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REGIONE PUGLIA
Assesso rato Ist ru zio ne e Pro moz io ne Cu lt urale
Le chiese campestri
del
Gargano nord
UMILTÀ E GRANDEZZA
a cura di N icola M. Basso
Vico del Ga rgano
e.R.S.E.e. FG/28
Dott.ssa Anna Peres
Responsabile CR.S.E.C
GRUPPO OPERATIVO CR.S .E.C FG/28
Progetto e Organizzazione:
Carolina di Nunzio
Natalina Patrone
Emilia Saccia
Caterina Scaramuzzo
Giuseppina Tavaglione
Coordinamento e introduzione:
Pro! Nicola M Basso
Un doveroso ringraziamento all'assessore alla Pubblica Istruzione della Regione Puglia per l'approvazione ed il finanziamento del "Progetto"
Diritti riservati alla Regione Puglia
La riproduzione dei testi è subordinata alla citazione della fonte
Pubblicazione fuori commercio destinata a biblioteche pubbliche
e scolastiche, archivi, centri di documentazione e istituti universitari
Fotografie di Cesare Catanzani
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PREMESSA
Accostare, studiare e ammirare Le chiese campestri di un'area garganica così
variegata e compLessa, permette ancora una volta di ritrovare queLfiLo comune,
unico, indissoLubile che unisce uomini e cuLtura, tradizioni e arti, in una silenziosa e accattivante intesa che ha favorito, neLcorso dei secoli, La costruzione di
edifici sacri nei Luoghi più solitari o aLtamente suggestivi, La nascita di culti
Leggendari e sentiti che si evoLvono o si mantengono nei rituali e neLLe preghiere.
Una testimonianza intatta di jède e di ricordi neLLe pietre e nei ruderi di un
mondo primitivo e autentico che continua a vivere neLLa memoria dei nostri
padri e neLLa riscoperta e consapevoLezza storica e culturaLe di quanti interrogano il presente.
Sensibili a quanto il nostro territorio riesce sempre ad ofFirci, abbiamo
voLuto, con questa pubblicazione, abbracciare storia, arte eflLkLore, coordinando un Lavoro di ricerca meticoLosa ep regevoLe, e approdare così aLLa stesura di un
voLume che fa della fotografia specchio entro cui si riflette la cultura garganica.
LA RESPONSABILE ANNA PERES
e il Gruppo operativo
C.R.S.E.C. FG/28
- .) -
PRESENTAZIONE
Tra colori sfumati e vegetazione spontanea, tra uliveti secolari o a ridosso di
dolci colline . .. ecco spuntare pietre, tetti, campanili e archi delle antiche chiesette
di campagna, i luoghi in cui la religiosità si fonde con la vita vera, autentica, in
cui la mano dell'uomo ha eretto santuari e altari, quasi a testimoniare la presenza di Cristo o di un Santo, a rimarcare una volontà comune e schietta di
inserire in un variopinto scenario naturale manufatti sacri e carichi di forte
spiritualità.
Leggende che si accavallano, ricordi e testimonianze di miracoli, presenza
di ex voto eloquenti e assolutamente autentici, rituali che si ripetono ancora,
feste, canti, musiche e proJùmi che fanno rivivere luoghi romiti e impervi, messaggeri di carità e speranza.
Le chiese campestri, nella loro disarmante semplicità e linearità, concentrano l'essenza dell'uomo dedito alle piccole-grandi cose, segnato da una cultura
popolare che non lo allontana dagli affetti e dal suo intimo credo, non lo relega
al ruolo di subalterno, ma lo aiuta a sentirsi meno solo, lo porta a condividere
con altri scampoli di vita collettiva, lo incoraggia a credere che la miseria non è
un muro invalicabile, che la felicità esiste e dipende da ciò che è in grado di
offrire a se stesso, in armonia con la volontà di Dio.
Coordinate di vita e non sterili assioni che condizionano pensieri e azioni,
plasmano uomini e modellano comportamenti che con il tempo giustificano il
perdurare delle tradizioni e delle credenze popolari.
Il pregio umano e culturale di una pubblicazione che partendo dal sacro,
attraversa l'arte per poi giungere all'uomo, alle sue interpretazioni, ai suoi sentimenti non può lasciare indifferente chi fa della memoria del passato pretesto
per raffòrzare il valore storico del presente, chi con la ragione si sforza di conoscere il mondo e accettare l'uomo, chi incuriosito dalle immagini riesce ad addentrarsi nei meandri misteriosi della fede o dei costumi popolari.
Ammirevole la ricerca storica e la selezione delle foto, entrambe coordinate dal
gruppo operativo, artefice di un recupero non solo storico e culturale, ma soprattutto ambientale di una vasta area garganica, custode di preziose creazioni umane, protagonista, ancora una volta di un libro che ne contempla bellezza e ricordi.
Prof.ssa Maria Loreta Soldano
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INTRODUZIONE
Larcaico mondo contadino, che per secoli ha distinto l'organizzazione
delle piccole comunità garganiche e che ha visto operare uomini e donne
nell'incessante bisogno di affrancarsi dal proprio sostentamento quotidiano, si è protratto pressoché intatto fino al termine degli anni '50 quando è
iniziata sempre più imponente la fuga dalle campagne per rifugiarsi nelle
città industriali del nord Italia e del centro Europa.
Questo mondo , che aveva il suo perno nel faticoso lavoro dei campi,
teneva alla base due supporti essenziali ed inscindibili. Il primo era la famiglia, spesso numerosa, che affiancava per necessità, nei suoi diversi componenti sia moglie che figli, il lavoro del capofamiglia.
Il secondo, non per tutti sempre essenziale, ma non per questo marginale, era dato dal rapporto con la religione e quindi con le istituzioni ecclesiastiche.
Il rapporto con il mondo della chiesa era tenuto con riverenza e consapevolezza all'interno del paese frequentando le messe mattutine, a volte
quelle domenicali e festive o ravvivando attivamente, quando era possibile,
una antica congregazione laicale, che ancora oggi sono presenti in molti
paesI garganicI.
Oppure vi era un coinvolgimento occasionale del contadino che lo
faceva stare legato ad una certa chiesa di campagna perché posta nelle
vicinanze di un suo uliveto, vigna o giardino d'aranci per cui in occasione
della ricorrenza religiosa del santo o santa o Madonna, cui era intitolata
la chiesa, vi era la sua partecipazione insieme alla famiglia e ad altre della
contrada.
Il momento aggregante della celebrazione del rito religioso, fatto quasi
sempre con semplicità, era di norma rapportato alla fede e alla speranza di
ottenere l'intercessione per un fruttuoso raccolto ed era altresì l'occasione e
il modo per socializzare con altri contadini, per incontrare altre persone e
scambiarsi impressioni o previsioni riguardanti il proprio ambito di occupazione e di sostentamento.
Non poche volte questi incontri socializzanti presso chiese di campagna, durante l'annuale ricorrenza religiosa, davano l'opportunità a gagliardi giovanotti e a belle ragazze orgogliosamente abbigliate, ma timide negli
atteggiamenti per far nascere simpatia e amori fatti prima di significativi
sguardi e solo in seguito coronati da un lungo matrimonio.
Tuttora nella sagrestia di qualche chiesetta vengono custoditi gli ex voto
sotto forma di oggetti in legno o in metallo nella forma di braccio o di
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gamba o quadri dipinti con ingenuo realismo a rappresentare l'evento luttuoso scampato. Questa antica e sentita tradizione (chi ricorda le diecine e
diecine di ex voto un tempo sistemati lungo le pareti della scalinata prima
di giungere nell' atrio antecedente la porta di accesso alla Basilicata di San
Michele Arcangelo in Monte Sant'Angelo?) oggi è in disuso e per le cosiddette grazie ricevute sovente venivano donate somme di denaro, necessarie
pure per dei periodici restauri o per acquisti di nuovi paramenti, addobbi
più decorosi o arredi utilizzati per il buon funzionamento delle attività
della chiesa.
Non era insolito l'arrivo di contadini provenienti da paesi limitrofi devoti del santo celebrato. Dove l'antico tratturo o la strada più agevole lo
permetteva, solerti commercianti ambulanti vi giungevano per impiantare
bancarelle per vendere torrone, noci, arachidi, panini, bevande fresche e
qualche modesto giocattolo per i più piccini.
La ricorrenza devozionale del santo si trasformava, insieme alla celebrazione religiosa, in festa campestre o in sagra popolare. Sia in passato che in
anni recenti si è conservato il fenomeno che al rientro della processione
della statua del santo, fatta nelle vicinanze della chiesa, venivano accessi dei
fuochi d'artificio cui seguiva, a volte, l'esibizione di un gruppo musicale
per intrattenere fino all'imbrunire i numerosi convenuti.
Oggi, poiché sono pochi i preti officianti nelle chiese cittadine, la gestione di quelle di campagna, che sono ben custodite e vengono riaperte al
culto almeno una volta all'anno, è stata affidata agli intraprendenti componenti laici di una congrega o ad uno o più contadini che posseggono
appezzamenti di terra coltivata nelle vicinanze della chiesa i quali, con forti
sacrifici, senso di fede e di responsabilità, sopportano le molte spese di gestione annuale.
Tutto ciò è una apprezzabile manifestazione di volontariato laico che è
complementare e alternativo al mondo ecclesiastico ed è indispensabile per
la preservazione delle chiese di campagna a beneficio di occasionali fedeli.
A volte, nel territorio la chiesa rurale poteva trovarsi nei pressi della
modesta o lussuosa residenza di campagna di un facoltoso proprietario o di
quella di un prete stesso o addirittura vi erano delle cappelle all'interno di
sontuosi casini ottocenteschi. Essa veniva costruita per devozione e per uso
strettamente privato. Perciò sfuggiva alla necessità di un culto più ampio e
popolare.
Se così era e, sotto certi aspetti, lo è tuttora il contatto di pochi contadini o di altre persone con le chiese di campagna che sono ben custodite e
gestite, non lo è più con quelle un tempo ben tenute ed operanti nel territorio perché da tempo sono state abbandonate, hanno le volte crollate o i
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tetti pericolanti e sono bisognose di urgenti restauri per preservarne ai posteri la memoria.
Lesodo dalle campagne, protrarrosi lento e continuo dagli inizi degli
anni '60 ad oggi, che ha determinato la scomparsa dei tipici contadini in
compagnia del tradizionale mulo o asino, ha fatto in modo che fossero
abbandonate prima le numerose casette rurali e poi, di conseguenza, le
piccole e secolari chiesette immerse nel verde agreste, un tempo dispensatrici
di fede e di speranza di un futuro migliore per generazioni di lavoratori
della terra.
Da ignoti predoni moderni, con l'abbandono, esse sono state spogliate,
pure se poste lontane da comode strade rotabili, di rutto ciò che era
asportabile e vendibile. Sono state rubate antiche campane, artistiche acquasantiere, quadri di modesto valore, portali con architravi, stemmi con
date, suppellettili da tempo abbandonate. Lessere state neglette dall'uomo
e il trascorrere del tempo le hanno portate alla condizione di degrado più
completo.
La progressiva secolarizzazione della società odierna, l'indifferenza delle
autorità preposte alla tutela, l'impossibilità del clero nel poterle accudire, il
diffuso diminuire del sentimento di fede e di timore per tutto ciò che è
sacro, hanno fatto diventare molte antiche chiese rurali garganiche aridi
mucchi di pietre e annullato il timore della punizione divina.
Sembra strano che il declino, non completo, di questo mondo religioso
coincida con la fine del secondo millennio.
Forse ad esso ne seguirà uno di speranza e di rinascita.
Nicola M. Basso
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1
VIESTE
MARIA DI MERINO
(La villa romana e la necropoli)
CHIESA DI SANTA
Alcuni chilometri prima di giungere a Vieste, percorrendo la vecchia e
sinuosa strada costiera, in prossimità della spiaggia si trova la chiesa di Santa Maria di Merino, particolarmente venerata dai viestani.
Essa sorge in una zona assai ricca di testimonianze archeologiche.
Vi sono, infatti, i resti di una grande villa romana e di altri insediamenti
minori. Gli esperti che la fanno risalire al I secolo a.c. asseriscono che ha
svolto la funzione di viridarium, tanto è vero che si notano i fori presenti
lungo un muro in cui dovevano essere inseriti delle travi che reggevano il
porticato, poiché mancano tracce di eventuali pilastri. Poco distanti sono
visibili diversi doli i e vasche interrate, usati sia per la lavorazione che per la
conservazione di prodotti agricoli provenienti dal circondario, quali vino
ed olio.
Era un piccolo e attivo centro di smistamento commerciale che sfruttò
la vicinanza del mare con un modesto porticciolo.
Di certo non era una piccola città, anche perché sia Plinio che Orazio
ne hanno scritto in modo incerto. Assai probabilmente essa non venne
distrutta durante incursioni di nemici, ma si trovò interrata a causa di successivi violenti alluvioni del vicino torrente Macchia che la seppellì e per
questo si sono conservate abbastanza bene numerose case.
Per tali motivi gli abitanti di Merino si rifugiarono nella vicina Vieste
dotata di adeguate strutture difensive e ben protetta dal mare e da alte
mura.
A poca distanza da questa villa vi è, una attaccata all 'altra, la necropoli
paleocristiana della Salata e della Salatella di notevole fascino ed interesse.
