I giovani di seconda generazione tra famiglia, scuola e lavoro: reti
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I giovani di seconda generazione tra famiglia, scuola e lavoro: reti
I giovani di seconda generazione tra famiglia, scuola e lavoro: reti sociali e processi di selezione di Enrico Allasino Maria Perino Paper for the Espanet Conference “Risposte alla crisi. Esperienze, proposte e politiche di welfare in Italia e in Europa” Roma, 20 - 22 Settembre 2012 Enrico Allasino, Ires Piemonte, [email protected] Maria Perino, Università del Piemonte Orientale, [email protected] 1. Oltre la prospettiva nazional-culturale Presentando alcuni risultati, preliminari e parziali, della ricerca Second generations: migration processes and mechanisms of integration among foreigners and Italians, 1950-2010 (Secondgen) 1, si tenterà di abbozzare un’analisi del modo in cui le carriere dei figli di immigrati portano a certe collocazioni nel sistema di stratificazione sociale. L’attenzione ai “fattori di rischio di esclusione” dei giovani di origine immigrata non è una novità nell’ambito della ricerca e delle politiche. Le cause che possono produrre percorsi di integrazione “verso il basso” sono ampiamente discusse e generalmente condivise, tuttavia le indagini in merito presentano frequentemente due limiti fondamentali. Si ricorre spesso a una spiegazione culturalista e non si spiegano concretamente il processo di selezione e i meccanismi sociali che lo caratterizzano. E’ infatti facile constatare che la ricerca frequentemente considera lo svantaggio etnico, costituito dall’origine nazionale, dalla religione, o da tratti somatici, come chiave esplicativa dei percorsi, soffermandosi quindi su elementi dati, ascritti, assunti in modo non problematico come scontati, piuttosto che sull’interazione e sulla azione delle persone. Poca attenzione viene rivolta alla posizione e al percorso fatto di azioni e interazioni nella società di arrivo e determinato dalle risorse relazionali, dai tempi sociali, dalle caratteristiche e dai mutamenti che incidono sulla famiglia immigrata. Questi aspetti del processo migratorio possono essere utili strumenti interpretativi per comprendere le “carriere” dei giovani di seconda generazioni, più che l’appartenenza e l’identità culturale, sia essa “fluida e meticcia”. Riteniamo infatti che il processo migratorio abbia in se stesso un ruolo nella costruzione della stratificazione sociale. Nella scuola e nel mercato del lavoro i giovani di origine immigrata si inseriscono in determinate posizioni non tanto per le loro origini nazionali e le loro specificità culturali, ma per altre specificità delle reti sociali, del mercato del lavoro, dei quartieri e della famiglia (Eve e Perino, 2011). Allo stesso tempo è importante affiancare a tali spiegazioni altri elementi in riferimento al clima relazionale della classe, al rapporto con i compagni e gli insegnanti, agli stili di insegnamento, alla tendenza al “ribasso” delle azioni di orientamento della 1 L’obiettivo scientifico fondamentale della ricerca, finanziata dalla Regione Piemonte e coordinata dall'Università del Piemonte Orientale, è la comparazione sistematica tra le migrazioni interne di massa del passato e le migrazioni internazionali contemporanee in Piemonte, al fine di comprendere alcuni meccanismi dei processi di integrazione delle famiglie migranti, in riferimento in particolare alle “seconde generazioni” e si compone delle seguenti unità di lavoro: 1) Analisi comparata delle migrazioni interne e internazionali. Ricostruzione dei contesti di arrivo e delle modalità di stabilizzazione; politiche e forme di integrazione, 2) Le migrazioni interne. Raccolta, organizzazione e analisi di dati statistici sulla popolazione migrante degli anni ’60, 3) Le migrazioni interne. Interviste volte a ricostruire le carriere formative e occupazionali, le scelte e le reti sociali, 4) Carriere e svantaggi delle seconde generazioni. Analisi di dati quantitativi originali e interviste in profondità rivolte a giovani e alle loro famiglie, 5) Giovani, strade, quartieri. Osservazione etnografica e partecipazione alle dinamiche di gruppo. La conclusione della ricerca è prevista nel 2013. scuola nei confronti di molti alunni di origine straniera, al “passaparola” tra i giovani rispetto alla scuola in cui hanno trovato accoglienza rispetto ad altre. Le specificità sociali generate dalla migrazione e le caratteristiche delle strutture e dei meccanismi di inserimento e di socializzazione da esse generati sono cruciali nella determinazione delle traiettorie. 2. La scelta scolastica: le informazioni contano Dalle nostre interviste si intravedono diverse traiettorie dei giovani di origine straniera: se ci sono accenni alla costituzione di un ceto medio di origine immigrata (Allasino e Eve, 2008), abbiamo evidenti e molto numerosi percorsi incerti e disorganizzati, concentrati nell’istruzione professionale, dalla quale spesso si esce e si entra inseguendo corsi senza sviluppi in una carriera lavorativa, o bloccati nella posizione di chi né studia né lavora, se non occasionalmente e in nero. Tuttavia, pochi intervistati dicono di aver lasciato o di volere lasciare presto la scuola per motivi economici, o perché le famiglie orientano a un inserimento precoce nel mondo del lavoro. Le famiglie, nella quasi totalità, anche nei casi di madri sole, sostengono e appoggiano la scelta di studiare - talvolta come alternativa al “non fare niente” e sono disposte ad affrontare difficoltà economiche ritenendo che le spese per l’istruzione, secondaria e in alcuni casi universitaria, siano una priorità. Persino alcuni tra coloro che hanno carriere ai margini o nell’illegalità sono iscritti a scuola, ed è per questa sua pervasività che è necessario conoscerne la struttura, la funzione rispetto al futuro e le relazioni che in essa si sviluppano. Uno dei cambiamenti più netti tra l’esperienza dei figli degli immigrati stranieri contemporanei rispetto ai figli degli immigrati regionali del passato riguarda la centralità della scuola: la partecipazione di massa e l’aumento della durata media della scolarità fanno sì che le competenze nell’orientarsi in un sistema, che nel frattempo è diventato più vario e complesso, siano determinanti per le carriere. Nella scuola, e ancor prima, nelle modalità di scelta dell’indirizzo, della sezione, si producono processi di selezione che occorre analizzare nel dettaglio poiché condizionano i percorsi successivi. Un’attenzione particolare va pertanto posta ai meccanismi della scelta al termine del ciclo della scuola secondaria di primo grado nel tentativo di individuare che cosa influenza le scelte scolastiche, come avvengono, come intervengono i genitori, il valore percepito della scuola intesa come struttura che ha una funzione rispetto al futuro, e come ambiente nel quale si sviluppano relazioni e interazioni. Sono emersi elementi ricorrenti i quali confermano il ruolo cruciale che questa istituzione gioca nella riproduzione e produzione delle disuguaglianze sociali e come i 3 processi di selezione possano essere innescati da pratiche e interazioni quotidiane che interessano alunni italiani e stranieri e questi ultimi con delle particolarità specifiche. Consideriamo innanzitutto i criteri di scelta. Un aspetto fondamentale è costituito dalle informazioni adeguate possedute. Nel caso dei giovani di origine straniera arrivati nel momento dell’iscrizione all’istruzione superiore, le difficoltà a orientarsi in un’offerta formativa molto differenziata e varia si accentuano a causa delle specificità legate alla migrazione famigliare, rispetto ai coetanei italiani: “un info point se non mi sbaglio, forse c’è ancora adesso, dove appunto ti