150 anni Unità d`Italia Minerbe

Transcript

150 anni Unità d`Italia Minerbe
ISTITUTO COMPRENSIVO “B. Barbarani”
Via Verdi, 114 – 37046 MINERBE (VR)
Tel. 0442640144/0442640074 r.a. Fax 0442649476
C. F. 82000470235
E-Mail istituzionale: [email protected]
www.icminerbe.it
- E-Mail: [email protected]
[email protected]
MINERBE
NELL’ITALIA UNITA
Venerdì 27 maggio 2011 – ore 21.00
Chiesa parrocchiale di Minerbe
0
INTRODUZIONE
L’occasione dei 150 anni d’unità nazionale
L’Istituto comprensivo di Minerbe in considerazione che la celebrazione del 150° anniversario
dell’Unità d’Italia, rappresenta un’importante opportunità in quanto occasione per sottolineare
l’insostituibile ruolo che la scuola ha svolto e continua a svolgere come “collante culturale” del
nostro Paese, ha ritenuto doveroso ed importante dedicare a questa ricorrenza grande attenzione
prevedendo particolari percorsi ed attività didattiche in modo da realizzare un reale coinvolgimento
degli studenti e della comunità oltre che del territorio.
Proprio le scuole, infatti, dopo il 1861, hanno contribuito attivamente all’effettiva unificazione
dell’Italia, innanzitutto attraverso la difficile e capillare opera di alfabetizzazione e di diffusione
della lingua italiana.
La scuola è dunque uno dei protagonisti dell’anniversario e deve quindi promuovere iniziative che
trasmettano agli studenti la consapevolezza del percorso unitario di questo nostro Paese, delle sfide
che ha saputo vincere e di quelle che sarà chiamato ad affrontare in futuro.
In tutto questo i docenti sono maestri; sanno infatti come coinvolgere i ragazzi e mettere a punto
progetti per assicurare alla scuola il ruolo che le compete di diritto: quello di istituzione guida nella
diffusione, nella difesa, nella riaffermazione dei principi e dei valori e dell’identità italiana.
Motivazioni
Il presente lavoro, elaborato dai docenti e dagli studenti delle varie classi della scuola primaria e
secondaria di I grado di Minerbe, rappresenta pertanto la sintesi finale delle varie iniziative previste
dall’Istituto per la celebrazione della ricorrenza dei 150 anni d’unità nazionale.
A tal fine occorre infatti precisare che l’occasione dei 150 anni dell’unità nazionale è importante
non solo per evocare eventi lontani ma anche per riflettere sui cambiamenti che da allora sono
intervenuti. Ci possono essere infatti due modi per ricordare il raggiungimento dell’unità: il primo
essenzialmente celebrativo, consiste nel rievocare gli eventi attraverso i quali le aspirazioni dei
patrioti conseguirono il risultato atteso; l’altro nel chiedersi quali processi l’unità conseguita abbia
favorito e come le condizioni civili, culturali, economiche siano cambiate nel tempo da allora
intercorso. Non che i due punti di vista si escludano l’un l’altro, ma certo sarebbe riduttivo quello
centrato solo sulla celebrazione di eventi lontani senza cogliere l’occasione per riflettere sugli
aspetti di vita di allora e di oggi, su quali e quanti cambiamenti siano intervenuti.
Chi consideri le caratteristiche attuali della popolazione italiana e le ponga a confronto con quelle
che i documenti d’epoca indicavano come correnti negli anni attorno all’unità, non può infatti non
prendere atto che i cambiamenti intervenuti hanno mutato sostanzialmente il profilo sociale,
culturale e fisico degli italiani.
Certo non tutto si deve alla scuola; o meglio non tutto si deve solo alla scuola ma è certo che quanto
oggi appare positivamente trasformato non avrebbe potuto esserlo senza la scuola. La scuola ha
proseguito e perfezionato il disegno unitario del Risorgimento conferendo significato di
cittadinanza all’uso della lingua e all’acquisizione della cultura tramandata dalla tradizione.
Un compito centrale della formazione e dell’educazione diventa, di conseguenza, quello di
apprendere e far apprendere i modi in cui poter vivere in mezzo alle tensioni e alle difficoltà
generate dalle diversità, dentro la singola persona e fra le persone, senza cadere nell’errore
semplificatorio della ricerca di una sola e unica identità.
Il profilo odierno degli italiani è quello che le politiche seguite in centocinquant‘anni di storia
unitaria hanno prodotto.
1
Del resto il raggiungimento dell‘unità nazionale di per sé non risolveva alcuna delle difficoltà che
segnavano la vita quotidiana della gran parte della popolazione di quel tempo. Semmai disporre di
più ampi riferimenti faceva apparire ancor più gravi i limiti nello sviluppo delle diverse aree del
paese.
In quel contesto risultò evidente che lo sviluppo dell‘istruzione avrebbe rappresentato una
condizione centrale per la crescita sociale ed economica del Paese per cui si può dire che nella
trasformazione dell‘Italia un ruolo decisamente importate lo ha avuto il sistema scolastico italiano
avviato con l‘unità.
Per diffondere l‘istruzione elementare furono chiamati ad insegnare maestri improvvisati, la cui
unica competenza spesso era limitata ad una certa familiarità con l‘alfabeto. Ma quei maestri
improvvisati erano consapevoli del beneficio che dal loro impegno sarebbe derivato agli allievi.
La scuola sarebbe stata alla base del diffondersi di un nuovo sentire, nel quale il superamento di
una condizione secolare di ignoranza appariva strettamente associato all‘affermazione di un‘idea
di progresso. Vere anche se troppo spesso ignorate protagoniste del passaggio dall‘unità raggiunta
in termini politici ad una unità che fosse riconoscibile per la comunanza dei riferimenti culturali
furono le maestre. Avremo un ricordo ben povero del secolo e mezzo trascorso dal
raggiungimento dell‘unità nazionale se non fosse riconosciuto il ruolo determinante assunto da
generazioni di maestre che, a volte mal trattate e mal pagate, non hanno lesinato le loro energie per
diffondere l‘istruzione, promuovendo nel contempo nuovi e più razionali stili di comportamento.
Alla crescita della scuola corrispose il diffondersi, nelle diverse classi sociali, della conoscenza
della lingua italiana, prima limitata a poche aree del paese o agli strati favoriti della popolazione
che avevano ricevuto almeno alcuni rudimenti di istruzione.
Fu così ben presto evidente che le scuole sarebbero state uno strumento essenziale di crescita non
solo per ciò che riguardava la diffusione dell‘alfabeto, ma anche per modificare le pratiche della
vita quotidiana.
2
LA SCUOLA
La scuola primaria di Minerbe, oggi
La scuola Primaria di Minerbe, rimasta l‘unica scuola primaria del Comune a seguito della
chiusura di tutte quelle delle frazioni Anson, Santo Stefano e San Zenone, è intitolata a Giacomo
Zanella, poeta vicentino.
La costruzione dell‘edificio, situato in via Roma, risale agli anni 50; in precedenza la scuola del
capoluogo si trovava fin dal 1881 nell‘attuale Piazza IV novembre. Con il passare del tempo,
tuttavia, questo vecchio fabbricato si rivelò insufficiente rispetto al crescente numero degli alunni,
spingendo l‘Amministrazione Comunale alla realizzazione delle nuove scuole elementari.
Attualmente ospita 10 classi per un totale di 192 alunni così distribuiti:
CLASSE
1
2
3
4
5
N° ALUNNI
Sez. A
Sez. B
17
18
21
21
17
16
19
20
21
22
Gli alunni stranieri sono 23, ovvero circa il 12%.
Nella scuola operano 24 docenti di cui 1 insegnante specialista di inglese, 2 insegnanti di religione
cattolica e 3 insegnanti di sostegno.
L‘utenza risulta essere così caratterizzata:
 per quanto riguarda l‘età anagrafica dei genitori, circa l‘86% dei padri e il 92% delle madri
hanno un‘età compresa tra i 31 e i 50 anni, più precisamente:
Età anagrafica dei padri
70,00%
60,00%
50,00%
40,00%
30,00%
20,00%
10,00%
0,00%
Età anagrafica delle madri
70,00%
60,00%
50,00%
40,00%
30,00%
20,00%
10,00%
0,00%
da 20 a da 31 a da 41 a da 51 a
30 anni 40 anni 50 anni 60 anni
da 20 a da 31 a da 41 a da 51 a
30 anni 40 anni 50 anni 60 anni
 circa il 15% dei genitori degli alunni sono nati all‘estero (circa il 6% in Marocco);
 all‘interno dei nuclei familiari troviamo un unico figlio nel 28% dei casi, due figli nel 57%,
più di due figli nel 15% delle famiglie;
 per quanto riguarda l‘occupazione lavorativa dei genitori si segnala la seguente
distribuzione:
3
PROFESSIONI DEI PADRI
Operaio
28,27%
Artigiano
8,90%
Impiegato
7,33%
Agricoltore
6,81%
Autista
5,76%
Imprenditore
5,76%
Commerciante
3,66%
Metalmeccanico
3,14%
Altro (direttore
30,37%
azien.,infermiere,
muratore, tecnico…)
PROFESSIONI DELLE MADRI
Casalinga
35,60%
Operaia
16,23%
Impiegata
15,71%
Infermiera
5,76%
Insegnante
3,66%
Commessa
3,14%
Commerciante
2,62%
Operatore socio-san.
2,62%
Operatore socio-ass.
2,62%
Altro (parrucchiera,
12,04%
consulente del
lavoro…)
 infine la scolarità vede i genitori degli alunni così distribuiti in base al titolo di studio
conseguito:
TITOLO DI STUDIO DEI PADRI
Licenza media
45,03%
Diploma
18,85%
Laurea
7,85%
Qualifica professionale
7,85%
Altro (ragioneria,
20,42%
geometra, licenza
elementare, perito…)
TITOLO DI STUDIO DELLE MADRI
Licenza media
41,36%
Diploma
27,23%
Laurea
6,28%
Ragioneria
4,71%
Segretaria d‘azienda
3,67%
Altro (qualifica
16,75%
professionale,
infermiera…)
4
Prospetto dell’andamento demografico scolastico
anno
scolastico
1925/26
1927/28
1928/29
1929/30
1930/31
1931/32
1932/33
1933/34
1934/35
1935/36
1936/37
1937/38
1938/39
1939/40
1940/41
1941/42
1942/43
1943/44
1944/45
1945/46
1946/47
1947/48
1948/49
1949/50
1950/51
1951/52
1952/53
1953/54
1954/55
1955/56
1956/57
1957/58
1958/59
1959/60
1960/61
1961/62
1962/63
1963/64
1964/65
1965/66
1966/67
1967/68
1968/69
1969/70
Minerbe
n.
n.
cl.
al.
6
253
4
188
6
328
6
377
6
383
6
365
7
427
8
419
9
423
7
294
8
445
10
417
6
296
7
321
3
114
1
40
7
306
5
222
7
6
9
10
7
11
10
10
10
10
11
10
9
10
10
10
10
11
12
12
12
12
12
12
12
338
277
358
374
233
350
335
344
330
305
329
314
268
297
269
256
237
251
252
246
253
202
260
286
273
S. Zenone
n.
n.
cl.
al.
1
1
3
3
4
2
2
20
45
99
140
178
107
106
4
4
5
5
4
5
198
177
203
208
157
183
5
170
4P
2
4
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
163
34
137
144
143
131
131
128
132
120
101
89
73
75
78
61
75
100
105
104
100
106
Anson
n.
n.
cl.
al.
1P
49
1P
53
P
1
43
1P
47
1P
1P
1P
37
47
25
1P
1P
35
39
1P
45
1P
42
1P
48
1P
2P
2P
2P
2P
2P
2P
2P
2P
1P
2P
2P
1P
1P
1P
1P
2P
2P
2P
1P
2P
1P
18
46
44
39
41
31
27
28
30
26
27
24
12
12
16
15
23
23
19
17
15
12
S. Stefano
n.
n.
cl.
al.
1P
1P
1P
1P
54
53
45
41
1P
1P
1P
41
50
48
1P
1P
1P
38
29
26
1P
20
1P
1P
1P
1P
1P
1P
1P
1P
2P
2P
2P
19
17
12
13
15
15
18
21
28
29
27
Totale
n.
n.
cl.
al.
7
302
6
261
7
416
10
523
9
523
11
580
10
581
11
550
9
423
12
527
13
661
15
620
11
504
12
523
9
351
2
93
13
521
7
305
13
9
10
11
9
17
18
18
18
17
19
17
16
18
18
17
17
18
19
20
21
21
20
19
18
590
361
406
392
279
531
556
557
518
463
505
476
433
442
394
354
339
360
346
365
404
355
408
401
391
5
anno
scolastico
1970/71
1971/72
1972/73
1973/74
1974/75
1975/76
1976/77
1977/78
1978/79
1979/80
1980/81
1981/82
1982/83
1983/84
1984/85
1985/86
1986/87
1987/88
1988/89
1989/90
1990/91
1991/92
1992/93
1993/94
1994/95
1995/96
1996/97
1997/98
1998/99
1999/00
2000/01
2001/02
2002/03
2003/04
2004/05
2005/06
2006/07
2007/08
2008/09
2009/10
Note:
Minerbe
n.
n.
cl.
al.
12
277
12
314
12
305
13
323
14
301
14
294
12
264
12
259
11
237
10
214
10
205
10
205
10
202
10
202
10
206
10
186
10
182
10
169
10
165
10
159
10
172
10
163
10
164
10
161
10
155
10
148
10
151
10
171
10
192
10
208
10
216
10
217
10
206
10
207
10
205
10
195
10
188
10
193
10
184
10
186
S. Zenone
n.
n.
cl.
al.
5
102
5
108
5
113
5
122
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
4P
4P
4P
4P
3
114
108
100
98
99
92
80
77
77
68
62
57
55
60
60
58
54
51
46
47
41
41
24
Anson
n.
n.
cl.
al.
S. Stefano
n.
n.
cl.
al.
Totale
n.
n.
cl.
al.
17
379
17
422
17
418
18
445
14
301
19
408
17
372
17
359
16
335
15
313
15
297
15
285
15
279
15
279
15
274
15
248
15
239
15
224
15
225
15
219
15
230
15
217
15
215
14
207
14
202
14
189
14
192
13
195
10
192
10
208
10
216
10
217
10
206
10
207
10
205
10
195
10
188
10
193
10
184
10
186
indica la presenza di pluriclasse;
i dati riportati sono stati desunti dai documenti (registri di classe e rilevazioni statistiche)
presenti in archivio
P
6
Dall‘analisi dei dati riportati emergono alcune osservazioni:
 la rilevazione che anche negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, la quasi totalità
dei ragazzi ha frequentato la scuola;
 un incremento della popolazione scolastica negli anni ‗50/‘60;
 la continua diminuzione del numero delle classi e degli alunni a partire dagli anni ‗80;
 una variazione delle scuole aggregate e dipendenti dalla Direzione Didattica di Minerbe.
Passando ad esaminare il primo punto, si rileva che nonostante siano andati perduti alcuni
registri di classe, si può tranquillamente affermare che la quasi totalità dei ragazzi dei comuni
dell‘Istituto Comprensivo frequenta la scuola con esiti positivi sul piano dell‘alfabetizzazione.
Negli anni della Guerra si nota un calo della frequenza scolastica. Ciò è dovuto sicuramente
alla situazione di disagio del periodo, oltre al fatto che manca una parte dei documenti.
Nel dopoguerra, la ripresa sociale si rispecchia anche nell‘incremento della popolazione
scolastica: si vede infatti, tra gli anni ‗50 e ‗70, un incremento demografico, conseguenza
dell‘aumento della natalità e della ripresa economica.
Negli anni più recenti, a partire dall‘anno 80, con il nuovo stile di vita orientato a
raggiungere sempre un maggior benessere, inizia a verificarsi un calo demografico degli alunni e,
di conseguenza, di numero delle classi abbastanza significativo che ha portato a chiudere le scuole
delle frazioni dei vari comuni, fino ad arrivare all‘attuale situazione.
Quale riscontro trasversale comune a tutte le scuole dell‘Istituto analizzate, si nota che
nell‘anno scolastico 1925/26, quando le condizioni di vita non erano, per la maggioranza della
popolazione, così agiate da poter permettersi di mandare tutti i figli a scuola e, come spesso hanno
raccontato i nonni, a volte i ragazzi non potevano frequentare la scuola ―… perché dovevo andare
in campagna a raccogliere … le mele … l‘uva o a zappare…‖, mentre le ragazze dovevano
rimanere a casa ―per accudire i fratelli più piccoli‖, gli alunni iscritti erano 302 mentre nel 2009/10
sono appena 186. A questo punto non si può non notare, inoltre, che mentre i 186 alunni
rappresentano il 100% dei ragazzi in età scolastica che frequentano la scuola, i 302 dell‘anno 25/26
probabilmente non rappresentano tale totalità.
Attualmente, il servizio scolastico erogato dall‘Istituto Comprensivo di Minerbe interessa
cinque comuni: Bevilacqua, Bonavigo, Boschi S. Anna, Minerbe e Roverchiara.
La scuola elementare di Minerbe, a partire dall‘anno scolastico 1959/60, diventa sede autonoma e
non più dipendente dalla Direzione Didattica di Legnago e della nuova Direzione fanno parte tutte
le scuole elementari dei comuni sopra descritti. A partire dall‘anno scolastico 1964/65 e fino
all‘anno 1994/95, però, le scuole elementari di Roverchiara, Roverchiaretta e Beazzane non faranno
più parte della Direzione di Minerbe, mentre si ha la presenza della scuola di Angiari dal 1978/80
al 1993/94. Dall‘anno scolastico 1999/2000 la Direzione Didattica diventa Istituto Comprensivo di
Minerbe, costituito da due scuole dell‘Infanzia statali (Bevilacqua e Boschi Sant‘Anna), cinque
scuole primarie (Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant‘Anna, Roverchiara e Minerbe) e due scuole
secondarie di primo grado (Roverchiara e Minerbe).
7
Prospetto dei maestri che nel tempo hanno insegnato nelle scuole del comune di Minerbe
Plesso di Minerbe:
Gli insegnanti
Nascimben Lucia Giulia
Carrara Ubaldo
Nascimben Ada
Carrara Mario Leone
Marchiori Virginia in Frattini
Barge Margherita
Maestri Bruna Marchi
Ferrari Maria in Carrara
Bocconcello Agnese
Bresciani Elide
Paganello Gianni
Panzan Arrigo
De Grandis Alessandro
Eminente Guerrino
Valentini Valentina
Carpita Leda
Molendi Vittoria in Lirani
Costantini Luigi
Pozzani Adriana
Finerzo Giovanni
Cavedon Zaccaria Anna
Nichele Giuseppe
Burti Battiston Medea
Ziviani Eugenio
Greselin Maria Pia
Frattini Tebon Teresa
Zanetti Lucia
Rodella Gaetano
Giaon Renato
Merlin Dal Molin Giovanna
Tartari Sileno
Masini Alfredo
Romagnoli Elvira Castignoli
Perretta Enrico
Bellinato Gervasio
Marini Guido
Mutto Ruggero
Pelà Gabriella
Gli anni in cui insegnano
Dal 1925/26 al 1939/40; dal 1942/43 al 1943/44; dal 1945/46
al 1948/49
Dal 1925/26 al 1937/38; il 1940/41; il 1942/43; 1945/46 al
1946/47
Dal 1925/26 al 1940/41; dal 1942/43 al 1943/44; dal 1946/47
al 1948/49
Dal 1925/26 al 1939/40; dal 1942/43 al 1943/44; il 1945/46;
dal 1947/48 al 1948/49; dal 1950/51 al 1959/60
Dal 1925/26 al 1929/30; dal 1932/33 al 1937/38
Dal 1927/28 al 1928/29
Il 1929/30; il 1939/40; il 1942/43; il 1945/46; dal 1947/48 al
1959/60
Dal 1930/31 al 1943/44; dal 1945/46 al 1957/58
Dal 1930/31 al 1938/39; dal 1945/46 al 1957/58
Il 1937/38
Il 1939/40
Il 1942/43
Il 1943/44; dal 1945/46 al 1947/48
Dal 1947/48 al 1956/57; dal 1958/59 al 1959/60
Il 1947/48
Il 1948/49
Dal 1948/49 al 1959/60
Dal 1948/49 al 1957/58
Il 1949/50
Il 1950/51
Dal 1950/51 al 1951/52
Il 1950/51
Il 1951/52
Dal 1951/52 al 1952/53
Dal 1952/53 al 1954/55; dal 1956/57 al 1959/60
Il 1952/53; dal 1955/56 al 1956/57; dal 1958/59 al 1959/60
Dal 1953/54 al 1954/55; dal 1957/58 al 1959/60
Il 1953/54
Il 1954/55
Dal 1955/56 al 1958/59
Il 1955/56
Il 1955/56
Il 1956/57
Dal 1958/59 al 1959/60
Il 1958/59
Il 1958/59
Il 1958/59
Il 1958/59
8
Plesso di San Zenone:
Gli insegnanti
Brofsa Francesca
Libon Elena Maria
Ferrari Maria
Piacenza Marianna
Tasca Ester
Bovo Amalia
Ferrari Chiericato Maria
Foti Sara
Rizzolo Fausto
Bianconi Bruna
Lonardi Secondilla
Filippini Luigi
Ambrosi Calearo Olga
Mutto Ruggero
Carrara Carla
Rinaldi Passarin Margherita
Meneghetti Marina
Pozzani Adriana
Fabbri Annamaria
Frattini Tebon Teresa
Giaon Renato
Greselmi Mura Lisa Ida
Pepoli Edda
Storai Gigliola
Carolei Angela
Seneci Giovanna
Marangoni Luigina
Ciccarelli Cesira
Cernieri Maria Giovanna
Vangelista Maria Antonietta
Benini Ester
Toracca Carla
Rossini Maria Agnese
Bernardinelli Bianchini Maria
Bruna
Villa Marialuisa
Sambugaro Polo Adriana
Soave Giovanna Veronese
Vighi Marisa
Collini Venere
Casalini Renata
Rainaldi Gina
Gli anni in cui insegnano
Dal 1927/28 al 1928/29; dal 1930/31 al 1943/44; il 1945/46
Il 1929/30
Il 1929/30
Dal 1930/31 al 1940/41; dal 1942/43 al 1943/44; il 1945/46
Dal 1935/36 al 1936/37
Dal 1936/37 al 1939/40
Il 1939/40
Il 1940/41
Il 1940/41
Dal 1942/43 al 1943/44
Dal 1942/43 al 1943/44
Il 1945/46
Il 1945/46; il 1950/51
Il 1946/47
Il 1950/51
Il 1950/51
Dal 1950/51 al 1951/52
Il 1951/52
Il 1951/52
Il 1951/52
Dal 1951/52 al 1952/53
Il 1952/53
Il 1952/53
Il 1952/53
Il 1952/53
Il 1953/54
Dal 1953/54 al 1955/56
Dal 1953/54 al 1956/57; il 1957/58
Dal 1953/54 al 1957/58
Dal 1953/54 al 1957/58
Il 1956/57
Il 1957/58
Dal 1957/58 al 1959/60
Il 1958/59
Il 1958/59
Il 1958/59
Il 1958/59
Il 1959/60
Il 1959/60
Il 1959/60
Il 1959/60
9
Plesso di Anson:
Gli insegnanti
Bocconcello Agnese
Piacenza Tersilla
Foresti Costantino
Pellegrini Gabriella
Maestri Bruna
Fantato Alda
Borsatti Teresa
Bozzola Giulio
Florence Biagini Maria
Baratella Franco
Capuccio Zeno
Lorenzetti Lidia
Grigolo Bruna
Finezzo Giovanni
Cellai Luia Volpini
Benedetti Piotto Maria
Saga Maria
Moro Gianni
Veneri Gemma
Giusti Amalia
Alberti Alberto
Marconcini Carla
Bellinato Belluzzo Regina
Vicentini Bruna Pozza
Tonello Rosa Brassello
Gli anni in cui insegnano
Dal 1925/26 al 1929/30
Il 1931/32
Il 1932/33
Dal 1933/34 al 1935/36
Il 1936/37
Il 1939/40
Il 1943/44; il 1945/46
Il 1948/49
Il 1949/50
Il 1949/50
Dal 1950/51 al 1952/53
Il 1950/51
Il 1951/52
Il 1952/53
Dal 1953/54 al 1954/55
Dal 1953/54 al 1954/55
Il 1955/56
Il 1955/56
Il 1956/57
Il 1956/57
Il 1957/58
Il 1958/59
Il 1958/59
Il 1959/60
Il 1959/60
Plesso di S. Stefano:
Gli insegnanti
Burti Elsa
Bonadiman Caovilla Elisa
Fattori Cesira
Zamanato Angela
Costantini Luigi
Tamassia Cavallaro Lea
Porta Liliana
Brun Pellegrini Anna
Vighi Antonio Renato
Bordin Maria
Frattini Teresa Tebon
Pivirotto Renza
Ardolino Teresa
Gli anni in cui insegnano
Il 1940/41
Dal 1941/42 al 1942/43
Il 1943/44
Il 1945/46
Il 1946/47
Il 1947/48
Il 1951/52
Il 1952/53
Il 1953/54
Il 1955/56
Il 1957/58
Il 1958/59
Il 1959/60
Il prospetto permette di conoscere i nomi degli insegnanti che hanno preso servizio nelle scuole
elementari dei vari comuni dell‘Istituto Comprensivo. Sono stati presi in esame i registri di classe
depositati in archivio: gli anni scolastici esaminati sono quelli compresi tra il 1925/26 e il 1959/60.
10
La documentazione risulta incompleta: di alcuni anni scolastici mancano infatti una parte dei
registri delle varie scuole, ma nonostante ciò emerge un quadro significativo della situazione.
Il primo dato che risulta evidente è che mentre per la scuola del capoluogo si registra la presenza
di una certa stabilità dei docenti, nelle frazioni si rileva un passaggio continuo di insegnanti.
Un altro dato degno di nota risulta essere la presenza della componente maschile fra i docenti; i
vari registri presi in esame portano a rilevare già dagli anni 20 il cosiddetto fenomeno della
―femminilizzazione dell‘insegnamento‖. Basti considerare che nell‘anno scolastico in corso, su un
totale di 62 insegnanti di scuola primaria, i docenti maschi sono 3.
Il rapporto tra scuola e donna è stato, ed è, da sempre, intenso e complesso, fatto di retorica ("la
donna e la sua missione", "nella maestra c'é sempre un po‘ della mamma", come si legge nel
Dizionario di Pedagogia della Credaro) e, a volte, di incomprensioni.
Al momento in cui il neonato Regno d‘Italia prese in carico il problema dell‘istruzione, i governi
realizzarono subito (Santoni Rugio,―Orientamenti didattici, ecc", La Nuova Italia, 1981) che
affidare l‘insegnamento alle donne sarebbe stato un affare:
- la donna offriva maggiori garanzie in politica (in genere non se ne occupava, anche perché
esclusa dal voto);
- provenendo da famiglie indigenti era adusa a lavorare duro in famiglia e nei campi;
- non era facile preda dell‘alcoolismo;
- non aveva smanie carrieristiche; e soprattutto costava meno degl‘insegnanti maschi (non per
niente i direttori degli orfanotrofi e dei ricoveri per le fanciulle povere furono incoraggiati a far
studiare le loro ospiti e avviarle all‘insegnamento.
Le donne non si fecero attendere. In una società che proibiva loro di uscire di casa per lavorare;
che l‘allevava per il matrimonio e per dare figli al padre contadino e soldati alla Patria, che le
negava il voto e spesso anche la minima alfabetizzazione, si vide aperte le porte della scuola come
insegnante e, ovviamente, prima ancora come scolara. Infatti, bastavano appena sette anni,
quattro/cinque di elementari e tre di scuola normale e, a poco più (o meno) di I5 anni, si poteva
insegnare.
Nel 1867 insegnavano nelle scuole elementari comunali (le uniche pubbliche) maestre anche di 14
anni.
La prospettiva dell‘insegnamento ebbe, dunque, un ruolo determinante nella liberazione della
donna dalla chiusura familiare e dalla dipendenza economica.
La donna però diventò la colonna portante della scuola della Nuova Italia per molto poco e per di
più pagata meno dei maestri maschi .
Nonostante tutto, 1‘espansione dell‘elemento femminile aveva raggiunto in breve anche la scuola
secondaria, come sin dal 1902 aveva annotato il pedagogista Vittore Ravà in uno dei suoi Rapporti
al Ministero: su 26 mila alunne delle scuole secondarie circa 1500 puntavano con quasi certezza
all‘insegnamento secondario.
Dovette giungere la sanguinosa I Guerra mondiale perché per via surrettizia, si cominciasse a
rendere giustizia alle donne: per la mancanza di maestri, chiamati al fronte, si dovettero
moltiplicare le classi miste e le maestre furono ammesse ad insegnare prima in queste e poi
addirittura nelle classi maschili, assorbendone il trattamento economico corrispondente, prima
fissato per i soli maschi.
Il ruolo della maestra, in Italia, fu ancora, dopo l‘Unità e per molti anni, quello dell‘educatrice e
dell‘operatrice sociale. Alla scuola pubblica, infatti, andavano quasi totalmente le fanciulle delle
famiglie che avevano appena superato la soglia della povertà e di quelle appartenenti al ceto
basso-commerciale e basso-impiegatizio.
Le altre fanciulle erano affidate all‘insegnamento nei collegi.
A lungo fu vietata alle donne la carriera direttiva nelle scuole secondarie e quella ispettiva nelle
scuole elementari
11
La riforma Gentile (1923-24) inoltre non prevede per la donna l‘insegnamento della Filosofia e
della Storia e dell‘Economia politica, considerate discipline "virili".
Da quel momento le donne saranno escluse di fatto dalla presidenza nelle scuole secondarie,
consuetudine che sarà consolidata per legge nel 1928
I divieti posti dal fascismo alle donne furono tolti solo nel 1945 quando il Paese esce finalmente
dagli incubi e prende avvio una nuova scuola.
Le donne in cattedra sono ora il 96% nelle elementari, l‘82% nella scuola media e il 64 % nelle
secondarie superiori.
I registri
Negli anni ‘20 sono presenti diversi modelli di registri ma tutti riportano i seguenti elementi base:
 il registro è allo stesso tempo Registro (atto ufficiale) e Giornale della classe per cui riporta
anche il programma ed il lavoro svolto dall‘insegnante.
Come Registro contiene le notizie statistiche:
 sugli alunni: nome, cognome, data e luogo di nascita, paternità e maternità,
condizione della famiglia dove di solito si metteva il lavoro paterno e indicazioni se
gli alunni fossero stati vaccinati;
 sui giorni di scuola: inizio/termine delle lezioni, numero dei giorni di lezione per
mese, chiusure straordinarie;
 sugli esiti dell‘anno scolastico: n. alunni obbligati, n. alunni iscritti, n. alunni
ripetenti, n. frequentanti, risultati degli esami e degli scrutini in base ai quali ogni
singolo alunno esaminato veniva approvato o non approvato. Il voto veniva
espresso con le ―qualifiche‖ lodevole, buono, sufficiente, insufficiente.
Come Giornale riporta:
 il programma didattico da svolgersi nell‘anno scolastico;
 lo svolgimento del programma didattico di ogni mese.
In fondo al registro vi è inoltre una parte per la Relazione finale dell‘insegnante che contiene molti
dati interessanti:
 notizie relative al docente: nome, cognome, paternità, maternità, luogo e data di
nascita proprie e del coniuge, la professione del coniuge, la data del matrimonio, il
nome e la data di nascita dei figli, l‘indicazione del diploma conseguito, la data e il
luogo di conseguimento, gli anni di servizio, la data della nomina, lo stipendio;
 notizie relative alla scuola: tipologia riscaldamento, igiene e pulizia, numero banchi,
materiali presenti e oggetti mancanti,…;
 notizie relative alla frequenza da cui, per lo più, emerge che fu regolare durante il
periodo invernale mentre con la buona stagione parecchi disertano la scuola per non
pagare i libri: i genitori vengono chiamati, pagano l‘ammenda ma nonostante ciò
non si ottiene una frequenza regolare;
 opera educativa svolta: gli insegnanti in questo spazio sottolineano soprattutto di
cercare di educare l‘animo dei fanciulli con sentimenti patriottici, religiosi e morali
in collaborazione con la famiglia:
«Procurerò in ogni modo che la mia classe abbia tenacemente a preparare i futuri
cittadini al compimento del dovere, a sentire con tutta la forza dell‘anima d‘essere
italiani, a saper compiere utili sacrifici per sé e per la comunità, a possedere
insomma la vera coscienza nazionale. Così avrò assolto uno dei primi sacri doveri
che la Patria rinnovellata attende da me» (Ins.te Borge Margherita, Roverchiara,
classe V, a.s. 1927/28);
 l‘elenco dei libri di testo utilizzati;
 l‘assistenza scolastica con le istituzioni esistenti nel Comune e il numero degli
alunni sussidiati.
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Gli alunni
Per ogni alunno il registro riporta un riquadro con le sue generalità, le qualifiche (lodevole, buono,
sufficiente, insufficiente) raggiunte per ogni materia e per ciascuno dei tre trimestri in cui è
suddiviso l‘anno scolastico e l‘esito finale (approvato o non approvato).
Si può inoltre ricavare la condizione del padre (lavoro) e se l‘alunno sia assistito dal Patronato
Scolastico o goda di altre forme di assistenza.
Per ogni alunno, inoltre, vi è un riquadro con le osservazioni dell‘insegnante: ―gode poca salute‖;
―vivace e mancante di buona volontà‖;‖ buono, diligente e volenteroso‖; ―negligente e non adatto
alla classe‖; ―svogliato‖; ―carattere chiuso‖; ―non si applica e non si può forzare, causa la
complessione tanto gracile‖; …
Frequenti le seguenti annotazioni:
 ―abbandonò la scuola e andò in campagna‖; ―i genitori furono richiamati dalla maestra e
dalle autorità locali; pagarono un‘ammenda e tennero il figlio a casa per utilizzarlo nel
lavoro‖
 ―disertò la scuola per non pagare i libri‖; ―i genitori preferirono pagare un‘ammenda alla
tassa scolastica di £ 42‖
 ―disertò la scuola per non pagare i libri‖; ―portò un acconto di £ 20 e, forse stanco della
continua insistenza dell‘insegnante per avere il saldo, rimase a casa. Il denaro fu versato al
Patronato Scolastico‖
 ―disertò la scuola perché di aiuto alla famiglia‖
 ―quasi sempre assente per bisogni di famiglia‖
Da registro dell‘ins.te Borge Margherita, docente della classe V di Roverchiara, nell‘anno scolastico
1927/28 , si ricava che nel mese di aprile «in cui fervono i lavori della campagna, si notano assenze
più del solito»; nel mese di giugno «causa il lavoro dei bachi da seta, molte le assenze che si notano
nonostante i richiami».
«17 marzo: consegnato al Presidente del Patronato Scolastico £ 218 per la quota dei libri.
Molti però devono ancora versare il denaro; speriamo che il lavoro dei bachi possa compensare le
fatiche del povero contadino, e così avrò anch‘io ciò che mi hanno promesso per il versamento del
materiale scolastico» (Ins.te Ferretti Amelia, Roverchiara, classe III, a.s. 1930/31).
«28, 29 febbraio 1928: freddo eccezionale (16 gradi sotto zero). La frequenza è scarsa. Fuori
è molto freddo ma anche la classe è fredda. I ragazzi sono rabbiosi per il freddo: vorrebbero stare
sempre accanto alla stufa, ma non è possibile accontentarli tutti. Le finestre e la porta hanno grandi
fessure; per quanto si riscaldi la stufa non si riesce ad avere una temperatura sufficiente per questi
poveri piccoli, male vestiti. Essi riescono a stento ad impugnare la penna» (Ins.te Casadei Elisa,
Roverchiara, classe II, a.s. 1928/29).
Altri aspetti ricavabili dai registri
Inizio/termine delle lezioni
Nel 1927 la scuola ha inizio il 21 settembre e termina il 30 giugno. I giorni di lezione in tutto sono
185. Sono invece 186 nell‘a.s. 1925/26; si aggirano intorno a questo numero anche gli anni
successivi.
Le classi sono maschili, femminili o miste di ordine inferiore e superiore, del corso integrativo o VI
isolata.
13
Materie
Le materie, negli anni ‘20, sono Religione, Insegnamenti artistici (canto, disegno, lettura espressiva
e recitazione), Lingua italiana, Aritmetica, Geografia, Storia, Scienze e igiene, Scienze fisiche e
naturali, Occupazioni intellettuali educative (letture e racconti del maestro agli scolari e giochi
d‘intelligenza), Ginnastica.
Il giovedì non si va a scuola e da un prospetto orario della classe III ―riordinata mista‖ di Marega,
si ricava che nell‘a.s. 1929/30 le lezioni hanno inizio alle ore nove e terminano a mezzogiorno.
Nell‘a.s. 1930/31 si ricava, invece, che le lezioni si svolgono con orario di quattro ore e dieci
minuti.
Negli anni ‘20 le pagelle si dovevano acquistare versando i soldi al Patronato Scolastico all‘atto
dell‘iscrizione o nei primi giorni di scuola. Se la famiglia non poteva provvedervi per indigenza
interveniva il Patronato stesso; a volte, però, poteva succedere che qualche alunno venisse
mandato a casa perché inadempiente. Senza l‘acquisto della pagella da parte della famiglia e la sua
presentazione alla scuola, non si potevano infatti attestare gli esiti.
Molti alunni sono spesso costretti ad essere «lasciati in ozio» dagli insegnanti: senza pennini non
possono scrivere, senza libri, leggere.
Sempre negli anni ‘20, i registri permettono di rilevare alcune particolari ricorrenze: la Festa del
Fiore, la Festa del Pane, le Commemorazioni storiche, Saggi ginnici premiati dall‘Opera Nazionale
Balilla. Diffuse anche le recite ―Pro dote Scuola‖ con incasso a favore della stessa; festa ―Pro dote
scuola‖ ripetute due volte nell‘a.s. 1927/28 per destinare l‘offerta alla Colonia di Enego. Tale festa
veniva preparata con impegno e dedizione. Nel registro dell‘ins.te Borge Margherita della classe V
di Roverchiara dell‘a.s. 1927/28, si riscontra infatti quanto segue: «14 giugno: fervono con vero
entusiasmo i preparativi per la festa pro-scuola. La rappresentazione si svolgerà in teatro
domenica sera. Speriamo che tutto proceda bene e che l‘incasso possa essere soddisfacente»
«18 giugno: i piccoli artisti si sono disimpegnati in modo ammirabile meritando applausi. Il
pubblico non era troppo numeroso e quindi l‘incasso non è stato soddisfacente come si sperava».
Nel registro dell‘Ins.te Italo Campagnari della classe IV di Bonavigo, sempre nell‘anno scolastico
1927/28, si ha invece anche il resoconto della festa:
«17 maggio 1928: ha luogo la recita Pro-dote con il ricavo di £ 307,40.
20 maggio 1928: ha luogo la seconda recita Pro-dote con il ricavo di £ 264,90. Totale ricavo delle
due feste £ 571,30, una differenza in più dell‘anno scorso di £ 70 circa.
24 maggio 1928: invio al Regio Provveditore agli Studi a mezzo del Regio Direttore di Cologna
Veneta di £ 215 pro Colonia Alpina di Enego».
Gli anni del dopo-guerra risultano particolarmente difficili. Il ripristino di adeguate condizioni è
lento e condizionato da altre priorità, come si evince dal registro dell‘ins.te Ambrosi Calearo Olga,
classe III, a.s. 1945/46: «Il materiale didattico è in condizione deplorevole; a causa della guerra
mancano perfino le cose essenziali come vetri, cattedra, carte geografiche, acqua,.. i banchi sono
vecchissimi e sgangherati. Le mie proposte si limitano ad avere il materiale strettamente
necessario. Occorrono: banchi, l‘acqua per la pulizia dei gabinetti altrimenti sempre indecenti,
carte geografiche e vetri».
«7 gennaio 1957: l‘autorità comunale ci aveva assicurato che dopo la vacanze saremmo entrate nel
nuovo edificio scolastico ed invece dobbiamo pazientare ancora un po‘ di giorni.
16 gennaio 1957: finalmente abbiamo fatto l‘ingresso nelle nuove aule. Ci sembra di essere in
Paradiso!» (Ins.te Brigato Maria, Orti, classe I, a.s. 1956/57).
14
Negli anni successivi al ‘50 la scuola italiana è interessata da Nuovi Programmi che danno spazio
all‘Attivismo, alle Scienze e al metodo sperimentale e nelle classi non è infrequente registrare, in
chiave didattica, l‘allevamento dei bachi (Ins.te Moro Gianni, Boschi S. Anna, classe V, a.s.
1956/57).
La funzione della scuola
La formazione degli allievi all‘impegno personale, al rispetto e alla salvaguardia dei valori
dell‘unità nazionale è trasversale e comune a tutti gli insegnanti. L‘enfatizzarlo e il metterlo in
risalto nei registri di classe dipende poi dal carattere e dalla sensibilità dei singoli maestri.
Si può però dire che esso emerge con più evidenza attorno agli anni 20. È infatti possibile
riscontrare vere e proprie intenzionalità educative espresse con molta forza ed evidenza.
«La nuova scuola deve vivere la nuova vita nazionale che pulsa intorno a noi, con noi, di noi, che
ci spinge a salire, a perfezionarci attraverso sacrifici continui, perché non c‘è perfezione senza
rinunce, non c‘è vittoria senza lotta.
La nostra scuola deve avere innanzitutto e soprattutto per mira l‘educazione nazionale, la
formazione della coscienza nazionale. Dobbiamo fare in modo che il nostro insegnamento pulsi
tutto sulla vita nazionale, che lo scolaro si renda conto di quanto sente e vede succedere intorno a
lui e impari ad amare lo studio, il lavoro, i campi, le officine, il suolo della Patria, i propri
monti,…» (Ins.te Borge Margherita, Roverchiara, classe V, a.s. 1927/28).
«Più si studiano e si mettono in pratica i nuovi programmi e più ci si accorge che sono stati adattati
ai tempi. Oramai, anche i bambini si sono accorti che il mondo è grande e vogliono conoscerlo,
vogliono continuamente apprendere cose nuove e le poche nozioncine imparate e ricordate magari
per tutta la vita non bastano più; bisogna seminare molto nella scuola elementare, l‘età e lo spirito
di osservazione faranno poi germogliare il buon seme. Certo è però che il lavoro del maestro è
diventato più difficile perché l‘insegnamento oggi è basato sul ragionamento e la riflessione e i
nostri ragazzi sono nemici dell‘uno e dell‘altro.
Se la scuola li abituerà a ragionare e a riflettere potrà dire d‘aver raggiunto il suo scopo che è
quello di preparare la gioventù a risolvere i difficili problemi della vita. Sarebbe necessario però
che tutti frequentassero la scuola fino al quattordicesimo anno di età perché è proprio dagli undici
ai quattordici anni che il fanciullo si forma e sa poi scegliere la sua via» (Ins.te Soave Angiolina
Marconcini, Roverchiara, classe III, a.s. 1958/59).
Il riconoscimento del sacrificio per la patria
Anche lo sviluppo del sentimento patriottico negli alunni in tutti gli anni considerati viene a
rappresentare per gli insegnanti una finalità molto importante da perseguire sia attraverso lo
studio degli avvenimenti che con le Commemorazioni storiche e l‘insegnamento dei Canti
patriottici (Giovinezza, Il Piave,…).
«Commemorazione del 24 maggio 1915: data sacra che ha segnato una nuova vita per la Patria
nostra. Ritornò sui campi di battaglia il tricolore. Si riaccesero le speranze della vittoria: Trento e
Trieste trepidarono nell‘attesa di abbracciare i fratelli e di vedere compiuto il loro sogno di essere
uniti alla Madre Patria; il sogno fu compiuto. Ricorderò ai fanciulli che tutto questo costò alla
Patria gravi sacrifici e che non dobbiamo mai dimenticare coloro che fecero nell‘ultima guerra
dell‘indipendenza l‘Italia veramente una e grande che ha ritrovato la strada maestra della sua
nuova ascensione» (Ins.te Borge Margherita, Roverchiara, classe V, a.s. 1927/28).
15
«28 ottobre 1927: ricorre il VI anniversario della marcia su Roma; ricordo agli alunni questa storica
data e leggo ad essi alcuni punti della vita di S. E. Mussolini» (Ins.te Campagnari Italo, Bonavigo,
classe IV, a.s. 1927/28).
«In occasione del 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma, è vacanza. Io ricorderò agli alunni
la grande importanza storica e politica della Rivoluzione Fascista, che ha rinnovato l‘Italia
moralmente, economicamente e politicamente secondo le direttive segnate da S. E. il capo del
Governo e Duce del Fascismo. Richiamerò alla memoria degli alunni le benemerenze del Fascismo
nella vita italiana, saranno spiegati ad essi gli alti vantaggi che il Regime ha prodotto nella
Nazione, la quale è riuscita ad imporre ed a farsi temere e rispettare all‘interno e all‘esterno, e
procede con fede salda, verso i raggiungimenti dei nuovi destini, forte e gloriosa, sotto la guida
illuminata del Duce e secondo la volontà precisa e sicura di S. M. il Re» (Ins.te Ferretti Amelia,
Roverchiara, classe III, a.s. 1930/31).
«4 novembre: ricordo agli alunni la vittoria di Vittorio Veneto. Un pensiero ai nostri caduti per la
santa causa: questi eroi non si accontentarono di fare sbandieramenti o parate ma fecero alla Patria
il dono più sublime sacrificando la vita loro.
Da essi noi dobbiamo imparare l‘obbedienza e la completa dedizione di noi stessi alla Patria (Il
milite ignoto come simbolo dell‘eroismo italiano)» (Ins.te Campagnari Italo, Bonavigo, classe IV,
a.s. 1927/28).
«20 aprile: si commemora la Festa del Natale di Roma.
21 aprile: Festa dei Balilla con divisa, molto desiderata, vestita anche dagli alunni più poveri. »
(Ins.te Ferretti Amelia, Roverchiara, classe III, a.s. 1930/31).
Il registro come specchio dei fatti e degli avvenimenti politico – sociali del tempo
«Primo giorno di scuola: 24 settembre 1930
Questa mattina ha avuto luogo la cerimonia dell‘anno scolastico. Alle ore 8 si formò il corteo nel
cortile del Palazzo Comunale formato dai Balilla e Piccole Italiane con tutte le Insegnanti. Seguiva
il Comitato: Podestà, Segretario Comunale, Ufficiale Sanitario, Presidente del Patronato Scolastico.
Si sfilò alla chiesa dove il Don Brunelli pronunciò brevi ma sentite parole e impartì la benedizione
a tutti i presenti. Terminata la cerimonia, i bambini si recarono nelle loro classi, dove ogni
insegnante spiegò il significato della festa. Io poi, ai miei Balilla alle mie Piccole Italiane rivolsi la
parola, incoraggiandoli a buoni e saldi propositi di studio».
«7 gennaio 1931: ho parlato della vacanza di domani per il compleanno della nostra Regina».
«11 febbraio 1931: ricorrenza della Conciliazione tra la Chiesa e lo stato. Questa data con vivissima
gioia viene ricordata a tutti i ragazzi, che per volere del Re, del Papa, del Capo del Fascismo,
avvenne la Conciliazione».
«28 aprile 1931: in tutta Italia il 3 maggio si celebrerà la quinta festa del libro e verrà messa in
evidenza l‘alta importanza del libro per la diffusione della cultura e per l‘avvenire della nazione».
«11 novembre ricorre il genetliaco di S.M. il Re d‘Italia Vittorio Emanuele III».
«14 gennaio 1928: una rappresentanza delle scuole di Bonavigo condotta dal maestro Campagnari
partecipa con la bandiera ai funerali del decurione Bernardi Giuseppe, comandante la M.V.N. di
Legnago».
«19 febbraio 1928: la scolaresca di Bonavigo partecipa col corpo insegnante alla Messa d‘apertura
delle Quarant‘ore» (Ins.te Ferretti Amelia, Roverchiara, classe III, a.s. 1930-31).
«2 marzo 1928: commemoro agli scolari la figura del Maresciallo d‘Italia Armando Diaz, Duca
della Vittoria, morto l‘altra sera, 29 febbraio , alle ore 20 a Roma».
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«12 aprile 1928: a Milano avviene un attentato alla vita del Re Vittorio Emanuele III per mezzo di
una bomba nascosta dentro un lampione. Sua Maestà il Re, ne esce illeso».
«12 giugno 1928: tutto il corpo insegnante con una rappresentanza della scuola partecipa ai
funerali del maestro Dario Corradi di Marega morto a soli 37 anni.
I miei scolari, accompagnati all‘armonio dallo scrivente, cantano la Messa, e quindi al cimitero
l‘elogio del defunto» (Ins.te Campagnari Italo, Bonavigo, classe IV, a.s. 1927-28).
«24 ottobre 1930: auguste nozze tra la Principessa Giovanna di Savoia e il re Boris di Bulgaria; ho
cercato di mettere in luce le doti buone degli augusti sposi, ed ho chiuso la lezione mandando un
evviva alla Bulgaria e all‘Italia informandoli che il 25 sarà giorno di vacanza per tali nozze».
«14 aprile 1931: in seguito alla Circolare del Regio Signor Direttore con oggetto il Censimento della
popolazione del Regno, ho dettato le seguenti frasi ―Il 21 aprile avrà luogo il Censimento della
popolazione. Persuadetevi che le notizie richieste dalle schede che vi invieranno hanno lo scopo di
far conoscere la condizione di ciascun Comune, per poter provvedere i reali bisogni della
popolazione. Siate certi che non sarete colpiti da nessuna noia o tassa» (Ins.te Ferretti Amelia,
Roverchiara, classe III, a.s. 1930-31).
Il registro come cronaca di fatti personali
Oltre che specchio degli avvenimenti e dei fatti del tempo a volte il registro diventa anche lo
strumento in cui annotare fatti personali.
Un esempio di ciò lo fornisce il maestro Italo Campagnari nel registro della classe quarta di
Bonavigo nell‘a.s. 1927-‘28 che fornisce una cronaca degli avvenimenti che lo riguardano.
«7 novembre 1927: Il R. Direttore Contri m‘invita al suo ufficio per comunicarmi che vi è a carico
mio una grave accusa fatta dal Podestà Pellegrini di Bonavigo di essere ―antifascista e migliolista‖.
16 novembre 1927: Per incarico del R. Provveditore agli studi il R. Ispettore scolastico Potito
d‘Angelo, della circoscrizione di Legnago, fa un‘inchiesta sul mio conto. L‘accusa è originata da
questo fatto: Il 31 ottobre il messo comunale aveva ordinato villanamente alla maestra Sig.
Turrisendo di esporre la bandiera. Il messo visto che il suo ordine per essere eseguito doveva
venire da me, si recava invece dal Podestà a riferire che il corpo insegnante si rifiutava di esporla.
Questi allora inviava una lettera che veniva consegnata, ad arte, alla maestra supplente Murari:
questa a sua volta restituiva la lettera al messo comunale perché la portasse direttamente a me, ma
invece la portava al Podestà. Un‘altra spedizione e un nuovo rifiuto, per cui allora il Podestà
scriveva alla R. Prefettura accusando il Corpo insegnante di insubordinazione all‘autorità
podestarile ed in specie il maestro Campagnari di essere un antifascista ed un migliolista. Da ciò
l‘inchiesta.
18 novembre 1927: E‘ da tre giorni che il R. Ispettore continua l‘inchiesta. Vengo a sapere dalle
accuse che mi si fanno, che il Podestà Pellegrini ha messo questa condizione: se io non vengo
allontanato da Bonavigo egli si dimetterà da Podestà. So positivamente che l‘inchiesta è a mio
favore per cui io resto, e il Podestà dovrebbe cavallerescamente mantenere la parola. Per questa
accusa viene a fare un‘inchiesta il Tenente dei R.R.C.C. di Legnago Di Piazza.
30 novembre 1927: Vengo interrogato nuovamente dal Tenente dei R.R.C.C. di Legnago Sig. Di
Piazza per un‘altra accusa fatta dal Podestà di sobillare la popolazione contro l‘autorità
podestarile, di aver dato del ladro all‘ex-segretario Rodini e di sparlare del segretario politico
Scolari Leonello. Le cose invece risultano così: 1. la popolazione è in fermento, e a mio favore,
perché il Podestà mi vuole allontanare da Bonavigo a qualunque costo.
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2. L‘ex-segretario Rodini ha del rancore verso di me perché per alcune illegalità commesse
nell‘amministrazione del Caseificio, io mi sono dimesso da sindaco.
3. La popolazione critica poi acerbamente il provvedimento del segretario politico Scolari di aver
dichiarati dimissionari da membri del direttorio locale i sigg. Poli Gaetano e Ziviani Mario perché
rei di aver detto la verità, durante la mia inchiesta, sulla situazione di Bonavigo e quindi
implicitamente vengono a dar ragione a me.
5 dicembre 1927: Il R. Ispettore mi comunica che il R. Provveditore agli studi non prende alcun
provvedimento a carico mio perché io ho completamente ragione.
14 dicembre 1927: Per quella famosa lettera si fa una terza inchiesta dal Vice Prefetto Cav. Romano
assistito dall‘avv. Donella di Legnago.
14 giugno 1928: Alle ore 14.29 mi muore il figlio quartogenito Renzo di mesi 14 per broncopolmonite in seguito al morbillo.