Non tanto colpiscono il visitatore le grotte in cui sono scavati nella roccia
tufacea diecine di loculi, quanto quelli , grandi o piccoli dotati spesso di
arcosoli i, che sono stati ricavati sulle fiancate di alte pareti rocciose e in bui
antri raggiungibili con difficoltà anche a causa di una forte umidità.
Nei pressi sgorgono due ruscelletti di limpida acqua che si congiungono
poco distante al di sotto di un ponticello in legno che li scavalca e la vegetazione acquatica, gli uccelli del posto e altri animali che vi vivono formano
un ecosistema unico e suggestivo in quella parte del promontorio specie se
si considera che proprio a fianco è presente un attrezzato centro turistico.
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I.:intera zona, che è ben tenuta ed è stata opportunamente recintata,
viene gestita dai soci della sezione j. Annoot del WWF di Vieste, che svolgono brillantemente un compito di volontariato culturale.
Nelle vicinanze, verso la cittadina rivierasca, su un pianoro arso dal sole,
sorge la chiesetta di Santa Maria di Merino tutta bianca e circondata da
tipica vegetazione mediterranea. Isolato e silenzioso è il contesto che la
circonda per tutto l'anno, ma diventa vivace e chiassoso in occasione della
festa religiosa che si svolge a primavera con grande partecipazione di fedeli,
molti dei quali provengono per devozione dai paesi limitrofi.
La struttura della chiesa è diversa da quella originaria che era più antica,
in quanto essendo piccola riusciva ad accogliere all'interno un numero ridotto di fedeli e per questo motivo fu ampliata sulla parte retrostante quando era retta dal primi cerio don Michele Cariglia. Una piccola iscrizione che
riporta a devozione del popolo viestano -1831 ricorda l'evento. In questa occasione venne edificata la cupoletta e di lato furono sistemate all'interno
due colonne di granito trovate nei dintorni, raccordate da una arcata. La
chiesa è mononavata. Poco oltre l'entrata, sulla parete destra, vi è un'ampio
arco a nicchia, in pietra faccia vista in cui è sistemata la statua moderna di
San Marino monaco e martire, eremita vissuto nel X secolo.
Sul lato opposto, in una altra arcata a nicchia, si trova la statua che rappresenta San Pietro Celestino divenuto Papa nel 1294 col nome di Celestino V,
conosciuto anche come Pietro da Morrone, umile eremita che, si tramanda,
venne avventurosamente sul Gargano dove dimorò per breve tempo.
Nel 1909 fu ampliata la parte antistante dal devoto Petrone Pasquale
Farina, lasciando al proprio posto il piccolo campanile. Su di esso è presente una campana i cui rintocchi echeggiano nella piana circostante per avvisare i fedeli dell' arrivo processionale dell' effige della Madonna nel giorno
della sua festa. Essa fu realizzata in una fonderia di Barletta nel 1817 su
ordinazione di don Michele Cariglia e don Emanuele Abbatantuono, mentre quella precedente, benedetta dal vescovo di Vieste il 30 aprile 1698 si
ruppe nel 1815.
All'esterno, a sinistra guardando la facciata, vi è un vasto prato pianeggiante con alcuni pini. Da questo lato sono sistemati alcune diecine di sedili in pietra ed altri in marmo usati dai fedeli per l'ascolto della messa celebrata al l' aperto durante la calda estate viestana. Sul fondo vi è un semplice
altare di pietra dominato da una gra~de croce di legno che è visibile dalla
vicina strada rotabile che conduce a Vieste. In più vi è all' esterno una grande targa marmo rea, posta in un piccolo vano a nicchia, che riporta notizie
secondo cui l'Arc.Mons. Valentino Vai lati in data 7 ottobre 1989 riconfermò la chiesa col titolo di Santuario e la costituÌ in parrocchia di campagna.
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Vieste, Chiesa di Santa Maria di Merino.
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Poi il 20 aprile 1991 l'Are. Mons. Vincenzo d'Addario con solenne cerimonia consacrò primo parroco della chiesa stessa il sacerdote don Michele
Ascoli. Nel piazzale esterno, sulla destra, su una targa di marmo sistemata a
Iato di un cippo quadrilatero nei pressi dei ruderi romani è scritto: A Maria
Ss. di Merino regina delle vittorie i reduci del A.DJ e il popolo riconoscenti- 9
maggio 1936. Per cura di Filomena Cariglia vedova Medina.
All'interno vi sono decorazioni e dipinti del secolo scorso fra cui una
tela del 1853 realizzata dal molisano Ernesto Moccia di Bagnoli su cui ha
rappresentato la Madonna di Merino, o meglio l'Annunziata, come veniva
ed è chiamata anche oggi, in atto di parlare con l'Arcangelo Gabriele.
Questo quadro, posto al di sopra dell' altare che è illuminato dalla luce
proveniente da due finestrelle laterali, subì dei restauri agli inizi del '900 e
fu anche oggetto di sfregio da parte di alcuni giovinastri nel lontano 1956.
Un altro drammatico episodio, cui fu oggetto la chiesa, avvenne nel
giugno del 1805 allorché circa duecento pirati barbareschi o saraceni sbarcarono sulla spiaggia di Scialmarino, lontana alcuni chilometri da Vieste.
Costoro entrati prepotentemente nella chiesa la depredarono di molte suppellettili, misero tutto in subbuglio e distrussero il quadro della Madonna lì
venerata. Non solo, ma fecero prigionieri una decina di giovani contadini
viestani che dormivano sull' aia antistante occupata in parte da covoni in
quanto era il tempo della mietitura del grano e della successiva battitura.
Presi in cattività furono portati via in schiavitù non rivedendo mai più il
loro amato paese.
La statua lignea dipinta di S. Maria di Merino è, secondo gli esperti, del
XIV secolo ed è stata trovata sul tratto di spiaggia di Scialmarino da abitanti del posto e venne portata successivamente nella vicina città di Vieste
tenendo la per secoli come protettrice nella sacrestia dellà Cattedrale.
Essa, che è in atteggiamento reverenziale, ha la mano sinistra sul cuore,
la destra sollevata in atto di salurare o benedire e sul capo porta una troneggiante e sontuosa corona.
Va detto ancora che la statua lignea venne fatta indorare a spese dell'Amminstrazione Civica che la fece conservare sotto la sua protezione e fu
posta nella cosiddetta Capella del Popolo della Cattedrale a partire dal marzo 1617, come viene riferito in un atto trascritto dal notaio Simone Tranasio allorché era sindaco Matteo Carillo.
La devozione dei viestani, che ogni anno preparano accuratamente la
festa religiosa il 9 di maggio portando solennemente in processione la statua fino alla chiesa di campagna di Merino, si è intensificata al seguito di un
inspiegabile quanto miracolistico salvataggio dell' effigie dalle fiamme.
Difatti, si narra che sul finire del 1800 un devastante quanto improvvi- Il -
Vieste, Resti della villa romana (Particolare).
so incendio si propagò nella sagrestia della antica cattedrale raggiungendo
il posto dove era custodita e, laddove ogni altra cosa fu distrutta dal fuoco
lasciando pressoché intatti i muri , la statua si salvò e fece gridare i fedeli al
prodigio, al miracolo.
Tutto ciò fece accrescere nei viestani credenti il senso di fede e il bisogno
di protezione della Madonna di Merino verso ogni forma di male.
Bibliografia:
l)
2)
3)
4)
Carmine de Leo - Gargano: Scrigno di tesori - Edizioni Grafilandia
1993
Marco della Malva - La città e la Madonna di Merino - Tecnostampa
1970
Matteo Siena - Storia del folklore di Vieste - Tipografia Iaconeta 1978
Vincenzo Giuliani - Memorie storiche, politiche, ecclesiastiche della
città di Vieste - Centro di cultura "N. Cimaglià' (copia anastatica)
Arnaldo Forni Editore 1989.
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PESCHICI
CHIESA DELLA MADONNA DI LORETO
Nell'immediata periferia di Peschici, su un lieve poggio coperto da pini,
è situata la chiesa della Madonna di Loreto, particolarmente venerata dai
marinai del luogo che la invocano nei momenti di pericolo.
Verso la fine del XVII secolo, come viene tramandato, il capitano di un
veliero che trasportava dei pellegrini diretti al Santuario di Loreto nelle
Marche si trovò in difficoltà a causa di una improvvisa e furiosa tempesta
notturna scoppiata nel mare di fronte alla costa garganica. Nel buio della
notte con quelle precarie condizioni di agibilità, tutti i presenti a bordo,
impauriti, si misero a pregare invocando la Madonna per scampare al pericolo incombente.
I pellegrini erano sotto la guida del comandante che incuteva loro fiducia, quando tra le tenebre sulla costa scorsero una luce incerta, forse proveniente da un riparo come da una grotta, che pareva un punto di riferimento
sicuro e quindi di salvezza come se fosse un faro.
Arrivati nelle vicinanze il veliero approdò fortunosamente su una spiaggia poco distante. Tutti si posero in ginocchio e continuarono a pregare più
intensamente la Madonna che li aveva miracolati salvando li da morte sicura.
La tradizione riferisce che il capitano abbia fatto il voto di far edificare
in quel luogo una chiesa grande quanto il suo veliero posta proprio sulla
grotticella da dove si propagò la luce salvi fica.
Non sempre le narrazioni leggendarie sono soltanto tali, ma possono
essere supporrate, a volte, da fatti realmente accaduti e travisati.
È possibile perciò come riferisce il Priore Padre Fr. Serafino Razzi nel
suo Un viaggio in Abruzzo alla fine del '500 che una nave carica di pellegrini che si recava al Santuario della Madonna di Loreto, al seguito di una
impetuosa tempesta di libeccio abbia fatto naufragio su una vicina spiaggia.
Egli, in realtà riferisce che erano partiti da Termoli e che la notte fra il 4 e
il 5 settembre sia avvenuto l'infausto evento presso Vasto.
Qualcuno forse ha trasferito idealmente i luoghi molisani con quelli
garganici, lasciando intatto il contesto degli avvenimenti. È possibile che il
posto di sbarco sia stato identificato con la baia di S.Nicola che si trova
nella parte sottostante la chiesa peschiciana.
La struttura architettonica della chiesa è molto semplice e severa: essa è
composta da una sola navata e vi si accede da una doppia rampa di scale al
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Peschici, Chiesa della Madon na di Loreto.
di sotto della quale si trova la grotticella della tradizione in cui apparve la
luce e nella quale anticamente hanno dimorato degli eremiti.
È rivestita in pietra calcarea ed è delimitata da un cancello che preserva
una statuetta della Madonna, ai piedi della quale è sistema una targa ricordo con sopra inciso: A devozione di d'Amato Raffàele-1967.
La porta di entrata alla chiesa è sormontata da una lunetta con al di
sopra un rosone di semplice fattura che permette di illuminare meglio l' interno. Qui sono ben conservati alcuni ex voto devozionali sotto forma di
artistici modelli di barche o di navi, ma vi sono pure degli aeroplanini. Sul
lato destro dell 'ingresso vi è una piccola iscrizione su marmo con scri tto: Il
parroco di S. Antonio e i devoti restaurarono - A. D. 1986
Appena si è entrati, sulla destra, vi è una porticina che fa accedere ad un
angusto locale che fungeva fino a qualche decennio addietro da dimora per
l'eremita. Qui esiste tuttora un pozzo per attingervi acqua ed una scalinata
in muratura, ripida e stretta, porta nell'ampio coro da cui si gode una vis ione di insieme della chiesa e dell' altare maggiore circondato alle pareti laterali da molti ex voto. Di lato del coro, viste dal basso, si notano sul muro tre
formelle di pietra distanziate tra loro con su riportato: Ave Maria - A. D.
1882 - Gratia Piena. Il soffitto di legno brunito è a capriata ed è stato fatto
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di recente. I telai delle vecchie finestre rettangolari e quelle rotonde sono
state sostituite con i nuovi, insieme a vetri policromi, all'atto dell'inaugurazione del sontuoso portale principale in legno padouk avvenuta con grande
partecipazione di autorità e fedeli il primo maggio 2000.
Sulla parete sinistra rispetto all'altare, una lastra di marmo incastonata
riporta la seguente dicitura: La chiesa è stata restaurata con la somma di L.
840.000 a devozione di Maggiano Giuseppe Ant(onio) fo ( ..) e moglie. Beccia
Matteo fo Giuseppe Ant(onio) e moglie. Gigante Loreto fo Antonio - 1953.
Vicino vi è un grande e lungo remo quale ex voto marinaro su cui si può
leggere: Peschici 29.12.1923. A ricordo dei naufraghi della goletta Narduccio.
Ai piedi dell' altare maggiore vi è la seguente dizione: A devozione di
Anna Maria Tedeschi fo F(rancesco) 10.4.1926; a testimoniare probabili lavori di restauro.
Nella chiesa esiste un altrO piccolo altare nella cui nicchia è posta la
statua della Madonna dell'Incoronata, mentre, sul lato opposto, è sistemato l'unico vecchio confessionale forse ancora in uso durante la giornata
celebrativa della festa dedicata alla Madonna.
Il lato sinistro esterno della chiesa ha due alti contrafforti a scarpata che
rinforzano la staticità della costruzione in previsione di eventuali scosse
telluriche. Uno solo di questi è sistemato, invece, sul lato destro, mentre
attaccato di fianco alla chiesa, vi è una struttura massiccia ed alta, quasi a
forma di torre dalle strette finestrelle laterali alla cui sommità è posto un
piccolo campanile dotato di campana.