guidavano. Tipo Informagiovani? Ma sì, quella roba lì, quegli uffici lì e quindi lì ho scelto di fare ragioneria, poi disperato come ero: ero già in ritardo, le scuole erano già iniziate capisci che non è che potevo fare tante smorfie… prendevo un po’ quello che mi offrivano“ (intervista 86). I genitori non sono informati bene sul funzionamento della scuola consapevoli che non basta sapere quali indirizzi e corsi sono offerti, quindi molto spesso il fratello, la sorella maggiori o altri parenti guidano nella scelta oppure si rivolgono a figure esterne alla famiglia, ai datori di lavoro, a un conoscente che diventa modello per il lavoro che svolge, a un insegnante che sembra particolarmente degno di fiducia, a una persona amica di famiglia, al materiale pubblicitario delle scuole verso il quale tuttavia ci può essere diffidenza: “sono tutte pubblicità, siamo tutti bravi a scrivere, poi alla fine non fanno nulla di ciò che dicono”. Il caso di Juan2 è una sintesi esemplare di fattori che hanno determinato un percorso che si rivela come scelta sbagliata. “Per me è stato un casino, perché io avevo sbagliato la scelta. Io volevo fare il meccanico, ma il meccanico d’auto volevo fare. Perché mi piacevano e mi piacciono ancora le macchine, aggiustare le macchine e così. Però ho scelto 'operatore meccanico' che era tutta un’altra cosa. Ci hai messo tre anni per capirlo? Eh sì, perché io da solo… cioè mia madre mi seguiva a scuola, però non è che lei col lavoro che fa, sempre al lavoro sempre al lavoro ha tutto il tempo per sapere che meccanica è, se manco io me ne sono accorto. Poi quando sono arrivato in terza mi sono accorto che non era la meccanica che io volevo, ho voluto cambiare scuola, però mia madre mi ha detto “Ormai sei in terza…”. Poi anche ha me era iniziato a piacere, ho iniziato a farlo sono arrivato fino in quinta e ho fatto l’esame di maturità e poi… niente. Disgrazia mia sono uscito col diploma di maturità a cercar lavoro, però era già iniziata la crisi, quindi… soprattutto in questo settore qua della meccanica qua a Torino sono andato a cercare lavoro ma non c’era. [...] Cioè mi avevano detto 'Tu vedi di scegliere cosa ti piace, liceo artistico, liceo linguistico…' ma io non ne capivo bene allora, non sapevo bene cos’era un liceo artistico o linguistico, non sapevo nemmeno la differenza tra un liceo e un istituto tecnico… non la 2 4 I nomi sono di fantasia. sapevo. Io son andato lì, uno perché era vicino a casa mia e due perché, siccome era meccanica, io volevo fare il meccanico” (int. 5). Qui vari elementi sembrano intrecciati. Innanzitutto il non sapere, che non è solo mancanza di informazioni ma soprattutto estraneità al sistema scolastico italiano pur avendolo frequentato fin dalla quinta elementare. Questo elemento evidenzia che il tempo di permanenza in Italia non significa una lineare e progressiva integrazione 3 ma che contano gli ambienti in cui si producono pratiche e atteggiamenti e che l’assimilazione non è generica né nelle forme né nei tempi. Nel racconto di Juan emergono anche ulteriori fattori che condizionano il percorso scuola – lavoro: i timori della madre per un cambio di scuola (altri genitori, invece, sembrano non turbati dai passaggi da una scuola all’altra e da un indirizzo a un altro. Bisognerà approfondire che cosa fa la differenza), la vicinanza a casa come elemento a favore di una certa scuola, la valutazione, in base alle esperienze di alcuni amici, che il diploma quinquennale non solo non dà opportunità di lavoro, ma rappresenta uno svantaggio in momenti di crisi economica. Anche in molti altri casi la scelta è il risultato di mancanza di informazioni. Dice con molto rammarico Alì: “Ecco, questo è il grosso errore che ho fatto, avendo dei genitori che non hanno studiato, qua in Italia, non sanno come funzionava la scuola italiana, io ero uscito con 'distinto' dalle medie e mio papà, così per sentito dire, io volevo fare magari geometra perché mi piaceva molto disegno tecnico o liceo scientifico, mio papà ha detto: ma no, vai a far e un istituto professionale che ti insegna un mestiere per andare a lavorare. Ed è stato il più grosso errore della mia vita che ho fatto. Anche i professori... non mi hanno indirizzato... io ero uscito benissimo e loro mi hanno detto: vai a fare l’istituto professionale; non capisco il perché; anche mio papà ha insistito per questa cosa qua che poi ti trovi un lavoro, un mestiere, io allora pensavo che le scuole fossero uguali, cambiava solo l’indirizzo, non riuscivo a visualizzare questa cosa del liceo, istituto tecnico, professionale” (int. 64). Entrano in gioco anche la casualità, il “sentito dire”, malintesi su che cosa significhi un corso, conformità al percorso dei fratelli maggiori, assenza del sostegno della famiglia che in molti casi, diversamente dal padre di Alì, esercita una pressione generica a continuare gli studi e lasciano scegliere. “fai quello che vuoi tu”, “fai quello che ti piace”, “basta che ti impegni” sono frasi frequenti nelle interviste che denotano incompetenza nell’affrontare l’istituzione scolastica più che una particolare fiducia nelle capacità decisionali dei figli. Le famiglie istruite insistono di più per continuare gli studi e discutono, si informano e valutano diverse possibilità. Anche tra gli italiani accade che nelle famiglie più istruite si insista di più per 3 5 Questo aspetto emerge chiaramente dall’esame dei dati di un’indagine a questionario (N = 2114), Giovani e territorio, svolta nelle scuole superiori di tre province piemontesi (Bonapace et al., 2009). continuare gli studi e si mettano in atto energie e strategie per acquisire informazioni sulle scuole. Tuttavia, gli immigrati, comprese le famiglie dotate di elevato capitale umano, con progetti migratori centrati sul futuro dei figli, devono affrontare specifici problemi: la lingua, l’impoverimento della rete sociale e la maggiore difficoltà ad avere informazioni su determinati indirizzi scolastici e sulla reputazione di alcuni istituti, l’orientamento al ribasso della scuola, che lascia poco tempo per acquisire padronanza nella lingua italiana, e che utilizza questo limite come motivo per evitare il liceo. L’orientamento non è indicato sistematicamente nelle interviste come attività che è stata svolta nelle scuole, e non sono dettagliate la modalità con cui è avvenuto (la vaghezza del ricordo potrebbe essere di per sé significativa). Ma è ricorrente il riferimento al semplice consiglio degli insegnanti che orientano verso corsi di modesto prestigio. In quali casi le indicazioni date non sono seguite? Alcuni giovani motivano con una distinzione tra scuole di centro/ scuole di periferia, sostenendo che in queste ultime ci sono molti stranieri. Si tratta di un elemento ricorrente, che talvolta proviene dall’ambiente dei datori di lavoro dei genitori, per distinguere scuole che funzionano e scuole problematiche. Oppure si rifiuta ciò che la scuola propone perché la famiglia, o un genitore, ha una tradizione di studi che non si vuole interrompere. In altri casi la famiglia è culturalmente attrezzata per porre attenzione alle attitudini. Una ragazza alla fine della seconda superiore cambierà sezione per andare in una migliore: “In seconda invece ho cambiato classe: [...] con quella di scienze non facevamo niente, ascoltavamo la musica; quello di arte dava sempre dei voti bassissimi a tutti e quella di italiano invece era l'unica tosta, quindi facevamo bene solo italiano e invece a me interessavano più le altre materie” (int. 80). Frequentando quella scuola ha compreso le differenze e le gerarchie interne. I figli dei genitori istruiti, o di madri particolarmente determinate al successo scolastico, hanno maggiori possibilità di contestare le