passa poi allo sviluppo delle civiltà mesoamericane,
cominciando dal periodo preclassico con una raccolta di statuette e vasi da corredi funerari, fra cui
quelli provenienti dall'area di Cuicuilco, ricoperta dalla lava del vulcano Title nel 200 a.C..
Segue la Sala di Teotihuacán, con la ricostruzione della facciata del tempio di Quetzalcoatl nei suoi
colori originali, ricostruiti dagli archeologi, e le maschere del dio della pioggia e del serpente piumato
Quetzalcoatl. Fra i ritrovamenti più caratteristici sono le maschere funerarie di argilla o di pietra
vulcanica ricoperte da un mosaico in tessere di turchese e conchiglie rosse. Nella sala dei Toltechi, è
riprodotta una delle colonne a forma di guerriero, che reggevano il tempio di Tula, e steli di pietra
scolpite con rappresentazioni simboliche. Segue la Sala dei Méxica al cui ingresso è un monolito di
basalto a forma di giaguaro, che porta, scavato sul dorso, un recipiente cerimoniale detto Cuauhxicalli.
MUSEO NAZIONALE DI ANTROPOLOGIA
A sinistra, Sala di Teotihuacán e ricostruzione del Tempio di Quetzalcoatl.
A destra, Sala dei Méxica e monolito Cuauhxicalli.
Il reperto più
importante della
sala Méxica è la
Pietra del Sole o
Calendario
Azteco, monolito
circolare
di
basalto ritrovato
nel 1790 nella
Plaza Mayor di
Città del Messico,
durante i lavori di
Colori originari della Pietra
Pietra del Sole o Calendario Azteco.
restauro
della
del Sole (foto1978).
cattedrale.
Al
centro c'è la maschera del sole (Tonatiuh) con la bocca spalancata, come a chiedere il sangue dei
sacrifici, e intorno i glifi dei quattro soli che, secondo la cosmogonia azteca, hanno preceduto quello
attuale e che rappresentano il Giaguaro, il Fuoco, la Pioggia e il Vento, cioè i cataclismi che hanno
distrutto i precedenti universi. Sul bordo esterno, ci sono i corpi di due serpenti le cui teste si
fronteggiano in basso.
Quando fu trovato, il disco era tutto colorato ed ha perso i colori per essere stato lasciato lungo tempo
alle intemperie; il suo aspetto originario si può vedere nella ricostruzione fatta dagli archeologi.
Seguono poi le sale di Oaxaca e del Golfo del Messico.
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Nella prima vi
sono
testimonianze
della
cultura
zapoteca
e
mixteca di Mont
Albán,
steli,
statuette
e
ceramiche, nella
seconda ci sono
esemplari
delle
colossali
teste
Diadema di piume di Montezuma
olmeche
del
(foto1978).
periodo
preclassico (1200-900 a.C.) trovate a La Venta, Tres Zapotes e S.
Lorenzo, negli stati di Veracruz e del Tabasco.
Un altro oggetto interessante è la copia del diadema di piume di
quetzal usato dagli imperatori aztechi. L'originale, che si trova oggi
Testa colossale olmeca
nel Museum für Völkerkunde di Vienna, è quello donato da
(foto1978).
Montezuma a Cortés, quando sbarcò a Veracruz. Il diadema fu
inviato in Europa, rimase a lungo dimenticato a Innsbruck finché, quattro secoli dopo, è stato riscoperto
e riconosciuto come una delle ultime opere d'arte degli Aztechi sopravvissute per puro caso.
L'ultima sala è
quella dei Maya,
la civiltà diffusasi
in più di 400000
kmq nel sud-est
del Messico e nei
vicini
stati
dell'America
Centrale,
dal
1500 a.C., nel
preclassico, fino
alla
loro
Campeche - Tempio di Hocob (foto1978).
scomparsa, prima
dell'arrivo degli
Spagnoli. Dalla tomba di Pakal, a Palenque (Chiapas), proviene la
maschera di giada di questo re trovata nel Tempio delle Iscrizioni.
Nel giardino accanto alla sala si trova la ricostruzione del tempio di
Hochob nello stato di Campeche. L'edificio è un esempio dello stile
Maschera di giada di Pakal.
Chenes, della fine dell'epoca Classica (600-900 d.C.), da cui è
derivato lo stile Puuc dello Yucatán. La facciata è completamente decorata con pietre assiemate come
pezzi di un mosaico; la porta che ha in alto la maschera di Chaac, il dio Maya della pioggia, sembra
una bocca spalancata.
Quello che è qui mostrato è solo una minima parte dei tesori esposti nel museo la cui visita
richiederebbe un tempo molto superiore a quello che gli può dedicare un normale visitatore.
Riprendendo il Paseo de la Reforma verso nord-est, si costeggia Piazza delle Tre Culture, il Tlatelolco
della capitale azteca, dove si teneva il più grande e ricco mercato della città e c'era un importante centro
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cerimoniale, in parte riportato alla luce dagli archeologi. La piazza, oltre a queste rovine preispaniche,
conserva anche le testimonianze del periodo coloniale, chiesa e convento francescano, e un complesso
di edifici moderni, ma è stata fortemente danneggiata dal terremoto del 1985. Piazza delle Tre Culture è
rimasta tristemente famosa per il massacro del 3 ottobre 1969, pochi giorni prima dell'apertura delle
Olimpiadi.
Ancora più avanti sul Paseo de la Reforma si arriva
al Santuario della Madonna di Guadalupe, nei
quartieri settentrionali della città. La Vergine dalla
pelle scura, apparsa il 9 dicembre 1531 a un povero
indigeno di nome Juan Diego, divenne subito
oggetto di venerazione da parte della popolazione
indigena e meticcia che vide in lei il simbolo della
sua identità. Nel 1810 fu presa come emblema nella
prima rivolta di Miguel Hidalgo nella città di
Dolores.
La basilica antica fu eretta, fra il 1695 e il 1709,
con una grande cupola centrale e due torri
Santuario della Madonna di Guadalupe.
campanarie. Nel 1976 fu inaugurato accanto, il
nuovo santuario con la Basilica Nuova di cemento, acciaio e legno. L'immagine della Madonna, apparsa
nel fazzoletto di Juan Diego, si trova ora appesa nella nuova Basilica e i fedeli passano davanti su un
nastro trasportatore. Sulla vicina collina di Eltepeyac, è sorta un'altra cappella sul luogo dove, secondo
la tradizione, Juan Diego raccolse le rose in un fazzoletto dove comparve l'immagine della Madonna.
Sulla grande piazza del santuario si tengono di frequente danze tradizionali azteche, a ricordo del culto
che in questo stesso luogo era dedicato alla madre degli dei, Tonantain.
SANTUARIO DELLA MADONNA DI GUADALUPE
A sinistra, collina di Eltepeyac e Cappella delle Rose.
A destra, danze azteche sulla piazza del Santuario.
I quartieri meridionali di Città del Messico si raggiungono dall'Avenida Insurgentes. Il primo
quartiere, spostato sulla sinistra, è quello di Coyocan, circa 10 km dal centro cittadino, che in lingua
nahuatl significa luogo dei coyotes, dove, al tempo degli Aztechi, abitava una tribù chichimeca loro
tributaria. Qui Cortés mise il suo quartier generale durante l'assedio della capitale e, dopo la conquista,
vi fece costruire la sua residenza.
Circa 4 km più a sud di Coyocan, si attraversa la Città Universitaria con accanto, i centri sportivi. Qui
c'erano campi di lava, formatisi 2200 anni fa durante l'eruzione del vulcano Xitle, e tutti gli edifici sono
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stati costruiti con pietra vulcanica. L'Università di Città del Messico è la più antica del continente
americano, perché fu fondata e inaugurata nel 1553 per autorizzazione del re di Spagna Filippo II, in un
palazzo vicino alla Cattedrale. In seguito la sede fu spostata più volte e, nel 1800 dopo l'indipendenza,
fu chiusa e riaperta più volte. Nel 1910 fu aperta definitivamente con il nome di Università Nazionale
del Messico e le fu data ampia autonomia. L'area attuale le fu assegnata nel 1946 e i lavori terminarono
nel 1955.
Gli edifici dell'università sono opera di architetti e artisti messicani. Nella facoltà di medicina, che è
una delle più frequentate, c'è il Mosaico della Razza, opera di Francisco Eppens Huelguera. Al centro è
un triplo volto simboleggiante la fusione della razza spagnola (profilo di destra) con quella indigena
(profilo di sinistra) che hanno prodotto il volto centrale dei nuovi messicani.
Un altro edificio imponente è quello della Biblioteca Centrale che è un enorme prisma rettangolare di
10 piani posato su un basamento di altri due piani. Le pareti del prisma sono ricoperte da mosaici di
pietra colorata naturale, eseguiti da Juan O'Gorman. Vi è rappresentata una sintesi della storia del
Messico: preispanica, coloniale e moderna.
CITTÀ UNIVERSITARIA
A sinistra, Mosaico della Razza alla Facoltà di Medicina (foto1978).
A destra, la Biblioteca Centrale (foto 1978).
CITTÀ UNIVERSITARIA - CENTRI SPORTIVI
A sinistra, Piscina Olimpica (foto 1978).
A destra, lo Stadio (foto 1978).
Vicino all'area universitaria sono i centri sportivi costruiti per le Olimpiadi del 1968, fra cui la Piscina
Olimpica e lo Stadio da 80000 spettatori con i muri esterni inclinati, come le piramidi precolombiane, e
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decorati da Diego Rivera con soggetti ispirati alla storia degli sport del Messico.
Proseguendo sull'Avenida Insurgentes ancora per 3,5 km, appena superata la Circumvallazione sud, si
trova la zona archeologica di Cuicuilco, il monumento più antico della valle del Messico. Si suppone
che i primi insediamenti rimontano al periodo preclassico e si trovavano sulla riva occidentale del lago
di Texcoco. La città si sviluppò nel 600 a.C. e aveva un grande tempio piramide alto 18 m a pianta
circolare, con un diametro di 135 m e quattro livelli. La città fu distrutta dall'eruzione del vulcano Xitle
che la ricoprì con 8 metri di lava. Per riportare alla luce i resti del tempio è stato necessario fare saltare
con gli esplosivi la lava che lo ricopriva; si è poi ricostruita la forma della piramide. Al centro è stato
trovato un altare ellittico.
ZONA ARCHEOLOGICA DI CUICUILCO
A sinistra, ricostruzione della piramide (foto 1978).
A destra, altare ellittico (foto 1978).
Il quartiere meridionale più lontano è Xochimilco, a
28 km dal centro. In lingua nahuatl Xochimilco
significa "luogo dei campi di fiori" e indicava i
famosi chinampa, le isole artificiali galleggianti,
dove gli abitatori dei laghi coltivavano fiori ed
ortaggi. La cittadina di Xochimilco fu creata dalle
tribù tolteche dopo la caduta della loro capitale Tula.
Poi s'insediarono delle tribù chichimeche e infine la
città passò sotto il dominio degli Aztechi.
A quel tempo il lago di Xochimilco era molto
grande, come quello di Chalco più a est, era di acqua
dolce, perché vi affluivano acque dai vicini vulcani coperti di neve, e comunicava a nord con il grande
lago salato di Texcoco. Il luogo è diventato centro di distrazioni per i cittadini e per i turisti, nei fine
settimana e nel tempo libero. Vi sono sempre flottiglie di barche a fondo piatto, mosse dai barcaioli
spingendo sul fondo con lunghe pertiche, dove si mangia e si ascoltano le orchestrine ambulanti dei
mariachis, una tradizione nata durante l'intervento francese in Messico (1861-67).
Allora era diventato di moda fra la borghesia francofila chiamare queste orchestrine per le feste e
soprattutto nelle cerimonie nunziali, infatti, il nome di mariachis è una corruzione della parola francese
"mariage". I mariachis vestono in nero con pantaloni attillati ornati con chincaglierie di metallo bianco,
una giacchetta corta, anche questa ornata con molta fantasia, stivali a tacco alto e un sombrero. In pieno
centro di Città del Messico queste orchestrine si ritrovano a suonare tutte le sere in piazza Garibaldi.
Xochimilco - Barche sui canali.
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XOCHIMILCO
A sinistra, orchestrina di Mariachis.
A destra, venditori di fiori.
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AGOSTO 1978 E NOVEMBRE-DICEMBRE 2003
VIAGGIO IN MESSICO
CAPITOLO 3 - TEOTIHUACÁN E TULA
Non distanti da Città del Messico, si trovano i due più famosi siti precolombiani dell'altopiano
messicano: Teotihuacán e Tula. Il primo, il cui nome significa “il luogo dove nascono gli dei”, è a circa
45 km a nord-est della capitale, copre un'area di circa 20 kmq con resti imponenti e la sua influenza
religiosa e culturale, avuta in tutto il Mesoamerica, è solo assimilabile a quella avuta nei paesi
euroasiatici da Roma, Benares o La Mecca. La città ebbe il suo apogeo nel 500 d.C., quando raggiunse
una popolazione di 50000 abitanti, e il suo sviluppo fu dovuto alla posizione strategica, per trovarsi in
una valle che rappresentava la migliore via di comunicazione fra l'altopiano messicano e la valle di
Puebla che dà accesso ai bassopiani del golfo del Messico. Anche dopo essere stata saccheggiata e
incendiata fra il 650 ed il 750, non fu mai totalmente abbandonata e fu considerata città sacra da tutte le
popolazioni mesoamericane. Allora le fu assegnato il nome attuale, ma nulla si sa del suo nome
originario né della lingua parlata e della storia della sua fondazione. Anche gli Aztechi la veneravano
perché la consideravano il luogo di origine del quinto sole, secondo la loro cosmogonia. Il sito di Tula,
circa 70 km a nord di Città del Messico, è quello della capitale dell'impero tolteco fondata, poco dopo
la distruzione di Teotihuacán, da tribù guerriere che presto presero il controllo dell'altopiano centrale
messicano. La città si sviluppò fra l'850 e il 1150, fu poi abbandonata, forse a causa di siccità e
carestie, e poi saccheggiata dalle tribù chichimeche scese dal nord. La città, nella sua massima
espansione, copriva da 13 a 16 kmq con una popolazione di 40-60000 abitanti. Le forti affinità trovate
fra Tula e la città di Chichén Itzá, nello Yucatán, fanno pensare a una migrazione e conquista da parte
dei Toltechi nell'area Maya dello Yucatán, alla fine del X secolo, ma certo ci dovevano essere stati già
molti contatti commerciali e culturali fra Maya e Toltechi.
IL SITO DI TEOTIHUACÁN (1978 E 2003)
Teotihuacán - La Via dei Morti.
Teotihuacán giace in una vasta valle circondata da
colline e attraversata da una grande arteria, larga 45
m, che si prolungava per 5 km fiancheggiata da
basamenti piramidali, templi, palazzi e complessi
cerimoniali. Vi si trovano due grandiose piramidi:
quella del Sole, la più grande, e quella della Luna
all'estremità nord della grande arteria.
Gli Aztechi chiamarono quest'asse stradale
Miccaótli (Via dei Morti) perché ritennero che i
basamenti piramidali e i monumenti fossero tombe di
sacerdoti e di re; invece non si sa neppure a chi
fossero dedicate le due massime piramidi e anche il
loro nome si deve agli Aztechi.
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Dall'alto della piramide della Luna si ha la vista panoramica della città con il grande asse viario e la
piramide del Sole sulla sinistra. La piramide della Luna è alta 43 m ed ha una base di 120 x 150 m, vi
sono quattro livelli a terrazza e l'ultimo non è stato restaurato.
Ai piedi della piramide della Luna c'è una piazza circondata da piccole piramidi e al centro una
piattaforma con funzione di altare. Nell'angolo sud-occidentale della piazza si trova un complesso
formato da due palazzi: quello dei Giaguari e quello degli Uccelli-Farfalla (Quetzal-Papálotl), così
chiamati dalle decorazioni che vi si trovano.
TEOTIHUACÁN - TEMPIO DEI GIAGUARI
A sinistra, cortile e portico del palazzo e, in alto a sinistra, si vede parte del Tempio della Luna
(foto 1978).
A destra, pitture murali del portico (foto 1978).
Il primo palazzo ha un grande
cortile con pitture murali,
abbastanza
conservate,
che
rappresentano
dei
giaguari
piumati nell'atto di suonare uno
strumento formato da una
conchiglia anche questa piumata.
Dal cortile si accede al tempio
delle Conchiglie Piumate, sulle
cui pareti sono scolpiti questi
strumenti musicali a forma di
conchiglia. Il secondo ha un
ampio patio porticato con pilastri
da cui si aprono diverse sale. Fu
portato alla luce nel 1962 e
ricostruito dai resti, si trattava
forse della residenza di un
importante sacerdote.
Palazzo degli Uccelli-Farfalla
Palazzo degli Uccelli-Farfalla
Pilastro(foto 1978).
I pilastri sono interamente
Decorazione(foto1978).
scolpiti con motivi geometrici e
raffigurazioni di animali fantastici: gli uccelli-farfalle. Il palazzo degli Uccelli-Farfalla è posteriore a
quello dei Giaguari e infatti le sue strutture sono in parte sovrapposte al secondo.
Le foto sono quelle riprese nel 1978 perché nel 2003 il complesso era chiuso per lavori.
Percorrendo la Via dei Morti si può vedere in prospettiva la piramide della Luna e da vicino
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l'imponente mole di quella del Sole, distante dalla prima circa 700 m.
PIRAMIDE DELLA LUNA - VISTA DA VICINO E DA LONTANO
PIRAMIDE DEL SOLE -VISTA LATERALE E DI FRONTE
La piramide del Sole ora è alta 65 m e, con il tempio che si trovava sulla cima, doveva raggiungere i
75 m. La sua base quadrata ha un lato di 226,5 m, di poco più grande della piramide di Cheope in
Egitto, che la supera però in altezza (144 m). La piramide ha cinque terrazze e un'unica gradinata sul
lato ovest, secondo un asse, dove tramonta il sole nei giorni degli equinozi e quindi deviato verso sud di
15,5°. Anche la Via dei Morti ha il suo asse deviato dello stesso angolo verso est.
L'attuale piramide, che ha un volume totale di circa un milione di metri cubi, fu costruita nel II secolo
d.C. sopra una precedente piramide più piccola. Nel 1971 gli archeologi hanno trovato, ai piedi della
scalinata principale, un tunnel lungo 103 m che porta, al centro della piramide, in un gruppo di quattro
sale a forma di petali. Vi sono stati trovati pochi oggetti di ceramica e si ritiene che il luogo fosse stato
già saccheggiato.
A sud della piramide del Sole, sulla Via dei Morti, si trovano resti di altri edifici. Dopo, la strada
attraversava con un ponte (ricostruito) il Rio S. Juan. A circa due km dalla piramide della Luna, sul lato
est della strada, si trova il complesso della Cittadella. Sul lato opposto c'è l'edificio del Museo e il
secondo ingresso al sito archeologico (il primo ingresso si trova a nord-est della piramide del Sole).
La Cittadella è un enorme quadrilatero di 400 m di lato, con unico accesso sul lato ovest verso la
strada, chiuso da una cinta muraria che gli Spagnoli ritennero una fortificazione, da cui il nome. La
cinta è costituita da piattaforme alte 7 m con piccole strutture piramidali.
Sul lato dell'ingresso, due scalinate opposte oltrepassano la cinta muraria e portano all'interno della
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vasta piazza, dove si trova un'ara sacrificale e, dietro, una grande piramide a quattro piani. Questa
piramide ne nascondeva un'altra più antica che è stata messa in luce dagli archeologi, durante gli scavi
del 1917-22, scoprendo dietro, un'altra gradinata e una fronte decorata con teste di serpenti piumati e
maschere del dio della pioggia Tlaloc.
LA CITTADELLA - TEMPIO DI QUETZALCOATL E TLALOC
A sinistra, vista frontale della piramide attuale.
A destra, la vecchia piramide scoperta dietro la prima.
A sinistra, teste di serpente sul lato dell'antica scala.
A destra, vista complessiva delle decorazioni frontali, a sinistra della scala (foto 1978).
A sinistra, decorazione frontale sul lato destro della scala.
A destra, maschera del dio Tlaloc.
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Questa piramide, più antica, fu chiamata Tempio di Quetzalcoatl e Tlaloc ed è del primo secolo d.C.,
contemporaneo del completamento delle piramidi del Sole e della Luna.
Quetzalcoatl era il nome sacerdotale assunto da un importante personaggio dei Toltechi, Ce Acatl
Topiltzin, e il serpente piumato rappresentava l'unione fra la terra e l'acqua e quindi la fertilità agricola.
IL SITO DI TULA (SOLO 1978)
I resti del centro cerimoniale della capitale tolteca, che si chiamava Tollán, si trovano su una collina la
cui sommità forma una vasta piazza dove sorgono imponenti edifici. Il più importante è il tempio della
Stella del Mattino (Tlahuizcalpantecuhtli), il pianeta Venere, formato da una piramide a cinque livelli
con scalinata sul lato sud.
TULA - TEMPIO DELLA STELLA DEL MATTINO
La piramide è alta 10 m, ha
una base quadrata di 40 m di
lato e davanti alla scalinata
c'era un vasto portico del
quale sono state ricostruite
in parte le colonne.
TEMPIO DELLA STELLA DEL MATTINO - ATLANTI E PILASTRI
Atlanti e Pilastri.
Atlante - Particolare.
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Pilastro scolpito.
Sulla sommità quattro colossali statue (Atlanti), alte 4,6 m e formate da blocchi di pietra congiunte a
incastro e altre colonne e pilastri scolpiti, tutti rialzati dal restauro. Una volta sorreggevano le travi del
tetto coperto di legno e paglia.
Gli Atlanti rappresentano guerrieri toltechi con in testa una corona di piume verticali e sul petto una
farfalla stilizzata o uccello di fuoco, simbolo della classe guerriera.
Intorno al basamento del tempio, sul lato ovest e nord, corre un muro che delimitava l'area sacra,
chiamato Muro dei Serpenti (Coatepantli), decorato su più registri con greche policrome e serpenti che
divorano scheletri umani.
TEMPIO DELLA STELLA DEL MATTINO - MURO DEI SERPENTI
A sinistra, il muro scolpito che forma un corridoio sui lati nord e ovest del tempio (lato interno).
A destra, decorazioni sul lato esterno del muro.
A ovest del tempio degli Atlanti si trova un altro edificio, detto Palazzo Incendiato, perché forse
distrutto dal fuoco, formato da due sale con una corte centrale dove si trovano due statue dette ChacMool, una delle quali senza testa, che rappresentano un sacerdote in posizione offerente e adagiato che
regge sul ventre un piatto dove erano posti i cuori umani strappati alle vittime.
MURO DEI SERPENTI - PARTICOLARI DELLE DECORAZIONI
A sinistra, figura di un giaguaro sulla parete interna.
A destra, maschera del dio della pioggia Tlaloc sulla parete interna.
Queste statue rituali furono usate anche dagli Aztechi e le stesse si ritrovano, in terra Maya nello
Yucatán, a 1300 km di distanza, prova dell'influenza tolteca. La leggenda parla sempre del re sacerdote
Ce Acatl Topiltzin che, scacciato da Tula, era partito verso est promettendo di ritornare. Una promessa
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che gli Aztechi avevano creduto si fosse avverata con l'arrivo di Cortés. Forse il suo esilio si può
mettere anche in relazione con l'ipotesi della conquista tolteca dello Yucatán.
TULA - PALAZZO INCENDIATO
A sinistra, statua del Chac-Mool nel cortile centrale. A destra, zoccolo dipinto del cortile.
A sud-est del tempio degli Atlanti, c'è il tempio Maggiore o del Sole con la sua scalinata orientata a
ovest, verso una vasta piazza; era la piramide più imponente, ma è molto rovinata. Sul lato nord, dietro
la piramide degli Atlanti, si trova infine l'edificio per il gioco della palla (Tlachtli) a forma di doppia T,
lungo 67 m e largo 12,5 e parzialmente scavato nella roccia per creare un piano orizzontale. Il gioco era
diffuso dall'Honduras all'Arizona e i primi campi da gioco risalgono agli Olmechi che lo praticavano
già nel 500 a.C.. Doveva essere originario dei paesi caldi del golfo perché la palla era di gomma piena.
Il rituale fu poi trasmesso ai Maya, agli Zapotechi, ai popoli del nord e infine agli Aztechi. Il campo da
gioco aveva dovunque la stessa forma, ma potevano cambiare le dimensioni. Non si trattava di un
divertimento, ma di un rito con significati e scopi religiosi legato al culto del sole che deve rinascere
ogni giorno. Il campo rappresenta la terra e la palla il sole che non deve mai cadere a terra, perché
significa non farlo risorgere.
TULA - TEMPIO DEL SOLE E CAMPO DEL GIOCO DELLA PALLA
A sinistra, il tempio Maggiore dedicato al Sole.
A destra, il campo per il gioco della palla con la sua forma a doppio T.
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AGOSTO 1978 E NOVEMBRE-DICEMBRE 2003
VIAGGIO IN MESSICO
CAPITOLO 4 - CITTÀ COLONIALI DEL CENTRO
L'arte coloniale spagnola nella sua autenticità si apprezza di più nelle piccole città, dove si trovano
veri gioielli del barocco soprattutto nelle chiese, negli edifici conventuali e nell'architettura civile, ricchi
di effetti cromatici con l'uso di pietre di diverso colore e degli azulejos dei rivestimenti murari.
Dopo la conquista, gli ordini monastici (francescani, domenicani e agostiniani) costruirono monasteri
un po' dovunque, ispirati ai modelli spagnoli ma caratterizzati da elementi locali per il contributo delle
maestranze indigene, specie negli elementi decorativi. Nel 1500 prevale il classicismo e dal settecento
dilaga il barocco.
Nei dintorni di Città del Messico, si segue un percorso che fa sosta in diverse cittadine: Tepotzotlán,
Toluca, Cuernavaca e Taxco, quindi si scende verso Puebla, attraversando il parco nazionale dei vulcani
Iztaccihuatl e Popocatépetl, e passando vicino a Cholula, dove si trovava la più grande piramide del
Mesoamerica, che appare ora come una collina ricoperta di vegetazione sormontata da un santuario,
sorto nel luogo dove si trovava il tempio dedicato a Quetzalcoatl.
Ci si ferma infine a Puebla, capitale dello stato omonimo, 126 km a sud di Città del Messico.
TEPOTZOTLÁN (SOLO 1978)
La cittadina di
Tepoztlán si trova 40
km a nord di Città del
Messico, a metà strada
da Tula. La città fu
fondata
da
tribù
chichimeche e dopo
divenne tributaria degli
Aztechi. Gli Spagnoli
la presero nel 1521,
durante l'assedio di
Tenochtitlán, e divenne
Tepoztán - Campanile della Cattedrale.
poi un feudo concesso
ai Gesuiti dall'arcivescovo di Città del Messico. I Gesuiti vi costruirono
una chiesa e un noviziato, destinato agli indigeni, che poi sono stati chiusi
Tepoztán - Cattedrale.
con l'espulsione dei Gesuiti nel 1767. La facciata della chiesa è
considerata un capolavoro dell'architettura churrigueresca messicana. La chiesa fu iniziata nel 1670 e
finita nel 1762 ed ha sulla destra un bel campanile. Il convento vicino è stato trasformato in museo.
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Sulla piazza antistante sorge una croce che poggia sulle spire di un serpente, simbolo del paganesimo.
TOLUCA (SOLO 1978)
Circa 64 km a ovest di Città del Messico, si giunge a Toluca, capitale dello stato di Mexico, dentro i
cui confini si trova il Distretto Federale con Città del Messico; è posta a 2664 m di altezza e dominata
dal picco vulcanico Nevado de Toluca di 4577 m, una delle massime vette del paese. I Francescani vi
costruirono un monastero nel 1529, poi ricostruito e ora sparito. Altri edifici del tempo coloniale sono
stati trasformati nel 1800. La città è interessante per il suo tradizionale mercato, sempre animato e ricco
dei prodotti locali. La città ricorda, con una grande statua a cavallo, Emiliano Zapata che guidò la
rivolta dei peones fra il 1910 e il 1919, chiedendo la distribuzione della terra ai contadini.
TOLUCA
A sinistra, il mercato.
A destra, la statua a Emiliano Zapata.
CUERNAVACA (SOLO 1978)
Cuernacaca, 85 km a sud di Città del Messico, è la capitale dello stato di Morelos, teatro della
violenta insurrezione di Emiliano Zapata che era qui affittuario di una piantagione di zucchero. Zapata
contribuì alla caduta del dittatore Porfirio Diaz e, durante la successiva dittatura di Huerta, controllò
vasti territori degli stati di Morelos e Guerriero, tenendo i collegamenti con Pancio Villa che controllava
il nord del paese.
In epoca preispanica, sotto gli Aztechi, Cuernavaca era chiamata Cuauhnáhuac (al margine della
foresta) e i sovrani aztechi vi possedevano vasti parchi, dove erano state acclimatate piante tropicali e
uccelli esotici dalle piume preziose.
Cortés, durante l'assedio di Tenochtitlán aveva incendiato l'abitato e, quando fu fatto nobile da Carlo
V, prese il nome di Marchese della Valle (di Oaxaca) e Conte di Cuernavaca.
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Dopo aver lasciato il potere nelle mani dei viceré,
Cortés si era fatto costruire un palazzo a Cuernavaca
nel 1532 e vi aveva soggiornato per lunghi periodi. A
Cortés si deve l'introduzione nella regione della
coltivazione della canna da zucchero e per essa
furono importate parecchie migliaia di schiavi negri
che col tempo furono assimilati.
Cuernavaca anche
oggi è famosa per la
fertilità
del
suo
territorio ricco di orti e
giardini ed è chiamata
Cuernavaca - Palazzo di Cortés.
la città dell'eterna
primavera. Al centro c'è il Palazzo di Cortés, oggi Museo Cuauhnáhuac,
rimaneggiato l'ultima volta nel 1800.
La Cattedrale è
un'antica
chiesa
associata
a
un
convento francescano,
con un bel campanile e
le mura merlate che le
danno l'aspetto di una
Cuernavaca
fortezza, funzione che
Torre della Cattedrale.
in realtà tutte le chiese
avevano nei primi tempi della conquista, quando gli
Spagnoli non si sentivano ancora sicuri. Addossata
alla chiesa, c'è un'antica Cappella Aperta usata
Cuernavaca - Cattedrale.
durante il primo periodo di evangelizzazione degli
indigeni che erano abituati alle cerimonie all'aperto e non osavano entrare nelle chiese cristiane perché
atterriti dal luogo chiuso.
CUERNAVACA
A sinistra, la Cappella Aperta della Cattedrale.
A destra, il chiostro del convento.
Così i fedeli potevano rimanere all'esterno alla luce del sole. Questa cappella aperta è la più grande del
Messico e fu costruita verso il 1536-38.
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Nel vecchio convento francescano, vicino alla chiesa, c'è un chiostro, dove sono state rinvenute,
coperte da un intonaco, pitture murali del 1500.
TAXCO (SOLO 1978)
Da Cuernavaca,
proseguendo per altri
110 km in direzione
sud-ovest, si giunge a
Taxco, una cittadina
tipicamente coloniale
arrampicata su un
ripido pendio. Nella
regione di Taxco gli
Spagnoli scoprirono
presto grandi ricchezze
minerarie,
specie
Taxco
stagno e argento, e
Panorama con la Cattedrale al centro.
Taxco fu conosciuta
presto come capitale dell'argento. L'argento ha dato origine a un fiorente
Taxco
artigianato di stoviglie e gioielli che sono esportati in tutto il mondo.
Facciata della Cattedrale.
Al centro della città, sullo Zócalo circondato da antiche abitazioni
coloniali, sorge la chiesa di Santa Prisca, eretta nel 1748-58 a spese di José de la Borda, arricchitosi
sfruttando le miniere di argento nei pressi della città. La facciata della chiesa è di un barocco esuberante
churrigueresco, ma ha un perfetto equilibrio architettonico con due torri che la fiancheggiano, sobrie in
basso e poi ricche di delicate sculture in alto. Sulla facciata si notano, tra l'altro, le statue disposte fra le
colonne, un bassorilievo con il battesimo di Cristo al centro e una tiara papale sopra il portale.