Poco prima della chiesa, sul lato destro, c'è un muro di contenimento su
cui sono sistemati tre basamenti in cemento a forma di piramide su cui
sono poste tre croci di legno. Solo quella centrale è a quattro bracci, giacché
le altre due laterali sono mancanti della parte superiore dove poggia la testa
del condannato alla crocifissione.
Esse stanno a rappresentare i simboli del riscatto umano sul Golgota,
luogo della crocifissione di Cristo e dei due ladroni.
Alcuni alti cipressi, qualche carrubo ed ulivi secolari la circondano nella
parte sottostante la via che passa nei pressi, mentre in quella retrostante
collinare sono i pini odorosi di resina a predominare sul panorama che
spazia verso Vico e verso Monte Pucci. Per i marinai questa chiesetta rappresenta quasi il faro di un porto sicuro e confortevole nei momenti di
bisogno. La festività religiosa è celebrata ogni anno con grande affluenza di
popolo con la tradizionale processione che attraversa il paese per arrivare
alla chiesa omonima. La Madonna di Loreto è considerata la protettrice
della cittadina di Peschici e il suo protettore è Sant'Elia.
La festa si svolge il lunedì seguente il giorno della Pasquetta ed in pratica
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Peschici, alcuni ex voto (Particolare)
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ne è una replica in quanto dopo la parte strettamente religiosa, con la celebrazione di una messa, nella pineta circostante i fedeli convenuti consumano un pasto frugale, come se fosse una scampagnata, fatto anche con dolci
.
.
tipICi apposItamente preparati.
Questa è, nel contempo, ]' occasione per stare insieme, fare amicizia,
conversare con argomenti di quotidianità.
Nell'immediato pomeriggio il corteo processionale rientra in paese accompagnato dalle note di una banda musicale, insieme ad amministratori
comunali, autorità civili e religiose e ai numerosi fedeli.
Ne segue alla fine lo scoppio di fuochi pirotecnici come è usanza durante questo tipo di manifestazioni popolari.
Bibliografia:
Giuseppe Martella - Peschici illustrata, nella storia e nelle leggende 1992
Michel'Antonio Piemontese - Conoscere Peschici - 1994
Livio Grasso - Peschici, immagini e folklore - 1995
Maria Teresa Marino - Maria Loreta Soldano - Madonna di Loreto Amministrazione comunale di Peschici - 2000
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VICO DEL GARGANO
CHIESA DI SANT'ANTONIO DA PADOVA
(Parrocchia di San Menaio)
Già da molto tempo questa chiesa, situata su un poggio panoramico a
ridosso della ferrovia garganica e ad un centinaio di metri dalla spiaggia, è
chiusa al culto. La causa principale è che, pur se ancora agibile per la buona
conservazione architettonica, da oltre un decennio i fedeli frequentano la
vicina chiesa di San Francesco, ricavata in un vasto locale di proprietà della
famiglia Santovito, prospiciente il mare e posta in una zona pianeggiante di
fianco alla strada statale 89 .
In effetti per chi desiderava ascoltare la messa e recarsi a piedi alla chiesa
di Sant'Antonio doveva percorrere un breve tratto di strada assai ripida e
stretta, disagevole anche in inverno per le persone anziane e difficoltosa per
le auto essendoci lì vicino un piccolo ed inadeguato parcheggio.
Sul frontespizio dell'architrave è leggibile a grandi lettere Anno Santo
1950 durante il quale subì dei restauri e un cartello turistico posto sul lato
destro avvisa l' occasionale passante Chiesa parrocchiale di Sant'Antonio. Sulla facciata, ai due lati della parte mediana, vi sono due finestroni rettangolari che permettono di illuminare l'interno e lo stesso è sulle pareti laterali.
Sulla sommità centrale del cornicione con tegole con cui termina il
frontespizio è collocata una piccola croce di marmo bianco.
Il portone, in legno massiccio, evidenzia sulle ante due incisioni. Sul
lato sinistro vi è a rilievo un calice da cui fuoriesce un' ostia su cui a malapena si legge la formula di San Bernardino (JHS. - Jesus Hominum Salvator)
e sul lato destro vi è una croce che è il simbolo del sacrificio di Gesù Cristo
e salvezza dell'umanità. Entrambe le decorazioni sono circondate da due
frondosi ramoscelli, presumibilmente, di ulivo che è il simbolo della pace.
Nella parte centrale restrostante è situato il piccolo campanile, dotato ancora di una campanella su cui è scritta la data 1864 - F(rate)lli De Poli Fonditori Venezia-Udine, la quale ormai non diffonde più i rintocchi di
richiamo nel circondario.
Essa fu data in dono da Dionisio della Bella che la fece sostituire al
posto di un' altra campana assai piccola considerata inadatta per avvisare i
fedeli delle funzioni religiose.
Sul retro proprio attaccata alla chiesa, vi è la casetta che un tempo era
affidata al parroco come canonica la quale conserva la sua modesta antichi- 18 -
tà sia nei caratteri strutturali esterni che nei vecchi e tipici pinci che ne
ricoprono il tetto spiovente. Anche l'annessa sagrestia fu fatta costruire a
spese dello stesso della Bella. Tutt'intorno ci sono canneti, campagna incolta e il dirupo, a ridosso dei binari, con bianchi caseggiati a terrazzo per i
villeggianti estivi.
Oggi persiste il silenzio e il latrare lontano di cani in cattività, mentre
un tempo residenti e turisti ravvivavano la zona con la loro presenza durante le messe e le cerimonie religiose sin da quando divenne parrocchia del
vasto litorale ed entroterra di San Menaio, frazione marina di Vico del
Gargano. Soltanto nel secondo decennio del '900 fu avvertito in modo
impellente la necessità di istituire una parrocchia nella principale frazione
vichese. La presenza di molti contadini dimoranti nelle campagne, di addetti alla pesca e ai commerci marittimi e il sempre più crescente arrivo di
una élite di turisti che in estate erano ospitati in villini e casini sparsi lungo
il litorale sanmenaiese posti in mezzo ad una vegetazione lussureggiante
fatta di pinete, aranceti, uliveti, frutteti, e la mancanza di una struttura di
culto fecero in modo che prima fosse richiesta e poi istituita nel l' estate del
1926 la nuova parrocchia con decreto emesso dall'Arcivescovo di
Manfredonia Mons. Pasquale Gagliardi.
Nella rinascita e nel tentativo di lancio turistico vanno ricordati gli interessamenti della famiglia vichese delle Muti con la realizzazione dal 1913 al
1926 di Villa Nunzia in stile Liberty, unica e pregevole in provincia di
Foggia, il moderno Hotel Bellariva nel 1922 oggi Hotel Sole, il più grande
albergo della nostra provincia con oltre cento posti letto, situato a poche
diecine di metri dal mare e poi l'incantevole Villa Maria, oggi albergo, circondata da una piccola e odorosa pineta. Anche per l'istituzione della parrocchia, avvertendone la necessità, furono i delli Muti a prendere l'iniziativa ed in particolare il prelato don Matteo che quello stesso anno fu nominato Economo Curato della chiesa di Sant'Antonio.
Da questa dipendono, ancora oggi, numerose chiesette sparse nelle
contrade agresti. Vale a dire quelle di Santa Maria della Difesa, di Santa
Maria di Canneto, di San Nicola, di San Biagio, di San Michele, di Santa
Maria delle Grazie che è la più vicina a Vico.
Esse sono ancora testimonianze preziose dell' antico sentimento religioso che generazioni di contadini hanno nutrito venerando quei santi a cui
affidavano, fiduciosi, anche le loro speranze di un futuro migliore. Fino al
1926 erano tutte dipendenti dalla Chiesa Matrice, prima parrocchia ed
abbracciano tuttora un vasto tenimento che va dalla piana di Calinella, nei
pressi di Peschici, fino al Mulino di Mare e Canneto a confine col territorio
di Rodi Garganico.
- 19 -
Vico deL Gargano, Chiesa di Sant'Antonio da Padova.
Oggi alcune sono attive e ben gestite da laici zelanti; altre, invece, sono
state abbandonate e si trovano nella condizione di ruderi.
Sin dall'inizio la nuova parrocchia aveva pochi beni in dotazione che
erano stati assegnati dall'ex Arciprete vichese don Michele Sciscio e da sua
sorella Maria Giuseppa. Essi consistevano in un agrumeto in contrada San
Nicola, un altro situato nelle vicinanze di Canneto alla Lamia di Mizio ed
in più aveva un oliveto in contrada San Michele.
Pertanto all'atto della costituzione in parrocchia essa aveva fortemente lesionati
sia il pavimento che i muri, il tetto ed il soffitto pericolanti per cui fu calcolato che
sarebbero state necessarie 18.000 lire per i restauri per farla rinascere.
La chiesetta di Sant'Antonio fu inaugurata il 15 febbraio del 1930 e
riaperta al culto con la benedizione dell'Arcivescovo Macchi.
Ma le difficoltà finanziarie furono diverse per il concreto funzionamento della parrocchia di San Menaio, tanto è vero che fu avvertita la necessità
di approntare un Comitato pro-erigenda parrocchia di Sant'Antonio alla cui
dipendenza fu posto l'avv. Giuseppe d'Addetta, il quale si prodigò molto
nel tenere contatti epistolari con l'Amministrazione comunale vichese e
provinciale, in specie, per ottenere, dei contributi in denaro. Ben presto gli
impegni assunti furono sospesi essendo in corso nel 1935 la guerra di
Abissinia.
- 20-
L'istituzione civile della parrocchia si ebbe, comunque, in data 13 febbraio 1941.
Riferendosi all'Appendice al Sinodo Sipontino del 1678 di Fr. Vincenzo Maria Orsini, Arcivescovo di Manfredonia il d'Addetta cita letteralmente: La chiesa di Sant'Antonio da Padova coll'unico altare si mantiene
dalla famiglia d'Altilia col rev. don Biagio oggi vivente (pag. 257), mentre
più oltre è riportato (pag. 290) Beneficio di Sant'Antonio da Padova sc(udi) 0.05.
Ciò ci fa considerare a quella data l'esistenza della chiesa e nulla si sa di
epoche precedenti in mancanza di valida documentazione. Comunque è
possibile ipotizzare la sua costruzione al massimo al secolo precedente. In
più si ritiene per tradizione che il quadro della Madonna circondata da
angeli con ai suoi piedi due figure di santi, di cui quello a sinistra rappresenta Sant'Antonio, provenga dalla antica chiesa, oggi scomparsa, di San
Menna.
In un testamento del notaio vichese Carlo Maratea del 1726, si afferma
che il rev. D. Biagio d'Altilia di Vico (forse è lo stesso del 1678 ormai anziano), per voler trasformare la sua cappella gentilizia posta a San Menaio in
Cappellania o in Rettorato, assegnò diversi beni, tra cui alcuni tomoli di
terra posti proprio nella zona soprastante la medesima chiesa. Per tale assegnazione si richiedeva l'obbligo di celebrare una messa in ogni giorno festivo a favore dei beneficiari. Soltanto i15 maggio del 1739 la Cappella gentilizia
della famiglia d'Altilia fu eretta in Chiesa rurale ad opera del primicerio D.
Mario Buchi che era Vicario Generale dell'Arcivescovo di Manfredonia
Marc'Antonio de Marco, con vari obblighi per i discendenti che avessero
seguito la carriera ecclesiastica.
Pare che da allora i discendenti non abbiano tenuto in particolare cura
la chiesetta avendola trascurata e poi abbandonata.
All'interno si trovano, oltre all'altare maggiore, altri due altari posti ai
lati di cui quello a destra, entrando in chiesa, contiene la statua lignea di
Sant'Antonio ritenuta del '400 dal Soprintendente ai monumenti Quintino
Quagliati a suo tempo Direttore del museo di Taranto e proviene dal Convento dei Cappuccini di Vico che la donò alla Chiesa di San Menaio e
q uello a sinistra conserva la statua della Madonna dell'Addolorata anch' essa
di notevole fattura. La dinamica attività di Don Matteo delli Muti fu espletata
anche nella creazione della confraternita laicale chiamata I fratelli di Sant'Antonio e dall' altra associazione che volle chiamare Le crociatine fondata
nel giugno del 1925.
Essa era costituita da fanciulli e fanciulle che durante le cerimonie religiose più importanti indossavano una casacca di stoffa bianca, con frangia
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sul bordo inferiore, che aveva sul davanti una croce nello stile simile a quella portata dagli antichi crociati.
Quando vi erano devoti e persone volenterose che si organizzavano in
comitato, un tempo venivano celebrate tre feste a San Menaio: la processione del Venerdì Santo, quella del Corpus Domini e la festività di Sant'Antonio che era la più importante e sentita dai sanmenaiesi.
Quest'ultima è quella che ogni anno, pur cadendo ufficialmente ilI3 di
giugno, veniva organizzata nel mese di agosto per la presenza di villeggianti
provenienti da varie parti d'Italia oltre che dal centro Europa.
Per qualche anno dai dirigenti della Pro-Loco la festa si teneva nel mese
di giugno coerentemente con lo scadere della ricorrenza per attrarre
anticipatamente turisti. La tradizione che vuole la processione svolgersi in
mare costeggiando il litorale di San Menaio non è tuttora viva.
Su una barca veniva trasportata la statua del santo assieme al parroco
della chiesa ed alcuni marinai. Su altre barche si sistemavano i componenti
della banda musicale insieme ai membri del comitato promotore e ai
rematori. Il procedere lento in prossimità della spiaggia dalla quale i bagnanti seguivano l'inconsueta processione rendeva il tutto molto suggestivo ai fini della raccolta di offerte per le spese da sostenere per i festeggiamenti.