19 giugno 1928: Alle ore 18 hanno luogo i funerali del mio Renzo, con la partecipazione dell‘Asilo
infantile, del corpo insegnante di Bonavigo e Roverchiara e delle rispettive scolaresche con la
bandiera. Addio Renzo! Tu, angelico messaggero di pace, che passasti qual breve meteora, vivesti
solo per il paradiso. Di lassù prega per i tuoi genitori.
30 giugno 1928: Col 30 giugno si chiude l‘anno scolastico 1927-‘28 pieno di battaglie, di ansie e di
dolori. Italo Campagnari Maestro».
Nonostante questo anno scolastico particolarmente difficile, i registri successivi di Bonavigo
confermano, la sua presenza anche negli anni seguenti.
La scuola come contesto privilegiato per la diffusione di pratiche igieniche e sanitarie
«Raccomando agli alunni di avere la massima cura del corpo e detto loro alcune norme essenziali
di igiene» (Ins.te Campagnari Italo, Bonavigo, classe IV, a.s. 1927/28).
«28 marzo 1931: prendo visione della circolare n. 127 di prot. Oggetto: Campagna Nazionale per il
Francobollo Antitubercolare.
Il R. Provveditore agli Studi, Umberto Reuda, ci comunica che il giorno 5 aprile, Pasqua di
Resurrezione, e cioè col giorno stesso in cui in tutta Italia la giornata del Fiore della Doppia Croce,
avrà inizio anche la Campagna per il Francobollo Antitubercolare. Da parte mia farò una intensa
propaganda a favore della battaglia antitubercolare, e dagli scolari farò compilare dei diari.
Schema: ogni anno 60.000 italiani muoiono di tubercolosi. Quale enorme perdita di energie umane,
e quale ingente ricchezza distrutta per la Nazione! Calcolando a 50.000 £ l‘equivalente economico
medio di ogni vita umana, l‘Italia perde ogni anno l‘imponente capitale di 5 miliardi di lire!
Ora, la tubercolosi non è un nemico invincibile. Combattendola con armi adeguate, la tubercolosi
si vince. Fino a ieri il tubercoloso era considerato come un individuo inesorabilmente condannato a
morire, e quindi da abbandonare al suo triste destino: come un individuo estremamente pericoloso
e quindi da evitare. La scienza moderna ha quindi dimostrato che la tubercolosi è la più curabile
tra le malattie croniche, come è la più evitabile tra le malattie infettive. La scienza moderna ci
insegna che il tubercoloso può e deve essere curato: se curato in tempo, con tenacia e con fede, il
tubercoloso guarisce. Il tubercoloso deve essere, con ogni necessaria azione, fraternamente
assistito. La scienza moderna ha trovato che la tubercolosi non è ereditaria. Non si nasce, si diventa
tubercolosi. I figli dei tubercolosi diventano facilmente tubercolosi soltanto perché vivono in un
ambiente infetto. Bisogna vigilare assiduamente il bambino: questa è la norma ormai dominante
nel campo della lotta antitubercolare.
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Il bambino che nasce in un ambiente infetto da tubercolosi, deve essere isolato.
Il bambino che ha fame, deve essere nutrito.
Il bambino ammalato, deve essere curato.
Il bimbo sviato e corrotto deve essere moralmente assistito e bonificato.
È dimostrato che nessuna medicina può prevenire la tubercolosi, se l‘individuo non si trova in
istato di resistenza. Tale resistenza si acquista con una vita semplice, sana, aliena da eccessi, il più
possibile a contatto con la natura. Il sudiciume, la polvere, l‘alcool, la soverchia fatica, sono gli
alleati fedeli della tubercolosi. Lo sputo ne è il veicolo più frequente e più veloce. Non sputare mai
a terra! È necessario ricorrere al medico ai primissimi segni del male anche se lievi: febbre seratuia,
sudori notturni, tosse, ecc.
Il Governo fascista ha adottato un complesso di provvedimenti contro la tubercolosi, che pongono
l‘Italia in primissima linea, tra i paesi battuti dal flagello: Assicurazione di Stato, Sanatori,
Preventorii, Dispensari, Istituti Scientifici di ricerca e di sperimentazione, Enti di propaganda,
incoraggiamenti di ogni genere ad ogni seria iniziativa privata.
Ripetiamo: 60.000 italiani muoiono ogni anno di tubercolosi. È necessario perciò che si realizzi la
collaborazione di tutto il popolo, che si stringa la santa alleanza di ogni ceto, classe, categoria, la
fusione di ogni diverso interesse in questo che è il supremo degli interessi nazionali:
arginare e vincere la tubercolosi.
Ogni italiano abbia sempre presenti le parole del Duce, che dettano i doveri di tutti:
―Lo spirito pubblico, che comprende l‘estrema importanza e la vastità del problema, segue con
interesse e con fiducia l‘opera del Governo fascista che ha posto la lotta contro la tubercolosi fra gli
obiettivi fondamentali della sua attività!
Occorre che scienziati, legislatori, filantropi costituiscano una specie di fronte unico per condurre a
vittoriosa fine la grande battaglia‖» (Ins.te Ferretti Amelia, Roverchiara, classe III, a.s. 1930/31).
Nell‘a.s. 1958/59, il 13 aprile, l‘ins.te della classe IV di Marega, Gasparini Marini Claudia, annota
che la Direzione Didattica di Villa Bartolomea ha messo a disposizione dei bambini delle
elementari «cinque litri di olio di merluzzo» e di avere cominciato a darlo a tutti.
Tutto questo rende evidente che le scuole, dopo l‘unità nazionale, furono subito considerate uno
strumento essenziale di crescita non solo per ciò che riguardava la diffusione dell‘alfabeto, ma
anche per modificare le pratiche della vita quotidiana.
Ben presto tuttavia si manifestò il conflitto che avrebbe a lungo caratterizzato lo sviluppo
dell‘educazione scolastica in Italia fra quanti sostenevano che la popolazione destinata a svolgere
attività subalterne e ripetitive non avesse bisogno di istruzione e i sostenitori della sua necessità
non solo a fini produttivi ma anche della vita sociale e politica. Al liberismo economico che
dominava lo scenario politico nello stato unitario lasciando che bambini e ragazzi fossero avviati
precocemente al lavoro e subissero le conseguenze della fatica fisica e della permanenza
prolungata in ambienti malsani, si andava opponendo la consapevolezza che attraverso le scuole si
sarebbe potuta ottenere una migliore qualità delle condizioni di esistenza. Anche se con lentezza,
fu questa consapevolezza che finì con l‘affermarsi. A scuola i bambini impararono non solo a
leggere, a scrivere e far di conto, ma ad aver cura del proprio corpo, a osservare alcune importanti
norme igieniche, a eseguire esercizi fisici. Le scuole, soprattutto al livello primario, non si
limitarono ad incoraggiare comportamenti che avrebbero avuto ricadute positive nel seguito della
vita, ma assumevano funzioni diagnostiche che sarebbe stato molto improbabile fossero svolte da
altri: ai maestri si chiedeva di verificare i progressi nella dentizione, la crescita della statura,
l‘eventuale apparire di malformazioni nella struttura ossea, di ghiandole linfatiche, di lunette sulle
unghie, ecc. ecc. Sulle cattedre comparvero le bottiglie di olio di fegato di merluzzo, che ebbero
sullo sviluppo di più generazioni un ruolo altrettanto positivo dell‘istruzione.
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Chi consideri le caratteristiche attuali della popolazione italiana e le ponga a confronto con quelle
che i documenti d‘epoca indicavano come correnti negli anni attorno all‘unità, non può che
prendere atto che i cambiamenti intervenuti hanno mutato sostanzialmente il profilo sociale,
culturale e fisico degli italiani.
Certo non tutto si deve alla scuola; o meglio non tutto si deve solo alla scuola, ma è certo che
quanto oggi appare positivamente trasformato non avrebbe potuto esserlo senza la scuola. La
scuola ha proseguito e perfezionato il disegno unitario del Risorgimento conferendo significato di
cittadinanza all‘uso della lingua e all‘acquisizione della cultura tramandata dalla tradizione.
Uno sguardo particolare alle celebrazioni del primo centenario dell’unita’ d’Italia
I dati a disposizione portano ad affermare che alla ricorrenza sicuramente è stata data attenzione;
non tutti gli insegnanti però ricordano di riportare nel registro le attività svolte. Quando lo fanno
gli aspetti che maggiormente mettono in luce sono i seguenti:
«26 marzo: per celebrare l‘Unità d‘Italia ci siamo improvvisati giardinieri. In collaborazione con gli
alunni delle classi superiori, abbiamo tracciato un‘aiuola che ha la forma della nostra Patria. Il
nostro bravo bidello penserà a riempirla di fiori, ma i bambini come formichette operose, hanno
aiutato tutti a portare pietre per segnarne i confini ed ora controllano minuziosamente ogni giorno,
la crescita dell‘erba seminata al posto del mare» (Ins.te Stojicovic Fiorini Vanda, Beazzane, classe
I/II, a.s. 1960/61).
«26 marzo: oggi, nel nostro Paese, è stato solennemente celebrato il centenario dell‘Unità d‘Italia.
Alle celebrazioni hanno preso parte anche tutte le scolaresche. La sfilata delle bandiere della varie
associazioni combattentistiche, il gonfalone del Comune, la Messa, il discorso al monumento dei
Caduti hanno veramente colpito i miei alunni che sono stati prodighi di domande.
La festa si è chiusa poi alle nostre scuole ove alla presenza della autorità locali ha avuto luogo la
cerimonia dell‘intitolazione della nostra scuola elementare che da oggi in avanti sarà dedicata alla
memoria del sottotenente carrista Pietro Bruno. Per la circostanza ci eravamo preparati con poesie
e canti di carattere patriottico e l‘aula era pavesata con festoni, fiocchi e bandierine tricolori» (Ins.te
Mariotto Vangelista Maria, Roverchiara, classe II maschile, a.s. 1960/61).
«Il giorno 27, per celebrare il centenario dell‘Unità d‘Italia, abbiamo esposto la bandiera e quindi ci
siamo recati al monumento dei caduti. Il Signor Sindaco ha spiegato alle varie classi il significato
della breve e suggestiva cerimonia» (Ins.te Maimeri Anna, Bonavigo, classe II, a.s. 1960/61).
«L‘insegnante di quinta spiega ai bambini di tutte le classi riunite il significato della festa del
centenario dell‘Unità d‘Italia. Davanti alla bandiera esposta al balcone vengono recitate poesie del
Risorgimento a canti alla Patria» (Ins.te Corradi Fedora, Bevilacqua, classe III, a.s. 1960/61).
«27 marzo: oggi in tutte le città e in tutti i centri d‘Italia si commemora il primo centenario
dell‘Unità d‘Italia. Anche noi abbiamo cercato di festeggiare questa solenne ricorrenza nel modo
migliore. Dopo aver parlato e rievocato nel modo più semplice gli avvenimenti storici e i
protagonisti più fulgidi che portarono alla unificazione della nostra Patria, ci siamo riuniti nel
cortile, davanti alla Lapide dei Caduti, per la cerimonia.
I bambini di quinta hanno recitato alcune poesie e drammatizzazioni; poi tutti abbiamo cantato
canzoni patriottiche mentre il tricolore sventolava dal balcone della scuola» (Ins.te Bellinato
Regina, Bonavigo, classe III, a.s. 1960/61).
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«27 marzo: domani tutti gli edifici saranno imbandierati e in ogni città si svolgeranno molteplici
manifestazioni per festeggiare il Centenario dell‘unità d‘Italia. Parlo agli alunni delle principali
figure che hanno caratterizzato il Risorgimento e si va insieme alla ricerca di notizie rievocanti
episodi locali. Il passaggio di G. Garibaldi ecc…
Questa mattina ho condotto gli alunni davanti all‘apparecchio televisivo per assistere alle diverse
cerimonie che si sono svolte a Roma» (Ins.te Perpoli Maria Luisa, Bevilacqua, classe IV, a.s.
1960/61).
«27 marzo: abbiamo celebrato, per quanto è stato possibile fare con i piccoli della mia classe, il
centenario dell‘Unità d‘Italia. Ci siamo costruiti delle bandierine tricolori e una l‘abbiamo appesa
alla mensola sopra cui c‘è la statua della Madonna, appena sotto il Crocefisso: quello è il posto del
simbolo della Patria» (Ins.te Parrini Anna Maria, Pilastro, classi I – II – III, a.s. 1960/61).
«27 marzo: alle ore 17,00 si è svolta, nel teatro Parrocchiale, la commemorazione dell‘Unità d‘Italia.
Hanno partecipato alla manifestazione le autorità, gli alunni e diversi cittadini Minerbesi.
Il Signor Direttore ha saputo trovare accenti idonei a ridestare negli animi sentimenti di amor
Patria e di riconoscenza per coloro che si sono sacrificati per la causa italiana» (Ins.te Pelà
Gabriella, Pilastro, classe II, a.s. 1960/61).
«La storia è stata ripresa a pieno ritmo non curando affatto l‘ordine del testo. Benché ancora in
classe IV ho svolto molta storia relativa al risorgimento. Ho parlato a lungo del risorgimento
perché ricorre il centenario dell‘Unità d‘Italia ma lo farei in una quarta anche se non ci fosse una
così importante esigenza che lo esigesse» (Ins.te Eminente Guerrino, Minerbe, classe IV, a.s.
1960/61).
«27 marzo: nella nostra scuola si sta per ricordare il Primo Centenario dell‘Unità d‘Italia. Ultimi
ritocchi. Piccola prova generale nell‘atrio prima di affrontare il palcoscenico. Anche la seconda
cerimonia che tiene il posto e l‘ora dedicati alla lezione settimanale di Religione, viene diretta dal
Reverendo Signor Curato nella Cappellina dell‘Istituto. Lettura e recita a cori alternati di una parte
del Salmo ventuno. Offerta delle palmette dorate che verranno benedette dopodomani. Impegno
settimanale, compostezza, raccoglimento, attenzione da parte dei ragazzi.
Oggi pomeriggio celebrazione ufficiale del Primo Centenario dell‘Unità d‘Italia. Cerimonia breve
ma sentita e ben riuscita. Discorso ufficiale del Signor Direttore, vibrante e accolto con fervore.
Recitazioni e canti degli alunni. Renzo Montresor se la cava bene. Incespica ma prosegue con
disinvoltura. Il microfono, dice lui, è suo amico. Ci lasciamo, dopo aver partecipato, scolaresche e
maestri alla S. Messa di chiusura delle Santissime Quarantore, con tutti gli auguri più belli per la S.
Pasqua. Le palmette benedette sono consegnate in tutte le classi, distribuite ai ragazzi, spedite
come augurio. Buona Pasqua a tutti e tanta serenità» (Ins.te Greselini Maria Pia, Minerbe, classe V,
a.s. 1960/61).
«25 marzo: ho portato i bambini alla televisione per assistere alla solenne celebrazione del
centenario dell‘unità d‘Italia in parlamento. L‘imponenza dello spettacolo e il ricordo dei nostri
martiri ha commosso insegnanti e alunni» (Ins.te Zardin Liana, Boschi S. Anna, classe V, a.s.
1960/61).
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INTERVISTA AD ALCUNE MAESTRE
LUCIA ZANETTI FONTANA
Ci racconta della sua vita?
Sono nata nel lontano aprile 1927, in una
famiglia composta dai genitori, 5 fratelli e
due nonni. Il papà lavorava la terra e la
amava tanto pur non essendone il
proprietario.
Non eravamo ricchi perché l‘affitto era
alto ma non ci mancava il pane. Nella mia
famiglia comunque la cultura era sempre
stata considerata importante ed il papà
acquistava spesso quotidiani di testate
nazionali.
Malgrado le difficoltà economiche, con
grandi sacrifici dei miei genitori e con tutto il mio impegno, sono arrivata al diploma magistrale
durante la seconda guerra mondiale.
Dove ha lavorato?
Nel 1948 partecipai al primo concorso magistrale, risultai idonea e iniziai a lavorare come precaria.
Solo nel 1952 superai un secondo concorso ed entrai di ruolo. Dopo vari trasferimenti (Melara,
Palù di Zevio e Bonavigo), ottenni la cattedra a Minerbe nel 1959 dove insegnai fino al 1978.
Lasciai a malincuore la scuola a 50 anni con circa 30 anni di servizio.
Quando entrai nella scuola per la prima volta ero giovane e senza esperienza. Per fortuna nell‘aula
accanto avevo come collega la mia maestra di scuola elementare, Matilde, che mi ha tanto aiutato
con i suoi consigli e la sua dolcezza.
Cosa ricorda degli anni di lavoro come maestra?
Allora quasi tutti i bambini arrivavano a scuola senza saper tenere in mano la matita e nella loro
cartella (spesso cucita dalla mamma con dei ritagli di sacco) non c‘erano colori, gomme, astucci alla
moda;... solo un‘ asticella di legno con un pennino, per intingere l‘inchiostro, spesso rovinato.
Tutti i bambini erano tranquilli ed attenti (tranne i numerosi ripetenti). Seguivano con attenzione le
lezioni, specialmente i brani letti dall'insegnante. Solo alla conclusione del primo anno arrivavano
alla lettura e scrittura sotto dettatura.
L‘alfabeto non veniva presentato subito; si iniziava dalle vocali e successivamente le consonanti
(per Pasqua si arrivava a fatica a presentare la lettera Q). La difficoltà più grande per i bambini era
superare il passaggio dal corsivo allo stampatello, sempre aiutati dal sillabario. Allora il rapporto
della scuola con la famiglia era scarso, specialmente nelle zone agricole meno agiate.
Malgrado tutto qualche mio ex scolaro di quegli anni è arrivato ad un diploma, alla laurea o ha
avuto la capacità di affermarsi in qualche attività lavorativa.
Ha visto cambiare la scuola?
Molte cose sono cambiate anche negli ultimi anni del mio lavoro; é stata introdotta la
partecipazione dei genitori alla scuola con i consigli di classe e la nomina dei rappresentanti. Per
noi insegnanti più anziani questa novità ha creato delle perplessità, ma con il passare del tempo
personalmente ho riconosciuto la validità del coinvolgimento delle famiglie nel percorso formativo
dei figli e il loro importante contributo per il miglior funzionamento della scuola pubblica.
I cambiamenti avvenuti in questi ultimi anni nella scuola elementare, dapprima mi hanno lasciata
perplessa ma ora, seguendo i miei nipoti ed altri scolaretti, li riconosco giusti per il tempo in cui
viviamo: i bambini sono più aperti, avendo dall‘esterno molti stimoli ed interessi, e richiedono una
attenzione completamente diversa dai bambini del passato.
Ammiro la collaborazione fra gli insegnanti, quello che non era possibile nella scuola di ieri.
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Per questo ai genitori ed agli studenti di oggi trovo il coraggio di consigliare di essere fiduciosi di
tali cambiamenti e di cercare la giusta collaborazione con la scuola.
Della scuola elementare di Minerbe…
Non posso tralasciare il ricordo di cari colleghi che ora non sono più: Molendi, Marchi, Frattini,
Colato, Peretta, Eminente e Bellinato, che per qualche anno é stato un capogruppo di buon senso,
ricco di ottimismo e di amor patrio, nella sua aula teneva sempre una grande bandiera.
Come occupa il suo tempo oggi?
Ora sono vecchia e con alcuni acciacchi e durante il forzato dolce far niente, rivedo con forte
nostalgia la scuola e ripenso ai meravigliosi ed impegnativi giorni vissuti tra i banchi.
Ricorda i festeggiamenti per il centenario dell’Unità d’Italia?
Per quanto riguarda il 150 anniversario dell'unità d‘Italia, mi commuove sapere che la scuola ha
contribuito tanto per far conoscere ai bambini l‘importanza di tale avvenimento; non ricordo un
tale impegno nell'anno del centesimo anniversario perché forse la televisione non era entrata nelle
case e anche perché la politica, dal dopoguerra, poneva l‘attenzione su date storiche inerenti la fine
della dittatura e della guerra.
150° Unità d’Italia: giudica giusto ricordarlo presso le nuove generazioni? Cosa in
particolare?
Giudico giusto coltivare presso le nuove generazioni il ricordo del passato della nostra storia e dei
sacrifici fatti dai nostri padri per la conquista della liberta.
Sono cresciuta in un periodo storico in cui le feste nazionali erano importantissime, sia per il
periodo fascista che per quello repubblicano; ho vissuto in una famiglia in cui sia il papà che i suoi
due fratelli hanno partecipato alla prima guerra mondiale, e la cerimonia in ricordo della sua
conclusione era momento molto sentito.
Nel passato educavate al senso della Patria? Come? E oggi come riproporlo?
Per anni tutto il paese, con la scuola al completo, il 4 novembre si riuniva presso il monumento ai
caduti per ricordare tale avvenimento, cantando ―Il Piave mormorava", ―Vecchio Scarpone",
―Fratelli d'Italia"... e venivano ripetuti ad uno ad uno i nomi dei caduti.
Anche la mia insegnante elementare ha contribuito fortemente ad instillarmi l‘Amor di patria",
raccontando gli atti eroici di tanti patrioti ed anche i testi scolastici contribuivano ad alimentare
questi sentimenti.
Via via però nella scuola si è, anche per alcuni versi giustamente, attutita l‘attenzione al sentimento
nazionale. Un consiglio per educare i nostri bambini in questi tempi mi é difficile darlo; la lettura
di alcune pagine della nostra letteratura quali ad esempio il libro "Cuore", la visita a luoghi o
musei storici come Museo Fioroni di Legnago, l'Ossario di S. Martino e Solferino, Redipuglia,
Rovereto potrebbero aiutarli a capire..
Nel vecchi libri di lettura si potevano trovare tante pagine di belle poesie come quelle di Pezzani.
Lascio a voi la capacità di scelta.
Non smettete di esaltare la nostra Italia così ricca di bellezze naturali, così famosa in tutto il mondo
per la sua lunga storia d‘arte, di cultura e di musica.
Io ho avuto la fortuna di vivere il periodo più bello della nostra patria nei primi anni dopo la
seconda guerra. L‘amor di patria, la volontà di rinascita e la guida di un governo con il timone in
mano hanno portato l‘Italia ad un alto se pur breve splendore. Coraggio!
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REGINA BELLUZZO BELLINATO
Sono sempre stata chiamata ―
maestra Regina‖ e io Regina mi
sentivo veramente. Ho fatto nella
vita il più bel lavoro che esista, la
maestra elementare e quel saluto,
dato con tanto calore dalla gente
che mi incontrava per strada,
faceva del mio nome di battesimo
una
realtà
magica
vissuta
giornalmente nel mio quotidiano.
Ho
insegnato
per
quasi
quarant‘anni, in più sedi, vicine ma
anche lontane da dove abitavo.
Le distanze di allora oggi fanno
sorridere, decine di km sono ben poca cosa, se percorsi in auto o con mezzi a motore; diventano
però un limite alla forza, se fatti a piedi o in bicicletta, su sterrati ghiaiosi, polverosi o ghiacciati.
Nei primi anni la meta da raggiungere era la piccola scuola di Orti di Bonavigo. Ancora oggi mi
capita talvolta di ripercorrere in automobile quelle strade di campagna che mi fanno riandare al
passato, un tempo assai lontano ma sempre tanto vivo in me.
Ho vissuto 40 anni nella scuola, in mezzo a tanti bambini, uno diverso dall‘altro, tutti a me tanto
cari.
Ogni mattina aspettavo quasi con trepidazione il loro arrivo. Entravano in aula spavaldi anche se
si sentivano seguiti e rassicurati dal mio sguardo amoroso.
E se qualcuno non appariva, un‘ombra fugace passava sul mio viso.
Dalla cattedra vedevo tutti i loro volti rivolti a me, sguardi dalle mille espressioni che ascoltavano
le mie parole, i miei insegnamenti dettati dalla esperienza di maestra e di mamma e perciò attenta
alle loro esigenze che non sempre si conciliavano con l‘impegno scolastico.
Bonavigo è un paese contadino, le famiglie dei miei scolari lavoravano in campagna. Amavano la
terra come i propri figli e la accudivano e curavano con tanto amore, trasmettendo valori come il
sacrificio, la rinuncia ma anche la serenità di chi fa della propria vita una missione d‘amore.
In classe si respiravano tanta dignità e rispetto, verso se stessi e le cose. Non si buttava via nulla e il
momento dell‘intervallo vedeva i miei scolaretti saltare e correre in cortile come leprotti.
La pensione all‘inizio della carriera mi sembrava una realtà lontana, quasi irraggiungibile. Quando
arriva però si diventa tristi, si dice addio agli anni più belli, trascorsi per molte ore della giornata
nella scuola, un ambiente ridente e giovane, dove malgrado i capelli bianchi e qualche ruga sul
viso, conservi l‘animo di un bambino, un animo ingenuo che non conosce le astuzie del mondo ma
soltanto quelle dei bambini.
Ed ora, anche da ottuagenaria, non ho perso i ricordi della scuola, li mantengo vivi attraverso la
foto dei miei alunni che conservo sopra un tavolino ben raccolte. Quante ne ho!! E non passa
giorno che non le sfogli e posi il mio sguardo su di loro. Quanto sono belli, li guardo e mi
commuovo. E poi sento le loro voci giungere fino al mio orecchio mentre ripetono la lezione!
Il destino ha poi voluto che la mia abitazione si trovi proprio di fronte ad una scuola elementare; e
così, osservando giorno per giorno il passaggio degli scolari e delle maestre, mi sono tenuta
―aggiornata‖ sulle mode della scuola. Noto però, nei bambini e negli insegnanti, lo stesso sguardo
di allora, di chi ha e ha avuto la fortuna di studiare e lavorare in un ambiente onesto e sano, che
non conosce altri valori che la formazione della persona, e quella richiede tempo, sacrificio e tanta
passione per il proprio lavoro, quella passione che nonostante siano passati tanti anni, rivivo ogni
giorno e ogni volta che ne parlo.
24
INTERVISTA AI NONNI
FERNANDA BORSATTI, nonna di Matteo
In quali anni lei ha frequentato la scuola dell’obbligo?
Ho frequentato la scuole dell‘obbligo tra il 1933 e il 1938.
Ricorda l’edificio della scuola? Può descriverlo?
Si, lo ricordo. Era un edificio non tanto bello e le classi erano piene di bambini.
Ricorda il nome di alcuni suoi insegnanti? Quali ricordi ne conserva?
Ricordo Capellaro Matilde. Era una maestra molto seria e brava.
Quali ricordi ha della sua classe e dei suoi compagni?
Nella mia classe i banchi erano di legno, e anche le sedie di legno. Nella classe eravamo 30 alunni.
Ci racconta qualche episodio legato alla vita della scuola, che le è rimasto impresso nella
memoria?
Quando non facevamo i compiti o dimenticavamo qualche cosa, oppure facevamo rumore, la
maestra aveva la bacchetta di legno e ci faceva tendere le mani.
Quale importanza attribuisce all’istruzione scolastica? Quale funzione deve ricoprire
nella società?
E‘ molto importante considerare la scuola e l‘educazione dall‘infanzia fino all‘età adulta per
diventare persone migliori nella vita.
Come è cambiata secondo lei, la scuola rispetto ai suoi tempi?
E‘ tutta un‘altra cosa da quando ero bambina. Oggi ci sono molte più attività e molte più cose da
sapere e conoscere.
Cosa direbbe ad uno studente svogliato, che considera la scuola come un pesante
fardello di cui farebbe volentieri a meno?
Che vada a scuola e metta tutta l‘intelligenza possibile, perché la cultura aiuta molto nella vita.
ALBERTINO ZENATELLO, nonno di Giorgia
In quali anni ha frequentato la scuola d’ obbligo?
Io ho iniziato ad andare a scuola a 6 anni a Roverchiara e l‘ho terminata a 11 anni cioè dalla prima
alla quinta elementare.
Ricorda l’edificio della scuola?
Si, nella mia aula c‘erano i banchi e le sedie di legno con sopra il calamaio che conteneva
l‘inchiostro dove poi si intingeva il pennino con cui si doveva scrivere.
Ricorda il nome di alcuni suoi insegnanti? Quali ricordi ne conserva?
Io avevo una sola insegnante che di cognome faceva Ferretti e l‘unica cosa che mi ricordo di lei è
che abitava a Roverchiara ma purtroppo non conservo altri ricordi.
Quali ricordi ha della sua classe e dei suoi compagni?
Io ricordo che la mia classe era abbastanza unita anche se a volte si litigava. I miei migliori amici
erano Paolo e Leardo e insieme a loro mi sono divertito tantissimo.
Cosa direbbe ad uno studente svogliato che considera scuola come un pesante fardello di cui
farebbe volentieri a meno?
Io a uno studente di questo tipo direi che non si può fare a meno della scuola perché insegna
cose che poi serviranno per tutta la vita.
ODINO CAGLIARANE, nonno di Gloria
In quali anni lei ha frequentato la scuola dell’ obbligo?
Io ho frequentato la scuola dell‘ obbligo negli anni 1944-1947, cioè dalla 1^ alla 3^ elementare.
Ricorda l’ edificio della scuola? Può descriverlo?
Si, era una scuola vecchia, trasandata. Come riscaldamento c‘ era una piccola stufa, che faceva solo
fumo in classe.
25
Non esistevano laboratori appositi per alcune materie, non esisteva la palestra e nemmeno la
mensa e i bagni erano degradati, i banchi erano di legno vecchio e per scrivere si usava il pennino
che si intingeva nel calamaio. Io ho frequentato le scuole elementari solo 3 anni, perché poi è
crollata a causa dei bombardamenti della 2^ guerra mondiale.
Ricorda il nome di alcuni suoi insegnanti? Quali ricordi ne conserva?
Ho il ricordo di una sola insegnante: Pittarelli Maria Caterina, era gentile, di media statura e media
stazza, giusta per la sua età, 24 anni, al tempo.
Ci racconta qualche episodio, legato alla vita della scuola, che le è rimasto impresso nella
memoria?
Ricordo che come punizione a volte si prendevano delle bacchettate, altre volte invece, bisognava
inginocchiarsi su dei sassi, spesso collocati dietro la lavagna ma a me non capitava quasi mai, ero
bravo a scuola.
Quale importanza attribuisce all’ istituzione scolastica? Quale funzione deve ricoprire
nella società?
L‘ istruzione scolastica, secondo me, è un ambiente in cui si impara a vivere ed a rispettare le
persone. Nella società ha il ruolo di educare i ragazzi a vivere civilmente.
Ritiene che la scuola abbia contribuito a tenere unita l’ Italia in questi 150 anni della sua
storia? Se si, in quale modo?
Si, molto, istruendo i ragazzi a parlare l‘ italiano, la lingua nazionale ed insegnando le leggi di un
unico stato.
ADRIANA BECCATI, nonna di Laura
Ricorda l’edificio della sua scuola? Può descriverlo?
Era un grande edificio molto bello a quei tempi con aule spaziose e piastrella a nido d‘ape rosse e
un grande cortile.
Ricorda il nome di alcuni suoi insegnanti? Quali ricordi ne conserva?
Ricorda la maestra Tebaidi, lei era molto gentile, simpatica e mi diceva che ero molto ordinata.
Quali ricordi ha della sua classe e dei suoi compagni?
La mia classe era composta solo da femmine, come si usava a quel tempo e ho ancora qualche
buon ricordo delle mie compagne.
Ci racconta qualche episodio, legato alla vita della scuola, che le è rimasto impresso nella
memoria?
Un giorno ho scritto un tema su una persona cara che doveva fare un viaggio immaginario e io
avendo molta immaginazione l‘ho fatto così bene che la maestra l‘ha esposto nella bacheca della
scuola per tutto l‘ anno.
LOREDANA BALDIN, nonna di Loredana
Ricorda l’edificio della sua scuola? Può descriverlo?
Sì, era un edificio marrone molto grande con lunghi corridoi, un enorme giardino e tre grandissimi
cancelli di legno. All‘interno ogni aula aveva due finestre e poi c‘era una grande mensa e una
grande palestra.
Ricorda il nome di alcuni suoi insegnanti? Quali ricordi ne conserva?
Sì, alla scuola elementare c‘ era soltanto una maestra che si chiamava Linda Bottacchi. Il ricordo
che mi porto di lei è che era una persona molto precisa ed esemplare.
Quali ricordi ha della sua classe e dei suoi compagni?
La mia classe era composta da 25 alunne tutte femmine e andavamo molto d‘accordo.
Ritiene che la scuola abbia contribuito a tenere unita l’ Italia in questi 150 anni della sua
storia? Se sì, in quale modo?
Sì perché se non ci sarebbero state le scuole non ci sarebbe stata l‘istruzione e tante persone
sarebbero rimaste analfabete.
26
DALMINA TODESCO, nonna di Silvia
Quali ricordi ha della sua classe e dei suoi compagni?
Beh…i miei compagni di classe…per la maggior parte sono andati avanti con gli studi…alcuni li
sento ancora e sono diventati: avvocato, commissario della sanità della provincia di Verona,
procuratore, preti, suore…io penso di essere una che ha passato la vita nei campi. Ma per il mio
mestiere sono più che brava… eravamo in tanti in classe mia… ero una che stava con tutti, la
lingua non mi mancava di certo… scherzavo con tutti. Mi ricordo di una mia compagna, che ora è
morta, che era portatrice d‘handicap…nessuno la voleva nella sua compagnia così la prendevo
io… anche durante la Messa, mi vedeva e veniva a sedersi vicino a me. Si metteva la cartella sulla
testa, poverina. Ne combinavo tante… eravamo molto uniti un tempo… anche se eravamo più
piccoli o più grandi nella compagnia prendevamo gente di qualsiasi età. Tipo dai 4 ai 19 anni…
Quale importanza attribuisce all’istruzione scolastica? Quale funzione deve ricoprire
nella società?
Beh…ci insegna parecchie cose. A pensare con la propria testa ad esempio.
ERMINIO GHIRELLI, nonno di Silvia
Come è cambiata, secondo lei, le scuola rispetto ai suoi tempi?
Come il dì e la notte… è cambiata in bene. Una volta si arrivava fino la quinta massimo. E pochi
andavano alle superiori. Mentre alla maggior parte dei bambini veniva imposto di andare nei
campi a lavorare. Una volta per insegnarti usavano un linguaggio più semplice. E ti insegnavano
più cose…cioè molte cose che si sono fatte da voi in quinta, noi le facevamo in prima… ma non
studiavamo lingue straniere…appena l‘italiano per capire i libri. Neanche musica, arte…ecc… solo
matematica, storia, geografia e italiano.
ANGELA GIRO, nonna di Silvia
In quali anni lei ha frequentato la scuola dell’obbligo?
Ho frequentato fino alla seconda elementare (1942-1944). Ho dovuto smettere perché c‘era la
guerra. L‘anno 1943 l‘ho perso infatti e poi dovevo aiutare i genitori. Mi è morta la mamma, ma
avevo la matrigna, era nato mio fratellino ed eravamo in 8 fratelli.
Ci racconta qualche episodio legato alla vita della scuola che le è rimasto impresso nella
memoria?
Andavo a scuola con le mani tutte screpolate perché prima dovevo fare lavori del tipo raschiare le
pentole. Emi ricordo che la maestra Alcide mi ha portato una volta dalla bidella per farmi dare la
crema.
Come è cambiata, secondo lei, la scuola rispetto ai suoi tempi?
Si cominciava con le aste da noi e poi le tabelline in seconda … la scuola in questi tempi è cambiata
moltissimo ed offre un insegnamento molto più vario e approfondito, anche perché si comincia ad
apprendere molte cose, ai miei tempi impensabili, già dall‘asilo.
Ritiene che la scuola abbia contribuito a tenere unita l’Italia in questi anni della sua
storia? Se si, in quale modo?
Si, l‘insegnamento, della cultura, dell‘unione, dei rapporti che si creano … ci rendono uguali ..
uniti.
RINALDO SALERNI, nonno di Silvia
In quali anni lei ha frequentato la scuola dell’obbligo?
Ho frequentato la scuola dell‘obbligo dal ‘40 al ‘45, con interruzione nel ‘43 a causa della guerra.
Ricorda L’edificio della scuola? Può descriverlo?
Ho frequentato la scuola elementare a San Zenone di Minerbe fino alla quinta elementare. Poi mi
sono iscritto al Ginnasio Cotta di Legnago su incoraggiamento dei miei insegnanti perché ero
‗bravino‘ ed ho frequentato un paio di mesi, ma successivamente mi sono trasferito presso il
Seminario di Roverè Veronese su insistenza del Parroco di paese, Don Ballarrotto che mi riteneva
27
un ragazzo intelligente e secondo lui meritavo un insegnamento adeguato e avrei potuto diventar
prete. Dopo cinque/sei mesi sono stato costretto ad abbandonare il Seminario per motivi di salute.
Ho conseguito il diploma di scuola media frequentando le scuole serali a San Zenone,
successivamente ho frequentato diversi corsi professionali di specializzazione in agricoltura che mi
avrebbero aiutato nella mia attività.
Ci racconta qualche episodio, legato alla vita della scuola, che le è rimasto impresso nella
memoria?
All‘epoca, dietro l‘edificio scolastico c‘era un campo di meli; al centro c‘era un capanno dove il
proprietario allevava una tacchina. I miei compagni con la scusa di andare in bagno o durante la
ricreazione andavano di nascosto nel campo per prelevare le uova della tacchina, che poi
vendevano in cambio di caramelle all‘unico negoziante del paese. Erano delle piccole bravate, ma
eravamo contenti con poco.
Quale importanza attribuisce all’istruzione scolastica? Quale funzione deve ricoprire
nella società?
La scuola è importante perché serve a costruire un futuro, ad esempio ad imparare la propria
attività professionale. La scuola serve per educare.
Ritiene che la scuola abbia contribuito a tenere unita l’Italia in questi anni della sua
storia? Se si, in quale modo?
Certamente, mediante l‘istruzione, programmi comuni, l‘insegnamento della lingua italiana.. senza
la scuola non si può avere un futuro.
AGNESE BUSON, nonna di Mariangela
Ricorda il nome di alcuni suoi insegnanti? Quali ricordo ne conserva?
Li ricordo tutti, ne avevo tre, Ezio Veronese, Bagolin Arialdo e Pasinetti, che però non ricordo il
nome, erano veramente bravi maestri.
Ci racconta qualche episodio, legato alla vita della scuola, che le è rimasto impresso nella
memoria?
Alla domenica, io e i miei compagni andavamo dietro la nostra scuola, nel cortile, facevamo
ginnastica, eravamo tutti in fila ed allineati e facevamo come delle coreografie. Era molto
divertente!
Come è cambiata, secondo lei, la scuola rispetto ai suoi tempi?
La scuola è cambiata tantissimo, per esempio, alla quinta elementare si imparavano tante più cose
di adesso.
MONTAGNA MARIA, nonna di Leonardo
Ricorda il nome di alcuni suoi insegnanti? Quali ricordi ne conserva?
Il mio insegnante si chiamava Mantoan Luigi , era un maestro molto comprensivo e buono.
Ci racconta qualche episodio, legato alla vita della scuola , che le è rimasto impresso
nella memoria ?
Il giorno di S. Lucia, noi alunni trovavamo sempre due mele sopra il nostro banco offerte dal conte
di Bevilacqua .
FRANCESCO MUZZOLON, nonno di Riccardo
Ricorda il nome di alcuni suoi insegnanti? Quali ricordi ne conserva?
Ricordo Ferrari Maria, Carrara Leone, Carrara Ubaldo. Ricordo che andavo a scuola molto
volentieri.
Ci racconta qualche episodio, legato alla vita della scuola, che le è rimasto impresso nella
memoria?
Ricordo che si faceva il saggio di ginnastica, in campo sportivo, in divisa, alla fine dell‘anno.
Cosa direbbe ad uno studente svogliato che considera la scuola come un pesante fardello
di cui farebbe volentieri a meno?
Consiglierei di studiare perché l‘istruzione è una cosa fondamentale nella propria vita.
28
PLACIDO POZZER, nonno di Giulia
In quali anni ha frequentato la scuola dell’obbligo?
Ho frequentato la scuola dell'obbligo dal 1932 al 1937.
Ricorda l’edificio della scuola? Può descriverlo?
Era un edificio molto grande, le aule erano grandissime e potevano contenere dai 40 ai 50 alunni.
Ricorda i nomi dei suoi insegnanti? Quali ricordi ne conserva?
Mi ricordo la Maestra Poltronieri., era magra e molto alta, era anche molto molto severa.
Quali ricordi ha della sua classe e dei suoi compagni?
Della mia classe e dei miei compagni ho dei ricordi bellissimi, anche se eravamo poveri, ma
eravamo molto legati.
Ci racconta qualche episodio, legato alla vita della scuola, che le è rimasto impresso nella
memoria?
Mi ricordo molto bene di un oggetto, la bacchetta che aveva sempre la maestra a portata di mano,
veniva usata per gli alunni non attenti e birichini.
Quale importanza attribuisce all’istituzione scolastica? Quale funzione deve ricoprire
nella società?
Attribuisco un'importanza fondamentale, l'istruzione è segno di benessere. Nella società ha la
funzione di formare i futuri cittadini.
Come è cambiata, secondo lei, la scuola rispetto ai suoi tempi?
Ora ci sono troppe nozioni, i ragazzi perdono l'interesse delle materie più fondamentali; gli
insegnanti hanno perso la propria autorità e il prestigio di essere "IL MAESTRO".
Che tipo di alunno ritiene di essere stato?
Mi ritengo di essere stato un alunno nella media, non proprio eccellente.
Cosa direbbe ad uno studente svogliato che considera la scuola come un pesante fardello
di cui farebbe volentieri a meno?
Dico che se ne accorgerà quando è grande dell' importanza della scuola e del sapere.
Ritiene che la scuola abbia contribuito a tenere unita l’Italia in questi anni della sua
storia? Se si, in quale modo?
Sì, facendo imparare a tutti la lingua italiana, in modo da potersi capire.
ALDO QUINZAN, papà di Marta
In quali anni lei ha frequentato la scuola dell’obbligo ?
Essendo nato nel 1923,ho iniziato a frequentare la scuola elementare nel 1929 e l‘ho terminata nel
1934.
Ricorda l’edificio della scuola ? Può descriverlo?
Ricordo che l‘edificio scolastico era quello che oggi ospita i ragazzi della Casa Famiglia.
Ricorda il nome dei suoi insegnanti? Quali ricordi ne conserva?
I miei insegnanti sono stati il maestro Leone Carrara e la maestra Agnese Bocconcello; di
quest‘ultima conservo un bellissimo ricordo perché oltre che essere molto brava era anche
comprensiva e dolcissima verso noi alunni.
Quali ricordi ha della sua classe e dei suoi compagni?
Molti compagni con i quali ho frequentato la scuola elementare sono ora scomparsi, conservo
tutt‘ora una fotografia , scattata sulla scalinata della chiesa parrocchiale, che ci ritrae in classe terza.
Eravamo numerosissimi, tutti maschi e c‘erano tra di noi alcuni ripetenti che avevano persino 13
anni.
Quale importanza attribuisce all’istituzione scolastica? Quale funzione deve ricoprire
nella società?
Sicuramente un‘importanza fondamentale dato che la sua funzione principale è quella di formare,
istruire ed educare le future generazioni ai valori della civile convivenza.
Cosa direbbe ad uno studente svogliato che considera la scuola come un pesante fardello
di cui farebbe volentieri a meno ?
29
Gli ricorderei la terzina del ventiseiesimo canto dell‘Inferno di Dante dove Ulisse sprona i suoi
compagni al ―folle volo ― dicendo ―Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e
conoscenza‖. Perché credo davvero che la scuola al di là del nozionismo aiuti i giovani ad
imparare a pensare con la loro testa! E scusate se è poco!
Ritiene che la scuola abbia contribuito a tenere unita l’Italia in questi 150 anni della sua
storia ? Se sì, in quale modo ?
Certamente la scuola ha avuto un ruolo importante per l‘unità della nostra nazione e vi ha
contribuito , a mio parere , diffondendo la lingua , la cultura e la storia di questo bellissimo Paese
che custodisce un patrimonio inestimabile che meriterebbe di essere apprezzato e valorizzato di
più.
IL PUNTO DI VISTA DEGLI STUDENTI ITALIANI:
IDEE, SUGGERIMENTI E PROPOSTE
Ti piace essere
nato in Italia?
Qual è l‘aspetto
che più ti piace
dell‘essere
italiano? Perché?
E quello che ti
piace di meno,
perché?
Sì; Sì, molto; Sì, abbastanza; diversi ragazzi inoltre hanno voluto dire anche i
motivi per cui si sentono fieri/orgogliosi di esservi nati: i paesaggi, la cultura,
la storia, i personaggi famosi del passato e del presente, la cucina, perché è un
bel Paese, con pregi e difetti ma fornisce tanti servizi ed è ricco di tradizioni,
cultura e bei posti
Piace essere italiani per la lingua, la cultura, il territorio, le tradizioni, i diritti
e i doveri. Perché dimostriamo di essere un popolo forte e unito. Per il
mangiare perché è delizioso. Perché non c‘è la pena di morte, né
disuguaglianze tra uomini e donne. Per i cibi, la libertà civile e i molti beni
storici che abbiamo che rendono il Paese e gli italiani unici e speciali.
Ovunque andiamo riconoscono la nostra ‗specialità‘. Per l‘accoglienza e la
solidarietà. Per la libertà di esprimere opinioni e di culto. Per la fede verso
Dio e verso l‘uomo. Per la lingua che è molto facile. Si vive meglio nel nostro
Paese perché non è povero, non è analfabeta e ha leggi giuste e norme
igieniche adeguate. Per l‘aspetto storico-culturale da cui deriva il
riconoscimento della libertà e la dignità di tutti. Per l‘eroismo di chi ha dato la
vita per costruire l‘Italia. Per la sincerità e la solidarietà tra di noi: cose
importanti per andare avanti bene. Per il primato della cultura italiana e dei
nostri prodotti apprezzati in tutto il mondo. Perché in Italia non ci sono
guerre. Per la cucina (pizza, pasta ed altri prodotti gastronomici) molto
apprezzata in tutto il mondo. Per la cultura, il patrimonio artistico, le nostre
tradizioni e usanze, la storia e la varietà di paesaggi. Per la lingua perché è
bella e ricca di vocaboli
Le polemiche sugli extracomunitari che vengono in Italia, perché in fondo
non fanno niente di male. Le centinaia di immigrati che arrivano ogni giorno:
l‘Italia è già sovrappopolata. La libertà di opinione che consente agli stranieri
di non rispettare i nostri valori fondamentali. Il modo in cui il nostro governo
sta operando
Il mancato rispetto della Costituzione, delle Leggi, delle regole da parte di
qualcuno, la litigiosità perché così il mondo muore. L‘ingiustizia, la cattiveria.
La violenza che la televisione trasmette. La giustizia che abbiamo. Il
cambiamento in atto che ci sta ―rovinando‖. Il divario tra Nord e Sud, ma la
solidarietà tra gli abitanti del nord e quelli del sud. Il malcostume di alcuni
politici che spesso sembrano operare per ottenere vantaggi personali che per
30
Si parla tanto dei
150 anni. Perché
secondo te questa
ricorrenza è tanto
importante?
Che cosa vuol
dire per te Unità
Nazionale?
Quali
valori
secondo te la
caratterizzano?
la comunità. La crisi economica. Noi ospitiamo gli extracomunitari ma non
sempre in modo adeguato. Pur parlando la stessa lingua, a volte le inflessioni
dialettali sono così marcate che tra Nord e Sud non ci si capisce. Alcune leggi,
la ―politica‖ e le mafie. Le disuguaglianze tra nord e sud. La litigiosità dei
nostri politici che spesso sprecano il denaro pubblico. La politica. Il fatto che
per ottenere giustizia bisogna aspettare anche molti anni. La criminalità
organizzata perché fa del male alle persone. La mafia perché per far ragionare
le persone usa la violenza. L‘indifferenza verso persone provenienti da un
altro Paese
Perché ci fa ripensare/ricordare i valori essenziali dell‘Italia
Perché così si ricordano gli eventi storici avvenuti prima e dopo l‘Unità
Perché si ricordano i sacrifici di coloro che hanno lottato per rendere la nostra
patria libera e indipendente
Perché si ricorda un momento particolare della nostra storia: la nascita di un
Paese unificato
Perché sottolinea l‘aspetto di uguaglianza e fratellanza; uniti siamo più forti
Perché rappresenta l‘unione di molte persone accomunate dal senso di
Nazionalità
Io non la sento tanto, forse perché non ho vissuto quel periodo, ma è bello
ricordare
Perché è giusto che ci faccia ricordare che da un mosaico di stati siamo
diventati un unico popolo.
Per ricordarci che150 anni fa l‘Italia è diventata una nazione unita
Si intende che tutta una nazione è soggetta alla sovranità di un unico stato
Vuol dire un‘unione, che dobbiamo essere una nazione unita e tutti uguali
davanti alla legge. Quando un gruppo di stati decide di formare una nazione
Persone appartenenti alla stessa nazione che hanno in comune la stessa
cultura, lingua e moneta
Ritrovarsi concordi e uniti nei doveri, nel rispetto e nella libertà; collaborare,
andare d‘accordo con tutti
Essere uniti territorialmente, con una moneta unica e non avere barriere
doganali; per me vuol dire andare oltre i pregiudizi e considerare le persone
per i valori di cui sono portatori e non in base alla provenienza territoriale
Sud, Centro e Nord compresi in una sola nazione: l‘Italia
Che l‘Italia è un Paese unito e ci siamo liberati dalle dominazioni straniere a
seguito di parecchie guerre
Unità di un popolo che nella storia è sempre stato disgregato in tanti piccoli
stati
Essere tutti uniti in una Nazione: tutte le regioni insieme dal 1861, pur con le
loro differenze
Da nord a sud variano gli alimenti tipici e i dialetti ma tutti appartengono ad
una sola nazione: l‘Italia
Una Nazione è unita perché c‘è qualcosa che accomuna tutte le regioni
Valori e tradizioni che ci fanno stare uniti
Libertà, fratellanza, uguaglianza, giustizia, solidarietà, democrazia,
cristianesimo
Cultura, lingua, la nostra storia
Valori positivi: uniti per essere più forti; il ricordo di eventi storici ancora vivi
nel tempo
La cultura, le tradizioni, la lingua, la sua storia
Il patrimonio artistico e culturale (la gastronomia)
31
Secondo
te,
l‘Italia può dirsi
veramente unita?
Cosa potremmo
fare per rendere
più forte questo
senso
di
appartenenza?
La storia, la cultura, l‘economia, il patrimonio artistico, la varietà dei paesaggi
La lingua, la moneta, la bandiera, il patrimonio artistico
La storia, il popolo che ha combattuto per rendere l‘Italia unita
Il patriottismo , il forte desiderio di unità e di indipendenza
No, perché c‘è ancora una netta distinzione/ incomprensioni e conflitti tra
nord (centro) e sud
No; esistono ancora dei muri invisibili che la dividono
Non proprio perché ci sono molte persone che litigano per le leggi e la
Costituzione
Sì, pur nelle differenze che arricchiscono un popolo senza trasformarlo in una
massa di omologhi
Sì, siamo sempre stati uniti ma non l‘abbiamo dimostrato sempre
Lo è stata finora; adesso alcuni politici che sanno poco di storia e di cultura la
stanno dividendo
Sì, anche se rimangono delle cose da migliorare
Non del tutto: troppa disparità tra Nord e Sud e tra ricchi e poveri
Mantenere vivi i ricordi dei nostri eroi che hanno combattuto per l‘Unità;
impegnarci a formarci con entusiasmo, onestà, responsabilità, cultura e
conoscenza della storia per dare il buon esempio
Aiutarci a vicenda; collaborare; ognuno dovrebbe comportarsi in modo
responsabile, onesto, serio e sincero. Bisogna cercare di sentirsi uniti sempre e
non solo nelle ricorrenze dell‘unità nazionale
Comunicare pacificamente senza incomprensioni, valutando le varie opinioni
Provare a rispettare con più diligenza le regole della Costituzione
Cercare di sentirsi uniti come una famiglia; imparare a comportarsi
correttamente, senza litigare
Nulla; il Nazionalismo è un sentimento volontario e personale
Eliminare/ superare i contrasti/ le diversità tra Nord e Sud. Eliminare i
pregiudizi; favorire gli scambi culturali tra Nord e Sud. Imparare una lingua
unica uguale dal nord al sud. Rifare la politica e le leggi. Avere le leggi uguali
per tutti
Cambiare la politica/ cambiare mentalità. Tenere duro e restare uniti
Apprezzare di più le culture che abbiamo (paesaggi, prodotti gastronomici,
patrimonio artistico. Viaggiare per conoscere culture e tradizioni diverse
Socializzare con persone provenienti da tutta Italia. Risolvere i problemi che
abbiamo: eliminare la malavita, usare meglio i soldi, fare leggi serie
Studiare di più la storia; valorizzare di più monumenti e opere d‘arte; liberare
l‘ambiente dall‘immondizia
32
IL PUNTO DI VISTA DEGLI STRUDENTI STRANIERI:
IDEE, SUGGERIMENTI E PROPOSTE
Che cosa significa
per te vivere in
Italia?
Qual è stato il
motivo che ha
spinto i tuoi a
venire in Italia?
Cosa ti manca di
più del tuo Paese
di origine che non
hai
trovato
in
Italia?
E cosa hai trovato
in Italia che ti è
piaciuto tanto? E
che non c‘era nel
tuo Paese?
Qual è l‘aspetto
che più ti piace
dello
stare
in
Italia? Perché?
E quello che ti
piace di meno?
Perché?
Si parla tanto dei
150 anni. Perché
secondo te questa
ricorrenza è tanto
importante?
Che cosa vuol dire
per
te
Unità
Nazionale?
