IL SUPERAMENTO DELLA LEZIONE FRONTALE

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IL SUPERAMENTO DELLA LEZIONE FRONTALE
Workshop n. 6
Silvia Andrich, Lidio Miato e Mario Polito
IL SUPERAMENTO DELLA LEZIONE FRONTALE:
APPRENDIMENTO COOPERATIVO E LE RISORSE DEL GRUPPO CLASSE.
Desideriamo riflettere sulle modalità di attuazione dell’apprendimento cooperativo.
Sappiamo che si tratta di un’impostazione molto conosciuta e che comincia a diffondersi in
molte scuole. Molti insegnanti nella loro pratica educativa e didattica, inseriscono segmenti
di apprendimento cooperativo, che arricchisce il già consolidato lavoro di gruppo.
Una piccola precisazione a questo proposito.
Desideriamo distinguere tra lavoro di gruppo ed apprendimento cooperativo. Il lavoro di gruppo consiste nel collaborare verso un obiettivo comune: si tratta di una pratica
molto conosciuta e diffusa. L’apprendimento cooperativo, invece, è una modalità un po’ diversa dal lavoro di gruppo, in quanto è focalizzato sull’apprendere insieme l’uno con l’altro,
l’uno dall’altro, l’uno per l’altro. È un approccio che comincia ad essere conosciuto apprezzato e praticato.
Vogliamo focalizzarci su 5 punti:
1. Il superamento della preminenza della lezione frontale.
Si tratta di arricchire la lezione frontale con altre forme di approccio didattico e pedagogico: l’apprendimento cooperativo, il tutoring tra pari e le risorse del gruppo classe.
2. La difficoltà di attuazione dell’apprendimento cooperativo
Attraverso l’attuazione di queste pratiche di apprendimento cooperativo, vengono
segnalate alcune difficoltà e vorremmo partire da queste, per stabilire con gli insegnanti un
punto di incontro immediato.
3. Questionario del benessere in classe
Dopo vogliamo presentare alcuni risultati di un questionario sul benessere in classe,
che ci permette di analizzare dettagliatamente molti item che possono essere raggruppati
sotto il concetto di clima di classe, di benessere in classe.
Desideriamo evitare la generalizzazione e scendere nel concreto e vedere di cosa è
composto ciò che noi chiamiamo apprendimento cooperativo, quali sono le caratteristiche
fondamentali che possono essere osservate nella classe.
4. Impostazione pedagogica dell’apprendimento cooperativo
Al terzo punto, vogliamo approfondire l’impostazione dell’apprendimento cooperativo, individuando le numerose risorse che esso possiede e fornendo alcune indicazioni per
affrontare le difficoltà di attuazione che esso fa emergere.
5. Alcune strategie dell’apprendimento cooperativo.
Infine, vogliamo dedicare una riflessione su alcune strategie.
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Molti insegnanti, infatti, ci chiedono delle strategie operative. In realtà, queste non
mancano.
Desideriamo offrire qualcuna, solo come stimolo per poter entrare nello spirito
dell’apprendimento cooperativo e inventare altre strategie, che come insegnante può escogitare quando si permette di attuare questa nuova modalità.
1. SUPERAMENTO DELLA PREMINENZA DELLA LEZIONE FRONTALE
È opportuno fare una precisazione.
Non desideriamo dare l’impressione di voler annullare il valore della lezione frontale. Essa possiede una lunga tradizione e indubbi vantaggi, specialmente quando si vogliono offrire molte informazioni ad un gran numero di persone.
Tuttavia, per quanto riguarda la rielaborazione, la discussione, il confronto, lo
scambio, l’apprendimento l’uno dall’altro, la lezione frontale presenta dei limiti, che possono essere superati, introducendo a fianco alla lezione frontale, altri approcci, tra questi
l’approccio dell’apprendimento cooperativo.
Vi sono molte ricerche che spingono verso il superamento della preponderanza della lezione frontale, che è ancora molto forte e preminente in molte scuole, in molte attività
didattiche.
Possiamo elencare alcune di queste indicazioni teoriche che invitano a superare tale preponderanza della lezione frontale.
1.1. Il costruttivismo
Cominciamo con il costruttivismo. Secondo tale teoria, la conoscenza è costruzione,
meglio ricostruzione delle conoscenze che ognuno di noi possiede.
Si tratta di una ricostruzione individuale, ma soprattutto sociale.
Partendo da questa impostazione, la lezione frontale è ancora poco costruttivistica,
anche se molte lezioni frontali, sono oggi correlate da una buona impostazione pedagogica e didattica, che utilizza schemi, lucidi, codici molteplici come quello verbale, quello visivo, quello audiovisivo.
C’è maggiore costruttivismo nella preparazione delle lezioni frontali, ma è ancora
insufficiente.
Il costruttivismo sottolinea che l’apprendimento avviene attraverso il confronto delle
varie mappe cognitive presenti in ciascuno degli studenti e nel gruppo classe.
L’insegnante può stimolare l’apprendimento, attraverso la pratica del prendersi cura, di come ciascuno e di come la propria classe, elabora, costruisce e ricostruisce le
mappe cognitive comuni.
Un autore Ph. Perrenoud (1984), sostiene che sia il successo scolastico, sia
l’insuccesso scolastico, è dovuto ad un processo di costruzione da parte di tutti gli attori
dell’attività educativa-didattica.
1.2. L’autobiografia intellettuale e narrazione del sé
Un altro filone che spinge verso il superamento della lezione frontale, è conosciuto
come autobiografia intellettuale o narrazione del sé (Gordon Pask 1975, D.Demetrio 1995)
Tale approccio, suggerisce l’idea che l’apprendimento non è meccanico, ma si intreccia con la narrazione del sé.
Ad uno studente, possiamo chiedere più efficacemente come lui ha appreso, come
si è coinvolto nello studio di un determinato problema e far emergere l’intreccio tra un argomento studiato e la sua narrazione esistenziale, la sua biografia intellettuale.
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All’interno del gruppo classe, abbiamo dunque molte biografie, molte forme di coinvolgimento, che possono essere espresse e raccolte come ricchezza di apprendimento.
Invece, la lezione frontale basata sulla spiegazione e sull’interrogazione, impedisce
di cogliere e di valorizzare le numerose pieghe narrative di ogni studente del gruppo classe.
1.3. La metacognizione
La metacognizione è un altro filone che suggerisce di superare la lezione frontale,
spingendo ogni alunno e il lavoro di gruppo, verso la riflessione e il controllo di come si
apprende, mettendo in evidenza le proprie mappe cognitive, le proprie strategie di controllo, le proprie valutazioni su come si è appreso (C.Cornoldi 1995, D.Ianes 1996).
È noto che gli studenti metacognitivi, apprendono di più e sono più disposti al lavoro
di gruppo, basato su un controllo reciproco di come apprendere, di quali strategie utilizzare
e di come verificare insieme i risultati ottenuti.
1.4. L’insegnante come ricercatore e come “professionista riflessivo”
Un’altra indicazione verso il superamento della preponderanza, della lezione frontale, è data da un filone della ricerca, basato sull’insegnante come ricercatore, come professionista riflessivo (A.D.Schön 1993).
Schön ha sottolineato l’importanza di modificare la figura dell’insegnante da semplice trasmettitore delle informazioni, a ricercatore, a professionista che riflette sul proprio
modo di insegnare e che apprende da questa riflessione, a migliorare la sua qualità professionale.
L’insegnante ricercatore, si impegna, utilizzando ciò che sa, ciò che ha appreso nel
suo curricolo informativo, per impostare nuove ricerche. Ricerche fatte insieme con i propri
alunni.