IL PARCO DEI VULCANI E CHOLULA (1978 E 2003)
La strada, che da Città del Messico conduce a
Puebla, segue l'antica via commerciale che
dall'altopiano portava al golfo del Messico, dove
transitava l'ossidiana verso il sud e i prodotti agricoli
tropicali verso il nord.
La stessa strada seguì, partendo da Vera Cruz,
Hernan Cortés procedendo alla conquista dell'impero
azteco e stringendo alleanze con le tribù tributarie
degli Aztechi.
Il percorso costeggia a oriente i due vulcani
Iztaccihuatl e Popocatépetl e il parco nazionale che li
comprende.
Parco dei Vulcani - Il Popocatépetl.
Il primo è un vulcano ormai spento e il suo nome
significa "la donna bianca" perché il suo profilo sembra quello di una donna sdraiata, bianca per la
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neve.
Il secondo è ancora attivo e l'ultima eruzione è avvenuta il 21 dicembre 1995, quando una gran
quantità di polveri ha investito la città di Puebla.
Il suo nome significa "montagna fumante" e una leggenda vuole sia un famoso guerriero azteco che
veglia sulla donna amata (il vicino vulcano), addormentatasi dopo averlo creduto morto in battaglia.
In vista dei vulcani, ma più a est, sta la collina di Cholula sulla cui cima si distingue il Santuario de
los Remedios costruito nel 1700.
La collina è ciò che rimane della più grande
piramide mesoamericana e del centro religioso più
importante, dopo la caduta di Teotihuacán.
Cholula era già abitata in epoca preclassica e subì
l'influenza della civiltà olmeca e poi dei Toltechi.
Nei secoli XI e XII i Mixtechi, dalla regione Maya,
portarono la loro cultura e le tecniche di lavorazione
delle pietre, dell'oro e dei gioielli. Alla fine del XV
secolo i Mixtechi furono assoggettati dagli Aztechi e
i nuovi padroni imposero sanguinosi sacrifici umani.
Nel 1486, per la consacrazione del tempio del dio
della guerra a Tenochtitlán, furono sacrificati 20000
La collina di Cholula
Mixtechi.
con il Santuario (foto 1978).
La grande piramide, che rimonta all'epoca classica
di Teotihuacán e fu detta di Tepanapa, andò ingrandendosi nelle ricostruzioni successive, fino a coprire,
nell'VIII secolo d.C., un'area di 17 ettari con 475 m di lato e 60 di altezza, il centro religioso intorno
comprendeva altre 400 piramidi.
CHOLULA - LA GRANDE PIRAMIDE
A sinistra, ricostruzione parziale della piramide (foto 1978).
A destra, gli scavi nella collina (foto 1978).
Quando nel 1519 arrivò Cortés, questi, credendo di essere stato attirato in un'imboscata, ordinò un
massacro e incendiò la maggior parte dei templi.
Gli archeologi hanno scavato 8 km di gallerie per l'esplorazione dell'interno e ciò ha permesso di
ricostruire la storia e l'aspetto delle antiche strutture.
PUEBLA (1978 E 2003)
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Puebla, capitale dello stato
omonimo, a 126 km da Città del
Messico, fu costruita dagli
Spagnoli dopo la conquista per
controllare gli indigeni della valle
e il vicino centro commerciale di
Cholula che si trova nella rotta
per Veracruz. Per questo ha
mantenuto
molto
dell'antico
aspetto coloniale soprattutto nelle
case
dalle
facciate
con
decorazioni barocche a stucchi
bianchi o ricoperte di piastrelle
ceramiche azzurre (azulejos).
Puebla divenne famosa nella
storia messicana il 5 maggio 1862
per la vittoria del generale Ignacio
Puebla, facciata della
Puebla
Cattedrale (foto 1978).
Zaragoza sulle forze francesi
Interno della Cattedrale.
giunte per imporre l'imperatore
Massimiliano d'Asburgo. Dopo la cacciata dei Francesi, la città prese l'appellativo di Puebla de
Zaragoza e il 5 maggio divenne festa nazionale.
PUEBLA - CHIESA E MUSEO DI SANTO DOMINGO
A sinistra, la facciata della chiesa con l'angelo e gli agnelli di stucco.
A destra, la facciata del Museo decorata a stucco.
Fra i monumenti più importanti c'è la cattedrale con due torri laterali slanciate che sono le più alte del
Messico, costruita in stile rinascimento fra la fine del 1500 e la metà del 1600. Sulla facciata si trovano
le quattro statue di quattro re di Spagna: Carlo V e Filippo II, III e IV. Per vastità dell'interno, è
seconda solo alla cattedrale di Città del Messico.
Un'altra chiesa famosa è quella di S. Domingo con un severo portale sopra il quale si trovano le statue
di un angelo e di due agnelli in stucco bianco. L'interno è tutto barocco, ma la maggiore profusione di
decorazioni si trova nella Cappella del Rosario, eretta nel 1690, vero gioiello del barocco coloniale
messicano. Accanto alla facciata della chiesa c'è l'edificio del museo, nell'antico convento, con la fronte
decorata a stucchi bianchi.
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PUEBLA - INTERNO DELLA CHIESA DI SANTO DOMINGO
A sinistra, la navata centrale. A destra, la Cappella del Rosario.
PUEBLA - CONVENTO DI SANTA MONICA
A sinistra, il Chiostro Piccolo del Convento (foto 1978). A destra, una sala del museo (foto 1978).
PUEBLA - CASE COLONIALI DEL 1700
Fra i conventi, il più interessante è quello di S. Monica fondato nel 1609 e ricostruito nel 1680,
quando fu trasformato in collegio. Con la soppressione dei conventi del 1857, le monache furono
espulse, ma vi tornarono all'insaputa delle autorità e con la complicità degli abitanti del quartiere. Il
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convento rimase occupato segretamente per più di 70 anni e fu scoperto accidentalmente nel 1934.
Allora fu trasformato in museo che raccoglie opere d'arte e oggetti religiosi.
Una passeggiata lungo le strade permette di scoprire le numerose case nello stile coloniale barocco del
1700.
Si lascia Puebla scendendo verso sud e, prima di entrare nello stato di Oaxaca e passare poi alle
regioni tropicali, si ammirano per l'ultima volta i grandi cactus degli altipiani desertici.
STATO DI PUEBLA - CACTUS GIGANTI
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AGOSTO 1978 E NOVEMBRE-DICEMBRE 2003
VIAGGIO IN MESSICO
CAPITOLO 5 - LO STATO DI OAXACA
Lo stato di Oaxaca rappresenta una regione di transizione fra gli altipiani del nord e le terre basse a
sud dell'istmo di Tehuantepec. Giace fra la grande catena della Sierra Madre del Sud a occidente, lungo
la costa del Pacifico, e lo stato di Veracruz che lo separa del Golfo del Messico; vi si trovano diverse
fertili vallate con un'altitudine media di 1550 m.
La maggioranza della popolazione è di origine indigena, Zapotechi e Mixtechi che hanno conservato
gelosamente idiomi e tradizioni. Essi sono gli eredi di un'antica civiltà che ha lasciato le sue orme nei
siti archeologici di Mont Albán e Mitla e che ha abitato tutta la regione prima di essere conquistata
dagli Aztechi nella seconda metà del 1400. Nel 1521 la regione fu conquistata dagli Spagnoli guidati da
Diego de Ordaz, che creò un luogo fortificato, divenuto poi città con il nome di Oaxaca da un toponimo
azteco che significa “vicino al luogo delle acacie”. Cortés fu poi nominato da Carlo V Marchese della
Valle di Oaxaca e ottenne una grande concessione territoriale, rimasta proprietà dei suoi discendenti
fino alla Rivoluzione. Durante la Rivoluzione fu occupata da José Maria Morelos, ma fu ripresa dai
realisti e non ebbe parte di rilievo. Nello stato di Oaxaca è nato, nel 1806, Benito Juárez, ispiratore
della Riforma, avvocato e uomo politico di origine zapoteca e primo presidente costituzionale. Anche
Porfirio Diaz, presidente dopo Juárez, era dello stato di Oaxaca e, durante la resistenza antifrancese,
organizzò le bande di guerriglieri e comandò poi l'armata della Riforma sostenendo Benito Juárez.
OAXACA CITTÀ COLONIALE (SOLO 2003)
Durante la
dominazione
spagnola, Oaxaca
divenne
una
grande
città
tipicamente
coloniale ed ha
mantenuto questa
fisionomia fino ai
nostri giorni, con
le
sue
strade
ortogonali, le case
Chiesa di S. Domenico - Interno.
basse
con
inferriate alle porte e alle finestre e le facciate in due colori.
I Domenicani, fra la fine del 1500 e l'inizio del 1600, vi fondarono
un convento con una chiesa (foto a sinistra) che costituisce oggi il
complesso più importante della città dal punto di vista artistico e
storico.
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Con l'abolizione degli ordini religiosi del 1857, il monastero
divenne una caserma e la chiesa, una stalla.
Quando il complesso fu restaurato nella seconda metà del 1900,
mancando i disegni, furono prese a modello costruzioni similari.
Oggi il convento è museo dello
stato di Oaxaca con collezioni
etnografiche e i tesori provenienti
dagli scavi di Mont Albán.
La chiesa, dedicata al fondatore
dell'ordine
domenicano,
S.
Domingo de Guzman, ha una
facciata barocca in tre ordini, con
statue di santi domenicani dentro
nicchie, ed è affiancata da due
torri laterali alte 35 m con cupole
coperte da azulejos.
L'interno a croce latina ha una
ricca decorazione a stucchi e,
S. Domenico
dietro l'altare, il fondo della
Cappella del Rosario.
navata è ricco di dorature ed ha
statue e dipinti originali.
Sul fianco destro della chiesa c'è la Cappella del Rosario del 1700,
anche questa restaurata e sfavillante di ori.
Museo della città di Oaxaca.
In una casa coloniale del 1600, in calle Morelos, si trova il museo
cittadino dedicato all'arte preispanica e intitolato al pittore messicano Rufino Tamayo, che aveva donato
le sue collezioni alla città di Oaxaca dove era nato.
Pittoresco è il mercato coperto che occupa il piano terreno di diversi edifici, ricco dei prodotti di
artigianato della regione intorno ad Oaxaca.
Qui si possono incontrare le diverse etnie della regione.
MONT ALBÁN
Il sito archeologico di Mont Albán si trova circa 10 km a
ovest della città di Oaxaca, in una posizione dominante su
tre valli e sopra un massiccio roccioso alto circa 400 m.
Sulla sua vasta spianata artificiale, di 300 x 200 m, si
concentra il grande centro cerimoniale che ebbe il suo
massimo splendore nella seconda metà del primo millennio
della nostra era. Altre costruzioni si distribuiscono nei
terrazzamenti predisposti intorno; la città abitata si stendeva
anche intorno alla collina su 40 kmq. Il nome di Mont
Albán fu dato dagli Spagnoli perché il monte era coperto da
alberi con fiori bianchi come campanule detti Casanata.
I primi scavi e restauri furono compiuti dall'archeologo
Mont Albán - Albero Casanata.
messicano Alfonso Caso dal 1931 al 1953 e, dagli studi
sulle architetture, tombe e ceramiche, fu ricostruita la storia del sito. L'origine di Mont Albán è datata al
38
VII secolo a.C. con i primi insediamenti e le prime costruzioni; questa fu la sua prima fase. Dal II
secolo a.C. al II d.C. c'è la seconda fase, dove compaiono strutture architettoniche influenzate dalla
civiltà olmeca. Il terzo periodo arriva fino all'inizio della decadenza, nel 750, ed è caratterizzato da una
reciproca influenza con la civiltà teotihuacana; di questo periodo sono la maggior parte delle strutture
rimaste. Nel periodo IV prevale la cultura mixteca e le testimonianze sono solo nelle tombe, quando i
Mixtechi cominciarono a usare la zona come area cimiteriale, dove seppellivano i loro re. Nelle tombe
sono stati trovati corredi funerari con ricchi gioielli. I Mixtechi erano artigiani abili nella lavorazione dei
metalli preziosi, nella fabbricazione di gioielli con giada e turchesi, nei mosaici e nelle ceramiche.
S'inizia la visita dalla piattaforma nord, la struttura maggiore, da cui si ha una prima visione
complessiva della Gran Piazza salendo su una piramide detta Edificio E. Sulla piattaforma nord la
struttura più caratteristica è il “patio sprofondato” di forma quadrata a un livello di 4,7 m più basso. Al
centro della Gran Piazza c'è un blocco di tre edifici, detti I, H, e G con tre piattaforme che dovevano
sostenere dei templi.
MONT ALBÁN - VISTA DALLA PIATTAFORMA NORD
A sinistra, vista dall'Edificio E del Patio Sprofondato e in fondo la Gran Piazza.
A destra, la Gran Piazza con gli edifici centrali.
MONT ALBÁN - VISTA CENTRALE DELLA GRAN PIAZZA
A sinistra, il blocco degli edifici centrali, in fondo la Piattaforma sud.
A destra, l'Osservatorio (Edificio J) con la sua punta orientata.
Quasi sullo stesso asse ma isolato, è l'edificio J, unico con pianta pentagonale e una forma a freccia
rivolta verso sud-ovest, che è stato interpretato come osservatorio astronomico. All'estremità
39
meridionale della piazza c'è la piattaforma sud, solo parzialmente esplorata, di 140 m di lato e una
monumentale scalinata.
L'edificio J, considerato il primo Osservatorio astronomico del Mesoamerica, fu costruito durante la
seconda fase di Mont Albán, vi sono stati riconosciuti allineamenti con la Croce del sud e le Pleiadi e,
sulle pareti verticali dello sperone, sono scolpiti dei glifi che rappresentano forse i luoghi conquistati
dagli Zapotechi nella seconda fase.
Sui lati est e ovest della Gran Piazza c'è poi una serie di edifici.
L'edificio più importante sul lato est, poco visibile
dalla piattaforma nord essendo in basso, è quello del
Gioco della Palla, con la caratteristica pianta a
doppio T. Il corridoio centrale è limitato ai lati da
due strutture a pareti inclinate. Non ci sono prove che
il gioco fosse associato a sacrifici umani, come in
area Maya, e non ci sono gli anelli di pietra che
furono introdotti poi dai Toltechi.
Sul lato ovest della piazza, il secondo edificio da
nord è detto dei Danzanti con un grande basamento
costruito in due epoche diverse. La parte più antica
rimonta alla prima fase di Mont Albán e di questo
Edificio del Gioco della Palla.
periodo sono le numerose lastre di pietra su cui sono
scolpite figure umane nude in strane posizioni, che furono all'inizio interpretate come danzatori. Il loro
vero significato è sconosciuto, ma sembrano più esseri deformi o malati e il tempio potrebbe essere
stato un luogo di cura. I tratti del viso sono negroidi come quelli delle rappresentazioni olmeche. In
molti rilievi si trovano pittogrammi e glifi del calendario Maya che testimoniano l'antichità della
scrittura e numerazione in Mont Albán. Durante la seconda ricostruzione del basamento alcuni di questi
rilievi furono usati nei gradini della scala.
TEMPIO DEI DANZATORI
RILIEVI SU PIETRA DI FIGURE UMANE DEFORMI
L'ultimo rilievo a destra si trova nei gradini dell'attuale basamento.
Fuori dalla piattaforma del centro cerimoniale sono state scoperte un centinaio di tombe di personaggi
40
importanti del periodo mixteco, fra queste, la più importante è la tomba 7, scoperta inviolata nel 1932.
Nel suo interno è stato trovato un vero tesoro di maschere e pettorali d'oro, perle, giade, turchesi e
ambre che si trova ora nel Museo Regionale di Oaxaca.
MITLA
Oaxaca è
attraversata
dalla
Panamericana,
la grande via di
comunicazione
che percorre il
continente
Americano
dall'Alaska alla
S. Maria di Tule
punta estrema
Il Cipresso Gigante.
dell'America
Tavola descrittiva del Cipresso.
meridionale.
Questo tratto, proveniente da Città del Messico, scende poi verso Tehuantepec, cittadina sull'istmo
omonimo in piena zona tropicale. Uscendo da Oaxaca, dopo 10 km verso sud, si passa per S. Maria del
Tule, dove si trova un gigantesco cipresso la cui età è stimata a circa 2000 anni. Il suo nome scientifico
è Taxodium Mexicanum, alto 42 m, ha un tronco con un diametro di 14 m ed è una specie divenuta
ormai rara. L'albero si trova all'interno di un recinto insieme con una chiesa del tempo coloniale.
A 44 km, una deviazione porta al sito archeologico di Mitla, luogo sacro fra i più enigmatici e
affascinanti della regione. I resti archeologici datano dal 200 d.C. fino all'arrivo degli Spagnoli e furono
occuparti dagli Zapotechi prima, poi dai Mixtechi e infine di nuovo dagli Zapotechi. Gli Aztechi
chiamarono il luogo Mitlan, che in lingua nahuatl significa “luogo dei morti”, e gli Spagnoli lo
trasformarono in Mitla.
MITLA
A sinistra, la chiesa coloniale costruita dagli Spagnoli.
A destra, uno dei muri del palazzo originale mixteco con la caratteristica decorazione a rilievo.
41
Non era un luogo cerimoniale e vi si trova una sola piramide, oggi in cattivo stato, che può essere
identificata come tempio. Tutti gli altri palazzi erano luoghi di riposo o abitazioni di sacerdoti e aree
cimiteriali. Un primo complesso è stato utilizzato dagli Spagnoli per costruirvi una chiesa e sono
rimaste delle mura con caratteristiche decorazioni a mosaico di pietre disposte a incastro a formare
intricati motivi geometrici che si ritrovano in varianti diverse in tutte le altre costruzioni.
La struttura principale è detta "Edificio delle Colonne". Sul lato nord di una corte rettangolare c'è un
edificio preceduto da una gradinata e, attraverso un triplice ingresso, si entra in una galleria 38 x 7 m,
divisa da una fila di 6 colonne monolitiche di pietra vulcanica che reggevano il soffitto ligneo, ora
mancante. Da qui uno stretto passaggio comunica con un patio interno scoperto circondato da stanze. In
queste stanze dovevano ritirarsi i sacerdoti in meditazione. Le pareti interne ed esterne sono in gran
parte decorate a incastro con vari motivi geometrici.
MITLA - EDIFICIO DELLE COLONNE
A sinistra, particolare dei muri esterni decorati.
A destra, la facciata principale del palazzo che dà sulla corte rettangolare.
MITLA - INTERNO DELL'EDIFICIO DELLE COLONNE
A sinistra, la galleria con le colonne monolitiche.
A destra, il patio interno.
Adiacente all'Edificio delle Colonne è l'Edificio delle Tombe, anche questo con un cortile circondato
da edifici e due ipogei, resi accessibili dagli archeologi, che si aprono sul lato nord e est.
La foto mostra l'edificio nord e, ai piedi, l'apertura dell'ipogeo.
42
Edificio delle Tombe.
43
AGOSTO 1978 E NOVEMBRE-DICEMBRE 2003
VIAGGIO IN MESSICO
CAPITOLO 6 - IL MONDO MAYA
A sud dell'istmo di Tehuantepec inizia l'area delle popolazioni Maya, zona vastissima che oltre al
Messico meridionale occupa diversi paesi dell'America Centrale quali il Guatemala, il Belize, El
Salvador e l'Honduras. Gli stati messicani di cultura Maya sono quelli Chiapas, Tabasco, Campeche,
Yucatán e Quintana Roo e solo gli ultimi tre si trovano geograficamente nella penisola dello Yucatán.
Nel periodo Preclassico, dal 1800 a.C. al 200 d.C., si posero le basi della civiltà stanziale con la
coltivazione del mais e un'organizzazione sociale e politica. Nel successivo periodo Classico, dal 200 al
900 d.C. si svilupparono i centri di Uxmal e Kabah nello Yucatán, Palenque e Tikal al centro e Copán a
sud, e tutte sentirono l'influenza della civiltà di Teutihuacán. L'età di maggiore splendore della civiltà
Maya fu nel periodo Classico con il centro nel Guatemala settentrionale, intorno a Tikal, dove vivevano
le tribù Quichés. Il periodo è indicato come quello dell'Antico Impero, durante il quale crebbero i centri
urbani. Le popolazioni si spostarono verso il Chiapas e la penisola dello Yucatán, dove il clan degli Itzá
fondò Chichén Itzá. I Maya furono commercianti e navigatori, forse gli unici dell'America, che
percorsero il Mar dei Caraibi su grandi canoe, diffusero la loro cultura verso l'America Centrale ed
ebbero rapporti commerciali con i paesi più meridionali. Con il 987 d.C. si fa iniziare, nel periodo
postclassico, il Secondo Impero con l'arrivo dei Toltechi nello Yucatán. Iniziò il rinascimento Maya con
una nuova ceramica e lo stile Puuc nell'architettura e, dal punto di vista politico, l'unificazione delle
tribù nella Lega di Mayapán. Questa fase di prosperità finì nel 1194 con l'imporsi dell'egemonia di
Mayapán. Poi le rivalità portano alla distruzione di Mayapán nel 1441 e una serie di calamità segnò la
dispersione delle tribù Maya e l'abbandono dei centri cerimoniali. Gli Spagnoli, dal 1527 al 1546,
conquistarono una civiltà già frantumata, depredarono le ricchezze e sfruttano gli abitanti nelle miniere
e nelle piantagioni. L'ultima roccaforte maya fu conquistata nel 1697 e da allora la popolazione maya si
ridusse a due milioni, dai 20 stimati nel suo periodo più florido. I Maya sono tutti provenienti da un
unico ceppo, ma con 28 diversi gruppi linguistici. I libri sacri dei Maya furono bruciati come diabolici
e, solo le "relaciones" dei conquistatori e le traduzioni dei monaci, conservarono testimonianze di prima
mano, che furono riscoperte nel 1869 nella Biblioteca reale di Madrid. La riscoperta archeologica della
civiltà maya avvenne nel 1839 con il ritrovamento del sito di Copán, nell'Honduras, vicino il confine
con il Guatemala, da parte dell'americano John Stephen che, insieme al disegnatore inglese Frederick
Catherwood, avendo già visitato le rovine di Palenque molto più a nord, si resero conto di trovarsi di
fronte a una nuova grande civiltà.
La cultura Maya è considerata la più importante fra le culture indigene del continente americano, unica
a possedere una complessa scrittura ideografica, formata da glifi con valore anche fonetico, che
potevano rappresentare un oggetto o la sillaba di una parola, ma che fino ad ora è stata decifrata solo in
parte. Ha sviluppato un sistema di numerazione su base 20, riferita alle dita delle mani e dei piedi,
rappresentabile in modo posizionale in senso verticale, che comprendeva il concetto di zero, e ogni
cifra della numerazione andava quindi da zero a 19. Le unità stavano in basso, lo zero era rappresentato
da una conchiglia o un fiore, per le cifre da uno a quattro si usavano pallini accostati, il cinque era una
piccola linea che si poneva sotto i pallini e si potevano disporre tre linee sovrapposte; queste, con
quattro pallini in alto, formavano il numero 19. I numeri rappresentati nelle posizioni superiori
assumevano valori secondo potenze di 20 crescenti, così al secondo livello un pallino valeva 20 e la
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linea 100, al terzo livello il pallino 400 e la linea 2000, al quarto livello il pallino 8000 e la linea 40000
e così via. Si rappresentavano così in modo compatto numeri molto grandi.
NUMERAZIONE MAYA
Esempi di numerazione posizionale.
Numerazione da zero a diciannove.
Le osservazioni astronomiche dei Maya, legate alle esigenze dell'agricoltura, permisero la creazione di
un calendario solare molto preciso, e precise sono le date storiche incise sulla pietra delle città maya. Il
calendario solare, detto haab, era costituito da 18 mesi di 20 giorni, seguiti alla fine da un intervallo di 5
giorni nefasti. Mesi e giorni erano rappresentati da glifi. Un secondo calendario con funzioni rituali era
detto tzolkin ed era costituito da 13 mesi di 13 giorni con un totale di 260 giorni, anche questi
rappresentati da glifi. I due calendari completavano un ciclo in 52 anni solari. Sole, Luna e il pianeta
Venere erano divinità, e i Maya predicevano le eclissi, conoscevano la durata del ciclo lunare, il ciclo
del pianeta Venere di 584 giorni e le loro osservazioni furono alla base dei due calendari. Due cicli
solari di 52 anni, cioè 104 anni terrestri, corrispondono esattamente a 169 anni venusiani. Scrittura e
calendario, già sviluppati alla fine del periodo Preclassico nel 200 d.C., erano derivati dai contatti con
gli Olmechi, iniziati fin dal 1000 a.C., e queste conoscenze si diffusero poi in tutte le civiltà
mesoamericane.
I discendenti dei Maya si riconoscono ancora fra le attuali popolazioni per i caratteristici tratti del
volto. La vitalità della cultura indigena si esprime nei costumi, nell'artigianato e nelle radicate credenze
religiose, tramandate da generazioni e fuse in modo indissolubile con i riti della religione cattolica
portata dagli Spagnoli.
ITINERARIO ATTRAVERSO IL MESSICO MAYA
Le tappe del viaggio toccano due dei principali stati maya del Messico: il Chiapas e lo Yucatán nella
penisola omonima. Un'ultima tappa si fa nello stato di Quintana Roo a Cancún sulla costa est della
penisola, località balneare ormai famosa fra mare e laguna.
Il Chiapas, che è il più meridionale degli stati del Messico e confina con il Guatemala, riserva lo
straordinario sito di Palenque, offre paesaggi stupendi, fra canyon e cascate in un ambiente tropicale ed
ha un particolare interesse per le diversità etniche degli abitanti che mantengono vive usanze e costumi
45
dai tempi preispanici.
Nello Yucatán sono numerosi i siti archeologici maya, dai più antichi come Dzibilchaltún, Uxmal e
Kabah a quello di Chichén Itzá, dove avvenne la fusione fra la vecchia civiltà maya e la civiltà degli
invasori toltechi.
Nello stato di Quintana Roo si fa sosta solo a Cancún, ormai famoso per la bellezza delle sue spiagge.
Circa 131 km a sud vi sono anche resti maya come quello di Tulum, una fortificazione risalente al
periodo postclassico, ma non è stata inclusa nella visita.
46
AGOSTO 1978 E NOVEMBRE-DICEMBRE 2003
VIAGGIO IN MESSICO
CAPITOLO 6.1 - IL CHIAPAS (SOLO 2003)
Tuxtla Gutierrez è la capitale dello stato del Chiapas, dove si arriva da Oaxaca con un volo di circa
un'ora. Il nome della città deriva dalla parola "tuchtlan" che indicava un luogo ricco di conigli; gli
Spagnoli la trasformarono in "tuxtla" e nel 1800 vi aggiunsero Gutierrez per ricordare il governatore del
Chiapas, Joaquin Miguel Gutierrez. La città, moderna con la caratteristica pianta a scacchiera del
periodo coloniale, non offre particolare interesse, a parte il suo Museo Regional de Chiapas, ma è il
punto di partenza per l'escursione al canyon del Sumidero, il più spettacolare del Messico, lungo il Rio
Grande de Chapa, o Rio Juan de Grijalva dal nome del suo scopritore.
Questi nel 1518, proveniente da Cuba, dopo aver esplorato le coste della penisola dello Yucatán, si era
spinto fino alle coste del Campeche, dove scoprì la foce di un grande fiume che risalì fino alla gola del
Sumidero, fra due pareti di roccia alte più di 1000 metri e una fitta vegetazione tropicale. Il canyon
oggi fa parte del Parque Nacional El Sumidero, zona protetta e frequentata dai turisti.
Seconda città del Chiapas ma più nota, è San Cristobal de las Casas, 85 km a est della capitale, il cui
nome unisce quello del santo patrono Cristobal e quello del vescovo Bartolomé de las Casas, che nel
1500 fu difensore degli indigeni dallo sfruttamento dei conquistadores.
Nel gennaio del 1994, la città fu teatro di una rivolta promossa dal movimento zapatista del
subcomandante Marcos e, dopo l'intervento dall'esercito, fu il centro delle trattative con il governo per
la pacificazione, che ha dato al Chiapas una più ampia autonomia amministrativa.
Lo spirito d'indipendenza e l'attaccamento alle tradizioni delle popolazioni maya del Chiapas si
manifesta in modo più evidente nel villaggio di San Juan Chamula, poco a nord-ovest di San Cristobal
de las Casas, abitato da tribù tzotzil. Qui la chiesa cattolica è sede di riti che mescolano simboli e culto
cristiano con credenze animiste maya gelosamente conservate.
Sulla strada per Palenque, il più famoso sito archeologico del Chiapas, una deviazione porta alle
cascate di Agua Azul formate dal Rio Tulija, luogo di particolare bellezza.
Infine si giunge a Palenque, circa 200 km a nord-est di San Cristobal de las Casas, il migliore esempio
in Messico di architettura maya dell'epoca Classica, confrontabile solo con i siti di Tikal in Guatemala
e di Copán in Honduras.
CANYON DEL SUMIDERO
L'escursione sul canyon del Sumidero parte dall'imbarcadero di Chapa de Corzo sulle rive del
Grijalva, 22 km circa a sud-est di Tuxtla Gutierrez, e risale il fiume a bordo di moto lance.
Si passa sotto un ponte stradale, poi le rive diventano progressivamente più alte e scoscese fino alla
zona del canyon, dove superano i 1000 m. A monte c'è una diga che ha regolato il flusso delle acque
nel periodo piovoso.
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ESCURSIONE NEL CANYON DEL SUMIDERO
A sinistra, l'Imbarcadero di Chapa de Corzo.
A destra, il ponte stradale che attraversa il fiume Grijalva.
LA GOLA DEL SUMIDERO
Albero di Natale.
La formazione
del
canyon
rimonta a 36
milioni di anni
fa, quando si
formò una faglia.
La vista della
gola
è
impressionante.
La
tradizione
riporta che qui,
quando nel 1500
Grotta della Vergine di Guadalupe.
Juan de Grijalva
risalì il fiume e volle sottomettere alla corona di Spagna le
popolazioni delle rive, alcune tribù preferirono precipitarsi giù dalle
rupi del canyon piuttosto che arrendersi. Non ci sono però
documenti scritti su questi avvenimenti anche perché, poco dopo nel
1527, Grijalva fu ucciso in uno scontro con gli indigeni.
Fra le strane forme naturali del canyon, che la fantasia popolare ha
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interpretato, c'è "l'albero di Natale" su una parete a picco, dove muschi e rocce, combinate ai riflessi del
cadere dell'acqua, creano a volte la sagoma di una conifera, o la Grotta della Vergine di Guadalupe con
la forma di un altarino.
Ci sono poi grotte preistoriche sulle pareti e l'area è popolata da uccelli di varie specie, aironi bianchi
e cinerini, pellicani e corvi, e altri animali, come scimmie e coccodrilli.
CANYON DEL SUMIDERO
A sinistra, un airone bianco.
A destra, un airone cinerino.
CANYON DEL SUMIDERO
A sinistra, un pellicano. A destra, un corvo.
SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS E SAN JUAN CHAMULA
La città di San Cristobal fu fondata da Diego de Mazariegos nel 1528 e si trova su un altopiano di
2100 m circondato da foreste di pini. Il Chiapas fu unito al Messico nel settembre del 1824 e San
Cristobal fu capitale fino al 1892, quando il titolo passò a Tuxtla Gutierrez.
La città conserva la sua bella architettura coloniale e la casa di Mazariegos è ora diventata un albergo.
La piazza principale, lo Zócalo, è circondata da antiche case, la cattedrale, con una sua piazza sul lato
49
nord, ha una facciata barocca del 1600.
La chiesa più
bella
è
però
quella
del
convento
di
Santo Domingo,
finita nel 1560, in
pietra rosata con
tre
ordini
di
colonne tortili e
rilievi in stucco.
Oltre alle
chiese,
è
Cattedrale di S. Cristobal de las Casas.
interessante
osservare i numerosi edifici coloniali molto rimaneggiati, ma che
hanno conservato decorazioni originali.
In città si nota subito una prevalente presenza indigena di diretta
discendenza maya, in maggioranza Totzil e Tzelcal, che affollano i
mercati dove, oltre ai prodotti alimentari, si trovano quelli
Chiesa di S. Domenico.
dell'artigianato indigeno.