indicazioni e i comportamenti degli insegnanti 4. Tuttavia possono intervenire anche delle forme di “adattamento” alla realtà sociale e scolastica, la percezione, plasmata dalla stessa scuola, delle opportunità a cui si può realisticamente accedere, cosicché certe possibilità non sono neppure prese in considerazione. Alcune domande erano orientate a capire se certe scuole o certi indirizzi non erano stati presi in considerazione e perché. I racconti non sempre sono espliciti, alcune risposte sono molto brevi e generiche, altre sono molto 4 6 In Italia, dove il sistema scolastico si contraddistingue per la varianza tra indirizzi e la varianza interna nelle scuole, con conseguenze sull’efficacia e sulla equità della formazione (Oecd, 2010), alcune specifiche ricerche (Checchi, 2008 e 2009) confermano che il processo di orientamento scolastico è caratterizzato dall’interazione tra apprendimenti effettivi, risultati scolastici in termini di votazioni ottenute, aspettative familiari e proposte orientative, non solo sulla base dei risultati di apprendimento, ma anche sulla base di quello che gli insegnanti percepiscono essere il sostegno familiare, correlato all’istruzione e al reddito familiare. Risulta frequente inoltre una revisione delle scelte (tra preiscrizione ed iscrizione finale effettiva) governata dallo status sociale della famiglia di provenienza: genitori laureati tendono a non seguire indicazioni orientative rivolte alla formazione professionale, così come genitori poco istruiti rendono meno probabile l’iscrizione agli indirizzi liceali, nonostante orientamento in tale senso degli insegnanti. più articolate e denotano una complessa analisi delle opzioni. Forse la scelta o non scelta scolastica hanno a che fare anche con aspetti impliciti e ignoranza delle opportunità che non emergono nelle interviste, tuttavia è evidente che il numero delle alternative prese in considerazione è normalmente ridotto. Molti giovani delle famiglie meno istruite accolgono il criterio dalla scuola che orienta i ragazzi di origine straniera a indirizzi più facili e più brevi, quelli invece che provengono da famiglie più istruite non vedono un ostacolo nella difficoltà e nella lunghezza di un indirizzo, anzi, queste esprimono una gerarchia scolastica nella quale si vogliono occupare le posizioni più prestigiose. François Dubet (2008) sostiene che la scuola di massa, di principio fondata sull’uguaglianza delle opportunità, dovrebbe mirare a un insegnamento secondario che riduca al massimo gli effetti delle disuguaglianze sociali nei percorsi scolastici. Tuttavia, secondo l’autore 5, tale apertura, e le ambizioni di cui essa è caricata, fanno di questo tipo di scuola un agente di disuguaglianze, se non la loro causa. Infatti, la massificazione ha rafforzato la partecipazione promuovendo lunghi percorsi di scolarità e selezioni tardive e progressive lungo il corso degli studi, ma non ha sensibilmente accresciuto l’uguaglianza a causa del permanere dell’effetto scuola, dell’effetto insegnanti e, come si vede anche dalle interviste di Secondgen, dell’importanza che viene ad avere la capacità di orientarsi nel sistema. Le filiere restano, restano i frazionamenti gerarchizzati delle qualifiche scolastiche ma sono cambiati i meccanismi della selezione: questa oggi si situa durante il percorso scolastico, con l’orientamento. Tutti entrano ma poi prendono direzioni diverse che gerarchizzano e selezionano gli allievi. Gli allievi inoltre possono essere orientati a scuole che non desiderano, o ripiegare per un corso a causa della disoccupazione, per “passare il tempo”, in un contesto i cui individui ritenuti uguali sono impegnati in una competizione continua (analoga a quella sportiva) ma spostata nel tempo, si gioca sempre più tardi e i posti offerti “in alto” sono sempre meno. 3. Sense of entitlement e sense of constraint Le proposte della scuola6 sembrano accettate da quegli studenti di origine straniera che si percepiscono come poco adatti allo studio e che quindi accolgono l’indicazione a inserirsi in 5 7 Al centro dell’interesse dell’indagine ci sono da una parte l’organizzazione, le pratiche, i progetti scolastici e dall’altra le soggettività – allievi e insegnanti – che vivono la scuola e agiscono in essa. Dubet ritiene infatti che per comprendere il mondo della scuola sia necessario interessarsi direttamente delle esperienze di distanza tra cultura scolastica e cultura giovanile; di tutta la questione della socializzazione scolastica e delle contraddizioni interne alla scuola di massa. La ricerca deve studiare i curricula, che cosa e come si insegna, come funziona la scuola, come si prendono le decisioni di politica scolastica. percorsi con sbocchi professionali modesti o molto modesti, nei quali la socializzazione avverrà con ragazzi italiani che vi sono approdati non per scelta ma a causa di un passato scolastico fallimentare e che hanno una collocazione specifica nella gerarchia sociale. Dove esiste una relativa continuità tra la cultura familiare e la cultura scolastica è possibile per gli studenti passare abbastanza agevolmente da un registro all’altro, specialmente se la scuola sa integrare, sa costruire prossimità tra allievi e insegnanti, solidarietà di gruppo, uno “spirito” della scuola. La distanza tra vita scolastica e cultura giovanile si riduce, una si integra nell’altra e gli allievi percepiscono l’utilità sociale della loro formazione. Invece è diverso per quelle forme di socializzazione contro la scuola, caratterizzate dallo scontro tra cultura giovanile e mondo scolastico che appare estraneo e senza interesse. Lo studio, in questa prospettiva, serve a niente e la scuola si presenta di massa e selettiva allo stesso tempo: in essa sono presenti allievi che studiano solo per stare lì, perché non hanno altro da fare, e allievi ribelli, conflittuali. Ovviamente tra queste due categorie di giovani ci sono molte oscillazioni, in ogni caso tuttavia, la scuola secondo Dubet tende a trasformare questi problemi, che sono sociali, in problemi di personalità dello studente (Dubet, 2008: 44-45) o, per quanto riguarda le seconde generazioni, in questioni culturali dipendenti dall’origine nazionale. Più che le differenze “etniche”, entrano in gioco i meccanismi di classe e le risorse relazionali della famiglia immigrata che si manifestano nei microinterventi quotidiani, nelle interazioni con la scuola e le istituzioni, e che influenzano i percorsi scolastici dei figli. Nelle interviste realizzate si riscontrano i due approcci educativi, della classe media e della classe operaia, che Lareau (2011) ha descritto: la concerted cultivation e l’accomplishment of natural growth. Si tratta di logiche educative che si esprimono nell’organizzazione della vita quotidiana, nell’uso del linguaggio, e nei comportamenti più o meno direttivi, nella maggiore o minore disponibilità alla negoziazione tra genitori e figli, nella capacità dei genitori di acquisire informazioni, di accedere alle “informazioni informali” e alla complessità delle opzioni del sistema scolastico, di intervenire e criticare le istituzioni, in particolare la scuola, a vantaggio dei propri figli che in tal modo 6 8 Secondo l’analisi condotta nella terza indagine Iard 2010, a cura di Cavalli e Argentin, gli ambiti in cui si fanno maggiormente sentire le lacune della formazione professionale degli insegnanti riguardano la valutazione degli apprendimenti e le strategie didattiche con gli studenti immigrati o figli di immigrati, visti come ”fardello ingombrante” o come “opportunità di crescita”. In ogni caso non sono effettuate modifiche sostanziali ai modi e strumenti di insegnamento (soprattutto nei Tecnici e nei Professionali); piuttosto, si adottano criteri di