Quali
valori
secondo
te
la
caratterizzano?
Secondo te, l‘Italia
può
dirsi
veramente unita?
Cosa potremmo
fare per rendere
più forte questo
senso di
appartenenza?
Vivere meglio perché la nostra vita in Italia è migliore
Un futuro migliore
Non vivere in Albania
Il lavoro e un futuro migliore
Il lavoro
Per dare ai figli un futuro migliore
I miei familiari, gli amici e alcuni cibi
I parenti
La religione, i familiari, le tradizioni
Le montagne ―davanti casa‖, gli amici
La neve dappertutto; nel mio Paese c‘è solo in un piccolo paese
I cibi italiani; per esempio pasta asciutta, carne
Meno povertà, migliorare la vita
Scuole pulite e ―ben trattate‖
Non grandi differenze
La pizza
Visitare i monumenti storici
La lingua
Il territorio
La legge uguale per tutti
Perché si mangia tutti insieme e altre tradizioni
Che i ragazzi di 9-16 anni fumano; nel mio Paese no
Il clima: sia caldo che freddo, più insopportabile
La crisi economica. La mafia
La politica o meglio il malcostume di alcuni politici italiani
La disoccupazione. Molti non hanno il lavoro. Nella mia famiglia nessuno
lavora
Perché l‘Italia è diventata un Paese unito
Perché dal 1861 l‘Italia è libera
Perché dal 1861 gli italiani sono liberi.
Perché dal 1861 siamo liberi. E‘ nata l‘Italia
Stessi diritti e doveri per tutto il popolo che vive in Italia
Essere tutti uguali. Avere stessi diritti, la stessa cultura
Un popolo unito. Uniti in guerra e pace
La libertà, l‘uguaglianza davanti alla legge
Fratellanza
Libertà, fratellanza, uguaglianza. Tradizioni, culture, libertà
No, perché al Governo non sono d‘accordo; allora l‘Italia non è veramente
unita. E poi ci sono grandi differenze tra Nord e Sud
Sì, può dirsi che è veramente un‘Unità
Diminuire le differenze tra Nord e Sud
Eliminare i contrasti tra Sud e Nord
Aiutarsi a vicenda
33
IL PAESE
La crescita di un paese e di una comunità passa
attraverso la conoscenza della sua storia e della
sua evoluzione.
Questa conoscenza permette alla storia di
continuare e ad ogni persona di comprendere lo
sviluppo del paese in cui vive.
La conoscenza della storia è fondamentale per
prendere piena coscienza delle proprie radici e
di conseguenza essere sollecitato ad una cultura
del rispetto e dell‘amore per il proprio paese.
Le strade che percorriamo ogni giorno, per una delle tante ragioni che costituiscono la trama del
nostro vivere quotidiano, rappresentano, anche se forse non ce ne rendiamo conto, elementi di
spicco del nostro orizzonte di riferimento. E non si tratta soltanto di elementi perché per ciascuno
di noi, questa o quella strada ha particolari risonanze affettive, liete o triste che la rendono nostra e
diversa da ogni altra. E ognuno, più o meno consapevolmente, può disegnare del paese una
propria mappa personale, inevitabilmente selettiva.
Ma le strade, assieme alle piazze, sono anche il tracciato comune della vita sociale e d economica e
quindi sono la testimonianza concreta della storia di un paese e della sua gente.
Da sempre la piazza in un paese o in una città ha un significato e un valore tutto particolare.
La piazza costituisce e rappresenta il paese stesso.
Un centro viene spesso riconosciuto e identificato proprio per la sua piazza e gli edifici che la
attorniano.
Ogni piazza custodisce la storia e la vita di un centro. È luogo di incontri e di relazioni, di sosta, di
passaggio, di celebrazione di eventi, a volte dolorosi (passaggio di eserciti, funerali, scontri,
disastri naturali,…) a volte entusiasmanti (feste, sagre, mercati, matrimoni, festeggiamenti di
ricorrenze, comizi,…). Non deve essere difficile pensare a questo. Basta tornare indietro nel tempo
e si può immaginare come anche la piazza di Minerbe, il suo nome, la sua posizione, gli edifici
presenti... parlino della sua storia, della storia di questo nostro paese. Anche oggi è attraversata
ogni giorno da molte persone e continua pertanto ad esserne il centro, il cuore pulsante del paese.
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MINERBE ATTRAVERSO LE SUE BOTTEGHE
Fra
cinquant‘anni
i
nostri
alunni
festeggeranno nuovamente un‘importante
ricorrenza dell‘Unità di Italia, sarà il
duecentesimo anniversario. Ci piace pensare
che in quell‘occasione, quando ormai saranno
adulti e avranno il nostro ruolo, ricorderanno
almeno alcuni momenti dell‘anniversario che
viviamo in questi giorni. Per questo abbiamo
pensato che non ci fosse materia migliore da
studiare che il racconto delle persone, di chi
ha vissuto il Novecento minerbese. La
narrazione in prima persona della piccola
storia, quella fatta di quotidianità, di gesti
semplici e di scelte che vengono prese ogni
giorno, era ciò che volevamo ascoltassero i nostri alunni. Così li abbiamo portati alla scoperta del
loro paese e abbiamo preso via Roma e le sue botteghe come scenario del ricordo personale di chi a
Minerbe ha vissuto e lavorato e ha visto negli anni il cambiamento. È importante che i nostri
alunni comprendano come, nelle vie che attraversiamo ogni giorno, vi siano tante storie, tante vite
e ricordi e che non si impara soltanto sui banchi di scuola, ma anche nell‘ascoltare chi ha più
esperienza di noi.
Abbiamo realizzato un piccolo percorso lungo via Roma fino in Piazza IV Novembre; siamo entrati
in alcuni negozi e abbiamo chiesto ai proprietari di raccontarci la loro storia e poi abbiamo raccolto
alcune di queste testimonianze nel fascicolo che state leggendo così che possiamo comprendere
quanto e come questi commercianti abbiano contribuito con la loro tenacia e il loro lavoro allo
sviluppo del nostro paese Minerbe e del nostro Paese Italia.
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INTERVISTA : GIUSEPPE BOLDRINI
―CENTRO CARNI BOLDRINI VIA ROMA 12‖
Una lunga passeggiata per le vie del centro
di Minerbe ci ha portato in Piazza IV
Novembre. Qui le parole della maestra ci
hanno indicato dove sorgevano le varie
―botteghe‖ che animavano il paese. Alcune
sono rimaste al loro posto, altre non ci sono
più, altre ancora sono cambiate nel tempo. La
nostra passeggiata si è poi fermata in un
bellissimo negozio, una macelleria al piano
terra con una vetrata grande e moderna, che
si trova proprio in via Roma al numero 12. Lì
ci lavorano i due fratelli Boldrini Romano e
Giuseppe con i propri figli Angelo, Michele e
Sabrina. Intervistato, Giuseppe, il più
giovane dei due fratelli, ci racconta che la
loro clientela non proviene soltanto da
Minerbe, ma da tutta la zona del basso veronese, da tutti i paesi limitrofi come Terrazzo, Cerea,
Bovolone, Roverchiara, Bonavigo, Boschi Sant‘Anna e Bevilacqua.
I prodotti venduti in questa macelleria sono lavorati in loco, il bestiame viene scelto tutto nel basso
veronese, e i prodotti tipici come i salumi sono di produzione propria. Il lavoro dà ancora oggi
molta soddisfazione alla famiglia Boldrini, tanto che padri e figli lavorano gomito a gomito.
Se i più anziani conoscono bene le richieste della clientela più storica e affezionata che richiede
ancora ciò che acquistavano le nonne, i figli hanno il compito di soddisfare ogni giorno di più le
nuove esigenze dell‘attuale clientela. Forti della fiducia guadagnata dopo molti anni di lavoro
cercano, sempre con le stesse attenzioni e criteri di un tempo, di offrire la medesima genuinità dei
prodotti anche in ciò che viene venduto pronto. Ciò ben rappresenta l‘evoluzione di questo
negozio, la cui storia risale al 1947 quando, in via S. Croce, già il papà di Giuseppe, aveva aperto
questa macelleria poi trasferitasi nel 1949 in via Roma.
Da allora ci sono stati molti cambiamenti e innovazioni,
anche nei gusti della gente, e come Giuseppe ci racconta
dai pezzi di carne esposta davanti alla prima bottega, ci
troviamo ora di fronte succulenti piatti di rosticceria:
porchetta, stinchi, involtini, spiedini, svizzere, tante cose
nuove vengono vendute già preparate pensando alle
nuove famiglie che hanno meno tempo da passare in
cucina.
Ci si è quindi adattati ad una clientela che desidera pronto
e spiccio.
Giuseppe Boldrini al lavoro nel suo negozio in via Roma 12
Giuseppe Boldrini al lavoro negli anni Sessanta.
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Le prospettive future, ci conferma Giuseppe, sono nelle mani dei figli e dei nipoti che avranno il
compito di proseguire questa attività già così ben avviata. Il rapporto con il territorio e le
istituzioni non ha mai conosciuto crisi e nel corso di questa lunga storia i rapporti sono sempre
stati ottimi sia con le varie amministrazioni sia con gli altri negozi; anzi Giuseppe ricorda con
piacere la disinvoltura con cui alcuni primi cittadini storici come i sindaci Bertoldi, Ferrari e
Cannavò talvolta si fermavano volentieri in negozio per scambiare due chiacchiere o assaggiare
qualche gustoso bocconcino…
In occasione di questo anniversario dell‘Unità d‘Italia, Giuseppe Boldrini manifesta tutto il suo
entusiasmo nell‘aver contribuito al progredire del nostro paese e aver portato con il lavoro e la
passione propri e della sua famiglia, tante persone a comprare e soprattutto a gustare prodotti che
non conoscevano.
La prima bottega in via S.Croce nel 1947
La nuova bottega in via Roma, aperta nel 1949,
qui ritratta nel 1956 durante la
processione del Venerdì Santo
La famiglia Boldrini impegnata nella macellazione di alcuni ovini.
Il primo a sinistra, in camicia bianca, è il padre di Giuseppe Boldrini.
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INTERVISTA: BRUNO BIGINI
―COMMERCIANTE STORICO di via Roma‖
Giovedì 7 aprile 2011, gli alunni di terza, un po‘
emozionati, accolgono in classe il nonno del
compagno di classe Federico, il signor Bruno Bigini,
che si sottopone volentieri a una lunga intervista sulla
storia della sua attività minerbese. Bruno racconta che
nel 1947 aprì un negozio chiamato La Rinascente nel
centro del paese, in via Roma. Era una semplice
stanza di circa 100 metri quadrati dotata di
scaffalature e di un grande bancone, che Bruno avviò
con il socio Guerrino Lazzari. Inizialmente i due
amici trattavano frutta e verdura, poi inserirono via
via altri articoli alimentari con meno problemi di
deterioramento. L‘idea di avere un negozio tutto suo
Bruno Bigini durante il suo incontro con gli alunni
era nata dopo il ritorno dalla prigionia subita
durante la Guerra, dal desiderio di avere un lavoro
indipendente pur rimanendo nel proprio paese. Il sogno
di Bruno era quello di aprire un grande emporio nel quale
vendere articoli di ogni genere. Quando, dopo qualche
anno, Guerrino decise di ritirarsi dall‘attività, Bruno capì
che era il momento di convertire il negozio di ortofrutta in
una merceria e profumeria. Con lui lavoravano due
radiose commesse, Rita e Teresa, due belle giovani
minerbesi, che al tempo avevano appena sedici anni.
Malgrado la bravura e la gentilezza delle sue
collaboratrici, Bruno iniziò a sentirsi prigioniero tra le
quattro mura del negozio e iniziò ad espandere quindi
l‘attività anche all‘esterno, vendendo bottoni e scampoli, Bruno Bigini racconta la sua storia con ricordi
e immagini
fino alla nuova avventura commerciale con le calze che
chiamò Bi.Bi. Portare in giro le calze con il proprio marchio gli consentiva finalmente di viaggiare
in lungo e in largo per l‘Italia e non dover così rispettare gli orari del negozio. Si sentiva più libero
ed entusiasta di poter gestire il proprio destino e ben presto fu felice e soddisfatto del proprio
lavoro che gli permetteva di guadagnare abbastanza da mantenere la famiglia. Inizialmente la
merce che vendeva la acquistava in grandi magazzini all‘ingrosso di Milano e Padova,
successivamente da rappresentanti di passaggio. Come aveva fatto sin dagli inizi in via Roma,
cercava di affermare la sua attività proponendo idee sempre più
innovative, inserendo sempre più articoli, ascoltando le esigenze dei
clienti e consigliandoli onestamente. Le difficoltà incontrate erano legate
alla situazione economica del
tempo: fino alla fine degli
anni Sessanta, infatti, le
famiglie non avevano grandi
disponibilità di liquidi e chi
vendeva doveva assicurare
una gestione del prezzo e dei
pagamenti che accontentasse
tutti, anche chi non poteva
pagare tutto e subito.
Le vetrine della merceria in via Roma
negli anni Cinquanta
Bruno Bigini al lavoro in negozio
con le sue preziose commesse
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Con lo sviluppo economico anche la vendita
delle calze cambiò per adeguarsi alle
sempre più variegate esigenze della
clientela e Bruno si adoperò a seguire
l‘evolversi della moda in un settore che lo
entusiasmava e in un lavoro in cui riusciva
ad esprimere il suo carattere socievole.
Sempre grazie al piacere che provava nel
rapportarsi con le persone, Bruno ha
sempre collaborato con le istituzioni del
paese, soprattutto organizzando numerose
gite culturali e le famose gare podistiche
Bi.Bi., momenti culturali oltre che sportivi
Una confezione di calze BiBi,
aperti a tutti; successivamente è stato anche Bruno Bigini in compagnia
modello Luana
tra i fautori del circolo Anspi (ora Circolo della moglie Orfea
Noi) e della ProLoco mosso dall‘intento di creare una struttura che
offrisse momenti di incontro per i giovani di… tutte le età. A buon grado, dunque, quando gli
alunni gli chiedono se crede che le sue attività abbiano favorito lo sviluppo del paese, il signor
Bruno Bigini risponde orgoglioso di sì.
INTERVISTA: dott. SILVIO PIEROPAN
―FARMACIA di via Roma‖
Un pomeriggio di fine aprile proseguiamo la nostra
scoperta delle botteghe storiche del nostro paese e
arriviamo nella farmacia del dottor Silvio Pieropan, che si
trova all‘angolo tra Via Roma e Piazza IV Novembre.
Entriamo mentre alcuni clienti esibiscono le loro ricette
alle farmaciste Ida e Anna e a Matteo, figlio del dottor
Pieropan e anch‘egli dottor farmacista. L‘ambiente
ristrutturato nel 1985 era prima molto più piccolo poiché
lo stesso locale era diviso in tre parti: la farmacia,
l‘oreficeria Andriolo e lo Studio Pesenato.
Gli alunni della classe terza davanti
alla Farmacia Pieropan
Il dottor Pieropan mostra agli alunni come si
misura la pressione sanguigna.
Oggi è un unico ambiente, arredato modernamente con
vetrinette luminose e bianche e speciali cassetti dotati di
automatizzazione che consentono al dottor Pieropan e ai suoi
collaboratori di prelevare le giuste medicine passando le ricette
dei pazienti su un lettore ottico. Un computer, infatti, riconosce
il codice della medicina e apre in automatico il cassetto giusto.
Notiamo sugli scaffali molte creme e il dottor Pieropan ci
spiega che oggi la clientela tiene molto alla salute ma anche
all‘aspetto fisico, così in farmacia accanto ai medicinali ci sono
prodotti a base di erbe utilizzati per cure dimagranti, contro la
stanchezza o lo stress; questo tipo di cura si chiama fitoterapia.
Essere farmacista, per i Pieropan, è una vera tradizione di
famiglia che, con Matteo, arriva alla sesta generazione. Il primo
fu infatti il trisavolo del dottor Silvio, che aprì una farmacia a
Tregnago.
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Poi il bisnonno e in seguito il nonno ne aprirono una a Vestenanova e infine il padre ne aprì una a
Terrazzo, proprio nel punto dove ancora oggi sorge.
Dopo alcuni anni rilevarono la farmacia di Minerbe dove il dottor Silvio e il figlio proseguono
tutt‘oggi l‘attività.
Un secolo fa il farmacista veniva chiamato ―lo speziale‖ perché vendeva soprattutto le spezie e in
farmacia c‘erano poche medicine: l‘olio di ricino e polverine a base di aspirina che il nonno
preparava personalmente. A quel tempo la farmacia era arredata con pesanti mobili in legno di
noce costruiti ancora nel Settecento con tantissimi cassetti e vasi nei quali c‘erano le spezie,
polverine e olio per le medicine che lo stesso farmacista preparava al momento. Per il dottor
Pieropan questo è però un triste ricordo, perché non è riuscito a conservare nulla di quella vecchia
farmacia, andata bruciata dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Ciononostante ci
mostra uno stampo di metallo che serviva per preparare le supposte di ―piramidone‖, un impasto
di vasellina e aspirina che abbassava la febbre e curava infezioni. Anche la penicillina in polvere
per le iniezioni veniva preparata manualmente e veniva sciolta con l‘olio per rallentare
l‘assorbimento da parte dell‘organismo e prolungare così l‘effetto. Queste erano le poche cure
principali e fino agli anni Quaranta non si conoscevano antibiotici o vaccini. Nel 1934, ad esempio,
una forte influenza, chiamata ―la spagnola‖, fece molte vittime sia tra gli anziani sia tra i bambini
perché non si sapeva come curarla e non c‘erano farmaci adatti. Soltanto alla fine della Guerra, con
l‘arrivo degli americani, arrivarono anche i primi medicinali solfamidici. Oggi questo non succede
e sono anche cambiate le esigenze della clientela che ricorre al farmacista molto più spesso e non
soltanto per i medicinali.
Molti dei prodotti in vendita sono italiani, mentre le creme di bellezza sono ancora oggi di
provenienza francese.
Il lavoro dà ancora molta soddisfazione al dottor Pieropan che ormai conosce bene i suoi clienti sia
minerbesi sia dei paesi limitrofi. Si rivolgono a lui anche per curare i piccoli malanni, dimostrando
talvolta di avere più fiducia nel farmacista che nel medico e nella scelta di alcune cure si affidano ai
suoi suggerimenti. Nel corso degli anni la farmacia di Minerbe non ha incontrato particolari
problemi e ha sempre svolto la sua attività con tranquillità; come le altre farmacie deve sbrigare
molta burocrazia e subisce numerosi controlli da parte del Ministero della Sanità, che si deve ad
esempio accertare che il farmaco corrisponda alle voci riportate sulle etichette, dei NAS e della
ASL che certificano che tutto si svolga nel migliore dei modi. Il dottor Pieropan è consapevole che
la sua farmacia ha svolto nel passato e svolge tuttora un ruolo importante per la storia del nostro
paese.
Alcuni scaffali della Farmacia Pieropan.
Sofia
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INTERVISTA: GIOELLERIA ANDRIOLO
Presenta l’attività commerciale com’è oggi?
Il nostro negozio di preziosi si affaccia all‘inizio di via
Marconi. Cerchiamo di tenere la vetrina sempre attraente e
ricca delle novità alla moda. Lo gestiamo in due generazioni:
la mamma Luigina, il figlio Fabrizio con la moglie Elisabetta.
Con gli altri negozi del paese e con le amministrazioni non
abbiamo mai avuto problemi.
Quale tipo di articoli commerciate?
La nostra offerta copre una vasta gamma di gioielli in oro e argento, molti orologi nonché svariati
articoli regalo per le varie occasioni. Non mancano le novità dei gioielli di firma in acciaio e le
pietre dure oggi tanto di moda. La nostra vetrina, oltre che di luce, si è arricchita di colore.
Qual è l’area di affluenza della clientela?
La clientela è costituita per la maggior parte da Minerbesi. Sappiamo che non operiamo in una
grande città quindi studiamo un‘offerta adatta alla zona, ma non per questo dimentichiamo il
buon gusto e la qualità. Ci premiano anche clienti dalle zone limitrofe e non mancano nemmeno
da paesi quali Montagnana e Cerea.
Vi piace il lavoro? Vi dà soddisfazione?
A tutti noi tre piace questo tipo di lavoro perché permette la vicinanza con le persone con le quali
si scambia qualche chiacchiera. La soddisfazione è aiutarle a scegliere quello che cercano, a
consigliare per il meglio intuendone la personalità e i gusti non dimenticando di spingere talvolta
verso la novità.
Come cercate di affermare il negozio e di fidelizzare la clientela?
Facendo tanta pubblicità consolidando così la nostra tradizione di farci conoscere. Partecipiamo
alle feste di paese offrendo articoli per le lotterie e le pesche di beneficenza. Negli eventi sportivi ci
siamo sempre.
Quali problemi incontrate oggi?
Oggi viviamo una crisi che c‘è e si sente soprattutto nel nostro settore che non tratta articoli di
prima necessità. Il valore dell‘oro è salito alle stelle, così siamo stati costretti, un po‘ a malincuore, a
tradire la nostra tradizione e tenere articoli di tendenza in acciaio, che è bello, ma è pur sempre
acciaio. La moda propone questo e abbiamo ritenuto di adeguarci. Speriamo che le cose si
sistemino e si riprenda a investire in beni duraturi e di valore.
Signora Luigina, qual è la storia del negozio e la sua evoluzione?
Facendo un po‘ di conti il nostro risulta uno dei negozi storici di Minerbe. Mio marito Nereo,
proveniente come me dal vicentino, è stato l‘ideatore dell‘attività. La licenza risale al 1963. Aveva
praticato il delicato mestiere dell‘orologiaio con uno zio, poi si era specializzato presso un maestro
di Montagnana che lo aveva consigliato di provare a stabilirsi in questa zona dato che mancavano
validi negozi dello stesso tipo. Così fece, e alla domenica, durante il mercato domenicale, si
stazionava sotto la loggia con un banchetto per vendere e riparare orologi. Poi aprì il negozio che
si è spostato più volte rimanendo sempre nei dintorni della piazza. A collaborare mi sono aggiunta
io che da ragazza facevo la sarta. Mi è piaciuto subito, si trattava anche qui di avere buon gusto.
Purtroppo una improvvisa e lunga malattia ha impedito a mio marito di godere con me dei frutti
del nostro lavoro.
Quali sono le prospettive per il futuro?
Le prospettive non sono delle migliori, i giovani hanno voglia e diritto di lavorare. Speriamo che le
cose possano cambiare per tutti.
Che cosa desiderate per l’Italia che festeggia 150 anni dall’unità?
Di uscire da questa crisi economica.
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CASA FAMIGLIA IL CEDRO
Proprio in Piazza IV Novembre, di fianco alla chiesa e all‘angolo con via Europa, durante la nostra
passeggiata notiamo un edificio da poco ristrutturato e ben dipinto di giallo. Negli anni Trenta del
secolo scorso accoglieva la scuola elementare comunale e più tardi, verso la fine degli anni
Cinquanta, divenne il nuovo ufficio postale. Oggi, quello stesso edificio, è diventato una piccola
struttura residenziale chiamata Casa Famiglia ―Il Cedro‖ e dai primi anni Novanta accoglie
bambini soprattutto di età compresa tra i 3 e i 10 anni. Negli anni seguenti la dottoressa Donatella
Mereu, ancora oggi responsabile clinica della struttura, ne ha allargato gli orizzonti facendola
diventare una Comunità specializzata nella riabilitazione sociale dell‘adolescente. Infatti il fine
della Comunità ―Il Cedro‖ è quello di essere un organo per la tutela del bambino, per la
formazione e l‘informazione, la cura e la ricerca.
L‘importanza di una struttura come questa per il paese è presto detta, in quanto ha permesso di
sensibilizzare la cittadinanza sul tema della solidarietà sociale e ha offerto anche un‘ulteriore
visibilità al paese rendendosi un punto di riferimento per le realtà limitrofe. Nel corso degli anni si
sono avviati dei cambiamenti importanti per quanto riguarda la collaborazione con le varie
associazioni presenti sul territorio (parrocchia, coro, circolo sportivo, scuola di musica…); inoltre
un grande contributo continua a essere dato dai vari istituti scolastici che da sempre collaborano
nell‘inserimento dei ragazzi all‘interno delle varie attività sociali e del tessuto della comunità
minerbese.
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DIMORE STORICHE:
VILLA PIGNOLATI
NICHESOLA
LEOPARDI
Questi tre cognomi raccontano dei proprietari che si sono succeduti. Manca solo la famiglia
Foletto, la stessa che prima dei Leopardi ha ceduto parte del ―brolo‖ coltivato a piante da frutto
per costruire la scuola elementare. Dal cortile della scuola si vede ancora un bel tratto della mura
che recintava la proprietà e che ora ha bisogno di restauri. In alto nel magnifico portale d‘ingresso
osserviamo lo stemma della famiglia Nichesola applicato anche sulla facciata della villa in bella
mostra. Rappresenta a iniziare dall‘alto un animale con le zampe pronte all‘attacco, poi un elmo a
raccontare la familiarità con la guerra. Lo scudo centrale è diviso in quattro parti e raffigura di
nuovo degli elmi e stelle. Tutto intorno lo stemma dei nobili Nichesola è decorato da riccioli e
volute in pietra di tufo di Vicenza. In basso si nota anche un viso pauroso.
Superato il portale c‘è il bel giardino all‘italiana. Il vialetto d‘ingresso è fiancheggiato da piante di
tasso sagomate come grandi palle.
La villa appare in tutta la sua maestosità. Una loggia centrale di tre ampie arcate la caratterizza: le
due laterali e la porta sovrastante sono protette e decorate da una balaustra in pietra tufacea.
I bambini manifestano la loro curiosità che la signora Elisabetta soddisfa con competenza.
Elisabetta Leopardi Zamperlin
Cosa significa il simbolo dello stemma?
Non so esattamente perché la villa conserva pochi documenti
scritti. Lo stemma era il distintivo della famiglia nobile che si
tramandava di padre in figlio come un‘eredità. Tutti i materiali
usati nella villa sono naturali e provengono dalle zone intorno.
Lo stemma è di tufo.
Quanti anni ha?
Il restauro che le ha dato l‘aspetto attuale risale a circa 250 anni
fa, ma ci sono tracce (una fondazione di mattoni, un poggiolo, un
architrave) di un costruzione di ben 600 anni fa.
Quanto è grande?
La villa è molto grande come voi vedete, è alta 14 metri. Le
stanze non sono riscaldate perché i nobili venivano qui in
campagna a passare l‘estate quindi ci volevano grandi stanze e
giardini per ripararsi dalla calura.
Perché in quegli anni erano così ricchi?
A differenza del palazzo di città, la villa di campagna aveva
intorno grandi estensioni di campi coltivati che portavano ricchezza. I braccianti erano pagati poco
a quel tempo.
Quanto costa?
Tanto e niente, dipende dal valore che si dà a una villa storica. Per chi la ama da sempre come noi
ha un valore immenso.
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Nella soffitta c’è qualcosa che appartiene al passato?
La soffitta è un unico grande spazio con le travi a vista e il pavimento di mattoncini a spina di
pesce. Non è rimasto niente di particolare. Molto interessante è invece la cantina con il soffitto a
botte.
Vi racconto un mistero: è stata trovata una porticina di un passaggio sotterraneo che collegava tra
loro le ville e che doveva servire in caso di pericolo.
Ha dei particolari da mostrarci?
Gli infissi per esempio: pensate che sono, restaurati, ancora quelli originali. Osservate i vetri
colorati secondo il gusto veneziano che abbelliscono la luce. Il pavimento a palladiana è fatto di
tanti pezzetti di sasso o di pietre colorate legati insieme da una base e poi levigati.
Come fa a pulirla?
Di certo ci vogliono amore e lunghe scale.
Anna
Silvia
Marina
In visita alla villa
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GLI UFFICI POSTALI E LA CORRISPONDENZA
LE COMUNICAZIONI
Le comunicazioni postali di un luogo sono interessanti perché cariche di valenze sociali, storiche e
culturali. In riferimento allo Stato Italiano nel libro di L. R. Cataldi ―La posta a Verona e nella sua
provincia‖, edito nel duemila e gentilmente fornito dalla direttrice dell‘Ufficio Postale di Minerbe
Mariuccia Zanoni, il presidente delle poste di allora afferma: ― Le poste sono state una delle reti
che, insieme alle prefetture, alle strade, alle autostrade, alla scuola, alla ferrovia e all‘energia
elettrica, hanno fatto l‘Italia, rendendo effettiva la ―nazionalizzazione‖ di uno Stato nato da un
processo di unificazione particolarmente travagliato‖.
Per le realtà locali lo stesso libro riporta interessanti serie di impronte di bolli e schede nominative
degli uffici. Nei riguardi di Minerbe si registra l‘apertura del servizio di posta rurale nel 1875. Dal
1864 infatti nel territorio del Regno si era deciso di moltiplicare i punti di raccolta della
corrispondenza includendo anche i piccoli comuni agricoli previa corresponsione di un loro
contributo economico. Pochi anni dopo però si apre a Minerbe un regolare ufficio postale. Era
ancora alle dipendenze del Ministero dei lavori pubblici dato che il Ministero delle poste si istituirà
nel 1889.
Interessanti sono i dati riportati riguardanti il numero di abitanti: nel 1861 a Minerbe risultavano
2914, dieci anni dopo aumentavano a 3462 per mantenersi pressoché stabili fino al 1910.
GLI UFFICI POSTALI MINERBESI TRA PASSATO E PRESENTE
Da una ricerca fatta attraverso la consultazioni di testi riguardanti la storia di Minerbe, è risultata
di notevole interesse, per il tema trattato, la citazione presente nel libro “Minerbe nel passato” di
Muzzolon e Amatino:
“…nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, dalla vecchia sede, situata sotto il
loggiato dell’ex Municipio, l’Ufficio postale venne trasferito nel fabbricato delle ex scuole
elementari e, successivamente, il primo giugno 1987, spostato nell’attuale sede in via Europa.”
Con un‘uscita sul territorio, gli alunni delle classi quarte hanno avuto modo di vedere
concretamente gli edifici di ieri e quello di oggi. Attraverso una cronaca e una raccolta di immagini
fotografiche e grafiche i bambini desiderano portare testimonianza della loro interessante
esperienza.
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USCITA IN PAESE:
“I BAMBINI DELLE CL. 4 ALLA SCOPERTA DELLE SEDI POSTAL I NELLA NOSTRA STORIA LOCALE”
A scuola abbiamo affrontato il tema della storia degli uffici postali, della corrispondenza e dei
francobolli nel passato, confrontandoli con il nostro presente e la nostra storia locale. Abbiamo così
scoperto che nella storia di Minerbe fino ad oggi sono rintracciabili tre sedi degli uffici postali.
Giovedì mattina 24 marzo siamo usciti nel territorio per vedere e fotografare l‘attuale ufficio e le
altre precedenti sedi.
Per primo siamo andati in via Europa e abbiamo potuto osservare con attenzione il più recente
ufficio PT, quello oggi funzionante in paese, abbiamo visto il Postamat, lo sportello elettronico, la
buca per l‘impostazione e uno dei postini con il moderno mezzo di trasporto, lo scooter. Abbiamo
anche ricevuto il saluto dell‘attuale Direttrice dell‘Ufficio la sig.ra Zanoni Mariuccia.
Successivamente ci siamo recati in Piazza 4 Novembre dove sapevamo che in precedenza, e per
molti anni nella storia del nostro paese, c‘era stata la sede dell‘Ufficio Postale. Era situata al piano
terra dell‘edificio oggi occupato dalla comunità ―Il Cedro‖. E‘ ancora ben visibile sulla facciata la
vecchia buca per l‘impostazione composta da una lapide con due fessure, oggi sigillate, con scritto
su una ―LETTERE‖ e sull‘altra ―STAMPE‖. Le maestre ci hanno spiegato che le persone mettevano
la posta nelle due buche a seconda del servizio richiesto. Ci è stato detto che il sig. Renzo Munaro
residente a Minerbe è stato per molti anni direttore di questo ufficio. Infine ci siamo spostati da
un‘altra parte della piazza e precisamente sotto il loggiato della Biblioteca Comunale, dove i più
anziani hanno memoria dell‘esistenza di un ufficio postale situato nella sala oggi sede di alcune
associazioni (Pro Loco, Aido) La bacheca appesa alla parete esterna dovrebbe nascondere il
vecchio foro della buca delle lettere, direttore in questa sede dell‘ Ufficio è stato per qualche tempo
il sig. Angelo Pinosa.
LA NOSTRA GALLERIA FOTOGRAFICA E GRAFICA
La grande porta d‘ingresso del locale, sede
dell‘antico Ufficio Postale, sotto il loggiato
della Biblioteca Comunale.
Edoardo Passarin
Il palazzo della ―loggia‖, sede anche dell‘ex Municipio,
ospitò il primo ufficio postale.
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ostale
I bambini fotografati davanti alle‖ buche‖
dell‘impostazione del vecchio ufficio
postale
Anna Milani
L‘edificio, oggi sede della Comunità ―Il Cedro‖,
ospitò l‘ufficio postale dagli anni cinquanta fino al
1987.
Lo sportello del
Postamat
nell‘attuale sede
in via Europa.
Uno dei postini con lo scooter
ben carico , pronto per il
recapito della posta.
Giulia Crestani
L‘attuale e moderno ufficio postale,
situato in via Europa.
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INTERVISTA ALLA SIGNORA PINOSA RINA
Per arricchire il nostro percorso storico, attraverso una testimonianza diretta,
abbiamo intervistato una nostra concittadina, la signora Rina, figlia di Angelo
Pinosa, uno dei direttori storici dell‘ufficio postale di Minerbe, a sua volta reggente per un periodo
dello stesso.
Sig.ra Rina ci vuol parlare un po’ di
suo padre?
La mia famiglia è originaria del Friuli, mio
padre Angelo era nato nel 1896 a Villanova
delle Grotte in provincia di Udine, aveva
partecipato al primo conflitto mondiale dal
quale era tornato con una invalidità e per
questo
motivo
aveva
ottenuto
il
riconoscimento della ―Croce di Guerra‖ e un
posto di lavoro come direttore postale in una
zona di confine. Durante la seconda guerra
mondiale, proprio grazie al suo lavoro riuscì,
con l‘aiuto della popolazione locale, che lo
stimava e rispettava, a scampare al massacro
delle foibe e a fuggire in una zona più sicura
del Friuli.
Ricorda in quali anni la sua famiglia
giunse a Minerbe?
Nel dopoguerra, intorno agli anni ‘50, a mio
padre venne offerta l‘opportunità di dirigere
un ufficio postale in pianura, noi eravamo
sempre vissuti in zone di montagna, e questo
invogliò la mia famiglia a trasferirsi, nella
speranza di vivere in zone più agevoli e
sviluppate. Prima si trasferirono solo i miei
genitori e poi, una volta sistemati, arrivai
anch‘io, avevo 9 anni. Ricordo che mia madre
Veneranda rimase colpita dall‘umidità che
c‘era qua, ma poi piano piano si abituò,
inoltre mio padre la ―costrinse― a prendere la
licenza elementare per poter farla lavorare
come impiegata al suo fianco in ufficio.
In quali sedi lavorò sua padre qua a
Minerbe?
All‘inizio lavorò per alcuni anni nella sede
situata sotto il loggiato dell‘ex municipio,
vicino al Caffè, in piazza, si ricordava che
prima del suo arrivo l‘ufficio era diretto e
gestito da due ragazze provenienti dal lago,
poi nei primi anni ‘50 l‘ufficio fu trasferito al
piano terra del palazzo che oggi ospita la
Comunità ―Il Cedro‖. Lì vi ha lavorato fino
alla pensione, in tutto qua a Minerbe è stato
direttore per una ventina d‘anni. Dopo il suo
pensionamento questo ufficio è stato diretto
da me, che avevo seguito le orme di mio
padre, per 9 anni. Ricordo che mio padre per
molto tempo venne ad aiutarmi, a titolo
gratuito, per ―insegnarmi il mestiere‖, ma in
verità perché non riusciva a staccarsi
definitivamente da questo lavoro. Dopo io
sono stata trasferita da un‘altra parte e a me è
subentrato il signor Renzo Munaro che lo ha
diretto in questa sede per molti anni.
Come figlia di direttore postale ha
qualche ricordo della sua giovinezza
di cui ci può parlare?
Mi ricordo che a quei tempi era usanza del
direttore scegliere il fattorino addetto alla
consegna dei telegrammi urgenti, che di
solito
venivano
mandati
per
le
congratulazioni in caso di lieti eventi,
matrimoni o nascite, o per le condoglianze
nei lutti. Mio padre aveva affidato a me,
poco più che bambina, questo incarico in
cambio di una modesta ―mancetta‖. Io lo
portavo a termine muovendomi con una
bicicletta anche in zone disparate del paese.
Grazie a questo lavoretto ho potuto conoscere
il minerbese e le persone che vi abitavano,
pur essendo proveniente da un altro luogo.
Anche i
portalettere si
muovevano
utilizzando la bicicletta ma a loro spettava la
consegna soprattutto di lettere e cartoline.
Lei ci parla dei portalettere, a questo
proposito le viene in mente il nome
di qualche postino “storico”?
Ricordo Agostino Strabello, detto Tino, Dario
Ruffo e, per un certo periodo, Francesco
Rossetto che poi diventò bidello sempre a
Minerbe. Più tardi arrivò un altro postino
storico conosciuto da moltissimi minerbesi, il
signor Dino Zanoni che è anche il padre
48
dell‘attuale direttrice del nostro Ufficio
Postale ovvero della sig.ra Mariuccia.
Come ha visto cambiare nel corso
degli anni il lavoro di suo padre?
Un tempo il lavoro di mio padre era svolto a
mano, si scriveva tutto con il pennino
utilizzando inchiostro nero e rosso, anche la
timbratura era manuale, solo più tardi
divenne meccanica, così pure la contabilità .
Mi viene in mente una cosa curiosa: quando
ero giovane l‘ufficio postale di Minerbe, ma
anche quello di altri paesi, non era dotato di
cassaforte, per questo motivo mio padre era
costretto ogni sera a portare a casa soldi e
valori postali e, come era usanza del tempo,
metterli
diciamo ―al sicuro‖ sotto il
materasso, nella speranza che nessun male
intenzionato se ne accorgesse e venisse a farci
visita. Anch‘io nei primi anni della mia
carriera come direttrice mi portavo avanti e
indietro, andando sulla mia bicicletta, soldi e
valori del mio Ufficio
Postale, per fortuna è
andato sempre tutto bene.
Dopo nel tempo negli uffici
postali sono arrivate la
macchina da scrivere e la
timbratrice, il telegrafo è
stato sostituito dal telefono (passo epocale) e
finalmente sono arrivate anche le cassaforti.
Chiara
49
LA CORRISPONDENZA
“IL SOLDATO CHE PREGA”
―Durante gli anni duri e tristi della guerra per gli uffici postali circolava corrispondenza
proveniente dal fronte che i soldati inviavano alle persone care con lo scopo di mandare notizie,
per quanto possibili rassicuranti, sulle loro condizioni di salute. Non era raro vedere circolare
anche cartoline illustrate con significato religioso; per nostra grande fortuna abbiamo potuto
vederne una, portata a scuola da una nostra compagna Claudia Zanovello, datata 1916, quasi cento
anni fa, dal titolo “Il soldato che prega”. Claudia ci dice che ha ricevuto la cartolina da nonna
Letizia ed era stata indirizzata alla sua mamma Regina (trisavola di Claudia). Le era stata inviata
da suo figlio Biscuola Antonio che all‘epoca prestava servizio militare a Brescia e successivamente,
durante il primo conflitto mondiale era stato mandato al fronte, dal quale era riuscito
fortunatamente a tornare a casa. Questa cartolina è stata conservata nel tempo come un prezioso
ricordo da tramandare non solo in famiglia ma anche ad altre persone in circostanze speciali, come
questa del 150° dell‘Unità d‘Italia. Insieme con le insegnanti abbiamo analizzato questo prezioso
documento, riportiamo di seguito le nostre osservazioni‖.
LETTURA ED ANALISI DELL’IMMAGINE
FRONTE
“ IO SONO IL SIGNORE CHE
DÀ LA PACE” Isaia 45,6-7
―6 perché sappiano dall'Oriente fino
all'Occidente che non esiste Dio fuori di
me. Io sono il Signore e non v'è alcun
altro.
7 Io formo la luce e creo le tenebre,
faccio il bene e provoco la sciagura;
io, il Signore, compio tutto questo.”
OSSERVO…COMPRENDO…INTERPRETO
Questa cartolina è ricca di elementi simbolici che
rimandano a numerosi significati umani e
religiosi.
Partendo da una lettura artistica abbiamo colto
i singoli elementi che la compongono:
50
in primo piano:
 Gesù con l‘aureola, imponente al centro della scena, con una veste bianca e un drappo
rosso, nella mano sinistra un ramoscello di ulivo e la mano destra alzata, poggia i piedi
nudi sul mondo, mettendo in risalto una parte dell‘Italia;
 soldati con a divisa turchese e rossa: uniforme della fanteria austro-ungarica nel 1918, dei
quali 2 hanno lo sguardo rivolto verso Gesù;
 soldati, in atteggiamento di battaglia, vestono l‘uniforme grigio-verde del Regio esercito
italiano, rappresentato nella bandiera tricolore del 1861 nella quale è presente lo stemma
incoronato dei Savoia.
CURIOSITA‟: la corona che sovrasta lo stemma Savoia è presente solo nella bandiera in guerra e
nella bandiera di Stato.
 un albero di ulivo;
sullo sfondo :




alcune cime di montagna, su una in particolare si scorgono tre croci;
un fiume che scorre verso le truppe;
il sole che sorge e la parola PAX scritta nei suoi raggi luminosi;
si intravede una chiesa.
L‘incontro con il testo biblico ci ha fornito alcune informazioni utili a dare un giusto significato
alla cartolina analizzata.
La posizione, le dimensioni di Gesù indicano la Sua Onnipotenza nel mondo rappresentato dal
paesaggio e dalle truppe. L‘atteggiamento espresso dalle mani simboleggia la Sua volontà di
fermare la Guerra in nome della pace, sottolineato anche dalla parola PAX nel sole nascente, che
nel linguaggio cristiano indica Gesù.
La cartolina
presenta
ANALISI
DEL
RETROsul retro una preghiera composta dal cardinale Arcivescovo di Milano.
Sul retro della cartolina è incollato un francobollo con relative timbrature che ci permettono la
datazione della spedizione e del ricevimento della cartolina.
5 c. • Effigie di Vittorio
Emanuele III volta a sinistra.
Data di emissione di questa
serie: ottobre 1906
i più cordiali
affettuosi saluti
e Baci da tuo fillio
Antonio Biscuolc ciao
Baci ai filli
Messaggio scritto da Antonio Biscuola alla madre
La cartolina è stata spedita da Salò (BS)
il 7 giugno 1916 ed è giunta a Merlara (PD)
il 12 giugno.
51
LE NOSTRE RIFLESSIONI…
La preghiera riportata sul retro della cartolina ci ha fatto riflettere e comprendere quanto
importante sia stato il ―sacrificio‖ , anche della vita, dei nostri soldati al fronte, per offrire “la
tranquillità di una pace onorata alla nostra cara Patria”. Dopo aver analizzato il testo ecco
alcune nostre personali riflessioni:
IL TESTO DELLA PREGHIERA
IL SOLDATO CHE PREGA
Orazione del Card. Arcivescovo di Milano
Amabilissimo Divin Redentore, Voi avete detto:
“Venite a me, ed io darò sollievo;” a Voi ricor –
riamo fidenti nella ineffabile vostra bontà onde
aver forza e coraggio per una vita di abnegazione
e di sacrificio, quale ha da essere quella del buon
soldato nell‟ora di guerra.
Vergine Santissima, Madre di Dio, intercedete
per noi presso il Divin Vostro Figlio ed implorate
per tutti pietà e grazia; la vittoria a quelli che combattono, la requie beata a quelli che muoiono, il
coraggio a quelli che soffrono, la tranquillità di
una pace onorata alla cara nostra Patria.
… ―Questa preghiera infonde tristezza,
contentezza, e soddisfazione per una pace
onorata.‖…
(Federico - Hossam)
…‖Positiva la richiesta a Gesù per avere la
pace.‖…
(Andrea)
…‖La richiesta a Gesù dà maggior
sicurezza personale.‖…
(Cristiano)
…‖Sento un desiderio di speranza, sicura
che Dio aiuta tutti.‖…
(Arianna)
…‖Provo ammirazione per il coraggio e per
il sacrificio dei soldati che vanno in
guerra.‖…
(Michael)
…‖Noi oggi siamo fortunati perché siamo
in pace.‖…
(Lara)
…‖Provo tristezza per chi ha sofferto e
riconoscenza per il sacrificio fatto per noi
che oggi abbiamo un‘Italia in pace.‖…
(Claudia)
…‖Questo soldato manda alla madre la
rassicurazione di essere nelle mani di Dio
che aiuta tutti.‖…
(Aurora B.)
…‖In fondo ogni soldato, anche se uccide, non lo fa perché è cattivo, ma per la pace di tutti.‖
(Patryk)
…‖Senz‘altro Gesù avrà esaudito la richiesta della preghiera.‖
(Giulia)
…‖Sentiamo tristezza per i tanti soldati morti, sicurezza nelle mani fraterne di Dio.‖…
(Riccardo - Ambra - Marco)
…‖Sento che Dio avrà dato conforto anche alla mamma di questo soldato.‖…
(Giacomo)
…‖Proviamo riconoscenza per tutti i soldati che hanno sofferto per noi.‖…
(Samuele - Chiara S. - Greta)
52
CONCLUSIONE
A conclusione del percorso svolto, vogliamo riportare l’intervista fatta alla
sig.ra Zanoni Mariuccia, residente a San Zenone, direttrice dell’attuale
ufficio postale di Minerbe, situato in via Europa. Le abbiamo chiesto di
parlarci del servizio postale al giorno d’oggi, e dei più significativi
cambiamenti avvenuti in tempi recenti.
Sig.ra Mariuccia, da quanti anni
lavora nel servizio postale?
Lavoro alle Poste Italiane dal 1984 e, dopo
aver girovagato per vari uffici (Agordo e
Castelfranco Veneto in provincia di Treviso)
sono arrivata al primo ufficio in provincia di
Verona a Gazzolo d‘ Arcole. Ho trascorso
altri 12 anni a Santo Stefano di Zimella per
poi essere nominata il primo agosto 1999
Direttore dell‘ Ufficio Postale di Minerbe,
dove attualmente lavoro. Sono arrivata a
Minerbe per sostituire il Direttore Renzo
Munaro che è andato in pensione dopo 40
anni di servizio alle Poste Italiane.
Nel corso della sua carriera, in
particolare negli ultimi anni, quali
innovazioni tecnologiche e di offerta
del servizio sono state apportate al
settore postale?
Dai primi anni molte cose sono cambiate in
Poste Italiane e in positivo: dallo scrivere
tutto a mano o con il supporto di macchine
vecchie, siamo passati all‘ era del computer e
per noi è stato un passo da gigante, una
rivoluzione, un modo di lavorare innovativo
che ci ha permesso quindi di ampliare l‘
offerta dei servizi, ai clienti lontani, e oggi
Poste Italiane permette al cliente di investire
anche somme di denaro. Gli
uffici, vedi il nostro, sono
ormai dotati di sportelli
Postamat
per
agevolare
l‘utenza. Tuttavia la tecnologia
penalizza da un lato la
comunicazione attraverso la scrittura, un
tempo principale veicolo di comunicazione.
SMS, telefono e computer fanno perdere l‘
abitudine di scrivere e di esprimere con lo
scritto quello che a volte non si riesce a dire
oralmente. Anno dopo anno chi opera nelle
poste ha visto diminuire la quantità di lettere
e cartoline, il cittadino si rivolge a noi
principalmente per il pagamento dei tributi o
l‘invio di raccomandate, e, non meno
importante, il ritiro di soldi.
A suo parere come viene vista, oggi
la figura del portalettere?
Il portalettere è sempre stata una figura
importante per le Poste, basti pensare che la
parola Poste fa subito venire in mente la
lettera che si trovava nella cassetta della
posta, magari tanto attesa per gli auguri o per
ricevere notizie dai parenti lontani, situazioni
ora dimenticate perché nessuno scrive più.
Nell‘era
della
telecomunicazione
il
portalettere non è più atteso con trepidazione
come un tempo per i motivi che ho già detto.
Lei è figlia di uno dei postini storici
di Minerbe, ci vuol dire qualcosa in
merito?
Mio padre, Dino Zanoni, ha prestato servizio,
dal lontano 1960 al 1990, quando si è ritirato
per pensionamento, per buona parte della
sua carriera c‘è stato come direttore il sig.
Munaro. Egli ricorda ancora quando in
passato al postino venivano chiesti dei
―favori‖ da quei cittadini, ”le vecete” in
particolare, che magari non erano in grado di
leggere e interpretare il messaggio contenuto
nella posta ricevuta. Ciò è impensabile al
giorno d‘oggi per questione di privacy. E‘
anche per questo motivo che un tempo la
figura del postino era importante nella vita
del paese e ricordata poi nel tempo.
Per concludere si sente di dirci
qualche
personale riflessione in
merito alla sua professione?
In questi anni ci sono stati molti cambiamenti
in Poste Italiane che hanno impegnato tante
persone, abituate alla penna, a cambiare
modo di lavorare. Il contatto ed il rapporto
umano con molte persone, conosciute o no,
rimane comunque il nostro punto di forza.
Penso che ognuno di noi, almeno una volta
nella vita, abbia frequentato un Ufficio
Postale; per me, oltre ad essere l‘Ufficio dove
lavoro con soddisfazione, è un luogo di
scambio e di relazione con molte persone di
tutte le razze, conosciute o meno, che riempie
bene il mio tempo.
53
MONETE DI IERI
Anna Bisin ha portato a scuola alcune monetine. Sono
lire, non sono più in uso!
Le ha trovate nella grande casa della bisnonna Rosa, in
un cassetto. Sapeva che avevano un valore storico. Infatti
queste monete raccontano un pezzetto dei 150 anni
dell‘Italia unita.
Novanta anni fa, all‘epoca di queste monete, in Italia il
capo dello stato era un re, aiutato da deputati e senatori.
Si chiamava Vittorio Emanuele III di Savoia. Lo vedo
raffigurato nel fronte delle monete.
Osserviamole nei due fronti e registriamo i dati
Esagono,
Regno d’Italia
1919
20 centesimi
Leoni,
Vittorio Emanuele III
1925
50 centesimi
Ape,
Re d’Italia
Vittorio Emanuele III
1928
10 centesimi
Spiga,
Re d’Italia
Vittorio Emanuele III
1928
5 centesimi
Re d’Italia
Chi era Vittorio Emanuele III?
Era l‘erede di una famiglia nobile che proveniva da una regione della Francia, la Savoia.
Il suo nonno, Vittorio Emanuele II, aveva unito l‘Italia in un Regno. Per questo è chiamato il Padre
della Patria. Quando c‘erano i re il potere passava di padre in figlio.
In Italia, molti anni fa, abbiamo preferito un presidente della Repubblica eletto da deputati e
senatori. Oggi è Giorgio Napolitano.
Proviamo anche noi a votare qualcuno per un incarico, per esempio il responsabile di classe.
54
Povertà e ricchezza quando la nonna era bambina: intervistiamo la signora
IVANA ROCCHI FONTANA
Ci racconta i suoi dati biografici? Dove abita?
Che studi ha fatto?
Da bambina abitavo in via Suppiavento, la via Giuseppe
Verdi di oggi, in una famiglia di quattordici persone.
Sono nata nel lontano 1940 qui a Minerbe.
Sono sempre vissuta in questo paese perciò ho visto tutti
i suoi cambiamenti.
Abito ora in Viale Ungheria insieme a mio marito Renato
e godo della compagnia del mio nipotino Edoardo che è
vostro compagno. Gli voglio molto bene come me ne
voleva mio nonno che voleva che io proseguissi gli studi,
invece ho frequentato solo fino alla quinta elementare. Avevo tanta passione per leggere e
ce l‘ho ancora. Della mia classe di trenta femmine solo tre hanno studiato. Occorreva
andare a Legnago, qui a Minerbe c‘erano solo le scuole elementari. Io le ho frequentate nel
fabbricato di fianco alla chiesa e siccome erano davvero tanti gli alunni, si frequentava in
due turni, al mattino o al pomeriggio. Poi ho lavorato presto
accompagnando mio zio che faceva il venditore ambulante di stoffe.
Abbiamo visto i soldini dove era raffigurato il Re. Che monete usava quando era
bambina?
Io sono stata bambina quando era da poco finita la seconda guerra mondiale. Usavano
allora le lire di carta. Io vedevo quelle da una o due lire: per esempio in chiesa le sedie
erano tutte accatastate e con quei soldini si ―pagava‖ la sedia. Non c‘erano più le monete
dove era raffigurato il Re: la monarchia dei Savoia aveva lasciato il posto alla Repubblica.
Ai suoi tempi i bambini avevano soldini per sé? Cosa comperavano?
Alla domenica pomeriggio si andava tutti insieme alle funzioni religiose. Alla fine ci
compravamo con le lire che ci davano i genitori i ―momoni‖ in certi negozi della piazza:
liquirizia, caramelle, farina di castagna. Per la scuola non usavamo tutte le cose che avete
voi ora: bastavano una penna con il pennino, dei quaderni piccoli.
55
Ivana è la seconda da
destra in seconda fila
In famiglia si stava bene? Mancava qualcosa?