La sopravvivenza delle tradizioni religiose è più evidente nel vicino villaggio di San Juan Chamula
dove, basta entrare nella chiesa, per scoprire il mondo delle credenze popolari che solo in apparenza ha
accettato la religione portata dai conquistadores.
La chiesa,
piccola e colorata,
è
esteriormente
una
chiesa
cattolica e sulla
piazza c'è una
croce decorata con
foglie, detta "la
croce vestita" che,
non è solo il
simbolo cristiano,
ma anche l'albero
del mais che per i
Portale di una casa coloniale.
Maya
rappresentava la vita. All'interno, lungo la navata, ci sono le statue
dei santi dentro teche, vestiti con abiti offerti dai fedeli, e fiori e
candele e festoni di stoffe, mentre il pavimento è coperto di aghi di
pino.
Il sincretismo ha identificato questi santi con le antiche divinità Chiesa di San Juan Chamula.
maya e ciascuno ha una funzione nel proteggere i fedeli e scacciare
le malattie e gli influssi maligni e, se i santi si dimostrano incapaci a evitare delle calamità naturali,
sono girati verso il muro per punizione.
Le malattie e le disgrazie personali sono viste invece come un castigo per qualche colpa commessa e i
fedeli ricorrono allo sciamano che fa da tramite con la divinità, e compiono il sacrificio di una gallina e
riti propiziatori. Il sacerdote cattolico qui entra solo per il rito del battesimo, che è l'unico accettato.
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CASCATE DI AGUA AZUL
Queste cascate, a circa 20 km da Palenque, sono spettacolari tutto l'anno e, tranne che nel periodo
piovoso estivo, quando l'acqua è fangosa, hanno un colore turchese trasparente, da cui il nome. Il fiume
forma qui una serie di salti e di bacini immersi in una ricca vegetazione. Una serie di sentieri e
gradinate permette di risalire i dislivelli e ammirare le cascate dai punti più panoramici.
CASCATE DI AGUA AZUL
Due salti da punti panoramici risalendo il dislivello.
Le rapide e il corso del fiume a monte.
PALENQUE
Palenque si trova a nord della piana alluvionale del Grijalva, in una zona di colline coperte dalla
foresta tropicale. Da piccolo villaggio agricolo nel 100 a.C., la città si sviluppò nel periodo Classico ed
ebbe il suo massimo splendore dal VII all'VIII secolo d.C. sotto una dinastia che dominò un vasto
territorio, comprendente gran parte degli attuali stati del Chapas e del Tabasco. L'abitato della città si
stendeva su una superficie di 15 kmq. Poi vennero la decadenza e l'abbandono nel X secolo. Palenque
51
rimase dimenticata per più di 700 anni e fu ricoperta dalla giungla fino al 1785, quando fu ritrovata dal
capitano di artiglieria Antonio del Rio, che scrisse una relazione per Carlo III di Borbone. La relazione
restò sconosciuta fino al 1822, quando fu letta da Jean Frederic Waldeck, un eccentrico conte
cecoslovacco che venne a Palenque, vi soggiornò dal 1831 al 1833, e volle mettere in relazione queste
rovine con le antiche culture del vecchio continente. In seguito nel 1840, vennero John Stephens e
Frederick Catherwood che, con i loro disegni e i loro scritti, fecero conoscere al mondo la civiltà maya.
Da allora sono cominciati ad arrivare gli studiosi. Negli anni trenta del 1900, cominciarono gli scavi
scientifici con l'archeologo Miguel Angel Fernandez e poi, dal 1949 al 1958, quelli di Alberto Ruz
Lhuillier.
Gli edifici, liberati dalla giungla e restaurati, non sono molti, ma costituiscono un insieme di
particolare bellezza per la profusione di decorazioni a stucco, molte delle quali sono oggi conservate nei
musei. I due edifici principali sono il Tempio delle Iscrizioni e il Palazzo. Il primo è una piramide alta
21 m addossata a una collina naturale con un tempio sulla sommità, al cui interno le pareti sono coperte
da più di 600 glifi, che illustrano la storia della città, e da essi gli epigrafisti hanno fatto grandi
progressi nella decifrazione della scrittura maya.
PALENQUE
A sinistra, il Tempio delle Iscrizioni come visto dal Palazzo.
A destra, altra vista del Tempio delle Iscrizioni e accanto la Piramide della Regina Rossa.
Disegno sulla lapide del
re Pakal (l'Astronauta).
Grazie all'archeologo
Ruz Lhiullier si scoprì
che la piramide era
stata costruita intorno
ad un monumento
funebre: il sepolcro di
re Kin Pakal che aveva
regnato su Palenque
per 70 anni. Nella
tomba fu trovato un
prezioso
corredo
funerario
con
Tomba della Regina Rossa.
maschera,
diadema,
gioielli e statuine di giada.
Il sarcofago aveva una lastra monolitica di calcare con sopra raffigurato
il re, seduto sulla maschera del dio della terra, e sopra la stilizzazione
dell'albero del mais a forma di croce che rappresentava il viaggio del re
verso l'oltretomba.
52
Quando il sarcofago fu trovato, alcuni vollero vedervi il riferimento a un ipotetico arrivo di
extraterrestri e la figura fu soprannominata l'Astronauta, il pilota di un razzo cosmico.
A destra della piramide delle Iscrizioni ci sono altre due piramidi più piccole.
La più vicina è pure un'altra tomba, con un sarcofago simile e i resti di una donna, e fu chiamata la
piramide della Regina Rossa, forse la moglie di Pakal.
L'ultima piramide, la più piccola, è detta tempio della Testa di Morto, per una scultura posta alla sua
base.
Il Palazzo, posto al
centro della città, è una
piattaforma alta 10 m e
una superficie di 100 x
80 m su cui si
addossano diversi edifici
costruiti in un periodo
di 120 anni. La parte
più antica è databile al
600
d.C.,
quando
regnava la madre di
Pakal. Sul lato ovest c'è
un'ampia gradinata e, in
Palenque - Il Palazzo.
alto, un portico con
rilievi sui pilastri, all'interno quattro cortili porticati e una torre quadrata
ricostruita.
La Torre del Palazzo.
I tetti sono inclinati a mansarda e le decorazioni a stucco avevano colori
sgargianti, rosso, giallo, verde e blu.
Salendo dal lato sud, si possono percorrere i corridoi a volte trapezie a mensola, tipiche delle
coperture maya, e si entra nei cortili.
RILIEVI SUL PORTICO DEL PALAZZO
Nel cortile n. 2, sul lato nord-est, si trova una serie di pannelli scolpiti con raffigurazioni di
prigionieri.
53
INTERNO DEL PALAZZO
A sinistra, due corridoi con volte maya trapezie.
A destra, il secondo cortile con i pannelli che rappresentano dei prigionieri.
Dall'alto della piattaforma del Palazzo, si possono osservare altre costruzioni che sorgono su un rilievo
a sud-est, separato dal Palazzo dal rio Otulum che attraversa la città e in lingua maya significa "case
fortificate", nome che era dato all'intera città.
Si vedono tre templi che sono stati nominati (partendo da destra) Tempio del Sole, Tempio della Croce
Foliata e Tempio della Croce. Questi templi furono costruiti dal figlio di Pakal, Chan Bahlum, che fu re
dal 683 al 702.
Il Tempio del Sole sta su un basamento piramidale ed è formato da due gallerie parallele e, in una
nicchia all'interno, è scolpito il simbolo del sole con due sacerdoti e vi sono colonne ricoperte di glifi.
I TEMPLI DI LÀ DEL RIO OTULUM
A sinistra, il complesso dei templi visti dall'alto del Palazzo.
A destra, il Tempio del Sole.
Il Tempio della Croce Foliata, più rovinato, ha la cella coperta con volta a mensola e la raffigurazione
dell'albero del mais a forma di croce e circondata da foglie.
Il Tempio della Croce, che fu forse il primo a essere costruito, si presenta come quello del Sole e,
nella galleria, c'è un grande pannello con l'albero del mais e ai lati Pakal che trasmette al figlio il potere.
Vi sono molti altri templi sparsi nei dintorni. Negli anni novanta sono state trovate più di 10 tombe e
gli scavi continuano.
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I TEMPLI DI LÀ DEL RIO OTULUM
A sinistra, il Tempio della Croce Foliata.
A destra, il Tempio della Croce.
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AGOSTO 1978 E NOVEMBRE-DICEMBRE 2003
VIAGGIO IN MESSICO
CAPITOLO 6.2 - LA PENISOLA DELLO YUCATÁN
Lasciato Palenque e il Chiapas, si entra nella penisola dello Yucatán attraversando lo stato di
Campeche la cui capitale è Villahermosa. Si entra quindi nello stato di Yucatán e il panorama cambia
radicalmente. Si lascia la ricca vegetazione della selva tropicale del Chiapas e si entra in una regione
formata da una piattaforma calcarea ricoperta da una savana con vegetazione alta ma più secca. Non
mancano le piogge tropicali, ma il terreno permeabile assorbe l'acqua rapidamente e non vi sono corsi
d'acque superficiali. Le acque si raccolgono in sprofondamenti sotterranei, i cenotes, che
rappresentavano riserve preziose per gli abitanti e questa penuria incombente di acqua ha condizionato
tutto lo sviluppo dei metodi di agricoltura delle città maya, influenzando l'organizzazione sociale e i riti
volti a ingraziarsi il dio della pioggia, Chaac, la cui raffigurazione compare in tutte le decorazioni
architettoniche. Periodicamente le città stato maya subirono crisi dovute a ricorrenti periodi di siccità
prolungate che potevano provocare l'abbandono dei centri cerimoniali e di potere per la perdita
d'influenza delle élite sacerdotali e la dispersione delle popolazioni. La prima profonda crisi si ebbe nel
692 con l'abbandono del centro di Chichén Itzá. Dopo, intorno al 1000, le città stato rinacquero con il
nuovo apporto culturale dei Toltechi che introdussero abitudini più guerriere e riti sanguinari. Si formò
la lega di Mayapán che unificò tutta la regione, ma dopo la caduta di Mayapán, nel 1441, nuove
calamità provocarono il disfacimento della civiltà maya.
Gli Spagnoli toccarono per la prima volta la terra dello Yucatán nel 1517 con Hernadez de Cordoba
proveniente da Cuba e, quando chiesero agli indigeni il nome del luogo, questi risposero con la parola
“ci-u-than” che nella loro lingua significava “non capisco”, ma gli Spagnoli, equivocando, chiamarono
il luogo Yucatán. Dopo la caduta degli Aztechi, Francisco de Montejo guidò una spedizione alla
conquista dello Yucatán nel 1527, ma fu un fallimento per la resistenza delle tribù e le epidemie. La
conquista fu compiuta poi dal figlio detto Francisco el Mozo (il Giovane) che, nel 1542, occupò metà
della penisola e fondò la città di Mérida, divenuta capitale. Le tribù maya sempre ribelli furono
massacrate e finirono in schiavitù a lavorare nelle hacientas. La schiavitù fu formalmente abolita con
l'indipendenza dalla Spagna, ma lo sfruttamento degli indigeni continuò nelle hacientas fino alla
rivoluzione messicana del 1910 contro Porfirio Diaz. La rivoluzione ha distrutto qui quasi tutte le
haciendas; le poche rimaste sono state trasformate in alberghi e musei.
LA CAPITALE MÉRIDA (1978 E 2003)
Mérida si trova a circa 30 km dal mare, sulla costa settentrionale della penisola, ed ha oggi quasi un
milione di abitanti. Lo stile è ancora quello di una città coloniale con struttura a scacchiera e case basse
di colore bianco-rosa e per questo è conosciuta come “la città bianca”. La sua economia si sviluppò a
metà del 1800, quando divenne la capitale mondiale della produzione dell'hemnequén, la fibra di una
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varietà di agave, il sisal, detto sostil dai Maya. La città, che ha un importante aeroporto internazionale,
vive oggi di agricoltura, commerci e turismo ed ha un vasto artigianato.
Il centro della città è lo Zócalo o Plaza Mayor, quadrata e ricca di alberi, circondata da antichi edifici.
Sul lato est sorge la Cattedrale con due torri, eretta nella seconda metà del 1500 in stile rinascimentale.
Sul lato meridionale c'è il Palazzo Montejo, costruito dal fondatore della città e oggi sede di una banca;
le decorazioni della facciata sono ancora quelle originali. Sul lato ovest è il Palazzo Municipale, antico,
ma con l'aggiunta di una torre d'orologio.
MÉRIDA - LO ZÓCALO
A sinistra, la piazza alberata e in fondo la Cattedrale.
A destra, la facciata del Palazzo Montejo.
Il monumento più recente è del 1957, dedicato alla Bandiera con sculture che richiamano la storia
della nazione e dei suoi 31 stati. Il mercato è il luogo più affollato, dove si possono osservare le
caratteristiche e gli usi della popolazione. Le donne portano ancora il tradizionale vestito maya, lo
huipil, una veste di cotone corta, che lascia intravedere l'orlo della sottana bianca più lunga ed è
arricchita da una bordura di ricami colorati intorno al collo e sul bordo inferiore.
MÉRIDA
A sinistra, Monumento alla Bandiera.
A destra, il Mercato (foto 1978).
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UXMAL (1978 E 2003)
A sud di Mérida, dopo 78 km, si trova il sito archeologico di Uxmal, che è stata una delle città più
popolose e ricche dello Yucatán, in un'area caratterizzata da uno stile architettonico riccamente decorato
noto come stile Puuc, nome che denotava le basse colline a sud di Mérida e che ora designa il barocco
maya. Gli edifici hanno la parte inferiore in pietra liscia disadorna, mentre le decorazioni si trovano
nella parte superiore, realizzate tutte in rilievo lavorando la pietra.
La fondazione di Uxmal, il cui nome significa “costruita tre volte”, risale a metà del VII secolo, anche
se il sito era abitato dall'800 a.C., ed è rimasta abitata fino al 1200. L'area cerimoniale e amministrativa
occupa approssimativamente una superficie di 1000 m (da nord a sud) per 500 m (da est a ovest). La
decorazione dei palazzi e dei templi è una delle più ricche e varie con rappresentazioni di divinità,
soprattutto le maschere del dio della pioggia Chaac, animali, personaggi e forme geometriche. La
popolazione che viveva nei dintorni ha raggiunto, nel periodo più florido, i 20-25000 abitanti ed era
dedita all'agricoltura. Tagliando e bruciando la vegetazione, si coltivava mais e fagioli e, poiché non
erano disponibili sorgenti naturali di acqua, si raccoglieva quella piovana in pozzi artificiali. Nel X
secolo arrivarono popolazioni di cultura tolteca dall'altopiano messicano, mentre a Uxmal regnava la
dinastia degli Xiuh, e al culto del dio Chaac si aggiunse quello del Serpente Piumato.
Dall'ingresso al
sito si giunge
prima al tempio
principale detto
Piramide
del
Mago a base
ellittica,
forma
inconsueta nelle
piramidi
maya,
alta 35 m con alla
sommità
un
tempio, detto la
Uxmal - Piramide del Mago, lato est.
Casa del Mago,
costruito intorno al 1000 sotto la dinastia Xiuh.
Il nome della
piramide deriva
da
un'antica
leggenda secondo
Uxmal - Piramide del Mago
la quale era stata
lato ovest.
costruita da un
nano in una sola notte con l'aiuto della madre dotata
di poteri magici.
Sul lato est è la grande scalinata, al centro
un'apertura praticata dagli archeologi, che hanno
trovato all'interno altre due piramidi costruite in due
fasi precedenti, cosa che giustifica il nome del luogo.
Piramide del Mago
Tempio sotto la Casa del Mago
(foto 1978).
Sul lato ovest c'è un'altra gradinata, vista nella foto
attraverso l'arco Maya dell'edificio vicino. Da questa
scala si sale al tempio sotto la Casa del Mago, nello stile Chenes tipico della regione di Campeche, tutto
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decorato con le fauci del dio Chaac.
Dall'alto della Piramide del Mago si possono osservare i due complessi principali del sito: subito a
ovest il vasto edificio con una corte centrale, detto Quadrilatero delle Monache, a sud-ovest la Grande
Piramide, a destra l'edificio della Colombaia (El Palomar) e davanti la Casa delle Tartarughe, e infine a
sinistra, su una piattaforma rialzata, il Palazzo del Governatore.
Queste immagini sono state riprese durante il primo viaggio del 1978 e i restauri recenti hanno molto
cambiato l'aspetto del paesaggio. Ora è vietata la salita alla Piramide del Mago.
Il nome di Quadrilatero delle Monache fu dato dagli Spagnoli per la diffusa decorazione a quadrangoli
sulle pareti, che ricorda le gelosie dei conventi, anche se qui i quadrangoli non sono forati ma solo in
rilievo, motivo tipico dello stile Puuc.
VISTA DALL'ALTO DELLA PIRAMIDE DEL MAGO
A sinistra, il Quadrilatero delle Monache verso ovest (foto 1978).
A destra, verso sud-ovest, il complesso costituito dalla grande Piramide al centro, il muro della
Colombaia (Palomar) a destra, il Palazzo del Governatore a sinistra e il Tempio delle
Tartarughe davanti (foto 1978).
Attraversando il grande arco Maya che fronteggia la vista ovest della Piramide del Mago, ci si affaccia
sulla grande corte centrale del Quadrilatero. Si possono ammirare le elaborate decorazioni dello stile
Puuc della facciata ovest e quelli della facciata est con il motivo cellulare a quadrangoli e, sovrapposti, i
serpenti stilizzati del periodo maya-tolteco.
QUADRILATERO DELLE MONACHE
A sinistra, il grande cortile e la fronte ovest.
A destra, la fronte ovest e in parte quella nord.
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QUADRILATERO DELLE MONACHE - EDIFICIO OVEST
Particolari delle decorazioni della facciata ovest.
A sinistra, maschere del dio Chaac e serpenti intrecciati.
A destra, raffigurazione dell'uomo Maya sotto un baldacchino.
QUADRILATERO DELLE MONACHE - EDIFICIO EST
A sinistra, la facciata est (foto 1978). A destra, la decorazione con i serpenti stilizzati dei
Toltechi sopra un fondo a quadrangoli, come una gelosia.
EDIFICIO DEL GIOCO DELLA PALLA
A sinistra, il campo da gioco che si attraversa uscendo dal Quadrilatero delle Monache.
A destra, particolare di uno degli anelli di pietra.
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Si esce dal Quadrilatero delle Monache da un'altra porta maya e si attraversa il campo del Gioco della
Palla, restaurato di recente, dove si può osservare l'anello di pietra attraverso cui doveva passare la
palla. Ne sono stati trovati tre e portano incisa una data che corrisponde al 649 d.C..
Si raggiunge poi la Grande Piramide sud con la scala monumentale rivolta a nord e il tempio superiore
decorato con le maschere di Chaac. Dall'alto si può vedere, lontano ben distinta, la Piramide del Mago.
LA GRANDE PIRAMIDE
A sinistra, la fronte nord della Grande Piramide con la scalinata principale.
A destra, vista della Piramide del Mago dall'alto della Grande Piramide.
Sempre dall'alto della Grande Piramide, a sinistra
(ovest) in basso, si vede un muro a creste detto la
Colombaia (Palomar) per la sua struttura a nicchie.
Muro nord della Colombaia.
A destra della grande Piramide, su una vasta
piattaforma rialzata alta 12 m, sorge un edificio
lungo 122 m e preceduto da una gradinata, detto il
Palazzo del Governatore, che era probabilmente il
centro amministrativo della città.
La facciata è orientata verso il sorgere del pianeta
Venere, davanti si trova un altare con un giaguaro di
pietra a due teste.
Il palazzo è considerato il capolavoro
dell'architettura Puuc ed è costituito da tre corpi
separati da due aperture con volte maya a mensola.
Mentre la parte inferiore è semplice e spoglia, il cornicione superiore è fittamente decorato con tutti i
simboli della cultura maya e ci sono 260 maschere del dio Chaac, pari al numero dei giorni del
calendario sacro maya.
Dietro il palazzo del Governatore e rivolto a nord, si trova il Tempio delle Tartarughe, così chiamato
per la presenza sul cornicione superiore di tartarughe stilizzate di pietra.
Sotto c'è un fregio decorato con colonnine accostate e cornici a spioventi.
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PALAZZO DEL GOVERNATORE
A sinistra, il Palazzo sul fondo, davanti l'altare con il giaguaro di pietra.
A destra, particolare del giaguaro di pietra a due teste.
PALAZZO DEL GOVERNATORE E TEMPIO DELLE TARTARUGHE
A sinistra, scalinata e fregio del Palazzo del Governatore.
A destra, il vicino Tempio delle Tartarughe.
KABAH (SOLO 1978)
Circa 20 km a sud-est di Uxmal, si trova il sito di un'altra città maya dell'area Puuc, Kabah, collegata
da una strada rialzata (saché) che parte dal palazzo del Governatore di Uxmal. L'edificio più
caratteristico è il Codz-Poop (stuoia arrotolata) o delle Maschere, posto su un'elevata piattaforma. La
facciata, lunga 46 m, è ornata in modo ininterrotto da circa 300 maschere stilizzate del dio Chaac con i
grandi occhi rotondi e i nasi ricurvi in aggetto, come una proboscide. Un po' più lontano è il Tempio
delle colonne con due edifici sovrapposti: quello inferiore è un santuario (teocalli) molto rovinato, del
quale è stato portato alla luce un ingresso. Quello superiore, più recente, ha una serie di finestre due
delle quali con una colonna centrale, e sopra un fregio con colonnine accostate. Sopra i due edifici, vi
sono i resti di un muro a celle.
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GLI EDIFICI DI KABAH
A sinistra, il Palazzo Codz-Pop con le maschere del dio Chaac sulla facciata.
A destra, il Santuario formato da due edifici sovrapposti.
KABAH - SANTUARIO - PARTICOLRI DEI DUE EDIFICI SOVRAPPOSTI
A sinistra, ingresso nell'Edificio inferiore.
A destra, finestra dell'Edificio superiore.
AREA ARCHEOLOGICA DI DZIBILCHALTUN (SOLO 1978)
Dzibilchaltun - Cenote.
Circa 15 km a nord di Mérida, non lontano dal
mare, si incontrano i resti di un'antica città maya che
rimonta al 600 a.C., contemporanea delle più antiche
città maya del Guatemala e abitata fino alla conquista
spagnola del 1546. Si tratta di Dzibilchaltun il cui
nome significa “Luogo dove ci sono scritte sulle
pietre”. Le sue rovine sono disseminate in un vasto
parco naturale, la zona abitata copriva circa 17 kmq
e nel suo massimo sviluppo doveva contare circa
40000 abitanti.
Al centro della zona archeologica si trova un cenote
(pozzo naturale) la cui acqua affiora in superficie ed
è particolarmente limpida. Il cenote era luogo sacro e
nel fondo sono state trovate molte offerte ed anche
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ossa umane.
Il monumento più importante del luogo è il Tempio delle Sette Bambole, nome che deriva dal ritrovamento di sette
figurine di terracotta di fattura grossolana. Il tempio, restaurato, sorge su un basamento con quattro gradinate sui
quattro punti cardinali e doveva essere usato come osservatorio. L'architettura è quella maya ancora primitiva di 3000
anni fa. Sopra l'architrave della porta principale c'è la maschera stilizzata del dio Chaac di forma arcaica e sulla
facciata si trovano due piccole finestre, caso unico negli edifici maya.
DZIBILCHALTUN - TEMPIO DELLE BAMBOLE
A sinistra, vista del Tempio.
A destra, particolare della maschera del dio Chaac sopra la porta del Tempio.
CHICHÉN ITZÁ (1978 E 2003)
Da Mérida un'autostrada attraversa da ovest a est la parte settentrionale della penisola dello Yucatán
per finire a Cancún nello stato di Quintana Roo. A 120 km da Mérida si passa per il sito archeologico
di Chichén Itzá, uno dei più grandi e meglio conservati della penisola. Il nome del sito può essere
tradotto come “sulla bocca (chi) del pozzo (chen) degli Itzá” perché qui si trova il più famoso cenote
dello Yucatán e gli Itzá furono le tribù, provenienti dalla zona del Petén in Guatemala, che nel V secolo
fondarono per primi la città e la rifondarono alla fine del X secolo introducendo i culti e lo stile del
Toltechi. L'area cerimoniale occupava circa 15.5 kmq su un terreno di piccole colline, ma i monumenti
più importanti si trovano oggi in un'area di 3 x 2 km e il resto è coperto da alta vegetazione. Le prime
costruzioni sono del periodo classico, dal 600 alla fine del 900 d.C., dopo viene il periodo MayaTolteco con la fusione delle due culture. Di quest'ultimo periodo è il culto e la rappresentazione del
serpente piumato, il Quetzalcoatl dei Toltechi, che qui prende il nome di Kukulkan. Intorno al centro
religioso vivevano fino a 50-100000 abitanti, il sito fu poi abbandonato verso il 1250.
Chichén Itzá fu riscoperta nel 1800 e i primi furono Stephens e Catherwood, nella loro seconda
spedizione in terra maya del 1841-42, dopo aver scoperto Mont Albán e Palenque, poi vennero altri
archeologi e studiosi, ma i lavori di restauro iniziarono nel 1923 per 18 anni per opera dell'Istituto di
Antropologia messicano e del Carnegie Institution di Washington, una seconda campagna si ebbe nel
1960-61. Il sito è ora molto frequentato dal turismo internazionale e, nel 1979, fu attraversato
dall'autostrada proveniente da Mérida.
Dall'ingresso, sul lato occidentale del sito, si arriva al piazzale, dove sorge la grande piramide dedicata
a Kukulkan, detta anche El Castillo dagli Spagnoli che la usarono come fortezza, piazzando sulla
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sommità delle artiglierie per tenere a bada le popolazioni ribelli. La piramide ha una base perfettamente
quadrata con 55,5 m di lato, è alta 30 m a 9 ripiani con un tempio alla sommità ed ha quattro gradinate
di 91 gradini sui quattro lati, orientati secondo i punti cardinali. Il totale dei gradini, aggiungendo
quello dell'ultima piattaforma, è 365, il numero dei giorni dell'anno maya. La scalinata principale è
quella del lato nord e le balaustre ai suoi lati formano il corpo di due serpenti le cui teste con le fauci
spalancate si trovano ai piedi dalla scala.
CHICHÉN ITZÁ - LA PIRAMIDE DI KUKULKAN
A sinistra, la Piramide sul lato ovest.
A destra, le teste di serpenti ai piedi della gradinata nord.
Uno strano
effetto di luci
avviene
sulla
scala nord due
volte l'anno, in
occasione degli
equinozi
di
primavera e di
autunno, all'alba
e al tramonto. La
luce del sole che
sfiora i due bordi
Giaguaro di pietra nella piramide interna.
a gradoni della
piramide colpisce le balaustre e crea un serpente luminoso ondulante
che scende o sale la scala e lo spettacolo richiama un gran numero di
persone.
Sulla sommità, la facciata nord del tempio ha due colonne che
rappresentano il corpo di due serpenti con una testa alla base e una
Tempio sulla Piramide
di Kukulkan (foto 1978).
coda sul capitello, come quella dei crotali.
La piramide nella forma attuale fu costruita dai Maya-Toltechi
intorno all'anno 1000, ma la costruzione ricoprì una precedente struttura più piccola scoperta all'interno
dagli archeologi. Da una porta, ai piedi della scala nord, si possono salire i 61 gradini che portano al
precedente santuario, dove c'è un giaguaro di pietra verniciato in rosso e con incrostazioni di giada. La
nuova piramide fu costruita certamente alla fine del ciclo di 52 anni del calendario maya secondo le
usanze religiose comuni alle civiltà mesoamericane.
Dall'alto del Castillo si può avere una visione complessiva del secondo più importante edificio della
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città: il Tempio dei Guerrieri con il gruppo delle Mille Colonne. Il Tempio è costituito da una piramide
quadrata a quattro gradoni con una base di 40 m. Una gradinata sulla fronte porta alla sommità, dove si
trova il santuario diviso all'interno da schiere di pilastri e all'ingresso una grande statua di Chac-Mool,
il sacerdote offerente come quelli trovati a Tula.
TEMPIO DEI GUERRIERI
A sinistra, il Tempio dei Guerrieri visto dall'alto della Piramide di Kukulkan (foto 1978).
A destra, la statua del Chac-Mool sulla sommità (foto 1978).
Le pareti esterne sono decorate
da maschere del dio della pioggia
e
da teste
di
serpente.
All'ingresso, le prime due
colonne hanno la forma di
serpenti rampanti con le fauci
spalancate in basso e le code
ripiegate in alto. Colonne e
pilastri scolpiti erano l'elemento
portante del tetto di legno che
ricopriva il tempio. Il tetto come
elemento
architettonico
era
sconosciuto ai Maya e fu
introdotto dai Toltechi che lo
avevano
usato
a
Tula.
Naturalmente la copertura di
legno si era deteriorata ed era
crollata già prima dell'arrivo
Colonne come serpenti
Pilastri scolpiti (foto 1978).
degli Spagnoli.
rampanti (foto 1978).
Ai piedi e sul lato destro del Tempio dei Guerrieri si trova il
complesso di portici e ambienti che formavano il luogo di riunione dei guerrieri Itzá ed è rimasta una
selva di colonne che costituisce il gruppo detto delle Mille Colonne.
Sul lato nord-ovest della piramide di Kukulkan si stende il gigantesco campo del Gioco della Palla che
misura 170 x 50 m con i muri laterali verticali alti 8 m e due anelli di pietra posti a 7,5 m di altezza. A
Chichén Itzá esistono 9 campi per il gioco della palla, ma questo è il più grande fra tutti quelli del
Mesoamerica. Da un estremo all'altro del campo si può sperimentare l'effetto di echi multipli.
Ai piedi dei muri verticali c'è uno zoccolo inclinato decorato con scene scolpite che rappresentano i
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giocatori nelle loro vesti sfarzose nell'atto del sacrificio rituale di uno dei capitani delle due squadre,
forse il vincitore, che era decapitato con un coltello di ossidiana.
CAMPO DEL GIOCO DELLA PALLA
A sinistra, la vasta spianata del campo da gioco.
A destra, anello di pietra sulla parete di sinistra.
Furono i Toltechi a introdurre, con i loro costumi guerrieri, questi riti crudeli presso i Maya che,
anche se usavano sacrifici umani, non erano stati mai così sanguinari.
CAMPO DEL GIOCO DELLA PALLA - DECORAZIONI SULLO ZOCCOLO
A sinistra, scena della decapitazione di uno dei capitani con il sangue che sprizza a forma di
serpenti e di fiori e frutti in senso augurale (foto 1978).
A destra, estremità dello zoccolo con testa di serpente in aggetto (foto 1978).
Sopra le due mura si trovano delle terrazze praticabili mediante scale che dovevano servire agli
spettatori. Addossato all'esterno del muro orientale, c'è il Tempio dei Giaguari a forma di torre con un
santuario porticato alla base, ornato di rilievi, e un giaguaro di pietra come un altare.
Distaccata a est, c'è una piattaforma detta Tzompantli o Cimitero dei crani che porta scolpiti sulle
pareti un numero impressionante di crani a rappresentare quelli dei capitani sacrificati a seguito del rito
della palla.
Rimanendo ancora sul lato nord del piazzale del Castillo, c'è un'altra piattaforma, dove si trovano i
simboli del pianeta Venere e la raffigurazione di una figura umana con gli attributi di tre animali: il
giaguaro dei Maya, il serpente dei Toltechi e l'aquila che sarà poi il simbolo degli Aztechi.
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COMPLESSO DEL GIOCO DELLA PALLA - TEMPIO DEI GIAGUARI
A sinistra, il Tempio dei Giaguari a forma di torre (foto 1978).
A destra, il giaguaro di pietra ai piedi del tempio.
Da qui, riverberato dalla piramide di Kukulkan, si può ascoltare un eco il cui suono, dicono, sia quello
dell'uccello sacro quetzal.
PIAZZALE NORD DELLA PIRAMIDE DI KUKULKAN
A sinistra, il Tzompantli, il cimitero dei sacrifici che porta scolpiti i crani dei sacrificati.
A destra, la raffigurazione simbolica dell'uomo sulla piattaforma di Venere.