Questa impostazione dell’insegnante ricercatore, ha una lunga tradizione. È presente ad esempio, in C. Freinet (1969), il quale fin dagli anni ’30, aveva provocatoriamente eliminato i libri di testo ufficiali, e cominciato a costruire insieme ai propri alunni, i propri libri
di testo, costituiti da ricerche fatte insieme.
Questo filone, è stato approfondito in Italia, da Mario Lodi (1974) che nel libro “Insieme”, descrive il lavoro raccolto accuratamente dai propri alunni giorno per giorno. È un
esempio di superamento della didattica frontale e di un modello di insegnante, che insieme
ai propri alunni, diventa ricercatore.
Bisogna passare da metodologie dove l’attore principale risulta essere l’insegnante,
a metodologie dove gli attori siano i ragazzi e il docente diventi sempre più il regista del
processo apprenditivo. È per questo che dovremmo cambiare il modello di insegnamentoapprendimento, da uno di tipo individualistico-competitivo ad un altro di tipo collaborativodemocratico (Dewey, 1916).
Per costruire un clima adatto, occorre che l’insegnante:
a) sia autocritico e riflessivo e favorisca la comunicazione interattiva tra i ragazzi
(abilità di discussione), affinché essi possano passare da un ruolo più passivo inteso
come ascoltatori e fruitori di informazioni, a uno più attivo e partecipativo;
b) modifichi la convinzione che la principale fonte di apprendimento per gli alunni
sia l’insegnante; ci sono agenzie e reti informative più potenti della scuola, pensiamo
ad esempio alle possibilità di internet;
c) possieda buona autostima, sappia autoregolarsi, ottimizzare e monitorare il proprio tempo e quindi accetti le sfide educative, anche quelle difficili da realizzare e che
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prevedono un forte impegno, si aggiorni continuamente e studi le strategie più efficaci
di insegnamento, imposti il suo lavoro come occasione di ricerca-azione;
conosca e favorisca modi diversi di apprendere e di fare esperienza; pensiamo ai
diversi stili apprenditivi e allo sviluppo delle diverse intelligenze duttili (H.Gardner
1987), all’importanza di variare le tipologie dei linguaggi utilizzati e dare continuità al
lavoro, richiamando alla memoria le conoscenze pregresse e attivando organizzatori
logici e anticipati (D.P.Ausubel 1978); facciamo fare esperienze ai ragazzi di lavoro di
gruppo, di laboratorio, di stage al di fuori della scuola, di cooperative scolastiche, dove
l’esperienza è vista come esercizio del comportamento che incarni un valore (situated
learning);
cerchi di valorizzare i punti di forza dei ragazzi; non sottolineando subito i punti deboli, ma cominciando dalla valorizzazione, dal positivo e non dalla svalorizzazione; affianchi il ragazzo, lo aiuti, lo orienti, lo sostenga, lo incoraggi ad accettare le sfide, a vivere l’errore come risorsa per capire meglio il processo apprenditivo attuato e l’efficacia
o meno delle strategie utilizzate per raggiungere l’obiettivo; è importante far prendere
coscienza ai ragazzi delle proprie capacità, delle proprie potenzialità, di quanto potrebbero fare con l’impegno. lo sforzo, la fatica (“cosa sono capace di fare, dove potrei arrivare se solo lo volessi e mi sforzassi di più…”);
permetta a tutti di esprimersi, apprezzi i suggerimenti degli alunni, non giudichi e
non valuti tutto ciò che viene detto dagli alunni; in una comunità educante tutti devono avere la possibilità di esprimere le proprie idee e opinioni, senza paura di sbagliare, di essere giudicati o essere censurati, anzi in una comunità del genere l’insegnante
stimola con domande aperte e valorizza la partecipazione con lodi e apprezzamenti;
valorizzi la partecipazione con lodi e stimoli i ragazzi ad intervenire indicando
quali abilità trasversali ci si aspetta vengano apprese (es. ascoltare, parafrasare,
incoraggiare i compagni, dare il proprio contributo, aiutare i compagni, non reagire in
modo valutativo, imparare a superare i conflitti e raggiungere il consenso, rispettare il
proprio turno di discussione, parlare pacatamente e con gentilezza, rispettare gli altri;
abilità queste che innanzitutto devono essere agite dall’insegnante);
stimoli con domande aperte e richieste di pensare insieme ad un argomento in
piccoli gruppi, per poi riferire le proprie idee a tutta la classe; le domande chiuse
del tipo sì o no oppure quelle a completamento, dove bisogna trovare la parola giusta
mancante, non favoriscono il confronto e lo scambio di opinioni, cosa che avviene con
domande aperte da sviluppare nel piccolo gruppo;
sappia ascoltare attivamente, mostrando interesse, empatia e ricercando soluzioni mediate e condivise; la verità non sta mai tutta da una parte, occorre comprendere le ragioni dell’uno e dell’altro, per poi cercare quella mediazione che trovi una
nuova posizione dove ciascuno ritrova parte delle proprie argomentazioni, ma non tutte; la ricerca di questo equilibrio condiviso è molto importante nella risoluzioni dei conflitti, dove non ci sono perdenti, ma dove si è un po’ tutti vincitori;
progetti la sua lezione in modo flessibile, prevedendo momenti di contrattazione
dove gli alunni possano scegliere tra una gamma di alternative (autonomia di
scelta); pensiamo a come può essere formativa la scelta fatta insieme degli obiettivi,
del tema, delle modalità di lavoro, dell’ordine di esecuzione, dei tempi, delle ricompense, dei momenti di confronto e di elaborazione a piccoli gruppi, di riflessione metacognitiva a livello di intergruppo (alternanza tra momenti di relazione insegnante-alunni e
momenti di relazione solo tra compagni);
agisca in modo coerente; l’insegnante è un modello per gli alunni, quindi deve dare
l’esempio e agire di conseguenza; La scarsa coerenza, invece, crea disagio e disaffezione nella classe, comportamenti negativi e distruttivi, insoddisfazione e crisi
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d’identità. Quando il modello di gestione della classe non è condiviso dall’intero consiglio di classe, si possono verificare incoerenze didattiche che portano spesso a situazioni conflittuali con i ragazzi e le famiglie: Per questo utili possono essere i contratti
formativi tra docenti che chiariscano bene il modello di gestione della classe e i comportamenti da attuare per rispettare e far rispettare le regolo concordate con i ragazzi
(pensiamo a regole e sanzioni riparatorie condivise da tutti, sottofirmate da tutti gli insegnanti e da tutti i ragazzi e appese in classe in un posto ben visibile);
condivida con i ragazzi le scelte educative e i criteri di valutazione degli apprendimenti; coinvolgere i ragazzi nelle scelte, permette di farli sentire parte attiva nella
progettazione curricolare e favorisce la motivazione all’impegno; anche nella valutazione è importante far vedere come si reperiscono i dati che saranno oggetto di giudizio e
quale peso viene a questi attribuito (ad esempio 5 punti se non ci sono errori ortografici, 4 punti se ce ne sono da uno a cinque, 3 punti se ce ne sono da 6 a 10, 2 punti se
ce ne sono da 11 a 15 e 1 punto se ci sono più di 15 errori); è questo un passaggio
molto utile per insegnare ai ragazzi ad autovalutarsi e confrontare la propria autovalutazione con quella dell’insegnante; quando l’autovalutazione e la valutazione coincidono, allora vuol dire che c’è sintonia tra insegnanti e alunni;
attui il monitoraggio insieme agli alunni il percorso apprenditivo e i processi cognitivi dei singoli alunni e di ogni gruppo; per far questo occorre costruire degli