In famiglia si stava abbastanza bene se si disponeva di un pezzetto di terra per poter
allevare un maiale, delle galline, alcune anatre e una mucca. Io di mucche ne avevo solo
una e il latte che non usavamo lo portavamo a una delle due latterie del paese.
Dove facevate la spesa? Cosa usavate per contenerla?
Non c‘erano allora i supermercati di oggi, ma tanti piccoli negozi. Quello che serviva si
metteva in un cartoccio di carta, non c‘erano le confezioni di adesso. Passavano per il
paese dei venditori ambulanti col cavallo e il carretto: andavano di casa in casa per
vendere ciò che serviva. Siccome pochi disponevano dei soldi in contanti, si usava
annotare in un libretto e pagare ogni tanto quando si disponeva della cifra necessaria.
In casa si proteggevano i cibi con la ―moscarola‖: una specie di scatola di rete sottile per
proteggere appunto dalle mosche.
Mancava un elettrodomestico oggi indispensabile: il frigorifero o il freezer per conservare.
Sapete come si faceva a rinfrescare l‘acqua e la frutta? Si introducevano in un cestello nel
fondo del pozzo.
È vero che si usavano le uova come monete? Ci racconti.
Le uova servivano quasi come monete. Quando le galline del pollaio ne deponevano in
eccesso venivano portate dal negoziante che scalava dalla spesa il valore equivalente.
Anche per altre cose si usavano le merci al posto del denaro: per esempio chi andava al
mulino - ce n‘erano molti a Minerbe - lasciava al mugnaio una parte di farina che serviva
come paga. Insomma, si tornava dal mulino con il sacco più leggero.
C’erano poveri che chiedevano la carità?
C‘erano purtroppo persone così povere che vivevano di elemosina. Ricordo uno che aveva
un bastone che terminava con un chiodo col quale raccoglieva le cicche delle sigarette
fuori dal caffé della piazza. Si accontentava dei resti delle sigarette già fumate. C‘era una
povera donna rimasta da sola con figli da allevare che era costretta a chiedere la carità di
casa in casa.
C’erano anche i ricchi?
Certo. I ricchi in paese erano tre, quattro. Molte erano le persone poverissime, ma un buon
numero di minerbesi disponeva di tutto il necessario per vivere.
Cosa dicevano i detti popolari sui soldi?
Si diceva: ―Schei fa schei‖. Secondo me voleva dire che chi era ricco voleva esserlo ancora
di più.
56
Sapeva cos’era il risparmio?
Eccome. Da bambina avevo un salvadanaio e un libretto di piccolo risparmio dove
venivano registrati i soldini che riuscivo a mettere da parte.
Pensate che l‘ho ritrovato dopo tanti anni, ma ormai quei soldini li ho perduti…non
valgono più. Si risparmiavano anche le scarpe: andavamo a messa con le scarpe in mano e
le cambiavamo nei pressi del paese. Tutti facevano così, le scarpe buone non si si
consumavano e restavano pulite.
Oggi secondo lei si sta meglio?
Si vive meglio certamente. Voi bambini avete tante cose, giocattoli, giochi elettronici, il
Nintendo…ma, secondo me, vi mancano delle cose importante: le emozioni. Da ragazzina
una volta sono andata con le amiche a raccogliere i nidi sugli alberi, ma quando abbiamo
visto che c‘era la mamma di quelle uova nei pressi, abbiamo rimesso tutto al suo posto.
La natura è ancora là e vi aspetta…
È contenta di festeggiare l’Italia Unita?
Sono molto contenta di festeggiare i 150 anni dell‘unità d‘Italia. Quando sento l‘inno
nazionale mi commuovo, mi commuovo solo a parlarne.
Per il futuro c’è qualcosa che la preoccupa?
Tante cose mi preoccupano un po‘, ma ci siete voi che siete bambini e questo mi fa sperare
bene.
Marina
Edoardo
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FAMIGLIE A MINERBE: STORIE NELLA STORIA
INTERVISTA: CONTESSA VALENTINA SOMAGLIA DI STOPAZZOLA.
Da quando la vostra famiglia è stata insignita del titolo
di Conte?
Circa dal 1500 e il titolo viene tramandato a tutti i componenti
della famiglia, mentre il patrimonio appartiene al primogenito.
Perché avete questo titolo onorifico?
Per meriti militari, perché tutti componenti della nostra famiglia
erano militari.
Garibaldi anche… a Minerbe
A chi appartenevano queste giubbe, questi cappelli e questa bandiera?
Erano dei Cacciatori delle Alpi che sono passati da Minerbe e la bandiera italiana con lo
stemma apparteneva ai Savoia.
Chi erano i Cacciatori delle Alpi?
Erano amici di Garibaldi che combattevano i nemici austriaci sulle Alpi per cercare di
conquistare il Trentino.
I componenti della sua famiglia hanno combattuto con Garibaldi?
Sì, alcuni miei antenati.
Sono sempre vissuti in questa casa?
Sì, la famiglia era composta da molte persone che sono sempre vissuti qui, però questa
casa diventava anche presidio militare e perfino ospedale durante le guerre.
Nei momenti di pace com’era la vita a Minerbe?
Le famiglia Aristocratiche si facevano aiutare dai contadini che vivevano accanto alla villa
e quando i signori Conti andavano in città, i contadini si prendevano cura di tutto. Fra i
contadini c‘era il mezzadro che divideva a
metà il raccolto col padrone.
Come si viveva nella sua famiglia?
Gli uomini andavano in guerra o gestivano i
terreni; le donne studiavano in casa: canto,
ballo, galateo, poesia, storia italiana e
dovevano diventare donne perfette da sposare.
Dimora Stopazzola
58
Dovevano saper cucinare?
No, perché c‘era la servitù che proveniva dai contadini.
Come si vestivano le donne? E gli uomini?
Gli uomini erano sempre in giacca e gilet, le donne strizzate in corpetti e bustini che
rendevano il loro girovita sottilissimo, ma questa moda innaturale provocava loro la
malattia della tubercolosi. I vestiti molto sfarzosi venivano tramandati di madre in figlia.
Esisteva una corretta igiene personale?
No, esistevano tanti pidocchi e di tanti tipi, per questo avevano inventato una strana
―pallina cattura pidocchi‖ di avorio.
La possedevano i ricchi, mentre i
poveri grattavano.
Signora, in quel quadro c’è
una mamma che allatta; è una
componente della famiglia?
No, è una balia, cioè una donna
umile che aveva appena avuto un
figlio perciò aveva il latte e, siccome
le donne Aristocratiche pensavano
che allattare al seno il proprio figlio
fosse poco dignitoso, facevano
allattare i figli dalle balie:
Quadro di famiglia
La signora Valentina
il bimbo raffigurato è un nostro antenato.
Com’erano i rapporti in famiglia?
In tutte le famiglie la persona più importante era il padre al quale i figli si rivolgevano con
il pronome voi e non ci si ribellava mai alle decisioni del capo famiglia. Anche la moglie
usava il voi con il marito e viceversa.
Tra il 1861 e i primi anni del 1900 Minerbe, era
molto o poco popolata?
In quei tempi esistevano circa settecento famiglie, tutte con
molti figli, perché questi rappresentavano la ricchezza della
manodopera e a quel tempo il lavoro certo non mancava:
incominciavano a vedersi le prime risaie dove lavoravano
esclusivamente donne e fanciulle chiamate mondine. Il resto
della campagna era coltivata a frumento e granoturco. Si
moriva giovani perché non esistevano le medicine.
Foto di famiglia
TESTIMONIANZA: CARLO ROSSETTO, classe quinta
Questa è la foto dei miei antenati.
Le persone rappresentate fanno parte della famiglia Arzenton,
composta da sei persone. In questa foto sono riconoscibili da
sinistra: il nonno di mio papà Antonio, Carlo Arzenton, nato
nel 1899, il capostipite Domenico Arzenton, agricoltore
benestante nato nel 1873; di seguito gli altri tre figli: Luigi,
Giovanni e Maria che andarono alla scuola pubblica
elementare fino alla classe terza, mentre Carlo frequentò anche
il primo anno della odierne scuole medie.
59
Quando la mamma morì dando alla luce il quarto figlio Domenico si trovò da solo con
quattro figli piccoli.
Con grande dispiacere dovette affidarli a dei parenti.
Carlo venne affidato ad un parente sacerdote. Successivamente però il capostipite
Domenico si risposò con Oliva che divenne matrigna un po‘ autoritaria, ma buona.
La mia famiglia originaria visse dal 1900 in poi a Borgo San Marco, una località del
comune di Montagnana nei pressi di Bevilacqua. Carlo crebbe e, giovanissimo, partecipò
alla prima guerra mondiale combattendo per i confini d‘Italia nelle trincee sul Monte
Grappa.
Tornato dalla guerra si fece una famiglia sposandosi con nonna Sofia. La coppia ebbe
quattro figli: Rita, Maria, Domenico e Gemma tutti, in età matura, impegnati nel lavoro dei
campi. È proprio l‘ultimogenita Gemma la mamma di mio papà Antonio Rossetto.
Carlo Arzenton venne chiamato alle armi per combattere anche nella seconda Guerra
Mondiale, ma poi tornò a casa perché la legge prevedeva l‘esonero per le famiglie
numerose. Ebbe comunque i meriti di guerra per essere nominato Cavaliere di Vittorio
Veneto.
Riguardo ai rapporti all‘interno della famiglia mi hanno raccontato che non esistevano
manifestazioni d‘affetto, c‘era molto rigore tanto che ci si rivolgeva con il voi, tranne nella
famiglia di Carlo e Sofia dove incominciarono ad usare il più confidenziale tu.
TESTIMONIANZA: CRISTIAN FRACCAROLO, classe quinta
Ecco una storia che viene da lontano: la bisnonna di mio padre che nacque nel 1900 a San
Paolo in Brasile. Si chiamava Coradini Luigia e viveva con i suoi quattro fratelli in quella
città dell‘America del Sud dove coltivavano una piantagione di caffé. Nel 1905 scapparono
dal Brasile a causa di un colpo di stato che diede vita a una guerra civile e loro per
sopravvivere fuggirono in Italia alla ricerca di lavoro e fortuna.
Si trasferirono a Cherubine di Cerea; qui Luigia diventò grande e sposò Turati Angelo dal
quale ebbe quattro figli, tre femmine ed un maschio. Vissero facendo i mezzadri dei Baroni
Trevise, una ricca famiglia del tempo che aveva parecchi terreni nella bassa legnaghese.
Una delle tre femmine si chiamava Gemma: è la mia bisnonna, madre della mia nonna
Lina Ottenio moglie di mio nonno Luciano Fraccarolo. Mio padre Fausto è il loro figlio.
TESTIMONIANZA: FABIO BOARIN, classe quinta
Il mio trisavolo Placido Guerrino nacque a
Cerea proprio nell‘anno 1861 quando venne
proclamata l‘unità d‘Italia. Si sposò in
America con Sofia Zanetti dalla quale ebbe
tre figli: Ernesto Giuseppe, Ernesto e
Adelaide.
Faceva l‘impresario edile, sapeva impegnarsi
anche in grandi costruzioni, ma per delle
difficoltà nel lavoro decise di trasferirsi in
America. Una volta sistemato chiamò la
moglie, mia trisavola, che però era incerta se
seguirlo nel nuovo continente.
60
Alla seconda telefonata rifiutò di raggiungerlo. Così Placido Guerrino non si fece più
sentire giudicando a quel tempo l‘Italia povera e con scarse prospettive. In quegli anni la
guerra peggiorò le cose.
Come Placido anche molti Minerbesi emigrarono per cercare lavoro all’estero.
TESTIMONIANZA: ERIKA MARANA
Questa che si vede nella foto è la mia prozia Antonietta che insieme
alla sorella Maria e al fratello Alessandro emigrò nel 1956 ad Au in
Svizzera, nel cantone Sangallo, vicino a Rossac.
I miei prozii lavoravano in una fabbrica che produceva scatole e le
esportava anche in Italia. Vivevano in un appartamento di
proprietà del padrone della fabbrica, il quale che aveva fatto
costruire delle case proprio per i suoi operai. Il livello di vita era
buono come pure l‘integrazione.
Mio zio Alessandro, che ha fatto anche
l‘operaio edile,
è il terzo, da destra, nella prima fila nella
manifestazione ginnica.
In questa foto di gruppo invece, si vedono i miei prozii
e dei loro amici, tutti sorridenti, in una gita a piedi
dalla Svizzera all‘Austria.
Ecco una cartolina di quel tempo
Spedita da Alessandro ad Augusto
Marana di Pressana
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TESTIMONIANZA: ALBERTO SCOMPARIN
Nel 1962, quando ancora non ero nato, i miei nonni materni decisero di cercar fortuna in
Svizzera. Lasciarono Minerbe e andarono a vivere in un paesino di nome Ruti, vicino a
Zurigo, nel Cantone tedesco. Il nonno lavorava in una grossa fabbrica di orologi e la nonna
in un‘industria metalmeccanica.
In quegli anni non era così semplice vivere in Svizzera, per emigrare bisognava avere già
un contratto di lavoro e una casa, altrimenti le autorità svizzere non permettevano a
nessuno di entrare nel loro Paese. Le difficoltà all‘inizio furono molte, a causa della lingua,
delle abitudini di vita diverse dalle nostre, dalle regole di comportamento nel lavoro e
nella vita di tutti i giorni, regole che gli svizzeri, per cultura, adottavano naturalmente, ma
che pretendevano fossero adottate da subito anche dagli stranieri. La mamma mi
raccontava anche che gli italiani non erano visti di buon occhio dagli svizzeri. Prima che
nascesse la mia mamma, la nonna sentiva sempre una vicina chiamare la sua bimba: Edy
non correre, Edy vieni a casa, Edy…Edy…Si affezionò così tanto quel nome che due anni
dopo, nel marzo del 1964 quando nacque mia mamma la volle chiamare Hedwig (Edy).
Dato che i miei nonni lavoravano, la bambina trascorreva la giornata con una baby sitter
che durante le pulizie la metteva sul balcone con la carrozzina, anche in pieno inverno con
tutta la neve attorno. Dai due anni in poi visse a Minerbe con i nonni e le zie, ma durante
l‘estate tornava in Svizzera da mamma e papà. Nel frattempo le cose erano migliorate: i
miei nonni, in particolar modo mio nonno, si trovava molto bene perché era appassionato
di pesca e vicino a Ruti c‘era un paesino, Rappeswill, con un bellissimo lago, dove il nonno
trascorreva il tempo libero. Mia nonna non si era completamente abituata e spesso
ripensava a Minerbe e a tutti i suoi parenti e amici.
E fu così che all‘età di sei anni della mamma, i nonni dovettero prendere una decisione:
farle iniziare le scuole in Svizzera, e questo significava probabilmente rimanerci per
sempre, oppure ritornare in Italia. Alla fine, anche se con molto dispiacere perché si erano
inseriti nell‘ambiente svizzero, decisero di tornare in Italia, a Minerbe, dove la mamma
iniziò le scuole elementari.
Altre famiglie invece si trasferiscono dall’Italia Meridionale nelle nostre terre venete.
TESTIMONIANZA: ALESSIA FRONTERA
I primi della mia famiglia ad allontanarsi dalla
Calabria sono stati mio papà Salvatore e mio zio
Annibale. Nel 1982 si spostarono in Emilia
Romagna. Per lavoro poi si sono trasferiti a Lonigo
in provincia di Vicenza, dove hanno comprato
casa. Nel frattempo mio nonno Alfonso e mia
nonna Mafalda, visto che erano una numerosa
famiglia, cercavano casa anche loro e, nel 1990, la
trovarono qui a Minerbe.
Siamo emigrati dalla Calabria perché c‘era bisogno
di lavorare. Per questo tutti i ragazzi, in quegli
anni, finite le scuole medie, venivano a cercare
lavoro al nord.
62
Ci siamo trovati bene qui a Minerbe, e io, come altri figli, sono nata in questo paese dove,
grazie alle conoscenze di un amico, mio papà e i suoi fratelli hanno trovato lavoro come
muratori. In questo mestiere mio papà era molto bravo!
I dati anagrafici del Comune registrano oggi a Minerbe 1783 famiglie.
Le famiglie di oggi assomigliano alle famiglie di un tempo?
FILASTROCCA: IL PRESENTE CHE FU
C‘era una volta
e ancora c‘è
la famiglia intorno a me!
Numerosa o piccina che sia
stringe in armonia
mamma, papà, fratelli
che sono gli affetti più belli.
La famiglia attuale
è davvero un po‘ speciale,
nella casa si sta in tre
perché spazio non ce n‘è!
Per rispondere alle richieste
di cui la vita ci riveste
ogni genitore deve lavorare
e parecchi soldi guadagnare,
per ai figli garantire
un buon futuro da costruire.
Per fortuna i nonni son presenti
quando i genitori sono assenti,
a casa loro devo andare
e la sera aspettare
di volare fra le braccia
della mamma che mi bacia.
Nel lettone, fra mamma e papà,
è proprio calda la felicità,
baci, scherzi e carezze
son davvero gran dolcezze.
E nel passato che fu
in famiglia ci si dava del tu?
No di certo
il VOI era aperto
sotto forma di rispetto.
Ci si stringeva affettuosamente
o si obbediva ciecamente?
Ah, guai dire di no
a mamma e papà
sarebbe stata una gran viltà!
Obbedienza assoluta
e da tutti conosciuta.
E i figli cosa dovevano fare,
lavorare o studiare?
Lavorare sicuramente,
coltivare alacremente
raccogliendo quel po‘ di tutto
che la terra dava come frutto.
Quante domande ho fatto
per capire la famiglia del passato!
Tutto non posso scrivere,
diverso era il modo di vivere…
Villa Stopazzola abbiam visitato,
lì abbiamo ascoltato
che una volta, una donna
obbediente
in cucina non sapeva fare niente:
l‘importante era saper ben danzar
per trovare un uomo da sposare.
Quando poi mamma diventava
i figli, di certo, non allattava.
C‘erano infatti brave balie
Che nutrivano bimbi sanissimi
donando anticorpi
importantissimi.
Carini quei piccoli abitini
che indossavano i ricchi bambini;
giacchini ornati e bellissime
cuffiette
coprivano le loro tenere
orecchiette.
I tempi sono cambiati
ma i sentimenti mai tramontati.
Saper il passato mi è proprio
piaciuto
perché cose nuove ho conosciuto.
La storia non è solo quella
studiata
ma è anche quella
dai ricordi testimoniata.
E allora come adesso
solo in famiglia è permesso
maturare con successo.
TESTIMONIANZA: GIULIA COLZATO
Questa è la mia bella famiglia. Siamo solo in tre e tanto
amore c‘è! Bella differenza con le famiglie di una volta,
vero? I miei genitori mi dicono che oggi la famiglia si è
ristretta numericamente perché sono aumentate le
esigenze del vivere bene: servono due stipendi per
garantire la scuola, lo sport, la salute… il futuro per i
propri figli… Fra di noi viviamo con spontaneità ed
espansività, senza formalismi, perché la mia famiglia è
il luogo della mia crescita, della mia maturazione e dell‘amore sicuro.
Diciamo insieme con convinzione:
―Alla famiglia dobbiamo tornare come valore da rispettare‖.
63
IL TERRITORIO
Il parroco di Minerbe Don Tommaso Micheletto, alla fine del 1957, riporta un articolo di
Verona Fedele, pubblicato in occasione della visita del Vescovo, che così descrive il
territorio del paese.
“Minerbe nel suo distendersi pigramente al cocente sole e alle grasse nebbie della bassa, riesce ad
offrire in mostra al passeggero antiche ville e palazzi che parlano della antica prosperità e nobiltà, di
quando ben 11 famiglie di blasonati vi avevano residenza, come pure mostra moderne costruzioni
che danno la misura di una non meno invidiabile nobiltà qual è quella del fecondo lavoro e della
privata intraprendenza.
La duplice fila di alberelli dai fiori policromi che dà un‟aria festaiola e ridente al paese è il primo
biglietto di presentazione per chi ha l‟avventura di capitarvi nella buona stagione. La cordialità, il
buon umore e la nobiltà d‟animo della popolazione completano il quadro generale di questa piccola
capitale delle basse veronese alla sinistra dell‟Adige.
Naturalmente anche Minerbe come in ogni paese della bassa la fonte principale di benessere è
l‟agricoltura. Oltre alla cultura del riso per cui la produzione del famoso “vialone” dà un posto di
assoluto privilegio qualitativo al paese tanto da farlo riconoscere come il “feudo del riso”,
preminenti sono le culture di frumento, di granoturco, barbabietole e tabacco (anche quello pregiato
da sigaretta) mentre in questi ultimi anni grande sviluppo ha preso la coltivazione stagionale su
larga scala dei fagiolini e dei pomodori”.
LA TERRA – LE ACQUE – L’UOMO
In occasione del centocinquantesimo anniversario dell‘unità d‘Italia si è ritenuto
opportuno di intraprendere un percorso alla riscoperta di alcune tradizioni ed aspetti
ormai scomparsi del territorio veronese ed in particolare di quelli più diffusi nel
comprensorio comunale di Minerbe. In particolare ci si è soffermati a ricordare gli aspetti
del mondo agricolo, le colture più diffuse che hanno in sostanza caratterizzato l‘economia
rurale di un territorio pianeggiante e ricco di acque.
Si è iniziato pertanto, prendendo in esame l‘aspetto geografico mediante l‘analisi
cartografica storica e più recente e di seguito puntualizzando gli insediamenti delle grandi
famiglie che hanno sostanzialmente gestito la vita degli abitanti e trasformato il territorio.
Ne è derivato, da parte delle classi I B e C della Secondaria di Minerbe, uno studio
approfondito e documentato sui vari aspetti della nascita e dello sviluppo della
coltivazione del riso nel territorio a partire dal 1500 fino al secolo scorso, quando si è
registrata una progressiva disaffezione della risicultura a favore di altre colture.
Parallelamente a questa ricerca, che ha trovato spazio in un‘apposita monografia a
disposizione degli interessati, si sono incontrate mondine, visitato corti, ricostruito e
documentato testimonianze.
Il lavoro inoltre è stato integrato con testimonianze dirette di persone che hanno vissuto i
periodi più significativi dell‘evoluzione socio-culturale ed economica del territorio. Si
riportano i contenuti delle interviste effettuate a quei personaggi che, per la
professionalità svolta nel campo agricolo, hanno contribuito alla grande evoluzione
maturata e che oggi pone l‘economia minerbese tra le più fiorenti e dinamiche della
provincia.
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VISITA A CORTE VIVALDI
In località ―Le Comuni” di Minerbe c‘è una grande corte che sovrintende un podere agricolo
di circa 150 ettari (quasi 450 campi veronesi) un tempo tutto coltivato a risaia. A corte ―Le
Comuni‖ è ancora possibile rendersi conto di come funzionava la gestione imprenditoriale
della risaia attuata tra il settecento e i primi decenni del novecento. Il compendio consta di
una grande aia rettangolare, di magazzini, di un portico spazioso che fronteggia il fabbricato
un tempo destinato a stalla. All‘inizio della corte, poco oltre l‘ingresso l‘abitazione del
castaldo e aderente all‘altro lato del portico, la dimora padronale. Nel retro una “pilla” da riso
lodevolmente restaurata che conserva ancora sia le chiaviche di regolazione delle acque
destinate al funzionamento della ruota motrice, che la ruota in grado di girare e far girare
l‘ingranaggio dentato collegato ad una serie di puleggie, cinghie e ―gardani“ che assicurano il
movimento sincronizzato di tutte le apparecchiature destinate alla “pillatura” del risone.
La corte è circondata da un canale un tempo navigabile munito di una chiavica di
regolazione dei deflussi. Le acque necessarie sia alla navigazione interna ed esterna del fondo
nonché alla coltivazione delle vaste risaie, anche attualmente, sono derivate dalla Fossa
Serega; sono quindi acque calde che provengono dalla bonifica Zerpana, dal territorio di
Belfiore. Sembra quasi una cosa provvidenziale che le acque fatte defluire dalla Zerpa per
rendere coltivabili quelle terre acquitrinose e basse abbiano costituito per secoli una
sorgente di ricchezza di altre terre, di altra gente. E‘ anche questo come tanti altri, un
miracolo della natura, spesso inosservato.
L’ingresso a Corte Le Comuni, ora Vivaldi
Il portico
Il compendio visto dal portone di ingresso
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La chiavica di regolazione dei deflussi del canale di
accesso al molo della corte
La barca, il paesaggio agreste e i resti di un ponte
di collegamento con le risaie
Il canale navigabile che immette al molo
La “Pilla” vista dall‟esterno e il manufatto di
regolazione dell‟uso della ruota motrice
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La grande ruota a pale che produce la forza
motrice necessaria al funzionamento della “pilla”
Le attrezzature usate per la “pillatura del risone”
Il grande camino presente nella “pilla”
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INTERVISTE ALLE EX MONDINE DI MINERBE
Le due mondine intervistate sono: Righetti Maria Bertilla e Zulin Pierina Ada ed abitano
entrambe a Minerbe.
MARIA BERTILLA è venuta gentilmente a farci visita
nelle classi, I B e I C per rilasciarci la sua testimonianza.
Noi ragazzi eravamo curiosi non solo di sentire i suoi
ricordi ma soprattutto di vedere il volto di una persona
che ha vissuto faticose esperienze di vita in momenti
difficili quali quelli del dopo guerra.
Nei giorni precedenti ci siamo consultati per decidere le
domande che volevamo fare e così una volta entrata nella
classe eravamo ansiosi di iniziare.
Come si chiama ? Quando è nata ?
Mi chiamo Righetti Maria ma tutti mi conoscono con il nome di Bertilla, sono nata il 29
novembre 1935 ed abito a Minerbe.
Quanti anni ha lavorato nella risaia ?
Ho iniziato a lavorare come mondina all‘età di 16 anni perché sono partita con mia madre
che era capo-mondina. Ho continuato per 5 anni e lavorato a Pavia, Mortara, Vercelli e,
negli anni 1961-1962 anche qui a Minerbe, a ―Le Comuni‖ non come mondina ma alla
―medanda‖ vale a dire alla falciatura del riso che si effettuava col ―falcetto‖ e durava circa
30 giorni. In quegli anni ero già sposata e mi sono portata a casa, oltre che ai soldi, anche
due quintali di riso.
Quando si partiva ?
Si partiva intorno al 20-23 maggio e si rimaneva fino alla metà di giugno, quindi per 40
giorni circa.
Chi organizzava il viaggio ?
Il viaggio era organizzato dal Patronato Nazionale per l‘Assistenza Sociale di Verona.
Venivano reclutate le ragazze provenienti dai comuni della provincia di Verona ma anche
altre di provincie vicine, quali Vicenza, Rovigo e Brescia. Noi partivamo da Legnago in
treno e si arrivava a Mantova dove venivamo raccolte in una ―tradotta‖ vale a dire su un
treno destinato a trasportare i lavoratori. Era un treno con tante carrozze quindi molto
lungo e che doveva dare, nelle stazioni, la precedenza a tutti gli altri treni per cui capitava
di rimanere parcheggiati su binari morti anche per ore. Venivamo fatte scendere a gruppi
secondo le località di lavoro e lì eravamo attese dai dipendenti del padrone della risaia
con carri trainati da cavalli che ci portavano direttamente nelle ―cascine‖ destinate a nostri
alloggi.
Cosa si portava per il viaggio e la permanenza di lavoro ?
Partivamo con una valigia di legno già pesante da vuota perché quelle di cartone si
rompevano. Dentro ci si metteva la biancheria di ricambio, dei pantaloni corti scuri e dei
vestiti. Un sacco di canapa per portare a casa il riso, le stoviglie (una scodella, una
forchetta, un cucchiaio, un coltello, un bicchiere di metallo) un pagliericcio vuoto che poi
veniva riempito di paglia e usato come materasso. Pungeva tanto per cui per i primi
giorni, fino a quando la paglia non si sminuzzava, era difficile dormire.
Quale era il lavoro svolto ?
Noi piantavamo le pianticelle di riso, provenienti dal vivaio e legate in piccoli mazzetti da
3-4 pianticelle, direttamente nel fango, a piedi nudi e andando in dietro come i gamberi.
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Le pianticelle di riso da piantare erano depositate sopra una slitta in legno trainata da un
cavallo.
Il ―cavallante‖ ci seguiva da vicino in modo che potevamo prendere le pianticelle al
bisogno. La risaia era da giorni allagata perché le acque dovevano essere calde per
favorire la crescita della pianticella, quindi si lavorava in mezzo all‘acqua alta fino a
mezza gamba e con i piedi nudi affondati nel fango e la schiena piegata.
Quante ore al giorno si lavorava ?
Otto ore al giorno oltre alle ore di straordinario che di solito erano due e pagate al doppio.
Quindi facevamo in modo di farle sempre perché le straordinarie venivamo pagate subito
e quindi potevamo disporre di soldi per le necessità e anche in più da portare a casa. La
domenica si lavorava dalle 6 fino alle 10. Alle 11 c‘era la S. Messa per cui si andava in
chiesa.
Dove eravate alloggiate ?
Noi eravamo alloggiate nelle cascine, fabbricati di campagna che avevano stanzoni grandi
come le camerate militari. Lì eravamo diversi gruppi anche di altre provincie. C‘erano le
brande dove oltre a dormire si mangiava.
Come era la sua giornata ?
Ci si alzava verso le 4 e mezza, si faceva colazione con pane e latte e poi ci si incamminava
a piedi verso la risaia che, a volte era lontana anche un‘ora. Si lavorava fino a mezzo
giorno, si tornava in cascina per il pranzo preparato da una mondina che faceva anche la
cuoca, poi si facevano altre due ore quindi si lavorava fino alle 15 e trenta circa. Quindi si
tornava in cascina o si facevano gli straordinari. Non di rado capitava che gli straordinari
venivano fatti su risaie di altri padroni che erano a corto di manodopera. Questi
straordinari ci venivano pagati bene e subito e inoltre si poteva raccogliere della verdura e
della frutta.
Cosa mangiavate ?
Sempre e solo minestra di riso, una brodaglia che non mi piaceva ma c‘era quella sola. Il
contratto di lavoro non prevedeva un pranzo con la seconda portata per cui dovevano
provvedere in proprio come per altre necessità alimentari. In sostanza chi voleva
mangiare di più o altro doveva comperarselo. A tale scopo passavano tra le cascine dei
venditori ambulanti con dei carrocci tirati da cavalli.
Nella cascina c’erano servizi igienici ?
I bagni erano di muratura situati fuori nel cortile. Attaccati alle pareti dei bagni c‘erano
dei lavandini per cui lì ci si poteva lavare le mani e la faccia. Il bagno si poteva farlo bene
nei fossi, l‘acqua non mancava ed era bella fresca.
Quanto si guadagnava ?
Si guadagnava bene. Era un lavoro pesante ma si portavano a casa dei bei soldi che spesso
servivano a pagare i debiti fatti. Io ho portato a casa da 30 a 50 mila lire e in più circa 35
chili di riso vale a dire un chilo al giorno.
Venivate trattate bene dai padroni ?
Dipendeva dai padroni. Alcuni erano comprensivi altri erano veramente autoritari;
qualcuno ci pungeva il fondo schiena non appena gli sembrava che avessimo rallentato il
ritmo di lavoro. Se pioveva era lo stesso.
Cosa succedeva se qualcuna si faceva male o si ammalava?
Se la malattia era di pochi giorni allora tutte le altre del gruppo lavoravano 10-15 minuti
in più per recuperare le ore dell‘ammalata.
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Se la malattia era grave e lunga allora veniva rispedita a casa e perdeva tutto. Mia madre,
che era capo mondina, mi raccontava che una ragazza era stata operata d‘urgenza
all‘ospedale per una appendicite e quindi, una volta dimessa, accompagnata a casa da mia
madre e pertanto ha perso ogni guadagno.
La capo mondina aveva anche la responsabilità di tutelare le mondine specie quelle
minorenni. C‘era uno spirito di collaborazione molto forte. La fatica e il disagio sopportati
lontano dalle case faceva crescere l‘unione e la solidarietà.
Avevate la busta paga ?
No, il padrone ci pagava in contanti la sera prima di partire e ci dava anche il riso.
Tuttavia versava regolarmente i contributi perché il lavoro era organizzato dal Patronato
e quindi dovevano essere rispettate le regole.
Come si passava il tempo ?
Durante il lavoro spesso si cantava o anche si pregava. Faceva dimenticare la fatica. Nel
tempo libero si giocava a carte oppure chi voleva ricamava. Io mi sono ricamate le federe
della ―dota‖ cioè la biancheria nuziale. Succedeva che quelle esperte in cucina si
scambiavano le ricette. Quindi le tradizioni della cucina veronese si mescolavano con
quelle delle altre province.
Come si comunicava con casa ?
C‘erano le cartoline postali che si scrivevano alla sera. Al fidanzato si scrivevano le lettere.
Il mio in quel periodo lavorava in Francia.
Ha qualche ricordo particolare ?
Alcuni padroni ci facevano lavorare anche quando pioveva tanto e ci facevano rientrare
solo se il temporale era particolarmente pericoloso. Una volta ci fu un violento nubifragio
che ha sorpreso un gruppo di mondine nella risaia. Non si sa cosa sia successo sta di fatto
che non si sono più trovate, scomparse nel nulla.
Altri episodi brutti avvenivano al ritorno a casa. I malfattori sapevano che le tradotte
erano piene di mondine che avevano riso e soldi quindi approfittavano quando la tradotta
era in sosta fuori dalle stazioni per derubarci. Mi ricordo che una volta abbiamo notato
delle brutte facce che tentavano di salire. In due-tre siamo scese e abbiamo avvertito la
sicurezza. Siamo state chiuse nei vagoni fino alla partenza. Abbiamo saputo che il giorno
prima erano state tutte derubate. I soldi non li mettevano più sul seno ma in sacchetti di
tela dentro alle mutande. Con quello che portavamo non era facile spogliarci con rapidità.
Cari ragazzi, spero di aver soddisfatto le vostre curiosità e di essere stata in grado di
rappresentarvi un mondo passato che, per tante di noi mondine, è stato anche un esempio
di vita e una fonte di guadagno essenziale.
La signora Bertilla con gli alunni delle classi I B e I C
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INTERVISTA: ZULIN PIERINA
Come si chiama ? Quando è nata ?
Mi chiamo Zulin Pierina ma tutti mi conoscono con il
nome Ada, sono nata il 14 luglio 1921 e abito a Minerbe.
Per quanto tempo ha svolto il lavoro di mondina?
Ho lavorato come mondina per sette anni e sono stata a
Vigevano, Vercelli e Pavia.
Per quale motivo ha deciso di partite per la risaia ?
Per necessità economiche in quanto mio padre si era ammalato
gravemente tanto che dopo pochi mesi è deceduto. Ho iniziato
nell‘immediato dopo guerra tra il 1948-1950 e ho continuato fino
dopo il 1955.
Da dove si partiva e in che periodo ?
Si partiva dalla stazione di Legnago dove si giungeva con le proprie gambe e la propria
valigia. La gente, nel vederci passare in fila, ci canzonava : “ecco le mondine che le va a la
stazion con la caseta in spala e le monta sul vagon”. Da Legnago si arrivava a Mantova dove il
Patronato aveva organizzato il viaggio della tradotta fino ai luoghi di lavoro. Di solito si
partiva in maggio, dopo la metà e si rimaneva per circa 40 giorni.
Chi faceva da mangiare ?
Nel gruppo di solito c‘era una mondina-cuoca che tornava prima dalla risaia e preparava
per tutta la camerata. Se non c‘era la cuoca, provvedeva a farlo la signora più anziana del
gruppo. Si mangiava male, brodaglia di riso, io non riuscivo a mangiarla per cui la davo ai
polli ai quali piaceva e ingrassavano in fretta. Il secondo piatto si doveva comperarlo per
cui anche pagare. Scatolette di sgombro, tonno, sardine ecc…
Quanto si guadagnava al giorno ?
Guadagnavo 1.000 lire al giorno più un chilo di riso, erano bei soldi che compensavano un
lavoro pesante tenuto conto che dalle nostre parti c‘era una diffusa disoccupazione.
Come eravate pagate ?
Eravamo pagate a giornata, gli straordinari erano a parte, pagati subito, al doppio come i
giorni di domenica .
C’erano pericoli nel rimanere nell’acqua?
Non mancavano certo le bisce e i topi, nemmeno gigantesche zanzare che ti giravano
intorno.
Ricorda alcuni nomi delle compagne di Minerbe ?
Certo, la Bertilla (vedi intervista) e sua madre, l‘Agnese di S. Zenone con sua sorella
Elena. Alcune sono già decedute.
Ricorda qualche episodio particolare ?
Ada con alcune colleghe mondine ai
limiti della risaia
Ricordi parecchi, ma soprattutto la presenza di numerosi
fotografi che venivano a immortalare le più belle che finivano
sulle copertine dei giornali e anche per allestire un concorso di
miss mondina. Ricordo anche che un anno ho perso un‘ora di
lavoro per andare dalla parrucchiera a farmi la permanente. Era
la prima volta che mi facevo i ricci. Altro episodio che ricordo
volentieri è il matrimonio di una mondina che, innamorata di
un giovane del posto, ha contratto matrimonio ed è rimasta in
quei luoghi. Io ogni anno torno a fare un giro a Vigevano, lì ho
parenti e quindi ne approfitto per rivedere i luoghi dove ho
trascorso giornate di lavoro faticoso ma anche dove ho trovato
amicizie e fatto esperienze indimenticabili.
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VISITA AD ANSON
Per celebrare i 150 anni dell‘Unità d‘Italia abbiamo voluto ricostruire, con interviste ad
alcuni personaggi, la storia di un angolo di Minerbe che si trova a nord-est del Comune e
che per un certo aspetto dà una corretta fisionomia della nostra Bassa e del paese nel corso
del tempo: Anson. Due contrade, quella di via Anson e di via Caseggiato, formano una
frazione di circa centosessanta abitanti, con la sua tipica località Campeggio –
Colombaron e con i suoi personaggi più illustri.
Ad Anson noi alunni abbiamo incontrato alcuni di essi, che in qualche modo conservano
la storia del luogo: il signor Zordan, presidente del gruppo promotore per Anson e
responsabile nonché curatore della chiesetta di Anson; una ex-mondina; Emanuele
Rebustini che conduce la pila Rebustini; la contessa Isabella Bernini, figlia del conte
Giandanese e attuale proprietaria di Campeggio; il Signor Marco Donà, presidente della
Coldiretti di Minerbe, nonché proprietario di un‘azienda agricola di Anson.
In una terra come questa ricca d‘acqua, barconi, battelli, traghetti e ―Barcagni‖
popolarono da sempre le rive, incidendo significativamente nell‘economia locale, nel
costume e nel modo di pensare. Un ruolo fondamentale rivestirono poi i mulini; i più
diffusi erario di due specie: terragno e natante. ll primo era cosi detto perché aveva in
acqua solo le pale, mentre l‘intera costruzione con l`impianto molitorio si trovava sulla
riva. ll secondo, invece, galleggiava completamente sull`acqua. Nel mulino si macinava
tutto: avena. miglio, farro, carpano, orzo, spelta, scandella, veccia, meliga, ghiande,
fave. Il diritto di condurre o costruire un mulino era ereditario e si poteva acquisire solo
dopo un periodo di apprendistato. Nel nostro territorio vi sono testimonianze del mulino
terragno.
Il nome Anson, rammenta proprio la grande ansa dell‘Adige che certamente vi scorreva
fino in epoca romana. In questo ambiente l‘acqua è stato elemento, materia, paesaggio,
luce ora è memoria di un mondo contadino. La contrada di Anson è nata dall‘esigenza di
abitare vicino al posto di lavoro da parte dei braccianti, una folla che lavorava a
Campeggio. Un tempo esisteva la "risaria" che si estendeva nelle campagne racchiuse fra
Anson e San Zenone di proprietà dei Conti Bernini, di Biondaro e di Marchioro; di essa ne
sono testimonianza le quattro pile d‘acqua –il mulino di Colombaron, Pila Vecchia o
Chiode lungo il Cao Rizzon, Campeggio con la Pila Rebustini, Comuni, abitate allora dal
"piloto" (mugnaio). Fu qui che, fino agli inizi del ‗900, centinaia di mondine hanno
lavorato sodo, con la schiena piegata e i piedi in ammollo, sotto l‘occhio inflessibile del
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risaro: il temuto sorvegliante che, oltre a regolare i livelli dell‘acqua e a mantenere pulite le
reti da pesca, non esitava a dare un colpetto di bastone a chi accennava a raddrizzarsi. Con
i ―barcagni‖, il riso raccolto in ―faie‖, legate con i ―balzi‖ , veniva portato e scaricato
nell‘aia ―il selase‖, dove veniva battuto con il ―battidore‖ e i chicchi venivano separati
dalla ―paia‖, poi lasciati ad essiccare per toglier loro la ―bula‖. Molte persone dovevano
prendersi cura del riso sull‘aia, e ciò costava pure tanta fatica. Il riso asciutto veniva poi
misurato con il ―minale‖. La vita era dura, i contadini, d‘altro canto, morivano con gran
facilità, a causa dell‘ambiente insalubre e della miseria in cui erano costretti a vivere.
Ad Anson vivono cinque ex mondine: le signore: Evelina e Franca Ottaviani, Gelmina
Frigo, Armida Galvan, Giuliana Micheletto.
La signora Evelina Ottaviani, ex mondina, ci
racconta di aver cominciato a lavorare in risaia
all‘età di quindici anni. Il nonno è stato il ―risaro‖
così pure il padre Gino, chiamato il colonnello per
la sua severità, e successivamente il fratello
Dante. La loro abitazione era situata al
Colombaron,
ma dal 1953 traslocarono a
Campeggio, nella casa del risaro o gastaldo,
posta sul lato sinistro della corte Campeggio,
dove attualmente abita il signor Guerra, uno dei
pochi lavoratori rimasti. Il gastaldo era la persona
di fiducia del padrone, conduceva lavori e li controllava. Nell‘azienda Bernini rimasero a
lavorare nella risaia circa sessanta persone tra donne e uomini fino agli anni ‘60, poi le
colture cambiarono.
Il lavoro della mondina era faticoso, solitamente bisognava lavorare con le gambe
nell‘acqua: si piantavano le piantine seguendo la ―spia‖ (colei che indicava il percorso
lineare), con il rastrello si raccoglieva lo sporco che galleggiando nell‘acqua, poteva
impedire una bella crescita del riso, si ripiantava il riso là dove non era ben cresciuto, …
Successivamente si usò seminare il riso che prima era stato messo a ―bagnare‖, così
diventava pesante e non galleggiava più nell‘acqua.
Le ore lavorative erano otto: si iniziava alle ore otto e si continuava fino a mezzogiorno,
poi si riprendeva alle due e si terminava alle ore diciotto. Talvolta si lavorava anche alla
domenica. Per curare le malattie tipiche di quell‘ambiente (bronchite e malaria) veniva
preso il chinino.
La cultura del riso estesa anche a mille campi, è stata smessa circa quarant‘anni fa, ma già
da prima ―tirare avanti‖ era faticoso e molti dovettero anche migrare fin dall‘800. In tutto
ora vi sono tre lavoratori fissi e ad essi si aggiungono poi dei lavoratori stagionali polacchi
e rumeni. Oltre ai cereali, vengono coltivati anche ortaggi, come peperoni, ma soprattutto
meloni.
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VILLA SPOLVERINI-BURI-BERNINI O CORTE CAMPEGGIO
Dalla Pila Rebustini, imboccando la strada
sterrata alla sua destra, si giunge alla corte
Campeggio, le cui origini risalgono ad un
periodo che va da poco prima del ‗600 al ‗700, in
origine era di proprietà Spolverini. Dalle pagine
della storia della villa compare poi il nobile
Giandanese Buri; ora è proprietà dei Conti
Bernini, Isabella e Giovanni, figli del conte
Giandanese Bernini, scomparso tre anni fa. Lì
abbiamo incontrato la signora Isabella la quale ci
ha detto che lei abita a Isola Rizza e viene a
Campeggio tutte le mattine per controllare le attività; ci ha anche detto che la sorella
Carlotta è proprietaria del Colombaron. La corte Campeggio è di notevole interesse
storico-artistico perché espressione di quelle ville dei nobili edificate per lo più tra il XIV e
il XVIII secolo nella pianura veronese. Queste particolari abitazioni, sebbene siano state
costruite in secoli diversi, alcune come ville, altre come corti nobiliari, non presentano
particolari differenze architettoniche. È la tipica ―corte da padrone‖ dove l‘edificio
risponde ad esigenze d‘immagine e a finalità produttive. In passato il Colombaron è stato
il ―quartier generale‖ dell‘organizzazione del lavoro. Ha un tipico disegno rinascimentale
veneto ed è l‘esempio esplicativo di una bella e funzionale corte nobiliare che, con la
grande aia in mattoni, è quella classica ―corte padronale‖ racchiusa e protetta da fabbricati
e mura. In questo complesso architettonico si può vedere un‘antica torre e ammirare la
chiesetta di Santa Chiara (risalente all‘anno 1567) dedicata a Sant‘Antonio da Padova, sulla
cui porta d‘entrata è posto l‘antico stemma del casato Spolverini; dotata di paramenti sacri,
viene aperta al pubblico in occasione della commemorazione del santo e in alcune
particolari ricorrenze.
UN GRANDE COMPLESSO
Il fabbricato, comprendente la villa, una grande corte con un‘immensa aia contornata da
una bassa muretta, fabbricati laterali, occupa una superficie di 10.000 metri quadrati, una
delle più grandi d‘Italia. Arrivati, noi ragazzi abbiamo cercato di orientarci
Siamo entrati nella corte, di forma quadrangolare, da sud e abbiamo visto di fronte l‘aia e
poi la villa con una meridiana sul frontespizio, il cui motto è ―Hora non numero nisi
serenas‖. Sul tetto c‘è un torrino con una campana.
Ai lati vi sono fabbricati costituiti a est da portici e da magazzini, quindi dalle mura che
racchiudono l‘orto; a sinistra della villa padronale c‘è l‘abitazione del risaro e case per i
dipendenti; sul lato ovest ci sono rustici e barchesse, cioè ampi portici con attrezzi vari; fa
da raccordo fra loro un‘alta mura in mattoni a vista.
Sul lato sud-est c‘è una torretta, con l‘arcata del ponticello sul ―Barcagno‖, lambito da un
salice piangente.
Sul lato est, con l‘ingresso dallo stradone che porta fino ad Anson c‘è la cappella dedicata a
Sant‘Antonio, sul cui portale c‘è lo stemma degli Spolverini, e che ancor oggi richiama
gente per la festa di Sant‘Antonio.
Questo complesso ed il suo paesaggio sono d‘impareggiabile suggestione.
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Torretta, con l‟arcata del ponticello sul
“Barcagno” di Corte Campeggio Bernini
LA VILLA
La pianta della villa appare di forma rettangolare. Entrando, c‘è una sala centrale e sulla
destra un‘ampia cucina. La villa ha due saloni centrali al primo e al secondo piano, una
ventina di stanze ai lati dei due saloni e nel piano alto.
Un tempo vi erano: villa, centro della proprietà; barchesse dove si costruivano o
riparavano barche e burci; zelese (aia) cuore dell‘azienda dove si trebbiava e si essiccava il
riso e successivamente il grano. la battitura del riso veniva fatta a mano con i ―zerciari‖,
ossia con bastoni con una parte snodata; granai, ai piani più alti, più asciutti; cantine per
la conservazione al fresco del vino in botti; tinaia, per la vinificazione; casa del gastaldo o
risaro, abitazione del soprintendente—magazziniere; falegnameria, per la riparazione di
carri, finestre, porte e oggetti vari; bigattiera, locale riscaldato per l‘allevamento dei bachi
da seta,. brolo, limonaia per proteggere gli agrumi d‘inverno; frutteto, per la produzione
di pere, mele, albicocche, mandorle; orto, per la produzione di verdura, giardino e parco,
peschiere, per l‘allevamento del pesce, roccoli, per catturare gli uccelli da passo; campi
coltivati e boschi per cacciare; filari di gelsi per la produzione di foglie per i bachi da seta;
ghiacciaia per poter disporre di ghiaccio durante l‘estate anche a fini curativi; abitazioni
contadine per i lavoratori salariati e poi i fittavoli; torre colombara anticamente torre di
difesa, più tardi luogo per l‘allevamento dei colombi; lissiara luogo dove si faceva il
bucato con la cenere (lissia); scuderia per il ricovero dei cavalli; boaria stalla peri buoi e le
vacche e ovili e porcili; legnaia per la legna da ardere
Il gastaldo, l‘ultimo dei quali è stato il signor Dante Ottaviani (prima di lui era stato
gastaldo Ferdinando Carrara di San Zenone, ora trasferito a Parma) ha abitato nella corte
Campeggio dal ‘53 al ‗68. Dalla sorella Evelina, un‘ex mondina, abbiamo raccolto qualche
informazione sull‘abitazione. La sua stanza con due semplici letti di ferro comunicava con
la cucina per poter ricevere il calore del focolare: da una finestrella si controllava anche di
notte la scala e l‘accesso ai granai. Il materasso del letto era riempito di "scartozi", ovvero
con foglie di granoturco che quotidianamente venivano ravvivate. Si dormiva sotto a delle
trapunte o a dei piumini riempiti di piume d‘oca: il letto era scaldato da uno ―scaldaletto‖
pieno di braci inserito nella "monega" che teneva sollevate le coperte.
Ai piani alti delle ―barchesse‖ erano situati i granai, le vere casseforti delle ville. Tutti i
granai disponevano di grandissime finestre per la ventilazione, essenziale per conservare a
lungo riso e grano. Dopo la mietitura i cereali venivano essiccati al sole sul "zelese" (aia) e
portati a spalle nel granaio per la conservazione. Il grano ammucchiato richiedeva di
essere mosso in continuazione: questa operazione veniva fatta con pale e rastrelli e
durante l‘inverno un uomo passava le giornate in granaio a smuovere il grano.
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La giazara o ghiacciaia è posta all‘esterno delle mura, nel lato sud-est della corte, si
presenta come una ―montagnola‖ circondata da olmi per mantenere la frescura. Nella
ghiacciaia erano posti gli alimenti per una loro migliore conservazione; aveva la funzione
che hanno oggi i nostri freezer. Oggi gli alberi sono stati leggermente tagliati perché non
hanno più quella funzione.
Giazara di Corte Campeggio
Oggi l‘azienda Bernini conta alcuni dipendenti fissi e altri lavoratori stagionali. I campi
sono coltivati a cereali e a coltivazioni di ortaggi. Tra i campi si incontra qualche casolare
abbandonato. Ci sono circa trecento ettari incolti per capezzagne e scoli e lungo le rive dei
fossati, specialmente lungo gli stradoni che da Campeggio portano al Colombaron, ci sono
le piante tipiche come ―stropari‖, platani, …
Attorno alla villa e nei poderi che ad essa facevano capo venivano coltivati i campi,
prevalentemente con attrezzi manuali (zappe, falci, rastrelli). Gli animali (buoi, vacche e
cavalli) venivano utilizzati per i lavori più pesanti.
Il signor Guerra, è l‘attuale gastaldo (anche se lui non vuole sentirsi chiamare così). Il
padre del signor Guerra era un coltivatore diretto. Il signor Guerra ha preso il posto di
gastaldo dopo Dante Ottaviani. Il mestiere del gastaldo si tramandava da padre in figlio
fino alla generazione del signor Guerra, poi si sono registrati dei cambiamenti.
Egli ci ha raccontato che i prodotti biologici non vengono coltivati nell‘azienda Bernini e
molto raramente nelle vicinanze perché la zona è umida per cui in essa proliferano molti
insetti; la coltivazione biologica perciò è molto difficile e quindi viene fatta da aziende a
conduzione familiare. Per l‘agricoltura moderna bisogna seguire i tempi. Le tecnologie e le
tecniche sono fatte in base al risparmio personale. Oggi i lavoratori effettivi sono quattro
mentre quelli stagionali sono circa otto-dieci perché serve manodopera. La superficie
coltivata occupa circa trecento ettari adibiti a varie colture. I seminativi occupano circa
duecentottanta ettari. Il resto è coltivato a frutta e non ci sono spazi lasciati incolti. Una
volta venivano coltivati bachi da seta, specialmente nelle grandi aziende. Negli ultimi
trent‘anni è subentrato il melone. Una volta si coltivavano anche il peperone, le
melanzane, ma sono stati rimossi per il basso riscontro economico. Nell‘azienda sono
presenti circa dieci trattori. Il signor Guerra lavora dal 1979, è nato in queste zone e
quando frequentava le scuole medie la mattinata era occupata dalla scuola, il pomeriggio
andava a lavorare nei campi. I suoi genitori abitavano e lavoravano in un terreno preso in
affitto. Intorno alla villa erano e sono ancora presenti alcune case dove abitavano gli
operai, che lavoravano nei campi. Oggi però le case sono degradate.