Cenote dei sacrifici.
Fra il Tempio dei Guerrieri e la piattaforma di
Venere, parte una strada rialzata che conduce, dopo
circa 500 m, a un pozzo naturale, detto il Cenote dei
Sacrifici, area sacra al dio della pioggia Chaac. Il
pozzo ha un diametro di 60 m e, a 12 m di
profondità, si trova il livello dell'acqua. Secondo la
tradizione, per ingraziare il dio si sacrificava,
annegandola, una donna vergine riccamente
addobbata. Nel 1904 fu dragato il pozzo e furono
trovati gioielli e ossa umane di donne ma anche di
uomini e bambini databili dal VII secolo fino
all'arrivo degli Spagnoli.
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Il Cenote dei Sacrifici è il più a nord fra i siti dell'area archeologica, ma altri importanti monumenti si
trovano nell'area a sud della piramide di Kukulkan e rimontano al periodo classico.
Dal Tempio dei Guerrieri si segue un sentiero fra la fitta vegetazione e s'incontra una capanna maya
restaurata come esempio delle costruzioni tradizionali degli abitanti, che non hanno subito grandi
cambiamenti negli ultimi 2000 anni. Ha una pianta ellittica con le pareti fatte di tronchi e vimini
ricoperte di fango seccato al sole e poggia su un basamento di pietra. Il tetto è acuto fatto con
un'armatura di tronchi sottili e ricoperto con foglie di palma in più strati che assicurano la pendenza e
una completa impermeabilizzazione. L'interno è diviso generalmente in due parti da un muro, una
adibita a cucina e l'altra per dormire.
Proseguendo, il primo monumento che s'incontra è la Piramide del Gran Sacerdote, detta anche
Ossario. Ha una piattaforma alta 10 m con quattro gradinate sui quattro lati. Sotto la piramide, in una
cavità naturale, sono state rinvenute sette tombe con scheletri e offerte funerarie. La tomba principale è
fatta risalire al 514 d.C. ed è attribuita al fondatore della città.
AREA SUD DI CHICHÉN ITZÁ
A sinistra, una tradizionale capanna maya.
A destra, la Piramide del Gran Sacerdote.
L'edificio più importante della zona sud è
l'Osservatorio Astronomico detto Caracol, che
significa chiocciola per la forma di una scala interna
che porta al piano superiore. Si tratta di uno dei rari
edifici a pianta circolare del mondo Maya e questa
struttura, che è la parte più antica, giace su una
doppia piattaforma, la prima rettangolare di 67 x 52
e la seconda quadrata che è l'ingrandimento di
precedenti piattaforme circolari più piccole. Si sale
da una scalinata sul lato ovest. La torre, dalle mura
spesse, ha 11 m di diametro e quattro porte di
accesso. All'interno c'è un doppio corridoio anulare e
Caracol o Osservatorio Astronomico.
una colonna centrale intorno alla quale è disposta la
scala a chiocciola che porta al piano superiore in una piccola stanza. Qui si trovano delle aperture
orientate per l'osservazione del sole e della luna ma tutta la parte superiore della torre è molto rovinata.
L'esterno della torre porta su una cornice circolare le maschere del dio Chaac.
A sud dell'osservatorio si trovano altri edifici. Il più grande è la Casa delle Monache, così chiamato
dagli Spagnoli per il gran numero di stanze che facevano pensare ad un convento, rimonta al periodo
classico ed è la sovrapposizione di stili diversi: il Chenes e il Puuc, ma è molto rovinato. In posizione
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isolata e molto più piccolo ma più godibile, è la cosiddetta Chiesa che risale anche questa al periodo
classico, in stile Puuc con fregi a mosaico di pietra e una decorazione formata da una serie di maschere
del dio Chaac. L'interno ha una sola stanza rettangolare con volta a mensola.
EDIFICI A SUD DEL CARACOL
A sinistra, la Casa delle Monache (foto 1978).
A destra, la cosiddetta Chiesa in stile Puuc (foto 1978).
CANCÚN (SOLO 2003)
Il viaggio finisce a Cancún, 178 km a est di Chichén Itzá dopo aver lasciato lo stato dello Yucatán ed
essere entrati nello stato di Quintana Roo. Anche qui siamo in terra maya e si trovano rovine di città
maya, ma qui si mette da parte l'interesse archeologico per quello più turistico e rilassante.
Cancún, prima luogo sconosciuto e abitato da pochi pescatori e raccoglitori di caucciù, è diventato
negli anni novanta la località balneare più frequentata del Messico sostituendo Acapulco sulla costa
pacifica, dove il clima è più variabile e l'affollamento era divenuto insostenibile.
CANCÚN
A sinistra, il Continental Plaza Hotel tra il mare e la laguna.
A destra, la laguna di Nichupté.
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Cancún e tutta la costa orientale dello Yucatán, che costituisce la Riviera Maya lunga più di 120 km,
hanno le spiagge con sabbia corallina e la barriera corallina si stende, ad essa parallela, con i suoi ricchi
fondali. Servita da un grande aeroporto internazionale, Cancún è diventata un polo di attrazione per le
vacanze balneari offrendo una considerevole ricettività alberghiera tutta concentrata lungo un cordone di
terra di 20 km e largo meno di 400 m, fra il mare e una laguna interna il cui nome è Nichupté.
FINE MESSICO
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AGOSTO 1979
VIAGGIO IN PERÙ E BOLIVIA
CAPITOLO 1 - PERÙ, LA TERRA E LA STORIA
Il Perù, sul versante occidentale dell'America Meridionale, si
stende dall'equatore ai 18° di latitudine sud per circa 2000 km con
una larghezza variabile fra la costa pacifica a ovest e la selva
amazzonica e catena delle Ande a est. Il suo clima varia dal tropicale
umido delle regioni amazzoniche al secco desertico delle coste e al
freddo delle sierre. La sua superficie totale è di 1,285 milioni di
kmq e la sua popolazione, di 14 milioni nel 1972, è in rapida
crescita (28,4 milioni nel 2003); è un paese di media taglia fra quelli dell'America Meridionale e come
tale ha oggi un peso economico e politico limitato fra i paesi latini del sud dell'America ma, come il
Messico nel Nord America, è stato la patria della seconda civiltà autoctona del continente americano e
per questo ha un fascino tutto particolare dal punto di vista etnografico, storico ed archeologico.
La storia del Perù, che è anche storia di gran parte dell'America Meridionale, si può dividere in tre
fasi. La prima è quella preispanica che parte forse dal 1800 a.C. con lo sviluppo di diverse culture,
sparse fra la costa e le Ande, la cui scoperta si è avuta in tempi moderni. Queste sono sparite o furono
assorbite nel grande impero incaico che crollò a sua volta con la conquista da parte degli Spagnoli nel
1533. La seconda fase è quella del periodo coloniale contrassegnato, prima dall'espansione e da guerre
fratricide fra i conquistadores, poi dai governi dei viceré e dalla formazione, in 300 anni, di una società
ispano-peruviana molto verticalizzata, dove gli indigeni rimanevano sempre ai margini, sfruttati con il
lavoro coatto nella coltivazione delle terre e nel lavoro delle miniere. La terza fase arriva con
l'indipendenza del 1821 trascinata dal movimento di emancipazione di tutte le colonie dell'America
Meridionale con il Libertador Simon Bolivar. Da allora fino ai nostri giorni si assiste alla travagliata
evoluzione dello stato moderno.
LE ORIGINI
Al Perù è associata la civiltà incaica come al Messico quella azteca, i due imperi che per primi
vennero a contatto con i conquistadores spagnoli e da questi furono annientati nella sanguinosa
conquista. Ora sappiamo che gli Incas, come gli Aztechi, non furono le uniche civiltà precolombiane
che fiorirono nell'America Meridionale come nella Mesoamerica. Questa conoscenza fu acquisita però
molto più tardi, perché la conquista segnò il collasso culturale e spirituale di un popolo e tutto cadde
nell'oblio. In modo particolare nel Perù, per la mancanza di documenti scritti, le scarse tradizioni orali
presto persero certezza di autenticità, filtrate attraverso la cultura e i pregiudizi dei conquistadores
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spagnoli pronti a vedere, in tutte le manifestazioni di attaccamento degli indigeni alle loro tradizioni
culturali e religiose, solo atti di idolatria e ribellione che andavano represse. Così ogni legame con il
passato fu spezzato e si deve aggiungere la politica rigidamente isolazionista dell'impero spagnolo che
impedì ogni ricerca, perché le colonie erano fonti di ricchezza da difendere dalle razzie e dalle
interferenze straniere di Portoghesi, Inglesi e Olandesi. Per 300 anni, dal 1531 al 1821 data
dell'Indipendenza, gli stranieri non erano autorizzati a percorrere le Americhe e in Europa se ne parlava
come di luoghi fantastici e stravaganti. Nacquero leggende come quella dell'El Dorado, mitico paese
dell'oro, vagamente localizzato fra l'Equador e la giungla amazzonica. Negli archivi della corte
spagnola, però, era rimasta accumulata, e presto dimenticata dalla cultura ufficiale, un'enorme mole di
documenti originali, relazioni ufficiali scritte dai diretti testimoni della conquista, spesso estremamente
accurate e fedeli. Poi ci furono gli storici peruviani, come Pedro Cieza de Leon, uno dei migliori soldati
di Pizarro e cronista attendibile per la sua conoscenza dei luoghi, che scrisse una Cronica del Perù
(1550), Cristòbal de Molina che scrisse "Destruccion del Perù (1554) e "Fabulas y ritos de los Incas"
(1574) e il più noto l'Inca Garcilao de la Vega, un mestizo, figlio di padre europeo e madre inca di
sangue reale, che trascorse l'infanzia nella terra natia e poi si trasferì in Spagna e qui, nel 1609, scrisse i
"Comentarios reales" sulla storia del suo paese idealizzando però i due mondi, inca e spagnolo, nel
tentativo di conciliarli. I primi stranieri a ottenere dal re di Spagna Carlo IV un passaporto eccezionale
per visitare le colonie americane, furono nel 1799 il naturalista tedesco Alexander von Humboldt e il
botanico francese Aimé Bonpland. Fu solo dopo l'indipendenza e con il diffuso interesse all'archeologia
che furono riscoperte straordinarie testimonianze di civiltà preincaiche che, cominciando a prendere
forma e tempo, raccontavano la loro storia. L'impero degli Incas era stato l'ultimo, nei cento anni dal
1431 al 1531, ad occupare e civilizzare le attuali terre del Perù, Bolivia, Equador, Colombia, Argentina
settentrionale e Cile, creando un impero attraversato da 15000 km di strade selciate che i messaggeri
dell'Inca percorrevano di corsa dandosi il cambio e in sei giorni raggiungevano Quito da Cuzco distanti
circa 2000 km. Gli Incas avevano conquistato e incorporato gli imperi precedenti in decadenza e ne
avevano assorbito miti e culti. Oggi queste civiltà hanno un nome e si chiamano Chavin, Tiahuanaco,
Chimu, Mochica, Paracas, Nazca, e raggiunsero complessità e livelli artistici partendo almeno da 1000
anni prima della nostra epoca.
Le prime popolazioni andine rimontano a 14000-10000 anni fa e si trattava ancora di cacciatori
raccoglitori. La domesticazione dei camelidi e le prime culture di vegetali e patate si accompagnarono
poi ai primi manufatti, ritrovati dalla costa ovest nella valle di Chilca sulle montagne delle Ande.
Coltivazioni di cotone, fagioli e spezie si sono avuti intorno al 4000 a.C.. Centri residenziali con
architetture monumentali sono stati scoperti sulla costa peruviana del Norte Chico e, le datazioni al
radiocarbonio, indicano che sono emersi nel 2900 a.C. e sono sopravvissuti fino al 1800 a.C., la loro
antichità è paragonabile quindi a quella delle civiltà di Mesopotamia, Egitto, Cina ed India, ma sono
diverse perché cresciute nell'isolamento senza contatti con altre culture. Gli scavi del 1941 hanno
scoperto che i centri dell'interno, lungo i fiumi, ma circondati dal deserto, coltivavano cotone e alberi da
frutta, ma le proteine venivano dalla costa, dove era abbondante la pesca nella fredda corrente di
Humboldt. Questo confermava la teoria dell'origine marina delle civiltà andine con i centri dell'interno
che fornivano il cotone per le reti.
Nota per prima è la cultura Chavin, già in possesso di un'agricoltura avanzata con il mais, la tessitura,
la ceramica e credenze religiose. Intorno al 900 a.C. fu fondata la capitale Chavin de Huantar, sul fianco
orientale della Cordillera Blanca a 3150 m e a metà strada fra le foreste tropicali e le pianure costiere, in
un luogo strategico per le vie di comunicazioni. Fra i resti, un antico tempio con due piattaforme
sovrapposte e una scalinata di pietra; l'interno è un labirinto di gallerie e camere sotterranee, dove sono
state trovate molte sculture, fra cui quelle antropomorfe di una divinità felina e oggetti rituali con teste
di giaguaro. Le sculture sono in granito chiaro e calcare nero. Nelle aree cimiteriali si sono trovati
oggetti di metalli preziosi, tessuti e ceramiche con decorazioni e forme diverse.
La civiltà Chavin decadde improvvisamente nel 300 a.C. e le città, lasciate incompiute e in parte
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demolite, furono abbandonate e, col tempo, crollarono. La cultura Chavin si era diffusa a nord fino
all'Ecuador e a sud fino oltre Lima e su di essa si innestarono altre civiltà regionali come i Moche
(nella valle del Moche sulla costa nord) che formarono, dal 100 all'800 d.C., una società di guerrieri
sacerdoti. I Moche, o Mochica, furono grandi costruttori ed hanno
lasciato i resti di grandi piattaforme piramidali in mattoni di paglia e
fango (adobe) dette Huaca del Sol e della Luna, imponenti opere
d'irrigazione e ricchissimi corredi funerari con migliaia di vasi
ceramici
Nell'area centrale del Perù, dove sorge la città di Ayacucho, si
trovano vaste zone archeologiche, dove si sono avvicendate in circa
2000 anni popolazioni e civiltà fra cui i Wari. Questi, intorno al 700,
iniziarono il primo tentativo di unificare il Perù con una serie di
conquiste che li portarono ad espandersi da Arequipa a Cajamarca
fino al 1200 d.C.. Con lo sfaldamento dell'impero Wari, dopo il
1100 fiorì il regno dei Chimu con la capitale Chan Chan, vicino
all'attuale Trujillo, che si stendeva su 28 kmq in quello che oggi è
un deserto. La loro capitale era divisa in aree delimitate da alte mura
a formare delle cittadelle. All'interno c'erano templi piramidali, giardini e cimiteri. La società era
stratificata, l'economia basata sull'agricoltura e sostenuta da sistemi d'irrigazione. Quella dei Chimu fu
l'ultima grande civiltà prima degli Inca; erano abili artigiani ed hanno prodotto tessuti, ceramiche e
oggetti d'oro, di argento e rame.
Nell'estremo meridione del Perù fanno storia a sé le culture regionali di Paracas e Nazca. I Paracas
nella penisola omonima a sud di Pisco, dal 40 a.C. all'inizio della nostra era, hanno lasciato, all'interno
di profondi pozzi nel deserto, centinaia di mummie avvolte in mantelli e tuniche meravigliosamente
tessute e con ricami colorati. Più a sud, nel deserto di Nazca un altro popolo, stanziato dall'inizio della
nostra era al 600, ha lasciato tessuti e ceramiche e una rete di linee e disegni tracciati sul deserto in
un'area lunga circa 50 km e larga 25, nota come Pampa colorada, per il suo colore rosso mattone. Il
significato e lo scopo di questi disegni hanno fatto discutere a lungo e sono state avanzate le ipotesi più
fantastiche. Restando a quelle più ragionevoli i lunghi allineamenti orientati sono stati interpretati come
un calendario astronomico e i disegni dediche alle divinità celesti.
Sulle Ande centrali, vicino al lago Titicaca a 3800 m di quota, nel 400 a.C. sorse una città
cerimoniale, divenuta poi la capitale di un regno che ha preso il nome di Tiahuanaco, dal fiume che si
riversa nel lago. Questa civiltà dominò fra il 100 e il 1000 d.C., si espanse intorno al lago Titicaca e
sugli altipiani della Bolivia ed ebbe una grande influenza sulle popolazioni andine e sulla civiltà incas.
La civiltà di Tiahuanaco, la cui popolazione è stata stimata a circa 360000, si sosteneva con
l'agricoltura, l'allevamento dei lama e la pesca nel lago. Nei centri cerimoniali e del potere in Bolivia
sono rimasti porte monolitiche e statue di colossi che danno l'impressione di una civiltà megalitica.
LA CIVILTÀ INCA
La storia della formazione dell'impero Incas inizia in tempi relativamente recenti. La tradizione riporta
che all'inizio del XIII secolo una tribù proveniente dal lago Titicaca fondò una città nella valle di
Cuzco. Il fondatore era Manco Càpac (càpac significa grande, potente) che si diceva discendente diretto
del dio creatore Viracocha o del Sole (Inti) suo figlio. I nuovi venuti s'imposero sugli abitanti del
luogo, i Quechua, la cui lingua divenne quella degli Incas ed è ancora parlata in Perù da milioni di
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persone. Fino al 1400, il regno fu limitato alla sola Cuzco, poi iniziò l'era delle grandi conquiste che
portarono l'impero alla sua massima espansione in meno di 80 anni. Gli Spagnoli hanno tramandato i
nomi dei due imperatori Inca che lo hanno creato, il 9° e il 10°: Pachacuti Inca Yupanqui (1438-1471)
e Tupac Inca Yupanqui (1472-1493). Nel 1450 gli Incas colsero di sorpresa i Chimu, che dominavano
la costa settentrionale, attaccando la fortezza di Paramoga a sud, mentre il grosso dell'esercito dei
Chimu si aspettava un attacco nel nord più accessibile. Alla fine del 1400 gli Incas dominavano un
impero di oltre 3000 km di lunghezza e 650 km di larghezza, ma non furono solo guerrieri e
conquistatori. Gli Incas si dimostrarono grandi organizzatori, costruttori e coltivatori, ma trovarono, nei
popoli che sottomettevano, civiltà eredi di un'evoluzione culturale di millenni e, per questo, sono
paragonati ai Romani che accolsero culture eterogenee e crearono un tessuto sociale unitario. La nuova
civiltà incas fuse e perfezionò gli elementi culturali preesistenti, ma cancellò il ricordo del passato,
come avevano fatto sempre i popoli precedenti, e per molto tempo si suppose che quella Incas fosse
l'unica civiltà sorta fra la costa e le Ande e fosse anche molto più antica. L'impero fu diviso in quattro
grandi province, o Suyu (cantoni), a nord-est e a nord-ovest, a sud-est e a sud-ovest, e fu chiamato
Tahuantinsuyu (La terra dei Quattro Cantoni). La capitale era Cuzco, quasi al centro, e l'impero era
collegato da due grandi strade da nord a sud, una lungo gli altipiani, l'altra costiera e altre minori da est
a ovest che collegavano i centri degli altipiani con quelli della costa. L'organizzazione dello stato era
flessibile ed era più una confederazione di tribù che uno stato accentratore. Ogni tribù aveva il suo capo
e si amministrava in modo indipendente, ma tutte dipendevano dall'autorità centrale dell'imperatore o
Inca, considerato divino, tramite i suoi funzionari che appartenevano all'aristocrazia incas, ciò facilitò la
conquista spagnola, una volta sequestrato l'imperatore. L'unità sociale era ottenuta con la
collaborazione. Le tribù pagavano le tasse con i prodotti della terra e con il lavoro. I magazzini statali
accumulavano le scorte alimentari prelevate e queste erano distribuite in caso di carestia. Con il lavoro
obbligatorio furono costruite le grandi strade e i sistemi d'irrigazione.
Il successore di Tupac Ypanqui fu il figlio, Huayana Càpac, che portò la corte a Tumipampa, in
Equador, per consolidare il possesso dei territori settentrionali. Morì verso il 1527 per un'epidemia,
forse il vaiolo portato dagli Spagnoli, senza aver designato un successore. Fra i suoi figli c'era Huascar,
che viveva a Cuzco ed era sostenuto dall'aristocrazia e fu subito eletto Inca, ma un altro figlio più
anziano, Atahualpa, che aveva i suoi sostenitori nell'esercito e si trovava a Quito, pretese pure il trono e
iniziò una guerra civile che durò 5 anni. Nell'ultima battaglia Huascar fu preso prigioniero e il suo
esercito distrutto. Era il 1532 e in quell'anno arrivarono i conquistadores spagnoli di Pizarro.
LA CONQUISTA DEL PERÙ
Francisco Pizarro, conquistatore del Perù, era figlio illegittimo del capitano Hernando Pizarro, nato a
Trujillo nella regione dell'Estremadura spagnola, e la sua data di nascita è incerta, 1471 o 1475, secondo
diversi cronisti. Si dice che facesse il porcaro nel suo paese natale, comunque non vi rimase a lungo e,
come tanti che ai suoi tempi cercavano fortuna nelle armi, si arruolò nell'esercito e fu in Italia, agli
ordini di Gonzalo Fernandez de Cordoba, dove apprese l'arte della guerra. Nel 1502 partì per il Nuovo
Mondo sostando all'isola di Hispaniola (Haiti), dove si unì alla spedizione di Alonzo de Ojeda per
popolare la baia di Darien nell'istmo di Panama. Seguì poi le imprese di Nuñez de Balboa che scoprì il
Pacifico e, dopo la fondazione di Panama, raccolse le informazioni dei primi esploratori scesi verso il
sud che riferivano di terre ricche di oro e del mito dell'El Dorado. Pizarro si associò allora a Diego de
Almagro, un abile soldato, e a padre don Hernando Luque, un ecclesiastico che aveva una certa
influenza nella comunità di Panama, per mettere insieme un piccolo patrimonio e finanziare una
spedizione lungo la costa sud del Pacifico. Il 14 novembre 1524 partì da Panama con un centinaio di
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uomini facendo rotta a sud. Il tempo non era favorevole, la terra inospitale e gli indigeni diffidenti. La
spedizione continuò con alterne vicende, Pizarro fu raggiunto da Almagro con rinforzi, si fece razzia di
oro nei villaggi e Almagro ritornò a Panama più volte per rinvestirlo nell'impresa con l'aiuto di padre
Luque, ma a un certo punto il governatore di Panama impose di abbandonare l'impresa. Pizarro rifiutò
insieme a 13 compagni, ottenne una proroga di 6 mesi e una nave con rinforzi. In 13 settimane di
navigazione raggiunse il golfo di Guayaquil e, dall'isola di Sant'Elena, scoprì la città di Tumbez.
Accostando le flottiglie degli indios prese contatto con loro, scambiò dei doni, imbarcò delle vigogne e
raccolse informazioni attendibili su una guerra civile che scuoteva il grande impero. Proseguì ancora a
sud fino all'odierna Tuxillo e finalmente decise di tornare a Panama. Pizarro aveva ora le prove della
validità della sua impresa ma, di fronte allo scarso entusiasmo del governatore, decise di partire per la
Spagna per incontrare il re Carlo V. Nella primavera del 1528 Pizarro si imbarcò per la Spagna e fu
ricevuto da Carlo V a Toledo. Raccontò le sue imprese e mostrò quanto raccolto: la vigogna, i raffinati
tessuti e gli oggetti preziosi. Il re, che stava partendo per l'Italia, lo raccomandò al Consiglio Reale
delle Indie e all'Imperatrice Isabella e, nel luglio del 1529, fu firmata la Capitolazione per la conquista
del Perù e la sua nomina a Governatore e Capitano Generale. Prima di ripartire per le Indie, passò per
Trujillo, il suo villaggio natale, e prese con sé i suoi fratelli, Hernando, l'unico legittimo, Gonzalo e
Juan, e con altri nel gennaio 1530 s'imbarcò per Panama. Ritrovò Almagro e padre Luque e si cominciò
a preparare la spedizione. Ai primi del 1531 partì in avanscoperta con 180 uomini e sbarcò a nord di
Tumbez, fu raggiunto dai rinforzi e fra questi c'erano Sebastian Benalcazar ed Hernando de Soto. In
quel momento era in corso la guerra civile fra Huascar e Atahualpa e Tumbez era stata saccheggiata;
Pizarro lasciò una guarnigione, fondò più a sud S. Miguel, la prima città spagnola, e nel settembre 1532
si mosse alla ricerca di Atahualpa che in quel momento si trovava vicino a Cajamarca, sulle Ande, con
un grande esercito. S'incontrarono degli ambasciatori e a metà novembre Pizarro entrò a Cajamarca;
aveva con sé solo 102 fanti e 62 cavalieri. Pizarro mandò come ambasciatori ad Atahualpa il fratello
Hernando e De Soto per invitarlo in città, e il giorno dopo il re entrò a Cajamarca in gran pompa. Il
frate Vincente Valverde lo affrontò con una lunga esposizione sulla religione cattolica chiedendogli di
abbracciarla e di riconoscere il grande re cattolico. Atahualpa irritato chiese quale fosse la fonte di
questa autorità e Valverde gli offrì la Bibbia che teneva, ma il re deluso e irritato la respinse lasciandola
cadere. Gridando al sacrilegio gli Spagnoli attaccarono di sorpresa la massa dei seguaci del re
massacrandoli e sequestrarono l'imperatore. L'esercito dell'Inca si disperse, gli Spagnoli presero molti
prigionieri che utilizzarono per rinforzare i loro accampamenti in città e fecero bottino dagli
accampamenti reali. Pizarro trattò con deferenza Atahualpa e permise che i suoi sudditi venissero a
servirlo e riverirlo. L'Inca rincuorato promise di riempire la sua cella d'oro fino all'altezza di un uomo
in cambio della libertà. Apprese però che gli Spagnoli cercavano il fratello Huascar suo prigioniero e,
temendo di essere detronizzato, lo fece assassinare. In breve gli emissari di Atahulpa per la raccolta
dell'oro cominciarono a tornare e il tesoro si andò accumulando. Hernando Pizarro con una scorta andò
in esplorazione a visitare alcune città del regno fin sulla costa al santuario di Pachacamac dove abbatté
gli idoli e saccheggiò il tempio, altri emissari arrivarono fino a Cuzco per controllare la raccolta
dell'oro. Nel frattempo a febbraio 1533 erano arrivati a Cajamarca i rinforzi portati da Almagro, 150
fanti e 50 cavalieri ben armati. Pizarro, ormai sicuro del successo della sua impresa decise di dirigersi a
Cuzco dopo aver diviso fra i suoi l'enorme riscatto, tolto il quinto che spettava al re di Spagna. Notizie
incontrollate di una ribellione a Quito di un altro fratello di Atahualpa e di un possibile attacco
accrebbero intanto il clima di sospetto nei riguardi del prigioniero che fu accusato di tradimento
rinfacciandogli anche la morte del fratello Huascar. In breve fu creato un tribunale che lo processò e lo
condannò a morte. La condanna fu subito eseguita con la garrotta, invece del rogo come eretico, dopo
che il frate Valverde lo ebbe battezzato. L'impero incaico era così finito.
Alla morte dell'Inca seguì la disgregazione dell'autorità nella società, si ebbero notizie di disordini e
nella marcia verso Cuzco gli Spagnoli incontrarono resistenza; furono però aiutati dai sostenitori del
defunto Huascar e un fratello di questi, Manco, chiese la protezione degli Spagnoli avanzando le sue
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pretese al trono. Il 15 novembre 1533 Pizarro entrò nella capitale che stupì tutti per gli edifici, le strade
e il benessere evidente. Gli edifici importanti erano in pietra, il più sontuoso era il Tempio del Sole che
ancora conteneva molti tesori anche se in parte spogliato per il riscatto dell'Inca. L'edificio più
imponente era una fortezza che dominava la città costruita con enormi blocchi a secco accuratamente
lavorati che non lasciavano spazio fra le superfici a contatto. Pizarro nominò Manco successore di
Atahualpa. Fu battezzato e così iniziò la conversione di tutto l'impero, nella capitale si costruirono
chiese e dimore per gli Spagnoli. Come capitale del Vicereame, il 6 gennaio 1535, fu costruita una
nuova città vicina al mare, chiamata Ciutad de los Reyes e, in seguito, Lima corruzione del nome indio
Rimac, il fiume che vi passava. Francesco Pizarro alla fine del 1533 mandò in Spagna il fratello
Hernando a riferire sulla conquista portando l'oro del re. Nel frattempo gli Spagnoli allargarono il loro
controllo fino a Quito, rimasta fedele ad Atahualpa. I rapporti con gli indios ebbero però un improvviso
peggioramento. L'Inca Manco, che non tollerava il suo scarso potere, i soprusi e le razzie degli
Spagnoli nei confronti del suo popolo, tesseva i piani di una rivolta. Nei primi mesi del 1536 Hernando
Pizarro che, tornato dalla Spagna si trovava a Cuzco, fu assediato, la fortezza cadde nelle mani dei
rivoltosi e la città fu incendiata. Il tentativo di riprendere la fortezza costò la vita a Juan Pizarro, infine
la fortezza fu riconquistata, ma l'assedio continuava. Francesco Pizarro da Lima, pure minacciata dalla
rivolta, raccolse rinforzi, compresi quelli di Almagro che tornava da una sfortunata spedizione nel Cile
contro gli Auracani. Almagro riprese Cuzco, Manco, abbandonato da buona parte dei suoi che
ritornavano ai loro campi essendo ormai periodo di semina, si ritirò nelle regioni montagnose di
Vilcabamba, dove lui e i suoi successori continuarono la guerriglia resistendo fino al 1572. Gli indios
avevano dimostrato coraggio e disciplina e avevano anche imparato l'uso delle armi strappate agli
Spagnoli e a montare i loro cavalli dimostrando una civiltà culturalmente più avanzata degli Aztechi.
I territori dell'impero Incas cadevano intanto uno dopo l'altro nelle mani degli Spagnoli. Benalcazar si
spinse a nord nell'attuale Equador e fondò Guayaquil e poi in Colombia fino al mare delle Antille. Nel
1541 Gonzalo Pizarro da Quito scese nella valle del Napo e Francisco de Orellana, che era con lui,
proseguì esplorando il Rio delle Amazzoni fino alla foce. Pietro di Valdivia si spinse nel Cile e fondò
Santiago nel 1541. Nel 1545 furono scoperte le miniere di argento nel Potosì.
Gli Incas non erano ancora completamente sottomessi, quando iniziarono le lotte fratricide fra i
conquistadores. Almagro riteneva che la concessione reale a Pizarro dei territori non comprendesse
Cuzco e la pretendeva per sé. La contesa sfociò nella guerra civile, Almagro fu sconfitto, condannato a
morte e giustiziato nel luglio 1538. La vendetta di seguaci di Almagro si fece attendere fino al 1541, la
domenica del 26 giugno, quando 14 congiurati assaltarono la casa di Pizarro e lo uccisero. I cospiratori
appoggiavano il giovane figlio di Almagro che subito riprese possesso di Cuzco. La situazione però non
sfuggì di mano al rappresentante del re Vaca de Castro, inviato per collaborare con Pizarro, che seppe
riprendere l'iniziativa imponendo la sua autorità. Le forze di Almagro furono sanguinosamente battute e
la rivolta fu stroncata con l'esecuzione del giovane Almagro e di molti dei suoi seguaci. Poco dopo
Vaca de Castro fu sostituito dal primo viceré nominato dalla corte nella persona di Blasco Nuñez Vela
che prese possesso con numeroso seguito deciso ad applicare il nuovo codice per le colonie che limitava
gli abusi dei coloni nei riguardi degli indios. I nuovi ordinamenti suscitarono però una violenta
opposizione fra i coloni che utilizzavano gli indios come schiavi. Il viceré non fece nulla per sedare gli
animi, anzi li inasprì con i suoi atteggiamenti sospettosi e azioni di ritorsione che arrivarono fino
all'omicidio. Fra i suoi oppositori c'era Gonzalo Pizarro che, dal Chargas, dove sfruttava le miniere
d'argento del Potosì, si sentiva investito dell'eredità del fratello. I ribelli si appellarono al Tribunale di
Lima e il viceré fu deposto e imprigionato, ma poco dopo liberato; si rifugiò a nord, dove contava delle
truppe fedeli, ma finì sconfitto ed ucciso da Gonzalo Pizarro. Questi era ormai il padrone indiscusso del
Perù e, quando la notizia giunse alla corte di Spagna nell'estate del 1545, si capì che si rischiava la
secessione della più ricca delle colonie. Il Consiglio della Corona decise delle misure concilianti
inviando Pedro de la Gasca, un ecclesiastico che aveva dimostrato energia e discernimento in molte
situazioni difficili. Nel luglio 1546 Gasca arrivò nel Darien come Presidente del regio Tribunale con
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tutti i poteri. I porti erano sotto il controllo dei seguaci di Pizarro ma Gasca, offrendo la completa
amnistia, ottenne la sottomissione della flotta di Panama. In breve cominciarono le defezioni nel campo
di Pizarro e le truppe reali cominciarono a sentirsi sicure di affrontare Gonzalo, ma subirono una prima
sconfitta. Presto però la fortuna abbandonò Gonzalo perché le defezioni si moltiplicavano e, mentre gli
eserciti erano di nuovo schierati, decise di arrendersi. Fu condannato a morte e giustiziato nel 1548. Dei
quattro fratelli Pizarro rimase in vita soltanto Hernando, che nel 1539 era tornato in Spagna con la sua
parte di oro prima dell'assassinio di Francisco. Alla corte, che si trovava a Valladolid, l'ambiente gli fu
ostile perché c'erano i sostenitori di Almagro e la sua indole altezzosa non lo aiutò. Non ebbe un
giudizio, ma fu imprigionato in fortezza, dove rimase per 20 anni e fu rilasciato vecchio e quasi povero,
ma visse ancora a lungo e si dice che morisse a 100 anni.