strumenti di controllo del processo apprenditivo del gruppo e di ciascun alunno; utili a
tal fine possono essere delle semplici domande metacognitive. alle quali rispondere al
termine di ogni fase del lavoro programmato (“ci sembra che il lavoro fin qui svolto sia
soddisfacente? Perché? I tempi programmati sono stati rispettati? Se no, perché?”);
si metta in gioco per primo, funga da modello positivo esperto e stimoli la generalizzazione; se vogliamo, ad esempio, che i ragazzi imparino un metodo di studio, iniziamo con far vedere loro come studiamo, poi confrontiamo il nostro metodo di studio
con il loro e cerchiamo di individuare i punti forti e deboli di ciascun metodo in modo
che poi ciascuno costruisca quello più adatto a se stesso; se viceversa vogliamo aiutare i ragazzi a scrivere testi regolativi, dobbiamo per primi metterci in gioco facendo vedere come noi scriviamo un testo di questo genere;poi attraverso la discussione di quali possibilità avevamo a disposizione e del perché e stata fatta proprio quella scelta, abituiamo i ragazzi al confronto e a prendere maggior consapevolezza di quanto si sta
facendo; attraverso l’analisi dei punti forti e dei punti deboli del modello proposto, si
può cercare insieme altri contesti dove quel modello può essere utilizzato in modo efficace; in tal modo si aiutano i ragazzi a compiere una generalizzazione del modello e
costruire modelli più adatti alle caratteristiche della loro personalità e più rispondenti ai
loro bisogni e capacità;
favorisca l’identità, il lavoro di gruppo e l’interdipendenza positiva;
l’interdipendenza positiva viene vissuta dal ragazzo come convinzione di aver bisogno
dei compagni per raggiungere l’obiettivo, ma che questo non può essere raggiunto
senza il proprio apporto; unendo le forze e le idee si possono superare meglio i vari
problemi, inoltre ci si sente importanti per gli altri (“non posso mancare, perché senza
di me il lavoro non può essere concluso”). L’interdipendenza positiva favorisce la costruzione dell’identità, nel senso che aiuta il ragazzo a scoprire chi è, a sentirsi accettato e riconosciuto dagli altri a scuola, in classe, nel gruppo di amici, nello sport. In famiglia e nei vari gruppi sociali. Ciascun ragazzo ha bisogno di costruire qualcosa di riconoscibile dagli altri che sia stabile nel tempo. Anche le caratteristiche attribuite al ragazzo devono avere la valenza della stabilità. Tutti devono dire: “E’ un bravo ragazzo”.
Oppure “E’ un ragazzo svogliato, che va male a scuola”. Ci deve essere una certa coerenza tra le attribuzioni di identità e i comportamenti attuati dal ragazzo, perché queste
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attribuzioni creano aspettative che condizionano i comportamenti: “faccio quello che gli
altri si aspettano da me”; “devo essere me stesso, una persona sola, riconoscibile agli
altri, ben identificato (nel bene e nel male) e non ‘uno, nessuno, centomila’ come nella
commedia di Pirandello”. E’ importante, quindi, avere aspettative positive nei confronti
dei ragazzi, aiutare il formarsi dell’identità sociale positiva nel gruppo dei pari, enfatizzare le capacità e le potenzialità di ciascuno e fare in modo che il gruppo le riconosca e
le utilizzi per raggiungere i propri obiettivi. Ciascuno deve avere un ruolo attivo e riconoscibile all’interno del gruppo. Dobbiamo cercare di evitare il pericolo di instradare i
ragazzi all’insuccesso, prospettando delle aspettative negative o delle sfide di basso livello, per non incorrere nell’effetto Pigmalione ovvero della profezia che si autoavvera
(Rosenthal e Jacobson 1972);
p) favorisca l’autoconsapevolezza individuale e di gruppo e aiuti la riflessione metacognitiva sui processi attuati (C.Cornoldi 1995); è importante che il gruppo riveda
insieme all’insegnante come ha lavorato e come ha migliorato il proprio stile cooperativo (riflessione che può avvenire sia discutendo insieme, sia scrivendo prima singolarmente le proprie valutazioni, per poi confrontarsi insieme); è attraverso il confronto stimolato con domande aperte che si promuove la consapevolezza metacognitiva, dando
la possibilità ai ragazzi di precisare meglio il proprio pensiero, di sostenerlo e rispondere ai dubbi degli interlocutori, di vagliarlo alla luce delle obiezioni, delle contrapposizioni, di analizzare le alternative. Anche l’errore diventa occasione di riflessione e confronto su quali siano le strategie più efficaci o per prendere maggior consapevolezza dei
processi cognitivi attuati;
q) sia democratico, entusiasta, positivo, motivato; è importante che al docente piaccia
insegnare, stare con i ragazzi, aiutarli a valorizzare i loro talenti, a sperimentare la democrazia, la libertà delle scelte consapevoli, la condivisione e il rispetto reciproco, la
solidarietà; solo chi fa con entusiasmo il proprio lavoro riesce a trasmettere questo entusiasmo ai ragazzi. La pedagogia democratica è la pedagogia della proposta, del ricercare insieme, dove ciascuno mette in campo le proprie competenze per aiutare gli
altri (P.Freire 1975, 1980). E’ una pedagogia dell’aiuto e del rispetto reciproco, del dare
agli altri, della responsabilità individuale, rispetto al proprio apprendimento e a quanto
si fa per gli altri, e di gruppo, rispetto alla partecipazione, all’ottimizzazione del tempo a
disposizione, all’aiuto reciproco, al rispetto delle regole concordate, al rispetto di tutti e
di ciascuno, alla valorizzazione delle differenze e dei diversi apporti per il conseguimento dell’obiettivo comune. La democrazia richiede meno competizione all’interno del
gruppo classe e più cooperazione, più condivisione dei valori e delle norme di solidarietà attiva, positiva, partecipata e non passiva. Questo vale per l’insegnante, ma deve
valere anche per ciascun ragazzo.
r) insegni le abilità sociali anche attraverso l’interdipendenza dei ruoli; una classe
dove si sta bene è quella organizzata, dove ognuno ha ben chiari i compiti e i ruoli da
giocare al suo interno; per questo è importante dedicare un congruo tempo
all’organizzazione dove ciascuno partecipa con ruoli diversi al benessere di tutti (pensiamo ai vari incarichi come il distributore e il raccoglitore dei quaderni, il responsabile
del ricambio dell’aria in classe, il responsabile del segnalare i compiti agli assenti, il responsabile della raccolta dei buoni pasto per la mensa, il responsabile
dell’organizzazione dei compleanni, il responsabile del benessere delle piante,…;
l’insegnante oltre a insegnare le abilità sociali, le deve rinforzare continuamente, sottolineando i comportamenti prosociale (M.De Beni 1998) e cercando di trovare alternative a quelli antisociali; nel piccolo gruppo i ruoli sociali da attivare possono essere il
controllore del volume della voce, il controllore del tempo, il responsabile dei materiali,
l’incoraggiatore, il chiarificatore, il moderatore;
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s) instauri un rapporto costruttivo con le famiglie e con il territorio; solo lavorando in
sinergia con le famiglie e le altre agenzie educative territoriali, possiamo rendere più efficace il progetto formativo e aiutare i ragazzi a costruirsi un’identità sociale. A tal fine
possono essere utili i contratti formativi che si instaurano con le famiglie dei ragazzi e i
patti territoriali, che hanno lo scopo di creare sinergie tra le varie agenzie formative ed
aiutare il ragazzo a costruirsi un proprio “progetto di vita”.