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L‘ acqua per la vita quotidiana e per l‘agricoltura era molto importante: lo scavo dei fossi e
l‘acqua per l‘irrigazione erano regolati dalle leggi della Repubblica di Venezia. A
Campeggio arrivava l‘acqua proveniente dalla Zerpa in Belfiore. Oggi nei campi l‘acqua
raggiunge le colture attraverso una rete di rogge e di fossi: l‘irrigazione è uno dei cardini
dell‘agricoltura poiché consente alte produzioni. Nelle aziende agricole la cura dei fossi e
delle acque assorbe durante l‘estate l‘attività di operai specializzati, gli "acquaroli", che
passano molto tempo a mantenere in fruizione chiuse, canali e fossi, per non perdere
neppure un litro della preziosissima acqua e ripartirla tra i vari campi in modo preciso. La
pulizia e la manutenzione dei corsi d‘acqua è considerata essenziale, sia per facilitare lo
scolo delle piogge e un tempo anche per consentire il passaggio delle barche per il
trasporto di derrate e materiali vari (riso, sacchi di grano, travi, legna, pietre). È
interessante ricordare che nel 1873 furono fatte delle bonifiche a Campeggio e Minerbe. Si
ebbe poi una graduale riduzione delle terre a risaia quando queste non ricevettero più
l‘acqua temperata proveniente dalla botte palladiana, ma ebbero quelle più fredde
dell‘Adige che arrivavano dalla chiaviche di S. Tomio. Il lavoro conobbe l‘aritmia di
qualche sciopero, complessivamente però fu assiduo e duro. I contadini, prima di coltivare
il riso dovevano livellare e dividere il terreno in ―quadre‖, inondarlo poi d‘acqua. Per far
ciò utilizzavano un cavalletto, la ―stada‖. Il riso veniva poi preso in un cesto, il ―toman‖, e
gettato a ―spaglio‖.
CORTE COLOMBARON
Anche Corte Colombaron è di proprietà Bernini.
È una grande corte padronale ed era il cuore della
risaia. È caratterizzata dall'enorme aia, su cui si
affaccia un imponente colonnato. Rispecchia la
costruzione delle caratteristiche corti agricole
padronali, con un corpo centrale e più corpi
laterali dedicati agli alloggi dei contadini ed alle
strutture di servizio annesse alla corte
Barcagno di Corte Colombaron
Ruderi della Pila Colombaron
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MULINO PILA VECIA
Si incontra tornando verso il centro del paese. E'
in avanzato stato di degrado, ma vi si può
ancora notarne bene la struttura. Attraversato da
un corso d'acqua che un tempo ne muoveva le
pale, è composto da una grande struttura, ancora
in parte conservata al suo interno. Anch'esso,
come gli altri precedentemente incontrati, è
testimonianza dell'importanza che queste
strutture rivestivano nell'economia di un tempo.
PILA REBUSTINI
Pila Rebustini è uno dei quattro antichi mulini di
Minerbe, l'unico ad oggi ancora in funzione,
alimentato un tempo dal corso d'acqua che lo
attraversa tuttora. Conduttore
è Emanuele
Rebustini figlio di Antonio Rebustini, il quale vi
ha esercitato per tanto tempo l‘attività ed è stato
pure un pittore apprezzato.
Il signor Rebustini ci ha raccontato che al riso,
per renderlo commestibile, viene fatta una
lavorazione a secco. Non si usano sostanze o
solventi solo una abrasione creata dalle macchine simile a quando si grattugia il
formaggio. Ora si lavora unicamente riso veronese. Il riso proviene da Isola della Scala
dove si è creato un marchio commerciale; non è quella la zona di maggior produzione che,
invece, è nei paesi di Nogarole Rocca, Trevezuolo, Vigasio, e le zone vicine al mantovano e
nella zona sud della provincia.
Si lavorano, nell‘ impianto artigianale, circa dieci quintali di riso all‘ora che non è molto in
confronto agli impianti industriali, e duemila quintali l‘anno. Il signor Rebustini produce
riso per ristoranti, per l‘estero, per i negozi specializzati nei centri delle città e per piccoli
negozi.
La famiglia del signor Rebustini proviene dal Colombaron, erano venuti nella tenuta del
conte Bernini nel 1700 circa. Il nonno Mario è nato nel 1890 al Colombaron così come il
bisnonno, morto nel 1969.
Nel nostro territorio erano presenti soprattutto acquitrini e, al tempo di Federico
Barbarossa, il principale bisogno era dar da mangiare alle persone per cui il marchese
Spolverini seppe sfruttare gli acquitrini a proprio vantaggio, coltivando il riso e in questo
modo fu necessario avere dei lavoratori: le mondine. La nostra zona è stata la prima nella
quale fu provata la coltivazione del riso. Il corso d‘acqua presente vicino ai campi si
chiama Spolverino che derivava dal nome del marchese Spolverini. Poi il marchese iniziò
a fare arrivare l‘acqua dalla botte Palladiana che, a differenza dell‘acqua dell‘Adige, era un
po‘ più calda e, di conseguenza, faceva crescere il riso più facilmente. Una volta il riso
veniva seminato in casseruole e poi le piantine venivano trapiantate a mano dalle mondine
nella risaia. Adesso invece si usano attrezzi meccanici.
78
Il riso, una volta raccolto, veniva steso sulle aie per farlo essiccare al sole a circa 25-30
gradi. Oltre al riso veniva coltivato anche il mais che necessitava di un terreno più
asciutto. In seguito gli acquitrini vennero bonificati.
Produzione Rebustini
Pila Rebustini (da un affresco sulla
parete del negozio di Rebustini)
Al signor Zordan, che fino a qualche anno fa lavorava in una fonderia, abbiamo chiesto
informazioni inerenti la chiesa della ―Maternità di Maria‖ in contrà Anson. Ci ha detto che,
secondo la tradizione popolare, deriverebbe dall‘ampliamento di un vecchio capitello. Una targa
posta all‘esterno della chiesa stessa la fa risalire al 1700 però in altri testi si indica il 1858 come data
di costruzione. Verso la fine dell‘ottocento fu fatta ampliare e nel 1930 venne alzato il campanile.
Nel 1973 ignoti rubano la statua lignea ed originale della Divina Maternità. Con don Luciano
Galante, parroco dal 1976 al 1991, si iniziò a dire la S. Messa alla domenica, mentre con il parroco
successivo, don Giuseppe Bottacini (1991- 2000), venne anticipata al sabato sera. Nel 1994 è stata
nuovamente ristrutturata poiché il soffitto di canne palustri (le arele) è crollato. È stato grazie al
contributo di Cariverona, del Conte Bernini, della piccola comunità intera - che si è accollata il
debito e che ha eseguito gratuitamente dei lavori - che tale opera è stata eseguita. La spesa
complessiva infatti ammontava a circa 150.000.000 di lire.
Il Signor Zordan ci ha parlato poi del ―Gruppo Promotore di Anson‖ di cui è presidente.
Ci ha raccontato che l‘attività del gruppo è iniziata con lo svolgimento della prima marcia
podistica nel 1976, per continuare con la tradizionale sagra di Anson. La marcia è stata poi
interrotta per dieci anni; ripresa nel 1986, è ora alla ventisettesima edizione. Si chiama
―Marcia del riso‖ proprio per ricordare le tradizioni del territorio; in tale occasione
vengono preparati i piatti tipici: risotto, pessin e polenta. Ora tale associazione è affiliata al
gruppo sportivo ―Libertas‖ e le strutture realizzate servono per momenti di aggregazione
e di feste particolari.
Chiesa e abitato
di Anson
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Affresco
di
Antonio
Rebustini presente nella
Chiesa di Anson
L‘ultima persona incontrata è il Signor Marco Donà, Presidente della Coldiretti e
proprietario di una azienda agricola ad Anson.
Egli ci ha spiegato che la Coldiretti è un‘Associazione di categoria svincolata da partiti
politici. Le sue competenze sono quelle di aiutare gli agricoltori perché gli aderenti sono
sempre più vecchi. Inoltre supporta i coltivatori nell‘espletamento delle pratiche
burocratiche e nelle iniziative riguardanti il settore agricolo.
Ad Anson prevalgono le monocolture: nella sua azienda agricola di quindici ettari,
vengono coltivati cereali; l‘attività più redditizia risulta però essere l‘allevamento di
tacchini.
In passato allevava anche il pesce-gatto in cave formate dall‘esportazione di argilla,
attività interrotta circa sei- sette anni fa a causa di un‘epidemia. Ora è bacino di rifugio
della fauna selvatica.
Il signor Donà ci ha parlato anche del suo impianto fotovoltaico per la produzione elettrica
perchè crede nelle fonti di energia alternativa. Ha provveduto perciò ad installare sul tetto
del porticato un impianto sufficiente al fabbisogno dell‘azienda (15 chilovat, in uscita 12,3),
e un altro per il fabbisogno della casa (5 chilovat, in uscita 3).
L‘ultimo argomento di cui ci ha parlato è stato quello delle colture biologiche. Ci ha detto
che ad Anson tale coltura non è adatta perché la zona è troppo umida e si presta alla
proliferazione di insetti vari.
Allevamento di tacchini a Minerbe
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IMPRENDITORIA AGRICOLA
Nei primi mesi di quest‘anno si è tenuto il censimento generale dell‘agricoltura da parte dell‘Istat.
Per quanto riguarda Minerbe i dati del riepilogo parlano di 194 aziende attive.
Le coltivazioni principali rilevate dichiarano 188 aziende che coltivano la terra a seminativi per un
totale di 2144 ettari circa; 39 aziende hanno complessivamente 75 ettari coltivati a frutteto. La vite
occupa 8 ettari di terreno ed è coltivata da 13 aziende.
Per gli allevamenti 15 aziende denunciano avicoli con un totale di ben 494900 capi. I bovini
risultano 1462 allevati in 13 aziende. Sono presenti anche i cavalli con un‘azienda che ne alleva 4.
Ci si è preoccupati di intervistare imprenditori agricoli impegnati nei vari settori così da avere un
quadro tendenzialmente completo.
INTERVISTA: CHIAVEGATO AUGUSTO
Il signor Chiavegato Augusto abita con la moglie, signora Carlotta,
in un‘antica dimora risalente al 1868 in via degli Alpini a Minerbe.
La casa con annessa la corte e i rustici appartiene alla famiglia
Chiavegato dal 1931, quando fu acquistata dal nonno materno del
signor Augusto.
La prima cosa che balza alla vista del visitatore sono gli essiccatoi
per il tabacco , la cui lavorazione venne introdotta a Minerbe dal
padre dell‘attuale proprietario. Altri essiccatoi erano sorti presso
l‘attuale condominio Europa e dietro al cortile del centro ―Noi‖ si
può ancora ammirare una piccola parte di essi.
Il signor Chiavegato racconta che il tabacco prodotto dalla sua famiglia era un tabacco pregiato,
utilizzato esclusivamente per la produzione dei sigari toscani. Per la semina serviva una
concessione statale che stabiliva la quantità di tabacco da coltivare. Prima di dare inizio alla
raccolta, fatta rigorosamente a mano, alcuni funzionari statali prelevavano dei campioni che il
signor Chiavegato doveva portare a Roma per poter essere esaminati e valutati. Solo dopo il placet
di Roma si poteva iniziare la campagna di raccolta. Il tabacco veniva quindi diviso in base alla
lunghezza e al colore della foglia, sistemato in gruppi di 25 foglie, i ―manocchi‖, e lasciato
essiccare. La lavorazione successiva avveniva nei magazzini, ancora presenti in corte Chiavegato,
la cui struttura doveva rispondere a determinati requisiti. Le finestre, ad esempio, dovevano avere
delle robuste grate di ferro e una rete per evitare che il tabacco potesse essere contaminato. Inoltre
finchè il tabacco si trovava nei magazzini, questi venivano sigillati e presidiati da due funzionari
della guardia di finanza. La lavorazione in magazzino era considerata lavorazione industriale con
conseguente maggiorazione della paga e dei contributi previdenziali. Negli anni sessanta la
richiesta di tabacco toscano andò via via diminuendo e ad essa si sostituì quello per sigaretta, le cui
regole di raccolta sono dettate non più dallo Stato, ma dalle grandi multinazionali del tabacco.
Dopo molti anni qualche imprenditore ha ripreso la
storica coltivazione minerbese: recenti piantagioni di
tabacco a sud del paese provviste dei nuovi sistemi di
irrigazione.
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Il signor Chiavegato è stato anche un allevatore di bovini da carne. Negli anni sessanta le sue
stalle ospitavano annualmente circa 1000 bovini da ingrasso che venivano poi diretti verso l‘Italia
meridionale e la Liguria e la loro carne utilizzata nelle navi da crociera.
Attualmente il signor Chiavegato non si occupa direttamente delle stalle e gli animali allevati non
sono più tanti come un tempo. La burocrazia e soprattutto la grande distribuzione, più attenta alla
quantità che alla qualità, hanno inficiato questo tipo di attività che è andata col tempo
diminuendo.
Nel corso degli anni l‘agricoltore è diventato imprenditore, attento alle esigenze del mercato,
sempre più globalizzato e pilotato da campagne di marketing non sempre veritiere o quanto meno
parziali nell‘informazione offerta agli utenti. Gli imprenditori agricoli odierni stanno cercando di
differenziare i prodotti attraverso l‘introduzione di nuovi tipi di colture e tenendosi sempre
aggiornati e informati sui cambiamenti che riguardano il loro settore.
Attualmente a Minerbe si coltivano cereali e si pratica l‘allevamento di bovini e di tipo faunistico:
fagiani, starne, pernici.
INTERVISTA: GUARISE STEFANO
L‘azienda dei fratelli Guarise, sita a Minerbe in via Ronchi, è
un‘azienda a conduzione famigliare che vede impegnati i fratelli
Stefano e Piergiorgio, il loro padre Luigi e il fratello di
quest‘ultimo Giovanni.
Il signor Stefano descrive la sua azienda seduto dietro la scrivania
di un piccolo ufficio, le cui pareti sono tappezzate di trofei e di
riconoscimenti inerenti la sua attività: la produzione di latte di
alta qualità e la selezione genetica della razza Frisona.
L‘azienda dei fratelli Guarise è ad indirizzo zootecnico a
produzione solo ed esclusivamente di latte. Attualmente in
azienda si possono contare quasi 500 animali con più di 210 mucche in latte per un totale di
produzione di circa 70 quintali di latte al giorno. La mungitura viene fatta due volte al giorno con
un intervallo di 12 ore al fine di rendere meno stressante l‘attesa per le mucche. Il processo di
mungitura dura circa un‘ora e quaranta minuti con una persona addetta alla mungitura di circa
200 mucche. Tutto l‘impianto è altamente automatizzato e i dati di ogni animale vengono scaricati
sul computer. È un lavoro molto impegnativo e che richiede molta passione, come sottolinea il
signor Guarise, perché necessita tutti i giorni la presenza dell‘uomo e un occhio allenato: ―le
mucche sono come persone che non parlano‖ e sono molto delicate.
Il latte prodotto è di alta qualità, una qualifica che comporta il rispetto e il mantenimento di
determinati parametri controllati periodicamente da
ispettori dell‘ASL. Inoltre ogni 15 giorni circa,
l‘acquirente dell‘azienda Guarise campiona il latte
per stabilirne la qualità che ne determina il prezzo. Il
prezzo base, infatti, viene maggiorato o diminuito in
base alla maggiore o minore presenza di proteine, di
cellule somatiche, di carica batterica e di grasso.
Attualmente al produttore un litro di latte viene
pagato € 0,40 – 0,42 .
Il momento della mungitura
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Di fronte a queste cifre e pensando al costo per il consumatore si evince quanta speculazione vi sia
dietro al prodotto ―finito‖, cioè pronto alla commercializzazione e al consumo. Secondo il signor
Stefano la filiera penalizza il produttore ed è una grossa problematica che certamente non esorta
alla creazione e/o al mantenimento di aziende di questo tipo.
Inoltre i controlli in Italia sono molto severi, a differenza di quello che succede in altri paesi, e
garantiscono un prodotto sicuro sul piano alimentare. ―Il lavoro dietro il prodotto italiano
dovrebbe essere più valorizzato‖ attraverso campagne di informazione e marketing.
Il signor Guarise informa, non senza una punta di soddisfazione, che nella sua azienda si attua la
selezione genetica per il miglioramento della razza Frisona, la più adatta alla produzione di latte.
Egli spesso si reca all‘estero, in particolare Nord Europa, Canada e America, per vedere degli
animali e acquistare embrioni da impiantare nelle proprie mucche al fine di migliorarne la
produttività. La selezione genetica segue un procedimento ben definito e la certificazione genetica
attribuita agli animali è valida in tutto il mondo, tutelata da un apposito settore del Ministero
dell‘agricoltura. Anche in questo caso l‘esperienza dell‘allevatore, la sua creatività, la sua
intuizione hanno una notevole rilevanza perché non sempre rigide formule garantiscono il
successo di un‘impresa.
Al successo sul piano produttivo e genetico contribuisce in modo determinante l‘alimentazione
costituita da mais, erba medica , ―braspagna‖, dal mais trinciato e da un mangime che integra la
dieta. Questi prodotto vengono triturati e miscelati in modo che l‘animali li mangi tutti. Terminato
il pranzetto le mucche riposano in ―cuccetta‖ , un apposito stallo per ogni animale,che, a differenza
della paglia, risulta sempre pulito e disinfettato con conseguente minore possibilità di infezioni e
quindi di costi.
A 150 anni dell‘unità d‘Italia essere imprenditori non significa solo eseguire manualmente un
lavoro, ma anche informarsi e aggiornarsi continuamente in un‘ottica di continuo miglioramento
che sia a vantaggio dell‘uomo , ma anche dell‘ambiente in un processo di interazione che rispetti e
valorizzi tutti i partecipanti e per esteso l‘intera comunità.
A condividere i successi a sinistra i genitori, a destra i due figli.
83
INTERVISTA: MAGAGNIN MASSIMO
Siamo felici di incontrare un giovane imprenditore
agricolo…
Sono nato nel ‗73 e sono contento che mi abbiate preso in
considerazione. Abito a San Zenone in via San Feliciano. Degli
appezzamenti di terreno che coltivo solo una parte è vicino alla
mia casa, altri sono dislocati in cinque-sei punti ma nel giro di
qualche chilometro li raggiungo. Attenuo la scomodità degli
spostamenti coltivando mais o altri seminativi negli
appezzamenti più lontani. In totale la mia azienda comprende
un‘ottantina di campi.
Come ha intrapreso questa attività?
Da piccolo mi piacevano i trattori poi con il tempo aiutando mio papà mi sono appassionato. Ho
cominciato nel 2000 con una piccola azienda e ora conduco a mio nome anche i terreni del papà
per semplificare un po‘ le procedure burocratiche. Conto su di lui per un aiuto e una turnazione in
alcuni impegni quotidiani, così da avere anch‘io del tempo libero.
Ci siamo rivolti a lei perché, si dice, “ha un po’ di tutto”: è vero?
Mantengo tre ambiti produttivi: la coltivazione delle fragole e delle mele, e l‘allevamento dei
bovini. Sono nella tipicità dell‘agricoltura minerbese.
In quali lavori siete impegnati ora?
È il momento della raccolta delle fragole che coltivo in quattro campi e mezzo. Le prepariamo in
vaschette pesate e due volte al giorno facciamo la consegna al Consorzio Ortofrutticolo di Minerbe.
La fragola, pensate, ha bisogno delle attenzioni di quasi un anno intero perché già a luglio
vengono interrate le piantine e ad anni alterni occorre risistemare le serre su terreni nuovi per una
giusta rotazione dei raccolti. Coltiviamo fragole da vent‘anni e so che vengono inviate per la
maggior parte all‘estero dove il prodotto italiano è ricercato.
È un raccolto che ha bisogno di manodopera…
Per questo aspetto non ho mai avuto problemi. All‘inizio c‘era qualche pensionato o ragazzo
disponibili, mano a mano la manodopera è diventata di origine exrtracomunitaria, in particolare
sono giovani donne che affidano i figli a un‘unica mamma. Sono una ventina di persone: tra loro ci
sono molti parenti che fanno capo a sole tre famiglie, e abitano nei dintorni. Corrispondono a
contratti stagionali che sono diventati rapporti di stima e amicizia dato che ci conosciamo ormai da
anni. Sono le stesse persone che più avanti lavoreranno a raccogliere le mele: le prime sono mature
già in agosto. A Santa Lucia di Bevilacqua i miei filari sono lunghi 450 metri: prima di arrivare in
fondo… Coltivo venti campi di mele, di varietà diverse per avere il prodotto scaglionato. Anche
questa frutta viene assorbita dal Consorzio di Minerbe.
Ci parla di quel Consorzio?
Ha festeggiati i cinquantenni dalla fondazione nel 2009. Io sono socio auditore anche se non mi è
negata la parola perché siamo come una famiglia. Qualcuno critica la recente fusione con Apo
Scaligera di Santa Maria di Zevio. L‘intento è creare una realtà più grande con due punti di
raccolta specializzati: le mele a Minerbe, la verdura a Zevio. Anche il nostro Consorzio è pronto a
rinnovarsi: recentemente è stato rifatto il tetto con pannelli fotovoltaici per produrre l‘energia
elettrica utilizzata in grande quantità dal frigo, l‘eccesso viene venduto. Attraverso il Consorzio si
hanno le piantine dei nuovi impianti, si riesce a spuntare un prezzo migliore per gli antiparassitari,
si effettuano aste per l‘acquisto di nailon. Mettendosi insieme un po‘ di vantaggio c‘è.
Si tratta di frutta certificata?
Solo una parte della frutta viene certificata perché non è cosa facile dal punto di vista burocratico:
tutto deve essere segnato con grande scrupolo, il prodotto viene valutato da tutti i punti di vista
compreso la quantità di residui dei trattamenti.
84
Piantagioni di fragole e mele di Massimo Magagnin in vista del campanile di San Zenone
È interessato al biologico?
Ci credo poco, da noi non è diffuso. In ogni caso devo specificare che i trattamenti che faccio alla
frutta non sono a occhio ma mirati: uso quattro tipi di trappole per le farfalle per capire il
momento giusto e usare il prodotto antiparassitario in minor quantità e in modo efficace. La
regione Veneto ha un rigido disciplinare, i nostri prodotti della terra sono molto controllati.
È soddisfatto della sua attività?
C‘è una grande concorrenza con i paesi dell‘est come Polonia e Romania che sono arrivati a fare
bella frutta in terre ancora vergini. È una concorrenza sleale perché il prodotto, meno controllato,
viene a costare meno quindi immesso sul mercato a prezzo inferiore. Un giorno le situazioni si
pareggeranno, ma ci vorranno molti anni.
E l’allevamento?
Allevo vitelloni da carne utilizzando tutti i terreni liberi a seminativi per produrre mais ceroso, i
miei animali non mangiano il tradizionale foraggio. Li allevo in modo scaglionato per poter diluire
la vendita e spuntare prezzi ragionevoli. Li commercio direttamente, ma non è facile, i mercati
sono poco stabili.
Ci sono problemi nella sua attività?
Il problema è non vendere a prezzi inferiori ai costi di produzione, perché le ore di lavoro sono
molte come si può ben immaginare. Occorre essere attivi, pronti a rinnovarsi per le necessità
imposte dai mercati e dalle varie norme sempre più severe. Gli investimenti sono ingenti per
rinnovare le attrezzature che devono essere sempre più moderne o a norma.
Quali investimenti importanti ha fatto?
Oltre ad allargare l‘azienda ho coperto con rete antigrandine sedici campi su venti coltivati a mele:
ciò dà garanzia di una produzione stabile e la frutta matura meglio. I nuovi microirrigatori per
l‘acqua che ho installato fanno risparmiare gasolio e sono più funzionali.
Sono attive a Minerbe associazioni di categoria? Vi danno una mano?
Io ricopro il ruolo di vicepresidente dei Coltivatori
Diretti
di
Minerbe,
associazione
che
cura
l‘organizzazione di eventi, come il giorno del
ringraziamento, e la partecipazione a manifestazioni.
Un lavoro impegnativo il suo?
Di giorno c‘è il lavoro e di sera ci sono i documenti da
tenere in ordine, ma ho scelto questa attività che è la
mia passione; devo però riconoscere che in estate, al
momento delle irrigazioni, quando i motori restano
accesi per ventiquattro ore si dorme un po‘ poco…
Mais ceroso nei pressi della stalla
85
INTERVISTA: DAL CORTIVO GIORGIO
Ci presenta la sua azienda e insieme gli uomini che l’hanno
costruita?
Abito e ho l‘azienda agricola in via Santa Croce. I terreni, un‘ottantina
di campi, si distendono verso nord , porzione del territorio minerbese
da sempre destinato alle coltivazioni. Nel ‗70 mio papà acquistò questa
proprietà da Verzobio e io ne ho proseguito l‘attività dopo che è
venuto, prematuramente, a mancare. La mia famiglia proviene da
Montecchia di Crosara.
Nel ‘52 il papà e uno zio, erano nove fratelli, vennero a gestire alcune
proprietà dei Bernini come fittavoli, mentre il nonno continuò a
coltivare i terreni in Val d‘Alpone. Molti in quegli anni si sono spostati dalla collina in pianura, chi
aveva voglia di lavorare trovava in queste zone terreno buono. In quel periodo lo Stato, guidato
dalla DC appoggiata dalla Coldiretti, favoriva gli agricoltori con prestiti a interessi quasi nulli.
Ricordo che negli anni ‗60 il settanta per cento degli Italiani lavorava in agricoltura, i terreni
rendevano molto.
Per trent‘anni c‘è stato un bum eccezionale come lo sono stati i relativi cambiamenti. Nel ‗60 tutto il
lavoro era manuale ora è quasi tutto meccanizzato, tanto che io da solo faccio più del doppio di
quello che facevano i miei genitori con gli zii. In agricoltura occorre concentrare sempre di più per
sopravvivere, come negli altri settori del resto.
Quali dimensioni ha la sua azienda?
Sono ventotto ettari, un‘azienda grande rispetto alla media italiana di cinque-sei ettari, ma mediopiccola in rapporto alle medie europee. A dire il vero però noi Italiani siamo molto più
specializzati: olive, ortofrutta… Nel poco produciamo prodotti di qualità, tanto che siamo in
Europa il Paese con più Igp.
Agricoltore o imprenditore?
Oggi non basta più saper solo coltivare, occorre con spirito imprenditoriale saper trattare con le
banche, programmare, aggiornarsi, considerare la necessaria innovazione e gestire gli investimenti
Se non si mettono in moto tali capacità si chiude.
Racconta l’evoluzione dell’azienda?
All‘inizio si coltivavano seminativi e vigneti in cui i miei, originari della collina, erano esperti; con
il passare del tempo il papà si è specializzato nell‘allevamento prima di mucche da latte poi di
bovini da carne. Dieci anni dopo abbiamo inserito un allevamento avicolo e nell‘85, diventando
titolare, ho aggiunto i conigli. Lo scopo era diversificare perché così, anche se risulta più
impegnativo, si gestiscono meglio crisi settoriali. Per esempio nel 2000 l‘influenza aviaria mi ha
danneggiato ma solo in parte. Oggi in conclusione allevo polli, conigli e bovini da carne.
Non gestisco direttamente la vendita del prodotto, sono allevatore per una grande ditta del
veronese che mi assicura prezzi stabili e sicuri, poco dipendenti dal variare del mercato, ma in
grado di premiare la resa che corrisponde a lavoro di qualità.
Ha prospettive nuove?
Mi piacerebbe ampliare i tre settori di allevamento come ho fatto gradualmente negli ultimi anni, e
conto di farlo. Non mi dispiacerebbe acquistare altri terreni. La Comunità Europea prevede una
quantità di capi allevabili in stretta relazione ai terreni, in cui garantire lo smaltimento delle
deiezioni: tutto nel rispetto dell‘ambiente.
Ci parla dei seminativi?
Negli anni 50-60 e fino agli anni 90 sono stati in crescendo, dopo di che i prezzi sono calati, ma si
sono ripresi da un paio di anni. In verità oggi c‘è richiesta di colture che danno prodotti alimentari.
Questo, vicino ai contributi, dà soddisfazioni. Tutto il mio raccolto viene usato nell‘allevamento
come mais ceroso, ma devo integrare con acquisti.
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La cultura del mais e il capannone dei conigli
nei campi di Giorgio dal Cortivo; sullo sfondo
Corte Colombaron
Spiega il senso dei contributi
europei all’agricoltura?
Innanzitutto è chiaro che per il settore
agricoltura le politiche sono a livello
europeo. Se non ci fossero i contributi la
montagna sarebbe spopolata. C‘è da tener
presente una realtà: i coltivatori della terra
sono i depositari del territorio che è da
gestire e tenere in ordine altrimenti il paesaggio diventerebbe una boscaglia. Il problema delle
acque è gestito dal Consorzio di bonifica che si prende in carico le vie d‘acqua consortili, ma i
rimanenti corsi d‘acqua sono in gestione degli agricoltori proprietari. È un lavoro impegnativo che
non ha resa diretta, come quello della manutenzione delle siepi. Un tempo davano la legna per il
riscaldamento e anche oggi avrebbero un senso per le coltivazioni tanto che l‘agricoltura biologica
le prevede. Occorre però un compromesso tra le esigenze dell‘ambiente e quelle del lavoro
meccanizzato. Coi tempi che cambiano il futuro sarà un punto di domanda.
Celebrando i 150 anni dell’Italia unita ci piacerebbe constatarne il progresso: in
agricoltura è così?
L‘agricoltura fa enormi passi con la meccanizzazione sempre più spinta. Nel progresso occorre
riconoscere un altro fattore che riguarda i controlli veterinari in tutte la fasi di produzione del
prodotto alimentare, niente deve essere a danno della salute delle persone. Posso dichiarare che in
Italia si produce più in sicurezza rispetto agli altri Paesi europei e questo ha un costo, ma gli
Italiani al supermercato non se lo ricordano: la nostra carne costerà di più, ma è garantita.
Produciamo a costi italiani, ma vendiamo a prezzi europei: il problema dei prezzi, che talvolta
sono risicati se non addirittura in perdita, è il grande problema di oggi degli agricoltori.
Il suo intervento è interessante anche per l’esperienza del fotovoltaico…
Ho rifatto i tetti dei capannoni e li ho coperti con pannelli per la produzione di energia pulita, è a
breve l‘allacciamento con la rete elettrica Enel per vendere parte della produzione. La trovo una
buona opportunità per integrare le entrate, approvo meno la metodica di coprire con i pannelli i
terreni coltivabili. Dopo gli accordi di Tokio, entro il 2020 dobbiamo ridurre le emissioni di
anidride carbonica con l‘incremento delle fonti energetiche rinnovabili, per cui lo Stato ha previsto
incentivi e le banche hanno concesso prestiti. Nel mio caso è stato un grande investimento, ma
prevedo che le spese in vent‘anni rientrino.
Cosa pensa degli impianti a biomasse?
Sono adatti a chi ha grossi allevamenti con grandi masse di liquami da smaltire, altrimenti le
ingenti quantità di raccolti richieste rischiano di alterare i mercati perché non è più una
concorrenza basata sul consumo. Dispiace vedere il mais usato per questi scopi, ma secondo me
sarà un settore in espansione.
Secondo lei l’agricoltura è un settore minoritario a Minerbe?
Mi pare che non sia da meno degli altri settori, ma indubbiamente ha sempre meno bisogno di
manodopera per cui non fa notizia, anche se ha un fatturato e un incremento di attività di tutto
rispetto. Crea poi l‘indotto, come qualsiasi altra attività artigianale.
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Il suo lavoro la appassiona?
La passione per il lavoro viene trasmessa dai
genitori, come nel mio caso. Se ciò non avviene
raramente il figlio segue le orme del padre che,
nel caso degli agricoltori, tramanda i valori più
con l‘esempio e i fatti che con le parole. Dalle
cinque del mattino alle nove di sera non c‘era per
nessuno, un impegno non da poco.
Qual è il futuro dell’agricoltura secondo
lei?
È obbligatorio diversificare per avere tante
opportunità. Chi non vede più in là del presente
non ha futuro, per il quale occorrono le idee.
I giovani bovini nella stalla in via Santa Croce
INTERVISTA: VIVALDI CLAUDIO
L‘intervista viene concessa alla Corte ‗Comuni‘, che la famiglia Vivaldi ha recentemente acquistato
e restaurato. Si tratta di una grande azienda agricola destinata prevalentemente alla coltivazione di
cereali, soprattutto mais.
Il signor Claudio riferisce: - Questa Corte l‘abbiamo acquistata nel ‘79 dalla famiglia Marchiori. È
dotata di una pila da riso che abbiamo restaurato ripristinando le funzionalità degli ingranaggi.
Nel mese di settembre, durante le manifestazioni dedicate alla coltivazione del riso, un tempo
molto diffuso a Minerbe, la mettiamo a disposizione dei visitatori così che possono rendersi conto
di come avveniva il ciclo di lavoro. In paese le Corti come questa di ‗Comuni‘ erano cinque, tutte
dotate di mulino ad acqua per la pilatura del riso, ma solo qui si poteva macinare anche il grano; i
contadini venivano con il loro sacco di grano per trasformarlo in farina. Il mulino lavorava così
tutto l‘anno. La ruota del mulino prende acqua dalla Serega, che per noi oggi rappresenta un
problema: essendo infatti gli ultimi, d‘estate, quando serve, l‘acqua non arriva, in quanto viene
prelevata prima dagli altri agricoltori, viceversa d‘inverno, quando non sarebbe necessaria, per la
pendenza naturale del terreno ne arriva troppa.
Ci parla dell’allevamento dei fagiani?
Noi produciamo fagiani per caccia: è importante che non siano belli di carne ma che siano belli di
piuma. Devono essere pertanto presentati bene con la loro bella coda. Un fagiano infatti potrebbe
essere anche di tre chili, ma per la finalità del
nostro allevamento se è senza coda
rappresenta uno scarto. Di solito li vendiamo
a enti pubblici per il ripopolamento e a
riserve di caccia private per l‘attività
venatoria.
Produciamo tutto il ciclo, dall‘uovo al
giovane fagiano. Ogni stagione ne
produciamo circa 300.000 e questa attività ci
impegna intensamente tutto l‘anno.
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Come avviene il ciclo?
La coppia è costituita di norma da tre femmine e un maschio, ma con questo rapporto numerico
cosi avrebbe una produzione troppo elevata di uova per cui preferiamo elevare il rapporto
mettendo un maschio con sei-sette femmine. Le coppie sono racchiuse in recinti e più volte al
giorno dobbiamo entrarvi e raccogliere le uova per evitare che possano essere danneggiate.
Quando è il periodo, incubiamo circa 15-20.000 uova ogni venti giorni. Le incubatrici le teniamo in
apposite stanze nella nostra abitazione; ogni incubatrice contiene 40.000 uova. Quando mettiamo le
uova nell‘incubatrice dobbiamo controllare che siano tutte della stessa misura. Sono pronte in 24
giorni: i primi venti giorni devono rimanere nelle incubatrici che scaldano, gli ultimi giorni in
quelle apposite per la schiusa. Appena nati, i piccoli fagiani sono messi in capannoni riscaldati e
dopo un mese in spazi all‘aperto. Il fagiano diventa adulto a cinque mesi quando pesa circa 1,5-1,8
chili
La loro vendita avviene in autunno: si comincia a settembre e si arriva a venderli fino a
dicembre/gennaio. Vengono nutriti con diversi tipi di mangime a seconda della loro età: per
ovaiole, per fagianini.
Come avete cominciato?
L‘idea dell‘allevamento dei fagiani è stata della mia mamma, la signora Canton Gemma. Era solita
allevare polli, ma un anno aveva allevato anche fagiani facendo covare una ventina di uova da una
tacchina. Dato che allora mio padre era Presidente dei cacciatori, quelli dell‘Associazione avevano
insistito per averli, pagandoli il triplo dei polli. Da quel momento mia mamma ha capito che ci
poteva essere molto interesse per il loro allevamento.
Si può così dire che abbiano iniziato con una covata di uova di fagiano fatta da tacchine
sviluppando l‘idea della mamma che avendo visto il successo della covata, ha pensato che ci
poteva essere una bella prospettiva. Con il tempo siamo cresciuti. Quando le tacchine non sono
state più sufficienti a covare le uova abbiamo comprato delle incubatrici elettriche e costruito
nuovi recinti. Agli inizi, non potendoci permettere di farli costruire da ditte specializzate, vi
abbiamo provveduto in proprio.
Nel tempo l‘allevamento ci ha impegnato sempre di più. Abbiamo pertanto poco tempo per fare i
―contadini‖. Scegliamo così culture in cui ci sia solo da seminare e raccogliere.
I fagiani crescono in voliere dotate di mangiatoie automatiche per bere e mangiare. La
preparazione delle voliere di solito avviene in inverno: entriamo con le macchine, togliamo lo
strato di pula e vi portiamo terra nuova su cui seminiamo
il sorgo zuccherino. Quando cresce il sorgo fa loro da
habitat.
Ogni anno utilizziamo circa diecimila quintali di lolla, che
spargiamo sul terreno delle voliere ogni volta che piove
per evitare che i fagiani si rovinino le piume della coda
con il peso del fango.
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L’IMPRENDITORIA ARTIGIANALE E INDUSTRIALE
LO SVILUPPO: L‘EX STAZIONE
Quando si conversa con Minerbesi in età adulta
circa lo sviluppo economico e sociale del paese,
tutti riconoscono il ruolo fondamentale della
stazione ferroviaria. La linea, pensata dapprima
per scopi militari, è diventata attiva nel ‘25 come
trasporto merci e passeggeri collegando Ostiglia
con Treviso. Per Minerbe è stata occasione di
contrasti nell‘Amministrazione Comunale per la
necessità di contributi tanto da provocare le
dimissioni del Sindaco come riporta il libro
―Minerbe, una terra e la sua storia‖. Le cronache
parrocchiali fanno il resoconto dei progetti esaminati per il
collegamento con il centro del paese, risolti poi con il rettilineo
Viale dedicato negli anni ‗50 ai fatti d‘Ungheria. Oggi è in
ristrutturazione, ma conserva un suo fascino per la bella alberatura
in perfetta prospettiva.
Il signor Vittorio Pilastro racconta che negli anni sessanta la
stazione era molto attraente, curata. Da ragazzino veniva da Orti,
dove abitava, con la mamma in bici per prendere la littorina e
raggiungere i parenti che abitavano nelle vicinanze della stazione
vicentina di Barbarano. Gli piaceva correre avanti e indietro sulla banchina, godere dei floridi
gerani e delle rose che ingentilivano la stazione. Ricorda l‘allegra campanella e il capostazione: un
tipo alto, con i baffi. Era il signor Grigolo Alberto. Racconta che la stazione era molto frequentata
da operai; sapeva di alcuni che partivano con le prime corse del giorno e si recavano a lavorare
nelle grandi fabbriche di Vicenza.
Il Signor Vittorio racconta che la Stazione brulicava di lavoratori dato che si erano insediate nelle
vicinanze industrie molto attive che si servivano della ferrovia come mezzo per il trasporto della
materia prima o del prodotto finito.
Dava sul piazzale della Stazione la ditta Domenico Citterio che aveva in tempo di guerra
l‘ammasso delle patate prodotte nella zona: non soggette a libero scambio erano inviate con vagoni
merci nei luoghi di consumo e, dopo la guerra, alle industrie della fecola.
Nei pressi della stazione l‘industria chimica Scarmagnan lavorava per produrre prodotti chimici
per l‘agricoltura a base di zolfo impiegando parecchi uomini dato che il lavoro era di tipo manuale.
I pani di quel minerale arrivavano dal sud su vagoni ferroviari quando il trasporto su gomma
doveva ancora affermarsi e soppiantare quello su rotaia.
Rosanna Nalin ricorda che da giovanissima ha lavorato al frigo, il Consorzio Ortofrutticolo, che
negli anni ‘60 -‗65 occupava più di un centinaio di donne. Era allora uno dei pochi sbocchi per
l‘occupazione femminile. Ricorda la figura del Signor Egidio Ferrari, il primo Presidente, che con
la sola presenza dettava autorevolezza presso le giovani operaie. La collocazione in Viale Ungheria
era strategica: i vagoni erano riempiti di casse, oppure di confezioni di mele ―lavorate‖, sistemate
cioè in un certo modo per essere in bell‘ordine e pronte alla vendita. Si trattava di sollevare pesi, di
contrassegnare pesanti casse ricolme della frutta di cui era sempre più produttiva la terra sabbiosa
della zona.
Oggi, a testimonianza della vocazione industriale della stazione, resta la costruzione a tetti
spioventi che funzionava da magazzino; la diramazione dei binari per i treni merci si possono
notare ancor oggi. I binari della linea invece, insieme al sedime, sono stati asportati.
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Sul piazzale resta un buon numero di panchine accatastate a ricordare che qui la vita pulsava
alcuni decenni fa. Le piante spontanee hanno preso il sopravvento e la zona è in stato di degrado.
La linea ferroviaria risulta dismessa: un cartello avvisa che lo stabile è di proprietà delle Ferrovie
dello Stato.
Il palazzetto mostra finiture in pietra rossa, le finestre sono decorate secondo lo stile dei primi
decenni del secolo, ma infiltrazioni di acqua e abbandono segnano il destino dello stabile che ha
segnato il progresso economico e sociale del paese dagli anni venti fino agli anni sessanta. La
ferrovia infatti è rimasta attiva in questa tratta fino al ‘67.
LA ZONA INDUSTRIALE
Se la Citterio, l‘industria chimica Scarmagnan e il
Consorzio Ortofrutticolo usarono la ferrovia
come mezzo di trasporto merci efficiente e poco
costoso, altre imprese produttive si insediarono
nel Viale Ungheria: la Samgas, il primo
insediamento Furlani, la Cabb per la produzione
di blocchi da costruzione edilizia. Oggi quel viale
è diventato per la maggior parte residenziale e se
si parla di zona industriale si intende quella
dell‘area Ronchi.
Il Signor Meggiolaro Giuliano, che da parecchi
anni gestisce un‘azienda nella Zai di Minerbe,
riassume le tappe che hanno portato alla realtà attuale che impiega molte forze lavoro del paese e
dei paesi limitrofi.
Il primo nucleo della zona industriale risale agli anni 60. Esattamente nel ‗63 si insediarono le ditte
Riello Macchine Utensili e Zanardi Fonderie, sul terreno di proprietà Bernini lungo la strada
statale. In quel caso la determinazione del giovane consigliere Leonello Bertoldi ha creato la svolta.
I terreni erano dati gratis in cambio dell‘impegno da parte degli imprenditori ad assumere
manodopera del luogo. Ma non è stato facile: l‘idea ebbe oppositori nella stessa Giunta perché
significava rompere lo status quo e impiegare le forze lavoro sottraendole ai campi. Questi
contrasti costarono le dimissioni del sindaco Mario Milanese, anche lui coltivatore della terra.
Ferrari Tullio commenta che fino ad allora si erano succeduti sindaci che provenivano dal mondo
agricolo, peraltro onesti e bravi amministratori. Il consigliere Bertoldi che proponeva il
cambiamento era agente di commercio oltre che agricoltore, aveva una mentalità nuova.
Meggiolaro racconta che fu leggermente modificato il tracciato della strada Ronchi. Gli
insediamenti proseguirono lungo la via Nazionale in direzione di Bevilacqua e in zona limitrofa si
stabilì la Simem.
La zona si allargò poi verso nord al di là della strada occupando terreni di Scarmagnan. Nacquero
così mobilifici, capannoni per la produzione di caldaie insieme ad altre realtà artigianali.
Il Sindaco Ferrari ricorda che il terzo stralcio della zona Ronchi, che comprende recenti e
significative realtà produttive, venne realizzato con sovvenzioni della Comunità europea: Minerbe
venne inserita nell‘Obiettivo Due che assegnava incentivi alle zone poco sviluppate quali la Bassa
Padovana e la Bassa Veronese. Questo comportò da parte del Comune un notevole impegno
finanziario e di lavoro da parte dell‘Ufficio tecnico. Ricorda che non fu semplice, i documenti
dovevano risultare inappuntabili. L‘obiettivo ancora una volta era attirare imprenditori per creare
posti di lavoro, rimandando a tempi successivi altre necessità del paese. La zona, provvista di un
centro servizi, è ancora in via di completamento.
Una nuova strada di recente costruzione, parallela alla strada regionale 10, è il segno delle opere di
urbanizzazione che interessano l‘ampia area che oggi, espandendosi verso San Zenone, confina
con la via Serraglio. Vi operano solide realtà artigianali e industrie prestigiose e affermate.
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Giuliano, ricordando i tempi del grande sviluppo minerbese, li dichiara irripetibili e afferma come
per lui siano le idee a costruire il progresso a scapito delle sole disponibilità economiche.
Dichiarando che, data l‘attuale situazione economica, un obiettivo concreto oggi è mantenere lo
status quo, riconosce i meriti delle persone che si sono succedute nelle amministrazioni guidando
il paese: in primis Leonello Bertoldi, poi Tullio Ferrari per arrivare ai sindaci contemporanei.
Se la zona Zai Ronchi è la più estesa e
destinata al completamento, non sono da
dimenticare le altre due zone artigianaliproduttive del paese comprese nel nuovo
Piano di
assetto territoriale votato dal
consiglio Comunale nel marzo di quest‘anno:
quella a nord verso Pressana e quella in via
Battisti a sud del paese. Quest‘ultima ha
subito una veloce riconversione dopo che alla
fine degli anni sessanta è naufragato
l‘insediamento Star.
Centro servizi in Zai Ronchi
Al notevole sviluppo e al progresso sociale ed economico del paese di Minerbe, realizzatosi
soprattutto dal dopoguerra in poi, non si può non riconoscere il contributo dato da
un‘imprenditoria accorta che, attraverso il lavoro d‘impresa, ha saputo creare nuove prospettive al
territorio e alla sua gente. Numerose le imprese che hanno contribuito al benessere del paese ed
alcune di esse per la specificità della loro produzione hanno raggiunto posizioni leader non solo in
Italia ma anche in Europa e nel mondo (Simem, Riello, Zanardi, Uniform,..) portando Minerbe ad
essere conosciuto in diversi Paesi.
INTERVISTA: PIERO FURLANI
PER DITTA SIMEM
Cosa rappresenta il marchio di SIMEM?
Si tratta di un‘aquila stilizzata che ho realizzato assieme a mia moglie.
Un tempo era diritta, ora è rivolta all‘alto. Sorregge un ingranaggio
dentato a rappresentare la meccanica. È rivolta verso l‘alto e quindi
verso il futuro. È un‘aquila possente senza piume, ma robusta e forte.
Ha uno sguardo acuto e puntato verso la meta da raggiungere per
rappresenta molto bene i valori, lo spirito e la forza della SIMEM.
Quali sono i suoi dati biografici?
Sono nato il 12 novembre 1930. La mia intenzione era quella di fare
ingegneria meccanica. A quei tempi però bisognava partire in
bicicletta tutte le mattine con ogni tempo e su strade dissestate per
recarsi a scuola a Legnago.
Era facile ammalarsi. Di conseguenza ho perso qualche anno e non ho potuto realizzare il mio
sogno di diventare ingegnere, ma ho sempre mantenuto questo mio interesse per la meccanica.
Finiti gli studi mi sono impiegato qui a Minerbe in un‘azienda commerciale (l‘industria chimica
Scarmagnan) e vi sono rimasto sette anni fino a che non ho capito che era giunto il momento di
lavorare anche per me stesso e di fare quindi per me tutto quello che avevo fatto per altri.
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Perché allora si lavorava dalla mattina presto alla sera tardi senza tanti riconoscimenti, compreso
tutto il sabato e talvolta anche la domenica mattina. Ne siamo usciti però forgiati in una maniera
tale che non ci faceva più paura niente.
Sono andato persino a vedere un calzaturificio a Varese per acquistarlo, con un coraggio che
rasentava l‘incoscienza. Avevo però 28 anni ed ero tutto proiettato al futuro anche perché ero
sicuro che con tanta volontà e impegno si sarebbe riusciti a far tutto quello che si voleva.
Noi vorremo soprattutto che lei tornasse ai primi anni della Simen e che ci descrivesse
quel periodo di grandi speranze e cambiamenti a Minerbe. Come era Minerbe e come è
diventata con le prime industrie in zona Ronchi?
Si pensi che a quel tempo a Minerbe non c‘erano molte prospettive di lavoro, solo aziende agricole;
biciclette a non finire di persone, soprattutto ragazze che, in lunghe file interminabili, andavano a
lavorare in campagna nelle grandi proprietà terriere.
La situazione era questa, ma già si cominciavano a vedere i primi cambiamenti anche se lo
sviluppo vero e proprio del paese è cominciato più tardi.
Anche il mio impegno in amministrazione è stato utile per l‘avvio dello sviluppo del paese.
Io sono stato per dieci anni in amministrazione comunale a cavallo degli anni ‗60-‘70, proprio nel
momento in cui si è dato un forte impulso allo sviluppo del paese. A monte c‘erano molte idee per
porre le basi per far crescere Minerbe, ma a livello amministrativo c‘erano anche maggiori
condizioni favorevoli.
A quei tempi infatti si poteva realizzare responsabilmente quello che si riteneva onesto e proficuo
per il Comune, senza tanta burocrazia. Ci si poteva così impegnare nella amministrazione pubblica
proprio come se si lavorasse in proprio.
Si pensi che un giorno siamo andati a Milano presso la Star ad acquistare lo stabilimento dismesso
che aveva in Minerbe. Lo abbiamo acquistato il mattino e una volta tornati nel pomeriggio, dopo
averne parlato tra di noi, vale a dire io, il Sindaco Bertoldi, che per noi era una istituzione e
l‘ingegner Ferrari, che poi ha fatto il Sindaco al posto di Bertoldi, lo abbiamo subito rivenduto, con
grande interesse per le casse del Comune. L‘avevamo comperato a 405 milioni, pur senza averli; il
giorno dopo lo abbiamo venduto per 410 milioni alla riseria Grazia che vi è tuttora, realizzando
quindi con un primo guadagno; restava inoltre da vendere tutto il terreno davanti allo
stabilimento da cui sono stati ricavati altri 200 milioni serviti poi per l‘acquisto del terreno per la
costruzione della nuova scuola media. Tutto questo a dimostrazione che allora si aveva la
possibilità e l‘opportunità di fare tante cose a livello amministrativo: bastava avere idee chiare su
quello che si voleva realizzare e il coraggio di farle. Oggi questo non è più possibile; ci sono
burocrazie talmente complesse che stanno soffocando ogni attività mentre invece accorerebbero
tempi e procedure più snelle senza nulla togliere alle responsabilità personali.
Circa 30 anni fa un cliente svizzero mi disse che noi italiani siamo da ammirare per come
riusciamo a fare impresa nonostante tutto questo riusciamo ad andare avanti e a progredire
continuamente. Ed oggi è ancora più difficile farlo.
Le prime tre fabbriche ad insediarsi nella zona industriale di Minerbe, quella adiacente alla strada
statale, sono state quelle di ―Zanardi fonderie‖, ―Riello macchine utensili‖ e ―Simen‖.
Successivamente la zona industriale è stata ancora ampliata per fare posto ad altri insediamenti
produttivi e lo spirito lungimirante del sindaco Bertoldi anche in questo è stato fondamentale:
quando è arrivato l‘acquedotto e la rete del metano ha fatto sì che le tubazioni arrivassero fino in
zona industriale, per renderle disponibili per i nuovi insediamenti produttivi.
Come sono stati i suoi inizi imprenditoriali?
L‘idea iniziale è dovuta, oltre che dal mio interesse per la meccanica, dal fatto di osservare dalla
mia abitazione degli impresari impegnati nella costruzione d una casa a piano rialzato.
Mi sono guardato intorno e ho visto che mancavano attrezzature per l‘edilizia. Ho quindi pensato
che era il momento giusto per entrare nel settore delle costruzioni e così ho cominciato.
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Ho affittato un ufficio a Verona, in zona industriale e da lì ho dato avvio al commercio delle
attrezzature edili, tutte in ferro, cosa molto innovativa perché a quei tempi come materiali si
usavano per lo più corde e legno.Fornivo tutte le possibili attrezzature per l‘edilizia: scale, carriole,
cavalletti; impalcature,..
Avevo comperato un camioncino con il quale ogni mattina si usciva per cantieri andando a
incontrare le imprese nei luoghi in cui in cui si costruiva.
Ho cominciato prima da solo: al mattino caricavo il materiale sul camioncino e andavo
direttamente nei vari cantieri cosa che nessuno aveva fatto prima di me. Il successo è stato tanto
che alla fine del primo anno ho dovuto comperare un altro camioncino ed assumere due
rappresentanti.
In seguito ho costruito un piccolo capannone dietro casa con l‘idea di costruire macchine.
A Minerbe non c‘era nessuno che aveva ancora la dimestichezza di fare il costruttore meccanico e
allora mi sono portato da Verona un ragazzo di una ditta concorrente. Un po‘ alla volta la ditta è
cresciuta ed è nata la SIMEM dove ancora oggi lavoro con soddisfazione perché nella vita il lavoro
che piace non è mai pesante e il tempo che ti occupa non lo senti.
Il percorso compiuto è stato lungo da quando agli inizi del ‗62 abbiamo cominciato a produrre le
prime macchine fino ad arrivare agli attuali impianti di betonaggio con specializzazione
nell‘impiantistica. Abbiamo cominciato come azienda artigianale e poi via via vi è stata una
progressiva evoluzione, soprattutto negli anni ‗80.
Attualmente siamo impegnati nella costruzione degli impianti per la produzione del calcestruzzo a
Panama per il raddoppio del canale la cui inaugurazione è prevista nel 2014. Un nuovo settore è
oggi rappresentato dagli impianti per il trattamento e la depurazione delle acque reflue dai cicli
produttivi: acciaierie, fonderie, tintorie, concerie,..
Rappresenta un nuovo settore di sviluppo, destinato ad avere una buona prospettiva di sviluppo
accanto a quello dell‘edilizia.
Vengono depurate le acque e riportate entro determinati limiti ammessi. Recentemente abbiamo
mandato a Papua, in Nuova Guinea, due impianti enormi per bonificare l‘intera isola. Lavoriamo
inoltre con Russia, India, Bangladesh, Stati Uniti, Marocco, Algeria, Tunisia per cui i nostri
dipendenti devono continuamente essere formati ed aggiornati nell‘ uso delle tecnologie e nella
competenza delle lingue: inglese in particolare ma anche francese.