Finito in Perù il periodo di anarchia, il potere passò saldamente nelle mani dei viceré. Con il viceré
Francisco de Toledo, nominato nel 1569, crollò l'ultimo baluardo degli Inca nelle montagne di
Vilcabamba. Tupac Amaru, figlio di Manco Inca, fu catturato con un'azione di sorpresa e portato a
Cuzco. Fu giustiziato nel 1572 come tiranno e traditore, ma il suo ricordo rimase fra gli indios come
quello di un eroe nazionale.
DAL DOMINIO COLONIALE ALL'INDIPENDENZA
Gli Spagnoli istituirono nelle colonie il sistema delle encomiendas attraverso le quali imponevano un
tributo in lavoro e prodotti dalle popolazioni locali. Lo sfruttamento intensivo delle miniere di argento e
di mercurio trasformò ben presto l'economia della colonia da agricola in mineraria e andarono in rovina
le opere di irrigazione dell'epoca incaica. La situazione degli indios peggiorò e furono decimati dalle
malattie e dallo sfruttamento. Per compensare la riduzione della mano d'opera furono importati schiavi
negri dall'Africa che, alla fine del 1700, erano circa 40000, nello stesso periodo la popolazione contava
1,3 milioni di abitanti dei quali 800000 indios (circa un decimo di prima della conquista), 200000 fra
creoli e Spagnoli e 300000 meticci. Il Perù era la più ricca e importante delle colonie spagnole
sudamericane e Lima era diventata una capitale aristocratica sede di un'università. Nel 1700 frequenti
furono le rivolte dell'elemento indio, sempre represse nel sangue. Le più note furono quella di Juan
Santos Atahualpa del 1741 e quella della Sierra del 1780, guidata da un cacicco che prese il nome di
Tupac Amaru, a ricordo dell'eroe nazionale, e che costò la vita di circa 80000 indios. La stretta
dipendenza dalla madre patria si traduceva nella segregazione commerciale, negli ostacoli a un'industria
manifatturiera locale e nell'esclusione dei creoli dal potere reale. Nonostante ciò il Perù fu l'ultimo a
conquistare l'indipendenza trascinato dai movimenti di emancipazione, ormai vittoriosi, dell'Argentina,
con Josè di San Martin, e del Venezuela, con Simon Bolivar. San Martin, liberato anche il Cile, sbarcò
con la flotta cilena a Paracas e, il 28 luglio 1821, entrava a Lima proclamando l'indipendenza. I realisti
erano però ancora forti e, solo con l'aiuto di Bolivar e la brillante vittoria ad Ayacucho (dicembre 1824)
del suo luogotenente Sucre, gli Spagnoli finirono con il lasciare definitivamente il paese. Seguirono le
dispute territoriali con i vicini. La formazione della Grande Colombia a nord, che poi si divise in
Equador e Colombia, sottrasse una parte del territorio al Perù e lasciò strascichi di rivendicazioni. Gli
altipiani del sud-est formarono il nuovo stato della Bolivia. L'indipendenza non migliorò la condizione
degli indigeni perché le terre finirono nelle mani dei creoli, ma nel 1854 fu tolto il tributo degli indios e
gli schiavi furono emancipati. Per circa 30 anni dal 1840, con l'estrazione ed esportazione del guano
come fertilizzante dalle isole al largo di Lima, si ebbe una certa prosperità. Nel 1879 scoppiò la guerra
del Pacifico per una disputa fra Cile e Bolivia sul deserto di Atacama, una regione i cui confini non
erano ben stabiliti ed era ricca di miniere di salnitro oltre ad essere per la Bolivia l'unico sbocco al
mare. La scintilla fu un disaccordo nella spartizione delle tasse sui proventi delle miniere; nell'aprile del
78
1879 il Cile invase la regione contesa e il Perù intervenne in appoggio alla Bolivia in virtù di un trattato
di alleanza. La flotta cilena bloccò la costa boliviana, annientò la flotta peruviana e i Cileni invasero il
Perù occupando Lima e si spinsero a nord fino a Cajamarca. La resistenza del Perù proseguì fino al
1883 e finì con la pace Ancon. Con essa la Bolivia perdeva il suo sbocco al mare e il Perù alcune terre
di confine. La sconfitta ebbe un effetto traumatico sulla società peruviana e sulle sue forze armate e
seguì un lungo periodo di crisi politica ed economica. L'economia si risollevò durante il periodo della
prima guerra mondiale europea con l'aumento della richiesta di esportazioni e da questo momento
l'economia del Perù ritornò all'agricoltura. Il Perù ebbe due nuove costituzioni nel 1920 e nel 1933. Tra
il 1941 e il 1942 si accese un'altra contesa con l'Equador per i confini sulla regione amazzonica, ma la
guerra fu rapida e si risolse con un vantaggio territoriale del Perù. In politica si alternarono governi
militari e civili. Nel 1965 sorsero movimenti di guerriglia che portarono a un altro periodo d'instabilità e
a un governo militare fra il 1968 e il 1980 (intorno alla data del viaggio).
Molti avvenimenti sono successi dopo, fino al 2003. Nel decennio del 1980 si diffuse il movimento
insurrezionale del Sendero Luminoso d'ispirazione maoista. Si aggiunse poi il Movimento
Rivoluzionario Tupac Amaru (MRTA) ispirato alle rivendicazioni degli indigeni e alla rivolta del 1780.
Nel 1990 le elezioni presidenziali portarono al governo Alberto Fujimori di origini giapponesi che
affrontò l'inflazione e i movimenti insurrezionali con misure drastiche e, di fronte a una forte
opposizione, con un colpo di stato sciolse il Congresso nel 1992, cambiò la costituzione, fu rieletto nel
1995 e anche nel 2000, ma fu coinvolto in uno scandalo di corruzione e violazione dei diritti umani e si
dimise espatriando in Giappone. Le nuove elezioni che si sono avute nel 2001 hanno eletto Alejandro
Toledo, un economista indigeno delle Ande di povera famiglia. Con Toledo è tornata la democrazia in
Perù e sono stati processati i responsabili di corruzione e violenze. Le prossime elezioni sono previste
nel 2006.
IL VIAGGIO
Il viaggio in Perù e Bolivia è stato organizzato in modo autonomo
secondo una bozza di itinerario con prima tappa nella capitale Lima,
seconda ad Arequipa che, trovandosi oltre i 2300 m, permetteva un
parziale adattamento alle alte quote, e la terza tappa a Cuzco, sulle Ande
(3400 m). Era previsto il percorso via terra fino a La Paz, in Bolivia, e il
ritorno da La Paz, via Rio de Janeiro. Partenza il 7 agosto da Roma e voli
aperti. I dettagli dell'itinerario sono stati stabiliti e contrattati a Lima con
un'agenzia locale.
La descrizione del viaggio parte dalla capitale Lima, mosaico di aspetti
antichi e moderni, e qui si prende il primo contatto anche con le origini
delle civiltà sudamericane visitando il Museo Nazionale di Archeologia e
alcuni resti archeologici nei suoi dintorni. L'impressione di meraviglia e
di mistero si accentua osservando dall'alto la pampa di Nazca e i suoi
fantastici disegni.
S'inizia poi l'avvicinamento alla catena andina facendo una sosta ad
Arequipa, una città a oltre 2300 m di altezza, ai piedi di un gigantesco vulcano spento. Qui sembra che
il tempo si sia fermato nella bianca architettura coloniale.
Dopo Arequipa si fa il salto a Cuzco, l'antica capitale dell'impero incaico e qui si entra in pieno in un
mondo perduto, ma che attraverso le pietre racconta la sua potenza. Il percorso si snoda poi lungo una
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successione di antiche fortezze degli Incas e, seguendo la valle dell'Urubamba, si raggiunge la città
perduta di Machu Pichu, un luogo affascinante da ammirare in silenzio. La tappa successiva è sul lago
Titicaca, a Puno, che si raggiunge da Cuzco con una delle ferrovie più alte del mondo in un percorso
panoramico. Il lago Titicaca è il più alto del mondo, al confine fra il Perù e la Bolivia che se lo
dividono, ma non c'è differenza fra le popolazioni di qua e di là della frontiera, immobili nelle loro
tradizioni.
Dal lago si passa in Bolivia dove, in una continuità di tempo e di storia, si possono ammirare le
rovine megalitiche di Tiahuanaco. La città di La Paz è l'ultima tappa, città dai grandi dislivelli che giace
in un profondo cañon prodotto dall'erosione ed è circondata dalla Cordillera Real con le sue nevi eterne.
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AGOSTO 1979
VIAGGIO IN PERÙ E BOLIVIA
CAPITOLO 2 - LA CAPITALE LIMA ED I DINTORNI
La città di Lima fu fondata da Francisco Pizarro nel 1535 con il nome di Ciutad de los Reyes, per
essere la capitale di tutto l'impero spagnolo dell'America del sud e divenne la sede del viceré, designato
dal re di Spagna dal 1542. Dal centro coloniale, intorno alla Plaza des Armas con gli edifici coloniali
più importanti, la città si è sviluppata prima sulla riva sinistra del fiume Rimac, da cui è derivato il suo
nome moderno, poi si è espansa in modo impressionante circondandosi di quartieri moderni fino al
mare ed ha oggi più di 7 milioni di abitanti. Annesso alla Grande Lima, è il porto e la zona industriale
di Callao, centro del commercio per tutta la nazione fin dalle origini.
La visita della città inizia dalla Plaza des Armas, dove si trova la Cattedrale sul lato sud-est e, sul lato
opposto, l'antico Cabildo, sede del Consiglio Municipale all'epoca dei viceré e oggi sede del Municipio
di Lima; sul lato nord-est c'è l'antico palazzo dei viceré, oggi Palazzo del Governo.
La prima
Cattedrale
fu
costruita
nel
1555, 20 anni
dopo
la
fondazione della
città
e
fu
ingrandita
iniziando
dal
1585, ma l'attuale
edificio è stato
ricostruito dopo il
Cattedrale sulla Plaza des Armas.
violento
terremoto del 1746, conservando le forme originarie ispirate alla
cattedrale di Siviglia in Spagna. All'interno sono interessanti gli
stalli lignei scolpiti del 1600 e, nella prima cappella a destra, si trova
la tomba di Francisco Pizarro le cui spoglie mummificate,
s'intravedono nella bara di vetro.
Statua di Francesco Pizarro.
Sulla sinistra della cattedrale c'è la piccola cappella del Sagrario,
dove si tenevano i tesori della diocesi e di seguito sorge il palazzo dell'Arcivescovo con una bella
facciata barocca ornata di balconi di legno dipinto di gusto coloniale.
Il palazzo dei viceré sul lato nord-est e l'antico Cabildo sul lato nord-ovest sono gli altri due
importanti palazzi di architettura coloniale che si affacciano sulla piazza. Al centro un giardino con
fontana di bronzo e all'angolo nord la statua equestre di Francisco Pizarro.
Un po' a est della piazza si trova la chiesa di S. Francesco che fu costruita iniziando dalla seconda
metà del 1500 e consacrata nel 1673. Per la sua struttura massiccia ha superato senza gravi danni i
violenti terremoti del 1687 e del 1746.
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PLAZA DES ARMAS
A sinistra, la tomba di Francesco Pizarro all'interno della Cattedrale.
A destra, l'Arcivescovado a sinistra della Cattedrale.
A sinistra, il Palazzo del Viceré e i giardini di Plaza des Armas.
A destra, il Cabildo.
Chiesa di S. Francesco.
Chiostro di S. Francesco
Azulejos.
nello stile in uso a Siviglia.
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Alla chiesa è
annesso un
convento che
in
origine
era uno dei
più grandi
edifici
religiosi di
Lima,
con
un
ampio
chiostro
e
gallerie dalle
pareti
ricoperte di
preziose
Chiesa della Merced.
piastrelle
ceramiche (azulejos) del 1600, decorate
Il convento ha anche un museo d'arte religiosa con una raccolta di quadri attribuiti a Zurbaràn e
importati dalla Spagna.
Un'altra chiesa interessante è quella della Merced sulla Jiron de la Union, la strada che esce dalla Plaza
de Armas in direzione sud-ovest.
Costruita poco dopo la conquista, accolse le spoglie
di numerosi conquistadores, ma fu distrutta dal
terremoto del 1687 e poi ricostruita a tre navate. Ha
una bella facciata e un portale barocco della fine del
1600 e il convento annesso, insieme alla chiesa, sono
i più antichi della città.
Davanti c'è la
statua
del
Maresciallo
Ramon Castilla
che partecipò alla
battaglia
di
Convento della Merced - Chiostro.
Ayacucho,
decisiva per la
fine del dominio spagnolo. Più tardi, dopo un periodo di anarchia, si
fece eleggere Presidente nel 1845 e nel 1855 e a lui si deve lo
sviluppo della produzione ed esportazione del guano, estratto dalle
isole lungo la costa.
Nell'area
coloniale
si
possono ancora
osservare
le
abitazioni
più
antiche
che,
Casa di Geronimo de Aliaga.
nonostante
i
numerosi rifacimenti hanno conservato molte
caratteristiche originali. Fra queste, sulla strada a
sinistra del Palazzo del Viceré, c'è la casa di
Geronimo de Aliaga costruita al tempo della
conquista e, caso unico, tuttora abitata dai suoi
Interno della Casa di Geronimo de Aliaga.
discendenti. L'ingresso monumentale è all'estremità
di una rampa di scale che parte dal portone
principale dell'edificio e questa disposizione nel 1500 era un privilegio cui avevano diritto solo i
conquistadores e i loro diretti discendenti.
Un'altra casa caratteristica si vede in Via Conte di Superunda, fra le strade più antiche, con una
facciata occupata da bellissimi balconi di legno che erano al tempo una caratteristica di molte case
patrizie.
A nord della Plaza de Armas scorre il fiume Rimac, il cui nome in lingua quechua significa "il
parlatore" per il rumore che fanno le sue acque durante l'estate australe, quando si sciolgono i ghiacciai.
All'epoca del viaggio si è in inverno e il letto è quasi asciutto.
Di là del fiume si alza una collina detta Cerro di San Cristobal, sul cui fianco si stende uno squallido
agglomerato di baracche abitate dai contadini indios e meticci più poveri attirati dalla città in
espansione e questo è solo uno dei numerosi quartieri di diseredati detti Barriadas, posti sulle colline
della periferia di Lima, dove vive quasi un quarto della popolazione.
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ALTRA ANTICA CASA PATRIZIA E QUARTIERI PERIFERICI
A sinistra, i balconi di legno della casa patrizia in via Conte di Superunda.
A destra, il Cerro di San Cristobal oltre il fiume Rimac.
Sulla vetta del Cerro si vede una croce che in origine fu eretta da Francisco Pizarro nel 1536 per
ringraziamento, dopo l'improvvisa ritirata di un'armata incas durante la ribellione che minacciava la
città.
A sud del centro si stendono i quartieri più moderni. Proseguendo dalla chiesa della Merced, sulla
Jiron de la Union, s'incontra la Plaza San Martin ancora nel cuore storico della città. Al centro si trova
la statua equestre del generale argentino José de San Martin che per primo proclamò l'indipendenza del
Perù il 28 luglio 1821, entrando a Lima con le sue truppe dopo le vittorie di Chacabuco e Maipù.
Più a sud si estende la grande città moderna con le sue ampie arterie, come l'Avenue Arequipa e il
Paseo de la Republica, che portano ai quartieri residenziali eleganti di Miraflores e San Isidoro fino al
mare, a 13 km dal centro coloniale.
LA CITTÀ MODERNA
A sinistra, la Plaza San Martin.
A destra, la spiaggia sul Pacifico nel quartiere di Miraflores.
Più a nord, vicino alla foce del Rimac si trova il porto di Callao, il più grande del Perù, sede dei
maggiori cantieri navali del paese. Da Callao al tempo dei viceré partivano i galeoni carichi di oro e di
argento e, nel 1579, la città fu messa a sacco dal famoso corsaro inglese Drake. Durante la guerra per
l'indipendenza Callao fu l'ultima roccaforte tenuta dagli Spagnoli che vi rimasero fino al 1826.
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IL MUSEO NATIONAL DE ANTROPOLOGIA Y ARCHEOLOGIA
Circa 6 km a sud-ovest dal centro coloniale, si trova il più importante museo di Lima con le ricche
collezioni di ceramiche e tessuti precolombiani.
La sezione
preincaica
comincia con la
civiltà Chavin, la
più antica. Il
reperto
più
importante è la
stele Raimondi,
una lastra di
diorite ornata di
rilievi e con un
personaggio dai
Testa di pietra uomo-giaguaro.
tratti
zoomorfi,
insieme di un serpente, un falcone e un puma, tre divinità della
cultura Chavin. La stele è stata scoperta dal viaggiatore italiano
Antonio Raimondi nella seconda metà del 1800 presso una famiglia
india che la usava come tavola sul lato non decorato. La stele è alta
circa 2 metri e si fa risalire al 600 a.C., ultimo periodo della civiltà
Stele Raimondi.
Chavin.
Un altro reperto è una testa di pietra, con i tratti
misti di un uomo e di un giaguaro, asportata dalla
facciata di un tempio.
Nella sala della civiltà Paracas, i cui maggiori
reperti vengono dalla penisola omonima a 260 km a
sud di Lima, il reperto più interessante è quello di
un teschio proveniente da una necropoli sul quale è
stata eseguita una trapanazione del cranio.
L'accrescimento dell'osso dimostra come il paziente
fosse sopravvissuto a lungo all'operazione. Questa
tecnica sembra che fosse ben nota, usavano la
cocaina come anestetizzante e chiudevano la ferita
Sala Paracas - Teschio con trapanazione.
con una lamina d'oro o con cuoio.
Le ceramiche di Paracas sono molto simili ma più
antiche di quelle della civiltà Nazca geograficamente vicina e sono esposte nella sala a esse dedicata. La
ceramica Nazca tuttavia sorprende per la raffinatezza e per la varietà dei colori, fino a 20 diversi,
luminosi e brillanti, ed è la più perfetta fra tutte quelle delle civiltà peruviane, sia per tecnica sia per
costanza della qualità. Fra gli esemplari si distingue quello che raffigura una balena la cui sagoma è
riprodotta in uno dei giganteschi disegni tracciati nella pampa di Nazca e attribuiti a questa civiltà.
Sotto la testa della balena c'è un'appendice che rappresenta una testa umana: è un trofeo di guerra
perché i popoli Nazca erano cacciatori di teste.
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SALA NAZCA
A sinistra, varietà di ceramiche Nazca.
A destra, ceramica Nazca raffigurante una balena.
Ancora più affascinante è la sala dei Mochica con le ceramiche provenienti dalle vallate costiere
settentrionali del Perù, fra cui la valle del fiume Moche da cui deriva il loro nome. Le ceramiche
Mochica forniscono una documentazione completa della vita, del carattere e dei costumi di questo
popolo. La varietà di queste ceramiche è impressionante.
SALA MOCHICA
A sinistra, varietà di ceramiche Mochica.
A destra, ceramiche Mochica con due uomini barbuti.
Vi sono rappresentati tutti gli animali e i vegetali conosciuti, molti vasi rappresentano teste di
personaggi di tutte le classi con un realismo impressionante, nelle loro occupazioni quotidiane, con le
malattie di cui sono afflitti, incluse le mutilazioni, o nelle scene di caccia e di guerra e sempre con
grande minuzia di particolari. I vasi più tipici sono quelli a staffa e la maggior parte è realizzata
mediante stampi mentre le anse e altri particolari sono aggiunti dopo. Il colore dominante è il marrone.
Fra i personaggi rappresentati ce ne sono due con la barba, cosa insolita per i popoli sudamericani che
hanno il volto glabro e questo ha fatto pensare a contatti sporadici con viaggiatori europei avvenuti
prima del 1200, quando tutta la regione cadde sotto il dominio dei Chimu.
Nella sala dedicata agli Incas vi sono molte riproduzioni di siti incaici, ma la cosa più interessante è
un esemplare di kipu o quipu, che significa semplicemente nodo. Si tratta di un ingegnoso surrogato
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della scrittura, che era sconosciuta alle popolazioni del sud dell'America.
Sala Inca - Esemplare di quipu.
Il quipu è stato interpretato come un sistema
mnemonico per fissare i ricordi di fatti contabili o di
avvenimenti. Il quipu è costituito da una funicella
trasversale da cui pendono una serie di cordoncini su
cui sono praticati dei nodi intervallati. I cordoncini
hanno colori diversi che dovevano rappresentare voci
diverse e i nodi sembra che rappresentino numeri
secondo un sistema decimale.
L'interpretazione richiedeva sempre un commento
verbale da parte di persone addestrate fin da ragazzi.
Forse i quipu, iniziati come strumento contabile, si
erano evoluti in un sistema per codificare con un
sistema tridimensionale anche ricordi storici e miti.
Il problema è che oggi nessuno li sa leggere. Gli Spagnoli li considerarono oggetti da idolatri e ne
bruciarono quanti ne trovarono, i pochi rimasti si trovano nei musei e in collezioni private.
DINTORNI DI LIMA
Circa una dozzina di chilometri verso l'interno si trova Paruchuco, una località abitata già in epoca
preincaica, poi conquistata dagli Incas nella seconda metà del 1400. Qui è stato restaurato un edificio,
usato dagli Incas come centro amministrativo e punto di sosta e rifornimento della rete stradale e infine
utilizzato dagli Spagnoli come fortificazione. L'edificio, senza la copertura di legno e paglia, andata
perduta, ha una struttura a labirinto con un solo ingresso e la costruzione era tutta in mattoni di argilla e
paglia cotti al sole (adobe).
Ancora altri 15 chilometri verso l'interno, in località Cajamarquilla, s'incontrano le rovine di una vasta
città dal nome sconosciuto, forse abbandonata all'arrivo degli Spagnoli.
PARACHUCO E CAJAMARQUILLA
A sinistra, ricostruzione di edificio Incas a Parachuco.
A destra, rovine di Cajamarquilla.
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La città, costruita interamente in adobe, è ridotta a un ammasso di rovine. Gli scavi, condotti da
archeologi italiani iniziando dal 1962, hanno messo in luce un vero labirinto di strade e piccole case,
dove viveva una popolazione di agricoltori e pastori di circa 2-3 mila persone. L'origine deve essere
certamente preincaica, probabilmente antecedente all'espansione della civiltà di Tiahuanaco verso la
costa, intorno al 1000 a.C..
A 29 km a sud di Lima, sulla costa lungo la Panamericana per Ica, si raggiungono le rovine del
famoso santuario di Pachacamac nome che, in lingua quechua, significa "colui che sostiene il mondo",
una divinità preincaica dei popoli della costa. Dal XIII secolo Pachacamac fece parte di una
confederazione indipendente ed era sede del più famoso e venerato oracolo della costa. Tutta la zona fu
conquistata dall'Inca Tupac Yupanqui (1471-1493), ma il santuario e la sua divinità furono rispettati dai
nuovi dominatori, che vi costruirono solo un nuovo e più grandioso tempio dedicato al Sole, divenuto
presto il più importante dell'impero dopo quello di Coricancha a Cuzco. Le sue rovine sono le più
monumentali rimaste e vi sono 6 piattaforme sovrapposte a gradoni. Pizarro nel gennaio 1533, mentre
teneva prigioniero Atahualpa, per accelerare la raccolta del riscatto, inviò da Cajamarca il fratello
Hernando che attraversò montagne e fiumi lungo la strada reale degli Incas, scoprì l'idolo tanto venerato
e lo distrusse, ma rimase deluso dell'oro raccolto.
PACHACAMAC
A sinistra, Tempio del Sole - Lato est con l'ingresso.
A destra, Tempio del Sole - Lato ovest di fronte al mare.
A sinistra, Il Tempio della Luna.
A destra, vista della Panamericana e delle isole del guano dal Tempio del Sole.
Un po' a nord, non lontano, si trova un altro tempio identificato come quello dedicato alla Luna, che
era la divinità principale delle popolazioni della costa prima della conquista incaica, ma dal restauro si
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riconosce un'architettura tipicamente incaica con le sue porte e nicchie trapezoidali e i blocchi di pietra
lavorati. In primo piano sono anche i resti di una fonte.
Dal tempio del Sole si vede la Panamericana e il mare e, al largo della costa, nella
foschias'intravedono alcune isole: sono le isole del guano dove per migliaia di anni si sono accumulati
gli escrementi degli uccelli, numerosissimi nella zona per la ricchezza di pesce favorita dalla corrente
fredda di Humboldt.
Dopo aver scoperto che il guano era ricco di azoto (dal 14 al 17%), nel 1840 il governo peruviano
iniziò lo sfruttamento intensivo dei giacimenti in regime di monopolio e trasse con la sua esportazione
elevati profitti per circa 40 anni. Oggi l'estrazione non è più economica e il guano è stato sostituito dalla
farina di pesce. Già prima degli Spagnoli gli Indios usavano il guano come fertilizzante e il suo nome
sembra derivi dalla parola quechua guanays che indicava i corvi marini.
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AGOSTO 1979
VIAGGIO IN PERÙ E BOLIVIA
CAPITOLO 3 - LA PAMPA DI NAZCA
La visione dall'alto dei disegni tracciati sulla pampa di Nazca è un'esperienza da non perdere ed è
l'unico modo per apprezzare questa testimonianza lasciataci dalla civiltà Nazca senza alcuna chiave di
lettura documentata. Nel dipartimento di Ica, circa 450 km a sud di Lima, in una zona lunga
approssimativamente 50 km e larga 25 fra il Rio Ingenio e il Rio Nazca, affluenti del Rio Grande, si
trova un'impressionante concentrazione di linee e disegni di dimensioni gigantesche, allineamenti
paralleli e radiali variamente orientati, figure geometriche come spirali, triangoli e quadrilateri,
rappresentazioni di animali, soprattutto uccelli, ragni, scimmie e coccodrilli. Gli animali più comuni
sono gli uccelli e ve ne sono 18. Il culto degli uccelli era legato a riti di divinazione, l'arrivo o il
passaggio di determinati uccelli segnalava l'inizio della buona o della cattiva stagione e dava indicazioni
per le attività dei pescatori e degli agricoltori.
Dall'aeroporto di Lima la società Aero Condor ha l'esclusiva dei voli turistici sulla Pampa di Nazca
per l'osservazione dei disegni. Aerei a elica provvedono al collegamento da Lima in circa due ore e altri
aerei più piccoli effettuano i voli panoramici. La mattina del 10 agosto si parte dall'aeroporto di Lima e
i misteriosi tracciati cominciano a comparire prima di arrivare a destinazione iniziando dalla valle di
Pisco, 250-300 km da Lima.
VOLO DA LIMA A NAZCA
A sinistra, l'aeroporto di Lima dopo il decollo.
A destra, due piste rettilinee divergenti sul deserto di Ica prima di giungere a Nazca.
Le piste osservate, poco prima di scendere a Nazca, hanno sempre suscitato spiegazioni fantastiche,
supponendole destinate all'atterraggio di astronavi extraterrestri, ma non avevano destato l'interesse
degli archeologi.
Solo nel 1939 il Dott. Paul Kosok della Long Island University, che era venuto per studiare gli antichi
sistemi di irrigazione della zona, comprese che non si trattava di tracciati connessi all'agricoltura e
90
furono iniziati i rilievi. In seguito, dal 1946 e per più di 30 anni, una studiosa tedesca, Maria Reiche, si
è dedicata al rilevamento dettagliato e allo studio di questi disegni e della loro origine.
Oggi si ritiene che i disegni della Pampa di Nazca
siano stati tracciati al tempo della civiltà fiorita nella
zona dell'attuale Dipartimento di Ica che comprende
le valli di Pisco, Ica, Palpa e Nazca. Questa civiltà
ha preso il nome della moderna città di Nazca e del
fiume omonimo, nella cui valle sono state trovate
numerose tombe ricche di ceramiche e tessuti.
Rottami di queste ceramiche sono stati trovati anche
nella Pampa Colorada, dove si trovano i disegni.
La zona è attraversata dalla Panamericana che in
alcuni punti taglia i giganteschi disegni; in altri
L'Aero Condor per i voli panoramici.
luoghi i disegni sono stati rovinati dalle tracce
lasciate dai mezzi meccanici perché fino a tempi recenti, prima dell'attuale divieto, vi si tenevano gare
di motocross e visitatori e turisti attraversavano la pampa con le loro auto.
DISEGNI DELLA PAMPA DI NAZCA
I disegni si presentano più chiari del fondo rossiccio del terreno perché questo è ricoperto da un
pietrisco vulcanico di questo colore, ma il suolo sottostante è più chiaro e i disegni erano ottenuti
semplicemente asportando il materiale superficiale.
Molte delle linee rettilinee terminavano con un palo di legno infisso nel terreno e, l'analisi al carbonio
14 di questo legno, ha permesso di datarlo al 525 +/-80 d.C., che corrisponde all'ultima fase del periodo
Nazca. Le linee rette formano spesso intrecci di quadrilateri e triangoli o fasci divergenti che si pensa
fossero tracciate come allineamenti astronomici per ricordare date importanti come in un calendario. La
conservazione dei disegni è stata favorita dalla costanza del clima arido e secco della zona, dalla
trascurabile azione erosiva della pioggia e dalla mancanza di vegetazione.
Figura di un uccello.
91
L'Uomo Gufo: la figura
è tracciata su un declivio
ed è lunga 30 m circa;
per
le
sue
forme
primitive può essere
molto antica e compare
anche nelle ceramiche
Nazca.
Una larga pista
trapezoidale
che
continua con una linea
retta.
Una perfetta spirale. 92
La Balena lunga 26 m.
Nel Museo visto a Lima
c'è una ceramica con un
disegno simile.
Testa di un Pappagallo
molto
stilizzato
realizzato con archi di
circonferenza e raggi di
curvatura da 10 a 20 m;
gli occhi sono due cerchi
perfetti.
Un Uccello dal lungo
becco.
93
Albero con le radici. Le Mani. Pellicano dal collo
serpentiforme, ma il
becco è fuori campo. Il
corpo è lungo 40 m fino
all'attacco del collo e
l'apertura alare è di 50
m.
94
Un ragno dalle perfette
proporzioni lungo 46 m.
Una doppia spirale con
spire equidistanti; la
spirale è stata tracciata
avvolgendo intorno a tre
paletti, che formavano al
centro un triangolo, due
funi lunghe 45,5 e 39,5
m. Il disegno è stato
rovinato dai fuoristrada
che facevano gare di
motocross
Un Fiore a sei petali
con un diametro di 25
m.
95
il Colibrì; 96 m dalla
coda alla punta del becco
e 62 m di apertura alare.
Il becco finisce su linee
orientate, dove sorge il
sole il 21 dicembre
(solstizio
d'estate
australe).