1.5. La mediazione
La prospettiva di L.Vygotskij (1934) esemplificata da Dixon-Krauss, L. (2000) e
quella di R.Feuerstein (1980), sottolineano l’importanza della mediazione. La cultura è
mediazione. L’insegnante è un mediatore, non un trasmettitore, una persona che prende
per mano i propri allievi dal punto dove sono in questo momento e li porta, li conduce verso nuove prospettive, utilizzando mediazioni culturali.
1.6. La conoscenza come costruzione sociale
Alcuni autori, come Doise e Mugny (1982), Perret-Clermont (1996), hanno sottolineato nelle loro ricerche il carattere sociale della conoscenza.
Partendo da questa impostazione, si può ampliare la lezione frontale prendendosi
cura di come la conoscenza sia un lavoro condiviso.
Attraverso la lezione frontale, passano alcune informazioni, ma la costruzione e la
rielaborazione delle informazioni, giunge attraverso una condivisione comune, che deve
essere ancora estesa in ambito scolastico.
Consideriamo poi il filone dell’apprendimento cooperativo a partire da quello europeo, a cominciare appunto da C. Freinet, M. Lodi e da quello americano, a partire dei fratelli Johnson (1996), da Sharan (1998) e molti altri (si veda la rassegna di Comoglio e
Cardoso 1996) che hanno sottolineato l’importanza dell’apprendere insieme, come una
strategia metodologica, che permette un approfondimento più duraturo, più coinvolgente,
più stabile.
1.7. Le risorse formative e didattiche del gruppo classe
Possiamo quindi considerare il gruppo classe come un gruppo formativo (M. Polito,
2000). Molto spesso si fa lezione davanti al gruppo classe, ma non si coinvolgono le risorse educative e didattiche che il gruppo classe possiede.
Se noi guardiamo al gruppo classe come ad un insieme di persone che portano nella classe prospettive culturali, risorse conoscitive, strategie e metodologie, è più facile superare la lezione frontale, recuperando ciò che gli studenti già possiedono come preconoscenze o acquisizione degli anni scolastici precedenti. È riversare tutto in un progetto di
approfondimento più approfondito ed ampio.
Anche il computer come tutor, può permettere un ampliamento della lezione frontale
e l’insegnante può utilizzare questo strumento, come strumento di ricerca, ma anche di
apprendimento e di controllo degli errori.
Il computer può essere usato come strumento di insegnamento. L’insegnante può
organizzare le lezioni attraverso il computer e assegnare ad un gruppo di studenti, un tipo
di attività diversa da quelle assegnate agli altri.
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1.8. La metodologia della ricerca-azione
Un altro filone che permette di ampliare e superare la preminenza della lezione
frontale è la metodologia della ricerca-azione.
Essa è stata avviata da Kurt Lewin (si veda Trombetta C. e Rosiello L. 2000) negli
anni ’40 in America e si è diffusa notevolmente in Europa; sostiene l’importanza
dell’apprendimento attraverso una ricerca che abbia una ricaduta nell’attività quotidiana,
nel comportamento.
La capacità di intrecciare ricerca ed azione permette di superare la separazione tra
apprendimento teorico e apprendimento pratico.
Questa impostazione, permette di integrare le lezioni frontali con delle esercitazioni
adeguate, che non sono semplici esercizi di ciò che si è appreso nelle lezioni frontali, ma
sono delle esperienze che permettono di intrecciare l’apprendimento teorico e quello pratico.
Per tutte queste varie considerazioni, è possibile pensare ad un superamento della
lezione frontale, salvaguardandone il valore specifico che deve essere riconosciuto, rispettato, ma nello stesso tempo anche ampliato, utilizzando tutti questi suggerimenti, sia della
ricerca teorica, che di quella pratica.
2. LE DIFFICOLTÀ DI ATTUAZIONE DELL’APPRENDIMENTO COOPERATIVO
Passiamo adesso ad alcune considerazioni sulle difficoltà che emergono quando un
insegnante decide di utilizzare nella propria didattica, l’approccio dell’apprendimento cooperativo.
Tutti conosciamo le numerose risorse dell’apprendimento cooperativo, ma quando
cerchiamo di realizzarle, ci accorgiamo che emergono numerose difficoltà. Può succedere
ad esempio che il giorno prima, abbiamo cercato di creare un buon clima di classe, e il
giorno dopo, può emergere una situazione conflittuale molto forte. Questo ci fa comprendere che l’apprendimento cooperativo, è un atteggiamento, non una conoscenza di un
gruppo di informazioni.
L’apprendimento cooperativo richiede tempi lunghi e ed una profonda convinzione
del valore formativo di un clima di classe cooperativo ed affiatato.
In mancanza di questo clima di classe, è difficile educare, ma e anche è difficile insegnare.
2.1. Il tempo delle relazioni e della collaborazione
Il tempo dell’apprendimento cooperativo è differente dal tempo della lezione frontale.
Il tempo della lezione frontale, può essere stretto, ridotto. In venti minuti, si possono
dare molte informazioni su un tema come ad esempio la fotosintesi clorofilliana.
Ma quando si adotta l’apprendimento cooperativo, basato sulle preconoscenze che
ogni ragazzo possiede su questo tema e come le può riversare sul gruppo, come può imparare dagli altri, come può integrare le proprie informazioni con quelle degli altri, come
collaborare verso un compito comune, un ipertesto su questo tema, oppure un cartellone,
oppure una ricerca con lucidi o con diapositive di power point.
Tutto questo richiede tempi anche molto più lunghi.
Non è facile attuare l’apprendimento cooperativo rimanendo sempre nell’ambito dei
tempi stretti della lezione frontale. Qualcuno fa l’obiezione e dice: l’apprendimento cooperativo richiede troppo tempo, non abbiamo tempo e quindi lo si mette da parte.
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Questa obiezione è comprensibile, perché molta parte della nostra attività didattica
è ancora basata sui tempi stretti della lezione e sulla verifica o interrogazione.
Una scuola che si prende cura di come i ragazzi apprendono, è più interessata a
facilitare un apprendimento più solido, più metacognitivo e quindi a richiedere tempi più
lunghi.
Inoltre l’apprendimento cooperativo si verifica quando esiste all’interno del gruppo,
un buon affiatamento, quando si è dedicato molto tempo a far emergere il buon clima di
classe, il senso del noi, il senso della comunità di apprendimento.
Questo non è facile da raggiungere e richiede un impegno specifico, continuo e tenace.
Già Albino Bernardini, nel libro “Un anno a Pietralata” (1976), aveva descritto il passaggio dall’impossibilità di fare una lezione frontale in una classe di ragazzi di borgata, disinteressati, annoiati e alcuni dei quali dei veri e propri monelli, aveva dimostrato quanto
fosse inefficace la lezione frontale e quanto invece attraverso l’apprendimento cooperativo
che si rifaceva alle teorie di Freinet, era riuscito a coinvolgere questi ragazzi
all’apprendimento e al voler venire a scuola volentieri.
Per questa ragione è importante considerare come attività specifica dell’insegnante,
non solo l’insegnamento, ma la didattica, l’impegno a far apprendere, a prendersi cura di
come apprendono.
Un insegnante che insegna soltanto, fa la cosa più facile.
Invece interessarsi a come gli studenti apprendono, prendersi cura, come faceva
Don Milani, di come apprendono, crediamo sia specifico di una didattica di servizio. E’
questa la didattica del dare, più si dà e più si riceve, è una didattica democratica del coinvolgimento attivo dei ragazzi. Anche loro non devono più aspettarsi di ricevere, ma devono
dare, aiutare gli altri, mettere a disposizione le proprie competenze per raggiungere obiettivi comuni. Ognuno deve fare la sua parte, deve spendere i talenti che possiede, sentirsi
di appartenere ad un gruppo, ad una comunità che lo accetta e lo aiuta, condividere gli obiettivi del gruppo di apprendimento, i percorsi educativi, i criteri di valutazione, i modi per
gratificarsi e gioire del lavoro svolto assieme. Questo favorisce la costruzione del senso di
identità personale e dell’identità del gruppo.