valutazione più morbidi e modifiche dei programmi. “Ci si adatta al mutamento cercando di ridurre le tensioni, riducendo la qualità, abbassando le aspettative”, diventando “più comprensivi” (p. 392 -394). apprendono gradualmente a interagire con gli adulti nelle situazioni organizzate e strutturate, mentre i ragazzi e le famiglie della working class vivono spesso un senso di frustrazione e di impotenza rispetto alle istituzioni e alla burocrazia. Il lavoro di Lareau non solo coglie la correlazione tra pratiche educative e classe sociale ma ne sottolinea gli effetti nelle interazioni a scuola e nella carriera scolastica. L’ambiente scolastico non è neutrale, esprime prevalentemente le pratiche culturali e il modello educativo della classe media 7 condizionando lo sviluppo nei giovani e nei loro genitori di un sense of entitlement oppure un di sense of constraint, e la gerarchizzazione degli indirizzi scolastici. L’importanza delle informazioni utili, della capacità di relazionarsi con le istituzioni e di “navigare” la complessità del sistema educativo permane nel tempo, manifestandosi nei passaggi da un ordine di scuola a un altro, fino al college8 e costituendo una forma di ”capitale culturale” chiaramente correlato con le persistenze a lungo temine delle disuguaglianze di classe (Lareau e Conley, 2008: 142 -143). L’analisi del materiale empirico di Secondgen mediante le categorie concettuali di Lareau da una parte conferma la relazione, anche tra i giovani di origine immigrata, tra classe sociale e logiche educative e le conseguenze che ne derivano nelle traiettorie scolastiche e nell’accesso a differenti opportunità, d’altra parte evidenzia ulteriormente l’intreccio tra migrazioni e struttura di classe. Infatti tutte le famiglie immigrate, anche quelle di classe media o che hanno subito nella migrazione una mobilità occupazionale discendente ma sono dotate di elevato capitale culturale e nelle quali si potrebbe rintracciare la cosiddetta acculturazione consonante, patiscono le specifiche penalità legate al processo migratorio - debolezza delle reti, debolezza delle informazioni, tempi sociali non corrispondenti con quelli della scuola - nello sviluppare il sense of entitlement. Alcuni intervistati che hanno avuto un percorso scolastico regolare, esitanti rispetto alla scelta universitaria, dicono infatti che si sono rivolti a corsi professionali post diploma perché non sanno dove andare, perché cercano un “ponte” per il mondo del lavoro, in mancanza di reti e informazioni adeguate le prospettive si fanno confuse. L’indagine richiede certamente degli approfondimenti ma tale orientamento di ricerca sembra promettente per la comprensione delle pratiche, anche minute, che producono disuguaglianze e indirizzano i processi di integrazione, e in generale per una discussione critica della nozione stessa di integrazione. 7 8 9 Cfr. Le vestali della classe media, Barbagli, Dei 1969, per un’analisi, all’indomani della riforma della scuola media in Italia, delle funzioni di selezione e di “socializzazione alla subordinazione” svolte dagli insegnanti. Lareau ha osservato le stesse famiglie quando i figli avevano 10 anni e dieci anni dopo. Molti racconti degli intervistati testimoniano la forza dell’intreccio tra “debolezze” delle famiglie e “debolezze” di certe scuole, tra elementi contestuali e individuali in un momento specifico e in una situazione specifica, nel determinare in modi “complessi ma non caotici” (Portes e Rumbaud, 2001: 268) i risultati e le carriere dei giovani di origine straniera. E’ su queste “debolezze”, sugli ambienti e sugli assetti istituzionali generali che le generano, che occorre approfondire l’analisi e vederne gli effetti diversi sui giovani delle famiglie italiane e sui giovani delle famiglie immigrate, nella prospettiva che la specificità di queste ultime non dipende dall’origine culturale ma, come detto, dagli effetti sociali della migrazione. 4. Entrare in una comunità di pratica Uno degli obiettivi generali della nostra ricerca, come abbiamo detto, è quella di proporre una prospettiva che non vede le carriere dei figli degli immigrati determinate solo o in prevalenza dall'identità culturale e dalle reazioni dei locali a tale identità, ma da una più complessa articolazione di relazioni e di rapporti in cui l’esperienza migratoria di per sé è un fattore rilevante. Quando un giovane di origine immigrata si iscrive a una scuola media superiore, per scelta o per caso, informato o mal consigliato, che cosa significa la sua “integrazione” a scuola in questa prospettiva? Anche negli anni delle scuole superiori le famiglie - i parenti emigrati e quelli che vivono in altri paesi, con le loro reti di relazioni più o meno frammentate e limitate - continuano a influenzare il percorso dei giovani. In questa fase però cresce la rilevanza delle reti che il soggetto stesso riesce a costruire: con amici, compagni di scuola, colleghi di lavoro. L’influenza delle persone che compongono queste reti si esercita su un attore sociale calato in un sistema (scolastico) in cui esso compie scelte e trova vincoli o risorse. Il gruppo di pari che costruisce una alternativa antagonista alla scuola (Willis, 1977) o al contrario gli amici che aiutano a superare le difficoltà nello studio, il parente che presenta a un potenziale datore di lavoro agiscono su attori sociali calati in una esperienza formativa che ha proprie logiche, che vanno comprese. Il processo migratorio a sua volta continua a porre limiti e condizionamenti, accanto a qualche opportunità, ma in configurazioni complesse che vanno indagate nella loro costruzione entro il sistema scolastico. L’integrazione fra le ricerche sulle seconde generazione di immigrati e le ricerche sulla scuola può diventare più sistematico e proficuo. La selezione degli immigrati e dei loro discendenti è parte del processo di classificazione e discriminazione generale attuato dal sistema scolastico e formativo e integrare l'analisi di due aspetti contribuisce a comprendere almeno come limitarne gli effetti 10 negativi più pesanti, per non limitarsi a considerare la scuola come una scatola nera che restituisce semplicemente diversità e difficoltà che si generano e riproducono altrove. Abbiamo quindi tentato una indagine più interna al sistema formativo stesso, che tenesse conto sia delle reti di relazioni familiari e amicali dei giovani di origine immigrata e di come esse possano favorire, o osteggiare, la permanenza nella scuola e infine l’iscrizione all’università o la ricerca di un lavoro, sia dell’interazione, osservata direttamente, con compagni e docenti nel sistema scolastico. Seguendo una consolidata prospettiva di indagine sui processi formativi 9, apprendere non significa interiorizzare un sistema di nozioni, di informazioni o di schemi comportamentali, ma entrare gradualmente in una relazione sociale complessa nel corso della quale avviene una integrazione in una comunità di pratica e una costruzione dell'identità. L'apprendista, il novizio, la matricola apprendono a muoversi in una rete di relazioni, a rispettare le gerarchie e le prassi, a fare propria la cultura del gruppo e a riprodurla (ma introducendo variazioni di generazione in generazione). Questo processo avviene tramite procedure interattive, negoziali, anche conflittuali fra gli attori: nel caso della scuola insegnanti e discenti, vecchi e nuovi allievi, genitori, dirigenti, personale non docente, compagni, professionisti esterni. Una delle dimensioni fondamentali di questo processo di partecipazione è l'interiorizzazione dei processi di distinzione sociale e culturale (Bourdieu e Passeron, 1964). Si apprende la distinzione fra cultura alta e bassa, l'ordinamento gerarchico dei saperi e delle competenze e la capacità di mantenere e creare distanza. E’ probabile che, se si instaurano tensioni nel rapporto fra membri della comunità di pratica, queste si accentuino quando si presentano outsider: donne, ceti subalterni, stranieri, minoranze etniche e razziali. La soluzione più frequente era (ed è ancora in molti casi) che a costoro sia semplicemente negata la possibilità di diventare legitimate peripheral participants: ad esempio le donne non sono ammesse nei seminari cattolici. Se invece l’ammissione è formalmente possibile, questi outsider possono essere sottoposti a una serie di prove, di procedure, di selezioni che, anche solo come effetto indiretto, ne riducono il numero o ne limitano l'accesso alle posizioni centrali e più prestigiose. Il problema è mostrare come ciò avvenga esattamente in istituzioni la cui ideologia ufficiale vuole che si selezioni sulla base di doti individuali e non ascritte. Ancor più problematico considerando che le dimensioni di classe sociale e di origine nazionale risultano di fatto strettamente intrecciate. 