La figura stilizzata di
una scimmia tracciata
con una linea continua,
tutta a tratti curvi. La
coda,
fuori
campo,
forma
una
grande
spirale.
96
AGOSTO 1979
VIAGGIO IN PERÙ E BOLIVIA
CAPITOLO 4 - AREQUIPA
Arequipa nel sud del Perù, a più di 1000 km da
Lima, è la seconda città del paese, ma con una
popolazione molto inferiore. Si trova in una fertile
valle circondata da montagne a circa 2400 m ed ha il
cielo sempre blu durante l'inverno australe, trovandosi
sopra la coltre di nubi che copre i deserti della costa.
Giace ai piedi di un gigantesco vulcano spento di
5800 m, il Misti, dalla forma perfettamente conica ed
è dominata da due massicci, pure di origine vulcanica:
il Chachami di 6000 m e il Pichu Pichu di 5700 m. Il
13 agosto, arrivando da Lima con l'aereo, si passa
vicino al Chachami, a nord della città, e se ne può
Vista del vulcano Chachami dall'aereo.
ammirare la mole modellata dall'erosione.
Arequipa fu
fondata il 15 agosto del 1540 da Manuel de Carvajal e, proprio nel
periodo della visita, ricorre l'anniversario della città sempre
festeggiato da sfilate folcloristiche. La regione era stata occupata dalle
tribù di lingua Aymaràs e, nella loro lingua, il luogo della fondazione
era indicato come Ari Quepa che significa "dietro il picco della
montagna" con chiaro riferimento al monte Misti. La conquista degli
Incas avvenne nel 1170 per opera di Myta Càpac, il quarto Inca, e la
popolazione si mescolò alle tribù di lingua Quechua.
La città è sempre
stata ricca specie
nel
periodo
coloniale, quando
era sulla strada
dell'argento
che
veniva
dalle
miniere del Potosì,
e anche oggi è
Il fiume Chili
considerata
la
dal Ponte Nuovo.
capitale economica
del sud. Il suo patrimonio storico e artistico ne fa
Vista della città dal Ponte Nuovo.
anche una delle mete del turismo; è stata chiamata "la
città bianca" per i suoi edifici costruiti in pietra
vulcanica bianca, detta sillar, ed ha mantenuto il suo aspetto coloniale. Sul lato ovest del centro storico
scorre il Chili, un modesto fiume, uno dei tanti che scorrono nelle valli che circondano la città perché
questa regione è ricca di acque, che vengono dalle sorgenti delle montagne e ne fanno un'oasi, nonostante
la quasi totale assenza di piogge durante l'anno. Il terreno è fertile e la temperatura oscilla tutto l'anno fra
97
10 e 25 gradi centigradi.
Venendo dall'aeroporto, si attraversa il Chili sul Ponte Nuovo, a nord-ovest del centro, e si può avere
una prima visione panoramica della città. Si scoprono così i campanili della Cattedrale e le cupole del
Monastero di S. Catalina.
AREQUIPA - PLAZA DES ARMAS
A sinistra, la Cattedrale la cui grande facciata occupa un intero lato della piazza.
A destra, una visione della piazza con i portici a due piani che la circondano su tre lati.
Plaza des Armas - Una venditrice di limoni.
Il cuore della città è Plaza des Armas con l'immensa
facciata e i due campanili della Cattedrale che
occupano tutto il lato nord. Questa è la terza
cattedrale perché la prima, del 1656, fu distrutta da un
incendio nel 1844 e, dopo la ricostruzione, fu
nuovamente distrutta dal terremoto del 1868.
La sua facciata è
neoclassica, come
la scena di un
teatro greco, e
neoclassica è pure
la grande piazza
sempre affollata,
una delle più belle
del Perù, circondata da portici a due ordini.
Fra le case coloniali più antiche c'è la casa di Ricketts, la più bella
della città per il suo stupendo portale scolpito che porta anche il
monogramma della Compagnia di Gesù, nella parte superiore del
frontone.
La chiesa più antica è quella della Compagnia di Gesù, detta "La
Compañia", costruita fra il 1590 e il 1660, ma la facciata è più tarda,
del 1698, in stile barocco e con una profusione di sculture, presa poi
Casa di Ricketts - Facciata.
ad esempio per la costruzione della cattedrale di Puno sul lago
Titicaca.
Alla sinistra della chiesa c'è un chiostro del 1728 il cui portico ha i pilastri decorati con maschere di
cherubini, ghirlande, rose e frutti tropicali.
98
Quasi tutte le chiese di Arequipa appartenevano a ordini religiosi ed avevano quindi annesso un
convento con chiostro.
Il monastero più
grande,
perfettamente
conservato dopo
quattro secoli, è
quello di Santa
Catalina che forma
una vera cittadella,
completamente
cinta da un alto
muro perimetrale
che la isola dal
Chiesa della Compagnia di Gesù
resto della città. Il
Il Chiostro.
monastero
fu
costruito nel 1580 e ingrandito nel secolo successivo ed era occupato
da monache provenienti dalle migliori famiglie spagnole che
destinavano al convento le seconde figlie. Le monache portavano una
ricca dote e avevano una vita agiata, accudite da serve e schiave, e
Chiesa
tenevano anche dei ricevimenti. Nel 1871 però le autorità religiose
della Compagnia di Gesù.
inviarono come superiora una monaca domenicana che instaurò una
regola ferrea, trattenendo solo le suore che intendevano rispettarla.
MONASTERO DI SANTA CATALINA
A sinistra, il Chiostro delle Novizie con le sue volte affrescate rappresentanti le Litanie.
A destra, il Chiostro Maggiore.
Dal 1970 le monache si sono ritirate nell'ala nord del complesso ed hanno aperto il resto al pubblico,
non essendo più in grado di mantenerlo.
All'interno il monastero racchiude, oltre alla chiesa e ai chiostri, tutti i servizi indispensabili alla vita di
una comunità monastica, incluso un piccolo quartiere, con abitazioni, strade e piazze, ora aperto al
pubblico.
Il Monastero di Santa Catalina si può considerare l'edificio religioso coloniale più interessante del Perù,
copre più di 20000 mq di superficie ed è affascinante percorrere le sue strade e le sue piazze nella luce
del sole che fa risaltare i colori brillanti o visitare gli ambienti del vecchio convento.
99
Lo stile architettonico
predominante è quello Mudejar,
d'influenza moresca, diffuso in
Spagna, ma che raramente si
trova negli edifici coloniali.
Santa Catalina
Plaza Zodocover.
Santa Catalina, Via Cordoba.
FOLCLORE E DINTORNI
Il 15 agosto, per l'anniversario della fondazione (quest'anno è la 439° ricorrenza), la città organizza una
sfilata cui partecipano gruppi provenienti da diverse province. S'inizia con la banda dei cadetti della
scuola militare, seguono poi le sfilate in costume, le danze tradizionali delle tribù Aymaràs nei loro
attuali costumi e i carri allegorici, fra questi c'è uno che porta un condor, il maestoso uccello delle Ande
che si può ancora osservare, nel suo habitat naturale, sulle montagne intorno ad Arequipa.
ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DELLA CITTÀ
A sinistra, la Banda dei Cadetti della Scuola Militare.
A destra, le danze delle tribù Ayamaràs.
100
ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DELLA CITTÀ
A sinistra, sfilata in costumi coloniali.
A destra, carro con un Condor imbalsamato.
La città di
Arequipa è divisa
in 8 province e
107
distretti,
ciascuno
con
amministrazione
autonoma, e vi si
trovano
molti
luoghi panoramici
e
interessanti
architetture
coloniali.
Piazza principale di Yanahuara.
La Chiesa di Yanahuara.
A nord-ovest del
centro cittadino (circa 7 km), su una collina, si trova il vecchio
quartiere di Yanahuara che ha un'antica chiesa barocca del 1750,
opera degli artisti della scuola di Arequipa, e sulla piazza crescono
delle magnifiche palme, pur essendo a 2400 m di quota.
DINTORNI DI AREQUIPA - SABANDIA E YUMINA
101
Stupendi panorami si ammirano nei dintorni del Distretto di Sabandia con nel fondo il vulcano Misti di
forma conica. A est si vede il Distretto di Yumina con i terreni terrazzati e i canali del tempo degli Incas
ancora utilizzati e, nello sfondo, il massiccio del Pichu Pichu .
Il terrazzamento era necessario per facilitare le coltivazioni e contrastare l'erosione, la rete d'irrigazione
permetteva di sfruttare l'acqua in modo razionale, ma queste tecniche furono solo perfezionate dagli
Incas perché erano già note e praticate da tutte le popolazioni preincaiche della costa, dai Nazca ai
Mochica e ai Chimu.
102
AGOSTO 1979
VIAGGIO IN PERÙ E BOLIVIA
CAPITOLO 5 - CUZCO
Il mattino del 17 agosto, si lascia Arequipa e, con un volo, si raggiunge Cuzco, l'antica capitale
dell'impero Incas, che si trova nella depressione di una valle a 3400 m di quota, circondata da
montagne su tre lati. Sorge nel cuore delle Ande a 560 km da Lima in linea d'aria ma a 1126 km per
strada. Il suo nome in lingua quechua significa ombelico e quindi centro del mondo. Fu fondata in un
anno imprecisato, fra il 1100 e il 1200, da alcune tribù quechua provenienti dal lago Titicaca e la
leggenda parla di un mitico fondatore, Manco Càpac il primo Inca, e della sorella e sposa Mama Ocllo,
figli del Sole, che con i loro seguaci si fermarono qui dopo l'atteso prodigio di una verga d'oro che,
lanciata sul suolo, sprofondò nella terra. Da qui cominciò poi l'espansione della civiltà incaica e da qui
si diramarono le grandi strade che collegavano le quattro regioni dell'impero, il Tahuantisuyu. I primi
europei che arrivarono a Cuzco furono tre spagnoli inviati da Pizarro nel 1533, per raccogliere l'oro del
riscatto di Atahualpa, e videro una città favolosa con il Coricancia, o Recinto d'Oro, che comprendeva il
Tempio del Sole ricoperto di placche d'oro da cui gli Spagnoli asportarono 700 lastre. Oggi templi e
palazzi incas sono stati coperti dalle chiese e dai conventi costruiti dai conquistatori, ma i resti delle
costruzioni incaiche sono stati scoperti dopo il terremoto del 1950, quando, crollate le mura spagnole
che li ricoprivano, sono rimaste in piedi le strutture originarie costruite dagli Incas con criteri
antisismici.
Anche a Cuzco il centro della città è la Plaza des Armas, la più grande, con la Cattedrale sul lato nordest, costruita fra il 1650 e il 1654 sul luogo del Quishuarcancha, il palazzo dell'VIII Inca Viracocha.
Sulla destra si trova la chiesa El Triunfo, più piccola ma più antica, fondata dal domenicano Vincente
Valverde dopo aver celebrato la prima messa su un altare di pietra. Sul lato sud-est della piazza sorge la
chiesa della Compagnia di Gesù, uno dei più bei santuari barocchi del Perù, costruita sulle fondamenta
del palazzo dell'Inca Huayana Càpac, detto Amarucancha o recinto del serpente.
CUZCO - PLAZA DES ARMAS
A sinistra, la Cattedrale con, alla sua destra, la chiesa di El Triunfo.
A destra, la Chiesa della Compagnia di Gesù con, alla sua destra, l'Università di S. Antonio.
103
Numerosi sono a Cuzco i palazzi degli Inca, perché ogni nuovo imperatore costruiva il suo. Sulla
destra della chiesa c'è la facciata barocca dell'Università di S. Antonio, un antico collegio e noviziato
dei Gesuiti.
Dietro la piazza, nell'angolo nord-ovest, si può raggiungere il terrazzo di S. Cristobal, in posizione
dominante, da cui si ha una vista panoramica di Cuzco con la Plaza des Armas.
Tornati sulla Piazza, sulla destra della Cattedrale, in fondo c'è Calle Hatun Rumiyoc, dove si può
osservare una muraglia incaica che apparteneva al palazzo dell'Inca Roca (il sesto), trasformato dopo la
conquista in abitazione degli arcivescovi di Cuzco e oggi sede del Museo dell'Arte religiosa.
CUZCO - PANORAMA E MURA
A sinistra, la città e Plaza des Armas viste dal terrazzo di San Cristobal.
A destra, Calle Hatun Rumiyoc con la muraglia incaica appartenuta al Palazzo dell'Inca Roca.
In questo muro si può ammirare un enorme masso perfettamente incastrato a secco con gli altri
secondo la tecnica poligonale inca; la pietra ha sulla faccia in vista 12 angoli.
Sulla sinistra della chiesa della Compagnia di Gesù, via Loreto è
una delle più affascinanti strade della Cuzco preispanica (vedi foto a
sinistra). Le mura ai lati sono ancora quelle originali del tempo degli
Incas; il muro a sinistra nella foto apparteneva all'Amarucanchia e
ora fa parte del complesso della Compagnia (in fondo si vede una
delle torri della chiesa), il muro a destra faceva parte dell'Acclahuasi
di Cuzco, il luogo dove le sacerdotesse del Sole, selezionate fra tutti
i ceti sociali per le loro qualità, erano educate per tre anni dall'età di
12 anni per imparare i riti e tessere le vesti di lana di vigogna
destinate all'Inca. Dopo questo periodo erano presentate al sacerdote
del Tempio del Sole ed eventualmente all'Inca e diventavano Acclas
(Scelte). Il muro oggi fa parte del convento di Santa Caterina.
Da via Loreto si raggiunge il luogo di uno dei più famosi edifici
sacri dell'impero incaico: il Coricancia, o Recinto d'Oro, che
comprendeva il Tempio del Sole dedicato alla massima divinità degli
Incas e ricoperto da placche d'oro.
Dopo la conquista, sul Tempio fu costruito il convento e la chiesa
coloniale dell'ordine di Santo Domingo de Guzman, ma, con il
Via Loreto.
terremoto del 1950, fu scoperto il muro a profilo curvo che faceva
parte del Tempio. Con il restauro dopo il terremoto si sono ricostruiti alcuni degli antichi ambienti.
All'interno del Tempio del Sole erano conservate le mummie degli Incas su troni d'oro e sulle pareti
curve c'era la raffigurazione del Sole come disco d'oro, quello della Luna come disco d'argento, Venere
104
e le Pleiadi e altre costellazioni.
Il muro, oggi spoglio, è costruito con pietre di andesite perfettamente levigate e unite a secco con
estrema precisione, che provano l'alto grado di perfezione raggiunto dagli architetti incaici.
CONVENTO DI SANTO DOMINGO E CORICANCIA
A sinistra, l'esterno del Convento di Santo Domingo con la sagoma curva del Tempio del Sole.
A destra, il muro interno del Tempio del Sole dopo il restauro.
Convento De la Merced - Chiostro.
Il Coricancia occupava un'area a forma di
quadrilatero di 400 m di lato, lungo il fiume
Huatanay, oggi scomparso, e, oltre al Tempio del
Sole, comprendeva altri templi e il famoso Giardino
d'Oro che stupì i conquistatori per l'eccezionale
collezione di oggetti d'oro raffiguranti alberi, piante,
fiori, insetti, gruppi di lama, tutto in omaggio al dio
Sole di cui l'oro era il simbolo.
Gli altri templi erano dedicati alla Luna, a Venere,
alle Pleiadi, al Fulmine e all'Arcobaleno. Nel tempio
della Luna, rivestito di placche d'argento, si
conservavano i corpi mummificati delle Collas, le
spose dell'Inca.
Cuzco è ricca di edifici religiosi, chiese e conventi, tutti in un'elegante architettura coloniale con
ricche collezioni di quadri. Dalla Plaza des Armas, prendendo Via Marqués Mantas, dal lato della
Compagnia di Gesù, s'incontra la chiesa e il convento della Merced, uno dei più antichi del Perù,
fondato nel 1536 e ricostruito dopo il terremoto del 1650. Il chiostro è in stile rinascimento e barocco
con galleria a due piani che espone grandi quadri della scuola di Cuzco. Nella cripta della chiesa sono
conservate le spoglie di Diego de Almagro, padre e figlio, ambedue giustiziati a distanza di 4 anni, nel
1538 e nel 1542, durante le guerre civili fra i conquistadores, e anche la spoglia di Gonzalo Pizarro fatto
giustiziare nel 1548, per la sua rivolta, dal rappresentante del re di Spagna, Pedro de la Gasca.
All'ingresso del chiostro, una lapide ricorda la spedizione di Diego de Almagro (padre) per la conquista
del Cile nel 1535.
Più avanti, è la chiesa di S. Francesco del 1545, sulla piazza omonima, che ha l'aspetto massiccio di
una fortezza con campanile a torre. Su un lato della piazza, verso via di Santa Chiara, c'è un elegante
arco coloniale.
Il convento annesso alla chiesa di S. Francesco ha pure un chiostro, con galleria rinascimentale a due
piani, che espone quadri della scuola di Cuzco.
105
PIAZZA E CHIESA DI S: FRANCESCO
A sinistra, la chiesa di S. Francesco.
A destra, l'arco coloniale in fondo a Via di santa Chiara, sulla sinistra della piazza.
Cuzco ricorda, con la casa museo di epoca coloniale e una statua, uno dei suoi figli più famosi:
Garcilaso de la Vega el Inca, nato a Cuzco nel 1539, figlio di un capitano spagnolo e una principessa
inca della famiglia di Huayana Càpac, che in Spagna scrisse "Los Comentarios reales de los Incas".
PIAZZA E CHIESA DI S: FRANCESCO
A sinistra, il chiostro del convento di S. Francesco.
A destra, statua di Garcilaso De la Vega.
SACSAHUAMAN: LA FORTEZZA DI CUZCO
A 3 km dal centro della città, ma in posizione dominante su una terrazza naturale calcarea e con una
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stupenda vista sulla valle di Cuzco, si trova un'impressionante fortezza capolavoro dell'architettura
difensiva incaica. La visita si fa con la guida in auto.
Panorama di Cuzco
dalla Fortezza di Sacsahuaman.
La fortificazione è costituita da una triplice cinta di
mura terrazzate, alte 15 m, e il perimetro ha un
andamento a zic-zac per facilitare la difesa da
eventuali assalitori.
Gli ingressi sono solo tre, attraverso massicce porte
trapezoidali, e le muraglie sono realizzate con
immense
pietre
poligonali che s'incastrano
perfettamente e sono lavorate con tale maestria da
non lasciare fra loro nemmeno lo spazio per inserire
la lama di un coltello.
I massi più grandi si trovano nella cinta più bassa e
sono pesanti decine di tonnellate. Il più grande è alto
8,54 m e si presume pesi 361 tonnellate. La pietra è
di calcare, estratta da cave vicine e lavorata con
attrezzi litici.
La fortezza era dominata da tre grandi torri e una di queste era cilindrica e conteneva una cisterna,
dove arrivava l'acqua attraverso condotti sotterranei che sfruttavano il principio dei vasi comunicanti.
Sacsahuaman è più di una semplice fortezza militare, è una vera cittadella fortificata e in pratica
l'intera popolazione di Cuzco vi si sarebbe potuta rifugiare in caso di pericolo.
FORTEZZA DI SACSAHUAMAN
A sinistra, la triplice cinta muraria della Fortezza.
A destra, una delle porte d'ingresso di forma trapezia.
Si ritiene che la costruzione della fortezza sia iniziata nel 1438, sotto il IX Inca Pachacuti, e continuata
sotto il suo successore Tupac Ypanqui. Il lavoro durò 70 anni e, secondo lo storico Cieza de Leon,
furono impiegati 20000 lavoratori per estrarre, lavorare e collocare i giganteschi megaliti.
Sulla spianata davanti alla fortezza, al tempo degli Inca si tenevano cerimonie religiose e ogni anno,
per la festa del solstizio d'inverno del 14 giugno, detta Inti Raymi o Festa del Sole, c'era una grande
sfilata rituale.
Quando nel 1536 scoppiò la rivolta fomentata da Manco II, il nuovo Inca eletto da Francisco Pizarro,
da 100 a 200 mila indios assediarono Cuzco e occuparono la fortezza, ma gli Spagnoli, al comando di
Hernando Pizarro, la ripresero e qui resistettero fino ad agosto, quando l'assedio fu tolto. Fu durante
107
l'assalto alla fortezza che fu ucciso da una pietra Juan, il più giovane dei fratelli Pizarro. La fortezza fu
in gran parte distrutta dagli Spagnoli durante e dopo la rivolta del 1536.
FORTEZZA DI SACSAHUAMAN
A sinistra, vista parziale delle rovine della fortezza.
A destra, fondazioni di una delle torri circolari dove arrivava l'acquedotto.
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AGOSTO 1979
VIAGGIO IN PERÙ E BOLIVIA
CAPITOLO 6 - DA CUZCO A MACHU PICHU
Da Cuzco, in auto con la guida locale, inizia un percorso nei dintorni toccando luoghi Incas dal fascino
misterioso, in un ambiente tropicale alle sorgenti della selva amazzonica. Circa 4 km da Cuzco, subito
dopo Sacsahuaman, si trova Kenko, un santuario rupestre ad anfiteatro con altare centrale costituito da
un monolito di 5,9 m di altezza che aveva in origine le fattezze di un puma e doveva rappresentare
Viracocha, il dio creatore, ma poi fu sfigurato dagli Spagnoli che vedevano in lui un simbolo d'idolatria
da distruggere.
KENKO - SANTUARIO RUPESTRE
A sinistra, vista dell'anfiteatro con l'altare.
A destra, l'altare con il monolito.
Nei dintorni sono numerosi i lama che pascolano,
un animale dai mille usi per gli Incas che ne diffusero
l'allevamento e ne fecero una delle basi della loro
economia. Il lama è un camelide come il guanaco,
che è il suo progenitore, e l'alpaca e la vigogna, che
sono più piccoli. Il lama pesa al massimo 400 kg,
porta un carico pari alla metà del suo peso per 10-20
km il giorno, ed è adatto all'ambiente andino
percorrendo piste fino a quote di 5000 m. La sua lana
è grassa e può essere usata per panni grossolani e
cordami. Anche lo sterco, come si fa per quello dei
cammelli, era usato dagli indios per combustibile una
Lama.
volta disseccato.
A 7,3 km da Cuzco, lungo l'antica strada per Pisac, si trova Puca Pucarà, o Fortezza Rossa, che
controllava l'accesso alla capitale e qui i viaggiatori dovevano pagare un pedaggio in natura. La fortezza
si trova sulla sommità di una collina ed è formata da torri e terrazze di pietra rossiccia, da cui il nome.
109
Poco più distante da Puca Pucarà si trova Tambomachay, un insieme di costruzioni a terrazze
sovrapposte, in numero di tre, con una fontana alimentata da una sorgente calda opportunamente
canalizzata. Secondo la tradizione, questo era uno dei soggiorni dell'Inca noto come i "Bagni dell'Inca".
La vicina fortezza di Puca Pucarà era occupata dalla Guardia dell'Inca, quando questi soggiornava a
Tambomachay.
DINTORNI DI CUZCO
A sinistra, Puca Pucarà, la Fortezza Rossa.
A destra, Tambomachay, i Bagni dell'Inca.
Sulla strada per Pisac si può ammirare poi la magnifica valle di Vilcanota, la valle sacra degli Incas
che conserva ancora gli argini di pietra originali, per difendersi dalle inondazioni del fiume. La valle
prosegue con il nome di valle dello Yucay e poi dell'Urubamba, il fiume di Machu Pichu.
Si giunge a Pisac, 34 km a nord-est di Cuzco, sulla riva destra del Rio Vilcanota. Le rovine della città
inca, con le loro terrazze agricole, si trovano su un massiccio roccioso. Ai piedi è situato l'attuale borgo
di origini coloniali, noto per il suo tradizionale mercato della domenica frequentato da una pittoresca
folla di indios e meticci.
DINTORNI DI CUZCO
A sinistra, la valle di Vilcanota.
A destra, Pisac e il mercato.
Circa 80 km da Cuzco, su uno sperone roccioso che difendeva l'entrata di una gola sul Rio Urubamba,
si trova un'impressionante fortezza incaica detta Ollantaytambo o "Casa di Posta di Ollantay". Dopo
aver conquistato la zona nel 1440, sotto il regno del IX Inca Parachuti, il luogo fu fortificato per
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interdire l'accesso verso Cuzco dalla valle dell'Urubamba, alle turbolente tribù della selva, mai
completamente domate.
DUE VISTE DELLA FORTEZZA DI OLLANTAYTAMBO
All'arrivo degli spagnoli, nel 1536, la fortezza non
era ancora completata, come dimostravano i numerosi
monoliti abbandonati e non completamente squadrati.
Le pietre della costruzione provenivano da una cava
di là dal fiume e si possono immaginare le difficoltà
superate dai costruttori per trasportare monoliti da 30
tonnellate, prima giù dalla cava fino al fiume e poi,
attraverso il fiume e su per la montagna. La fortezza
è realizzata a terrazze per contenere il terreno e con
numerosi posti di osservazione distribuiti lungo la
montagna. Si è pensato che certi ambienti fossero
adibiti a prigioni, ma la cosa non è attendibile perché
Ollantaytambo - Il Tempio delle 10 Finestre.
gli Incas usavano solo pene corporali per punire i
delitti. La fortezza era anche un luogo sacro perché gli Incas veneravano le montagne. Una delle
costruzioni è detta il Tempio delle Dieci Finestre con una bellissima porta trapezoidale e 10 nicchie pure
trapezoidali, su un muro costruito con la tecnica dei blocchi poligonali. In questa fortezza si rifugiò
l'Inca Manco II, dopo il fallito assedio a Cuzco del 1536, e respinse sanguinosamente l'attacco degli
Spagnoli guidati da Hernando Pizarro. Quando nel 1537 arrivarono i rinforzi degli uomini di Diego
Almagro di ritorno dalla spedizione in Cile, Manco abbandonò la fortezza e si ritirò nelle montagne
della Cordigliera di Vilcabamba, dove continuò la resistenza.
Con la visita della fortezza di Ollantaytambo, finiscono i dintorni di Cuzco e da qui a Machu Pichu,
seguendo la gola dell'Urubamba, c'è tutta una serie di santuari-fortezze e città di pietra quasi sospese nel
vuoto a 450 m sopra il livello del fiume collegati da strade di pietra. L'Urubamba prosegue in un
bassopiano coperto da foreste tropicali, dove inizia il bacino dell'Amazzonia, si unisce quindi al Rio
Apurimac, e si trasforma nel Rio Ucayali, infine forma il Rio delle Amazzoni, dopo la confluenza con il
Rio Marañon presso Iquitos.
Al tempo degli Incas tutti i fiumi, che si trovavano sul percorso della rete stradale, erano attraversati da
ponti sospesi e, solo per piccole campate, si usavano ponti di pietra a sbalzo. I ponti sospesi erano
realizzati con robusti cavi vegetali, intrecciati a mano usando le fibre dalla Cabuya, una pianta del
genere agave da cui oggi si estrae il sisal. I cavi dovevano essere rifatti almeno ogni due anni. Il più
famoso dei ponti sospesi degli Incas era quello sull'Apurimac, lungo 45,5 m a un'altezza vertiginosa su
111
una gola, e finiva sulla riva sinistra, mentre la strada proseguiva in gallerie lunghe 75 m.
Il ponte fu costruito nel 1350 sotto il VI Inca, Roca,
fu usato per tutto il periodo coloniale e anche durante
la Repubblica. Fu abbandonato solo nel 1890.
Oggi l'unico collegamento praticabile da Cuzco a
Machu Pichu è una linea ferroviaria a un solo binario
lunga 114 km che richiede tre ore e mezzo di
viaggio. Il 20 agosto, partendo da Cuzco, il treno si
arrampica sui fianchi della montagna che domina la
città a nord, seguendo un percorso a zig-zag e
alternando i due sensi di marcia. Attraversa
l'altopiano fino al borgo di Anta e quindi scende nella
Ponte sospeso sul fiume Urubamba.
valle dell'Urubamba, vicino alla fortezza di
Ollantaytambo, seguendo poi la riva destra del fiume
fino alla stazione terminale, ai piedi della montagna granitica di Machu Pichu. Lungo il tragitto si
possono osservare le bianche vette del Nevado Salcantay (6271 m).
SULLA FERROVIA PER MACHU PICHU
A sinistra, la valle dell'Urubamba in vista del Nevado Salcantay.
A destra, attesa per la coincidenza con il treno dalla direzione opposta.
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AGOSTO 1979
VIAGGIO IN PERÙ E BOLIVIA
CAPITOLO 7 - MACHU PICHU
La città inca di Machu Pichu (la Montagna Vecchia) era sconosciuta agli Spagnoli e le sue origini e la
sua storia si erano completamente perdute; forse era stata scoperta occasionalmente da cercatori d'oro,
infatti, è stata trovata saccheggiata. La prima notizia sicura era venuta dall'esploratore francese Charles
Wiener che, raccogliendo indicazioni delle popolazioni locali, aveva riportato il nome del sito in una sua
mappa tracciata nel 1875. Le rovine della città di Machu Pichu sono state scoperte dall'archeologo
americano Hiram Bingham della Yale University, mentre era alla ricerca dell'ultima capitale degli Incas:
Vilcabamba la Vieja, città di cui si erano perse le tracce, dopo che era stata conquistata dagli Spagnoli il
24 giugno 1572 ponendo fine alla resistenza degli indios, iniziata con la rivolta di Manco Inca del 1536.
La presenza delle rovine gli fu indicata dalle tribù quechua che vivevano nella zona e Bingham, guidato
da un meticcio, il 24 luglio del 1911, salì la Montagna Vecchia, dove trovò degli indigeni che
coltivavano alcuni terreni terrazzati. Vicino, seminascoste dalla selva, Bingham scoprì sulle pendici del
picco le rovine di una città, edifici, templi e palazzi incaici collegati da scalinate. Bingham ritornò negli
Stati Uniti lasciando delle squadre a disboscare le rovine e poi vi tornò più volte conducendovi
campagne di scavi fino al 1915. La città non era Vilcabamba la Vieja, ma la più fantastica delle città
perdute. Gli archeologi datano la maggior parte degli edifici al periodo del nono Inca, Parachuti (14381471), ma nulla di sicuro si sa sulla sua destinazione, se fosse una città fortificata contro le tribù della
selva, o un centro religioso consacrato al Sole, o una delle residenze preferite dell'Inca. Certo la sua
difficile accessibilità e il fatto che la sua costruzione non era ancora finita la rendevano dipendente da un
regolare approvvigionamento lungo le vie di comunicazione da Cuzco e, quando l'impero collassò, fu
abbandonata e presto fu invasa dalla selva. La memoria fu rimossa dagli abitanti per il comportamento
persecutorio delle autorità spagnole, ma rimasero in funzione le terrazze agricole, unica fonte di
sussistenza delle tribù locali.
LA VALLE DELL'URUBAMBA DAL SITO DI MACHU PICHU
A sinistra, la stazione ferroviaria sul fiume.
A destra, il selvaggio cañon dell'Urubamba.
113
Dalla stazione ferroviaria ai piedi di Machu Pichu, dei minibus trasportano i turisti fino all'ingresso
della zona archeologica, su una strada di terra battuta in rapidi tornanti aperta nel 1948, nota come il
"sentiero di Hiram Bingham", perché seguiva il percorso tracciato dallo scopritore. La visita dura l'intera
giornata e, a sera, si ritorna a Cuzco in ferrovia. Dal piazzale di arrivo, a circa 600 m dal fondo valle, si
può osservare in basso, sul lato est, il fiume e la stazione e, salendo ancora più in alto, il grandioso e
selvaggio cañon fra le alte colline arrotondate dall'erosione e coperte dalla lussureggiante vegetazione
della selva.
La scarpata della montagna fuori dalla città è coperta da terrazze agricole che permettevano agli
abitanti di avere un'area coltivabile per le loro esigenze, ma era limitata al sostentamento di non più di
750 persone.
La più splendida
visione d'insieme
della città si ha da
una terrazza detta
Mirador, sopra la
zona agricola e a
fianco dalla strada
incaica
che
raggiungeva
la
città, collegandola
con
Cuzco
e
passando per le
Le terrazze coltivate.
stazioni
di
rifornimento,
i
Tambos, distanziati fra loro da 8-16 km. La città, a circa 2300 m
s.l.m., si pone fra due precipizi, a est e a ovest, circondata in basso
dal fiume che forma intorno un'ansa, e la superficie coperta è
Panorama di Machu Pichu.
approssimativamente lunga 700 m e larga 500.