2.2. Distinzione tra socializzazione e apprendimento cooperativo
Un’altra difficoltà che è emersa in alcune scuole quando hanno attuato
l’apprendimento cooperativo, è stata quella di limitarsi ad un aspetto dell’apprendimento
cooperativo che è la socializzazione e la collaborazione: una grande risorsa, ma non è sufficiente.
Noi vogliamo qui sottolineare non soltanto il termine cooperativo, ma anche il termine apprendimento.
L’apprendimento cooperativo è sopratutto apprendimento, non solo socializzazione
in presenza. Non è solo star bene insieme, collaborare, ma anche apprendere e soprattutto apprendere insieme, crescere insieme, prendersi insieme cura della autorealizzazione
di ciascuno, imparare a pensare collettivamente e formare il pensiero di gruppo.
Si tratta naturalmente di un obiettivo molto ambizioso, ma che costituisce il nucleo
essenziale dell’apprendimento cooperativo, verso il quale ci impegniamo a stimolare ogni
gruppo di insegnanti, che intraprende questa strada, perché i risultati maggiori, emergono
proprio quando si impara l’uno dall’altro, l’uno con l’altro, l’uno per l’altro. Quando si impara a conoscere, a pensare e a risolvere i problemi insieme.
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L’apprendimento cooperativo come approccio, possiede un’etica della comunità che
si prende cura di tutti, nessuno escluso, ed è molto adeguato al mondo contemporaneo
che è basato su una forma di collaborazione di tutti i popoli e di tutte le nazioni.
Inoltre, quando si parla di apprendimento cooperativo, si tende a valorizzare soprattutto le risorse degli studenti, mentre si trascurano le risorse degli insegnanti.
2.3. Il questionario di benessere in classe sia degli studenti che degli insegnanti
Abbiamo utilizzato un “Questionario di benessere in classe” (M. Polito, 2000), per
valutare come gli studenti si sentono in classe, ma è necessario elaborare al più presto un
questionario di benessere in classe degli insegnanti.
Anche gli insegnanti devono star bene per poter insegnare bene ed educare bene.
Soprattutto contenere e affrontare il cosiddetto “burnout” degli insegnanti, lo stress degli
insegnanti, come sostengono M. Di Pietro e L.Rampazzo (1997).
L’esaurimento emotivo degli insegnanti, è qualcosa che non è conosciuto
dall’opinione pubblica e deve essere tenuto in considerazione e superato.
Pertanto, ci impegniamo a sottolineare l’importanza di costituire in quelle scuole che
adottano l’apprendimento cooperativo, anche forme di cooperazione tra gli insegnanti.
Gli insegnanti come gruppo, possono recuperare le loro risorse e imparare insieme,
ma soprattutto imparare a progettare insieme, a comunicare insieme, ad educare insieme.
Si tratta di costituire una comunità educativa.
L’apprendimento cooperativo tra gli insegnanti, costituisce una risorsa importantissima che trasmette un messaggio di cooperazione quotidianamente. Non è necessario fare delle belle prediche.
È sufficiente per gli studenti, vedere come gli insegnanti collaborano. Come le risorse dell’uno arricchiscono quelle dell’altro. Come le lacune dell’uno sono completate
dall’altro.
2.4. Le regole condivise
Un’altra situazione che emerge quando gli insegnanti attuano l’apprendimento cooperativo, riguarda le regole condivise.
L’apprendimento cooperativo ha bisogno di regole condivise.
Bastano poche regole ma è necessario accompagnare le regole da argomentazioni
convincenti.
È necessario che gli studenti elaborino dei contratti formativi, in cui si impegnano
come gruppo, oppure individualmente con gli insegnanti su determinati punti di crescita
personale e di profitto scolastico.
Qualche insegnante ci riferisce che alcuni studenti di fronte a questa modalità, si rifiutano di lavorare in gruppo.
Cosa fare in questo caso? Innanzitutto si tratta di vedere come viene impostato il
lavoro di gruppo. Se viene impostato come qualcosa che deve essere fatta e quindi imposta, si crea una riduzione delle risorse del gruppo classe.
Le risorse di gruppo vanno pensate, rielaborate, accolte come una ricchezza. Se
manca questa elaborazione personale del valore arricchente del gruppo, non è possibile
attuare l’apprendimento cooperativo.
È necessario pertanto costruire l’identità di gruppo, il “senso del noi”, il senso della
comunità. I ragazzi devono sperimentare questa opportunità di crescere e di pensare insieme, per potersi coinvolgersi positivamente nel gruppo.
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Altrimenti lo contestano come qualcosa di imposto e di inefficiente. Quindi è necessario rimotivare questi studenti, e colmare queste loro obiezioni attraverso argomentazioni
più convincenti e sperimentazioni che portino al successo formativo.
Qualche insegnante ci chiede: «Ma uno studente che non vuole lavorare in gruppo
ma da solo, cosa si deve fare? Imporglielo?».
Se lo si impone, lui ha una occasione in più di ribellarsi. Resiste generalmente in
due modi: o aggressivamente sabotando il lavoro degli altri o passivamente, anche qui sabotando nascostamente il lavoro altrui.
Si tratta di lasciar scegliere ai ragazzi la possibilità di lavorare sia da solo, sia in
gruppo.
Essi devono scoprire i vantaggi del lavorare con gli altri, del confronto costruttivo,
dell’aiuto reciproco, della negoziazione, della condivisione, del successo corale,…
È necessario che gli studenti anche nell’apprendimento cooperativo, possano sia
lavorare sia da soli, sia in gruppo. Il lavoro fatto da soli, può diventare una rielaborazione
più personalizzata da portare nel gruppo come base di confronto.
L’esempio dell’orchestra, a questo proposito è molto appropriato. Ogni studente deve saper suonare bene il proprio strumento per poter suonare in gruppo e il suono orchestrale del gruppo, è molto più ricco di quello di ciascuno, ma si basa sulle competenze individuali di ciascuno che vengono ampliate dalle competenze del gruppo.
2.5. L’alfabetizzazione emotiva
Infine, tra le varie difficoltà che abbiamo potuto raccogliere dagli insegnanti, è emersa la difficoltà di una alfabetizzazione emotiva.
Per lavorare in gruppo, apprendere insieme dagli altri, con gli altri e per gli altri, sono necessarie molte abilità emotive che possono essere apprese e che sono necessarie
affinché si possa emergere un buon gruppo di apprendimento cooperativo.
È necessario ad esempio sviluppare l’interesse per l’altro, l’ascolto, il rispetto,
l’accoglienza, la valorizzazione, l’entusiasmo verso la ricchezza che è costituita da ognuno, la fiducia reciproca, l’empatia, la tolleranza, l’apprezzamento delle diversità, le varie
abilità sociali e prosociali, la capacità di saper mediare nelle difficoltà e situazioni di conflitto, l’apertura cognitiva verso i panorami degli altri, la responsabilità, il prendersi cura. Tutte
abilità emotive che fan parte dell’intelligenza emozionale, che come ha scritto D. Goleman
(1996), sono importanti sia a scuola, sia nella vita.
Possiamo dimenticare la lezione sugli etruschi o molte altre informazioni, ma è difficile perdere quelle emozioni, che mi mettono in condizione di collaborare con gli altri fino
all’ultimo giorno di vita.