9 11 Abbiamo ecletticamente tratto ipotesi e suggestioni da alcune indagini sui processi formativi, fra le quali ci sono sembrate particolarmente ricche di stimoli quella sugli studenti di medicina di Becker, Geer, Hughes e Strauss (1961) e la proposta più teorica di Lave e Wenger (1991) basata sui concetti di legitimate peripheral participation e di community of practice. Occorre precisare che la comunità di pratica a cui si accede nel caso delle scuole, anche di quelle professionali da noi studiate, non è quella delle professioni a cui lo studente dovrebbe essere formato, ma quella della scuola stessa. Come già avevano individuato Becker, Geer, Hughes e Strauss (1961), le matricole devono imparare a essere buoni studenti, non professionisti in erba. Lo studente deve apprendere le nozioni che servono a superare gli esami, deve districarsi fra le discipline scolastiche e rispondere alle richieste dei docenti. Essi non sono ancora in grado di conoscere la professione, ma devono accettare le regole e le logiche dell'istituto di istruzione. Cercare di anticipare il giudizio su che cosa serva o non serva per il lavoro può essere fuorviante e condurre a insuccessi scolastici. Anche quando sono previste ore di lezione pratiche, tirocini e, comunque, molti studenti svolgono attività lavorative più o meno coerenti con il corso di studi, le due sfere restano concettualmente distinte, sono piani separati, anche se, talora, si sovrappongono nel tempo. D’altra parte l’integrazione in una comunità di pratica non ha implicazioni solo positive perché essa può divenire un ghetto (ma in certi casi anche una “torre d’avorio”) in cui ci si trova rinchiusi perdendo la capacità di comprendere e avere relazioni con altre comunità, di modificare la propria identità professionale o di trasferire competenze relazionali 10. 5. I giovani di origine immigrata negli istituti professionali: un approfondimento Abbiamo studiato in particolare alcuni istituti di istruzione a forte contenuto professionalizzante 11, intervistando gli alunni di origine immigrata, singolarmente e in piccoli gruppi, discutendo con insegnanti e dirigenti e assistendo a diverse ore di lezione 12. 10 Infatti Wenger ha in seguito accantonato il concetto di legitimate peripheral participation sviluppando una prospettiva più centrata sulle possibilità di sviluppare in senso creativo le comunità di pratica negli ambienti di lavoro (Wenger, 1998). 11 “Dalla comparazione tra le scelte scolastiche di italiani e stranieri (...), emergono notevoli differenze nelle preferenze, le quali rendono ancora più evidente il fenomeno della canalizzazione formativa degli stranieri. Questi, infatti, si concentrano negli istituti professionali (40,4%) e negli istituti tecnici (38,0%), seguiti a distanza dai licei (18,7%). Gli italiani prediligono, invece, i licei (43,9%) e gli istituti tecnici (33,2%) e, in misura minore, gli istituti professionali (19,2%).” (Miur-Ismu, 2011: 13) La scelta degli istituti professionali è dovuta non solo alla oggettiva concentrazione di giovani immigrati in queste scuole, in alcuni casi dopo che i licei li hanno respinti, ma anche all’intenzione di affrontare in modo diretto la questione degli sbocchi occupazionali. 12 Ringraziamo dirigenti, docenti e studenti degli istituti a indirizzo alberghiero “Bobbio” di Carignano, “Colombatto” e “Beccari” di Torino, “Prever” di Pinerolo e nell'istituto professionale per l'industria e l'artigianato (odontotecnici e manutentori) “Plana” di Torino. L'osservazione diretta di alcune lezioni pratiche e teoriche è stata realizzata in alcune classi degli indirizzi alberghieri al “Bobbio” e al “Colombatto”. 12 Come abbiamo detto, i giovani immigrati che si iscrivono a una scuola media superiore e arrivano agli ultimi anni di corso sono passati attraverso un lungo processo di selezione. Per alcuni non traumatico, persino segnato da positive esperienze di comprensione e collaborazione. Come Younes, figlio di genitori poveri e senza titoli di studio, che ora fa il liceo e ricorda di essere stato sostenuto e incoraggiato a proseguire gli studi sin dalle medie inferiori: gli è sempre stata data fiducia dagli insegnanti: “Mi hanno messo subito in seconda elementare, non ho perso anni, come alcuni miei amici che sono più grandi di me e ora addirittura fanno una classe in meno. Invece a me hanno inserito subito in seconda e hanno fatto bene, anche se sono arrivato gli ultimi due mesi di scuola. In quella classe mi sono trovato molto bene, soprattutto ho avuto delle maestre che non ho mai avuto persone così... mi hanno aiutato tanto. [Alle medie]: Professori sempre ottimi, ho avuto tra l'altro un professore in terza media, che è stato davvero straordinario, forse il migliore che ho mai avuto, ci faceva lavorare abbastanza, pretendeva ma dava anche... insomma un vero prof. [...] Ho sempre incontrato delle ottime persone, preparate, che mi han sempre lasciato qualcosa. (int. 128). Molti altri invece serbano ancora il ricordo traumatico di bocciature, di anni persi, di pressanti consigli a preferire corsi “facili”. Non pochi, infatti, si erano inizialmente iscritti nei licei o in altri istituti superiori, da cui però sono stati respinti o in cui “non si sono trovati bene” con gli insegnanti, con alcune materie di studio o con i compagni: indicazioni generiche che andrebbero approfondite e interpretate. I licei restano in ogni modo una roccaforte difficile da espugnare: le lingue, l'italiano ma anche il latino o la lingua straniera, hanno impedito a più di uno studente di proseguire, anche quando aveva un buon profitto in altre discipline. Molto sovente essi avvertono questi episodi come torti subiti, come ingiustizie ormai senza rimedio. Sembra in effetti che molte scuole non adottino i pur previsti protocolli (ossia procedure di inserimento basate su criteri oggettivi, trasparenti e condivisi) nei confronti degli studenti provenienti dall'estero e continuino a iscriverli in classi di livello inferiore a quello già ultimato in patria o a proporre ripetizioni di anni in funzione dell'apprendimento dell'italiano. Quanto meno, al di là dei giudizi sui casi singoli, non sembrano in grado di dare un senso accettabile per lo studente a queste scelte. Persino alcuni insegnanti di lettere concordano sulla apparente assurdità di bloccare l’accesso a un indirizzo scolastico per la necessità di apprendere meglio la lingua, cosa che normalmente avviene con una certa rapidità. E’ probabile che la soluzione vada trovata non invocando comprensione o clemenza, ma rinforzando i corsi di sostegno e prevedendo un diverso sistema di debiti formativi. Un effetto oggettivo di questi inserimenti in classi inferiori è che molti studenti di origine straniera sono più vecchi dei loro compagni e si trovano ancora a scuola a oltre venti anni, anche quando non sono mai stati formalmente respinti. 