Il centro della città è la grande piazza (Intipampa) che si vede nella
foto. A sinistra, è la Città Alta (Hanan) e a destra, la Città Bassa
(Hurin). Il complesso di edifici in primo piano è quello dell'Inca e
nel fondo si solleva la cima dello Huyana Pichu (il Giovane Picco),
orientato a nord.
Dalla strada
incaica ai piedi
del Mirador, si
può raggiungere
l'ingresso
principale
della
Città Alta oppure
si può seguire, a
quota più bassa, la
strada
moderna
delle rovine che
attraversa
le
Vista della città bassa.
terrazze agricole e
Ingresso principale della città.
arriva alla Città
Bassa, arrampicata sul ripido pendio in una prospettiva di terrazze e vie gradinate. Salendo poi una
114
lunga scala, che separa la zona delle terrazze agricole da quella dei palazzi, si arriva all'ingresso
principale della città, costituito da una grande porta trapezoidale in grossi blocchi di granito
perfettamente connessi. Sopra l'architrave è un grosso anello di pietra che doveva servire per la chiusura
della porta.
Arrivati al livello dell'Intipampa, la piazza principale dedicata al Sole (Inti) e luogo delle grandi
cerimonie, guardando a destra sul lato orientale, ci sono edifici che non hanno finestre affacciate sulla
piazza e si è supposto che fossero destinati alle acclahuasi, le Vergini del Sole dedicate all'Inca. Sulla
sinistra (a occidente) invece si solleva il complesso degli edifici sacri della città su un rilievo con una
serie di terrazze concentriche. Vi si trova il Tempio Principale e, più in alto, l'Intihuatana, l'Osservatorio
Solare che ha al centro un monolito, i cui quattro spigoli sono esattamente orientati sui quattro punti
cardinali, e porta una protuberanza verticale, uno gnomone, che al mezzogiorno del solstizio d'estate non
lascia nessuna ombra e quindi è inclinato secondo la latitudine del luogo.
CENTRO CERIMONIALE E SACRO
A sinistra, la Piazza dedicata al Sole (Intipampa) e gli edifici orientali.
A destra, la collina con il tempio principale.
Il Tempio Principale ha le mura parzialmente sconnesse per i terremoti, sette nicchie in alto e un altare
in basso formato da tre enormi blocchi di granito con il più grande al centro. Vicino si trova il Tempio
delle Tre Finestre con tre identiche grandi aperture trapezoidali che si affacciano verso oriente.
L'AREA DEI TEMPLI
A sinistra, il Tempio Principale.
A destra, vista dal Tempio delle Tre Finestre.
115
Dall'Osservatorio Solare si ha un'altra spettacolare vista della valle dell'Urubamba verso occidente, dal
lato opposto alla stazione ferroviaria.
LA VALLE DELL'URUBAMBA
La Valle dell'Urubamba
vista
dall'Osservatorio
Solare.
116
AGOSTO 1979
VIAGGIO IN PERÙ E BOLIVIA
CAPITOLO 8 - PUNO ED IL LAGO TITICACA
La città di Puno, capoluogo del dipartimento
omonimo, si trova sulle rive del lago Titicaca, il più
alto lago del mondo, a 3812 m s.l.m.. Dista da Cuzco
circa 400 km verso sud ed è collegata a essa
mediante ferrovia. Partendo da Cuzco il 22 mattina,
la ferrovia segue la valle del rio Vilcanota salendo,
dalla quota di 3400 m di Cuzco, fino a quella
massima del Col de la Raya di 4313 m, che
rappresenta lo spartiacque fra il bacino amazzonico e
il versante del lago Titicaca, poi scende lentamente
fino a Puno alla quota del lago. Il percorso è coperto
in 9 ore e 50 minuti a una velocità media di 40 km.
Ferrovia da Cuzco a Puno
Essendo la ferrovia a unico binario, il treno sosta nei
Lungo il Vilcanota.
luoghi di corrispondenza per i treni che transitano in
direzione opposta. Circa a metà percorso si arriva al punto più alto, sul passo de la Raya, e si discende
quindi verso Puno. A 46 km da Puno c'è un'ultima sosta a Juliaca, importante centro commerciale e
nodo ferroviario, dove si biforca la linea ferroviaria che, attraverso le Ande, giunge ad Arequipa.
FERROVIA DA CUZCO A PUNO
A sinistra, stazione di Combapata (113 km da Cuzco), fermata di corrispondenza con il treno
che transita nella direzione opposta.
A destra, il Passo della Raya che segna il punto più alto del percorso alla quota di 4313 m.
Puno è stata fondata il 3 novembre 1668 dal viceré conte de Lemos, con il nome di San Carlos de
Puno, in omaggio al re di Spagna Carlo II, e si sviluppò grazie alle miniere di argento sfruttate nella
zona durante tutto il periodo coloniale. Oggi è una vivace cittadina con circa 50000 abitanti, in
117
maggioranza Ayamaràs che frequentano i suoi mercati e animano le manifestazioni folcloristiche
durante le numerose festività. Dal suo porto partono tutte le escursioni sul lago Titicaca e si svolge il
regolare collegamento con Guaqui, sul lato boliviano del lago, che rappresenta una via privilegiata di
traffico con la Bolivia.
A Puno c'è una moderna Università, chiamata Universidad tecnica del Altipiano, che è una delle più
complete del Perù. Il monumento coloniale più importante della città è la sua cattedrale sulla Plaza des
Armas, con la bella facciata in pietra del 1717, affiancata da due torri massicce, e una decorazione fra il
plateresco rinascimentale e il barocco, espressione dell'arte meticcia che, dal 1600 al 1700, ha fatto
scuola sotto l'impulso della Compagnia di Gesù, in tutta la regione del Titicaca, come anche ad
Arequipa.
PUNO
A sinistra, il mercato di Puno.
A destra, la Cattedrale sulla Plaza des Armas.
Il lago Titicaca è il più grande lago dell'America Meridionale, vasto 8330 kmq e diviso fra Perù e
Bolivia; è di forma molto irregolare lungo più di 200 km e non più largo di 66 e la sua profondità va da
20 a 280 m, ma è molto variabile da un anno all'altro. Le acque, leggermente salate, sono state sempre
molto ricche di pesci e le trote, introdotte in epoca moderna, si sono enormemente moltiplicate facendo
regredire le altre specie. Le coste sono in parte alte e in parte basse e paludose, particolarmente a nord
di Puno, dove si trovano vaste aree ricoperte da canne palustri dette "totora", usate dalle popolazioni del
lago per costruire imbarcazioni con cui esercitano la loro attività di pescatori.
LAGO TITICACA
Barche di totora usate dai pescatori.
118
Ammassi di totora formano anche delle isole flottanti, ancorate sul fondo dalle radici e abitate da una
misera popolazione di pescatori, che ha costruito su di esse dei villaggi. Vi sono circa 70-80 isolotti,
dove vivono circa 1500 persone. Queste isole rimontano a una tradizione antica di 1000 anni e gli
attuali abitanti sono discendenti da un'antica popolazione, gli Uros, una volta disseminata sulle Ande
del Perù, Bolivia e Argentina del nord e diffusi fino alle coste del Pacifico. Respinti dalle popolazioni
agricole in epoca preispanica, finirono con il rifugiarsi sulle rive del lago Titicaca. Al tempo degli Incas
furono perseguitati per la loro difficoltà a integrarsi poi, in epoca coloniale, si sono mescolati alle
comunità ayamaràs e, nel secolo scorso, sono in pratica spariti come gruppo etnico. I costumi e le
tradizioni degli Uros si sono conservate, ma la lingua originale si è completamente perduta, sostituita da
quella ayamarà che è dominante nella regione.
Si possono visitare le isole più grandi dove, oltre alla pesca, gli abitanti esercitano un piccolo
artigianato tessendo stoffe in lana di alpaca in vivaci colori, che vendono alle popolazioni della costa e
direttamente ai numerosi turisti.
ISOLE FLOTTANTI DEGLI UROS
A sinistra, capanne su una delle isole.
A destra, il piccolo mercato delle donne ayamaràs nell'isola principale.
DINTORNI DI PUNO
Nei dintorni di Puno, sulla strada per Juliaca e poi girando a sinistra per Atuncolla, si raggiunge la
zona di Sillustani che si protende nella laguna di Umayo. Qui si trovano sparsi un gran numero di
monumenti funerari a forma di torre, detti Chulpas, in gran parte anche di origine preincaica, studiati
solo in piccola parte dagli archeologi. Prima dell'arrivo degli Incas, nella zona vivevano le tribù dei
Colla, il cui centro era Hatuncolla (hatun significa grande), a pochi chilometri da Sillustani, dove oggi
c'è il villaggio di Atuncolla. I Colla furono infine assoggettati dagli Incas che, come al solito, li
integrarono e ne assorbirono la cultura. Da allora i Colla continuarono a erigere Chulpas con le nuove
tecniche incas, ma destinati a tombe dei nobili incas. Le Chulpas preincaiche erano costruite invece con
pietre non lavorate e ammassate in forma di torri circolari, ricoperte da stucco che è scomparso con il
tempo.
119
SILLUSTANI E LE CHULPAS
A sinistra, l'area di Sillustani con i monumenti funerari e in fondo la laguna Umayo.
A destra, Chulpas preincaiche.
Fra le costruzioni preincaiche c'è anche un recinto quadrato, formato da grossi monoliti, che doveva
essere adibito a tempio. Le Chulpas del periodo incas usano la tecnica dei nuovi conquistatori con
blocchi levigati e connessi a secco.
SILLUSTANI: RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI
A sinistra un tempio preincaico con grossi monoliti.
A destra una Chulpa del periodo incaico detta del Serpente per la figura scolpita in alto.
La maggior parte delle torri funerarie, anche se costruite in modo solido, è in rovina e la causa
principale sono le folgori che, durante i frequenti temporali si abbattono sulle strutture più elevate e
spaccano i blocchi di pietra.
120
Coppia di Chulpas
dette del Re e della Regina.
Chulpa dell'Iguana.
121
AGOSTO 1979
VIAGGIO IN PERÙ E BOLIVIA
CAPITOLO 9 - LA BOLIVIA - DA TIAHUANACO A LA PAZ
Il 25 agosto, si abbandona Puno e il Perù attraversando la frontiera sul lago Titicaca e si entra in
Bolivia, ma non si interrompono i legami archeologici e storici con il Perù, anzi si scopre che le origini
degli Incas sono proprio sul Titicaca boliviano e non lontano dal lago si trovano le rovine di
Tiahuanaco, la capitale di una delle più famose civiltà precolombiane.
La Bolivia ha avuto in comune con il Perù la preistoria e la storia, dagli Incas al dominio coloniale
spagnolo, quando era chiamato Alto Perù o Charcas ed era sotto l'autorità del viceré di Lima. Il governo
locale si trovava allora presso l'odierna città di Sucre vicina alle ricche miniere d'argento del Potosì.
L'autorità spagnola si indebolì durante le Guerre napoleoniche e l'indipendenza fu proclamata nel 1809,
ma solo 16 anni dopo, il 6 agosto 1825, fu creata la Repubblica Boliviana che prese il nome dal
Libertador Simon Bolivar. La nuova nazione ebbe però 60 anni d'instabilità e debolezza politica con
conseguenze fallimentari culminate nella Guerra del Pacifico (1879-83) contro il Cile, quando perdette
il suo unico sbocco sul mare e le ricche miniere di nitrati della costa. La sua ricchezza economica
rimase legata alla produzione mineraria dell'argento prima e dello stagno nel XX secolo, ma lo stato
della popolazione indigena, che lavorava nelle miniere e nei latifondi, rimase deplorevole. Una nuova
sconfitta della Bolivia, nella Guerra del Chaco (1932-35) contro il Paraguay, con pesanti perdite di vite
umane e di territorio, produsse un periodo di rivolte da parte delle popolazioni indigene divenute ormai
più consapevoli. Il Movimento Nazionalista Rivoluzionario (MNR), sorto nel 1951, portò la rivoluzione
al potere nel 1952 con il presidente Victor Paz Estenssoro, che introdusse il suffragio universale, una
riforma agraria, l'educazione nelle campagne e la nazionalizzazione delle miniere di stagno. Nel 1964
una giunta militare depose Estenssoro al suo terzo mandato, ma l'instabilità e i disordini continuarono.
In questo periodo si ebbe la guerriglia diretta dall'argentino Che Guevara che finì ucciso nel 1967. Nel
1978 furono indette nuove elezioni ripetute nel 1979 e 1980 senza conclusioni e con accuse di brogli.
Seguirono altri 5 anni di colpi di stato e nel 1985, dopo un'ultima elezione e un ribaltamento di
alleanze politiche, Estenssoro fu eletto Presidente per la quarta volta. In 4 anni si raggiunse una certa
stabilità economica e sociale. Il successore Paz Zamora, nel 1989, proseguì nella stessa politica di
riforme, nel 1993, il nuovo presidente Sanchez de Lozada privatizzò il 50% delle società di proprietà
statale, dalle fonti di energia ai sistemi di comunicazione, e con il denaro sostenne il sistema
pensionistico suscitando però violente proteste. Ugo Banzer, eletto nel 1997 continuò la politica di
privatizzazione, ma cominciò il declino dell'economia, crebbe la corruzione e aumentarono le proteste
contro il governo sempre più impopolare. Banzer lanciò anche una campagna per sradicare la
produzione e il commercio illegale della cocaina e in 4 anni ottenne un certo successo.
La Bolivia occupa circa 1,1 milioni di kmq, poco inferiore a quella del Perù, con una popolazione di
8,9 milioni di abitanti, meno di un terzo di quella del Perù, ed è divisa in 9 Dipartimenti. La metà
occidentale è un vasto altopiano attraversato dalla Cordigliera Occidentale e dalla Cordigliera Reale, a
oriente del Titicaca, con cime che superano i 6500 m. A oriente della zona andina si estende la zona
122
amazzonica bassa, torrida, acquitrinosa, ricca di foreste e di fiumi.
IL TITICACA BOLIVIANO E TIAHUANACO
Da Puno, attraversando il lago Titicaca, in aliscafo,
si passa la frontiera con la Bolivia sul lato sud del
lago, dove s'incontrano una serie di isole ed isolotti
fra cui L'Isola del Sole, o Titicaca, che ha dato il
nome al lago, e l'Isola della Luna, o Coati, vicine
alla vasta penisola di Copacabana che divide la
porzione meridionale più piccola, dal resto del lago.
L'Isola del Sole fu luogo sacro già prima dell'arrivo
degli Incas. Le popolazioni Ayamaràs vi adoravano
una roccia sacra, detta Titicaca o Titicala, ricoperta
di placche d'oro e d'argento. Secondo la tradizione
diffusa dagli Incas, fu proprio su quest'isola che il
Isola del Sole - Un Lama.
dio Sole creò la coppia reale di Manco Càpac e
Mama Ocllo che doveva fondare Cuzco. Dopo che
gli Incas ebbero conquistato tutta la regione, nel XIII secolo vi fu eretto un tempio dedicato al Sole e
l'Inca ebbe un palazzo con giardini, del quale sono stati trovati dei resti. Nella vicina isola della Luna vi
era invece un'importante acclahuasi fatta costruire dall'Inca Tupac Yupanqui.
Nella cittadina di Copacabana sulla penisola, dove si approda venendo da Puno, vi è un celebre centro
di pellegrinaggio in onore della Virgen Morena, la Vergine india cui è dedicato un santuario fatto
costruire dal viceré conte de Lemos, lo stesso che ha fondato Puno.
La statua di legno della Vergine di Copacabana fu
scolpita da Francisco Tito Yupanqui, nipote dell'Inca
Huyana Càpac. Agli inizi del 1800, dei commercianti
indios andarono dalla Bolivia a Rio de Janeiro in
Brasile portando con loro una piccola statua della
Vergine di Copacabana e, prima di ripartire, eressero
una chiesa vicino alla spiaggia di Rio, divenuta poi
famosa con questo nome.
Sulla piazza del Santuario della Virgen Morena, a
Copacabana sul lago Titicaca, il 25 agosto, c'è la
curiosa cerimonia della benedizione delle macchine
degli autotrasportatori che, per l'occasione, sono tutte
Copacabana - Benedizione delle macchine.
bardate a festa e alla fine sono bagnate con fiotti di
birra a titolo di buon augurio.
Circa 80 km via terra da Copacabana, in una grande vallata a 3800 m s.l.m., s'incontrano le rovine di
Tiahuanaco, una delle più importanti città precolombiane, centro della grande civiltà che dominò tutto
l'altopiano boliviano fra il 550 e il 950 e poi si irradiò su tutta la regione andina del Perù, fino alla costa
del Pacifico. La civiltà sparì fra il 1000 e il 1100, prima ancora dell'ascesa degli Incas, e le rovine di
Tiahuanaco, il cui nome è di un fiume che alimenta il lago Titicaca, ma non si sa l'originale, erano note
agli Incas, prima, e agli Spagnoli, dopo. Dalla metà del 1800 hanno attratto viaggiatori e archeologi, ma
123
le prime ricerche serie e in grande stile sono cominciate nel 1958 per iniziativa di Carlos Ponce
Sangines che ha fondato il Centro de Investigaciones Arqueologicas de Tiahuanaco (CIAT). Le riprese
aeree hanno individuato l'estensione della zona archeologica che copre un'area di 420 ettari, ma la parte
monumentale si estende su un chilometro in direzione est-ovest e 450 m in direzione nord-sud. Al suo
massimo sviluppo, l'area urbana doveva avere da 30 a 60 mila abitanti e le costruzioni mostrano un
grado di perfezione nella lavorazione della pietra superiore a quello di tutte le altre civiltà preincaiche.
Nell'area dei templi si trovano 3 edifici principali. Il più grande e centrale è il Tempio di Kalasasaya,
un perimetro quadrangolare di 128 x 118 m circondato da mura in parte restaurate, con una porta
monumentale sul lato est. Le mura sono in blocchi sovrapposti intervallati da grandi stele monolitiche.
La pietra è andesite, una pietra dura che proviene dalla penisola di Copacabana, distante 150 km circa,
altre pietre sono il calcare e il basalto, provenienti da altre zone non più vicine di 40 km. In passato
molto materiale è stato saccheggiato per riutilizzarlo in altre costruzioni.
TIAHUANACO - TEMPIO DI KALASASAYA
A sinistra, il Muro nord del Tempio.
A destra, il Muro ovest con i canali dell'acqua piovana.
All'interno del perimetro, di
fronte all'ingresso est, c'è un
monolito in andesite scolpito in
forme umane, detto Ponce in
omaggio a Sangines.
Un altro monolito più rovinato
e dall'espressione ieratica si trova
sul lato sud-ovest del recinto ed è
stato chiamato El Fraile (il
Monaco).
Il più straordinario fra i resti del
tempio è però la Porta del Sole,
un
monolito
di
andesite
sagomato a forma di porta, alto 3
m, largo 4 e dallo spessore di 1,5
m, con un peso stimato di 10
tonnellate. Sulla sommità è
scolpita la figura del Sole con
Monolito Ponge.
Monolito El Fraile.
una serie di raggi che emanano
dalla sua testa, terminanti in piccole teste di puma, mentre le mani tengono due verghe con teste di
124
condor alle estremità.
Questo simbolo si ritrova nei tessuti e nelle ceramiche del Perù preincaico fino alle coste del Pacifico,
a prova della diffusione della cultura di Tiahuanaco.
La Porta del Sole è stata ritrovata abbattuta e spezzata per opera degli Spagnoli e in realtà non si sa
dove si trovasse in origine. Nel 1904 è stata sistemata, dove si trova oggi, nel lato nord occidentale del
tempio.
Il secondo edificio importante è il Tempio Semisotterraneo, a circa una ventina di metri dalla porta est
del Kalasasaya, in un recinto quadrato a livello più basso, e si vede bene scendendo all'interno dal suo
ingresso sud. Le mura intorno, sempre in blocchi sovrapposti intervallati da stele verticali monolitiche,
sono decorate con teste di pietra incassate nella muratura. Al centro del recinto si trovano tre monoliti
isolati di arenaria scolpiti in bassorilievo con figure di animali (puma, serpenti) e antropomorfe. Il
tempio è datato fra il 133 e il 374 d.C..
Porta del Sole.
Il terzo edificio si trova a ovest del Kalasasaya ed è detto Putumi, o Palazzo dei Sarcofagi, di cui
rimangono solo le fondazioni di un reticolo di camere.
TIAHUANACO - TEMPIO SEMISOTTERRANEO
A sinistra, il Tempio Semisotterraneo dall'interno con i monoliti - Oltre il muro si vede la
porta d'ingresso al tempio di Kalasasaya.
A destra, particolare del muro nel Tempio Semisotterraneo con le teste di pietra incassate.
Poco a sud del Kalasasaya si nota una collina terrazzata, rivestita con pochi blocchi di pietre e
gradinate, alta circa 15 m su un'area di circa 180 x 140; è ciò che resta di un altro antico edificio detto
125
Acapana. Al centro di questa specie di collinetta c'è una grande fossa lasciata dagli scavi.
LA PAZ, CAPITALE DELLA BOLIVIA
La Paz, capitale politica ed economica della Bolivia, fu fondata il 20 ottobre 1548 da Alonzo de
Mendoza, dopo la scoperta di pepite d'oro nel fiume che scorre sul fondo del cañon, ed ebbe il nome di
Pueblo Nuevo de Nuestra Segñora de la Paz. La storia della città è stata piuttosto turbolenta. Gli indios
si ribellarono contro gli Spagnoli nel 1661 e nel 1780, la città fu uno dei principali centri della rivolta
contro il dominio spagnolo dal 1809 al 1825 e fu sempre al centro di tutte le lotte di potere e sociali
della nuova repubblica.
La Paz è la capitale più alta del mondo. Si trova nella depressione formata da un gigantesco bacino di
erosione orientato approssimativamente da nord a sud ai piedi della Cordillera Real. Il centro della città
si trova a circa 3600 m, la zona più bassa (Colacoto) tocca i 3200 mentre la più alta (El Alto), dove si
trova l'Aeroporto Internazionale, arriva a 4200. La città moderna con il centro segue l'asse del cañon,
mentre sul saliente est si trova la vecchia città coloniale il cui centro è Plaza Murillo, con il palazzo
presidenziale, il Congresso e la Cattedrale. Sul saliente ovest si trova la città meticcia e india con i suoi
mercati e le botteghe di artigianato.
Da Tiahuanaco, arrivando a El Alto, si vede il panorama della città sovrastato dal ghiacciaio Illimani
di 6996 m.
LA PAZ - PANORAMA ARRIVANDO DALL'AEROPORTO
A sinistra, il centro della città e la città india nel grande cañon.
A destra, ancora la città con lo sfondo del Nevado Illimani.
La visita a piedi del centro cittadino è piuttosto faticosa per l'altitudine e i notevoli dislivelli da
superare fra le diverse aree. Della parte coloniale è interessante visitare, in Calle Jaén, la casa di Pedro
Domingo Murillo, uno degli ispiratori della prima rivolta per l'indipendenza, il 16 luglio 1809. La
rivolta fu soffocata e Murillo finì impiccato. Oggi la casa è stata trasformata in museo e contiene pitture
coloniali e mobili d'epoca.
La chiesa coloniale più bella è forse quella di San Francisco, nella piazza omonima, e faceva parte di
un convento fondato dai francescani nel 1548. La sua facciata è nello stile barocco indio diffuso in tutto
l'alto Perù da Cuzco ad Arequipa.
126
Calle Jaén - Casa di Murillo.
A sinistra della
chiesa si sale su
Calle Sagarnaga
che
entra nel
quartiere indio in
cui ogni strada ha
le sue specialità,
dai
poncho
colorati
agli
oggetti
di
artigianato fino al
mercato
degli
Chiesa di San Francisco.
stregoni, dove si
vendono prodotti destinati a tutte le malattie, insieme con amuleti e
talismani dei più strani.
Più su, in calle Buenos Aieres e dintorni, si trova il mercato di
tutti i giorni frequentato da una folla colorata e vociante.
Tornando al centro lungo l'asse del cañon, su avenida Mariscal
Santa Cruz e di seguito su Avenida 16 de Julio, si trovano i palazzi
moderni, le banche e gli alberghi.
LA PAZ - LA CITTÀ INDIA E IL CENTRO
A sinistra, il mercato della città india a calle Buenos Aires.
A destra, il centro cittadino nell'Avenida 16 de Julio.
Salendo sul lato est del cañon fino a plaza Tejada
Sorzano vicino allo Stadio, si può vedere il Museo
all'aperto di Tiahuanaco, costruito all'inizio del 1900 da
uno dei pionieri dell'archeologia boliviana, che propone
una ricostruzione, in realtà poco fedele, del Tempio
Semisotterraneo di Tiahuanaco con parti provenienti dal
sito archeologico (foto a sinistra).
127
DINTORNI DI LA PAZ
Scendendo fino all'uscita del cañon verso Calacoto, 12 km circa dal centro, s'incontra un paesaggio di
rocce calcaree molto friabili e fortemente erose dagli agenti atmosferici. Un piccolo parco raccoglie un
gran numero di esemplari di cactacee. Si attraversa un breve tunnel e si entra in una vallata con
fantastiche formazioni prodotte dall'azione erosiva delle acque simili alle guglie delle cattedrali che
danno al paesaggio un aspetto lunare. Per questo il luogo è stato chiamato valle della Luna.
LA PAZ - USCITA DEL CAÑON VERSO CALACOTO
Due viste del Parco dei Cactus.
LA PAZ - LA VALLE DELLA LUNA
Due viste delle fantastiche formazioni erosive all'uscita del cañon.
Qui finisce la visita di La Paz. Il giorno dopo, 28 agosto, inizierà il ritorno dall'aeroporto della capitale
boliviana, via Rio de Janeiro.
FINE PERÙ-BOLIVIA
128
AGOSTO 1986
VIAGGIO ALL'ISOLA DI PASQUA
CAPITOLO 1 - L'ISOLA DI PASQUA
L'isola di Pasqua, chiamata dagli indigeni Rapa Nui che in polinesiano significa "Isola Grande", è uno
dei posti più sperduti del mondo. Si trova in pieno oceano Pacifico, lontana da centri abitati, a 3760 km
dalla città cilena di Valparaiso sulla costa occidentale dell'America Meridionale e a 3040 km da Papeete
nell'isola di Tahiti; l'isoletta più vicina è Pitcairn, 1900 km a ovest. Le coordinate geografiche dell'isola
sono 27° 10' S e 109° 26' O.
Mappa dell'Isola di Pasqua.
Il nome di Isola di Pasqua deriva dal fatto di essere stata scoperta il giorno di Pasqua del 1722 (15
aprile) dall'olandese Jacob Roggeveen, mentre era alla ricerca di una terra australe per conto della
Compagnia Olandese delle Indie Occidentali. Rimasta dimenticata, fu riscoperta nel 1770 dallo
129
spagnolo Don Felipe Gonzales, che la chiamò Isola di S. Carlos e ne prese possesso in nome del re di
Spagna, poi fu visitata dal Capitano James Cook, nel marzo del 1774, durante la sua seconda spedizione
nel Pacifico (1771-1775) e dal francese Jean-Francois Galaup conte di La Pérouse, il 9 aprile del 1786,
che assegnò il suo nome a una baia nella costa nord.
L'isola di Pasqua è di origine vulcanica, di forma triangolare con tre principali crateri spenti ai vertici,
larga 24 km e lunga 12 con una superficie di 163,4 kmq; ha coste ripide con scogliere di lava rossastra
e pochi approdi, è battuta dai venti, piovosa ma manca di fiumi perché l'acqua piovana è assorbita
subito dal suolo poroso e le poche sorgenti di acqua dolce affiorano vicino al mare o si trovano sul
fondo dei crateri vulcanici. Secondo i geologi, circa 6 milioni di anni fa, emerse dall'oceano il vulcano
Poike, nell'estremo est dell'isola attuale, poi, 1,5 milioni di anni fa, emerse il vulcano Rano Kau nel
vertice sud-ovest e infine, 750000 anni fa, ci fu l'esplosione del Rano A Roi sul vertice nord che, con le
sue colate laviche, riunì i due isolotti raggiungendo una quota di 500 m, il punto più alto dell'isola.
L'isola fu popolata certo dai polinesiani che arrivarono, forse in più ondate con le piroghe, provenienti
probabilmente dalle Marchesi, i resti umani più antichi, datati con il carbonio 14, sono del 380 d.C.;
furono questi i costruttori delle gigantesche statue di pietra detti moai, che hanno reso famosa l'isola.
Cook fu il primo a creare questa fama descrivendo le statue in piedi e rovesciate la cui grandiosità
contrastava con la miseria degli abitanti. Anche La Pérouse, che qui fece la sua prima tappa verso la
Polinesia, ha lasciato una descrizione delle statue e degli indigeni che non erano per nulla intimoriti
dagli europei e anzi cercavano di derubarli con destrezza di ciò che veniva loro a portata di mano e c'è
un famoso disegno nel suo rapporto che illustra la scena. Gli abitanti furono stimati in numero di 3000
da Roggeveen e di 2000 da La Pérouse ed erano già in crisi, scarseggiava il legno e non avevano
barche. Poi vennero le baleniere e altre navi e alcuni abitanti furono rapiti come schiavi. Il disastro
avvenne il 12 dicembre 1862, quando una flottiglia di avventurieri approdò nel piccolo porto di
Hangaroa e rastrellò 1407 abitanti, un terzo degli abitanti dell'isola, deportandoli in Perù per lavorare
nelle miniere di guano. Quando poi, per le proteste generali, le autorità spagnole decisero di riportare i
superstiti nella loro isola, più di 900 erano morti. Ne furono imbarcati 470, ma sulla nave di diffuse il
vaiolo e la dissenteria, molti morirono nel viaggio di ritorno e solo 100 rimisero piede in patria e vi
diffusero il vaiolo che fece strage fra gli abitanti rimasti. All'inizio del 1864, quando arrivarono i primi
missionari, gli abitanti erano ridotti a poche centinaia e le malattie continuavano a falcidiarli. Questo è
il motivo per cui la popolazione ha perso completamente la sua identità e i ricordi dell'antica civiltà,
creando il mistero delle grandi statue e rendendo difficile la ricostruzione delle antiche vicende
dell'isola.
L'isola non era stata rivendicata da nessuna nazione fino al 1888, quando un capitano cileno, Policarpo
Toro Hurtado, ne prese possesso in nome del governo cileno con il consenso di 12 capi tribù. Il
governo cileno però s'interessò poco all'isola, dove furono impiantati degli allevamenti di pecore,
queste, in numero di circa 70000, denudarono il territorio, poi furono piantati degli eucalipti che resero
il terreno acido e arido. Nel frattempo gli indigeni furono confinati nel villaggio di Hangaroa, dove
vivevano in miseria come prigionieri. Nel 1914-15 si ebbe una rivolta subito domata. Nel 1930 gli
abitanti erano ancora solo 250. L'isola aveva una cattiva fama per i numerosi naufragi che erano
avvenuti sulle sue coste, ma cominciò a diffondersi l'interesse archeologico e molti vennero per
raccogliere oggetti e statue per conto di diversi musei. Nel 1934-35 venne una spedizione franco-belga,
con l'etnologo Alfred Métraux e l'archeologo Lavachery, che raccolse dalla voce degli ultimi superstiti
miti e leggende. I lavori di Metraux furono di riferimento e incentivo per tutti gli studiosi successivi.
Nel 1935 il governo cileno dichiarò l'isola di Pasqua museo aperto e protetto.
Durante la seconda guerra mondiale il governo cileno rafforzò il suo controllo sull'isola affidandolo
alla Marina che militarizzò la popolazione sottoponendola a nuove restrizioni e soprusi. Molti cercarono
di fuggire dall'isola e molti morirono.