Nel leggere lo sviluppo della Simen e le progettazioni e realizzazioni delle grandi opere
che contribuisce a costruire nel mondo viene naturale pensare che la Simen “lavori per
l’eternità” erigendo nel mondo capolavori della scienza e della tecnica. La Simen
pertanto non è importante solo per Minerbe, ma per l’umanità stessa se si pensa quanto
lavoro umano allevia, quali ostacoli permette di superare, quali benefici permette di
raggiungere,..
È consapevole di tutto questo? Ne è orgoglioso e fiero? Avrebbe mai pensato di
raggiungere tutti questi risultati? A chi va il merito di un tale successo?
Ne sono orgoglioso: SIMEM ha fornito i macchinari per l‘Eurotunnel della Manica, quelle per il
cemento dei grattacieli delle Petronas Towers della Malesia, dello Stadio Olimipico di Sydney,
degli impianti dell‘aereoporto di Honk-Kong. Ed ancora i miscelatori e le betoniere per la
realizzazione della Salerno-Reggio Calabria; la
realizzazione de La Defense di Parigi, dell‘Alta
velocità italiana, dell‘Euro-tunnel, del Mose di
Venezia, di numerose dighe ed ora quelli per
l‘ampliamento del canale di Panama.
Tutto questo è stato possibile perché ho avuto una
famiglia alle spalle che mi ha sempre sostenuto,
perché ho avuto la fortuna di avere dei bravi
collaboratori e soprattutto l‘apporto dei figli che
hanno scelto di impegnarsi in azienda.
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INTERVISTA : FRANCO TENZON
PER DITTA UNIFORM
Perché UNIFORM?
Innanzi tutto perché è una parola semplice facile da dire e da
capire anche in lingue diverse. È data dall‘unione di ―uni‖ che
rimanda alle norme qualità e ―form‖. Lo utilizziamo dal 1988
assieme al pensiero che ci rappresenta ―progresso è esplorare
sempre nuove soluzioni‖
I suoi dati biografici…
Sono nato a Minerbe nel 1953 e tutt‘ora vi abito con la mia
famiglia; ho due figli che hanno scelto in tutta autonomia di
impegnarsi in azienda assieme a me e di questo sono contento.
Il suo rapporto con la scuola come è stato?
Buono, di allora mi è rimasto soprattutto l‘interesse per il disegno
tecnico che è una delle cose che a volte seguo in azienda.
I suoi inizi di imprenditore…
Sono avvenuti nel 1988 ma dapprima mi è stata utile l‘esperienza accumulata come venditore di
utensili avendo acquisito sia conoscenze tecniche che commerciali. Sentivo però l‘esigenza di
dover e poter fare qualcosa di mio. Lo spunto mi è venuto in una fiera dove sono stato attratto
dalla bellezza di un infisso color rosso ferrari in legno di larice, era molto bello e meritava
attenzione. Impiegai due anni per progettarlo ma avevo 35 anni, l‘età giusta per cominciare. Anche
gli anni erano favorevoli ed il prodotto ha avuto subito un successo rilevante in Europa e non solo.
La formula si è rivelata subito vincente: si trattava di un infisso che non solo non richiedeva
manutenzioni ma soprattutto si prestava a rivoluzionare i concetti tradizionali di porte e finestre
rinnovando forme ed architetture d‘interni ed esterni.
Chi è l’imprenditore e cosa significa per lei essere un imprenditore? Quali sono le
maggiori responsabilità che sente? Quali sono i pensieri più frequenti?
Prima di diventare imprenditore, il successo nella mia attività riguardava solo me. La mia
esperienza di imprenditore mi ha portato a comprendere che il mio lavoro consiste nel far crescere
gli altri, nel rendere più brillanti, più grandi e più coraggiosi i miei collaboratori. Niente di ciò che
faccio individualmente ha importanza, a eccezione del modo in cui appoggio e alimento i miei
collaboratori e incremento la fiducia di ciascun di loro nelle proprie capacità. Il mio successo non
viene direttamente da ciò che faccio ma indirettamente dalla buona riuscita dei miei collaboratori.
Il mio apporto oggi consiste nel trovare le migliori soluzioni e strategie per sviluppare l'azienda.
Per espandere una impresa in modo rilevante occorre individuare le competenze chiave. Le
competenze chiave sono un pacchetto di capacità e conoscenze, di risorse e di know-how che
consentono all'azienda di avere vantaggi concorrenziali in grado di garantire un successo duraturo
nel tempo. In una società opulenta come la nostra occorre diventare specialisti e differenziare il
prodotto cambiando le regole e affrontando le sfide con coraggio. C'è una frase che considero parte
della mia visione imprenditoriale: ―Non si scoprono nuove terre se non si accetta di perdere di
vista per molto tempo la terraferma.‖
Per il funzionamento e lo sviluppo della sua azienda cosa ritiene sia stato fondamentale
e utile (partire dal basso, affidarsi alla ricerca e all’innovazione, introdurre tecnologia,
leggere e interpretare l’evoluzione del mercato, seguire idee creative, avvalersi di buoni
collaboratori,..)?
Sicuramente l‘innovazione è fondamentale. Il progresso infatti è esplorare sempre nuove soluzioni.
Questo pensiero mi ha guidato nella ricerca di mettere insieme materiali diversi per migliorare le
prestazioni delle facciate e dei serramenti. L'evoluzione di questa ricerca ha fatto nascere i nostri
sistemi in legno-alluminio-bronzo. Uniform si è sempre distinta per la capacità di innovazione che
esprime: l'innovazione è dentro di noi, nel nostro DNA.
Il suo legame con Minerbe ed il territorio…
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Una azienda rappresenta sempre una ricchezza per il territorio. Il lavoro che genera è fonte di
benessere per molte famiglie e attrae nuove persone nel territorio. Quando ha successo ha la
capacità di alimentare una serena vita sociale e rende possibile l'integrazione. Una azienda
moderna ha un ambiente di lavoro che garantisce la salute e la sicurezza dei propri dipendenti e
promuove azioni di crescita umana e professionale. La prosperità che si espande da una azienda di
successo alimenta la visione di un futuro sereno e ciò è di grande importanza per la qualità della
vita sociale. Il benessere generato nella comunità è motivo di orgoglio e grande responsabilità un
po‘ come avere una grande famiglia intorno.
Uniform risente dell’attuale crisi e quali potrebbero essere i rimedi?
In un periodo di profonda crisi come quello che stiamo attraversando, e in particolare con l‘attuale
difficile situazione del comparto edilizio, Uniform ha saputo reagire in modo straordinario.
Nel 2010 ha ripetuto il risultato del 2008, l'anno che ha preceduto la crisi che ancora duramente
colpisce l'economia di tutto il mondo. Questo grande successo è stato ottenuto in controtendenza
rispetto ai risultati di molte delle aziende italiane. Questo successo lo si deve a qualità, affidabilità,
competenze, relazioni. I nostri clienti hanno apprezzato l'eccellente qualità del nostro prodotto,
l'affidabilità del nostro servizio, la competenza tecnica dei nostri collaboratori, le ottime relazioni
commerciali e umane che abbiamo stabilito. I rimedi stanno nel continuare a fare un prodotto ha
successo che abbia elevati vantaggi motivazionali all'acquisto. Oggi la qualità di un prodotto deve
essere data per scontata e ritenuta un elemento doveroso da parte di chi produce. Il prodotto deve
avere qualcosa in più per avere successo, la qualità da sola non è più sufficiente, deve essere
attraente, contemporaneo, capace di trasmettere un messaggio di fashion, di trend o di etica
ambientale. Il prezzo è una componente legata ai volumi e al target di mercato che si vuole
raggiungere ed è slegato dalla redditività. Ogni dettaglio anche il più piccolo che origini un
vantaggio motivazionale all'acquisto deve essere sviluppato; la comunicazione di tali vantaggi vale
il doppio del prodotto stesso, nulla è vendibile se non è comunicato efficacemente e nulla diventa
redditizio se non viene comunicato in modo efficace.
Ricordo a questo proposito una frase di Henry Ford: ―Le anatre depongono le loro uova in
silenzio. Le galline invece starnazzano come impazzite. Qual è la conseguenza? Tutto il mondo
mangia uova di gallina‖.
Per far crescere la propria impresa occorre essere generosi con se stessi e con gli altri. L'eccessivo
attaccamento al denaro impedisce una visione sufficientemente coraggiosa nel mettere in gioco le
risorse economiche a disposizione. La ricchezza generata è una conseguenza di tale approccio.
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INTERVISTA: CHIARA ZUCCARI
PER DITTA PRIMOMATTINO
Presenta la ditta allo stato attuale ?
Io, Chiara, rispondo a nome dell‘azienda che
si può dichiarare per la maggior parte al
femminile dato che noi sorelle Chiara,
Francesca e la giovane Cecilia ci dividiamo i
compiti
di
amministratore
delegato,
responsabile
commerciale,
responsabile
qualità e addetta al personale. I nostri fratelli
Stefano e Giovanni ricoprono altri incarichi ai
vertici aziendali.
La ragione sociale è: Primomattino Baratella S.p.A.
Il cognome Baratella è stato lasciato in memoria della madre morta prematuramente da molti anni,
in realtà noi siamo tutti di cognome Zuccari,
Abbiamo uffici e magazzino a Minerbe in via Santo Stefano n° 32. Abbiamo uno stand, il n° 35, nel
mercato ortofrutticolo di Verona dove operiamo e dove risulta essere la nostra sede legale.
I nostri dipendenti sono in numero variabile per esigenze legate alla stagionalità dei prodotti, ma
ruotano intorno alle 50 unità. Ci avvaliamo di ragionieri, venditori, magazzinieri, autisti, tecnici
per i macchinari e cernitrici.
Racconta la storia dell’azienda?
Primomattino ha una storia che parte circa 50 anni fa e che, evolvendosi nel nome e nella ragione
sociale oltre che nei soci, si presenta oggi come S.p.A.
Era un‘azienda agricola passata ad azienda commerciale che dalla madre e dal padre Gabriele è
stata tramandata ai cinque figli .
Tutti se pur in tempi diversi si sono integrati e seguono ognuno aspetti diversi della conduzione
aziendale.
La nostra forza è stata quella di essere un gruppo che cercava di andare verso un'unica direzione e
che nel continuo confronto, a volte scontro, ha cercato e trovato soluzioni compatibili con le
esigenze in evoluzione della clientela adattandosi alle nuove richieste del mercato.
In cosa consiste il lavoro aziendale?
Commercializziamo all‘ingrosso frutta e verdura. Programmiamo con la produzione
prevalentemente ortaggi quali: cipolle bianche, rosse, dorate, scalogno, i cinque tipi di radicchi, ma
anche zucchine, peperoni, cetrioli, friggitelli, peperoncini piccanti rotondi, verze, cappucci,
asparagi, piselli, fagiolini, stortini ecc
Ci avvaliamo di tecnici specializzati per orientare le aziende sulle migliori varietà, la scelta dei
terreni, concimazioni, trattamenti, tempi di raccolta, modalità di lavorazione, dove è prevista, e di
conservazione per periodi a volte cortissimi a volte medi o lunghi a seconda del prodotto.
Da quali zone proviene la materia prima?
La materia prima proviene principalmente dall‘Italia soprattutto dal Veneto, Emilia Romagna,
Piemonte, Lombardia ma anche Sicilia e Sardegna
Pur avendo località preferite per qualità del prodotto richiesto, noi compriamo e vendiamo in tutta
Italia. In periodi in cui non c‘è produzione in Italia o non è sufficiente, siamo in contatto con altri
stati quali: Marocco, Egitto, Messico, Australia, India, Olanda, Germania, Inghilterra, Norvegia,
Danimarca, Austria, Francia, Spagna, Turchia dai quali facciamo arrivare la materia prima.
Dove viene inviato il prodotto?
La grande distribuzione italiana è il nostro cliente principale, ma nei periodi in cui all‘estero c‘è
richiesta di prodotti italiani noi li riforniamo. I principali paesi stranieri sono: Inghilterra,
Germania, Olanda, Norvegia, Danimarca, Ungheria, Russia, Lituania, Svizzera, Spagna.
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Ci siamo rivolti a lei per mettere in risalto l’imprenditoria al femminile poco frequente a
Minerbe : come ha coniugato il lavoro con la famiglia?
Il motivo perchè c‘è poca imprenditoria femminile nasce da retaggi storici in quanto l‘attività
aziendale doveva essere trasmessa ai figli maschi dato che la femmina da sposata doveva seguire
la famiglia ed avrebbe quindi avuto difficoltà ad impegnarsi in eguale maniera nell‘azienda.
Anche noi abbiamo corso questo rischio perchè l‘intenzione, soprattutto di nostro padre, era
questa. Dopo discussioni e dimostrando sul campo che sarebbe stata utile una parificazione dei
ruoli per essere così tutti stimolati nella conduzione aziendale, abbiamo convenuto per tutti le
stesse quote sociali superando anche il divario dell‘età che tra il primo e l‘ultimo fratello è di 20
anni.
Questo è stato un atto generoso dei fratelli più adulti per cercare di dare impulsi sempre nuovi
all‘azienda oltre che rispettare la volontà della mamma di dare a tutti una stessa possibilità di
inserimento nell‘impresa di famiglia.
La famiglia è conciliabile con il lavoro se lo stesso concetto di parità esiste anche tra marito e
moglie .
Ci si organizza e si trovano soluzioni per avere entrambi la possibilità di soddisfare le proprie
aspirazioni anche lavorative.
Ci siamo fatti aiutare nella gestione della casa e dei figli, ci siamo avvalsi dell‘asilo nido per tutti e
tre i figli e in casa abbiamo un aiuto esterno oltre che un aiuto dai nonni. Certamente si devono
evitare gli scontri ed incentivare le collaborazioni ed ogni tanto… non guardare la pagliuzza!
Devo comunque ringraziare i miei soci per la tolleranza nella mia diversa tempistica lavorativa in
alcuni periodi soprattutto fino al primo anno di età dei miei figli, il periodo più difficile. Ho cercato
sempre di dare il massimo in ogni occasione in modo che la riconoscenza per il lavoro svolto con
efficienza ed inventiva facesse passare in secondo piano il limite imposto da situazioni ed obblighi
famigliari. C‘è da aggiungere che il mio lavoro richiedeva una notevole disponibilità nei confronti
dei clienti, soprattutto telefonica, che ho cercato di dare sempre.
Il dare con generosità e senza riserve ti viene riconosciuto quando si adotta lo stesso metro di
misura nei riguardi degli altri soci e dove la logica prettamente economica lascia un po‘ di spazio
anche al legame famigliare e al rispetto di situazioni contingenti complicate, l‘importante è non
approfittarne e compensare appena possibile.
È soddisfatta del suo lavoro?
Le mie aspirazioni artistiche non hanno trovato molto sviluppo nel lavoro anche se la fantasia nel
trovare soluzioni e‘ sempre importante, comunque sono soddisfatta del mio lavoro anche se a volte
è molto difficile prendere decisioni giuste e condivisibili dai soci.
Quali sono i problemi dell’azienda oggi?
Nel nostro settore abbiamo sempre dovuto affrontare le problematiche di una economia reale,
dove lo spazio sul mercato si acquisisce con qualità, innovazione e competitivita‘.
È importante avere collaboratori attivi e vigili nei propri ruoli operativi e di controllo del lavoro
fatto e ordinato.
Il menefreghismo che si riscontra in alcuni soggetti che lavorano solo per lo stipendio e qualora
non si valutano le ripercussioni delle azioni personali su tutta la squadra è quanto di più negativo
possa capitare in un‘azienda.
Dobbiamo convincerci che i problemi e i cambiamenti partono dal nostro fare o non fare, e che non
sono gli altri che possono cambiare le cose ma che lo dobbiamo fare noi di persona.
La nostra azienda nonostante la crisi è in crescita e quindi non posso far altro che augurarmi che
tutto continui .
Le difficoltà ci sono, l‘importante è trovare soluzioni costruttive e nei momenti difficili non farsi
prendere la mano dagli eventi ma reagire ragionando.
Che prospettive vede per il futuro?
Il futuro lo costruiamo di giorno in giorno creando meccanismi meritocratici che sfruttando
l‘eccellenza umana abbinata all‘innovazione possono farti star lontano dai problemi.
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Anche in questi frangenti di congiuntura economica è importante avere il coraggio di investire e di
rinnovarsi.
In merito all’Italia unita da 150 anni: ritieni di valore il ruolo dell’azienda per Minerbe
nel passato ed oggi?
Un‘ azienda produttiva e‘ una risorsa che crea benessere e libertà per tutta la popolazione anche se
il cosiddetto padrone a volte dà fastidio perchè deve cercare necessariamente dei risultati concreti
a volte facendo la voce grossa.
Fortunato è quel paese in cui qualcuno si impegna nel creare posti di lavoro assumendosi
responsabilità oggi sempre più grandi, e dà una prospettiva di lavoro ai nostri figli.
Senza un benessere mediamente diffuso non ci può essere democrazia duratura.
INTERVISTA: ADRIANO FERRARI
PER LA DITTA ISTÀ
Signor Adriano, presenta la ditta allo stato
attuale?
La Ferrari & Franceschetti Spa, attiva a Santo Stefano
di Minerbe, è un‘industria conserviera. Tutto il team
dirigenziale fa parte della famiglia Ferrari: io, Adriano,
per la direzione acquisti, Walter per la direzione
tecnica e produttiva mentre nostro cognato Alessio
Beozzi si occupa della direzione commerciale.
Attualmente gli addetti nell‘azienda sono una
quarantina.
In cosa consiste il lavoro aziendale?
La ditta è attiva nel produrre antipasti di verdure e conserve vegetali. Tra le specialità alimentari
prodotte dall‘azienda rientrano carciofi, funghi, verdure alla griglia, pomodori secchi. La materia
prima è per la maggior parte di origine italiana o comunque comunitaria. Dal Veneto provengono
le cipolle fresche, i funghi freschi, le melanzane, i peperoni, le zucchine. Dalla Puglia i carciofi,
unici per la loro qualità.
Dove va il prodotto?
I prodotti di Ferrari & Franceschetti Spa sono destinati esclusivamente all‘uso tecnico e rivolti ai
cuochi, pizzaioli, laboratori di gastronomia, mense aziendali… Il mercato di riferimento è quello
Nazionale ed Europeo, ma esportiamo anche negli USA e in Giappone.
Racconta la storia dell’azienda?
L‘azienda è nata a Minerbe nel 1963 per opera dei coniugi Eugenio Ferrari e Gemma Franceschetti,
poi noi figli maschi ne abbiamo proseguito e allargato l'attività affiancati da nostro cognato. Per
noi protagoniste della crescita sono le persone.
Ci parlate dei marchi aziendali?
Il nostro marchio è ISTA‘ che nel dialetto veronese significa Estate: la stagione più ricca di frutti
della terra. Nel nostro sito potete contare altri sette marchi che corrispondono ad altrettante linee
di prodotti: verdure grigliate, condimenti e altre novità richieste oggi dalla ristorazione. Ci
interessa stare nella modernità dei processi e dei mercati custodendo l'anima contadina.
Quali principi condividete alla base del vostro lavoro?
Per noi qualità e sicurezza sono fattori fondamentali. Il nostro sistema di qualità è basato su
standard internazionali.
Attraverso il sorriso rassicurante di controfigure, nel sito dichiariamo cose autentiche: spirito di
gruppo, tanta passione e creatività. Non dimentichiamo il valore dell‘onestà, salda eredità
culturale.
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Come vi fate conoscere?
La pubblicità è l‘anima del commercio e oggi ci affidiamo a internet per illustrare in modo
esauriente ed attraente i nostri prodotti completando con proposte di ricette.
Nel sito affermiamo il nostro impegno verso un continuo sviluppo industriale per assicurare un
prodotto buono, sicuro e adatto alle varie necessità. Frequentiamo inoltre le fiere del settore: in
maggio siamo presenti a Tuttofood alla fiera di Milano, Anuga.
INTERVISTA: MEGGIOLARO GIULIANO
PER DITTA MGM
Ci parla della sua azienda?
Nelle lettere MGM della denominazione della ditta, che giuridicamente
risulta una Srl, trovate le iniziali del mio nome e cognome. Si può
definire un‘azienda di tipo artigianale: situata nella Zai di Minerbe,
oltre a me, occupa otto operai e un‘impiegata. Circa gli operai, che
provengono tutti dalla nostra zona, devo precisare che hanno molta
esperienza dato che hanno al loro attivo venti o più anni di lavoro nella
nostra ditta. Sono in grado di svolgere qualsiasi ruolo e ciò non è cosa
da poco in un lavoro che prevede solo in parte il metodo a catena di
montaggio.
In cosa consiste il lavoro aziendale?
Siamo un‘azienda di carpenteria meccanica, lavoriamo e saldiamo il ferro. Produciamo
scambiatori di calore con un marchio nostro, inoltre esaudiamo commesse per altre ditte
meccaniche della zona.
Si tratta oggi di prodotti molto controllati. C‘è un aspetto burocratico nel lavoro odierno che
penalizza un po‘, ma racconta del progresso italiano anche in questo settore. Ogni acquisto di
materia prima è documentato per cui il prodotto finale ha garanzie di tracciabilità che danno
sicurezza al cliente costringendo la ditta produttrice ad essere assolutamente seria.
Tutto bene allora…
Per l‘azienda non tanto perché questi metodi comportano lavoro aggiuntivo in una situazione di
alta concorrenza basata sui costi, che dobbiamo tenere sotto controllo per restare sul mercato.
Quali sono i problemi oggi?
Oggi è impensabile avere giacenze di magazzino perché ciò risulta costoso. Occorre perciò
rispondere alle commesse in modo tempestivo con disponibilità a variare l‘impegno lavorativo. Un
obiettivo è risultare affidabili soprattutto nei confronti delle grandi aziende.
Come rispondono gli operai?
Pongo un discorso generale: negli ultimi decenni abbiamo vissuto forti cambiamenti nello stile di
vita sperimentando un diffuso benessere. Questo può indurre talvolta a spese troppo impegnative
o a prolungati pagamenti rateali. A volte noto che la mente di chi lavora è impegnata nei propri
problemi.
Lei è testimone dell’evoluzione della Zai di Minrbe: ci fa il punto?
Purtroppo devo constatare che alcuni capannoni sono inattivi: oggi, in genere, la crisi segna più
aziende che chiudono che attività produttive nuove. In questo contesto l‘artigianato di Minerbe
presenta buone realtà che si sono saggiamente indirizzate a campi differenziati: mobilifici, materie
plastiche, componenti elettrici e altro. In ogni caso dobbiamo essere fieri della capacità
occupazionale della nostra zona industriale, potrebbe assorbire praticamente tutta la manodopera
minerbese.
Ho rimpianto per gli insediamenti Star in via Battisti, che non sono partiti, ma avrebbero potuto
creare una grande opportunità. Devo osservare inoltre che la manodopera femminile non ha mai
trovato sbocchi significativi a Minerbe.
100
Quale storia ha la sua ditta?
Nel ‗79 a San Zenone, vicino alla mia abitazione di allora in via Vegarola, lavoravo io con un
operaio. L‘azienda si è ingrandita e dall‘85 lavoriamo in questo capannone nel nucleo originario
della Zai. A quel tempo erano richieste macchine per lavorare il legno: il lavoro c‘era, ma le
difficoltà nelle riscossioni ci ha indotti a riciclarci in altri settori del lavoro meccanico.
Richiedete particolari competenze?
È occorso un documento che attestasse la frequenza a un corso di saldatore, ma i miei uomini con
la loro esperienza non ne avrebbero avuto bisogno. Oggi la scuola professionale abilita, ma a
questo proposito io aumenterei gli scambi tra la scuola e il lavoro in ambedue le direzioni.
Con l’esperienza di una vita cosa dice ai giovani di oggi?
Li consiglio di fare un attento esame delle proprie attitudini senza arrivismi controproducenti.
Ognuno è signore nel proprio lavoro se lo fa con passione e competenza. L‘imprenditoria, come
nel mio caso, non è facile, occorre fare un passo alla volta, ma senza coraggio e idee non c‘è
progresso.
INTERVISTA : FRANCESCO ALBERTI
PER DITTA ALBERTI SAS
Presenta la sua ditta allo stato attuale?
La ditta ha aperto un‘altra sede a Verona in via Tombetta dopo quella
di via dell‘Artigianato nella Zai di Minerbe. In ambedue si trovano
uffici e magazzini. La denominazione risulta ―Alberti Sas di Alberti
Francesco e C.‖, servizio di assistenza tecnica Aermec. È la ditta
autorizzata dalla produttrice ad operare in tutta la provincia di
Verona.
Chi la dirige? Si avvale di stretti collaboratori?
La dirigenza dell‘azienda è riservata a me e a mio figlio Alberto. Gli
addetti sono tredici operai specializzati nel settore della climatizzazione e tre impiegati.
In cosa consiste il lavoro aziendale?
Gli addetti installano impianti tecnologici in Istituti di credito, alberghi, grandi aziende che
operano sia in territorio locale che nazionale. Non manca il lavoro presso le abitazioni private.
Successivamente all‘istallazione ci dedichiamo alla manutenzione e all‘assistenza del prodotto.
Racconta la storia dell’azienda?
La storia dell‘azienda inizia nel 1973. Nasce come ditta individuale denominata ―Alberti
Francesco‖e incomincia il suo percorso come assistenza Aermec per gli impianti di
condizionamento e riscaldamento nella provincia di Verona , titolo che conserva tutt‘oggi.
Nel 2005, varia la sua ragione sociale in ― Alberti sas di Alberti F- &.C., con l‘entrata di tre nuovi
soci, tutti appartenenti al nucleo familiare.
Attualmente, l‘azienda Alberti sas , opera a trecentosessanta gradi in tutti i settori che riguardano
l‘impiantistica , a partire dall‘impianto di climatizzazione , elettrico, domotico, di telegestione fino
ad arrivare al fotovoltaico.
È soddisfatto del suo lavoro?
Sì, molto, visto che la ditta è operativa da quasi quarant‘anni e si è evoluta allargando il suo
ambito. Ho operato con aziende quali importanti Istituti di credito , compagnie telefoniche SIP ora
TELECOM, e istituti pubblici quali INPS e INAIL.
Quali sono (se ce ne sono) i problemi dell’azienda oggi?
I problemi , secondo il mio pensiero, sono il personale poco disposto ai sacrifici e poco motivato. I
clienti sono diventanti molto esigenti e il più delle volte proprio da questi riscontro difficoltà nella
riscossione dei crediti.
101
Che prospettive vede per il futuro?
Il futuro lo scorgo nello sfruttamento dell‘energia solare ( fotovoltaico e domotica).
Parla del legame con il territorio?
La nostra ditta pone le sue radici da 40 anni a Minerbe , ed è forte del consenso anche di altre realtà
imprenditoriali del territorio locale.
In merito all’Italia unita da 150 anni: ritiene di valore il ruolo dell’azienda per Minerbe
nel passato e oggi?
La realtà di oggi è molto cambiata: all‘inizio, nel 1973, era solo io e un dipendente ed oggi questi
dati sono cambiati in maniera esponenziale avendo creato possibilità di lavoro per la manodopera
locale.
Lo scorso 17 marzo è stata per lei una data importante: ci racconta?
Sì, effettivamente il 17 Marzo 2011 per me è stata una data memorabile perché ho ricevuto
l‘onorificenza per il cavalierato al merito della Repubblica Italiana (O.M.R.I).
Sono stato insignito dal prefetto di Verona Dott.ssa Perla Stancari e dal Sindaco di Minerbe Dott.
Carlo Guarise. E‘ stato emozionante , soprattutto perché è stata riconosciuta, oltre alla mia capacità
imprenditoriale, anche la mia
sensibilità per le cause
sociali.
Infatti ho contribuito alla
fondazione di una casafamiglia per ragazze madri
denominata ―Santa Maria del
cammino, Onlus‖, che si
trova nel
territorio di
Bonavigo.
Il Prefetto, F.Alberti e il Sindaco; targa donata dall‟Amministrazione
INTERVISTA: STEFANO ZULIN
PER DITTA TECNOBOLT
Perché il marchio Tecnobolt?
È un termine veloce e allo stesso tempo significativo che racchiude un po‘ tutta l‘attività: è
composto da ―tecno‖ che sta per tecnologia e ―bolt‖, in inglese bullone, per far capire che
trattiamo ogni cosa che abbia a che fare con viti e bulloni per assemblare ogni tipo di
macchina o struttura meccanica.
Lei è un giovane imprenditore; quali sono i suoi dati biografici e come ha
cominciato la sua attività imprenditoriale?
Sono nato il 7 ottobre 1967. Nella mia famiglia lavorare era fondamentale; vedevo la
mamma sacrificarsi notevolmente per sostenere la famiglia, tanto da lavorare di sera a
casa, anche dopo avere finito la sua giornata lavorativa. Capivo quindi che dovevo fare
una scuola professionale, imparare un mestiere e subito dopo trovarmi un lavoro.
È stato semplicissimo, a scuola non avevo problemi nello studio casomai nel
comportamento, dato che sono sempre stato un tipo molto esuberante. Il calcio mi è
sempre stato molto utile; potevo sfogarmi e liberare tutta la mia energia.
Ho frequentato l‘Enaip di Legnago anche se avrei desiderato andare a Verona a studiare.
102
Volevo infatti diventare motorista della Ferrari, desiderio che con il tempo si è affievolito
fino a scomparire. A quei tempi l‘Enaip dava una buona preparazione professionale tanto
che non appena l‘ebbi finito, prima ancora di compiere i 17 anni, ho percepito la mia prima
paga: 900.000 mila lire. Sono uscito dalla scuola con la qualifica di meccanico generico e
congegnatore meccanico e sono stato subito assunto da ―Riello macchine utensili‖ che
aveva appena iniziato al sua attività a Minerbe. Vi sono rimasto dall‘84 al ‘91 anche se non
avevo ancora l‘idea di lavorare in proprio. Mi piaceva invece mettermi in gioco in un
settore che sentivo adatto a me: quello dell‘agente di commercio, di venditore di prodotti.
Lavorare al chiuso della fabbrica ormai mi andava stretto essendo più portato a stare con
la gente e così non appena mi si è presentata l‘occasione sono andato a fare il commesso
viaggiatore per una ditta di Minerbe che aveva il negozio a Legnago, ottenendo subito
risultati molto lusinghieri.
Da qui, dopo alcuni anni, quando è venuto il momento di rivedere il sistema di vendita,
con l‘incremento anche altri settori, non avendo trovato un accordo adeguato, sono
passato a fare il rivenditore per un‘altra ditta dove sono rimasto fino al dicembre del
duemila. Dopo di che mi sono messo in proprio, forte del fatto che conoscevo tutto il
sistema di vendita e avevo un pacchetto di clienti affezionati di lunga conoscenza.
Qual è la vostra specializzazione?
Tecnobolt ha come clienti grandi industrie meccaniche (Simem, Zanardi, Riello,
Aermec,…) sino al piccolo artigiano elettrico, idraulico, impiantista, in quanto si può dire
che il mondo è tutta una bulloneria.
Il prodotto che si vende è standard; noi, nello specifico, facciamo un servizio all‘industria
ed alle officine meccaniche. Abbiamo un deposito e distribuiamo il prodotto in base
all‘esigenza dei clienti cercando di prevedere le richieste del mercato per soddisfare
continuamente le domande e le tendenze dei clienti.
La nostra struttura è dotata di magazzino ed il ciclo completo comprende la raccolta degli
ordini, la preparazione dei materiali, la spedizione,…
Quali caratteristiche personali le sono state più utili nella sua affermazione?
Tanto lavoro, la voglia di mettersi in gioco, di cambiare, di rischiare,…
Chi è l’imprenditore e quali caratteristiche deve avere?
Per essere tale occorre un po‘ di orgoglio e una positiva invidia; chi non ha orgoglio non
può fare l‘imprenditore e se non si ha una sana invidia di ammirazione di qualcuno bravo
da tenere come riferimento positivo non si può arrivare a migliorarsi.
Lei è uno sportivo, ama fare molte attività, ma soprattutto è molto impegnato
nello sport essendo il Presidente del calcio giovanile di Minerbe. Cosa ne pensa
dei ragazzi che praticano sport e calcio in particolare?
Lo sport è particolarmente utile per socializzare, per crescere in salute, per rispettare le
regole e fare integrazione. Mi piace molto seguire i ragazzi del calcio; cerco di essere
sempre presente, di parlare con loro, di capirli e di essere loro d‘aiuto quando ne hanno
bisogno. Dobbiamo investire sui giovani e per questo ritengo fondamentale seguirli
soprattutto nell‘età dei 16-17 anni in quanto è quella più a rischio. Ma se lo sport può
aiutare, tocca soprattutto alla famiglia entrare in campo, ma anche la scuola può e deve
fare la sua parte.
103
IL COMUNE DI MINERBE, LA SUA STORIA, IL SUO GOVERNO
LO STEMMA DI MINERBE
Nel Febbraio 2001, dopo vent'anni d'attesa, Minerbe ottiene un
proprio stemma: lo sfondo è azzurro, presenta al centro un albero
verde avente in cima una colomba argentata con in becco un
ramoscello d'ulivo.
Da quanto ricavato in alcuni documenti,
pare che il simbolo precedente non avesse avuto una colomba
con il ramo d'ulivo, bensì un uccello di un'altra specie, si pensa
una civetta, che nulla avrebbe tenuto in bocca. Si può osservare
lo stemma descritto in sala civica, in alto al centro di una parete.
DOCUMENTI DEL RISORGIMENTO A MINERBE
Mentre si aspettava che la guerra fosse realmente finita, nel Comune di Minerbe, come del
resto anche ad Albaredo e a Volpino (frazione del Comune di Arcole) gli Austriaci
sfogarono il loro livore anti italiano minacciando di incendiare il paese ed estorcendo
somme notevoli di danaro, accusando la popolazione di inesistenti trame; si diceva che
alcuni abitanti di Minerbe avevano promosso rumorose manifestazioni contro il presidio
austriaco, agitando per la strada alcune bandiere tricolori. I suddetti Comuni restavano
oltre la linea di demarcazione, in altre parole erano ancora in mano dell‘Austria. Il confine
correva sul fiume Fratta che ancor oggi fa da confine, per lungo tratto, tra le Province di
Padova e Verona. Di quest‘ignobile comportamento è memoria in una lapide murata nel
vecchio palazzo municipale del paese, ora ―La Loggia‖, in Piazza IV Novembre.
I SOLDATI DELL‘AUSTRIA
CON MlNACCE DI FUOCO E DI MORTE
NEL IV AGOSTO MDCCCLXVI
VOLLERO ED EBBERO IN SOLE DUE ORE
DA QUESTO INERME COMUNE
LA SOMMA DI DUE MILLE FIORINI
A PUNIRLO
DEI NON CELATI PATRIOTTICI ASPIRI.
DURI LA MEMORIA DEL FATTO COLL‘ODIO
A OGNI DOMINAZIONE STRANIERA
IV AGOSTO MDCCCLXVII.
“A pace sottoscritta non risulta sia stato richiesto all’autore di questa sopruso di render conto del
suo gesto. Due mila fiorini corrispondevano allora a 4938 lire italiane. La paga di un giornaliero di
campagna, all’epoca cui si riferiscono i fatti, era di quaranta centesimi di lire italiane al giorno.
104
Per mettere insieme questa somma doveva lavorare quasi trentaquattro anni senza riposarsi mai un
giorno”. Così afferma il prof. Giuseppe Battaglia, storico.
LAPIDI IN SALA CIVICA
Trascrizioni:
A PERENNE INCITAMENTO
DELLE FORTI VIRTU‘
CHE FANNO GRANDE LA PATRIA
E AFFRATELLANO L‘UMANITA‘
IL NOME DI
GIUSEPPE GARIBALDI
COMPENDIO DI OGNI ECCELSO IDEALE
QUI SCRISSERO
I CITTADINI MINERBESI
A. 1883
A. 1883
PER LE PUBBLICHE LIBERTA‘
LEALMENTE MANTENUTE
PER IL DOMINIO DEGLI AVI E PER LA VITA
CIMENTATI CONTRO LO STRANIERO
A SALUTE DELLA PATRIA
VITTORIO EMANUELE II
MERITO‘
DI CINGERE LA CORONA D‘ITALIA
RIVENDICATA A NAZIONE
SALUTANDOLO IL POPOLO
RE LIBERATORE
IL COMUNE DI MINERBE
IN MEMORIA ED ESEMPIO GLORIOSO
QUESTO RICORDO CONSACRO‘
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LE RESPONASBILITÀ AMMINISTRATIVE: LA PAROLA AD ALCUNI
AMMINISTRATORI
INTERVISTA:
SANDRA CANEVA PER BERTOLDI LEONELLO
Presso gli impianti sportivi una lapide marmorea riporta che
sono stati intitolati a Leonello Bertoldi, Sindaco benemerito.
È stata istallata durante l‘amministrazione Ferrari per
ricordare la persona al vertice del Comune dal 1961 al 1989,
anni del boom economico che si identifica a Minerbe con le
Amministrazioni guidate da Bertoldi.
La moglie Sandra Caneva è custode del suo ricordo come
uomo e come politico. Rammenta che era molto giovane
quando ha conosciuto Leonello che aveva qualche anno in
più essendo nato nel ‘21. Lei era legnaghese, il giovane
invece apparteneva a una famiglia di agricoltori minerbesi i
cui capostipiti, originari di Recoaro, avevano preso in affitto la grossa campagna di corte
Comuni. I genitori avevano avviato i due figli maschi agli studi: Leonello frequentò scuole
professionali, mentre per il fratello Giovanni Maria la guerra in Abissinia riservò una sorte
fatale. Studente universitario a Venezia, ebbe la laurea Honoris Causa e fu l‘unico
minerbese caduto in quella terra dove riposa nel cimitero civile di Mogadiscio.
Sandra e Leonello si sposarono nel ‗52 incrementando nei primi anni la famiglia
patriarcale. Con il tempo la coppia con i figli acquistò autonomia praticando l‘agricoltura,
che intorno agli anni 60, racconta Sandra, era poco redditizia. Leonello avviò culture
innovative come pomodori e fagiolini, ma non gli furono possibili gli allevamenti che altri
agricoltori sperimentavano in quegli anni come vantaggiosi.
La coppia condivideva l‘interesse per il sociale e la politica, magari con sfaccettature
leggermente diverse. L‘operato del futuro sindaco si mosse nel solco della Dottrina
Cattolica cui restò fedele nel modo di gestire la politica, intesa con spirito di servizio.
Infatti la moglie ricorda che, se all‘inizio i compensi non esistevano, con il tempo erano
davvero scarsi rispetto all‘impegno.
Dopo la guerra l‘Italia democratica muoveva i primi passi con i liberi partiti e Leonello fu
segretario della Democrazia Cristiana dal 1948. La moglie racconta che contribuì di sicuro
con la sua militanza e testimonianza ad affermare il partito che si espresse con successo
nelle elezioni politiche e amministrative. Ricorda che le elezioni comportavano comunque
un duro impegno, anche quelle successive alle prime che portarono a sindaco Mario
Milanese. Di questi Bertoldi concluse il mandato, interrotto per le questioni inerenti la
nascente zona industriale.
Dal ‘61 comincia il suo incarico come Sindaco con l‘aiuto di fidati e validi collaboratori. I
suoi mandati hanno visto tappe importanti per la vita del paese, in primis la nascita e
l‘affermarsi della zona industriale. Lo vediamo in alcune foto tagliare il nastro di opere
pubbliche importanti come l‘edificio delle scuole medie, che, ricorda la moglie, ammirava
compiaciuto ad ogni occasione.
Portato per il ruolo, si muoveva con sempre maggior sicurezza stabilendo relazioni con
personalità politiche di rilievo. Rispetto ai progetti la moglie riconosce che era volitivo e
fermo nel perseguire gli obiettivi soprattutto se abbisognavano di coperture finanziarie.
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Era un sindaco a tempo pieno, racconta Sandra, tanto più che la permanenza nell‘incarico
confermava il suo carisma naturale che completava un carattere sereno e socievole. Il
sindaco allora diventava una sorta di giudice di pace, come è stato lui in più di un‘
occasione. Alessandra ricorda i momenti belli vissuti insieme come i numerosi matrimoni
del paese a cui hanno partecipato quali invitati, a confermare la disponibilità del primo
cittadino.
Ma non mancavano preoccupazioni e contrasti politici che non hanno giovato alla sua
salute, anche se attenuati dal sostegno della famiglia.
La sua passione politica si espresse anche fuori l‘ambito comunale: parallelamente al
lavoro di cooperatore nel locale Consorzio Agrario al quale diede una spinta notevole
aumentandone il fatturato, fu eletto consigliere provinciale, ma rinunciò per
incompatibilità con il ruolo di sindaco, rimanendo comunque interessato ai lavori di quel
Consiglio.
Fu attivo nell‘Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e presidente del Consorzio di
Bonifica Adige-Guà.
Sandra ricorda con il sorriso che la loro casa era aperta a tutti senza distinzione. Alla
richiesta se il ruolo di moglie del primo cittadino per lunghi anni l‘ha gratificata, risponde
che era tanto giovane e ne percepiva poco l‘importanza.
INTERVISTA : ROSSI GIOVANNI
Vuole presentarsi?
Sono nato a San Zenone in via Brenta nel 1935. Ho fatto studi
di ragioneria e gestisco con la famiglia un negozio nel mio
paese. Essendo nato in una situazione disagiata per la
malattia del papà, io ho vissuto una vita un po‘ dura. Per
questo sono propenso a vedere il sociale, chi ha bisogno, e
quando ho potuto mi sono dedicato agli altri in modo
convinto, nell‘interesse della Pubblica Amministrazione e
della scuola.
Qual è stato il suo contributo?
Nel 1965 sono entrato a far parte della Pubblica
Amministrazione dove sono rimasto 30 anni in qualità, già da subito, di vicesindaco. Si
voleva che San Zenone fosse ben rappresentata dato che è la frazione più popolosa di
Minerbe; che si tenesse conto anche dei suoi problemi dando ovviamente la precedenza al
capoluogo.
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Aveva qualche ragione a suo vantaggio?
Dicevo che oltretutto è San Zenone la zona d‘origine di Minerbe. Infatti i resti di un
tempio della dea Minerva fu rinvenuto sotto la chiesa attuale, per cui ogni tanto lo
ricordavo: - Non dimentichiamoci di San Zenone perché in fondo vi ha dato i natali, anche
se, come per il Cimabue e Giotto, l‘allievo ha superato il maestro!
Quali principi hanno ispirato il suo operato?
L‘area della mia formazione era quella del pensiero democratico cristiano, anche se ritengo
che per l‘amministrazione di un paese basti assumere la mentalità del buon padre di
famiglia. Comunque nel periodo del mio contributo amministrativo al primo posto era
l‘interesse della collettività, del sociale in particolare: prima chi ha bisogno. Di seguito il
realizzare le opere che avevano priorità, vedi le strade, le fognature, l‘allacciatura al gas, la
crescita urbanistica, l‘insediamento della zona artigianale industriale.
Ha contribuito al sociale in modo decisivo?
Nella frazione di San Zenone abbiamo creato la scuola materna che non c‘era, intesa come
vera scuola con personale qualificato. Abbiamo così avvicinato le maestre alle Suore della
Misericordia. Io e Ferdinando Carrara, nel lontano ‗72 quando l‘abbiamo fondata, abbiamo
ritenuto di dare alle famiglie un servizio significativo aumentando l‘autonomia della
popolosa frazione. Mi sono sempre sentito padre dei piccoli alunni e lo stile ancor oggi è
quello di famiglia.
È stato lei il trait d’union tra le amministrazioni Bertoldi e Ferrari…
Il Sindaco Bertoldi è mancato nell‘89 e in qualità di vicesindaco ero destinato a succedergli,
invece si è deciso di passare il testimone a Tullio Ferrari al quale ho dato la mia
collaborazione per un altro mandato. Ancor oggi non mi sento escluso: quale cittadino,
recentemente ho fatto presente con una lettera varie necessità della frazione, che mantiene
un numero di abitanti ragguardevole.
Parliamo di industrializzazione: dove è avvenuto il primo insediamento?
La zona industriale è nata dapprima in via Battisti verso gli anni 70. Dove c‘è la riseria
attuale doveva insediarsi la Star impegnando manodopera femminile. Poi il piano non è
decollato per difficoltà dell‘azienda, ma anche per le contrarietà interne
all‘Amministrazione. I possidenti agricoli, ben rappresentati in Comune, avevano paura
della diminuzione della manodopera disponibile per i campi.
Come li convinse?
Sostenevo la possibilità di impiego per tante donne che non avevano altre opportunità.
Avevamo capito che la progressiva meccanizzazione agricola avrebbe ridotto la necessità
di manodopera. Quel progetto è fallito, ma la zona è stata subito riqualificata.
L’attuale zona artigianale industriale occupa oggi un zona del tutto diversa, come
mai?
Negli anni ‗60 la svolta amministrativa ha dato l‘avvio all‘attuale zona artigianale
industriale distribuita in modo tale da unire l‘abitato del centro e quello della frazione.
L‘obiettivo era creare posti di lavoro per gli uomini. Pur di camminare in questa direzione
si è regalato il terreno ai primi imprenditori. Allora si diceva: - No ste spendere i schei par
i siori! Rispondevamo che li spendevamo per il futuro. Mi pare che le prospettive si siano
realizzate.
Parliamo dell’espansione urbanistica della frazione.
La dedicazione delle nuove aree non è stata caso, ho accolto o proposto intitolazioni di
tipo religioso nelle nuove vie: San Francesco, via Giovanni XXIII, Don Ballarotto.
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Quest‘ultimo è stato un sacerdote di rilievo per San Zenone, è stato chiamato il prete
scrittore dato che su San Zenone nel lontano ‗34 ha scritto un volumetto per celebrare il
restauro e allargamento della chiesa. È stato parroco dal ‗20 al ‗64 e il suo ricordo è
doveroso per l‘impegno e l‘amore del suo ministero. Le zone che hanno allargato il paese e
offerto abitazioni obbedivano al principio di dare a tutti la possibilità di un alloggio
proprio, dato che i costi nella frazione erano inferiori. Aggirando vari ostacoli e risolvendo
problemi, zone agricole sono diventate residenziali; peccato che la crisi abbia rallentato i
lavori.
Giudica che la frazione soffra di campanilismo nei confronti del capoluogo?
Quello dipende da chi la rappresenta. Mi è dispiaciuto enormemente quando è stata
chiusa la scuola elementare e a quel tempo ho anche protestato vivacemente, però ci siamo
adattati alla struttura unica perché effettivamente il numero di bambini diminuiva.
Trova favorevole la permanenza a lungo della stessa amministrazione come è
avvenuto in quegli anni?
Sì, se si amministra onestamente, perché si acquisisce esperienza, si vengono a conoscere
persone e strategie per ottenere contributi. Ricordo collaboratori bravi, che ascoltavano. Le
opposizioni non erano troppo battagliere, i consigli comunali erano abbastanza scorrevoli.
Attraverso i voti in nostro favore alle elezioni avevamo la conferma che eravamo nel
giusto, veniva premiata la concretezza, il fare un passo davanti l‘altro. L‘abbiamo fatto
volentieri solo per il bene collettivo, i compensi allora non esistevano. Ricordo il sindaco
Leonello Bertoldi, uomo serio e concreto, che riusciva a sgomitare con scaltrezza nei vari
uffici preposti alle pratiche.
È favorevole all’Unione dei Comuni?
Per me il Comune, anche piccolo, ha ragioni per vivere ancora, anche se ammetto che ci
sono problemi per i quali si deve coinvolgere un‘ampia zona. Inoltre la mia esperienza mi
fa affermare il valore di più voci concordi in Amministrazione, non una sola. È da sciocchi
inoltre dire sempre il contrario dell‘altro, non è propositivo.
Vede cambiata la società?
Molto, a cominciare purtroppo dalla famiglia che ha perso di valore, ma mi pare che nelle
famiglie del mio paese ci siano ancora apertura e unità.
A proposito dei 150 anni dell’unità d’Italia, le sembra che abbiamo ancora strada
da fare?
Ho predisposto la bandiera, a me
piace davvero questo ricordo
perché l‘unità dà identità al nostro
Paese che era malconcio, poveretto.
Vedo più che mai l‘Italia nel suo
insieme.
Ho sempre avuto la passione di
viaggiare e conoscere, e in quelle
occasioni ho conosciuto persone
generose e squisite in ogni luogo
d‘Italia, in particolare al sud.
Il consiglio comunale dal 1970 al 1975
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Consiglio comunale di Minerbe dal 1970
al 1975:da sinistra tre assessori, poi
sindaco e vicesindaco..
INTERVISTA: TULLIO FERRARI
Un Sindaco su quali aspetti deve maggiormente
impegnarsi per promuovere la comunità e il territorio?
Quando si diventa Sindaco o amministratore l‘idea di partenza
è quella di poter cambiare molte cose, di poter realizzare tante
idee, ma poi ci si doveva confrontare con i fatti di tutti i giorni,
con i cittadini che credono che il Sindaco possa fare tutto, sia in
grado di essere giudice e allo stesso tempo elargitore di
finanziamenti così che spesso va a finire che si lavora più per il
presente che per realizzare il futuro. Nonostante questo aspetto
fare il Sindaco rappresenta comunque una grande esperienza.
I suoi dati biografici e i suoi studi, la professione…
Sono nato a Bevilacqua il 22 marzo 1937. La storia della mia
famiglia sarebbe un po‘ lunga da raccontare; posso semplicemente dire che dopo la guerra,
per ragioni varie, la mia famiglia era andata ad abitare a Miega dove ho frequentato le
scuole elementari. Come si può immaginare, a quei tempi, si andava a scuola con il pezzo
di legna sotto il braccio per riscaldare l‘ aula e a primavera restavano solo poche femmine
a frequentare. Per la scuola media ed il ginnasio invece i miei mi hanno trasferito nel
collegio municipale di Desenzano al termine del quale mi sono iscritto ad ingegneria a
Padova. Una volta laureato ho trovato lavoro a Milano presso una compagnia americana
di strutture aereoportuali, ma dopo un po‘ sono tornato a Minerbe come libero
professionista.
Il Sindaco Ferrari e il progresso/l’evoluzione di Minerbe: qual è stata la sua
azione?
A quel tempo, negli anni ‘60, a Minerbe prendeva avvio la costruzione di numerose case e
la stessa amministrazione tendeva a favorire questi nuovi insediamenti residenziali su lotti
dalle piccole dimensioni dove le famiglie potevano costruirsi la casa, sia pure con un po‘
di sacrificio. Il settore prevalente era ancora l‘agricoltura, ma già si cominciavano a
delineare all‘orizzonte le nuove prospettive occupazionali del settore industriale che
cominciava a svilupparsi.
110
Si è riferito a modelli e ad esempi importanti o ha interpretato un suo modo
particolare?
Fino a quel tempo Minerbe aveva avuto Sindaci soprattutto ―agricoltori‖, legati al mondo
della terra e con visione e prospettive limitate ad essa, ma che hanno fatto sana, operosa ed
onesta amministrazione.
Le cose sono cambiate con il Sindaco Bertoldi; proveniva dal mondo dell‘agricoltura, era
un coltivatore diretto, ma anche commerciante in quanto gestore del Consorzio agrario.
Ha effettivamente portato qualcosa di nuovo cambiando schemi e prospettive ed
orientando il paese verso nuove orizzonti di sviluppo e crescita.
Ha favorito gli insediamenti industriali di Riello e Zanardi, concedendo gratuitamente il
terreno e creandosi non poche opposizioni da parte di chi riteneva non si potessero
favorire in questo modo gli industriali. Ma se non avesse fatto così, a Minerbe, non
sarebbero sicuramente sorti insediamenti produttivi né avrebbe preso avvio
l‘industrializzazione del paese.
Poi è venuto il Consorzio Ortofrutticolo, molto utile anche questo in quanto sottraeva gli
agricoltori
al
―potere‖
dei
commercianti;
grazie
infatti
alla
raccolta,
all‘immagazzinamento, alla conservazione dei loro prodotti in celle frigorifere, i produttori
di frutta e verdura poterono migliorare la commercializzazione dei loro prodotti.
Il Sindaco Bertoldi, di fatto, ha cambiato modo di essere e mentalità dell‘amministrazione
e di conseguenza è cambiato anche Minerbe. Dopo la prima zona industriale, sorta lungo
la statale, al sindaco Bertoldi va anche il merito di avere avviato una seconda fase di
ampliamento dell‘area per gli insediamenti produttivi. Grazie infatti alla Comunità
europea, per Minerbe si sono aperte altre possibilità.
Occorre ricordare che a quel tempo, l‘Europa aveva previsto particolari contributi per le
aree cosiddette ―obiettivo 2‖, vale a dire per le zone semisviluppate in cui era collocato
anche il paese di Minerbe. Grazie a questi incentivi si è così potuto dare il via ad una
ulteriore zona industriale.
Il Sindaco Bertoldi ha avuto anche un altro grande merito; a lui infatti si deve la
costruzione della nuova scuola media. Mi ricordo ancora la sua preoccupazione quando
nel ‘75 la scuola era finita, ma non arrivavano i finanziamenti. Quante volte è volte è
dovuto andare a Venezia presso gli uffici statali per gli ultimi contributi!
Successivamente, a partire dall‘89 io stesso ho continuato la strada avviata del sindaco
Bertoldi che avevo affiancato nell‘amministrazione sin dal ‘75.