Pertanto, sottolineiamo l’importanza per quegli insegnanti che desiderano attuare
l’apprendimento cooperativo in classe, di sviluppare l’apprendimento delle abilità sociali,
facendo attenzione ad almeno queste cinque abilità:
riconoscere le emozioni personali e quelle degli altri;
saperle verbalizzare;
tener conto dei nostri sentimenti e di quelli altrui;
saper aiutare chi ha bisogno;
saper risolvere i conflitti attraverso l’atteggiamento costruttivo, in cui sia possibile
che i contendenti siano entrambi vincenti alla fine di questa risoluzione.
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2.6. L’educazione alla pace
Come ultimo suggerimento indichiamo quello di sviluppare un’educazione alla pace,
non perché siamo buoni o migliori degli altri, ma perché è necessaria. Con la pace, diceva
lo storico latino Sallustio, si conservano tutti i beni; con la guerra si distruggono tutti i beni.
Quindi l’educazione alla pace, come un percorso dell’apprendimento cooperativo,
intesa come strategia di risoluzione dei conflitti: non si negano i conflitti, non si dice siamo
tutti buoni, che questi non ci sono, ma i conflitti sono necessari e vanno affrontati con il
dialogo pacato, con lo sforzo di capire l’alto, di metterci nei suoi panni, senza rinnegare le
nostre esigenze, ma cercando quel punto di equilibrio che possa soddisfare sia le nostre
esigenze, sia quelle dell’altro.
3. IL QUESTIONARIO DEL BENESSERE IN CLASSE
Consideriamo adesso il questionario del benessere in classe citato in M. Polito
(2000).
Questo
questionario
(può
essere
scaricato
dal
seguente
sito
http://www.mariopolito.it/Quest_ben_scale.htm) è composto da 100 items formulati al positivo e il suggerimento che ogni item è graduato da 0, 1, 2, 3, 4 che corrispondono alla seguente valutazione: no o per niente, un po’, abbastanza, molto e moltissimo, in modo che
per ogni item, ci sia la possibilità presso gli studenti, di poter scegliere la gradazione di ogni situazione, che viene richiesta di valutare.
Quando sono stati raccolti tutti i dati, è opportuno analizzarli sia a subtest come è
descritto nel libro, sia anche mettendo in ordine gli item da quello che ha avuto il punteggio
più basso, a quello che ha avuto il punteggio più alto.
In questo modo, si vede immediatamente quali sono i punti carenti e quali sono i
punti forti di un gruppo classe. È possibile far confronti tra un momento di valutazione della
situazione iniziale e un momento finale dopo aver attuato un intervento cooperativo.
Oppure si possono fare confronti tra classi differenti o la stessa classe dello stesso
anno o negli anni successivi.
Sono tutti quanti elementi che permettono di analizzare il concetto di benessere in
classe in termini analitici.
Si può poi pensare di attuare nell’anno successivo, degli interventi specifici proprio
per quegli item che hanno avuto un punteggio più basso.
Vediamo soltanto i primi dieci item, che hanno ricevuto il punteggio più basso e i
dieci che hanno ricevuto il punteggio più alto.
3.1. Gli items con il punteggio più basso
Cominciamo da quelli che hanno ricevuto il punteggio più basso. Questo ci permette immediatamente di capire come stanno le cose.
I risultati di questo questionario sono derivati da 122 studenti, 68 maschi e 52 femmine, di una scuola media.
Il questionario è stato compilato nel maggio del 2001.
Il punteggio più basso l’ha ricevuto il n. 23: “Mi piace studiare” con un punteggio di
46 su 100.
Poi “Mi è facile intervenire per chiedere spiegazioni”. Questo non ce lo saremmo
aspettati, perché ci fa comprendere quanto il clima di classe sia difficile e come sia necessario costruire un clima di fiducia reciproco tra gli studenti e il gruppo classe di insegnanti.
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31. A scuola il tempo passa velocemente
48%
32. I miei compagni mi stimano e mi apprezzano
53,7%
70. In classe ci confidiamo i nostri problemi
54%
91. Mi è facile ricordare ciò che ho studiato
54,1%
55. So predire e anticipare le conseguenze del mio comportamento
54,3%
47. Gli altri ascoltano con attenzione le mie proposte
54,7%
56. Rifletto prima di agire
54,7%
81. Il mio metodo di studio è efficace
55,3%
68. Manifesto apertamente i miei sentimenti senza ferire gli altri
55,6%
3.2. Gli item con il punteggio più alto
Il punteggio più alto l’ha ricevuto: “Mi piace lavorare in gruppo”: 83%
Non ci saremmo aspettati questa risposta, perché è poco coerente con quello che
hanno detto al n. 32: “I miei compagni mi stimano e mi apprezzano” con un punteggio di
53,7%.
Forse si tratta di un benessere apparente. Piace il lavoro di gruppo perché crea socializzazione, allegria, ma quando bisogna attuare l’apprendimento reciproco l’uno
dell’altro, l’uno con l’altro, l’uno per l’altro, si vede che sotto questa apparente voglia di star
bene insieme, di divertirsi, di giocare e scherzare, c’è una reale difficoltà ad incontrarsi, valorizzarsi ed apprezzarsi.
Item n.100. “Gli insegnanti ci aiutano quando siamo in difficoltà”: Il punteggio assegnato è stato di 80,5%. Questo è un risultato sul rapporto con gli insegnanti.
19. Mi piace lavorare in gruppo
83 %
100. Gli insegnanti ci aiutano quando siamo in difficoltà
80,5%
12. Durante la ricreazione mi diverto con i miei compagni
79,1%
28. Nella mia classe c’è un clima divertente e spiritoso
77,3%
45. Mi impegno a coltivare le mie amicizie
76,9%
3. Mi trovo bene con i miei compagni
75,2%
57. Sono autonomo nello svolgimento dei miei compiti
74,6%
48. Scherzo volentieri per creare un buon clima di amicizia
74%
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L’analisi di questi dati ci permette di considerare insieme sia le risorse di questi ragazzi che amano stare insieme, sia le loro difficoltà dal punto di vista dell’apertura reciproca, dell’apprendere l’uno con l’altro, l’uno dall’altro.
Il questionario sul benessere in classe può essere utilizzato per analizzare
dettagliatamente i vari ingredienti dello star bene insieme e successivamente attuare
progetti educativi più mirati, tenendo conto delle carenze emerse.
4. L’IMPOSTAZIONE DELL’APPRENDIMENTO COOPERATIVO
L’apprendimento cooperativo è stato ben descritto dalla ricerca che hanno fatto
Comoglio e Cardoso (1996) alla quale rimandiamo per un approfondimento di queste numerose impostazioni e per le ricerche su questo tema.
4.1. Le caratteristiche dell’apprendimento cooperativo
A noi interessa qui sottolineare cinque fondamentali caratteristiche
dell’apprendimento cooperativo:
l’interdipendenza positiva (“io ho bisogno dei miei compagni per portare a termine
il lavoro, ma anche loro hanno bisogno di me”). Riguarda la necessità di lavorare insieme
per un progetto comune e l’importanza di poter dare un contributo utile per l’obiettivo collettivo (l’enfasi è sul dare e non sul ricevere).