Nel 1955-56 l'etnologo e navigatore norvegese Thor Heyerdahl, che sosteneva la possibilità di una
130
migrazione di popoli dall'America del sud alla Polinesia ed era già noto per aver compiuto questo
percorso con una zattera di balsa chiamata Kon-Tiki, organizzò una spedizione nell'isola di Pasqua,
accompagnato da altri archeologi, e furono effettuati scavi e un'accurata ricognizione dei resti umani e
delle statue, rialzandone diverse con metodi primitivi (leve, corde e mucchi di pietre). A seguito di
questa spedizione, si ebbero le prime datazioni con il carbonio 14 dei più antichi resti umani, spostando
indietro di circa 1000 anni l'arrivo dei primi abitatori, che le tradizioni ponevano verso il 1400 d.C..
I contatti sempre più frequenti con gli europei rendevano gli abitanti più insofferenti alle restrizioni
dei militari cileni, ma la situazione economica andò migliorando solo dopo che gli USA installarono
nell'isola una stazione d'inseguimento ottico per i satelliti e ci furono più occasioni di lavoro per gli
abitanti. Nel 1967 fu aperto l'aeroporto di Mataveri, a sud del villaggio di Hangaroa, e cominciarono i
collegamenti regolari con Santiago. L'anno dopo la linea fu estesa a Tahiti. Recentemente la NASA,
l'Ente Spaziale Americano, ha finanziato i lavori per una nuova pista dell'aeroporto lunga fino a 3500
m, da usare come possibile atterraggio di emergenza degli Shuttle, in caso di missioni circumpolari.
L'ISOLA DI PASQUA OGGI
Oggi l'isola di
Pasqua ha circa
2200 abitanti dei
quali quasi il 70%
è
di
razza
polinesiana, e il
resto di origini
sudamericane ed
europee,
l'unico
centro abitato è il
villaggio
di
Hangaroa
posto
Hangaroa - Porto dei pescatori.
davanti a una
piccola baia vicina alla punta occidentale dell'isola. Il villaggio è
relativamente esteso, con case basse e strade di terra battuta, il porto
dei pescatori è l'unico dell'isola che consente l'attracco di navi di
modesto tonnellaggio. Ora ci sono dei lavori per rinforzare e
allungare il molo perché, durante le frequenti tempeste, la sicurezza
Hangaroa
dell'approdo è precaria. Una volta ogni sei mesi, arriva una nave dal
Monumento a Hotu Matu'a.
Cile per il trasporto di rifornimenti di materiali pesanti. I
collegamenti normali sono assicurati mediante l'aeroporto Mataveri a sud del villaggio. L'isola è scalo
intermedio della linea che collega settimanalmente Santiago con Papeete (Tahiti); il mercoledì da
Santiago e il sabato da Papeete. C'è poi una stazione radio per i collegamenti telefonici e telex.
L'isola è divenuta meta di turisti, in maggioranza provenienti da Tahiti, e vi sono due alberghi, il più
grande si chiama proprio Hotel Hangaroa e il secondo Iorama che nel dialetto locale significa
"benvenuto". I funzionari dell'amministrazione cilena si avvicendano ogni due anni e vivono nel
sobborgo di Mataveri vicino all'aeroporto, dove sono state costruite delle case prefabbricate.
131
La piazza principale di Hangaroa è intitolata a Hotu Matu'a, il leggendario re polinesiano che, secondo
una tradizione, venne qua con 6 compagni e due piroghe provenienti dalla grande isola di Marae Renga
da dove era fuggito a causa di un cataclisma o, secondo un'altra versione, a seguito di una contesa con
il fratello.
Al centro della piazza sorge una statua moai con il
suo nome. Nella zona nord del villaggio di Hangaroa
si trova un piccolo museo che raccoglie reperti
geologici, archeologici ed etnografici dell'isola.
Vicino alla chiesa del villaggio c'è la lapide del primo
missionario, un umile prete di Valparaiso arrivato qui
nel 1854 per evangelizzare i pochi abitanti rimasti.
Gli abitanti vivono di pesca, agricoltura e turismo.
Vi sono ancora allevamenti di pecore e fattorie sparse
nell'isola, dove si coltivano patate dolci, canna da
zucchero e diverse varietà di frutta come banane,
ananas e noci di cocco; la maggior parte della terra è
però incolta. C'è una grande solidarietà fra gli abitanti
Museo di Hangaroa.
del luogo e il 15 agosto, durante la festa
dell'Assunzione, per tradizione alcune famiglie, e non sono le più ricche, offrono a tutti un pranzo
frugale fatto di patate dolci cucinate sotto la cenere accompagnate da arance e banane.
ISOLA DI PASQUA - FESTA DELL'ASSUNZIONE
Pic-nic campestre con distribuzione di un pasto a base di patate e frutta.
132
AGOSTO 1986
VIAGGIO ALL'ISOLA DI PASQUA
CAPITOLO 2 - LA CIVILTÀ DEI MOAI
L'isola di Pasqua ha un fascino selvaggio per il suo isolamento e i suoi paesaggi vulcanici, ma la sua
maggiore attrattiva sono i moai, le grandi statue di pietra, e il mistero che ha circondato l'origine e il
crollo di questa civiltà. I moai rappresentano una figura umana mozzata all'inguine e quindi senza
gambe, con le mani e le dita sottili unite sul ventre, il volto scolpito nelle sue linee essenziali, il capo
appiattito e spesso coperto da un enorme cilindro di tufo rossiccio come un cappello, detto pukau, che
forse rappresenta un'acconciatura portata dai capi, ma è un abbellimento tardo. I moai sono stati
realizzati con una pietra lavica di tipo trachite, compatta ma anche relativamente tenera e facile da
lavorare, proveniente da una cava sulle pendici di un piccolo cono vulcanico chiamato Rano Raraku,
nella zona orientale dell'isola, un'area dove sono stati trovati molti moai in diverse fasi di fabbricazione
e di trasporto e che per questo è stata denominata la "Fabbrica dei Moai". Sembra che l'attività della
Fabbrica si sia interrotta bruscamente, come a seguito di una catastrofe o di una rivolta. I moai erano
trasportati dalla Fabbrica in diversi punti dell'isola vicino alla costa, dove venivano eretti sopra
piattaforme cerimoniali dette ahu. Le statue volgevano sempre le spalle al mare perché guardavano
verso l'interno dove sorgeva il centro abitato, come a proteggerlo, e fra le case e la piattaforma c'era un
ampio spazio spesso di forma circolare delimitato da pietre che doveva essere un luogo di riunione.
L'altezza media dei moai varia da 2 a 12 m, ma nella Fabbrica ve n'è uno in costruzione lungo 21,6 m.
Si nota un aumento progressivo delle dimensioni delle statue, dalle più antiche alle più recenti. Vi sono
102 piattaforme in pietra lavorata lunghe fino a 90 m che circondano quasi tutta l'isola, e ciascuna aveva
fino a 15 statue. Sono stati contati circa 460 moai, dei quali 250 sono quelli delle piattaforme ahu e il
resto nell'area della Fabbrica, molti ancora in fase di fabbricazione. Il culto dei moai era quello degli
antenati deificati e ogni statua aveva il nome di un capo venerato dopo morto e messo a protezione della
tribù davanti al villaggio. La testa era la parte più evidente della statua perché in essa era concentrato
tutto il suo potere spirituale (mana).
Quando nell'isola arrivarono i primi Europei, il culto dei moai era ormai decaduto ed era stato
sostituito da altre credenze. A seguito delle lotte tribali, la maggior parte delle statue era già stata
abbattuta e, nel 1840, non c'era più una statua in piedi. Le statue che si vedono ora in piedi sono state
sollevate dagli studiosi e dagli archeologi. Una leggenda locale fa arrivare i primi abitatori intorno al
1400, guidati dal re Hotu Matu'a, ma sono stati trovati reperti umani più antichi e certo l'isola fu
raggiunta più volte dalle canoe dei polinesiani, la cui provenienza più probabile è quella delle isole
Marchesi, circa 4000 km a nord-ovest. In origine l'isola era coperta da palme e altri alberi e, anche se
per la sua latitudine non era un paradiso tropicale, era ricca di vegetazione, c'era acqua potabile, nei
crateri e nelle sorgenti del litorale, e ossidiana per le armi. I nuovi abitatori iniziarono l'agricoltura
tagliando e bruciando le foreste, costruirono case, iniziarono a scolpire le grandi statue, usando il tufo
vulcanico disponibile secondo le tradizioni dei polinesiani. La comunità prima prosperò ma, con il
disboscamento e l'erosione, la produttività diminuì e il legno usato per tutti i bisogni e per il trasporto
dei moai cominciò a scarseggiare, non ebbero più canoe per la pesca o per emigrare e si trovarono
intrappolati in un ambiente ormai degradato. Questa fu la causa prima del crollo della civiltà dei moai.
133
La popolazione era divisa in tribù che avevano ascendenze comuni, non esistevano schiavi e la
costruzione e il trasporto delle statue fu un'impresa condotta in comune per il maggior vanto delle tribù.
Al suo massimo, la popolazione raggiunse nel 1500 un numero fra 7000 e 15000, valore controverso
desunto dal numero di resti di abitazioni che possono essere datati in questo periodo. Il crollo
improvviso della Civiltà dei Moai avvenne verso la fine del 1600, testimoniato dall'interruzione
improvvisa dei lavori di fabbricazione e trasporto dei moai. Questo è stato all'origine del "mistero"
dell'isola di Pasqua e delle tante ipotesi fantastiche sorte intorno all'origine di questa civiltà. Le
leggende raccolte dagli ultimi discendenti diretti, parlano di una lite scoppiata fra la tribù dei LunghiOrecchi, depositari del culto dei Moai ed élite dominante, che doveva il suo nome all'uso di pesanti
orecchini che deformavano i lobi, e quella dei Corti-Orecchi che, pur essendo minoritaria, occupava
tutta la parte nord e occidentale dell'isola. I Lunghi-Orecchi finirono con l'asserragliarsi nella penisola di
Poike, la parte più orientale, che divenne il loro ultimo baluardo. Sul lato di terra i Lunghi-Orecchi
avevano scavato un lungo fossato, che avevano reso invalicabile con una cortina di fiamme, ma i CortiOrecchi li aggirarono dalla parte del mare e li spinsero verso la loro stessa barriera di fiamme
annientandoli. Secondo la tradizione, solo due dei Lunghi-Orecchi furono risparmiati e, al tempo della
spedizione di Thor Heyerdahl, alcune famiglie si vantavano di discendere da loro. Dagli scavi eseguiti
durante la stessa spedizione, fu scoperto un fossato al confine della penisola di Poike con presenza di
ceneri e carboni e con essi il tracollo della Civiltà del Moai è stato datato intorno al 1680.
I RESTI DELLA CIVILTÀ DEI MOAI INTORNO ALL'ISOLA
Per il giro dell'isola alla ricerca dei resti più
importanti della civiltà dei moai si segue un percorso
in senso antiorario prevalentemente in vicinanza
della costa, dove è localizzata la maggioranza delle
piattaforme cerimoniali (ahu).
Partendo da Hangaroa, sulla costa sud, sotto
l'aeroporto di Mataveri e a est del vulcano Rano
Kau, si raggiunge Vinapu, uno dei più importanti
centri cerimoniali Moai.
La piattaforma centrale è uno dei lavori più perfetti
con grandi massi ben squadrati. La spedizione di
Thor Heyerdahl, che vi lavorò nel 1956, paragonò
Vinapu
questa tecnica costruttiva a quella degli Incas in
Piattaforma cerimoniale (ahu).
Perù. Una seconda piattaforma a est è più antica, ha
le statue abbattute ed è stata in seguito trasformata in tomba; delle ossa sono ancora visibili in una
fenditura. Un pukau, cappello aggiunto alle statue in epoca più tarda, si trova vicino alle statue
abbattute e porta tracce di pittura di ocra bianca; anche le statue erano dipinte e tracce di pittura si
trovano in diverse statue nelle parti rimaste protette dalle intemperie.
Seguendo la costa in direzione est si raggiunge la località Vaihu, dove affiora una sorgente di acqua
dolce prossima al mare. Qui gli antichi abitanti, come in altri luoghi, avevano scavato un serbatoio per
raccoglierla, prima che si mescolasse all'acqua salata.
Vicino sorgeva un villaggio, dove si trova una delle più grandi piattaforme cerimoniali con tutte le
statue abbattute. La piattaforma era lunga 60 m e alta 7 e, dopo l'abbattimento delle statue, fu
134
trasformata in luogo di sepoltura.
VINAPU - STATUE ABBATTUTE
A sinistra, le statue abbattute della piattaforma est.
A destra, il pukau di una delle statue abbattute.
VAIHU
A sinistra, una sorgente di acqua dolce vicino alla riva e resti del serbatoio artificiale.
A destra, la piattaforma con i moai abbattuti.
A circa 5-6 km da Vaihu, sempre vicino al mare, si trova Hanga Tetenga, luogo di un altro antico
villaggio, con la sua piattaforma e almeno 21 moai abbattuti.
Hanga Tetenga - Moai abbattuti.
135
Con le statue abbattute, si era ricreata una piattaforma più alta, livellata grossolanamente con pietre, e
sotto si trovano resti di sepolture posteriori.
Durante l'abbattimento, molte statue si rompevano in corrispondenza del collo, che era la parte più
debole, e per sfregio erano rovesciate con il volto nella polvere; qualcuna è rimasta intera e solo una si
trova con il volto verso l'alto, ma con i lineamenti erosi dagli agenti atmosferici.
HANGA TETENGA
A sinistra, alcuni moai rovesciati e rotti.
A destra, un moai abbattuto, ma con il volto verso l'alto.
Lasciata Hanga Tetenga, ci si addentra verso l'interno in direzione nord-est, avvicinandosi al cratere di
Ranu Raraku e alla zona della cosiddetta Fabbrica dei Moai. All'ingresso della zona, vi sono due grandi
tabelloni della Corporaciòn Nacional Forestal cilena, che illustrano i metodi di fabbricazione e di
trasporto dei moai.
TABELLONI ALL'INGRESSO DELL'AREA DELLA FABBRICA DEI MOAI
A sinistra, è illustrato il metodo di fabbricazione nelle cave del vulcano.
A destra, sono indicati i sistemi di trasporto ipotizzati.
Il processo di fabbricazione è stato ricostruito in base alle numerose statue trovate in diverse fasi di
lavorazione. Le statue erano scolpite direttamente sulla roccia in posizione supina sagomando il volto e
il corpo, quindi si scavava sotto e ai piedi in modo da creare uno scivolo e una buca che permetteva di
mettere in piedi la statua. Il metodo di trasporto e di erezione sulle piattaforme, illustrato nel secondo
tabellone, è invece solo frutto delle ipotesi degli studiosi, perché nessuna informazione ci è stata
tramandata. Mancando ormai gli alberi, gli indigeni potevano solo contare sui tronchi galleggianti, che
136
il mare spingeva sulle spiagge, mentre le corde potevano essere fabbricate con le fibre del gelso da carta
(Morus payrifera) che cresce nell'isola. L'ipotesi illustrata nel tabellone è quella avanzata
dall'antropologo William Mullory della spedizione norvegese di Thor Heyerdahl.
Moai abbandonato e rotto.
Avanzando verso
le
falde
del
vulcano,
s'incontra
una
statua caduta e
con
la
testa
staccata, e per
questo
abbandonata
durante la fase di
trasporto; è un
moai
di
dimensioni medie
di 12 m di
altezza.
Un altro interessante esemplare fu trovato più avanti dall'archeologo
norvegese Arne Skjõlsvold nel 1956, sempre della spedizione di
Thor Heyerdahl. Il monolite affiorava solo con il volto e fu portato
Moai Rima Rotu-Rotu.
alla luce e raddrizzato. Pesa circa 20 tonnellate e gli fu assegnato il
nome di Rima Rotu-Rotu, che nel linguaggio locale significa "con le mani sulle ginocchia", infatti, è
l'unica statua dell'isola in posizione seduta e con il corpo intero, invece che mozzato all'inguine. La
statua è stata datata intorno al 1100 e, per la sua conformazione, Thor Heyerdahl vide in esso una prova
della sua teoria, sugli stretti legami fra la civiltà dell'isola di Pasqua e quella peruviana di Tiahuanaco.
Questa teoria è stata in seguito completamente abbandonata.
Salendo sulle falde del vulcano Ranu Raraku, s'incontrano in gran numero le statue abbandonate
pronte per il trasporto, molte ancora in piedi, altre abbattute. Spesso affiora sola la testa perché il resto
del corpo si trova sepolto dai detriti trascinati dalle piogge. Questa è la prova dell'improvviso tracollo
della civiltà dei Moai, con l'accendersi delle guerre civili che segnarono la fine del culto dei Moai.
ALLE FALDE DEL VULCANO RANO RARAKU - MOAI ABBANDONATI
Più in alto, è l'area della fabbrica dei moai intorno al cratere, dove si possono osservare numerose
statue in lavorazione.
137
ALLE FALDE DEL VULCANO RANO RARAKU
MOAI ABBANDONATI
Una delle statue in lavorazione ha solo il volto e la
parte superiore completa, è lunga circa 15 m e il suo
peso finito sarebbe stato di circa 150 tonnellate. La
statua più grande in fabbricazione è un'altra, lunga
21,6 m, il cui peso doveva arrivare alle 150
tonnellate.
Salendo sul bordo del cratere, nel fondo si vede un
lago di acqua piovana e sulle rive cresce la totora,
una pianta che si trova nel lago Titicaca,
sull'altopiano peruviano al confine con la Bolivia, e
forma vere isole galleggianti. Anche nella presenza
Fabbrica dei Moai - Statua in lavorazione.
di questa pianta, Thor Heyerdahl vide un'altra prova
dei legami con la civiltà di Tiahuanaco sviluppatasi
sulle rive del Titicaca. La totora cresceva però nell'isola di Pasqua da 13000 anni, quando era
certamente disabitata.
Dall'alto del cratere si può vedere la costa sud-est, una volta molto abitata e dove si trovava una
piattaforma distrutta da un maremoto nel 1860. Si vede anche la penisola di Poike all'estremo est
dell'isola, dove, secondo la tradizione, si asserragliarono i Lunghi-Orecchi prima di essere sopraffatti.
Lasciato il Ranu Raraku, sul lato nord-orientale, s'incontrano delle rocce con sopra scolpiti glifi,
manifestazione di un culto più recente, posteriore a quello dei moai. Questi glifi sono diffusi in molte
parti dell'isola, ma il nuovo culto ebbe il suo centro nella città sacra di Orongo, all'estremità occidentale
dell'isola. I glifi, che si vedono qui, rappresentano il Dio Creatore (Make Make), l'Uomo Uccello
(Tangata Manu) dai grandi occhi e figure di pesci e tartarughe.
138
VULCANO RANO RARAKU
A sinistra, il cratere del vulcano con il lago sulle cui rive cresce la totora.
A destra, panorama verso est dall'alto del vulcano con la baia devastata dal maremoto e parte della
penisola di Poike.
GLIFI SULLE ROCCE
A sinistra, glifo con le rappresentazioni del Dio Creatore, in alto, e dell'uomo, in basso a destra.
A destra, un altro glifo che rappresenta l'Uomo Uccello.
Si giunge alla costa nord-orientale, dal profilo basso e con una successione di baie. La prima è quella
di Mohatua con una piattaforma, dove sorgeva il moai Paro, alto 9,8 m e pesante 82 tonnellate, il più
grande fra quelli trasportati e installati. Il moai si trova abbattuto vicino alla piattaforma e ci sono
testimonianze che nel 1830 era ancora in piedi e nel 1840 era già abbattuto. La statua portava sulla testa
il pukau, il cilindro di pietra come un cappello, ora caduto poco distante.
Più a ovest si trova la baia de La Pérouse, dove approdò l'esploratore francese nel 1786 con le sue due
navi, l'Astrolabe e la Boussole. La Pérouse proseguì il viaggio toccando le Hawaii ed esplorando le
coste dell'America del Nord e della Cina e, dopo un'ultima sosta a Botany Bay in Australia, scomparve
con le sue due navi nel 1788. Solo nel 1827 si trovarono tracce del suo naufragio nell'isoletta di
Vanikoro del gruppo di S. Croce, a nord delle Nuove Ebridi.
Protetta da un promontorio roccioso è la spiaggia di Ovahe, con una sabbia finissima di origine
corallina. Qui ogni due anni si tengono rappresentazioni in cui si raccontano le leggende dell'isola e la
guerra fra Lunghi-Orecchie e Corti-Orecchie. Oltrepassato il promontorio, si apre in un'ampia
insenatura la spiaggia di Anakena, la più bella dell'isola con una fine sabbia corallina.
La tradizione vuole che qui arrivassero nel 1400 i primi abitatori dell'isola guidati dal re Hotu Matu'a.
139
COSTA DEL NORD-EST
A sinistra, la piattaforma di Mohatua con il grande moai Paro abbattuto e il suo pukau.
A destra, la Baia de La Pérouse, dove approdò l'esploratore francese.
COSTA DEL NORD-EST
A sinistra, la spiaggia di Ovahe.
A destra, Anakena, la più bella spiaggia dell'isola.
ANAKENA - PIATTAFORMA DEI SETTE MOAI
A sinistra, vista frontale.
A destra, vista posteriore: notare sul dorso la cintura con la fibbia.
Vicino a un boschetto di palme si trova una piattaforma con sette moai sollevati, ma è una
140
ricostruzione del 1978.
I moai sono stati
scelti e riparati e
tre di essi hanno
sulla
testa
il
pukau e sul dorso
mostrano scolpita
una cintura con
fibbia.
A lato della
piattaforma, un
Anakena - Glifo con uccelli.
blocco di tufo
porta dei glifi di uccelli, ma questo appartiene al periodo posteriore
con il culto dell'Uomo Uccello. Un po' isolato si trova un altro moai
sollevato con l'aiuto dei nativi durante la spedizione di Thor
Heyerdahl allo scopo di studiare i metodi usati dagli antichi abitanti.
La statua pesa fra 25 e 30 tonnellate.
Anakena - Il Vecchio Moai.
Da Anakena si torna in direzione sud-ovest nell'interno dell'isola, girando a sud del grande vulcano
Rano A-Roi e, alle spalle del villaggio di Hangaroa, si attraversa il Puna Pau (luogo dell'acqua), piccolo
cratere, dove si raccoglieva una riserva di acqua piovana. A seguito di una trivellazione, venne però
perforato lo strato impermeabile e l'acqua sparì. In questo cratere c'era la cava di tufo rosso, dove si
costruivano i pukau. Anche qui, come nella fabbrica di Ranu Raraku, il lavoro cessò improvvisamente e
molti pukau sono stati abbandonati nella fase di trasporto e giacciono semisepolti. Il Capitano Cook,
durante la sua esplorazione dell'isola, vide questi grandi cilindri abbandonati.
PUNA KAO - CAVA DI TUFO ROSSO DEI PUKAO
Due viste del vecchio cratere con le rocce di tufo affioranti e i numerosi pukao abbandonati e
semisepolti.
Sul lato nord-est di Hanakena, a circa 5 km, c'è il gruppo di Sette Moai restaurato nel 1860 dagli
archeologi William Mulloy e Gonzalo Figueroa, dopo la spedizione di Thor Heyerdahl. Questo è l'unico
gruppo di statue che guarda verso il mare, ma in realtà, essendo all'interno, guardava come tutti gli altri
verso il villaggio che gli stava davanti. Le statue sono state datate 1450 e questo ha fatto pensare che
rappresentassero i sette compagni del re Hotu Matu'a.
141
Le figure sono tozze
e rappresentano quindi
persone ricche; si può
notare la cura con cui
sono scolpite le mani,
con le dita affusolate e
le lunghe unghie,
indice di persone che
non lavoravano.
Altre tre piattaforme
si trovano sulla costa
occidentale dell'isola,
subito a nord di Hangaroa. Nel 1837 c'erano ancora le statue in piedi, poi
furono abbattute come tutte le altre. Le piattaforme sono state restaurate
di recente e le statue rialzate.
Ahuakivi - I sette Moai.
Ahuakivi
Due dei sette Moai.
TAHAI - LE PIATTAFORME DELLA COSTA OCCIDENTALE
A sinistra, vista delle tre piattaforme nello sfondo del mare.
A destra, i moai rialzati della piattaforma di sinistra.
La piattaforma
centrale con una sola
statua è la più antica
ed è datata 650 d.C.;
alla sua sinistra c'è una
rampa pavimentata in
pietra per le canoe. La
piattaforma di sinistra
(sud) è la più grande
con cinque statue
sollevate su piedistalli.
La piattaforma di
Tahai
destra ha un solo moai
Piattaforma centrale e di sinistra.
con il pukau. Davanti
alla piattaforma di sinistra, si trova una grande piazza per le riunioni
comunitarie, di forma circolare e in pietra e l'area cerimoniale al centro.
142
Piattaforma di destra.
Dietro si trovano le antiche abitazioni in pietra a pianta rettangolare (Hare Moa) e con ingressi molto
angusti, dove si entrava strisciando, gli spazi interni erano limitati perché servivano solo per la notte.
Le abitazioni comuni dei villaggi erano fatte con pali di legno ricurvi e avevano pianta ellittica, con la
forma di una barca rovesciata, coperte con stuoie di giunchi intrecciati. Erano case comunitarie
piuttosto vaste chiamate Hare Paenga.
Tahai
Area cerimoniale e abitazioni di pietra.
143
AGOSTO 1986
VIAGGIO ALL'ISOLA DI PASQUA
CAPITOLO 3 - LA CULTURA DI ORONGO
La guerra civile scoppiata nell'isola di Pasqua alla fine del 1600 non finì con la sconfitta della tribù
dominante dei Lunghi-Orecchi, che aveva sostenuto il culto dei Moai. Il collasso dell'economia mise
una contro l'altra le tribù e iniziò una situazione endemica di mutue aggressioni che, oltre a sfociare
nell'abbattimento progressivo dei moai, produsse anche fenomeni di cannibalismo rendendo precaria la
vita degli abitanti. L'isola si andò spopolando e molti si rifugiarono in grotte per cercare protezione e
sfuggire a vendette e persecuzioni. Col tempo si formò un nuovo centro di aggregazione nella zona più
occidentale, intorno al vulcano di Rano Kau, e si affermò un nuovo culto basato sulla fertilità: quello
del Dio creatore (Make Make) e dell'Uomo uccello (Tangata manu). Sulla sommità del vulcano, l'antico
villaggio di Orongo si trasformò in un centro cerimoniale, dove i riti del nuovo culto sono durati fino al
1876, ben oltre la conversione degli abitanti al cristianesimo. Con il nuovo culto, si diffusero nell'isola i
petroglifi scolpiti sulle rocce, con rappresentazioni di animali, dell'Uomo uccello e della divinità
principale.
Il vulcano Rano Kau, sulla punta sud-occidentale dell'isola, è vecchio di 1,5 milioni di anni e la sua
caldera si è trasformata in un lago, dove cresce la totora, il lago si trova a quota 125 m, ha una
profondità di 10 m e un diametro di 1,6 km. I bordi del vulcano si sollevano fino a 270 m.
VULCANO RANO KAU - VISTA DEL CRATERE
Sul lato che si affaccia sul mare a ovest, si trova il villaggio di Orongo. Le case sono in pietra a
pianta ellittica con ingresso sul lato del mare. Le pietre di lava basaltica, più larghe che spesse, sono
semplicemente sovrapposte e si avvicinano in alto fino a chiudere il tetto, lo spazio interno è angusto e
buio.
Intorno al villaggio e sulla scogliera, molte rocce sono decorate da strani petroglifi con figure umane e
di uccelli, simboli della nuova religione, con significati rituali, che da qui si diffuse poi in tutta l'isola.
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Nel villaggio di Orongo, sacerdoti e capi tribù si riunivano una volta l'anno per due mesi (luglio e
agosto) in occasione di una cerimonia che doveva terminare con la proclamazione dell'Uomo uccello
dell'anno che era venerato come eletto della divinità e quindi persona sacra e inviolabile.
VILLAGGIO DI ORONGO SUL LATO OVEST DEL RANO KAU
PETROGLIFI SULLE ROCCE INTORNO AL VILLAGGIO DI ORONGO
La gara era disputata fra i capi tribù e consisteva nello scoprire ed entrare in possesso del primo uovo
depositato dall'uccello manutara, una rondine marina (Sterna lunata), che nidificava in tre isolotti di
lava ai piedi della scogliera. L'uovo era considerato l'incarnazione del dio Make Make e il suo possesso
rappresentava la sanzione del favore del dio e del potere politico. I tre isolotti erano chiamati Motu Nui
(Isola piccola), il più lontano e più esteso (in contrapposizione a Rapa Nui o Isola grande), Motu Iti,
più piccolo e in pratica connesso al primo, e infine Motu Kao Kao, lo scoglio piramidale più vicino.
Tutti e tre erano sacri all'uccello manutara.
Mentre sul villaggio capi e sacerdoti cercavano con i loro riti il favore della divinità, gli hopu, gli
uomini più abili e coraggiosi di ogni tribù, considerati però come ciechi strumenti della divinità,
avevano il compito di trovare l'uovo. Gli hopu dovevano attraversare a nuoto, aiutandosi con
galleggianti di giunco, il braccio di mare infestato da pescecani fra la scogliera ai piedi del vulcano e gli
isolotti, arrampicarsi sulle rocce, nascondersi e rimanere in osservazione anche per diverse settimane.
L'attesa dell'uovo sacro poteva prolungarsi fino a settembre, ma appena il primo hopu individuava
l'uovo, urlava verso il villaggio il nome del capo di cui era il rappresentante, raccoglieva l'uovo, se lo
assicurava legandolo alla fronte con una benda e doveva tornare a nuoto per consegnarlo al suo capo.
Solo allora questi era investito del nome di Uomo uccello e assegnava il suo nome all'anno.
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LE ISOLE SACRE ALL'UCCELLO MANUTARA
Alla proclamazione dell'Uomo uccello seguivano grandi festeggiamenti con banchetti e sacrifici
umani, generalmente di donne e bambini, e le vittime erano divorate. Questi riti davano un crisma di
legalità all'antropofagia, che d'altra parte era nel costume dei popoli polinesiani, ma perpetuavano le
guerre fra famiglie con feroci ritorsioni e insieme soddisfacevano l'appetito di carne umana di una
popolazione imbarbarita dalle privazioni.
GROTTA DEGLI ANTROPOFAGI - INGRESSO ED ACCESSO ALLA GROTTA
GROTTA DEGLI ANTROPOFAGI - INTERNO E PITTURE RUPESTRI
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I banchetti a base di carne umana avvenivano in grotte ai piedi delle scogliere e una di queste, a sud di
Hangaroa, è appunto chiamata Ana-kai-tangata (Ana: grotta, kai: mangiare, tangata: uomo), o Grotta
degli Antropofagi; vi si entra mediante una gradinata scavata sulla roccia oppure dal lato del mare. La
grotta fu usata per questi banchetti fino alla fine del XIX secolo. Sulla volta della grotta si vedono
ancora pitture rupestri.
Accanto alla diffusione dei petroglifi, nell'isola si sviluppò la cosiddetta scrittura su bastoni e tavolette
di legno che fino ad oggi non è stato possibile decifrare o interpretare.
ESEMPIO DI SCRITTURA RONGO-RONGO
RIPRODUZIONE IN LEGNO DI SCRITTURA RONGO RONGO
Si tratta di una serie di figurine di uguale altezza perfettamente allineate che sembrano rappresentare
in modo stilizzato uccelli, pesci, crostacei, piante o semplici motivi geometrici combinate nel modo più
vario. I simboli di ogni riga sono inoltre rovesciati rispetto a quelli della riga successiva e bisogna
rovesciare la tavoletta per leggere.
I documenti di questa scrittura, raccolti dai missionari e dagli archeologi, sono poco più di una
ventina, sparsi in diversi musei. Le informazioni, raccolte dagli ultimi depositari delle tradizioni
dell'isola, hanno rivelato che la conoscenza e la riproduzione delle tavolette erano appannaggio di
cantori chiamati rongo-rongo che si tramandavano genealogie, inni e racconti. Le tavolette o bastoni
incisi erano, infatti, chiamati kohau rongo-rongo o bastone del cantore ed erano oggetti sacri. Si ritiene
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che i segni incisi costituissero un aiuto mnemonico per i cantori e infatti, messi di fronte alle tavolette,
gli ultimi conoscitori iniziavano a declamare lunghe filastrocche.
FINE RAPANUI
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