Qualche anno fa, per l'occasione si tenne con successo la sagra della
seppie. Assai attraenti per i residenti e gli occasionai i villeggianti sono da
vedere i fuochi d'artificio che a notte fonda vengono sparati sul mare come
parte conclusiva della annuale manifestazione celebrativa che oggi ha un
aspetto del tutto laico slegata dal solenne contesto religioso di un tempo.
Bibliografia:
Giuseppe d'Addetta - San Menaio e dintorni - Ilo Edizione Tivoli - 1976
Michele Biscotti - San Menaio come era - Cartotecniche Meridionali 1990
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CHIESA DI SANTA
MARIA DELLA DIFESA
Questa è la chiesa più piccola e la più recente per costruzione dipendente dalla parrocchia di Sant'Antonio.
Anch' essa è stata edifìcata su un poggio panoramico a Valazzo, zona estrema di San Menaio assai vicina alla ex colonia marina G. Postiglione con la
stupenda pineta Marzini che degrada verso la sottostante ferrovia ed il mare.
Nel 1902 fu fatta richiesta dall'Arciprete della chiesa Matrice di Vico don
Michele Sciscio all'Amministrazione comunale di una concessione di un piccolo appezzamento di pineta demaniale per far costruire la chiesetta in questione. Accordatogli il permesso, dopo il relativo assenso dell'Ispettorato
Forestale, nel 1904 venne realizzata per motivi di pubblica utilità.
Misurando sette metri di larghezza per quattro di profondità, essa può
contenere, in realtà, pochi fedeli mentre altri sono costretti a sostare al di
fuori per ascoltare la messa. Il nome datole dal fondatore potrebbe stare a
signifìcare che, essendo la facciata rivolta verso il mare, ha l'intento simbolico di voler quasi difendere i marinari ed essere un punto di riferimento
per coloro che si trovano a transitare nei paraggi quando il mare è tempestoso oppure perché si trova non tanto nella cosiddetta pineta Marzini,
quanto nella Difèsa che è l'intera pineta la quale, in effetti, inizia dalla parte
posteriore la colonia Postiglione e termina in prossimità della piana di
Calinella a Macchia di Mare, una zona coperta da rigogliosa pineta.
Al di sopra della stretta porta di ingresso vi è un arco con la campana e
all'interno il piccolo altare in marmo che ha, in una nicchia soprastante la
statua della Madonna del Carmine donata dai fratelli Petmcci di Sannicandro
Garganico, già, proprietari del noto villino Petmcci posto ad una diecina di
metri di distanza dalla strada statale 89. Le tre fìnestre, di cui due laterali ed
una piccola sopra la porta di accesso, illuminano debolmente l'interno. Nella
parte retrostante si possono notare, attaccati alla chiesetta dei caseggiati di
modesta fattura che stanno quasi a reggersi l'un contro l'altro. Durante
l'anno vi si celebrano le messe dal parroco di Sant'Antonio.
Durante l'anno non vi si celebrano feste particolari essendo, di norma,
l'iniziativa presa di volta in volta, da fedeli volenterosi organizzati in comitato-festa.
Bibliografia:
G. D 'Addetta - Op. cit.
Archivio Storico Comunale-Vico - Cartella nO66 - Grazia, giustizia,
culto-Chiese di campagna - Cat. 7 Classe 5 - Fase. I
- 23-
Vico del Gtlrgtlno, Chiesti di Stinta Mtlritl del/ti Difesa.
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CHIESA DI SANTA
MARIA DI CANNETO
Il vasto territorio comunale di Vico del Gargano è variegato per conformazione orografica e vegetazionale.
Nella parte centrale si trovano i grandi alberi secolari della Foresta Umbra,
i fitti boschi di leccio e acero, i prati e le radure digradanti adatti al pascolo.
Poi si trovano le colline ricoperte di castagneti, di argentei uliveti e di alberi
di carrubo sempreverdi con qualche boschetto di odorosi pini d'Aleppo.
Ma è a qualche chilometro dal mare che il paesaggio manifesta una
vegetazione più lussureggiante che dà un senso magico alle contrade di
campagna.
Nelle numerose vallate che in parallelo si protendono verso la lunga e
arenosa spiaggia di San Menaio sgorgano molte sorgenti non sempre abbondanti, le cui acque, ancora oggi, vengono utilizzate per irrigare i residui
aranceti che sul finire dell'800 furono fonte di grande ricchezza per i proprietari i quali ebbero la capacità di organizzare l'esportazione del frutto
dorato sin negli Stati Uniti d'America e nel nord Europa.
Le sorgenti più ricche di acque perenni vennero dichiarate nel 1893 di
proprietà dell'allora Demanio Regio dalla Corte d'Appello di Trani.
Una delle sorgenti, fra le più copiose, che viene utilizzata durante la
calda estate sia per irrigare gli aranceti e che viene spesso sfruttata da qualche lavandaia proveniente da linde casette del circondario o da paesi viciniori
è quella di Canneto.
Percorrendo una comoda strada carrozzabile che parte da Vico, la si può
raggiungere in breve tempo transitando per il vallone del torrente Asciatizzo
fiancheggiato da rigogliosa vegetazione. Oppure, intersecando a metà la
strada statale 89 fra San Menaio e Rodi Garganico, in località Mulino di
Mare, ci si inerpica lungo uno stretto ex tratturo asfaltato per arrivare, dopo
pochi chilometri, all'abbondante sorgente di Canneto.
Il nome della contrada deriva ab immemorabilis da canneti che da sempre fungono da frangivento lungo i confini delle varie proprietà per proteggere gli aranceti dai venti gelidi provenienti, durante il freddo inverno, dall'altra sponda dell'Adriatico.
Poco distante da questa fonte, seminascosta da vegetazione, dopo aver percorso una stradina che è quasi un corridoio, c'è la chiesetta di Santa Maria di
Canneto attualmente snaturata nelle sue forme originarie. Il suo aspetto odierno è assai semplice e risale al 1849. Essa è composta da un unico vano che ha
all'ingresso una inferriata con al centro una grande croce dipinta di bianco, per
far arieggiare l'interno forse a causa di umidità, sul fondo della quale vi è un
modesto altare sormontato dalla piccola statua della Madonna venerata.
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Vico del Gargano, Chiesa di Santa Maria di Canneto.
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Al di sopra della porta di accesso è posto un campanile a vela con una
piccola campana. All' esterno vi sono due bassi muretti utilizzati durante la
festa estiva come sedili dai fedeli anziani. Nella parte posteriore, attaccate alla
chiesa vi sono alcune modeste case di contadini della contrada e più oltre la
sorgente vi è un antico mulino ad acqua alloggiato in una vecchia casetta
dello scomparso Giuseppe Pirro che riporta sull'architrave la data del 1821.
Su un altro muretto prima della chiesa è apposta una piccola targa in marmo
che ricorda ai passanti la realizzazione della stradina avvenuta negli anni '80
col contributo devozionale di due benefattori. La dizione è la seguente: Questa strada è stata offirta da Pietro Cusmai e Franco Spirandelli - 10-09-1984.
In alcuni documenti vatican i del 1225 viene riferito il toponimo Cannito;
nel '300 si hanno altre scarne notizie in cui è riportato il Casalis Canneti la
cui chiesetta era gestita da un arciprete e nei dintorni vivevano le famiglie
di contadini che coltivavano le rigogliose campagne. In successivi documenti il casale di Canneto non viene più citato, quasi certamente a causa di
distruzione fatta da truppe mercenarie al soldo degli angioini che distrussero, uccisero e rapinarono tutto e tutti.
Le campagne divennero luoghi poco sicuri, pertanto i contadini pensarono di rifugiarsi nei castelli dei paesi vicini per essere protetti.
Quando nel 1675 la chiesetta fu visitata dal Cardinale Orsini, Arcivescovo della Diocesi di Manfredonia, questi espresse il desiderio che la si
costruisse di nuovo, utilizzando quella esistente come sagrestia.
La festività religiosa si svolge, come tante altre, una volta all'anno il 15
di agosto e per questo viene pure chiamata la Madonna dell'Assunta o
popolarmente di mezzo agosto.
Un tempo i contadini vestiti a festa che partivano dal proprio casolare,
raggiungevano la chiesetta a piedi o a dorso di mulo o asino, mentre le
famiglie dei proprietari arrivavano dai loro confortevoli casini su eleganti
calessi trainati da un nervoso e altero cavallo.
Qui convengono dall'intera contrada, assai popolata ancora oggi, dai
paesi viciniori e da Vico numerosi campagnoli e persone di altre categorie
sociali in qualità di fedeli o semplici curiosi per partecipare alla festa o
magari per conversare sul futuro del raccolto o per incontrare, fra tante
speranze e tacite attese, il ragazzo o la ragazza del cuore. Al termine della
funzione religiosa i presenti hanno modo di apprezzare gli immancabili
fuochi d'artificio.
Bibliografia:
Atti di Santa Visita del Card. Fr. Vincenzo Maria Orsini - 1675
G. d'Addetta - Op. cito
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CHIESA DI SAN BIAGIO
Risalendo in auto la stradina che parre da San Menaio, presso il Torrione in direzione di Vico, a metà percorso, oltre il piano di Particchiano,
imboccata sulla sinistra uno stretto tratturo cementato si arriva poco dopo
alla chiesa di San Biagio che dà il nome alla contrada.
Essa appare all'improvviso agli occhi del visitatore seminascosta da secolari ulivi che la circondano. In lontananza sul versante opposto della vallata c'è
l'altra coeva chiesetta di San Nicola presso la sorgente omonima. Per molti
secoli entrambe hanno svolto la funzione aggregante della comunità contadina che viveva nei dintorni e offerto il conforto della fede con l'aiuto di religiosi ivi residenti .
.Due sono i documenti che ne attestano l'antichità e sono citati in un
processo di regio patronato posto nell' archivio di Stato di Napoli - Cappellania
Maggiore. Il primo di essi è un privilegio inviato all' abbazia di Santa Maria di
Calena emesso a Palermo nel 1176 dal re Guglielmo II. Laltro si trova nella
chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma nell' archivio della Procura generale
dei Canonici Regolari Lateranensi in cui sono pure citate altre chiese sparse
nel territorio vichese.
Visitata dal Vicario generale nel 1675 per conto del Card. Are. Orsini,
essa non aveva una dote consistente, se non pochi alberi di olive da cui si
ricavava quel poco di olio necessario per tenere accesa la lampada davanti
alla statua del santo sull' altare maggiore ed era dotata di un altro altare
dedicato a San Giovanni decollato. Viene riferito che aveva come custode
un eremita che dimorava in due piccoli locali annessi alla chiesa.
Simile alle altre, ha una sola navata di oltre dieci metri di lunghezza per
cinque di larghezza. Oggi è abbandonata ed ha, da decenni, il tetto crollato
i cui detriti sono coperti da erbacce e rovi, per questo l'interno è completamente inagibile. Lingresso, comunque, tiene ancora un portale di bella
fattura. La parte absidale è simile a quella della vicina chiesa di San Nicola
realizzata con pietra squadrata ed è in buono stato di conservazione. La
parete destra, guardando la facciata, presenta un piccolo portale ad arco
acuto. Di fronte ve ne è un altro più grande sulla cui chiave di volta è
scolpita a bassorilievo una croce che predomina su tre monti, a testimoniare l'origine benedettina della chiesa. Un altro porrale più grande, simile
nella conformazione ai precedenti, appare come un antico vano di ingresso.
Nulla più esiste di quello che osservò il d'Addetta subito dopo la Seconda guerra mondiale e descrisse nel suo libro già citato San Menaio e dintorni. Sui tre altari non c'è più il dipinto ad olio della Vergine col Bambino e la
figura di Sant'Agostino ai suoi piedi. Né la statua in pietra di San Vincenzo
- 28-
Vico deL Gargano, Chiesa di San Biagio.
e il quadro dell'Addolorata con in grembo il Cristo morto. é la statua
lignea di San Biagio Vescovo dotato di mitria e pastorale e non esiste più la
piccola campana di cui si rammaricava l'aurore di non aver potuto visionare
per mancanza di mezzi, onde leggere una eventuale data o incisione scritta.
Tutto è andato in deperimento con l'abbandono e il trascorrere del
tempo e, forse è più opportuno dire, a causa di furti sacrileghi.
Una chiesa viene eretta, nasce come se fosse una vita umana per interessamento della collettività o per iniziativa di un facoltoso benefattore e poi,
molte volte, termina il suo ruolo, come se fosse lasciata morire, anche per
mancanza di persone in grado di accudirla o perché sono venute meno le
condizioni di lavoro dei residenti nella contrada che sono andati via.
Bibliografia:
Atti di Santa Visita - Op. cit.
G. d'Addetta - Op. cit.
AA.VV. - Anni di scuola - G.A.G. "Silvio Ferri" - 1989
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CHIESA DI SAN NICOLA
In prossimità della sorgente di San Nicola che sgorga nella campagna
vichese fra colline coperte da secolari uliveti digradanti verso giardini d'aranci,
vi è la chiesa rurale omonima che dà anche il nome alla contrada.
In una copia notarile del privilegio regio di Ruggiero II re di Sicilia
e duca di Puglia del 1134, in cui sono descritti i beni e le chiese sottoposte alle dipendenze dell'importante abbazia di Santa Maria di Calena,
si parla di .. . Ecclesiam Sancti Nicolai cum duobus molendinis quae sunt
prope sub ipsam Ecclesiam . .. e ancora oggi, a breve distanza, verso un
profondo canalone esistono i resti ben leggibili di un mulino posto a
metà strada fra la sorgente e la chiesa, mentre l'altro, nascosto da fitta
vegetazione, sta più a valle.