L’interazione reciproca faccia a faccia, come promozione del reciproco apprendimento, incoraggiamento, conoscenza reciproca, facilitazione degli sforzi reciproci per
raggiungere obiettivi comuni. Se manca questa interazione reciproca, è molto difficile attuare l’apprendimento cooperativo.
la responsabilità sia verso sé stessi, sia verso il gruppo, è importante che
l’insegnante valuti la qualità e la quantità dei contributi di ogni ragazzo al lavoro di gruppo
per il raggiungimento dell’obiettivo comune e poi comunichi questi risultati sia al gruppo sia
al singolo.
l’insegnamento delle abilità sociali, il gruppo non può funzionare efficacemente
se i membri non possiedono e non usano le necessarie abilità sociali; pensiamo ad esempio alla capacità di esercitare la leadership, di prendere delle decisioni condivise, di creare
fiducia, di comunicare e gestire conflitti.
la revisione metacognitiva, occorre riflettere continuamente sui risultati ottenuti e
sui processi attuati, per trovare le strade più efficaci e correggere i punti deboli, valorizzando invece quelli forti; è importante che si sviluppi anche questa capacità di valutare le
proprie competenze e il modo come esse sono state utilizzate e valorizzate per gruppo.
4.2. Il clima di classe
Non dobbiamo, però dimenticare che esistono differenti modalità di apprendimento:
quello individualistico, quello competitivo e quello cooperativo.
All’interno di un clima competitivo, gli studenti vogliono raggiungere un obiettivo
individuale, desiderando mostrare a se stessi e agli altri quanto sono bravi e competenti.
Il desiderio di apparire bravi e intelligenti per gli studenti altamente competitivi, è a
volte talmente forte, da sperare che i compagni, durante un’interrogazione o durante un
veloce ripasso collettivo, sbaglino o facciano scena muta, per poter rispondere al loro posto. Non di rado, nella nostra esperienza, alcuni insegnanti ci hanno raccontato che degli
studenti deliberatamente suggerivano cose errate. Certamente questo comportamento anticooperativo è supportato da una serie di atteggiamenti da parte di alcuni docenti che va© 2001 Erickson Portale Internet - www.erickson.it
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lorizzano e rinforzano la competizione più esasperata, fornendo modelli aggressivi e di derisione del debole e del meno bravo. Il criterio di valutazione che sottostà a questo clima è
riferito ad una norma esterna determinata dall’insegnante e da una graduatoria che va dal
più bravo al meno bravo. Spesso è esageratamente resa pubblica nel momento della consegna dei compiti. Il professore che comunica all’intera classe i voti individuali, cominciando sempre da chi ha ottenuto il voto più basso per poi gradualmente salire fino al voto del
più bravo (il cosiddetto “secchione”), incentiva moltissimo l’atteggiamento competitivo e il
nascere di emozioni e sentimenti negativi sia nei confronti dei più scarsi che dei migliori.
In questo clima vengono premiati solo i vincenti: partecipare non serve a molto. Una
massima che descrive bene la correlazione negativa che esiste tra persone e obiettivi in
un contesto competitivo è la seguente: “Se io nuoto, tu affoghi e se tu nuoti, affogo io”, che
tradotta in classe potrebbe suonare come: “È nel mio interesse che tu faccia male
ed è nel tuo interesse che faccia male io”).
Anche in un clima individualistico il singolo studente tende a perseguire un obiettivo individuale, anche se, in questo caso, a differenza del competitivo, sceglie dei mezzi e
delle vie più pacifiche. L’individualista, infatti, semplicemente preferisce fare da solo, raggiungere da solo il risultato sperato, non si interessa dei voti degli altri compagni, né di
quelli più belli, né di quelli più brutti del proprio. A lui interessa principalmente lavorare per
conto suo e vedere riconosciuto il proprio prodotto.“Ognuno per sé, Dio per tutti” potrebbe
essere la massima più adatta a descrivere questo clima che tradotta in classe suonerebbe
come: “Ognuno guardi sul suo foglio e si arrangi per conto suo senza chiedere aiuto o aiutare gli altri”.
Attraverso la realizzazione del clima cooperativo, caratterizzato appunto dalla cooperazione, gli studenti cercano di raggiungere insieme un obiettivo, vengono valutati secondo dei criteri condivisi, sia per quanto hanno fatto (obiettivo cognitivo), che per come lo
hanno fatto (obiettivo sociale). Imparano a dare più che a ricevere, a sentirsi interdipendenti, legati l’uno all’altro nel raggiungere un obiettivo comuni. Il motto potrebbe essere
quello dei quattro moschettieri: Uno per tutti e tutti per uno. Ognuno si sente responsabile
del proprio apprendimento, ma anche quello degli altri. Questo permette una forte integrazione sociale e lo sviluppo di un senso di identità, dove ciascuno si sente importante, utile
a se stesso e agli altri. Esiste, così una correlazione positiva tra persone e obiettivi:
l’obiettivo non può essere raggiunto se manca qualcuno o se uno non ha dato il suo contributo. Più ciascuno lavora e più apprende e fa progredire gli altri e tutto il gruppo.
In tale contesto di apprendimento, risulta necessaria una professionalità docente le
cui peculiarità si configurano nella mediazione dei contenuti di apprendimento (il come apprendere piuttosto che il che cosa apprendere), nelle modalità di relazione con gli alunni
considerati come soggetti attivi del proprio apprendimento, nella capacità di guidare costruttivi e produttivi rapporti sociali e relazionali all’interno del gruppo di apprendimento
(Gardin, Azzini, Verri, 1997; Dixon-Krauss, 1997). Un elemento cruciale di accordo tra la
metodologia metacognitiva e quella cooperativa, è proprio la riflessione e la revisione metacognitiva, in quanto, per spiegare le strategie o come si procede in un lavoro, è necessario fermarsi e riflettere sulle conoscenze, verbalizzare a voce alta su come si è arrivati ad
un dato risultato, considerare i propri stili cognitivi, ovvero le diversità individuali e capire
che cosa non ha funzionato.
4.3. La modalità più efficace di apprendimento
Uno dei tanti elementi a favore di questa metodologia, lo possiamo trovare nella seguente tabella pubblicata dal “Corriere della sera” nell’inserto scientifico “Corriere salute”
del 24 maggio 1999, che illustra quanto noi riusciamo ad apprendere in svariate situazioni.
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LO SAPEVATE CHE IMPARIAMO IL…
10% di ciò che leggiamo
20% di ciò che ascoltiamo
30% di ciò che vediamo
50% di ciò che vediamo e sentiamo
70% di ciò che discutiamo con gli altri
80% di ciò che abbiamo esperienza diretta
95% di ciò che spieghiamo ad altri
Questa tabella può essere utile agli insegnanti per riflettere sulle metodologie più
adatte all’apprendimento. Un insegnamento che si basi principalmente sulla trasmissione
orale delle conoscenze (la classica lezione frontale), incide molto poco sull’apprendimento
degli alunni (solo il 20%), mentre una metodologia che permette la discussione in gruppo,
favorisce molto di più l’apprendimento (70%). Il dato più interessante e sconcertante è però quel 95% che dice che non si impara mai così bene un concetto, un procedimento, una
regola, un paragrafo o qualsiasi altro materiale, se non quando lo possiamo spiegare ad
altri. Uno dei metodi più efficaci di elaborazione cognitiva è infatti la spiegazione del materiale ad un altro studente. Nel campo dell’integrazione scolastica, la ricerca
sull’apprendimento dei pari (peer tutoring), dimostra che gli studenti che ricevono le spiegazioni dai compagni, apprendono molto di più degli studenti che lavorano da soli, ma addirittura, quelli che forniscono le spiegazioni più o meno sofisticate a seconda del contesto,
imparano ancora di più ed in maniera maggiormente efficace sia dei loro “allievi” che dei
compagni più individualisti, che preferiscono impegnarsi in compiti solitari, in quanto acquisiscono maggiore consapevolezza di quanto già conoscono e padroneggiano (Topping,
1998).