Le idee che l’hanno guidata come Sindaco…
Sono stati anni particolarmente impegnativi per l‘amministrazione; per poter usufruire
degli incentivi europei infatti sono stati necessari rilevanti impegni finanziari e anche un
grande lavoro da parte degli uffici comunali.
L‘obiettivo primario da realizzare, trascurando forse gli interventi sulle strutture
pubbliche del paese, sull‘arredo urbano,.. era quello di attirare a Minerbe il maggior
numero possibile di fabbriche ed insediamenti industriali predisponendo i terreni, le
strade e i servizi necessari.
Una volta completata questa fase, intorno al duemila, ci si è dedicati al paese: piazze,
marciapiedi, illuminazione,.. anche in questo caso, con il contributo della comunità
europea.
Ci piacerebbe sentire come è nato il gemellaggio.
Un‘iniziativa particolare realizzata nel corso della mia amministrazione è invece stato il
gemellaggio con Schwabenheim.
111
Occorre pensare che a quei tempi, vuoi per l‘affermarsi dell‘idea europeista, vuoi per
diffondere sentimenti di pace e amicizia tra le nazioni che il recente conflitto aveva viste
schierate su opposti fronti, la provincia di Verona si era fatta promotrice di gemellaggi
con la provincia di Magonza, incentivando i comuni del veronese a farlo con altrettanti
comuni della provincia di Magonza.
Mi ricordo che vi avevano aderito i comuni di Isola della Scala, di Bussolengo, di
Grezzana,..
Anche Minerbe, tramite la provincia di Verona, ebbe diverse disponibilità tra le quali fu
scelto il comune di Schwabenheim. Sono stati realizzati diversi incontri e scambi e sin
dall‘inizio, vi è stato preposto un gruppo di persone particolarmente sensibili all‘idea
europeista che nel tempo ha curato i rapporti tra i due paesi. Penso che gli scambi culturali
che ora sono possibili – visto che nella scuola media di Minerbe si è cominciato a studiare
il tedesco - possano rivelarsi particolarmente utili a dare una notevole spinta al
gemellaggio a far sentire maggiormente nel paese questa realtà.
IL SINDACO CARLO GUARISE
Sui 4560 abitanti gli elettori alle elezioni del maggio del 2011
sono risultati 3812.
Il 41,57% dei 2906 votanti hanno riconfermato il sindaco
uscente Carlo Guarise.
I dodici componenti del nuovo Consiglio Comunale risultano:
Bellini Sandro, Bertoldi Luigi, Chiavegato Federico, Coppiello
Giuseppe, Cortese Giovanni, Girardi Andrea, Grigolo
Maurizio, Guarise Stefano, Pesenato Giovanni, Ronchin
Emanuela, Rossi Luigi, Serinolli Angelo.
112
EMIGRAZIONE ED IMMIGRAZIONE
Gruppi di persone che valicano i confini o si avventurano in mare in cerca di un avvenire migliore,
senza più riferimento alla nazionalità d‘origine, è storia quotidiana.
In alcuni periodi storici anche Minerbe, come molti altri paesi del Veneto, è stato interessato da
fenomeno migratorio. Se non bastassero a raccontarlo i libri di storia e i ricordi delle famiglie, il
parroco di Minerbe Don Tommaso Micheletto così annota nelle memorie della parrocchia nel
gennaio del 1961: ―Fuga dalle campagne. Non passa giorno che non giungano notizie di famiglie della
parrocchia che abbandonano i campi e si recano in città. Quando si arresterà questo movimento, questo esodo
dalle campagne che mi amareggia profondamente l‟animo come una catastrofe che si avvicina sempre di più?
Con le autorità locali anch‟io ho fatto viaggi, scritto lettere, telefonato più volte perché si costruisca nel
nostro comune uno stabilimento; ma finora tutto inutilmente. Quando ci riusciremo?”
STORIE D‘EMIGRAZIONE
INTERVISTA: DINO ZANONI
A venticinque chilometri da Buenos Aires, verso l‘interno, c‘è la città
di Merlo che conta oggi duecentocinquantamila abitanti e presenta un
reticolo di strade perfettamente ortogonali circondate da zone
coltivate. Dopo la seconda guerra mondiale l‘Argentina è stata
terreno di forte immigrazione italiana, in particolare veneta.
Qui vive Marsilio Zanoni di 88 anni, con la moglie Antonietta. Gode
di buona salute, si dedica all‘orto, quando cammina si appoggia
prudentemente a un bastone. Dopo la pensione ha viaggiato molto
condividendo la passione con la moglie, donna intraprendente e
coraggiosa, per conoscere le terre dell‘Argentina e l‘estero. In
Argentina vive anche il figlio Giancarlo, ormai adulto, e i nipoti che, finiti gli studi, già lavorano.
La figlia Rita, invece, venuta in Italia con una vacanza premio per conoscere i nonni e festeggiare il
diploma, si è innamorata a tal punto dell‘Italia da restare a Milano dove ha trovato lavoro e si è
creata una famiglia.
Racconta questa storia di emigrazione il fratello Dino Zanoni con la moglie Ivana. La famiglia
d‘origine abitava nella vicina Pressana; Marsilio, il fratello nato nel ‘23, aveva avuto l‘esperienza
della seconda guerra mondiale e della prigionia di due anni in Germania. Nel ‗49 aveva una
moglie e una bambina piccola ed era alla ricerca di un lavoro, ma non avrebbe sopportato la
distanza dai suoi cari. Così partì per l‘Argentina con un contratto di lavoro da muratore. Il
sacrificio era ripagato all‘inizio con una paga molto alta. Dopo qualche mese il resto della famiglia
lo seguì, anche se la situazione economica cominciava a deteriorarsi. L‘idea della coppia era
comunque quella di rimanere solo alcuni anni, invece nel giro di poco lo seguirono, in successione,
prima un fratello poi quattro cugini. Questi sei giovani uomini lavoravano insieme come impresa
edile, stipulavano contratti per opere di finitura nell‘edilizia. Talvolta avevano lunghi contratti:
per una fabbrica di jeans che continuava ad allargarsi lavorarono per dieci anni di seguito.
Dino ammette quanto hanno faticato per affermarsi: il fratello nei fine settimana è riuscito a
costruire negli anni ben tre case. Dino è andato a trovarlo tre volte, l‘ultima nel ‘97 in compagnia
della moglie quando il fratello ha celebrato il cinquantesimo anniversario del matrimonio. Ha
avuto così l‘occasione di conoscere molti italiani emigrati in Argentina. Se dai negozi aperti sulla
strada sentivano la parlata italiana o dialettale veneta, dice Ivana, si facevano avanti per conoscere
i paesi d‘origine e avere notizie.
113
Lei è rimasta colpita dalla evidente nostalgia dell‘Italia che provano le persone anziane: intonano
―O sole mio‖ quando non arrivano a piangere. Dino racconta lo stile dei veneti stabilitisi in quelle
terre lontane, che si differenzia da quello dei nativi per maggiore intraprendenza e spirito operoso.
Il fratello Marsilio ha tenuto vive la pratiche religiose e la lingua italiana che ha insegnato al figlio e
ai nipoti, ma le grandi feste di riunione degli emigranti italiani si vanno spegnendo presso le
nuove generazioni. Marsilio ha gestito gruppo alpini di quella zona argentina con animazioni e
feste impeccabili.
Ivana racconta delle bellezze argentine: la grandezza di tutto, l‘odore della terra, la maestosità
delle piante centenarie. Gli sono rimaste impresse le differenze sociali di quella popolazione mista,
e ribadisce che gli italiani hanno cercato tutti di far studiare i loro figli mirando a livelli
universitari. Il figlio di Marsilio, ingegnere elettronico, alle dipendenze della ditta Philco, ha
conosciuto la città più australe del pianeta: Usuhaia, nella Terra del Fuoco. Vi è rimasto dieci anni
e lì sono nati i suoi due figli. Ricordando l‘elevato numero di emigrati veneti, Ivana commenta che
dei cugini Zanoni, partiti in sei dalla vicina Pressana, non è tornato nessuno. Pur lontani, con
l‘ultimo di quei pionieri ancora in vita, Marsilio, si sentono telefonicamente una volta al mese, con
i nipoti c‘è la possibilità di Internet.
Quando Marsilio è venuto in Italia è rimasto un mese dalla figlia e ha trovato il modo di rimanere
alcuni giorni dal fratello Dino, a San Zenone.
In Argentina: da sinistra Giancarlo con la
moglie Teresa, i due loro figli,la coppia
Antonietta e Marsilio Zanoni.
In piedi a destra Dino Zanoni e la moglie Ivana,
in primo piano la coppia emigrata, a sinistra la loro
figlia Rita.
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INTERVISTA: CHIOCCHETTA ANNALIA VENTURI
La Signora Annalia abita a San Zenone in via san Francesco, ma
spesso è nella casa dei suoi genitori ottantenni in via Palazzina; i
suoi figli ormai grandi abitano altrove. Racconta la sua vita, una
storia di emigrazione vissuta con la sua famiglia negli anni 50.
Il papà Germano, giovanissimo, aveva sposato Maria, una ragazza
coetanea di Boschi S. Anna. A ventidue anni aveva già tre figli,
Annalia era la maggiore. Non fu dispensato dai due anni prescritti
di servizio militare. Nel frattempo la moglie allevò i figli nella casa
dei suoceri in via S. Antonio a San Zenone, e al rientro in famiglia,
come molti altri Veneti a quel tempo, il giovane Germano constatò
la mancanza di lavoro: come gli altri maschi della famiglia aveva
appreso il mestiere del muratore. Considerò allora la possibilità di emigrare, dato che il fratello
Cesarino già si era trasferito all‘estero per lavoro. Fu lui infatti che gli procurò il lavoro. Annalia
ricorda la catena che portava le nostre famiglie ad emigrare in successione, suppone che certi
Ziliotti di San Zenone fossero stati il tramite per lo zio Cesarino. Precisa che erano inderogabili due
cose: un contratto di lavoro e la garanzia di un‘abitazione.
Nel ‘56 il papà partì da solo e l‘anno dopo rifece il viaggio con la sua famiglia. Annalia aveva solo
cinque anni, ma ricorda ancora quel terribile viaggio: un‘interruzione ferroviaria li costrinse a un
itinerario alternativo di ben tre giorni, durante i quali i bimbi piccoli reclamavano bisogni primari.
Un‘immagine resta fissa nelle sua memoria: il papà che affannosamente rincorre il treno dopo
essere sceso a recuperare un po‘ di acqua per i famigliari. La mamma dovette mettere mano alle
valigie di cartone per procurare dei pezzi di stoffa per cambiare i figli piccoli. Per la casa che li
aspettava occorreva spirito di adattamento, perché si trattava di un appartamento mal distribuito
in un grosso condominio ricavato in un albergo che ospitava al primo piano un ristorante.
Oggi Annalia immagina quali possano essere state le difficoltà della mamma nel trovarsi tra
francesi e tedeschi della periferia di Strasburgo, la grande città dell‘Alsazia.
Per lei era vicina l‘età della scuola che frequentò fino al diploma di ragioneria, non senza difficoltà.
Ricorda l‘umiliazione dei primi giorni di scuola quando al momento dell‘appello il suo cognome
italiano letto alla francese suscitava l‘ilarità dei compagni. Con gli anni imparò a nascondere
l‘origine italiana per non essere emarginata. Riferisce che non c‘erano comunità di italiani, la
famiglia restò abbastanza isolata, in particolar modo la mamma. Annalia, figlia maggiore, era di
grande aiuto anche nello sbrigare commissioni, dato che imparava un po‘ alla volta il francese.
Commenta che il papà non fece particolare fortuna, ma continuò il suo onesto lavoro che gli
permise di migliorare la sua condizione economica e di costruirsi una casa abitata ora da una figlia.
I suoi quattro figli fecero studi superiori e a un anno dalla pensione, dato che era rimasto senza
lavoro, seppe ritornare sui banchi di scuola professionale per maturarla.
Il destino e l‘amore per un ragazzo di qui riportarono Annalia a vivere da sposata a san Zenone, il
paese dove veniva da signorina, in estate, a trovare i nonni. Forse perché nel paese d‘origine si era
sistemata la figlia, a sessant‘ anni il papà, sorprendendo tutti, decise di tornare. Era ancora attivo e
una nuova casa con orto e giardino lo impegnarono a lungo. Ritrovò con piacere i suoi coetanei
con i quali condivise momenti lieti. Gode oggi di una pensione vantaggiosa perché maturata in
Francia, che, ammette Annalia, era più evoluta dell‘Italia per i riconoscimenti ai lavoratori.
Lei, fatta la scelta di lasciare in Francia un lavoro e le amicizie giovanili, sperimentò di nuovo le
difficoltà di reinserimento in Italia per le difficoltà nella lingua, per le diversità ambientali.
Commenta: - Ho capito cosa può aver provato mia mamma.
Oggi non vuole dimenticare il francese che cerca di leggere e scrivere. È infatti l‘unico aggancio
con le due sorelle e il fratello che sono rimasti a Strasburgo dove hanno figli e nipoti. Annalia
ammette che non sentono più l‘italianità, non sono interessati a conoscere la lingua, ma riescono a
capire l‘italiano nella versione del dialetto veneto che i genitori parlavano in famiglia.
115
Ricorda che, se oggi c‘è Internet, negli anni successivi all‘emigrazione c‘erano solo lettere postali, i
viaggi per rivedere i nonni erano rarissimi perché impegnativi e costosi.
Pur all‘estero questi Minerbesi sono sempre stati cittadini italiani, e ciò li ha privati di agevolazioni
varie riservate ai francesi. Sopravvenuta la possibilità di votare all‘estero, non l‘hanno sfruttata per
difficoltà varie. La casa di Annalia è punteggiata delle foto dei suoi cari vicini e lontani, il sorriso e
la serenità avvolgono il suo racconto di esperienze di vita ormai lontane, ma ancora vive nella
memoria.
INTERVISTA: GIUSEPPE DONATELLO
Nel 1946 il signor Giuseppe Donatello, un nostro concittadino che abita a San Zenone di Minerbe,
all‘età di diciotto anni è emigrato in Belgio per fare il minatore. I Belgi, ricchi di miniere di carbone,
non volevano fare i minatori perché coscienti dei pericoli del lavoro in miniera.
Il governo belga quindi decise di importare manodopera all‘estero, e molti furono gli Italiani a
partire in cerca di fortuna tra il ‘46 e il ‘57. Era là allorquando si è verificato il disastro di
Marcinelle, nel quale fortunatamente non fu coinvolto, ma di cui ricorda gli eventi.
Egli infatti ci racconta del gravissimo disastro che la mattina dell‘otto agosto 1956 accadde in una
miniera di carbone situata a Marcinelle , nei pressi di Charleroi, in Belgio in cui persero la vita
duecentosessantadue uomini, di cui centotrentasei Italiani e novantacinque Belgi. Solo una dozzina
di persone sopravvissero alla tragedia.
Dopo l‘esperienza in Belgio dal quale scappò, il signor Donatello è emigrato in Australia. Il viaggio
in nave non fu facile perché il mare per tre giorni è stato burrascoso; egli ci racconta che in quei
giorni ha mangiato solo un limone al dì. Il viaggio è durato quaranta giorni, invece dei ventotto
previsti. Ed egli si è trovato solo, senza famigliari, anche se con qualche conoscente. È rimasto in
Australia tre anni e, da quando è tornato in Italia, non si è più recato là. Egli ci dice che se potesse
tornerebbe indietro perché ricorda con affetto l‘esperienza vissuta, anche se, mentre era in
Australia, spesso aveva desiderato di tornare in Italia al suo paese natale.
In Australia ha lavorato in diverse città quali Sydney, Canberra, Perth, Inga, Queensland e
Fremantle. È stato tosatore di pecore Merinos e poi anche macellaio in una ―fabbrica‖ di Sydney
dove, ricorda, si macellavano ben diecimila pecore al giorno. Per questo per tutta la settimana si
mangiava carne, mentre al sabato e alla domenica si riusciva a mangiare del formaggio e della
carne di maiale. Egli lavorava per otto ore al giorno, ma faceva anche delle ore aggiuntive nel
weekend. Inoltre la sera andava a scuola per imparare obbligatoriamente l‘inglese. Nel poco tempo
libero che aveva a disposizione andava in città oppure in spiaggia. Uno dei suoi amici era
Giovanni Rossi, il fratello della signora minerbese Lucia Rossi Furlani che, emigrato in Australia
nel 1952, ancora abita là.
Giuseppe ha spesso cambiato mestiere: ha lavorato per tre mesi in una fabbrica a Sydney, in
seguito in una ferrovia per circa venti giorni. Nella varietà di impieghi successivamente si è
dedicato alla lavorazione del lino per un anno, sia in fabbrica che nei campi per raccogliere quella
pianta tessile. Riusciva a svolgere anche lavori extra come il giardiniere.
Ricorda che si è recato in Australia perché voleva costruirsi un futuro migliore attraverso il lavoro.
Il suo destino da emigrante lo ha portato in Francia dopo il suo ritorno in Italia; è stato a Parigi
dove ha lavorato come muratore. In seguito è andato anche in Germania dove è rimasto pochi mesi
e ha lavorato in una fornace a Lingonfie.
Anche i suoi fratelli suoi sono emigrati in Francia, uno nel 1945 e un altro circa una decina di anni
dopo.
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STORIE D‘IMMIGRAZIONE
INTERVISTA: KARIMA HAMMOUDI
Si presenta?
Sono nata in Marocco trentasette anni fa, sono la mamma del
vostro compagno Bilal. Con mio marito Abderrahman, che ha
due anni più di me, e un altro figlio, abitiamo in via Marconi a
Minerbe.
La nostra città d‘origine è Marrakech, una città dell‘interno del
Marocco ai piedi delle montagne e perciò ricca di cascate di
acqua. È chiamata la città rossa perchè al tramonto il color
mattone la fa risplendere e per questo è famosa turisticamente.
Come tante città ha una parte antica e una moderna. Avevo lì
un famiglia numerosa composta da sei sorelle e un fratello. Di
loro solo una è rimasta in Marocco, gli altri sono distribuiti in
tutto il mondo. Anche mio marito aveva una famiglia
numerosa, c‘erano una decina di figli. Ho studiato in Marocco
fino a due anni di Università nell‘ambito scientifico. Purtroppo
i miei studi non sono riconosciuti qui in Italia.
Come è nata la sua famiglia?
Ci siamo sposati nel ‘97 quando mio marito già era in Italia da alcuni anni. Anche lui è di
Marrakech, era amico di mio fratello. Come è tradizione in Marocco, per il matrimonio abbiamo
fatto una festa che è durata una settimana. Dopo aver viaggiato un mese per la nostra nazione
siamo venuti in Italia. Qui sono nati i miei due figli che ora hanno dodici e otto anni. A Giada che
vuole sapere quello che facevo prima di venire qui rispondo che studiavo.
Perché siete venuti a vivere in Italia?
Mio marito studiava come me nell‘ambito scientifico, ma quando suo papà è morto
prematuramente non riusciva più a mantenersi negli studi e ha dovuto prendersi le responsabilità
della famiglia. Perciò ha deciso di emigrare dato che in Marocco quando c‘era il re Hassan II la
situazione era poco favorevole per trovare lavoro. Oggi le cose sono migliorate per merito del
giovane re Mohamed VI. Oggi dal Marocco non emigrano più tanti cittadini, perché il viaggio
costa e qui c‘è crisi, pertanto è uno sforzo inutile.
Chi ha lasciato in Marocco?
In Marocco sono rimasti i miei parenti con i quali ci parliamo almeno una volta alla settimana.
Usiamo Internet e anche la telecamera per vederci: Una volta all‘anno torniamo là con un viaggio
aereo di tre ore oppure in macchina. Come voi sapete occorre percorrere la costa della Francia poi
attraversare la Spagna per imbarcarsi per Tangeri. Quando si sbarca ci consideriamo arrivati,
invece c‘è ancora un bel tratto prima di arrivare a Marrakech. Un modo vale l‘altro, basta arrivare.
Ci parla del lavoro qui?
Ora i figli sono grandi, ma io non penso di trovare lavoro in un piccolo centro come Minerbe, in
una città sarebbe più facile. Mio marito ha lavorato per una ditta di Boschi S. Anna nel ramo
dell‘edilizia. I rapporti con i datori di lavoro erano di grande stima e di reciproca amicizia.
Purtroppo però con la crisi di oggi è difficile trovare un lavoro stabile.
Ritornerebbe nel paese dove è nata?
Non ritorneremo in Marocco, i miei figli sono nati qui, qui è la mia piccola famiglia. Non mi manca
l‘ambiente del Marocco, mi mancano solo i miei famigliari. Abbiamo parenti di mio marito in
questa zona e anche amici. Bilal vi ha raccontato che ha nonne italiane?
Sono Gianna e Luisa, vicine di casa che lo hanno ―adottato‖ alla nascita. Teniamo vive le pratiche
religiose della nostra religione islamica: per questo argomento crediamo nel rispetto reciproco.
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Ha problemi con la lingua?
Ho imparato l‘italiano dalla televisione e dai bambini quando hanno incominciato la scuola.
Conosco il francese che come sapete è la seconda lingua del Marocco. Assomiglia un po‘all‘italiano
per questo mi arrangio a leggerlo e quando sono in difficoltà chiedo aiuto a mio marito. L‘arabo
l‘ho insegnato un po‘ al mio figlio grande, ora incomincerò anche con Bilal, ma solo per gli
elementi di base. Mi trovo bene qui dove mio marito è arrivato per caso, ormai sono passati tanti
anni.
Cosa pensa dell’Italia che ha compiuto 150 anni?
Mi piacerebbe sapere di più, conoscere la storia dell‘Italia: un po‘ alla volta.
Cosa desidera per il futuro per sé e i figli?
Desidero che si facciano una posizione e che studino. Hanno già delle intenzioni: il più grande
vuole diventare geometra, mentre al figlio più piccolo piacerebbe diventare dottore. Per fortuna
sono bravi tutti e due.
INTERVISTA: ALICE AMON
Alice Amon, la mamma di una bambina frequentante la classe seconda della scuola primaria, è una
simpatica e spigliata signora originaria dalla Costa d‘Avorio in Italia dal 1994. Il suo arrivo era
stato preceduto dall‘allora fidanzato che lei ha seguito dopo circa un anno e mezzo. Dapprincipio
Alice è venuta in Italia, precisamente a Palermo, con un visto turistico, scaduto il quale, dopo un
breve periodo di clandestinità, è stata regolarizzata dalla famiglia presso la quale lavorava come
collaboratrice famigliare.
Il fidanzato, Serge, diplomato in ragioneria, aveva perso il suo lavoro in Africa e ha investito tutti i
suoi risparmi nel viaggio verso l‘Italia, nella speranza di trovare un futuro migliore.
Alice, che dal 2002 vive a Minerbe, sostiene che ―in Italia la vita è bella‖, dipende da come ci si
comporta. Lei è in Italia da 17 anni e non ha mai avuto alcun problema: ―se tu segui le regole, va
tutto bene‖. In ogni paese ci sono abitudini diverse, occorre adattarsi, convivere con alcune cose
che possono anche dare un po‘ di fastidio, ma ―nessuno è perfetto‖.
In questi 17 anni Alice nota dei cambiamenti riguardo gli immigrati. All‘inizio la vita era per loro
meno dura, ma attualmente la loro presenza è aumentata a dismisura. Ciò significa meno lavoro
per tutti e quindi meno possibilità di inserimento nella società. Inoltre, fra tanti immigrati ci sono
anche quelli con ―cattive idee‖, che non vogliono adattarsi a nuove consuetudini e che scelgono vie
brevi, ma spesso illegali, per racimolare un po‘ di soldi. Il lavoro è fondamentale perché permette
di vivere onestamente e, in caso di necessità, di aiutare chi è rimasto al paese d‘origine. Senza
un‘occupazione cominciano ―i pensieri‖ e il morale va giù.
Alice sogna di poter tornare un giorno al suo Paese se ci saranno le condizioni per una vita
dignitosa. Forse i suoi figli, per la precisione tre femmine, tutte nate in Italia, non vorranno
seguirla, ma lei e il marito continuano a coltivare il loro sogno: una vita migliore di quella che
hanno lasciato 17 anni fa al proprio paese.
Alice ringrazia l‘Italia che, nel bene e nel male, farà sempre parte della sua esistenza, ma,
nonostante fra qualche mese abbia l‘opportunità di ottenere la cittadinanza italiana, il suo cuore è
là, ad Abbasso, da dove è partita 17 anni fa e dove spera di ritornare.
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LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Il ricordo degli avvenimenti del 1945 che hanno segnato la nostra storia e posto le basi per un‘
Italia nuova, per la Costituzione e per la rinascita economica e sociale del paese, ci consente di
osservare il passato con sguardo consapevole, ci permette di valutare il percorso che ci ha portato
ad oggi e ci sprona a superare le contraddizioni del presente per un futuro migliore.
Restino vivi nella nostra memoria quei valori ed insegnamenti che sono scaturiti dalle esperienze
dei caduti e di tutti coloro che ci hanno preceduto.
La locale Associazione combattenti e reduci conserva l‘elenco dei cittadini minerbesi che, nati negli
anni intorno al 1920, ci possono raccontare le loro sofferte vicende in zone di guerra. Le interviste
presso alcuni confermano e integrano i dati contenuti nel Fogli matricolari personali conservati
presso l‘Archivio di Stato di Verona e concessi in visione per fini di studio.
I loro nomi: Bigini Bruno che ha raccontato le sue vicende nella pubblicazione ―Diario di
prigionia‖, Franceschetti Lino, Gambaretto Giuseppe, Gironda Lino, Tavian Angelo, Zancanella
Renato.
GAMBARETTO GIUSEPPE
Il Signor Giuseppe condivide la casa con il figlio in via
Giovanni XXIII a San Zenone di Minerbe. Ha lasciato la casa di
campagna in via Palù dopo aver abitato nelle zone vallive a
sud di Legnago. Gode di buona salute e di discreta autonomia
dato che si sposta da solo usando la bicicletta. La sua è anche
una storia di emigrazione interna: nel dopoguerra molte
famiglie delle colline veronesi lasciarono le valli per cercare
zone agricole più redditizie. Nel suo caso la Val d‘Alpone,
dove era nato nel 1923 a San Giovanni Ilarione. Così conferma
il suo foglio matricolare di soldato conservato nell‘Archivio di
Stato di Verona.
Al momento della leva si dichiarò contadino con la padronanza della lettura e scrittura, ma aveva
frequentato la scuola solo per due anni. Entrò a far parte dell‘esercito nel 11° Reggimento Alpini
mobili della Brigata Bolzano nel settembre del ‘42, a un anno dall‘armistizio. Fino a dicembre
venne ricoverato più volte presso vari ospedali militari, sempre per pochi giorni, fino a partire per
le zone di operazioni di guerra in Francia nell‘aprile del ‘43. Rimase nello stesso corpo dell‘esercito
fino a settembre, quando viene firmato l‘armistizio con le Forze Alleate. Da quel momento
Giuseppe seguì le sorti dell‘esercito che si sbandò senza più direttive; solo nel ‘46 verrà registrato il
suo congedo illimitato. Dopo i mesi invernali, dall‘estate del ‘44 fino al maggio successivo, nel
foglio matricolare viene dichiarato dalla Commissione per il riconoscimento delle qualifiche
partigiane come ―partigiano combattente nelle operazioni di guerra svoltesi nel territorio
nazionale‖. I ricostituiti partiti politici diedero il nome di Brigate alle formazioni di partigiani
volontari, a sottolineare che volevano assomigliare a un esercito regolare. Giuseppe viene
dichiarato nella Brigata ―Stella‖appartenente alla Divisione Garemi in Vicenza, con la qualifica
gerarchica di caponucleo.
La Brigata ―Stella‖ fu una delle più importanti formazioni partigiane del Vicentino e del Veneto. I
suoi battaglioni agirono principalmente nelle valli del Chiampo e dell‘Agno all‘interno di una delle
zone più delicate dello scacchiere tedesco per l‘importanza delle vie di comunicazione con il fronte
e per la presenza del comando superiore dislocato a Recoaro.
Nello specifico Giuseppe ricorda i luoghi di Bolca: infatti nella Val d‘Alpone si registrarono allora
fatti tragici di lotta partigiana e di relativa rappresaglia fascista. A Montecchia di Crosara morirono
cinque persone nell‘incendio di buona parte del paese provocato dalle forze di occupazione
tedesche come rappresaglia.
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Il nome della Divisione onorava la memoria, subito dopo la morte, di Ateo Garemi, un
giovanissimo partigiano genovese attivo a Torino. Aveva ucciso un rappresentante della Milizia
fascista, ma venne arrestato e giustiziato per una delazione.
A distanza di anni Giuseppe, puntuale alle celebrazioni delle feste nazionali nella frazione di San
Zenone, ricorda i fatti in modo sfumato, ma sono impresse nella sua memoria le armi scadenti in
dotazione dell‘esercito e i risvolti disumani della guerra. L‘inverno vissuto da partigiano fu
registrato dai documenti del tempo come terribile, per le difficoltà di approvvigionamento e la
cruda repressione messa in atto dalle forze di occupazione tedesche insieme alle brigate nere. I
partigiani, e tra loro Giuseppe, erano costretti a vivere in buchi scavati nella terra, con poche armi,
tormentati dalla fame e dal freddo.
GIRONDA LINO
Il Signor Lino Gironda abita con la moglie Maria Pia in una
villetta in via Palazzina a San Zenone attorniato dalla
sollecitudine dei parenti. È tuttora attivo, canta nel coro della
Parrocchia. Racconta con piacere le sue vicende militari che
completano i dati del foglio matricolare conservato presso
l‘Archivio di Stato di Verona.
Il giovane Lino, classe 1923, abitava in via San Feliciano nella
numerosa famiglia avviata dalla coppia di Sante e Lucilla
all‘inizio del secolo. Aveva frequentato la scuola fino alla quinta
elementare e alla visita di leva si dichiarò tornitore anche se aveva ben poca dimestichezza con
quel mestiere, ma gli era stato suggerito perché giudicato vantaggioso sotto le armi. Del resto il
giovane detestava altre mansioni, in particolare quelle relative agli animali da tiro.
Nel marzo del 1939 viene chiamato alle armi nell‘8° Reggimento Artiglieri nelle Caserme di
Campofiore a Verona, non lontano dagli stabili dell‘attuale Università, dove perfeziona la
mansione di motociclista. Ricorda che si profilava la prospettiva di partire per l‘Africa
(probabilmente nei possedimenti italiani della zona
orientale) quando si cominciava respirare l‘aria pesante
della guerra già in corso tra la Germania e gli AngloFrancesi dal ‘39. Il 10 giugno i reparti dell‘Esercito sono
condotti in Piazza Bra dove gli altoparlanti diffusero la
dichiarazione di guerra di Mussolini che si chiuse con
l‘imperiosa parola d‘ordine di vincere. Lino ricorda il
caldo fastidiosissimo di quel giorno vestito ancora con la
divisa invernale. Le prospettive erano preoccupanti: a
mutare il corso delle cose contribuì un cugino di cinque
anni più anziano, anche lui richiamato alle armi. Lo
invita ad accettare la proposta di un colonnello veronese
che cercava un attendente, pure veronese, per sostituire
un emiliano.
Il Colonnello Dalle Molle con la mamma
120
Dopo forti esitazioni, dato che non si sentiva portato
per quel tipo di mansioni, accettò, avviando un
rapporto di reciproca stima con il Colonnello e la sua
famiglia, tanto che si scambiarono visite anche a
guerra finita. Lino visse da allora in caserma a
Bolzano e ricorda le mansioni della pulizia degli
stivali e altre nei confronti del Superiore e della sua
famiglia.
Esaurendo i suoi compiti a tarda mattina, conserva il
documento, quale attendente del Colonnello Dalle
Molle, che gli permetteva di uscire liberamente nel
pomeriggio sia pure vestito da soldato.
Nel frattempo alcuni compagni partiranno per la Russia e Lino ricorda con dispiacere il cugino
Luigino Gironda del quale non si saprà più nulla. Il suo nome è inciso tra i dispersi nel
monumento ai Caduti dato che la situazione russa non gli lasciò scampo. All‘arresto di Mussolini
del luglio del ‘43 seguì l‘armistizio dell‘8 settembre. Lino ha nitido il ricordo dell‘annuncio via
radio di quest‘ultimo comunicato mentre erano in refettorio. Tutti si chiusero nelle caserme in
attesa di ordini. Alcuni progettarono di resistere ai Tedeschi nonostante il basso livello delle armi
del Regio Esercito. Lino era di diverso consiglio, ricorda che quei pochi tedeschi, diventati di colpo
nemici, erano disposti a tutto. Racconta che condussero tutti i soldati italiani sul letto asciutto del
torrente Talvera controllati dall‘alto degli argini. Stettero in quella penosa situazione tutta la notte.
Quando la fame, la sete e la stanchezza si resero insopportabili si arresero per un pezzo di pane. Il
suo foglio matricolare ne registra la cattura il giorno 9 settembre. Con il corredo di una coperta
recuperata in caserma, i soldati vennero stipati in vagoni merci
e partirono per ignota destinazione. Delle casse di mele
altoatesine, offerte loro alla stazione da dei comuni cittadini,
alleviarono la fame.
Il suo documento riporta il rientro dalla prigionia nel maggio
del ‘45 nel Centro alloggio di Verona. È rimasto quindi per
quasi due anni internato in Germania.
Ricorda il paesaggio ondulato germanico e la prima mansione
di boscaiolo. Abitava in luogo isolato in baracche fatte di
tronchi di legno, sapeva di distare circa venti chilometri da
Campi di sterminio. Le località esatte sono leggibili nel
documento del rimpatrio ma rintracciabili con difficoltà sulle
carte geografiche. Impossibile reagire o tentare di fuggire. Le
baracche erano sì riscaldate, ma Lino ricorda la neve al di sotto
del pavimento rialzato da terra. Accusa quella situazione come
causa di malanni alle articolazioni che lo affliggono ancor oggi,
tanto che al rientro in patria fu obbligato a cambiar lavoro
rispetto a quello di contadino praticato in famiglia. Il
trattamento era pessimo, del resto la Germania non aveva
dichiarato i soldati italiani prigionieri di guerra per non
sottostare agli accordi di Ginevra. Il gruppetto di una trentina,
tra cui un compagno di Boschi S. Anna, era guardato a vista da
due uomini tedeschi, di non giovane età, che si alternavano.
Attraverso uno di loro, che cominciava a tradire la fiducia in
Hitler, il gruppo dei soldati aveva modo di venire a conoscenza
delle notizie di Radio Londra circa l‘avanzata degli alleati.
Ritenevano però che dopo lo sbarco in Normandia ne fosse più
veloce l‘avanzata.
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Racconta che era debolissimo, mangiavano poco e male: si usava cicoria per preparare una specie
di caffé, il pane era indurito da fibra legnosa. Ricorda che il mal di stomaco gli fece costante
compagnia. Le comunicazioni con le famiglie erano scarse dati i bombardamenti ai treni. Fu
trasferito ripetutamente, passò anche a scavare, con le poche forze che aveva, specie di larghe
trincee per impedire l‘avanzata dei russi.
Quando le truppe alleate li liberarono nel maggio del ‘45 si trovarono disorientati: un prete
disegnò agli otto compagni del viaggio di ritorno una specie di mappa e li consigliò di percorrere
strade bene in vista per evitare imboscate. Arrivati ad Innsbruck provvidero al loro trasporto i
camion della Colonna Pontificia.
Lino conserva la scheda di rimpatrio che registra la situazione di lavoratore coatto dall‘ 1 ottobre
del ‘43 e, finalmente, la sua destinazione a San Zenone di Minerbe. Lo seppe per prima la sorella di
Minerbe del suo ritorno, dato che sulla via di casa si fermò dal barbiere: ne aveva estremo bisogno.
Ebbe un anticipo di 400 lire, dapprima una licenza ordinaria di 60 giorni di rimpatrio poi il
congedo illimitato. Oggi percepisce un piccolissimo riconoscimento per il suo contributo alla
seconda guerra mondiale.
Scuote la testa e allarga le braccia rammaricandosi di aver dato ben sei anni della sua vita, i
migliori, alla patria, per combattere una guerra ingiusta.
Nel ‘67 ricevette la croce al merito di guerra per internamento in Germania.
Nel retro: “Gironda Lino, foto ricordo del 25-9-41”
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TAVIAN ANGELO
Il signor Angelo abita in via Raniera a Minerbe attorniato dalla
sua famiglia che comprende anche due piccoli pronipoti, fieri del
loro bisnonno novantenne che usa ancora con disinvoltura la
bicicletta, e che nel pomeriggio si gode la compagnia degli amici
al Centro Noi per una partita di carte. È sempre presente alle
celebrazioni in ricordo dei Caduti delle Guerre e la sua alta figura
regge la bandiera con fermezza.
Ha partecipato da soldato alla seconda guerra mondiale: i suoi
ricordi coincidono con i dati registrati nel foglio matricolare che lo
riguarda.
Nato a Bonavigo nel ‘21 aveva frequentato la scuola fino alla terza
elementare e al momento della leva viene registrato come mugnaio.
In verità era un mugnaio un po‘ particolare dato che dall‘età di quattordici anni lavorava presso i
mulini della ditta Scarmagnan che produceva prodotti chimici a base di zolfo.
A diciannove anni venne chiamato alle armi a Bolzano ed entrò a far parte del 7° Reggimento
Bersaglieri motociclisti dal gennaio del ‘41.
Non tornerà più in famiglia dato che venne trattenuto alle armi per partecipare alle operazioni di
guerra. Angelo ricorda il trasferimento a Napoli con la prospettiva della guerra sul fronte africano,
ma per contrordini la destinazione diventò il nord della Corsica, nella città di Bastia. Il dato
coincide con i libri di storia che parlano delle due maggiori isole tirreniche occupate da migliaia di
soldati italiani e nazisti, e del rafforzamento delle difese come precauzione contro possibili sbarchi
alleati dopo gli eventi in Africa vittoriosi per gli Inglesi. La Corsica era come una grande base
militare rivolta all‘Europa.
Angelo racconta che era sempre in sella della moto Gilera 500 che i bersaglieri avevano allora in
dotazione. Incaricato di fare il portaordini alle dipendenze del Generale Carbone, rimase in
Corsica durante tutti i mesi invernali: ricorda di aver dormito sotto le piante di agrumi.
A primavera un incidente stradale cambiò il corso degli eventi nella sua vita. Angelo rammenta di
aver perso il controllo del mezzo a causa della velocità, e di aver battuto la fronte sui sassi della
marina di Bastia. Il suo foglio matricolare registra una serie di ricoveri in ospedali prima da campo
poi militari e civili, e il suo rientro nelle caserme dell‘Alto Adige. Angelo ricorda il mal di testa e il
formicolio come postumi dell‘incidente. Riferisce che dopo l‘armistizio la sorella lo raggiunse
nell‘ospedale di Merano, dove era ricoverato, per riportarlo in famiglia.
Una stampiglia del suo foglio matricolare riporta che si sbandò dopo l‘8 settembre, ma che fu
ugualmente considerato in servizio fino alla liberazione. Il congedo illimitato viene registrato nel
marzo del ‘46 con la notifica del suo stato di invalido di guerra ―idoneo ai soli servizi sedentari‖
con il riconoscimento di un anno di campagna di guerra, il ‘43.
È membro dell‘Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di
Guerra costituita dai nostri padri nel ‗17, Ente morale dal ‘29,
che riconosce il sacrificio di quanti soffrirono per la Patria.
In seguito ritornò comunque a lavorare presso l‘azienda
chimica di Angelo e Bruno Scarmagnan. Racconta di faticosi
turni di dodici ore di un lavoro che mantenne per ben
quarantatre anni. Nel 1969, nel sessantesimo dalla fondazione,
la ditta gli riconobbe una medaglia al merito.
Con la mano Angelo verifica se l‘infossamento sulle fronte c‘è
ancora, a testimoniare la profonda ferita e gli anni giovanili
trascorsi da militare tra le insidie della guerra.
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ZANCANELLA RENATO
Il signor Renato Zancanella abita in via Roma in una porzione
della casa acquistata dal papà dai nobili Da Prato dei quali
rimane lo stemma in un portale.
Ama la sua autonomia che gli permette di dedicarsi all‘orto, di
chiacchierare e ricordare le sue vicende di guerra in modo
preciso e spigliato. Conserva in bella vista i documenti
fotografici della sua vita militare: il ritratto che lo ritrae
giovane soldato insieme a foto varie.
Il cappello piumato ha il posto d‘onore e non c‘è celebrazione
dei Caduti che Renato dimentichi di indossarlo suscitando
l‘ammirazione dei ragazzi presenti.
Le penne di gallo cedrone che lo caratterizzano avevano la funzione di coprire l‘occhio della mira
dal sole, e di mimetizzare il soldato. Renato riconosce bellissima la musica della fanfara: è l‘unico
corpo al mondo che suona in corsa.
Nel fregio, nascosto dalle piume, colpisce la fiamma piegata, a raccontare che i bersaglieri sono
sempre in corsa. Renato ricorda che le esercitazioni lo mettevano alla prova anche se aveva il corpo
temprato dallo sport.
Nato nel ‘23 in una famiglia di agricoltori nel Comune che allora riuniva Bevilacqua con Boschi
Sant‘Anna, aveva frequentato la scuola fino alla prima avviamento al lavoro. Rammenta i buoni
insegnamenti che gli giovarono una vita. Ricorda con orgoglio di essersi dedicato a vari sport con
tanta passione da sostenere gare a livello provinciale.
Chiamato alle armi nel gennaio del ‗43 venne inserito nel Corpo dei Bersaglieri che arruolava
uomini addestrati al tiro e pronti all‘azione. Il foglio matricolare registra a marzo il suo
trasferimento al ―120° Reggimento di marcia Bersaglieri mobilitato‖; in agosto è ―in territorio
dichiarato in stato di guerra‖. I ricordi di questi mesi sono sfumati, ma impressi nella memoria
quelli della cattura dopo l‘8 settembre.
Le sue vicende da questo momento ricalcano quelle di altri commilitoni minerbesi: i soldati italiani
delle caserme di Bolzano vennero stipati nel greto del fiume Talvera, dove Renato incontrò
fuggevolmente il concittadino Bigini Bruno che condivideva la stessa triste esperienza. Dopo poco
furono inviati con la ferrovia oltre confine. Per Renato fu la città di Vienna, dove abitò come
prigioniero nei sobborghi, mentre Bruno fu inviato in Germania. Il primo periodo fu duro per
mancanza di viveri tanto da indebolire di molto il suo fisico forte e giovane, poi visse una
situazione per così dire privilegiata perché era addetto al rifornimento dei negozi. Racconta delle
possibilità di avere cibo a sufficienza e anche dei buoni rapporti con la popolazione.
Visse, insieme alla città, il terrore degli allarmi e dei bombardamenti che gli fecero pensare più
volte di essere vicino alla fine. Rammenta il fragore che gli faceva chiudere le orecchie, tanto che
ancor oggi ripete il gesto. Trascorse così da prigioniero nove mesi. Ricorda il desiderio di tornare a
casa quando i Russi lo liberarono; una volta alla stazione temeva che la locomotiva con due vagoni
su cui era salito lo portasse lontano, invece la destinazione era l‘Italia. Dal foglio matricolare risulta
trattenuto dalle forze alleate già dal 7 aprile del ‗45 fino alla fine del mese quando viene
documentato il suo rientro nel Centro Alloggio di Pescantina e l‘invio in licenza straordinaria di
rimpatrio.
Nel ‘46 risulta in congedo e dal ‗49 è iscritto nella forza in congedo di Bersaglieri del distretto di
Verona. Alcune foto nella sua casa lo ritraggono nei raduni del Corpo della nostra zona.
Renato ricorda il ritorno avventuroso e la mano che gli diede lo zio sacerdote una volta arrivato a
Verona. La mamma, avvisata del suo ritorno, era incredula, ma poté riabbracciare il figlio e
piangere di gioia insieme a tutti i famigliari, come ricorda Renato.
Nel ‘66 lo Stato, riconoscendogli la prigionia e tre anni di campagna di guerra, gli conferì la Croce
al merito di guerra.
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GIOCONDA PRINA
Anche le donne sono sempre state presenti nella storia italiana, tuttavia, salvo rare celebri
personalità, sono state agenti, ma invisibili, destinate anche dalla oleografia ufficiale ad un
ruolo esclusivamente domestico. Centinaia, migliaia di donne, durante le guerre,
combatterono, seppur entro le mura di casa, contro le bombe, la fame, e talvolta morirono.
È stato così anche nella nostra Bassa, dove hanno saputo portare avanti battaglie private e
pubbliche. Gioconda Prina, è una di queste.
Il Registro degli Atti di nascita (1897)del Comune dei Minerbe riporta quanto segue:
Prina Gioconda Giuseppa di Riccardo; l‘anno milleottocentonovantasette, addì quattro, di
gennaio, a ore antimeridiane nove e minuti quindici, nella Casa Comunale, avanti di me
Bertoldi Santo Segretario Delegato con atto del Sindaco, Uffiziale dello Stato Civile del
Comune di Minerbe è comparso Prina Riccardo, di anni quaranta, cameriere, domiciliato
in questo Comune, il quale mi ha dichiarato che alle ore antimeridiane quattro e minuti
cinque, del dì primo del corrente mese, nella casa posta in via Rizzi di Sotto al numero
trentadue, da Lavagnoli Elisa sua moglie famigliare seco lui convivente, è nato un
bambino di sesso femminile che non mi presenta, e a cui dà i nomi di Gioconda, Giuseppa.
A quanto sopra e a questo atto sono stati presenti quali testimoni Vivaldi Scipione, di anni
cinquantatré, impiegato, e Boccaliero Cirillo, di anni cinquantaquattro, entrambi residenti
in questo Comune. Dispensai il dichiarante dalla presentazione del bambino.
Letto il presente atto gli intervenuti.
Il dichiarante: Prina Riccardo
I testimoni :Vivaldi Scipione, Boccaliero Cirillo
L‘Ufficiale Delegato: Bertoldi Sante
Prina Gioconda Giuseppa di Riccardo il 5 novembre 1918 ha celebrato matrimonio con
Domaschi Giovanni nel Comune di Verona, il cui atto fu iscritto nel relativo registro di
Matrimonio al N. 282 da parte del‘Ufficiale dello Stato Civile.
Prina Gioconda è secondogenita di Prina Riccardo, il quale è figlio di Prina Luigi;
quest‘ultimo risulta in un elenco di giovani veronesi, partiti per compiere l‘Impresa dei
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Mille. Prina Luigi, di professione mediatore, è nato a Villafranca il 20 dicembre 1830 ed ivi
è morto il 26 marzo 1877.
Con sentenza n. 72/61 n.c., pronunciata dal Tribunale Civile e Penale di Verona in data
14.6.1961, trascritta nei registri di morte del Comune di Verona-Ufficio I, anno 1961 parte II
serie C n. 111, è stata dichiarata la morte presunta di Prina Gioconda Giuseppina. –
Minerbe, lì 7.11.1963. L‘Ufficiale dello Stato Civile: Leonello Bertoldi.
Prina Gioconda è morta in un campo di sterminio, come risulta in un elenco riportato da B.
Taddei nel libro ―Donne veronesi perseguitate prima e durante il fascismo‖ (pag. 130).
Dagli atti comunali, del Comune di Minerbe, risulta che Prina Gioconda il 5 Novembre
1918 ha sposato un certo Domaschi Giovanni di Verona.
Tale nome compare fra i deceduti nel campo di sterminio di Dachau nel testo di B. Taddei
―I Veronesi deportati dai nazisti‖ edizioni A.N.E.D, Verona dove è riportato quanto segue:
Domaschi Giovanni n.° 116381, nato a Verona il 30. 12. 1891; morto a Dachau il 23. 2.
1945.
Il motivo per cui Giovanni Domaschi finisce in un campo di sterminio può essere desunto
dalla sua biografia, attraverso la quale si può anche ricostruire un po‘ la storia di Prina
Gioconda. Di lui infatti resta ―Le mie prigioni e le mie evasioni‖, a cura di A. Dilemmi,
Cierre Edizioni, da cui è possibile trarre sia elementi biografici che lo riguardano che
alcuni suoi pensieri ricavati dalle lettere scritte dal carcere.
Di Domaschi Giovanni si parla pure nel libro a cura di Emilio Franzina ―Dal fascio alla
fiamma‖ Cierre edizioni, da cui emerge il profilo di un anarchico, che fa parte del
Comitato di Liberazione Nazionale di Verona (CNL), torturato e portato a morire a
Dachau.
Di tale libro si riportano alcuni passi significativi, le cui vicende narrate forse ci inducono
a collegare Prina Gioconda i tragici fatti della Seconda Guerra Mondiale e la sua morte nel
campo di sterminio, a quella di Giovanni Domaschi, figura importante della Resistenza
Veronese.
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“Repressione e tortura”
Alla tortura gli apparati investigativi e repressivi della RSI (Repubblica Sociale Italiana) ricorrono
costantemente, avvalendosi della buona volontà e dell‟esperienza di aguzzini bene addestrati. Quasi
nessuno resiste, neppure Giovanni Domaschi, il quale, fermato il 28 giugno 1944 “mentre nella
stazione della Ferro-tranvia Verona-Caprino di Borgo Trento avviava alcuni sbandati alla
montagna”, sopporta per quattro giorni tormenti che lo sfigurano. … Domaschi parla il 2 luglio.
Verso le ore 12.00 dello stesso giorno viene arrestato Francesco Viviani e Di Carlo precisa:”ll fermo
di costui ed il successivo interrogatorio, ci faceva conoscere i nominativi dei componenti il comitato
di liberazione nazionale di Verona…. Dalla perquisizione effettuata sulla persona del Domaschi si
rinveniva un taccuino sul quale erano segnati nominativi e appuntamenti nonché frasi ricavate dai
messaggi speciali frequentemente trasmessi da Radio-Londra. L‟interrogatorio del Domaschi ci
faceva conoscere che costui provvedeva per incarico di certo Prof. Viviani a consegnare a certo De
Paoli che secondo lui doveva abitare a Garda, tutti quei giovani che non volevano prestare servizio
militare… A carico dei tre risulta che si erano recati alla stazione di Verona Caprino per accordarsi
col Domaschi sulla loro prossima partenza per la destinazione che il Domaschi era solito far
prendere.
Gli stessi all‟appuntamento recavano il segno bianco richiesto all‟occhiello e si facevano riconoscere
dal Domaschi stesso con la parola d‟ordine „Enea‟. L‟interrogatorio del Prof. Viviani ci portava a
conoscenza dell'esistenza in Verona del Comitato di Liberazione Nazionale costituito dalle seguenti
persone: Prof. Viviani, Domaschi, De Ambrogi, Avv. Pollorini Giuseppe e Marconcini Giuseppe”
(E. Franzina, “Dal fascio alla fiamma” Cierre ed.).
Domaschi perciò è stato un operaio, anarchico, antifascista, membro del secondo Comitato
di liberazione nazionale di Verona. Dopo aver partecipato alle lotte politiche e sindacali
nella sua città, egli ha trascorso il ventennio fascista rinchiuso in carcere o relegato al
confino. Torturato, è stato deportato ed è deceduto nel campo di sterminio di Dachau.
Di Gioconda Prina quindi, attraverso la narrazione delle vicende del marito, si possono
raccogliere poche ma significative notizie. Il suo nome, all‘età vent‘anni, compare infatti
accanto a quello di Domaschi in una sottoscrizione a ―Guerra di classe‖ nel numero
dell‘11 agosto 1917. Ventunenne, il 5 novembre del 1918, sposa Giovanni Domaschi. Nel
gennaio del 1919 mette al mondo a Brescia il loro primogenito Giovanni, che muore però
a sei mesi di età. Il 4 luglio 1920, dà alla luce Anita, che sarà affetta da problemi
psichiatrici. ll 3 maggio 1923 nasce il secondogenito della famiglia, Armando, che verrà
cresciuto dapprima da una balia a San Bonifacio e poi anche dalle zie, in particolare quella
paterna, sorella di Giovanni, Rosa Domaschi. Il nonno paterno è stato un giovane
garibaldino, Prina Luigi, che ha seguito Garibaldi nell‘Impresa dei Mille. Ha una sorella
di nome Irma, nata nel 1889, con la quale il marito Giovanni mantiene i contatti almeno
fino al 1943, come risulta da una lettera indirizzata al figlio Armando. Nella sua casa a
Verona si incontrano anarchici, sindacalisti, rivoluzionari e in essa vengono rinvenuti
materiali di propaganda antifascista. La sua famiglia è perseguitata. Lei visse difficili
rapporti familiari, tanto che si parla anche di separazione coniugale. Finisce la sua vita in
un campo di sterminio.
A noi piace immaginare Prina Gioconda una donna battagliera, colta, cresciuta a alti
valori, che per amore e desiderio di libertà, non esita a farsi coinvolgere nelle battaglie
sindacali e politiche; ha una vita molto difficile e deve sacrificare affetti e cure materne;
viene perseguitata e muore tragicamente in un campo di sterminio per aver avuto il
coraggio di difendere le sue idee, la forza di perseguire gli ideali di una patria libera
dall‘oppressione e dalla dittatura e la fede in un‘Italia migliore.
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PERSONE, ASSOCIAZIONI E ATTIVITÀ CULTURALI
Nel ripercorrere i primi 150 anni di unità nazionale con particolare riferimento a quello
che hanno significato per il nostro territorio e allo sviluppo oggi raggiunto, non si possono
non segnalare persone, enti, associazioni che si sono particolarmente distinti nella
promozione e nella valorizzazione culturale di questo Comune, diffondendone
l‘immagine, la sua storia e la sua conoscenza.