Di questa piccola mononavata, ma antichissima chiesa si parla in un
altro documento del XlI secolo, vale a dire nella bolla Religiosam vitam di
papa Adriano IV inviata nel gennaio del 1158 all'abate del potente monastero della SS. Trinità di Monte Sacro in cui veniva ricordato che fra i suoi
possedimenti vi era la chiesa di San Nicola con tutti i beni circostanti dei
quali era dotata. Vi si fa riferimento ad Ischitella, però a quei tempi sia Vico
che Ischitella erano inseriti in un solo feudo, pertanto la struttura sacra è
da ritenersi presente nel solo territorio vichese.
Una citazione e descrizione del manufatto è da individuarsi negli Atti
della Santa Visita del Cardinale Fr. Vincenzo Maria Orsini che la visitò
equitando lungo uno stretto tratturo nel novembre del 1675.Egli la descrisse con l'altare non consacrato come luogo indecoroso per essere l'effige del
Santo piena di polvere e citò una teca contenente la manna di San Nicola
che fa presupporre l'intitolazione della Chiesa al Santo mediorientale il cui
culto si diffuse in Puglia dal VII al VIII secolo.
Qualche anno dopo, nel 1680 fu pubblicato da Pompeo Sarnelli la "Cronologia dei Vescovi edArcivescovi Sipon tini " e tra le diecine di chiese che sono
elencate e descritte, quella di San Nicola non viene citata, probabilmente
non perché di poca importanza rispetto alle altre, bensì perché trascurata
dall'essere presa in considerazione a causa di miglioramenti che in quel
periodo furono apportati nella parte absidale e all'altare.
Le condizioni attuali della chiesa sono di massimo degrado per l'abbandono decennale. Pur individuando, nel complesso, ancora oggi una struttura architettonica solida ed omogenea, essa è priva del tetto ed ha l'interno
ricoperto di ruderi ed erbacce. Sulla parete posta al lato nord la crescita di
un fico selvatico da tempo sta gonfiando a dismisura il muro perimetrale
col rischio di un crollo irrimediabile.
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Vico del Gargano, Chiesa di San Nicola (Particolare).
Ben conservata è la parte posteriore dell ' abside , realizzata con pietre
ben squadrate , rinforzate da una serie delle stesse sfalsate in posizione
verticale. Vi è pure qualche traccia di possibile affresco che doveva decorare le pareti.
La facciata è ben conservata ed evidenzia tutta la sua semplicità di
stile. AI di sopra del piccolo vano di entrata è presente una finestrella a
forma di croce ricavata dall'assenza dei blocchi di pietra e ancora più in
alto , in posizione simmetrica rispetto all'inizio delle due falde del
preesistente tetto spiovente, vi è il piccolo campanile senza la campana
che, sembra, sia stata portata anni addietro nella chiesa Matrice per essere
sistemata sulla grande torre campanaria.
Questa intenzione non fu mai attuata ed essa è tuttora introvabile. La
stessa statua lignea del santo fu trasportata nella vicina chiesa di San Biagio
da dove fu in seguito rubata da ignote mani.
Nel suo libro San Menaio e dintorni lo scrittore carpinese Giuseppe d'Addetta riferisce che vi si celebravano tre feste durante l'anno: quella di San
Nicola, della 55. Trinità e della Commemorazione dei Defunti.
La mancanza di una adeguata manutenzione attraverso gli anni ha pro- 31 -
Vico del Gargano, Chiesa di San Nicola.
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dotto dei danni irreparabili causati da infiltrazioni di acqua ed il persistere
di umidità alle pareti e di lordure sul tetto ne hanno decretato lentamente
l'abbandono. All'interno essa teneva tre sepolture: una per i confratelli e
una per le consorelle della congrega laicale e la terza era riservata alla famiglia De Anello che la gestiva con il jus patronatus.
In seguito fu sottoposta a restauro con cui si apportarono modifiche
stilistiche vicino all'altare. Fino all'inizio del '900 fu ben mantenuta soprattutto per l'impegno assiduo del canonico della chiesa Matrice di Vico del
Gargano don Nicola Maria Nardini. Poi fu celebrata la messa soltanto il
giorno della festa del santo perché non vi erano fedeli e un prete che se ne
prendessero cura meglio.
Verso la metà degli anni '30 il tetto crollò rovinosamente al seguito di
una forte nevicata e da allora l'abbandono più completo perdura ancora ai
nostn gIOrnI.
Bibliografia:
Atti di Santa Visita - Op. cit.
G . d'Addetta - Op. cit.
AA.VV. - Anni di scuola - Op. cito
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CHIESA DI SAN MICHELE ARCANGELO
Per i tanti vacanzieri estivi che vengono sul Gargano, lasciato nei pressi
di Vico lo svincolo della superstrada per dirigersi verso Peschici e Vieste,
qualche chilometro più oltre è un impatto improvviso vedere fugacemente
al bordo della strada l'antica chiesa dedicata a San Michele Arcangelo.
Non può essere visitata perché è sempre chiusa e la si trova aperta soltanto il giorno dei festeggiamenti che vengono proposti il 29 di settembre
di ogni anno. Tutt'intorno una veduta panoramica della sempre verde
campagna vichese permette all'occasionale curioso che vi si ferma di guardare dalla collinetta verso la marina di San Menaio punteggiata a tratti da
moderne costruzioni e in direzione di folte pinete poste a ridosso di Peschici
e, in lontananza, di Vieste.
Completamente restaurata sul finire degli anni '80, la struttura si eleva
imponente sul colle un tempo chiamato coppa Sant'Angelo il quale nel '600
e '700 era ricoperto più che da uliveti e carrubi da rigogliosi vigneti, specie
di moscatello, come è riportato in una Platea della Chiesa Matrice di Vico.
Nel già citato documento che è la Bolla di papa Adriano IV del 1158 vi
è un riferimento alle chiese di Sant'Angelo e di San Nicola sotto Ischitella
dipendenti dal monastero della SS. Trinità di Monte Sacro, mentre in un
privilegio del 1176 è citata una Ecclesia Sancti Angeli de Gai(io} .
Una spiegazione dell'attribuzione di quest'ultimo termine non è dato sapere. La natura carsica del terreno e la presenza nei paraggi di grotticelle avranno
reso necessario principiare il culto di San Michele agli albori della sua diffusione in una di queste cavità opportunamente adattate per il beneficio di una
presenza umana in foco che trovava dalle vicine sorgenti di Acqua della botte,
Acqua di pietra e di Colaciocca sostentamento vitale oltreché dai prodotti agricoli ricavati ogni stagione dalla ferace campagna circostante.
Come altre chiese, anche questa nel 1675 fu visitata dal Card. Orsini
che trovò l'unico altare rovinato da epitaffi e nel 1680 il Sarnelli nel suo
libro, fra le chiese poste fuori le mura di Vico, ne fa un riferimento preciso.
Una targhetta di marmo presso la porta d'entrata avvisa il visitatore di essere in presenza della chiesa dedicata all'A(rcangelo) S. Michele. All'esterno,
lateralmente, vi sono dei muri di contrafforte e alcune finestrelle che danno
un po' di luce all'interno dei vani superiori che un tempo fungevano da
alloggio per il custode. Vi si poteva accedere pure da una porti cina posta sul
retro della medesima chiesa.
Essa ha una sola navata ed è abbastanza grande rispetto alle altre dipendenti dalla parrocchia di Sant'Antonio. Appena si entra, sulla sinistra è affissa una iscrizione in latino su lastra di pietra locale che ricorda gli oppor- 34-
tuni restauri fatti nel 1817 per iniziativa di un certo Pasquale Perone proveniente da Taurasi di Sant'Angelo dei Lombardi. Sempre sul lato sinistro,
c'è una piccola cappella con la nicchia per la statua della Vergine. Attualmente vi è conservata la statua in gesso di San Michele in atto di trionfo sul
diavolo incatenato, la quale venne realizzata al posto della precedente in
legno che era stata rovinata da uno squilibrato.
Dietro l'altare maggiore, sul fondo della chiesetta, vi è l'annessa sagrestia da cui si può salire, mediante una stretta scala, ai locali soprastanti usati
molti anni addietro come abitazione per l'eremita che la teneva in affidamento.
Larco campanario che sovrasta l'ingresso possiede due vani per le campane di cui quello vuoto ne conteneva una più antica e piccola rubata
anni fa che riportava questa iscrizione: Opus P5.FV - MDCXXVIII e su
quella più grande è scritto: Michele Tarantino da Sant'Angelo dei Lombardi
fece - A. D. 1890.
Liscrizione che era riportata sulla prima campana fa intendere che la
chiesa sia stata edificata nel XVII secolo; non sono presenti, infatti, gli elementi architettonici risalenti alla forma originaria, presumibilmente, dei
secoli XI - XII perché non più evidenti e che forse sono stati inglobati con
i rimaneggiamenti dei secoli successivi. La festa annuale, che vede nel pomeriggio del 29 settembre la partecipazione di molti fedeli vichesi e san menaiesi, si svolge con l' officiatura della santa messa e con la processione del
simulacro del santo portato a spalla da devoti, seguito da un Padre Cappuccino e da alcune guardie campestri poste ai lati della statua a guisa di scorta,
mentre i numerosi fedeli che seguono cantano la canzoncina dedicata al
santo.
Si procede lentamente lungo la rotabile in direzione di Vico e dopo
circa un chilometro, sulla sinistra, si accede ad un antico tratturo che conserva, dopo un tratto del suo percorso, un grande mucchio di pietre grigie
poste a forma di piramide sulla cui sommità è infissa una croce in ferro.
Questa disusata mulattiera era conosciuta come il tratturo della croce, per
questa caratteristica presenza. Essa vuole rappresentare il Golgota con il
simbolo del sacrificio di Cristo e della redenzione dell'umanità peccatrice.
Qui, dopo che il Padre Cappuccino ha officiato le preghiere di rito, come
capro espiatorio dei peccati d'ognuno, i presenti raccolgono nei dintorni
un sasso grande o piccolo, quasi a voler simboleggiare il peccato di cui ci si
vuole liberare, e lo lanciano sul mucchio poco distante, che di anno in anno
diventa sempre più alto e imponente. Al ritorno, a metà percorso, con particolare disagio per il traffico automobilistico regolato da Una opportuna
vigilanza, vengono fatti scoppiare petardi e fragorosi fuochi d'artificio. C iò
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Vico del Gargano, Chiesa di San Michele Arcangelo.
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avviene sul bordo della strada statale nella campagna di Francesco Pinto
che li offre ogni anno ed è anche custode della chiesa per avere un piccolo
appezzamento di campagna nella zona.
Lo stesso spettacolo pirotecnico si può godere non appena la processione giunge nelle vicinanze della chiesetta dopo che il simulacro del santo è
stato riportato all'interno. Non manca per questo occasionale avvenimento
il venditore di bibite fresche, torrone ecc.
Inoltre, come conclusione, sul piazzale antistante, da alcuni anni, invitato dal comitato organizzatore, si esibisce un gruppo canoro-musicale per
intrattenere fin sul tardi i presenti che poi all'imbrunire alla spicciolata fanno ritorno in paese in auto oppure . .. a piedi, come è ancora solito fare
qualcuno per tenere fede ad una antica usanza devozionale.
Bibliografia:
Atti di Santa Visita - Op. cit.
M .vv. - Anni di scuola - Op. cito
G . d'Addetta - Op. cito
F. Fiorentino - Gargano antico e nuovo - Ediz. Del Golfo - 1989
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CHIESA DI SANTA
MARIA DELLE
GRAZIE
La più distante dalla parrocchia di dipendenza è la chiesa di Santa Maria
delle Grazie, meglio nota ai contadini vichesi come la Chiesiola.
Perciò essa è più vicino a Vico e lo è relativamente anche a Peschici.
Partendo in auro lungo un ex tratturo asfaltato che scende in direzione
della piana di Calenella presso il capolinea della ferrovia garganica, circa tre
chilometri oltre Vico, subito dopo che la strada si presenta più larga, si
svolta a destra per percorrere un tratturo che costeggia a sinistra una folta
pineta ed a destra un uliveto. In auto si può raggiungere con un po' di
scossoni la chiesa che ha tutt'intorno maestosi alberi d'ulivo ed è posta su
una altura tenendo la facciata rivolta verso la vallata sottostante che si prolunga fino al piano di Calenella. Il tratturo sassoso, infatti, continua oltre e
diventa più ripido e stretto assumendo la tipica forma di mulattiera per
dirigersi nel fondovalle olivetato. Questo stesso percorso sul finire del '600
fu effettuato a cavallo dal Card. Orsini allorché da Vico si recò col suo
numeroso seguito a Peschici per continuare la visita pastorale.
All'esterno è presente nella parte centrale, al di sopra del portale, il piccolo
campanile a vela. Poi saliti i pochi gradini che possono far intuire l'esistenza di
una eventuale cripta interna, si entra dalla porticina per sostare nella piacevole
frescura della chiesa che è composta da uno stanwne quasi quadrato, assai disadorno e debolmente illuminato dall'unica finestrella situata sul lato del tratturo.
Il soffitto è a due falde ed è composto da tavole intersecate da solide assi
di legno. Per diversi anni il lato destro è stato prudentemente puntellato a
causa di una pericolosità di crollo dovuta al persistere di molta neve in
inverno e a successiva infiltrazione di acqua.