Il lavoro di gruppo, quindi, aiuta ad apprendere di più e meglio rispetto
all’insegnamento tradizionale, che usa prevalentemente la comunicazione diretta
dell’insegnante.
5. LE STRATEGIE DELL’APPRENDIMENTO COOPERATIVO
Alcune strategie possono essere quelle di accoglienza, delle regole condivise, delle
responsabilità, della leadership , del feedback emotivo di gruppo, della condivisione verso
un obiettivo,dell’apprendimento reciproco come tutoring e del role playing. Queste sono
descritte dettagliatamente nel volume “attivare le risorse del gruppo classe” (M.Polito
2000)
Qui vogliamo presentarne brevemente solo un paio.
a) le regole vanno sempre concordate e scritte in positivo
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La nostra comprensione del mondo funziona in positivo, perciò è più facile capire
cosa si deve fare che non cosa non si deve fare. E’ meglio dire “stai composto”, piuttosto
che “non dondolarti con la sedia”. Esprimendosi in modo positivo, l’insegnante aiuta gli alunni a pensare e agire positivamente e a sentirsi capaci di affrontare la situazione contingente.
E’ importante sapere che un divieto negativo (“non tirare i capelli alla tua compagna”, “non dare calci a Marco”), fa visualizzare l’azione negativa (“cerco di rappresentare
me stesso che tira calci a Marco”, oppure “cerco di rappresentare me stesso che tiro i capelli a Camilla). Questa visualizzazione, rafforza il ricordo dell’azione che noi vorremmo
non si verificasse più e rinforza questo repertorio comportamentale, non creando alcunché
di alternativo. Invece le regole positive (come ad esempio “chiamarsi per nome”, “discutere
in modo pacato”, “essere seduti in modo composto”), visualizzano azioni socialmente corrette che inducono ad un comportamento prosociale. Diciamo in questo modo “no”
all’azione scorretta, ricordando al ragazzo il comportamento positivo che deve attuare
(“no! Stai seduto composto per favore” e cerchiamo di correggere la posizione scorretta, in
modo che veda attuata in pratica la posizione che rispetta la regola concordata).
b) le sanzioni più educative sono quelle riparatorie
L’altra faccia delle regole sono le sanzioni. Una regola ha poco senso se non viene
legata in qualche modo a una sanzione, cioè a qualcosa di spiacevole che andiamo incontro se non ci comportiamo in un certo modo.
In una scuola trentina, tutti i ragazzi erano riuniti nel piazzale durante l’intervallo di
metà mattino, quando due compagni si avvicinarono a un ragazzo di terza media che, in
tuta, stava mangiando tranquillamente il suo panino in disparte. Colto di sorpresa alle spalle, i due gli abbassarono i pantaloni della tuta, comprese le mutande, suscitando l’ilarità di
tutti i maschi e le femmine della scuola. I tre ragazzi furono subito portati dal preside, il
quale cominciò a parlar loro della gravità di quel gesto. I due ragazzi colpevoli del gesto,
non si erano subito resi conto di quanta sofferenza avevano arrecato al loro compagno,
essi credevano fosse uno scherzo di poco conto. Invece il senso di vergogna provato, può
essere ben più grave di un pugno ricevuto alla pancia.
Resisi conto della gravità di quanto avevano commesso, il preside chiese loro come
intendevano riparare al torto causato al compagno. Il primo si offrì di portare la cartella al
compagno offeso per due settimane da casa a scuola e viceversa; il secondo si offrì di aiutare l’amico offeso nei compiti di matematica, rinunciando ogni giorno, per due settimane,
a un’ora del suo tempo. Il preside chiese all’alunno offeso se si sentiva in qualche modo
risarcito dal torto subito e se queste azioni riparatorie potevano bastare. Ottenuto
l’assenso, ci si accordò per un incontro di verifica dopo i quindici giorni, per valutare insieme come erano stati attuati gli impegni presi. I tre ragazzi uscirono dalla presidenza abbracciandosi e parlando con tono amichevole.
Questo episodio ci permette di fare alcune riflessioni:
b1) sanzioni predefinite in modo rigido probabilmente sarebbero subite in modo rigido dai ragazzi e vissute come non eque o ingiuste;
b2) questo tipo di sanzioni non sarebbero state condivise e probabilmente avrebbero generato una forte rabbia nei confronti del compagno offeso (cosa che invece non si è
verificata con le sanzioni riparatorie concordate insieme);
b3) è utile lasciare una certa libertà ai ragazzi nell’individuare la sanzione più adatta
a se stessi, purché sia equa rispetto all’offesa arrecata; una sanzione non può essere adatta a tutti, ci sono ragazzi disposti a pagare un prezzo molto alto, pur di non fare una
punizione che ritengono lesiva della propria dignità.
Possiamo dire che la sanzione ritenuta equa ed educativa, rispetto al danno causato, sia quella concordata tra le parti, dove ciascuno dovrebbe cedere una parte delle pro© 2001 Erickson Portale Internet - www.erickson.it
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prie convinzioni, per fare un passo verso la posizione del compagno e raggiungere un
punto di equilibrio tra esigenze diverse.
L’individuazione di queste sanzioni riparatorie, è più difficile ed elaborata rispetto
all’erogazione della punizione prefissata come si faceva tradizionalmente, ma è senz’altro
più educativa, perché coinvolge maggiormente le parti nella ricerca di una soluzione accettabile, condivisa e ritenuta equa.
Conclusione
Attraverso questo seminario, abbiamo voluto soltanto accennare ad alcune situazioni che valorizzano l’apprendimento cooperativo, un approccio che affianca la lezione
frontale e permette di superarne alcuni limiti.
Attraverso l’apprendimento cooperativo, possiamo valorizzare le risorse di ciascuno
e di tutto il gruppo, aiutando i ragazzi a costruirsi la loro identità sociale.
Abbiamo ascoltato alcune difficoltà di attuazione che stanno emergendo in quelle
classi dove si sta attuando l’apprendimento cooperativo. Attraverso tale pratica di attuazione siamo “spinti” a diventare più flessibili e ad inventare nuove tecniche e strategie cooperative.
L’approccio cooperativo non è solo un insieme di tecniche, ma è soprattutto un atteggiamento democratico di dialogo, proposta e condivisione, basato sulla convinzione
che si impara meglio con gli altri e per gli altri, che non da soli.
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Materiali del 3° Convegno “La Qualità dell’integrazione nella scuola e nella società”
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Workshop n. 6
Silvia Andrich, Lidio Miato e Mario Polito
Siti internet
Portale Erickson http://www.erickson.it newsgroup e materiali da scaricare.
Iprase di Trento http://www.bdp.it/~tnir0006/, nella sezione “Metodi di insegnamento” sono presenti anche UD.
Scintille.it: http://www.scintille.it/ , articoli e UD.
Nel libro di M.Polito (2000) È raccolta una vasta bibliografia su questi temi. Rimandiamo ad essa.
Autori
Silvia Andrich, Psicologa scolastica, Gruppo Erickson (TN), autrice di libri e articoli
sulle
difficoltà
di
apprendimento
e
sull’apprendimento
cooperativo.
E-mail [email protected].
Lidio Miato, Dirigente scolastico, Psicologo del gruppo M.T. (Padova), autore di articoli sull’apprendimento cooperativo e libri di psicopedagogia assieme al gruppo M.T. di
Padova. E-mail [email protected].
Mario Polito, Psicologo e pedagogista, Gruppo Erickson (TN), autori di vari libri sul
metodo di studio, motivazione, memoria. Ultimo suo libro: Attivare le risorse del gruppo
classe, Erickson (2000).
Home page www.mariopolito.it E-mail: [email protected], [email protected].
Telefono e fax 0424.460101
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