13 La xenofobia estende un'altra ombra sul percorso dei giovani immigrati. Non è un problema che venga sollevato in prima istanza, in genere prevale una giudizio positivo sui rapporti con i compagni, ma risulta nelle interviste che quasi tutti sono passati attraverso episodi e situazioni più o meno sgradevoli. Al di là delle ragioni per cui sono avvenuti questi episodi, il risultato pratico è ancora una volta che essi hanno dovuto rendersi conto della non totale equiparazione agli altri, di una minore legittimità della loro presenza, di un rischio latente che occorre sempre saper fronteggiare. Negli anni di corso prosegue la selezione: chi non si adatta alla scuola e non ne accetta la logica viene rapidamente eliminato. Gli istituti professionali offrono, almeno sino al momento in cui abbiamo realizzato la ricerca, la possibilità di conseguire un diploma professionale al terzo anno. Alcuni studenti colgono questa occasione per concludere il ciclo formativo con un titolo e cercare lavoro, ma per altri avere comunque raggiunto questo obiettivo è un incoraggiamento a proseguire verso il diploma di maturità: in qualche modo la disponibilità di una “via di fuga” dalla scuola in caso di difficoltà potrebbe contrastare la dispersione scolastica 13. In questa fase l’intervento dei genitori sembra poco incisivo: quasi nessuno spinge a lasciare la scuola per il lavoro, anche perché l’alternativa non si pone più in termini così netti di fronte a lavori precari e incerti, e prevale, come abbiamo visto, l’incoraggiamento generico a proseguire gli studi. Ma i parenti non sembrano in grado di valutare le conseguenze delle scelte di indirizzo, non più che della scelta della scuola a cui iscriversi, né di trovare contatti e informazioni per gli stage o per i primi passi verso una professione. Anche quando i genitori hanno studiato, le loro conoscenze sono obsolete, fanno riferimento a un mercato del lavoro ormai cambiato e a esperienze didattiche del passato, che possono persino risultare controproducenti nei rapporti con la scuola dei figli (Delay, 2011). Il loro attuale inserimento lavorativo in Italia non consente, di solito, di aggiornare le loro informazioni e di avere legami con settori innovativi e in sviluppo. In qualche caso possono supplire fratelli e sorelle maggiori, che intervengono direttamente per orientare o sostenere nel percorso scolastico. Dalle interviste risultano poche significative discussioni con fratelli e sorelle sul tema della scuola, in qualche caso si prendono persino le distanze da essi, ma forse questa apparente assenza indica semplicemente che i giovani non fanno discussioni formali sul tema delle scelte scolastiche con fratelli e parenti, ma di fatto hanno ben presente l’esempio e le indicazioni informali da questi fornite. 13 14 Andrebbe approfondita l’analisi degli effetti sull’eguaglianza di opportunità tra figli di immigrati e autoctoni della numerosità (e della moltiplicazione) degli indirizzi di studio, della posizione dei corsi di formazione professionale rispetto al sistema scolastico, della possibilità di ottenere diplomi intermedi nel corso degli studi. Interessanti risultati comparati sui sistemi formativi di alcuni paesi europei sono pubblicati sul sito del progetto “Bridge – Percorsi di successo per le seconde generazioni di migranti”: http://www.bridge2g.eu/index.php Gli studenti seguono il percorso già descritto da Becker e colleghi che porta gradualmente a considerare la professione da un punto di vista interno – almeno per quanto possibile a uno studente – abbandonando la visione esterna dei profani. Non solo apprendono a usare un linguaggio tecnico, ma parlano poco di argomenti che interessano i dilettanti e vedono aspetti positivi e negativi delle diverse attività e opportunità lavorative in termini di contenuto professionale, di prospettive di sviluppo e di carriera, di arricchimento delle competenze. D’altra parte molti figli di immigrati iscritti agli istituti alberghieri conoscono la cucina del paese di origine, ma la scelta tra le diverse cucine nazionali resta sul piano tecnico, non dà luogo a particolari considerazioni culturali o affettive nelle interviste. Queste valutazioni sono segno di integrazione nella comunità di pratica. La scuola è noiosa. Ma non è facile. Bisogna districarsi fra lezioni pratiche, ove si lavora manualmente, lezioni teoriche in cui si deve invece ascoltare e l'insegnante mantiene strettamente la disciplina e ore in cui si attende il trascorrere del tempo mentre nessuno sembra prestare attenzione alla cattedra. Questa potrebbe essere un'ulteriore difficoltà, per tutti, ma in particolare per i giovani immigrati: imparare a organizzarsi e dare senso a questo alternarsi di situazioni eterogenee e contraddittorie che pure sono tutte parte integrante del loro essere studenti. Ma c'è anche chi invece capisce perfettamente la situazione e riesce a utilizzare la scuola senza credere ai suoi riti. E' il caso di Mun, ventenne di famiglia povera. Si iscrive a un istituto alberghiero, ma dopo pochi mesi il padre perde il lavoro e non può più pagare neppure la tassa di iscrizione. Allora inizia a lavorare nelle cucine di alcuni locali, grazie alla presentazione di un insegnante. Accetta orari gravosi e appare molto determinato: riesce per anni a mantenere se stesso e a inviare denaro ai genitori in Marocco. Frequenta alcuni corsi di formazione brevi, legati alla ristorazione: mentre per altri questi corsi appaiono come inutili tentativi di migliorare le scarse possibilità di impiego, nel suo caso ne rinforzano il profilo professionale. Ora è cuoco in un ristorante e gode di buona reputazione, ma si è nuovamente iscritto al terzo anno di un istituto alberghiero, dopo aver recuperato anni da privatista, perché vuole irrobustire il suo curricolo “e poi per farmi più cultura, cioè ingrandirmi in questo lavoro, saperne di più.” Lavorare e studiare è molto gravoso per lui, vorrebbe fare quarta e quinta in un anno solo, ma gli sono chiari i meccanismi scolastici: “Ho fatto la richiesta ma penso di non farcela perché poi trovarmi a fare la maturità di fronte, mi sono informato, di fronte alla commissione che guarda il tuo curriculum scolastico dice: questo com'è che ha fatto cinque anni in due anni? Ti tartassano e magari non passi” (int. 127). In un certo senso egli ha già superato la comunità scolastica, ne ha compreso logiche e limiti e sa utilizzarle in modo strategico, senza farsi illusioni sulla possibilità di ignorare le 15 regole del sistema e di far valere le proprie competenze professionali direttamente nella sfera scolastica. Nelle ore di lezione in classe a cui abbiamo potuto assistere si notava la costanza con la quale gli studenti si sentono valutare negativamente: il loro rendimento è scarso, il comportamento scorretto, i risultati finali dubbi e soggetti alla necessità di sempre nuovi sforzi. Non mancano riferimenti ad altre classi o istituti in cui i risultati sono migliori e la presenza di stranieri è segnalata come una possibile fonte di problemi. E' quella chaîne du mépris di cui parlano Dubet e Martuccelli (1996: 250). Non si tratta di accusare gli insegnanti di insensibilità: è una questione strutturale, la scuola si propone anche negli anni terminali di istituti non particolarmente problematici dal punto di vista sociale come una struttura di sorveglianza, disciplinamento e punizione. Sarebbe necessaria una osservazione più lunga e sistematica per valutare se questa pressione si eserciti in modi o quantità differenti sugli alunni stranieri 