Pure se in queste condizioni essa è stata agibile fino al 1997 anno in cui il
tetto è stato oggetto di un restauro effettuato principalmente su iniziativa ed
impegno finanziario di Michele Firma nel cui uliveto è posta la chiesetta.
Contributi in denaro sono stati dati in modo volontario da alcuni proprietari della contrada e da cittadini devoti; una somma adeguata è stata offerta come forma di solidarietà dal Gruppo Archeologico Garganico "Silvio
Fel'7i " vichese i cui dirigenti ed iscritti, venuti a conoscenza del caso, hanno
concretamente caldeggiato l'iniziativa. Su di una trave il d'Addetta, durante
le sue indagini, notò la data A (nno) D (omini) 1646 che era incisa a fuoco.
Questa è la data più antica che si conosce e forse è quella di fondazione della
piccola struttura e il Card. Orsini nei suoi noti Atti di Santa Visita fa riferire
che essa era mantenuta a spese della famiglia Paglialonga, già eredi ]annotti.
Per tradizione si dice che anticamente ci fosse un quadro della Vergine di
fattura bizantina non più esistente. Sul piccolo e semplice altare viene posto il
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Vico del Gargano, Chiesa di Santa Maria delle Grazie.
quadro della Madonna delle Grazie la cui festa viene celebrata il giorno 8
settembre durante il quale di buon'ora convengono in questo luogo contadini e persone di altrO ceto sociale a gruppi familiari , molti anche dalla
vicina Peschici e quasi tutti in auto che lasciano in sosta a poca distanza
dalla chiesa. Soltanto qualche vecchietto vi arriva sul tradizionale mulo che
docilmente si lascia legare all' ombra di un frondoso albero.
La semplice cerimonia consiste nella celebrazione di una santa messa
ascoltata in modo solenne e partecipativo, tra il vociare, non sempre sommesso , ma festoso di bambini intenti a giocare sul sagrato antistante, incuranti del disappunto dei genitori o dei rimproveri di qualche adulto.
ell'omelia l' offìciante fa riferimento al fatto che da quel giorno scende
la grazia nelle olive, cioè si ritiene che siano già abbastanza mature da contenere olio da poter estrarre.
La segreta speranza che anima i discorsi degli agricoltori dopo la cerimonia, osservando il frutto sugli alberi lì vicino, molto spesso è stata
suffragata nei mesi successivi da un notevole raccolto di olive e da una
buona entrata d'olio con la vendita del quale provvedere al sostentamento
del nucleo familiare.
Bibliografia:
Atti di Santa Visita - Op. cito
G. d'Addetta - Op. cito
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CHIESA DI SAN
Rocco
In auto la si può raggiungere in breve tempo partendo da Vico in direzione Foresta Umbra e svoltando due chilometri più oltre, ma prima della
località Cerro Grosso per imboccare una comoda stradina che dopo pochi
minuti di percorso giunge alla chiesa posta sul crinale di una collina olivetata.
La facciata è rivolta verso Vico parzialmente visibile in lontananza. Dal
suo sagrato ombroso per gli alberi piantumati anni or sono si possono osservare i moderni palazzi della periferia e la residuale pineta presso il Convento dei Cappuccini. Da questa chiesa si diparte un tortuoso e alquanto
scosceso tratturo che conduce nel fresco fondovalle alla copiosa sorgente
del Vasto un tempo utilizzata, insieme alla vicina sorgente di Chilci, per
irrigare i giardini d'aranci, in parte tuttora esistenti.
Ai due lati, quasi come due alte ed immobili sentinelle messe a guardia,
ci sono due grandi cipressi che ne fanno individuare la sagoma dalle 10ntane colline di Coppa di guardia e di Coppa della sorbola poste nelle vicinanze
di Vico. Sul lato rivolto al mare esiste, poco distante, un pozzo di acqua
piovana da cui per eventuali necessità si può attingere acqua mediante l'utilizzo di una pompa a mano.
Stridente è il contrasto che si nota se la si visita in una qualsiasi assolata
giornata estiva per il silenzio e la pace che pervade il visitatore che osserva
l'ampia veduta panoramica fatta di colline ricoperte da distese di uliveti che
si susseguono verso la piana di Calenella, rispetto alla affollata e caotica
giornata dei festeggiamenti di metà agosto. In autunno sempre più di rado
è possibile notare qualche contadino che all'imbrunire ripercorre a ritroso
il tratturo e poi la stradina che porta a Vico in compagnia di un animale da
soma carico di sacchi di olive dopo una giornata di lavoro.
Nel novembre del 1675 il Card. Orsini giunse in questa località per
visitare la chiesa che era dotata di un unico altare dedicato al santo francese
e la trovò, come ne aveva trovate altre, indecente e male costruita. Essa era
stata edificata nella vigna del rev. Don Donato di Fine i cui discendenti
hanno esercitato fino all'800 il diritto di patronato. Non aveva, altresì, una
dote, né sopportava oneri di messe se non quella che si celebrava e si celebra durante la festa del 16 di agosto di ogni anno per la quale i fedeli di San
Rocco provengono, ancora oggi, non solo da Vico, ma pure dalla non lontana Peschici, spesso raggiungendo il luogo a piedi percorrendo un antico e
ripido sentiero.
La forma è quella di un unico corpo di circa quindici metri di lunghezza, se si considera, retrostante all' altare maggiore, anche la parte utilizzata
come sagrestia e ripostiglio. Qui dentro sono ancora custoditi alcuni ex voto
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Vico del Gargano, Veduta laterale con il pozzo (particolare).
e foto di persone, per lo più militari , che hanno intercesso e ricevuto la
grazia da San Rocco in particolari situazioni di guerra. Alla sagrestia si può
accedere, all'occorrenza, dall' esterno m ediante ùna porticina secondaria posta
di lato . Il vano della porta d i entrata alla chiesa è situato, come per altre, in
una posizione più elevata e vi si entra dopo aver salito alcuni stretti gradini.
All'interno è apprezzabile la semplice pavimentazione non alterata nel
corso degli anni costituita da ampie mattonelle a singola colorazione che
sono sistemate in contrasto fra loro in posizione romboidale.
Occasionai mente, su un piedistallo in legno, poggiato su un tavolino ,
quasi al centro della chiesa, è posta la statua grande di Sant'Antonio da
Padova reggente un bambinello. Essa di solito viene custodita in una nicchia di legno sistemata sulla parete sinistra in prossimità dell' altare maggiore che tiene affisso, al centro, il quadro di San Rocco sormontato da una
decorazione in legno artisticam ente lavorata. Tutt' intorno le poche e semplici su ppellettili , il bianco abbacinante dei muri e del soffi tto e i quadri
alle pareti rappresentanti le diverse stazioni della Via Crucis, denotano ac- 41 -
Vico deL Gargano, Chiesa di San Rocco.
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curatezza, semplicità e danno decoro al luogo sacro per l'interesse di laici
che la gestiscono da tempo.
Proprio sopra l'architrave della porta centrale è incastonata nella parete
una piccola iscrizione lapidaria in latino che cita la famiglia di Fine nel
XIXo secolo. Ancora al di sopra, sulla parte anteriore destra del tetto a due
falde ricoperto da tegole è situato un campanile a vela con due vani per
campane di cui una è sempre presente, mentre la seconda più antica e preziosa, gelosamente custodita altrove per tutto l'anno, viene issata e fatta
suonare solo il giorno festivo del santo.
Durante questa afosa giornata estiva la zona circostante la chiesetta, gremita di auto e da tante persone in continuo andirivieni, è il luogo di incontro per motivi più diversi, oltre a quello puramente devozionale. La cura
della struttura di culto e dell' organizzazione dei festeggiamenti del santo,
da diversi anni, è presa su iniziativa degli iscritti all'Arciconftaternita del
Santissimo Sacramento sita nella chiesa di San Nicola nel centro antico vichese.
Puntuale, ogni estate, la breve festa di San Rocco di campagna si svolge
contestualmente a quella più sontuosa di Vico che dura più giorni considerato che è il santo maggiormente celebrato dell' anno a Vico e nei paesi
limitrofi in occasione del rientro temporaneo di emigrati e del soggiorno di
visitatori prima di rientrare subito dopo nella tranquilla e monotona normalità quotidiana autunnale.
Bibliografia:
Atti di Santa Visita - Op, cit.
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CHIESA DI SAN GIACOMO
Questa fra le antiche è la chiesa più addentrata nel territorio vichese
posta quasi alle falde della profonda vallata che inizia dal Parchetto, a cinque chilometri da Vico sfociante nell'ampia pianura di Calenella.
A causa della distanza era chiamata San Giacomo del bosco per la fitta
vegetazione incolta sparsa sulle colline e valle della zona. Tutt'intorno ancora oggi l'ambiente è da pascolo ed è presente qualche pastore e allevatore di
mucche e cavalli. La sua struttura biancheggiante in mezzo al verde è appena visibile dalla strada nazionale che da Vico porta in Foresta Umbra.
Abbandonata da molti decenni in assenza di qualsiasi tipo di uso e manutenzione, possiede la parte muraria che regge ancora bene alle intemperie e al
passare del tempo. È particolarmente difficile da raggiungere per la mancanza
di una strada agevole su cui possano avventurarsi automobili guidate da cunosl.
Lasciata la propria auto nel secondo parcheggio dell' area di picnic chiamata Limitoni, si intraprende a piedi sulla sinistra della nazionale un tratturo
dapprima pianeggiante che poi diventa, sul lato destro , sempre più ripido e
pieno di sassi, avvolgendosi a spirale sul fianco di una grande collina. Dopo
circa mezz' ora di cammino si arriva quasi nella vallata alla chiesa di San
Giacomo presso cui è possibile osservare guardando verso l'alto la lunga fila
di alberi che stanno ai bordi della località nota come il Parchetto. Non molto lontano, più giù nel canalone nascosta da fitta vegetazione c'è una sorgente avventizia che durante i violenti temporali estivi o in inverno diventa
un torrente la cui acqua è usata dagli allevatori per far abbeverare i propri
armenti. Non è rara la presenza di cinghiali o di altri animali notturni. La
chiesa è composta da un unico grande stanzone, quasi quadrato, non decorato e con la volta a botte molto alta. I due portali di ingresso sono quasi
uno di fronte all'altro.
La vicina parete interna è rivolta verso la sottostante vallata che di fronte
ha, in realtà, il dosso di un' alta collina parzialmente boscata a causa di incendi subiti in precedenza. Sull'altra parete di fondo non vi è alcuna traccia
di altare ad eccezione di una nicchia stretta ed alta che nella parte superiore
si presenta sfondata a forma di ampio finestrone ad arco. I.:intonaco è caduto quasi tuttO per la forte umidità visibile e persistente, mettendo indirettamente a nudo i muri realizzati in pietra locale.
In realtà non essendovi la minima presenza di un campanile o di una
acquasantiera non sembra che questa possa essere definita una antica chiesa. Di certo è accaduto che con il totale abbandono essa è stata un po' alla
volta snaturata da pastori e boscaioli operanti per necessità di lavoro nelle
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Vico del Gargano, Chiesa di San Giacomo.
vicinanze, adattandola alle proprie esigenze, non escluso come ricovero per
animali o di deposito di legna.
Anche questa chiesa è descritta nei più vo lte citati Atti di Santa Visita
fatta dal Card. Orsini nel 1675. Vi si dicono , più o meno , le stesse cose
riferite ad altre. Essa non si trovava in buono stato di conservazione, ad
eccezio ne dell' altare portatile, tanto è vero che durante la giornata dedicata
alla festa del Santo, l'occorrente degli oggetti sacri necessari per celebrare la
messa, venivano fatti portare dalla lontana Vico a dorso di mulo. Era tenuta
in cura dall'eremita Giacomo di Vico che dimorava in una piccola cella.
No n aveva obblighi di messe, né la dote ad eccezione di un po' di territorio
incolro poco distante e qualche albero d'olivo nelle vicinanze della chiesa.
All'interno vi era una bella icona commissionata non si sapeva da quale
benestante o perso na devota e non si riconosceva neppure il nome del pitrore che la dipinse , con ['eccezione di questa iscrizio ne: Anno 1602.
Purtroppo a queste poche notizie documentate non ne posso no seguire
altre perché inesistenti o da trovare altrove in altri archivi .
Bibliografia:
Atti di Santa Visita - Op. cir.
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4
ISCHITELLA
CHIESA DI SAN PIETRO IN CUPPIS
Non dissimile da altre chiese rurali sparse nel territorio vichese come
quelle di San Nicola e di San Biagio è la condizione attuale di San Pietro in Cuppis nel territorio di Ischitella.
Lasciata la rotabile che scende con sinuose curve verso valle, circa un
chilometro prima di giungere al ponte sul torrente Romondato, a sinistra si prende una stradina di campagna che conduce poco dopo fino
alla sommità di una lieve collina su cui è posta la chiesa in questione.
Tutto il pianoro è circondato da secolari ulivi che discendono, quasi a
rincorrersi, fino e oltre il vallone percorso da acqua perenne. La chiesa
posta su una altura (in Cuppis come spiega la dizione in latino) fu edificata in posizione dominante rispetto alla ricca e fertile campagna del
circondario, alla strada di collegamento tra diversi centri abitati e alle
acque sorgive utilizzate per l'irrigazione di qualche agrumeto o il funzionamento di mulini ad acqua.
I poderosi muri che caratterizzano i ruderi, il portale di ingresso e la
parte absidale ingrigiti dal trascorrere secolare del tempo, emanano tuttora una sensazione di fascino che pervade il visitatore facendo quasi
immaginare l'operosa e nello stesso tempo riservata vita che i monaci vi
conducevano. L'interno della chiesa è inagibile perché ridotto ad un
ammasso di pietre ricoperte da sterpaglia ed erbacce.
L'intonaco riesce in alcuni punti, a rimanere attaccato e ad evidenziare
qualche traccia di affresco, mentre la volta un tempo esistente doveva
essere sistemata, con ogni probabilità a capriata.
Nel più antico documento viene ricordata con la dizione di San Pietro de Cripta Nova, in particolare, nella Bolla di papa Alessandro III del
1177 in cui se ne parla per la prima volta. Essa fu in possesso della
potente e ricca abbazia di Calena vicino Peschici, poi dell'Ordine Monastico Pulsanese sorto in un luogo solitario con dirupi e valli profonde
presso Monte Sant' Angelo ad opera di Giovanni da Matera. E fu anche
una preda ambita per l'ingordigia del feudatario di Ischitella nel '500 ad
opera di Bernardo T urbolo.
Ebbe, stranamente, l'assegnazione del titolo di abbazia al seguito di
un versamento di un'oncia di oro. È soltanto dal XVII secolo che la
dedicazione viene cambiata nei documenti con il toponimo in Cuppis.
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Ischitella, Chiesa di San Pietro in Cuppis.
Essendo stata sempre una dipendenza, essa fin quando ebbe il compito di controllare le sue adiacenze ebbe una certa importanza e solo in
seguito, quando non rivestì più un ruolo predominante, decadde e quindi
fu progressivamente abbandonata riducendosi in rovina con il trascorrere degli anni e i vandalismi provocati dall'uomo.
Bibliografia:
F. Fiorentino - Op. cit.
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Ischitella, Prospetto absidale (particolare).
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CHIESA DELLA
SS. ANNUNZIATA
(Crocifisso di Varano)
Di sicuro la chiesetta dedicata alla 55. Annunziata esistente nel tenimento
di Ischitella su un ampio pianoro a strapiombo sul vicino lago di Varano è
la più visitata in occasione della annuale festività dedicata al 55. Crocifisso
da ben cinquecento anni.
Il senso di fede e l'attaccamento alle sacre tradizioni hanno fatto in modo
che gli ischitellani perpetuassero con tenacia e con forte senso collettivo
una forma di religiosità popolare che è di sicuro cresciuta e si è ancor più
ampliata in questi ultimi anni travalicando i confini del proprio territorio
col coinvolgere altre comunità limitrofe.
Quando si arriva, già la prima volta, in questo posto unico del Gargano,
ci si accorge subito che è un luogo pervaso di memorie. Un posto dove da
generazioni gli ischitellani, specie quelli coinvolti in attività agricole e pastorali, perpetuano un rito che è fatto e scandito da azioni ripetute come
l'anno prima o il secolo scorso. Il momento culminante della giornata del
23 aprile è quello della processione del Crocifisso portato da Ischitella che
termina all'interno della chiesa con canti ed inni sacri tra la commozione di
tanti fedeli anziani.
Vi è tanta gente, quel giorno, migliaia di persone di ogni ceto sociale
che giungono dai paesi viciniori in auto o in pullman.
Nelle immediate adiacenze c'è una vasta area di parcheggio ed un'altra
attrezzata come parco divertimenti con giostre e bancarelle che rendono
stridente il contrasto tra la notoria religiosità del luogo e lo scopo dell' esser.
.
.
VI appositamente convenuti.
Oggigiorno al tradizionale e antico avvenimento di fede è stato giustapposto nella stessa proporzione la mancanza di sacralità che può essere attribuita ad una grande sagra di campagna con tutti gli aspetti negativi e di
contraddizione.
Forse in previsione di ciò che accade ai nostri tempi, qualche decennio
addietro ci fu una visione polemica del fenomeno fra una parte del mondo
laico e quello religioso ufficiale.
Un borgo fortificato denominato oppidum Bayranum in un diploma
dell'imperatore Ottone I si trova già prima dell'anno Mille, il quale in
seguito darà il nome allago e alla contrada circostante. Nel XII secolo esisteva solo la chiesa di 5anto 5tefano e in quello successivo ve ne era un'altra
dedicata a 5an Giovanni. Modesti sono i riferimenti alla chiesa della 55.
Annunziata. Nella Bolla di Papa Giovanni XIII del 969 viene citata di proposito una chiesetta presso il lago di Varano, però non è espresso il nome
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IschiteLla, Chiesa deLLa Ss. Annunziata.
della 55. Annunziata.
Per divers i secoli non si è sapuw quasi nulla se non il riuovamenw
casuale da pane dell'abate D e Donaw di una iscrizione lapidea non comprensibile riponame la data del 14 10. La chiesa esisteva già alla fine del XV
secolo ed è pressoché sicuro che sia andata disuucta dopo il disastroso terremow del 1646 al segui w del quale fu addirinura ucilizzata come facciata la
pane posteriore; in pratica dove si trova l'enuata odierna.
Durame la visita fana dal Card. Ordini sul finire del '600, fu decretaw
che si disfacesse l'alua perché era fatisceme.
Alcuni decenni dopo , nel '700, essa fU riedificata ass umendo la forma
anuale con la copenura a volta che sostituì il te no sorretw da una suunura
a capnata.
el18551'abate Francesco 5averio De Donaw fece edificare la cappella
in cui cuswdire il 55. C rocifisso e l'anigua sagrestia comunicame con l'esterno mediame una ponicina laterale.
Nel 1984 su iniziativa dei soci del Lions Club "Gargano nord" e di
alcune devote che raccolsero l'ingeme somma di denaro occorreme per gli
urgemi restauri, dopo decenni di abbandono, la chiesa rurale dell'Annunziata
fu rimessa a nuovo, venendo miglioraw pure il piazzale anristame.
L'effigie del caratteristico Crocifisso ligneo di Varano che riproduce il
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volto del Cristo in una espressione di abbandono e di intuibile sofferenza è
opera di ignoto della fine del XIV secolo.
Ma è dal 1509 che viene documentata la sua venerazione da parte delle
popolazioni del comprensorio del Gargano nord, in particolare di Ischitella
e Carpino, ed in seguito di Cagnano, Rodi e Vico per la sua miracolosità. Il
fatto che ci fosse, specie in primavera una perdurante siccità che assai spesso pregiudicava con prevedibile certezza il futuro sostentamento di tanti
nuclei familiari di contadini e di pastori, lo si portava con solennità in
processione accompagnato da fedeli intercedenti con canti e preghiere una
provvidenziale e ristoratrice pioggia.
Il motivo per il quale si festeggia il 23 aprile (per gli ischitellani, in
genere non è una festa, ma un momento di penitenza corale) è perché,
come è noto la chiesa universale ha celebrato quel giorno le cosiddette
Rogazioni che consistono nella recitazione di preghiere e nell' espletamento
di riti religiosi con l'intento di propiziare, per l'immediato futuro, buon
raccolto senza il quale la prospettiva era la carestia e la fame. E il collegamento con il nostro evento si ricava, interpretativamente, nella piccola
epigrafe murata del 1509.
Mentre quello che avvenne il 23 aprile del 171 7 e del 1899 è leggibile
con chiarezza dalle due relative iscrizioni lapidarie esistenti la prima nella
chiesa Matrice di Ischitella e la seconda nella chiesetta presso il lago di
Varano.
E cioè l'evento prodigioso ed atteso della caduta di una pioggia abbondante a conclusione dell'iter processionale.
Ancora oggi si racconta con enfasi l'avvenimento più recente del 1948
allorché, sempre per l'assenza di precipitazioni, gli ischitellani decisero di
recarsi alla Chiesa dell'Annunziata per portare in processione, insieme
all'Arciprete don Eustachio Azzarone, il 55. Crocifisso sperando in un suo
intervento miracoloso. Persone presenti ricordano bene che all'improvviso
il cielo, che era stato terso fino a quel momento, si oscurò un po' alla volta
con la comparsa di nuvole da cui ben presto cadde molta pioggia da tempo
attesa con anSIa.
Quel giorno era il23 aprile e il miracoloso crocifisso fu, per l'improvviso evento meteorologico, portato nell' atrio del palazzo Ventrella dove tra
l'estatica contentezza del popolo trovò momentaneamente riparo.
Bisogna anche dire che l'evento processionale, tra l'altro, cominciava la
sera precedente, cioè i122, quando un banditore al suono di una campanella si recava per le vie del paese ad avvisare la popolazione che numerosa si
apprestava a partecipare al viaggio notturno a piedi fino alla chiesetta
dell'Annunziata. Per oltre due ore e mezza la lunga teoria di persone dotate,
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Ischitella, Effigie del 55. Crocifisso di Vtzrano (particolare).
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anticamente, di lanterne e di torce, giungeva dopo circa dodici chilometri
alla chiesa dove prelevato il Crocifisso dalla sua nicchia, lo si poneva sull' altare maggiore. Quindi dal Padre spirituale veniva celebrata una messa. Per
tradizione si doveva, comunque, attendere l'alba e l'effigie del Cristo non
poteva uscire dalla chiesa se prima non spuntavano i raggi del sole che
annunciavano un nuovo giorno di speranze e di attese. Succedeva che in
pochi minuti la penombra in cui si trovava l'intera zona, gremita di fedeli
in procinto di riprendere il cammino inverso, si rischiarasse sempre di più
con l'avanzare della luce.
Cosicché si prendeva nuovamente il Crocefisso per riportarlo coralmente
a piedi alla sede della sua dimora nella chiesa Matrice di Ischitella fra preghiere, canti sacri e litanie dal tono triste e accorato. Alcuni dei partecipanti
facevano l'intero percorso a piedi nudi per devozione o per un voto.
Allorché, agli inizi del '900, il clero ischitellano, che era solito portare il
SS. Crocifisso sino al paese cominciò a ridursi, furono i devoti a prestarsi
per assolvere a questo incarico fatto sempre con partecipazione ed entusiasmo. Altri erano organizzati nella Congrega della Disciplina per cui erano
chiamati Disciplinati. Procedevano a torso nudo ed indossavano delle lunghe brache bianche di maglia. Essi in forma penitenziale usavano la disciplina, cioè uno strumento fatto di ferro e cuoio con il quale nel procedere
processionalmente si percuotevano la schiena. I componenti di questa congrega operarono attivamente fino all'aprile del 1924. Un tempo c'era l'usanza
che in località Cicchittòla, quasi all' entrata del paese, fossero le personalità
più in vista ad attendere l'arrivo del crocifisso per prenderlo in consegna dai
devoti e portarlo sino alla chiesa dove terminava la processione issando
l'effigie del Cristo sull'altare maggiore della chiesa principale.
Qui vi restava fino al 2 maggio, visitato ed adorato da un continuo via
vai di fedeli, per poi far ritorno con un' altra processione alla chiesa
dell'Annunziata perché il3 di maggio ricorreva il ritrovamento della Santa
Croce. Oltre un decennio addietro fu ripristinata la Pia Unione già fondata
nel 1936 da Monsignor Cesarano Vescovo di Manfredonia i cui componenti del risorto sodalizio detengono ancora oggi con disciplina la custodia
del SS. Crocifisso.
Fra i primi Priori vanno citati Giuseppe Ventrella, Antonio De Nicola,
Giuseppe Mario d'Errico, oltre a quello attualmente in carica, Pietro
Comparelli. Consiglieri spirituali sono stati don Michele Carrassi di Rodi
Garganico e don Francesco Gramazio di Carpino.
Il legno dal quale fu ricavato il Cristo crocifisso quando fu scolpito non
era stagionato per cui col tempo asciugandosi mise in evidenza delle piccole
venature che lo hanno fatto arieggiare mantenendosi assai bene nei secoli.
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Ischitella, Cappella della
Ss. Annunziata (particolare).
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Un primo restauro si sa che fu fatto nel 1778 per le cattive condizioni in cui
si trovava in quanto era stato nascosto in una grotta allagata tenendolo a
livello dell'acqua per nasconderlo a causa delle continue ed improvvise incursioni costiere effettuate da marinai predoni per cui subì dei
danneggiamenti. Ma il restauratore di Napoli, dove fu portato il Crocifisso,
nell' avvolgerlo, tra l'altro in una tela di lino, ne tratteggiò le sembianze in
forme barocche; in pratica ne trasformò l'aspetto rendendolo quasi
irriconoscibile rispetto a quello precedente.
Su autorizzazione della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici della
Puglia, fu soltanto nel 1962 che padre Ciro Cannarozzi si prodigò per farlo
restaurare ad opera del prof. Pellegrino Banella del Gabinetto di Restauro
degli Uffìzi di Firenze, il quale con infinita accortezza e competenza asportò
tutte le vecchie sovrapposizioni ed incrostazioni aggiunte nel restauro napoletano ritornando nella splendida fattura di umana sofferenza in cui lo posSIamo ammIrare ogglglOrno.
Nel 1984 altri ritocchi, ritenuti opportuni vennero eseguiti sempre dallo stesso prof. Banella che rese più solido un braccio ripulendone con il
bisturi la parte cromatica di superficie.
Singolare il ritrovamento casuale avvenuto qualche anno fa ad opera di
Giuseppe Mario d'Errico di una epigrafe funeraria romana, forse di età
augustea, scoperta tra un mucchio di pietre situate vicino l'antica chiesa
presso il lago di Varano. Sulla parte superiore è riportato, in particolare, il
nome gentilizio romano Svellius.