14 ma l'effetto di un trattamento eguale su giovani di origine immigrata che hanno già fronteggiato difficoltà di inserimento ed episodi di discriminazione può essere comunque più negativo. Anche se gli studenti sembrano indifferenti a queste valutazioni negative, è difficile pensare che esse abbiano il solo effetto positivo di spingerli a migliorare. Piuttosto possono confermare il loro scarso valore come studenti, l’inutilità della scuola e dell’investimento in essa, l’ineluttabilità di una integrazione subalterna. Un ragazzo rumeno si è fatto fama di ribelle scomparendo semplicemente un giorno dal liceo, mentre veniva accompagnato a un corso di italiano. “Non avevo neanche capito cosa volessero” sostiene. Ora è iscritto all'alberghiero, è all'ultimo anno. Non si può dire un caso di dispersione scolastica o di insuccesso, ma durante le lezioni il suo sguardo è assente, sembra considerare dall’esterno le piccole vicissitudini della classe. Pochi riescono a invertire questa logica: come Anka (int. 118) che ha un lavoro, studia a casa e viene a scuola solo per superare le interrogazioni, opponendo il suo ottimo profitto ai rimproveri per le numerose assenze e alla richiesta di recuperare le lezioni perse. Come Norman (int. 123) che supera le interrogazioni e l’esame di maturità grazie alla sua abilità dialettica pur avendo fama di alunno distratto e indisciplinato. L'altro elemento che abbiamo notato nelle ore di osservazione diretta, abbondantemente descritto in letteratura (Geer, 1968), è la continua negoziazione dell'ordine in classe. Vi è una costante trattativa sui comportamenti, a partire dalle ripetute richieste di poter uscire dall’aula, ai richiami agli alunni indisciplinati, ma anche un frequente ricorso all'umorismo e alle battute 15. 14 16 Ma alcune indagini empiriche recenti confermano, nei casi studiati, che questa differenza esiste, anche se può intrecciarsi alla dimensione di classe sociale (Rapari, 2007; Delay, 2011). I figli di immigrati, ancora una volta, non si distinguono in modo evidente in questa negoziazione, o almeno non sulla base di una breve osservazione. Alcuni sembrano perfettamente in grado di apprendere e applicare le regole del gioco. Altri sembrano invece ai margini, taciturni e indifferenti. Andrebbe valutato quanto la negoziazione e gli scherzi possano apparire loro estranei, forse pericolosi (la battuta xenofoba è sempre possibile), forse infantili. 6. Impara l'arte e mettila da parte, perché non serve? Gli istituti da noi studiati prevedono nei loro programmi sia lezioni pratiche, sia stage presso imprese. L'esperienza del lavoro – quello a cui dovrebbe prioritariamente destinare il corso – è quindi parte integrante del curricolo scolastico. Qui avviene, ma non per tutti e non nello steso modo, il primo contatto con una nuova comunità di pratiche, con i professionisti. Le lezioni di cucina e sala degli istituti alberghieri non sono simulazioni: già al primo anno gli alunni preparano e servono i pasti che vengo consumati nelle mense dell'istituto. Non è sempre ovvio, all'osservatore esterno, quali siano le dinamiche: vi sono relativamente poche istruzioni verbali, lunghi minuti di apparente inattività, in cui gli studenti parlano fra loro o osservano altri che manipolano cibi e attrezzature, si alternano a momenti di lavoro frenetico in cui ognuno trova il proprio posto. Gli alunni stranieri non sembrano essere trattati in modo diverso dagli altri, ma in generale è evidente che alcuni studenti si muovono con maggiore abilità e sicurezza. Gli insegnanti, che circolano fra i gruppi di lavoro e partecipano alla preparazione, non esercitano un controllo visivo “panoptico” su tutto il gruppo, come nelle lezioni frontali in classe. Confermano però di saper valutare rapidamente gli studenti. Questa valutazione – basata presumibilmente sul comportamento, sull’attenzione, sulla abilità manuale – sembra alla base di una doppia selezione. Anche le discipline pratiche sono selettive e alcuni studenti sono respinti. Ma avviene una ulteriore valutazione: i docenti di materie tecniche individuano fra gli allievi quelli che sembrano possedere competenze e interesse per diventare professionisti, per poi segnarli ai locali più interessanti per qualità del lavoro e prospettive di carriera, giocando così un ruolo rilevante nell’integrazione lavorativa. 15 17 I motti di spirito e gli scherzi verbali hanno un ruolo significativo nell'interazione fa allievi e insegnanti e tra gli stu denti. Questo comportamento può essere analizzato nei termini del joking behaviour di Radcliffe-Brown: il joking behaviour è tipico di strutture di relazione fra persone tra le quali vi è al contempo legame e separazione. In questi casi si può avere sia rispetto esagerato, sia burla. Sono modi alternativi di mantenere una particolare relazione che l’antropologo britannico definisce di consociation in cui vi è una tensione non risolvibile tra le parti, che deve essere controllata per non esplodere in conflitto (Radcliffe-Brown, 1940). E' anche una “tecnica di sopravvivenza” degli insegnanti per controllare il conflitto, che pure adombra una potenziale aggressività (Woods, 1977). Con gli stage in azienda gli studenti entrano in contato con il mondo del lavoro. Nel caso di istituti industriali o per odontotecnici, il giudizio degli studenti è che si tratti di una esperienza poco utile. Materiali e macchinari sono costosi e delicati e le imprese non vogliono rischiare errori o guasti: gli stagisti lamentano di essere utilizzati per fare pulizie o per altre attività marginali. L'eccezione in questo caso è uno studente di origine cilena che invece è riuscito a farsi presentare a un laboratorio odontotecnico e da alcuni anni fa pratica regolarmente. Egli conferma però l’idea, condivisa dai compagni, che vi sia una distanza notevole fra le tecnologie insegnate dalla scuola, che considera limitate e antiquate, e il ben più complesso e aggiornato lavoro richiesto nei laboratori (int. 91). L'istituto alberghiero, a detta anche dei dirigenti, soffre meno di questo gap tecnologico. Interrogati sulle loro impressioni, praticamente tutti gli stagisti di questi istituti dicono che la maggiore differenza sono i ritmi e i carichi di lavoro. A scuola si ha molto tempo a disposizione per preparazioni programmate, il personale è sovrabbondante e c'è modo di rimediare agli errori. Sul posto di lavoro si deve reggere un ritmo molto intenso e per un lungo tempo. Ancora una volta invece i contenuti tecnici del lavoro sembrano meno problematici: anche se lo stile di servizio o il tipo di cucina variano molto fra un hotel di lusso e una pizzeria di quartiere, ci sia adatta rapidamente alle richieste (ma forse i meno abili non verranno inviati ai locali più esigenti). Sembra più una questione di relazioni con i colleghi e i proprietari che di tecniche apprese da mettere in pratica. I buoni rapporti dichiarati con i datori di lavoro possono, in certi casi, celare una divisione di ruoli che non esclude tensioni e ostilità (Perrotta, 2011): il “buon padrone” è semplicemente colui che non si comporta peggio di quanto ci si aspetti. In genere però i giovani intervistati sembrano apprezzare la possibilità di lavorare con colleghi o con chef relativamente giovani che hanno con loro un rapporto collaborativo e che non esercitano su di loro un controllo scolastico. Gli orari di lavoro risultano presto un punto cruciale, confermato anche dai docenti dell'istituto e dalla letteratura sociologica sulle attività di ristorazione (White, 1949; Fine, 1996; 2003). Le ore di lavoro contrattuali sono sovente superate – dovendo restare nel locale dopo la partenza degli ultimi clienti, per riordinare e pulire anche sino a notte fonda. Il tempo di