Dopo essere stata segnalata alla Soprintendenza territoriale, nel giugno
2000 è stata oggetto di discussione in un convegno di studi e collocata
all'interno della chiesa del SS. Crocifisso per poter essere visionata quale
testimonianza della presenza umana nella zona circostante.
Bibliografia:
Atti di Santa Visita - Op. cit.
Il Gargano Nuovo - Anno VIII
- Ottobre/novembre 1982 - nO 10/
Il
Il Gargano Nuovo - Anno Xl
- Agosto/settembre 1985
9
Il Gargano Nuovo - Anno XVII - Aprile/maggio 1991
Il Gargano Nuovo - Anno XVIII - Marzo/aprile 1992
Il Gargano Nuovo - Anno XXVI - Giugno 2000
- 55 -
5
RODI GARGANICO
CHIESA DI SANTA BARBARA
Nell'immediata periferia di Rodi Garganico, subito dopo l'area
cimiteriale, per chi si reca alla zona balneare di Lido del Sole, sulla destra si
trova abbandonata da molto tempo l'antica chiesetta di Santa Barbara.
Sembra quasi una delle vecchie casette non più abitate della campagna
di Rodi, come pure di altri paesi garganici, se non fosse per la caratteristica
del tipico campanile che sormonta, in posizione asimmetrica, la porta di
accesso che è rivolta alla vicina strada trafficata. Un modesto cancello preclude l'accesso ad un breve e stretto viottolo fiancheggiato da rustici muri,
che conduce alla chiesa.
Da lontano appare nella patina grigia segnata dal passare del tempo ed
evidenzia tuttora la sua solidità e semplicità seppure da tempo sia stato
divelto l'intero portale in pietra locale. Essa presenta il tetto a due falde ed
è mononavata. Questa chiesetta, sin dall'antichità, come spesso è successo
per altre, ha dato il nome alla contrada che ai nostri tempi è cosparsa di
palazzine residenziali e di strutture turistiche. Nella parte posteriore sorge
attaccata una costruzione più grande di tipo ottocentesco; uno di quei casini signorili in disfacimento abitato un tempo e circondato da aranci a
denotare ricchezza e predominio sugli uomini del luogo.
Le uniche notizie disponibili sono quelle contenute in un volume di
Michelangelo de Grazia degli inizi del '900.
Egli riferisce che secondo lo scrittore Rossignoli già nel 1092 era dipendente dall' abbazia di Santa Sofia di Benevento ed in seguito fu concessa in
commenda ai Cavalieri di Malta assumendo il titolo di abbazia. I suoi possedimenti nei territori di Rodi, Carpino ed Ischitella sono stati riportati in
un atto notarile di affitto del 1753 rogato da Antonio Santamaria.
Viene anche riferito che nel 1645 l'abate commendatore fra' Vincenzo
Grossus provvide a far restaurare la chiesetta attorno alla quale, in anni
successivi, scoprì gli avanzi di una stradina parzialmente interrata che conduceva verso la costa e propriamente al mulino di cui sono esistiti i ruderi
fino a qualche decennio addietro. Sull' architrave della stessa era scritto: F
Vincentius Grossus comm. A.D. 1645 refècit.
Essa fu portata avanti per circa q uarant' anni da fra' Li tterio Gristi assai
esperto di problemi di agricoltura dal 1753 al 1792 il quale, essendo stato
prima in viaggio per l'Europa e l'Asia introdusse per primo l'innesto d'aranci
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Rodi Garganico, Chiesa di Santa Barbara.
dolci nel suo giardino. Ma dopo una fone gelata avvenuta nel 1755, che in
pratica distrusse la produzione agrumaria del posto, fu necessario approntare una nuova piantagIOne.
Per questo evento generale che prostrò rutti i produttori d'arance, il
rodi ano icola Buchi chiese a Grossus di poter avere degli innesti per i suoi
alberi. Ovviamente l'abate di Santa Barbara non acconsentì a tale richiesta
per cui il Buchi indispettito, con prepotenza diede ordine ai suoi uomini di
prelevare gli innesti nortetempo per poterli inserire sulle sue piante ed in
tale modo , poiché si verificò il funo, si diffuse la qualità d'arance dolci in
rurto il Gargano nord.
Quindi tale merito è da attribuire al Buchi e non al Gristi che aveva in
animo di vendicarsi dell ' avversario, tanto è vero che a causa della sua profonda amicizia e influenza verso i potenti Cavalieri di Malta convinse costoro ad emertere un mandato di cattura con cui furono arrestati il Buchi
ed i suoi complici.
Bibliografia:
Michelangelo de Grazia - Appunti storici sul Gargano - VoI. I - Napoli
191 3
- 57 -
6
CARPINO
CHIESA DELLA SANTA CROCE
È difficile stabilire dove erano situate le chiesene nel territorio di Carpino
esistenti al tempo della visita fana nel 1678 dal Cardinale Orsini, in quanto già
per altri studiosi del posto è stato quasi impossibile tracciarne un profilo storicoarchitenonico perché non sono più esistenti e sarebbe difficile poter ubicare i
ruderi rimasti.
Vi è solo qualche traccia documentale in cui se ne fa cenno.
Una di esse, edificata nel 1840, relativamente più vicina ai nostri tempi,
è quella dedicata alla Santa Croce posta nell'immediata periferia del paese
sulla collina di Pastromele.
Con molta probabilità per essere stata intitolata alla Santa Croce potrebbe
essere assai più antica e poi, come tantissime altre, caduta in oblìo. Nell'800
fu edificata con lo stesso impegno e devozione di quello profuso da un gruppo di persone anziane che all'inizio del 1981, costituitesi in comitato, effettuarono una sottoscrizione fra il popolo e devoti carpinesi raccogliendo quasi
l'intera somma occorsa per la difficoltosa riedificazione.
Necessario è stato il contributo dato sia come prestazione di manodopera
o forniture di materiali da parte di numerosi artigiani e commercianti locali.
La fede e la buona volontà di molte persone hanno fatto in modo che al
posto di ruderi informi sorgesse entro un paio di anni un nuovo edificio di
culto. Grande è stata la partecipazione dei carpinesi emigrati in Italia e nel
centro Europa, ma anche di quelli dimoranti più lontano in Australia, in
Canada e negli Stati Uniti che hanno inviato consistenti somme di denaro.
Così quasi a voler consegnare un retaggio del passato alle nuove generazioni il l° ottobre 1983 alla presenza di numerosi fedeli e delle autorità civili
e religiose è stata inaugurata la rinnovata costruzione della chiesa della Santa
Croce.
La semplice chiesetta ha avuto un epilogo felice per la ritrovata antica
campana, creduta rubata o venduta, che è stata custodita segretamente per
molti anni da un vecchio devoto, l'ha consegnata e poi è stata fatta sistemare sul campanile. Lo stesso pregevole crocifisso, ritenuto anch'esso perduto,
è stato ritrovato ma non risistemato nella chiesa, bensì conservato a causa
della sua riconosciuta ed interessante antichità come se fosse una preziosa
reliquia.
La sua sagoma bianca domina dall'alto Carpino che si distende ai piedi
della collina. Alla chiesetta moderna si affianca un' altra costruzione più
- 58 -
Carpino, Chiesa della Santa Croce.
piccola che ingloba pure un piccolo campanile.
CosÌ come è posizionata sembra quasi di voler proteggere il paesino
abitatO da geme laboriosa ed intraprendente.
Bibliografia:
Il Gargano Nuovo - Anno IX - OttObre 1983 -
- 59 -
o
lO
7
CAGNANO VARANO
CHIESA DELLA MADONNA DI LoRETO
Quella che un tempo era una delle chiese di campagna, fra le più vicine
alla periferia di Cagnano Varano, oggi è stata in pratica inglobata e quasi
fagocitata dalle diecine di soffocanti e moderne costruzioni palaziali che la
circondano.
Più che altro era una antica cappella, un ambiente sacro assai ridotto,
usata per quei viandanti e contadini che di buon'ora si recavano al lavoro
dei campi o intraprendevano un lungo viaggio per commercio o erano diretti alla pesca sul lago o per mare facendo una breve sosta devozionale in
questo luogo.
Di questa cappella o chiesetta si conosce la data di costruzione avvenuta
sul finire del '500.
Alla sommità ha una piccola croce in ferro che caratterizza da lontano la
struttura religiosa. Una bassa cancellata pure in ferro è posta all'ingresso
molto angusto e al di sopra dell'architrave, esternamente, è incastonata una
pietra quadrata su cui è scritto: SMD Loreto 1593 A.D.M. Di fianco alla
porta di ingresso, rifatta di recente, vi è un' altra porta che permette di accedere alla piccola sagrestia che funge per l'occasione da ripostiglio di suppellettili. Vi si può entrare pure dall'interno sulla sinistra dell'ingresso. Alle
pareti laterali sono appoggiate due piccole e decorose panche in legno lucido.
Sulla destra, appena si entra, vi è una acquasantiera e poco più avanti
una nicchia in cui è riposta una statuina di San Michele Arcangelo custodita in un tabernacolo in legno con vetri ai quattro lati.
Preceduto da un gradino, la parte centrale del piccolo altare è sormontata da un quadro di bella fattura riproducente l'effige della Madonna che
tiene in braccio Gesù bambino circondato da angioletti sia ai piedi che ai
lati del capo.
I! quadro presenta una patina piuttosto scura ed è ben incastonato in
alcune cornici a muro di colorazione più tenue.
In assenza di sicura documentazione ci si rifà alla tradizione orale più
adatta, in questo caso, per tracciare un profilo abbastanza chiaro della sua
ongme.
Si racconta che al termine del )(\/ secolo alcuni pescatori delle Marche
che si trovavano su un veliero subirono una brutta esperienza perché la loro
nave a causa di una forte tempesta naufragò di fronte alla costa garganica
- 60-
presso la foce di Varano. Costoro, sentendosi in pericolo di vita, invocarono la Madonna di Loreto di cui erano molto devoti e poco dopo giunsero
con notevoli difficoltà a riva da cui si incamminarono lungo un tratturo
che dalla foce di Varano conduceva a Cagnano.
La notizia dell' avvenimento giunse subito nella cittadina garganica. Non
solo il popolo, ma in particolare le persone più facoltose li accolsero alle
porte del paese e li ospitarono cristianamente ben volentieri, confortandoli
per lo scampato pericolo.
A ricordo di questo evento con senso di fede fu costruita la cappella
circondata da ulivi secolari e da un ampio prato. Attualmente, essa è gestita
con molta cura da don Fernando Piccolo parroco della moderna chiesa di
San Francesco che è visibile nell'immediata periferia di Cagnano lungo la
strada che porta allo svincolo autostradale.
La festa religiosa, con l'intervento dei fedeli, viene ancora celebrata la
domenica successiva a quella di Pasqua e dura tutta la giornata.
Alcuni decenni addietro, quando ancora non erano stati costruiti gli
anonimi palazzi posti in prossimità della galleria della superstrada garganica,
i partecipanti alla processione, come penitenza, portavano con sé verso una
collinetta un sasso per lanciarlo su un mucchio di pietre che si accresceva
ogni anno.
Questo era situato vicino a tre croci simboleggianti, al centro, quella di
Cristo e le altre laterali dei due ladroni.
Compiuto l'atto espiatorio dei propri peccati e recitate alcune preghiere, ridiscendevano verso la chiesetta poco distante per partecipare in allegria ad una pranzo sul posto a gruppi con familiari o tra amici, trasformandosi alla fine la manifestazione sacra in una festa agreste, quasi laica e distaccata dal contesto religioso ispiratore.
Con l'approssimarsi degli anni più vicini a noi e la costruzione caotica
degli edifici moderni in periferia, la chiesetta un po' alla volta è stata circondata e stretta dal cemento.
Bibliografia:
Il Gargano Nuovo - Anno XIX - Luglio 1993 - nO6
- 61 -
...
..
Cagnano Varano, Chiesa della Madonna di Loreto
- 62 -
Cagnano Varano, Formella con la data di costruzione (particolare).
- 63-
INDICE
Presentazione
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Introduzione
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3
4
5
1) VIESTE
Chiese di Santa Maria di Merino
(La villa romana e la necropoli)
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8
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13
»
»
18
23
25
28
30
34
38
40
44
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46
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49
RODI G ARGANICO
Chiesa di Santa Barbara .
»
56
CARPINO
Chiesa della Santa Croce
»
58
C AGNANO VARANO
Chiesa della Madonna di Loreto .
»
60
Premessa.
2)
3)
4)
5)
6)
7)
pago
PESCHICI
Chiesa della Madonna di Loreto .
VICO DEL GARGANO
Chiesa di Sant'Antonio da Padova
(Parrocchia di San Menaio).
Chiesa di Santa Maria della Difesa .
Chiesa di Santa Maria di Canneto
Chiesa di San Biagio
Chiesa di San Nicola .
Chiesa di San M ichele Arcangelo
Chiesa di Santa Maria delle Grazie (Chiesiola).
Chiesa di San Rocco .
Chiesa di San Giacomo .
ISCHITELLA
Chiesa di San Pietro in Cuppis
Chiesa della 55. Annunziata
(SS. Crocifisso di Varano).
Finito di stampare nel mese di nove mbre 2000
presso TIPOGR AF IA LAU RIOLA - Vico de l Gargano (Fgl
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