lavoro poi coincide con quello in cui normalmente si frequentano amici e si ha una vita familiare: le ore dei pasti e le festività. Questo fa sì che i professionisti finiscano per avere una scarsa vita di relazioni, se non con colleghi di lavoro e che il lavoro possa interferire con la vita familiare. Alcune attività poi sono possibili solo da giovani: è difficile trovare lavoro come cameriera o reggere certi ritmi nei locali notturni dopo una certa età. D'altra parte è necessario crearsi progressivamente una buona reputazione prima con gli insegnanti di materie pratiche, poi con i datori di lavoro, i maître o gli chef de cuisine per poter 18 trovare nuove occupazioni (o migliorarle): i legami, anche deboli, con amici e colleghi di lavoro possono a loro volta servire per trovare e impieghi più o meno occasionali anche al di fuori del circuito strettamente professionale. Nella costruzione di questa rete di relazioni possono pesare molti fattori, dalla abilità professionale alla capacità relazionale, alla disponibilità ad accettare proposte senza preavviso e in condizioni non ottimali, ovviamente. Ma contano anche situazioni di fatto e propensioni personali: Ana, (int. 115), diplomata con buoni voti all'alberghiero e con esperienza di sala e bar, non può accettare lavori nei locali che chiudono a notte fonda perché non può usare l'auto del padre16 e non osa rientrare a casa da sola. Questo le preclude una serie di possibili impieghi. Norman (int. 123) invece si è diplomato in un istituto professionale per grafici, ma lavora da tempo nelle birrerie, ove è apprezzato il fatto che sia anglofono: il lavoro di notte in questi locali affollati si concilia con le sue reti di amicizie personali e con il desiderio di fare nuove conoscenze, ed è uno stile di vita che gli è congeniale, anche se non esente da rischi. Molti studenti hanno esperienze di lavoro anche al di fuori degli stage. Alcuni sono figli di ristoratori. Sono pochi fra gli immigrati e la scelta è meno ovvia del previsto: Manuele, studente dell'alberghiero di Pinerolo è figlio del proprietario di un ristorante cinese. Ma quando gli viene chiesto se pensa di continuare l'attività di famiglia, dice che hanno ceduto il ristorante da qualche anno e ora gestiscono un negozio di abbigliamento. Anche il fratello studente universitario lavora in un negozio (int. 15). Quello che conta è la redditività, non una inesistente tradizione familiare. Altri svolgono attività occasionali. In alcuni casi esse hanno poco o nulla a che fare con il corso di studi (assistente domiciliare, pulizie domestiche, baby sitter; all'istituto industriale alcuni hanno lavorato in fabbrica, ma con mansioni non attinenti al corso di studi). Molti lavorano come camerieri o aiuto cuoco. In questo caso il problema per gli studenti degli istituti alberghieri può derivare dal trovarsi a lavorare con altre persone che non hanno alcuna formazione o hanno seguito solo brevi corsi. Gli studenti intervistati da un lato accolgono la visione ufficiale degli istituti: che essi hanno un potenziale patrimonio di competenze in igiene, economia, lingue che li prepara ad assumere maggiori responsabilità in futuro. Dall'altro l'atteggiamento verso il lavoro occasionale sembra molto pragmatico: serve a guadagnare, può servire a conoscere e farsi conoscere, ma non è il luogo per rivendicare maggior prestigio rispetto ai colleghi non qualificati. Quando si entra invece in una comunità di lavoro professionale, la relazione fra compenso, compiti e posizione nella gerarchia interna contano molto. L’approssimarsi dell’esame di maturità ripropone il problema della scelta. Molti escludono di proseguire all'università: una delle ragioni più spesso addotte è l'età, come già ricordato. Dopo 16 19 La vecchia automobile del padre, infatti, ha una cilindrata superiore a quella che la giovane neopatentata può guidare: una norma pensata per impedire l’utilizzo di potenti automobili da parte di giovani presumibilmente benestanti ha l’effetto di limitare le possibilità di occupazione per altri giovani con redditi familiari modesti. anni persi per ripetenze o inserimenti in classi di età inferiori, a oltre venti anni si desidera uscire da un ormai lungo percorso scolastico. L’università appare a molti più la prosecuzione del precedente percorso scolastico, con i suoi limiti e le sue incertezze, che l’accesso a una formazione che garantirà un futuro lavorativo migliore e più sicuro. Ma anche la presenza di corsi universitari a numero chiuso scoraggia: l'idea di investire tempo ed energie per una prova che si ritiene molto improbabile superare (e che si sospetta viziata da favoritismi) fa sì che molti iscritti a odontotecnica non pensino di tentare il corso universitario coerente. Qualche studente dell’alberghiero pensa comunque di iscriversi a scienze dell'alimentazione o a economia. La presenza di sbarramenti iniziali ai corsi universitari a numero chiuso sembra avere l'effetto (si spera non voluto) di scoraggiare in partenza questi studenti, non meno preparati dei loro compagni italiani, ma su cui hanno già gravato difficoltà varie – ritardi, ostilità, famiglie con redditi bassi – facendo loro rinunciare a tentare. Con un sistema più aperto forse alcuni avrebbero comunque abbandonato nei primi anni, ma avrebbero avuto almeno la possibilità di mettersi alla prova. Per quasi tutti comunque la fine della scuola non è attesa come il passaggio netto al lavoro, ma in qualche modo come la continuazione di attività incerte, precarie e frammentate che si erano già sperimentate negli anni precedenti. Lo status giuridico non sembra la prima preoccupazione dei giovani di origine straniera, come si poteva immaginare: molti hanno la carta di soggiorno, se non la cittadinanza italiana, e gli altri ritengono comunque di poter far fronte al rischio del rinnovo del permesso di soggiorno, se troveranno una qualunque occupazione. Più preoccupante sembra il fatto che la aspirazione a lavori “non da immigrato”, alla mobilità sociale ascendente rispetto ai genitori, sovente indicata come una caratteristica di questi giovani, si scontri con un mercato del lavoro che continua a offrire occupazioni poco qualificate e precarie per tutti e costringe, realisticamente, ad accettare queste opportunità. Se per i figli degli immigrati meridionali a Torino negli anni sessanta e settanta ottenere un diploma significava quasi sempre poter abbandonare il lavoro manuale (sovente per le donne come casalinga) dei genitori, per questi giovani immigrati la situazione è più complessa: i cattivi lavori, il precariato, le attività senza prospettive di sviluppo si possono annidare ovunque. Non è possibile per essi tracciare un solco netto con l’esperienza dei genitori. Vi sono possibili e significative eccezioni: in particolare alcuni hanno parenti nei paesi di origine o in altri paesi di emigrazione che si sono offerti di aiutarli a trovare lavoro o almeno di assisterli in una nuova migrazione. E' difficile dire se queste reti transnazionali siano davvero in grado di offrire alternative o se restino una speranza, un sogno nel cassetto: nella crisi attuale questa potrebbe già essere per essi una risorsa. 20 Opere citate ALLASINO, Enrico, EVE, Michael, 2008, “Ceto medio negato? Fenomeni migratori e nuove questioni” in: Arnaldo Bagnasco (a cura di) Ceto medio. Perché e come occuparsene, Bologna, Il Mulino, pp. 285-322. BARBAGLI, Marzio, DEI, Marcello, 1969, Le vestali della classe media: ricerca sociologica sugli insegnanti, Bologna, Il Mulino. BECKER, Howard S., GEER, Blanche, HUGHES, Everett C., STRAUSS, Anselm L., 1961, Boys in White. Student Culture in Medical School, Chicago, University of Chicago Press. 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