Dar loro voce costituisce così anche l‘occasione di far conoscere a tutti il loro operato e al
contempo dare segnalazione e riconoscimento a quanti si impegnano per la valorizzazione
di questo territorio, spesso senza clamore, ma con paziente lavoro e grande sensibilità.
Vuol essere quindi anche un ringraziamento per la loro opera e uno stimolo affinché il loro
esempio contagi anche tante altre persone e in particolar modo i giovani.
INTERVISTA: LUCIANA GATTI
Ci parla della sua vita?
Ho il vezzo di non dire l‘età, ma credo proprio sia il
segreto di Pulcinella perchè l‘argento dei miei capelli è
visibile a colpo d‘occhio. Sono nata a Minerbe, in un
freddo giorno di dicembre, dopo la festa di una S. Lucia,
che in dono ha lasciato me, in un letto sotto le travi con la
brina, e la luminosità del mio nome, Luciana. In cambio si
è portata via ―la Bepa”, una vecchissima bisnonna, piena
d‘arguzia. La mia famiglia era di piccoli commercianti, da
parte di mio padre Augusto e di fittavoli terrieri da parte di mia madre Maria, con una
diceria risalente ai primi del novecento di un intrigo sentimentale tra un nobile veneziano
e un‘antenata. Figura di particolare rilievo è stato mio nonno Lorenzo, di cui ricordo
l‘amore per l‘opera lirica, il tabarro, le soste all‘osteria e il racconto di un leggendario
viaggio a piedi fino a Vienna. Ho due fratelli gemelli: detti e chiamati Romeo e Giulietta,
ma che in realtà hanno il nome dello zio Rino, disperso a Cefalù nell‘ultima guerra.
Della scuola a S. Zenone conservo una memoria serena, pagelle color carta da zucchero
con tanti dieci e quaderni dove la penna della maestra Carla Carrara metteva in risalto il
mio disordine. Ancora adesso una mia maestra (ne ho avute cinque e di tutte ricordo il
nome), Gigliola Storai, che abita a Verona, ogni tanto mi telefona, facendomi sentire
vestita con il fiocco e il grembiule di bambina… Di quel tempo mi sono rimasti impressi i
canti, le preghiere, i grandi cartelli raffiguranti bambini mutilati dalle bombe residuate
dalla recente guerra, incautamente raccolte, e il ciocco che portavo sotto il braccio per la
stufa rossa di un‘ampia aula, con l‘Italia appesa al muro, colorata come un arlecchino, in
una carta geografica sotto il crocifisso.
Poi è venuto il tempo di andare a scuola in littorina alla ― G.B. Cavalcaselle‖ di Legnago,
(ora sede del liceo ―Cotta‖) con i primi approcci con ―rosa, rosae‖ e il Caesar del latino,
materia che mi piaceva molto e di cui mi è rimasto il gusto di qualche lapidaria citazione.
Quando ha cominciato a scrivere? Qual è stata l’occasione? Oltre alla poesia e alla
scrittura ha anche altri interessi artistici? Quali?
Ho iniziato a scrivere presto, appena ho potuto macchiarmi le mani con il pennino intriso
in un calamaio d‘inchiostro celeste. Occasione per esprimere questa mia inclinazione è
stato un programma radiofonico intitolato ―Radiocircoli in circolo‖.
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Si poteva partecipare mandando dei componimenti ed io ebbi la fortuna di vincere il
premio in palio, consistente in una bellissima bambola vestita di rosa, rimasta vittima poi
delle manine di mia figlia… e di vedere pubblicati i miei scritti in un libro.
Un incitamento davvero importante a scrivere e a studiare mi è pervenuto dal grande
poeta Diego Valeri, a cui avevo mandato una delle mie prime poesie, di cui ricordo bene il
titolo ―Pulce e Pidocchio”, che di spiritoso aveva solo quello, perché conteneva già un certo
precoce disincanto sulle ingiustizie sociali.
Oltre a scrivere sono sempre stata attratta dal disegno e la pittura, tant‘è che già da
bambina mi ero munita di un cavalletto, che portavo lungo la ―bina”, vicino al ―casotto‖ dei
pulcini, lasciandomi stordire dall‘ispirazione, dai pigolii e dal profumo dell‘uva fragola.
La mia opera prima è stata per lungo tempo sulla mensola del camino a dirmi di quanto
dovevo imparare.
Dentro di sé ha sempre pensato di scrivere o è stata una cosa fortuita?
Sì, ho sempre avuto propensione verso la scrittura. Ricordo anche come mi piaceva leggere
libri, seduta vicino alla stufa, dove sobbollivano sapori genuini, magari con il gatto sulle
ginocchia. Leggere quindi era come seminare, in un profumo di mele cotte, dentro le zolle
della mia fertile immaginazione, che spesso portavo nel silenzio brulicante dei campi, in
luoghi che mi parevano incantati. Come incantati mi parevano i cieli d‘allora, con le
bianche nuvole erranti, che ancora ci sono, se si vuol guardare: sipari che si aprono, lente
greggi, profili arcigni e sorridenti…
Quando scrive? Ha bisogno di atmosfere e momenti particolari, di una specifica
ispirazione o è una cosa naturale che le viene spontaneamente?
Il mattino per me è un momento favorevole, perché mi alzo sempre con il fermento di idee
nuove e chiare, che poi l‘inoltrarsi nella quotidianità e l‘onere del vivere offuscano un po‘.
Spesso le suggestioni che mi vengono dalla buona musica sono tramite per creare coni
visuali nuovi, evaporazioni d‘anima, come del resto dall‘arte in genere, a cui sono
particolarmente sensibile. Mi interessa molto l‘opera dell‘uomo, privilegiandola, se ben
inserita nel paesaggio che la ospita.
La concretezza del mio lavoro, svolto per tanti anni presso un ufficio tecnico, mi ha dato
esperienze importanti sul fatto di come l‘uomo possa influire nella salvaguardia
dell‘ambiente e di quanto di bello ci è pervenuto dal passato dal punto di vista
architettonico. Anche Minerbe è paese ricco di dimore patrizie, da conservare
assolutamente, al di là di valutazioni utilitaristiche e commerciali. Sia nel settore pubblico,
che privato.
Quali sono i suoi soggetti e contenuti preferiti? Libri di storia, di poesia,
narrazioni,…Preferisce scrivere in italiano o in dialetto? Quando usa l’italiano e
quando il dialetto?
Il suo lettore preferito, il destinatario ideale della sua produzione chi è? Una
persona sensibile?
Un soggetto con cui condividere ricordi ed emozioni? Un lettore cui consegnare
pensieri, affetti, suggestioni?
Come già ho palesato ho molto interesse per la storia, in particolare per quella locale.
Infatti ho collaborato, curando i capitoli relativi alle antiche pievi, agli oratori e capitelli nel
territorio minerbese, alla stesura del libro ―Minerbe, una terra e la sua storia‖. Ho anche
scavato nella storia dell‘Istituto ―Cherubina Manzoni‖, imbattendomi in epoca
napoleonica e nei paraggi dell‘unità d‘Italia, di cui quest‘anno si festeggiano i 150 anni.
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Mi sono interessata del Palladio e delle sue opere nella nostra zona e della storia di
un‘azienda locale importante, come il Consorzio Ortofrutticolo di Minerbe, con un‘opera
intitolata ―Una Terra e i suoi Frutti‖, nell‘accezione letterale dei termini, per la rilevanza
del settore agricolo e della frutticoltura nell‘economia della nostra terra.Gli scaffali della
mia biblioteca sono traboccanti di libri di tutti i tipi: naturalmente non mancano quelli di
poesia: Dickinson, Jimenez, Pessoa, Keats, Cvetaeva…Alda Merini, che mi ha dato il
privilegio della sua attenzione e della sua amicizia, facendo la prefazione a due miei libri:
“Le Volpi d‟argento” e “Poesia minore”. Scrivere in italiano mi consente di esplicare una più
ampia estensione della mente, in dialetto una più ampia estensione del cuore.
Mentre l‘italiano mi permette di rivolgermi a tutti, il dialetto restringe il suo campo ai
compagni di viaggio del mio tempo, con i quali ho condiviso il sapore della fanciullezza,
della scuola, dei giochi ed ora un traguardo che, pur con le bandierine sventolate dal
venticello della nostalgia, è sempre mitigato dalla sciarpa del pudore e dalla verde
bandana della speranza.
Non ho un lettore preferito; chi posa il suo sguardo sui miei scritti mi gratifica e mi
conforta. Tuttavia ho provato una grande gioia, quando mi sono sentita capita o quando
qualcuno ha colto aspetti nuovi del mio dire, con una vista più acuta della mia.
Stimolare, credo, sia una delle più importanti funzioni dell‘arte, che, per essere tale, deve
essere melodica e aperta a tante suggestioni, a emozioni condivise, ma anche esclusive e
personali.
Qual è il suo rapporto con questo territorio, con la terra, con le sue creature, i suoi
paesaggi, i suoi frutti, i suoi fiori, le feste, le tradizioni, le persone, le loro
esperienze,…? Si sente di esserne figlia, di costituirne la voce lirica e di
rappresentarlo così degnamente? Potrebbe vivere in un altro posto? E’ un
rapporto più fisico o mentale? Cosa ama di più di esso?
Il mio rapporto è di amore, specie per il mondo della scuola, con il quale ho avuto modo di
collaborare e che ora mette sul telaio il tessuto vivo del paese. Quando mi presento al
telefono, preciso, anche senza volerlo, che sono di ―Minerbe‖. Sono mancata da qui solo
per alcuni anni, dopo il mio matrimonio, che mi ha portato ad abitare nel palazzo della
grande corte rurale delle contesse Bevilacqua, nel vicino omonimo paese. Per il mio lavoro,
di Minerbe, conosco tanta gente, con la quale ho sempre cercato di mantenere rapporti di
cordialità e di amicizia. Di questo mi sento ricambiata in ambito pubblico e privato. Ho
anche amato molto cercare angoli minerbesi poco visibili, ma straordinari. Con mio
marito, Luigi Zuccari, ho curato i testi poetici di un libro intitolato ―Cai de aqua‖, dove le
sue foto, d‘occhio appassionato, ritraggono l‘azzurro e il verde di queste vene vitali e
abbondanti che bagnano le nostre campagne.Anche il mio ultimo libro intitolato ―Arasti‖ è
un erbario di parole venete e di erbe spontanee, con i loro fiori intrisi di delicata poesia. E
mi piacerebbe molto che questo libro entrasse, attraverso la scuola, nella famiglie della
nostra zona come contributo alla conservazione del patrimonio linguistico e naturalistico
ad essa peculiare.Se uscire da Minerbe può creare l‘opportunità di nuovi incontri, di
esperienze vive, di empire gli occhi con paesaggi nuovi (ogni tanto vado per città e a
Firenze per ―rifarmi gli occhi‖ con la “Primavera” del Botticelli e le altre meraviglie), poi il
tornare mi da sempre una grata sensazione fisica e mentale di tepore, di ritorno a casa.
Niente di provvisorio, tutto di sicuro, su cui poggiare il proprio bagaglio.
130
Chi è un poeta? Per chi e perché scrive? Qual è la sua funzione soprattutto nel
mondo d’oggi?
Il poeta è un rabdomante alla ricerca di un‘acqua sotterranea e cammina con la sua
vibrante bacchetta nel paesaggio del creato, mai contento dello zampillo rinvenuto,
spruzzo minimo rispetto al mare dell‘infinito verso cui quell‘acqua sotterranea tende. Io
scrivo per segnare i miei rinvenimenti e dissetare chi vuole sostare con me e riempire la
sua borraccia per il viaggio sempre più arido che attraversa il mondo d‘oggi. Magari
scompigliandola, ma senza mercanteggiare la sua anima. Mettendo in ordine le luci e gli
abbagli delle proprie intuizioni, per poi ricominciare.
Si sente realizzata? I riconoscimenti e le attestazioni ricevuti la ripagano? Sono
maggiori le soddisfazioni o la fatica e l’impegno a realizzare le sue opere? Una
volta finite come si sente? Da dove trae ispirazione? Ogni occasione è buona o
deve sentire dentro di sé? In famiglia la appoggiano e la aiutano nella sua
espressività? Chi più di tutti?
La mia inquietudine non mi consente di sentirmi realizzata e ho sete di ispirazioni nuove,
di emozioni, di commentare le occasioni dell‘anima e della bellezza. Già ora ho in stampa
un nuovo libro intitolato ―24 grani di carrubo‖ , nato da un incontro con una persona
straordinaria in campo teologico, che mi ha aperto nuovi spazi di cielo. Sì, ho avuto in
abbondanza attestazioni di stima, ma questo non mi esime dall‘essere esigente con me
stessa. Mi sento giudice rigoroso delle mie opere, nate comunque da un impegno che non
ha lesinato tempo e fatica. Devo dire che se ho potuto scrivere i libri che ho scritto, e ormai
la lista è diventata significativa, è perché sono stata supportata operativamente e con
affetto negli altri impegni: come l‘avere famiglia, il lavoro, due figli, Ludovica e Jacopo,
ora grandi, ma seguiti nel percorso della prima infanzia - in cui non è mancato l‘aiuto di
mia madre - dell‘adolescenza e degli studi. E di questo devo dar particolare merito a mio
marito.
Data la ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia, si sente più veronese, più
veneta, più italiana, o qualcosa d’altro?
Mi sento minerbese, veronese, veneta, orgogliosamente italiana e cittadina del mondo.
Nel mio paese e paraggi, qualcuno. Nel mondo, nessuno.
Sente di aver realizzato qualcosa d’importante nel paese e nella società per
quanto fatto?
Se tutti sono degni di considerazione, anch‘io mi prendo la fettina che mi spetta, dandola
per assaggio agli altri per avere notizia del suo sapore. Io so di aver messo l‘ingrediente
dell‘impegno e un pizzico di ambizione, pagandolo con dei talenti che mi sono stati
regalati.
Cosa può fare la scuola per orientare i giovani alla poesia, alla lettura e alla
scrittura? E la famiglia in questo può contribuire?
La scuola è veicolo privilegiato del sapere. Lo vedo anche come il più qualificato. Alla sua
guida immagino validi maestri, buoni a condurre lungo la strada della conoscenza gli
alunni passeggeri,
a cui mostrare paesaggi meravigliosi: la poesia, che insegna la delicatezza e la semplicità
della vita, la lettura che ti fa vivere vite forti, fantastiche, parallele; la scrittura che mette
ordine e trasmette memoria. Il cicerone a bordo deve saper coinvolgere con il fascino
dell‘illustrare, con la convinzione di quello che dice, con le due mani salde al volante per
schivare le pozze fangose delle noia. La famiglia deve consegnare al guidatore educati
passeggeri e riprenderli al ritorno in stanze colme di presenza e d‘amore.
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Quale messaggio si sentirebbe di dare ai giovani perché amino la parola e tutto
quello che essa riesce ad esprimere?
Che bisogna saper rispondere agli esami infiniti della vita con le parole della conoscenza.
Se fosse insito in ogni uomo il seme delle verità, direi che siamo quello che diciamo. Ma
non è così. Tuttavia la grandezza della parola è incommensurabile. Può essere schiaffo,
può essere carezza, senza l‘uso delle mani. Fa suonare la nostra anima, porta la
concretezza della nostra mente, livella ogni distanza, è tacca del metro che ci misura.
INTERVISTA: FAVAZZA MAURIZIO
Si presenta?
Elenco i dati che parlano dei miei interessi verso il territorio:
ho realizzato un depliants turistico suddiviso su itinerari della
pianura veronese su temi culturali, storici e ambientalistici
denominato ―Tra l‘Adige e il Tartaro‖; ho collaborato alla stesura
del libro ―Itinerari turistici del territorio veronese‖ promosso
dall‘UNPLI Verona; ho realizzato un depliants turistico sui
prodotti tipici della pianura veronese denominato ―Gusti e sapori
della pianura veronese‖; ho realizzato un DVD interattivo sul
territorio della pianura veronese; attualmente sto realizzando un sito internet suddiviso
per itinerari, storia, arte, folclore , prodotti ecc.. della pianura veronese dove verranno
coinvolti più di trenta comuni. Sicuramente il vostro lavoro di ricerca contribuisce a far
apprendere una parte di storia che non è conosciuta, non perché meno importante, ma
perché non valorizzata.
Inoltre apprezzo le occasioni come questa che salvano le nostre tradizioni, la nostra
cultura, la storia e l‘arte locale evitando di cadere nell‘oblio.
Lei è stato coautore del libro edito nel 2001 “Minerbe, una terra e la sua storia”.
Ci parla di quel lavoro?
L‘occasione che mi ha portato a realizzare e a scrivere il libro di Minerbe è la passione per
la storia locale fatta di tradizioni, valori e arte. Percorrendo la pianura veronese mi
chiedevo spesso cos‘era quel cippo, il significato di un particolare, il perché di quella
usanza e per esaurire la mia curiosità ho cominciato a raccogliere testi, a leggerli e a
ricercare nello specifico. All‘epoca ero presidente della Pro Loco di Minerbe e avevo
conosciuto e collaborato, per altre iniziative, la poetessa Luciana Gatti e l‘amico Roberto
Ottaviani, appassionati anche loro della nostra tradizione e storia: persone disponibili, ben
preparate e a conoscenza dei fatti ed avvenimenti avvenuti e accaduti a Minerbe.
La preparazione del libro di Minerbe ha contribuito ad intensificare il nostro rapporto di
stima e amicizia e perciò la realizzazione è stata per noi una sfida, un impegno ma anche
sicuramente un divertimento. Il materiale è stato raccolto attraverso gli archivi comunale,
parrocchiale e di qualche privato, l‘Archivio di Stato di Verona e di Venezia e la Biblioteca
del Museo Fioroni di Legnago.
Come ricorda quell’esperienza?
Ricordo di aver trascorso intere serate fino a tarda ora nell‘archivio parrocchiale e di esser
stato a Venezia per alcuni giorni. Un‘esperienza molto interessante e divertente che
ripeterei sicuramente.
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Ci si incontrava spesso, il nostro era un lavoro di squadra: si discuteva, ci si dava delle
mansioni, dei programmi e degli obiettivi. Tutto questo per più di un anno. Molto spesso
si toglieva tempo alla famiglia per dedicarsi allo studio e alla ricerca.
Cosa ha mantenuto vivo l’impegno?
Nell‘iniziativa ci hanno sostenuto l‘Amministrazione comunale di quel periodo e la
volontà, la determinazione e l‘entusiasmo del gruppo operativo. Per dare ancor più
visibilità ed importanza alle ricerche effettuate si andava a confrontarsi con altri ricercatori
per avere uno scambio di opinioni, di materiali. Abbiamo coinvolto, se pur nella
diffidenza, anche altre persone del luogo che ci hanno fornito materiale e foto.
Qual era l’obiettivo di quel lavoro?
L‘obiettivo è dare sicuramente rilievo allo sviluppo del paese attraverso la sua storia i suoi
personaggi, gli avvenimenti, gli aspetti religiosi, culturali, artistici le tradizioni, ma
soprattutto riuscire a trasformare il tutto in un testo chiaro e leggibile di semplice lettura,
scorrevole adatta a tutte le età.
Quale parte ricorda con maggior piacere?
Per quanto da me scritto, la parte che mi è piaciuta di più è stato il capitolo che ho
sviluppato sulle epidemie e calamità, poiché ho trovato interesse ed entusiasmo nel
conoscere i metodi e gli stratagemmi per superare malattie e calamità. Inoltre ho scoperto
come la fede, la speranza e la voglia di ricominciare siano stati determinanti per superare
quei momenti assai difficili e che ad oggi non sono paragonabili a nulla di così
spaventoso.
Modificherebbe oggi quel suo intervento da storico?
Le notizie raccolte si riferiscono a fatti ed avvenimenti fino all‘anno 2010. Oggi sarebbe
opportuno fare un aggiornamento e sicuramente in questi dieci e più anni di fatti e notizie
ve ne sono state molte quindi vedo più la necessità di un‘integrazione che di una modifica.
Come vede orientato lo sviluppo odierno di Minerbe?
L‘attuale sviluppo economico di Minerbe è orientato sempre più su uno sviluppo
industriale.
Infatti si può notare l‘enorme incremento che le zone industriali hanno subito in questi
anni. Pensiamo che meno di cinquant‘anni fa l‘attività prevalente era l‘agricoltura con
l‘intensificarsi dell‘artigianato. L‘aspetto positivo dell‘industrializzazione è senza dubbio
la creazione di posti di lavoro con il benessere che ne deriva. Tuttavia viene meno quel
legame che un tempo c‘era con il territorio e vengono perse le tradizioni, le abitudini, le
usanze, la creatività artigianale. Resta il tempo di un‘ulteriore generazione perché ci
rimanga solo qualche foto o qualche ricordo.
Pensa di aver contribuito alla vita culturale del paese? È stato soddisfatto di quel
lavoro?
Scrivendo quel libro ritengo di aver collaborato ad immortalare i ricordi, i fatti, le persone,
gli avvenimenti e tradizioni legate per secoli alle usanze e abitudini di un territorio
puramente agricolo e che sta scomparendo. Ritengo di aver ricevuto, per aver scritto il
libro, diverse soddisfazioni la più rilevante aver arricchito il mio bagaglio culturale poi
aver conosciuto altre persone, esser riuscito a raggiungere l‘ambito obiettivo della
pubblicazione e non meno importante essere, spero, riuscito ad arricchire ―culturalmente‖
anche altri concittadini.
133
Cosa si proponeva?
Ho ritenuto di scrivere il libro su Minerbe per far conoscere anche ad altri Minerbe con la
storia, i fatti, i personaggi e le curiosità di una comunità; i destinatari sono tutte le persone
che hanno voglia di sapere.
Che rapporto ha instaurato con la sua terra?
Il rapporto che ho instaurato con la mia terra è un rapporto di rispetto, rispetto
dell‘ambiente, delle persone e di tutto quello che lo circonda, ma per saperlo rispettare
bisogna conoscerlo, apprezzarlo e amarlo.
In occasione dei 150°dell’Unità d’Italia si sente più italiano, più veneto o
veronese?
Con la ricorrenza dei 150 anni dell‘unità d‘Italia mi sento più italiano perché sono italiano,
più veneto perché sono fiero di essere veneto e più veronese perché ci vivo.
Ritiene che la scuola abbia un ruolo nei confronti dell’ambiente e dei giovani?
La scuola deve coinvolgere gli studenti per insegnare loro il rispetto dell‘ambiente, ma
soprattutto farlo conoscere nei fatti e negli avvenimenti non della grande storia o dei
grandi personaggi ma con una dimensione più piccola e
più affascinante perché anche i piccoli paesi e i piccoli
personaggi hanno contribuito a rendere grande la Storia.
Sappiamo che le ambizioni dei giovani sono ben altre
che occuparsi della storia o cultura locale. Tuttavia con
uno slogan si potrebbe dire ― Conosci il tuo paese e
conosci te stesso‖ poiché conoscere l‘ambiente dove si
vive significa, come già detto, apprezzarlo e rispettarlo,
ma soprattutto significa conoscerne i limiti per
impegnarsi a renderlo ancora migliore e a misura di
ognuno di noi che ci viviamo.
INTERVISTA: MASSIMILIANO AMATINO FRANCESCO MUZZOLON
Ci racconta di sé e del coautore del libro di
ricerca su Minerbe pubblicato nel 1996?
Io, Massimiliano Amatino, conosco da sempre
Francesco Muzzolon. Siamo amici anche se tra noi c‘è
una certa differenza d‘età: io sono nato nel 1953 mentre
Francesco è del 1929.
Non abbiamo fatto fatica a lavorate assieme, trovandoci
in linea di massima sempre d‘accordo sia sugli
argomenti sia sul modo di condurre questa nostra
ricerca.
Com’è nato il libro “Minerbe nel passato?”
Non siamo né ci riteniamo storici o scrittori, ma
semplici appassionati di fotografia. È bastato
aggiungere qualche notizia e trasferire il tutto su carta
per ottenerne un volumetto.
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I Capitoli , quindi, sono venuti naturalmente, raggruppando semplicemente fotografie con
soggetti omogenei, per cui non è che ce ne sia uno migliore o peggiore di un altro, semmai
ci potranno essere differenze numeriche di fotografie tra un capitolo e l‘altro, ma sarebbe
puerile fare la conta delle fotografie, né, tanto meno, mai abbiamo avuto la pretesa di
presentare un‘opera compiuta. Per le immagini abbiamo attinto prima di tutto alle nostre,
a quelle di casa, poi alcuni privati, saputo della nostra intenzione, spontaneamente ci
hanno offerto le loro. Abbiamo fatto un certo lavoro di ricerca presso archivi privati e
pubblici, in paese e fuori paese, citando sempre fonti e bibliografie, un lavoro che nel
complesso è durato circa sei- sette anni.
Chi vi ha sostenuto?
Per la parte economica dobbiamo ringraziare Industrie, Banche, singoli Minerbesi e non
ultima l‘Amministrazione Comunale; queste notizie, comunque, sfogliando il libro
―Minerbe nel passato‖ potrà trovarle più ampiamente e dettagliatamente descritte nella
prefazione e tra i ringraziamenti.
Per le ricerche d‘archivio le didascalie e la stesura dei testi, invece, ci siamo arrangiati per
conto nostro.
Come giudicate questa vostra ricerca su Minerbe?
Non ci sentiamo di definire importante questo nostro libro: non è un libro storico, anche
se vi sono numerosi accenni al passato. Si tratta solamente di una raccolta di fotografie e di
memorie che hanno lo scopo di mostrare immagini e condizioni di vita di quasi un secolo
fa. Pensavamo, che potrebbe essere stato interessante o quanto meno curioso, per chi non
le ha vissute in prima persona, prendere coscienza attraverso le immagini delle mutate
condizioni socio economiche.
Indubbiamente ci farebbe piacere se questo libro venisse giudicato piacevole, interessante,
di facile lettura, ma non ci aspettiamo di più. Se poi, qualcuno volesse aggiornare, per così
dire, il racconto e riprendere da dove abbiamo lasciato noi, o meglio ancora svolgere più
approfondite ricerche, non potremmo che esserne soddisfatti. Ci sentiamo appagati del
fatto di aver iniziato e portato a termine un lavoro che fin dall‘inizio sapevamo poteva
essere lungo e qualche volta faticoso ma , ripensandoci, non più di tanto visto che si è
trattato di una nostra scelta. In fin dei conti stiamo parlando di Minerbe, un paese dove
siamo nati e cresciuti e che ovviamente amiamo.
Secondo voi ha valore presso i giovani di oggi il
vostro libro?
Non abbiamo la pretesa di insegnare nulla a nessuno, tanto
meno ai giovani, forse un invito alla riflessione, sintetizzato,
credo nella dedica.‖ A tutti coloro che in silenzio, con il
Loro lavoro, hanno contribuito al progresso di Minerbe‖.
Se, sfogliando le pagine di ―Minerbe nel passato‖ a qualche
ragazzo verrà desiderio di conoscere un po‘ di più del
proprio paese e ne chiedesse ai genitori, ai nonni per chi
ancora li ha, agli insegnanti, a persone di cultura e
sensibilità, lo scopo del libro sarà raggiunto.
Francesco Muzzolon
135
“PREMIO MINERVA”
Il concorso di poesia come ―Premio Minerva, I Concorso
Regionale di Poesia Dialettale Veneta‖ si è tenuto per la prima
volta in Sala Civica nel 1995 ed è stato organizzato dai signori
Nello Antonioli, Silvestro Stoppazzola e Piero Mantovani.
Quest‘ultimo l‘ha voluto, curato, amato fino alla fine della sua
vita. Il suo impegno culturale in Minerbe e il suo amore verso
la poesia sono stati sempre vivi e per questo è nostro
cittadino onorario.
Il concorso ―Premio Minerva‖ ha raggiunto negli ultimi anni
la partecipazione di poeti provenienti da tutta Italia. Dopo
una pausa qualche anno, dal 2002, cioè dalla sua sesta
edizione, il ―Premio Minerva‖ ha cadenza biennale.
Nel 2004 si è consolidato anche come Premio Nazionale in
Lingua Italiana. Ora è giunto alla decima edizione come
Concorso Regionale in Dialetto Veneto e alla quarta come
Concorso Nazionale in Lingua Italiana. Numerose sono state
le poesie arrivate: nel 2004, per esempio, ben settanta sono
stati i componimenti in dialetto veneto provenienti da tutto il
Triveneto e centoventisei in lingua italiana provenienti dalle località del nord fino al sud
dell‘Italia alla città di Benevento. Qualche edizione ha visto la gradita partecipazione di
giovani e giovanissimi. Sono stati presenti infatti alcuni alunni della Scuola Secondaria
dell‘Istituto Comprensivo di Bovolone con le loro insegnanti e alcuni giovanissimi di
Minerbe delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Imparare a svelare i propri
pensieri senza preoccuparsi di essere all‘altezza di fare qualcosa d‘importante fa diventare
importanti le piccole cose di ogni giorno, perché in esse ciascuno può ritrovarsi e
riconoscersi. Ciò inoltre fa pensare che in ciascuno di noi , anche se giovane, c‘è un
patrimonio di ricordi, di affetti e di sensazioni che costituiscono la nostra storia umana e
la nostra identità.
È bandito dal Comune di Minerbe, dalla locale Biblioteca comunale unitamente alla Proloco con il patrocinio della Regione Veneto e della Provincia di Verona.
Trova suggestiva ospitalità per la cerimonia conclusiva di premiazione nella chiesa di
Santa Lucia. La commissione giudicatrice è costituita da personalità del mondo della
cultura di Minerbe e di paesi limitrofi.
136
INTERVISTA:ASSOCIAZIONE FOTO CINE CLUB
Presenta l’associazione?
Mi chiamo Pasquale Fante e rappresento il
sodalizio minerbese denominato ―Foto Cine
Club S.Lorenzo-Minerbe. L‘associazione conta
dodici soci. Per l‘anno in corso il Consiglio
Direttivo è composto oltre che dal sottoscritto,
dai Signori Verdolin Mauro, Zanini Gianfranco,
Zanetti Roberto e Beltrame Maurizio.
Quali sono gli obiettivi?
Ci si prefigge di riunire gli appassionati di
fotografia, di far conoscere l‘arte fotografica
come
fatto
culturale,
di
promuovere
manifestazioni e mostre, di organizzare corsi di
fotografia. Questi obiettivi sono rimasti immutati
Una mostra
fin dalla fondazione dell‘Associazione.
Quali sono le attività che svolgete?
Per i soci in questi anni sono state organizzate mostre fotografiche, serate di foto da studio,
―gite fotografiche‖ in varie località. Alla collettività abbiamo offerto corsi di fotografia
analogica e digitale, mostre retrospettive che hanno riguardato personaggi e luoghi di
Minerbe, collaborazioni varie con l‘amministrazione Comunale per l‘aspetto fotografico,
predisposizione di calendari annuali. Oltre a ciò sono stati organizzati anche ―Concorsi
Fotografici‖ a livello provinciale e regionale. Nel marzo del 2001 abbiamo indetto il primo
Concorso nazionale ―Minerbium‖.
Racconta la storia dell’associazione?
Il Foto Cine Club S.Lorenzo-Minerbe è stato costituito nel marzo del 1962 su proposta
dell‘allora curato Giusti Don Giovanni, accolta con entusiasmo da un gruppo di minerbesi
appassionati di fotografia. Facevano parte del neonato gruppo, oltre il predetto sacerdote, i
signori Ferracin Dottor Ermanno, Muzzolon Francesco, Verzobio Raffaello, Zamperlin
Sergio, Casalini Armando, Maistrello Luigi e il notaio Paladini prof. Eduardo.
L‘associazione è sorta dalla passione dei soci fondatori per far conoscere la fotografia come
fatto culturale.
Quali sono le prospettive future?
Il gruppo ritiene ancora valido proporre tutte quelle iniziative adatte a divulgare la
fotografia, in continuità con le attività svolte finora.
Le collaborazioni col territorio sono soddisfacenti?
L‘associazione si è sempre posta in termini di collaborazione con le altre realtà
associazionistiche di Minerbe e con le Amministrazioni Comunali che si sono succedute,
ottenendo sempre riscontri positivi.
L’associazione ha incontrato o incontra dei problemi?
Finora l‘associazione ha sempre svolto la propria attività senza trovare particolari
problematiche se non quelle, comuni alle altre associazioni, relative all‘aspetto economico
per l‘organizzazione di eventi vari.
Con l’avvento della fotografia digitale è cambiato qualcosa?
La tecnologia digitale ha ormai invaso il mondo della fotografia. Lo si voglia o no questa è
la realtà, è il futuro da accettare. Ha vantaggi indiscutibili ed enormi.
137
È possibile, in termini numerici, effettuare moltissime riprese fotografiche senza dover
interrompere per sostituire il rullino ogni ventiquattro o trentasei pose.
È un vantaggio verificare nell‘immediato la ripresa fatta, ed eventualmente eliminarla,
senza dover attendere lo sviluppo e la stampa di tutta la pellicola. Le ripercussioni in
termini di risparmio economico non sono indifferenti. Tramite programmi di ritocco
fotografico è possibile inoltre intervenire sulla foto con delle modifiche e in ultimo è
interessante poter trasferire immagini e archiviarle.
Per i motivi citati e per tante altre opportunità che tale tecnologia mette a disposizione,
anche noi ci siamo adeguati, sostituendo piano piano i nostri apparecchi fotografici
analogici con altri digitali.
In merito all’Italia Unita: sembra alla vostra associazione di aver contribuito allo
sviluppo culturale del paese?
Ci sembra di aver sempre operato per valorizzare e far conoscere Minerbe organizzando
eventi fotografici anche a carattere nazionale che hanno raccolto le opere di appassionati
fotografi provenienti da tutte le regioni d‘Italia.
INTERVISTA:
CIRCOLO CULTURALE TERRANOSTRA
Quando è nato il gruppo? Perché?
Il Circolo Culturale ―Terra Nostra‖ nasce nel
2003 ―…dall‘esigenza di creare ―Punti
d‘incontro‖ di persone che intendono
esprimere il loro interesse e la loro disponibilità
per fatti attinenti ai vari campi della cultura e
dell‘arte e per promuovere eventi capaci di
elevare in questi ambiti, con la forza
dell‘aggregazione, le articolate realtà del paese‖. Questo viene detto nell‘Atto Costitutivo
del 2005 che viene approvato definitivamente nel settembre del 2006. Attualmente io,
Ornella Princivalle, ne ricopro la carica di Presidente.
Quali attività svolge?
Il Circolo svolge attività di promozione e utilità sociale e culturale.
Che scopi si propone?
Ha lo scopo di promuovere, organizzare e sostenere, nell‘ambito del proprio territorio,
iniziative, manifestazioni ed attività culturali che contribuiscano allo sviluppo e alla
circolazione di idee, conoscenze e valori culturali e artistici e alla valorizzazione della
realtà locale, favorendone la partecipazione popolare.
Il Circolo si propone, quindi, di favorire iniziative volte ad attuare progetti polivalenti di
spettacolo e informazione ed altresì di istituire concorsi e assegnare borse di studio a
giovani talenti.
Prevede collaborazioni?
Per il raggiungimento delle proprie finalità il Circolo può aderire a confederazioni, enti ed
organismi aventi scopi analoghi a quelli del suo statuto. Intrattiene una costruttiva
collaborazione con le varie realtà locali, a cominciare dalla Parrocchia, per coinvolgere
tutto il tessuto sociale nelle opportunità di crescita del territorio.
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Quale vita ha oggi?
Oggi il circolo conta una cinquantina di soci, da alcuni anni promuove e sostiene
manifestazioni ed attività varie. L‘obiettivo è sempre quello della conoscenza e soprattutto
dell‘interesse sull‘uomo nella sua interezza, sull‘ambiente, sul tempo.
Cerchiamo di percepire il linguaggio dell‘armonia, del suono, della poesia, della parola,
delle figure, del colore, del ricordo, della memoria, del tempo, del sapore della nostra
realtà e di comunicarlo. Cerchiamo di porci innanzi al bello perché ciò fa nascere in noi la
nostalgia dei forti sentimenti umani e religiosi. Tutti gli associati danno tutto il meglio di
loro con spirito di servizio e tanto entusiasmo.
INTERVISTA: GRUPPO ALPINI
Racconta la storia del Gruppo?
Mi chiamo Doriano Pesarin, sono il capogruppo del Gruppo
Alpini di Minerbe che venne costituito nel 1933 per volontà
dei soci fondatori con a capo il Maggiore Guerrino
Marchioro. Nel corso di settantacinque anni si sono alternati
avvenimenti lieti e dolorosi, sono passati tanti Alpini e tanti
amici che hanno lasciato indelebile il loro ricordo. Si è
trattato di persone generose, solidali, che hanno saputo
trasmettere ―l‘alpinilità‖, ―penne mozze‖ che hanno fatto la
storia del gruppo. Ricordo con riconoscenza i capigruppo
che mi hanno preceduto perché hanno saputo trasmettere l‘autentico ―valore alpino‖.
Ricorda tappe importanti?
Abbiamo celebrato il 75° anniversario nel 2008 con l‘edizione, tra l‘altro, di un libro che
ripercorre la nostra storia. Festeggiarlo ha significato non solo ricordare una data, ma
indicare una continuità di intenti e di ideali che hanno realizzato un legame molto forte tra
―bocia‖ e ―veci‖ per la condivisione di valori che sono diventati un collante stupendo in
grado di unire e fondere le diverse generazioni che si sono succedute e che dalla nascita
del gruppo ai giorni nostri hanno impresso il loro carattere.
Quali gli obiettivi del gruppo?
Abbiamo fatto nostro il motto ―onorare i morti aiutando i vivi‖. Penso che il significato sia
trasparente.
È soddisfatto della vitalità tra gli associati? Quali sono le prospettive?
Devo ringraziare davvero gli alpini di Minerbe: insieme sapremo continuare perseveranti
nella difesa dei principi essenziali dei nostri ―veci‖. In questo modo potremo affermare
che l‘eredità ricevuta dai soci che settantacinque anni fa hanno voluto fondare il Gruppo
Alpini di Minerbe, non è andata perduta e che il testimone che ci hanno lasciato ha trovato
degni successori.
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INTERVISTA: ASSOCIAZIONE COMBATTENTI E REDUCI
Signor Dino Zanoni presenta
l’associazione allo stato attuale?
E‘ da molti anni che come socio simpatizzante
del A.N.C.R. di Minerbe San Zenone, seguo le
vicende organizzative, tanto che, con il rinnovo
delle cariche sociali dell‘ottobre del 2010, sono
stato eletto Presidente-Coordinatore della
sezione, in sostituzione del non più giovane
Primo Rossini, nato nel 1920 ed eletto Presidente
onorario. L‘Associazione Nazionale Combattenti
e Reduci, che partecipa alla Federazione
Provinciale, da lunga data ha una sezione a Minerbe, che nel 1980 si è unificata con la
sezione di San Zenone. È apartitica e rappresenta gli interessi materiali e morali dei
combattenti e reduci iscritti all‘associazione e la loro tutela. È composta da sette
combattenti e ottanta simpatizzanti che eleggono il direttivo ogni tre anni.
Quali sono gli obiettivi oggi?
Partecipare ai raduni e congressi provinciali, è come vivere in un altro mondo, a contatto
con uomini che continuano a portare nella loro vita di ogni giorno il peso di sacrifici e di
anni di sofferenze patite in tempo di guerra, senza aver mai rinunciato all‘entusiasmo che
li accompagnava nei momenti più drammatici.
I ricordi di quei tempi lontani non sono frutto di nostalgia, ma di preoccupazione per le
nuove generazioni, affinché alla luce di quegli avvenimenti dolorosi si faccia il proposito
di una concreta collaborazione in modo che non abbiamo più a ripetersi lutti e distruzioni.
Sono questi insegnamenti che rendono interessanti gli interventi degli ex combattenti in
tutte le cerimonie e in modo particolare quando tracciano i loro programmi futuri. Sentire
questi veterani che parlano del futuro dei giovani come impegno primario della loro
attività associativa è commovente. Fanno memoria del loro passato non per chiedere
medaglie o riconoscimenti vari, ma per ricordare la tenacia, la sofferenza e i sacrifici dei
tanti caduti nell‘adempimento del loro dovere per la rinascita dell‘Italia dopo la tragedia
della guerra e per questo non vanno dimenticati. Ricordiamo che senza il loro generoso
apporto non sarebbe stato possibile riportare la nostra Italia nel novero degli stati
democratici. Purtroppo ad ogni raduno si nota vistosamente che gli ex combattenti sono in
netto calo, questa è la legge della natura.
Per conservare il ricordo di quella storia, un preciso impegno lo dobbiamo portare avanti
noi simpatizzanti, coinvolgendo la scuola, perchè si continui a studiare attraverso i
programmi scolastici la nostra cara storia d‘Italia. Uno stato moderno, senza tradizioni e
senza salvaguardia dei valori morali e patriottici, non ha alcuna garanzia di
sopravvivenza.
Quali le attività e i simboli?
La bandiera dell‘associazione è quella nazionale e devono esserne fornite le federazioni e
le sezioni. Gli appuntamenti annuali sono il 25 aprile, anniversario della liberazione, il 2
giugno, festa della repubblica, il 4 novembre, cerimonia commemorativa ai Caduti di tutte
le guerre. La terza domenica di giugno partecipiamo al raduno annuale al sacrario del
Baldo e nel corso dell‘anno l‘associazione è presente alle manifestazioni e cerimonie locali.
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Chi ha guidato l’associazione prima di lei? Ha accettato volentieri questo
compito?
E‘ da molti anni che come socio simpatizzante del A.N.C.R. di Minerbe- San Zenone,
seguivo le vicende organizzative, tanto che, con il rinnovo delle cariche sociali dell‘ottobre
del 2010, sono stato eletto Presidente-Coordinatore della sezione, in sostituzione del non
più giovane Primo Rossini che era nato nel 1920 e che venne allora eletto Presidente
onorario. Doveroso ricordare i presidenti della sezione di Minerbe dal 1957 al 2010:
Savinetti dott. Giulio, Salerni Luigi, Pesarin Guido, Grigolo Umberto, Beltrame Antonio,
Rossini Cav.Primo fino alla mia nomina. La sezione di San Zenone ebbe nel 1960 Vesentini
Luigi come presidente quindi Pauletto Mario nel 1977.
L’associazione incontra dei problemi?
Con l‘abolizione del servizio di leva scompare anche la realtà delle varie associazioni
combattentistiche e d‘arma che si comportarono con onore ed eroismo, soprattutto in
occasione di eventi bellici. Il servizio militare è stato scuola di vita ed ha rappresentato un
solido, democratico e reale collegamento fra esercito e società civile. Con l‘avvento
dell‘esercito professionale viene garantita un‘altra e diversificata qualità che un esercito di
leva non era in grado di assicurare. Queste cause, dovute al doloroso decesso degli
anziani, si trovano ad affrontare una crisi funzionale, che paralizza ogni possibile
iniziativa di fronte alle varie manifestazioni.
Vede affievolito il senso della patria oggi? Cosa dire ai giovani?
L‘impegno associativo anche di noi simpatizzanti è quello di far sapere ai giovani che lo
stato di benessere e di libertà di cui oggi godiamo, non fa parte di una anonima eredità,
ma è il frutto di lotte e di conquiste pagate a caro prezzo dai nostri nonni, genitori, fratelli
e zii nelle guerre passate. Noi tutti dobbiamo gratitudine e rispetto ai nostri Caduti e
superstiti per assumerci come impegno morale quello di continuare ad operare nel solco
della loro tradizione. Aver appreso noi simpatizzanti questi insegnamenti nei nostri
incontri con gli ex combattenti è stata un‘ occasione preziosa che ci auguriamo possa
essere vissuta da tutti, anche dai giovani e giovanissimi nell‘interesse di tutti noi.
Quali sono le prospettive future?
Confidiamo che ognuno di noi e noi tutti assieme, reduci e simpatizzanti, possiamo
continuare pacificamente ad innalzare i nostri comuni ideali, in uno spirito costruttivo di
pace e serenità, a difesa delle istituzioni, senza imbracciare singolarmente prese di
posizioni politiche e partitiche.L‘A.N.C.R. deve continuare a vivere nel cuore e nella mente
di ognuno di noi nella luce più fulgida dell‘idealità, senza compromessi, senza rancori.
Tutti uniti in uno spirito di corpo che in oltre sessant‘ anni ci ha contraddistinto per serietà
e lealtà agli ideali della nostra patria, della nostra nazione e delle nostre famiglie.
141
INTERVISTA: GRIGOLO MAURIZIO, ASSOCIAZIONI SPORTIVE
ASSOCIAZIONE TENNIS MINERBE
L‘Associazione Tennis Minerbe nasce a metà degli anni 80 con la
costruzione, voluta dall‘amministrazione Comunale del periodo,
di un primo campo estivo e da qui in poi sintetizzo le tappe e le
persone che si sono succedute come presidenti dell‘Associazione:
- 1985 costruzione primo campo aperto con il presidente Maurizio
Zanetti a cui è succeduto tra gli altri anche Bertolaso Daniele.
- 1990 si costituisce un gruppo di soci fondatori (36 persone) e
sotto la presidenza di Sergio Biondaro si costruisce in economia un
secondo campo aperto per rispondere alle esigenze crescenti dei
soci.
- 1995 con l‘amministrazione Comunale si costruisce un terzo
campo con la copertura fissa (il primo del genere nella provincia
di Verona) coperto finanziariamente 70% Comune 30% Associazione Tennis Minerbe, sotto la
presidenza di Federico Menin; nello stesso periodo viene costruita la palazzine che ospita la sede
dell‘Associazione Tennis Minerbe e il circolo sportivo – ricreativo ―Il Quadrifoglio‖.
- Sempre nello stesso anno viene dato impulso alla scuola tennis sia per adulti che per i bambini e
ragazzi sotto la guida del maestro Armando Graziani, con 20-25 ragazzi e un numero variabile di
soci adulti.
- Nel 2002 subentra a Federico Menin la gestione con il presidente Alessio Veggiari che però
rimane in carica solamente un anno e mezzo per far posto alla gestione Paolo Teboni al quale nel
2007 subentra Roberto Lunardi.
- Ed arriviamo ai giorni nostri con l‘attuale presidente Franco Castagna eletto dopo le dimissioni di
Lunardi nel Febbraio 2008 e con un ulteriore passo in avanti a livello strutturale e partecipativo.
Infatti viene installata una copertura sul secondo campo (tensostruttura con doppia camera, anche
in questo caso è stata la prima installata in provincia di VR) e vengono nel contempo implementati
2 nuovi impianti per il riscaldamento, uno sulla struttura nuova ed un altro in sostituzione
dell‘impianto vecchio sul campo, il terzo ormai obsoleto.
- Attualmente gravitano attorno al circolo un numero di soci variabile dagli 80 ai 130 ca. con la
frequentazione annuale o/e stagionale, 55/60 bambini e ragazzi che frequentano la scuola
addestrativi SAT sotto la guida del maestro FIT Gino Camatti ed un interesse sempre crescente
verso il nostro circolo che attira l‘attenzione e la partecipazione di molti comuni limitrofi.
ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA POLISPORTIVA MINERBE
L‘associazione Sportiva Dilettantistica polisportiva Minerbe nasce nel Settembre del 2009 grazie
alla spinta di Filippo Magosso/ Alberto Merlin/ Luca Furlani, questo dopo lo scioglimento dello
storico Gruppo Sportivo Minerbe. L‘Associazione Sportiva dilettantistica non ha scopo di lucro e
mira a divulgare la cultura dello sport tra i giovani e meno giovani come momento di
aggregazione e crescita dell‘individuo con sani valori di amicizia e divertimento.
Si è trattato sicuramente di una sfida per l‘attuale direttivo prendere in mano la gestione della
palestra, ripartendo da zero nella riorganizzazione di calendari e attività. Sfida che attualmente
sembra essere portata avanti con buoni risultati vedendo il crescente numero di iscritti che per la
stagione attuale ha toccato quota 205 tesserati.
Lo scopo della nuova associazione è stato da subito quello di consolidare le attività sportive già
avviate nei precedenti anni e di promuovere in particolare nuove attività sportive per coinvolgere i
bambini del comune e dei paesi limitrofi.
Tra le attività svolte citiamo: Karate, volley, basket, danza classica, pilates, ballo liscio, calcio a 5.
142
I giovani del karate si distinguono per i buoni risultati nelle varie manifestazioni a livello
nozionale mentre le ragazze del volley under 18 disputano il loro primo campionato proprio in
questo periodo.
Per le altre attività giovanili dove il numero di iscritti non consente ancora la partecipazione ad un
campionato, cerchiamo di organizzare con i comuni limitrofi alcune partite amichevoli per
stimolare i giovani atleti ad affrontare sempre con più energia gli allenamenti ed ampliare le loro
vedute nell‘ottica di socializzare anche con ragazzi fuori paese.
Nella stagione 2010/2011 è stato avviato anche un corso di difesa personale per donne sotto la
spinta promotrice del corso di karate (responsabili Cappellari Renzo e Martini Alessio) e
dall‘amministrazione comunale (Cons. Emanuela Ronchin).
Nel primo anno di gestione il direttivo era composto da Alberto Merlin (presidente), Filippo
Magosso (vice presidente) e Luca Furlani (segretario). La seconda stagione ha visto un cambio di
ruoli con Luca Furlani presidente e Merlin / Magosso rispettivamente Vice e segretario. L‘idea è di
chiudere il cerchio il prossimo anno con Filippo Magosso nel ruolo di presidente con la speranza di
riuscire a coinvolgere alcuni giovani del paese desiderosi di portare avanti quanto iniziato.
GRUPPO SPORTIVO FCM FURLANI – MINERBE
Vogliamo qui ricordare il Gruppo sportivo FCM FURLANI nel trentesimo anniversario della sua
costituzione. Il gruppo sportivo amatoriale fu infatti fondato il 17 Gennaio 1977 per iniziativa di
alcuni appassionati che già praticavano il cicloturismo. Fra essi Silvio Furlani che nel fu il primo
presidente ed ebbe l‘approvazione e l‘incoraggiamento del fratello Pietro, fondatore della SIMEM e
della FCM, le due aziende che in Minerbe si dedicavano alle costruzioni meccaniche per
l‘agricoltura e per l‘edilizia. Fra gli entusiasti promotori ci fu anche Valerio Sperandio che divenne
e continua ad essere instancabile segretario del gruppo sportivo, primo collaboratore del
presidente e solerte organizzatore delle varie iniziativi sportive e promozionali. Il primo anno il
gruppo vide l‘adesione di una ventina di cicloamatori, alcuni dei quali provenienti dai paesi vicini.
Negli anni seguenti gli iscritti si mantennero intorno allo stesso numero, o lo superarono di poco.
Alcuni dei fondatori continuano ancora oggi la loro adesione e la partecipazione alle attività che il
gruppo propone.
Le attività del gruppo sono state:
- La partecipazione ai cicloraduni locali e nazionali con la necessità frequente di lunghe trasferte e
l‘impegno in percorsi che presentavano notevoli difficoltà per la lunghezza e i dislivelli da
superare;
- Imprese ciclistiche individuali o di piccoli gruppi;
- Promozione di gare e manifestazione ciclistiche a Minerbe e San Zenone per allievi e dilettanti
che hanno visto la partecipazione di atleti di altre provincie e regioni. Sarebbe troppo lungo
riportare tute le partecipazioni ai cicloraduni come ordinatamente registrate nei documenti del
Gruppo Sportivo e documentare sempre con immagini. Qui basti dire che complessivamente sono
oltre duecento. Un numero significativo, ma ancora più significativo è il tipo dei cicloraduni,
nazionali (20), gran fondo (12) e cronoscalate. Ci sono poi le varie manifestazioni sportive tra le
quali eccelle la lunga serie di trofei FCM FURLANI arrivate già a 18. Presentiamo una rassegna
cronologica dei principali eventi sportivi, riportando, per quanto è possibile le immagini che il
segretario ha raccolto in voluminose cartelle.
Già nel 1976, un anno prima della costituzione del gruppo Sportivo di Minerbe, viene organizzato,
il 3 Ottobre, il 1° trofeo FCM Furlani in collaborazione con la Pro Loco di Minerbe e l‘U.S.
Michellorie. La manifestazione è già importante e il ―Nuovo Adige‖ la riporta in un suo articolo
come ―ottava e ultima prova del Campionato Italiano di Società‖ 3° raduno Regionale Veneto.
Arrivano partecipanti da tutta la regione. Ben presto cominciarono gli impegni di partecipazione ai
cicloraduni e, passato qualche tempo, l‘eco dell‘entusiasmo arrivava alla stampa.
Il Gruppo Sportivo Furlani viene definito come la perfetta fusione tra sport e industria.
143
Nulla da dire sul fatto che una società sportiva sponsorizzata da un‘industria, nel nostro caso la
FCM Furlani, costruzioni meccaniche, costituisce per questa un ottimo veicolo pubblicitario. Ma
come è possibile affermare che l‘intensa attività di questa squadra di cicloamatori è solo dovuta ad
un mero discorso pubblicitario? Noi crediamo invece che la passione del sig. Furlani Silvio,
presidente del gruppo sportivo, e del Sig. Sperandio, segretario, sia la molla principale che porta la
squadra a partecipare a tutti i più importanti appuntamenti nazionali dell‘attività cicloamatoriale.
E che dire dello spirito sportivo che anima tutti i componenti della squadra?
Il Gruppo si distingue subito e nell‘annata prende parte a ben 18 cicloraduni. Uno lo organizza a
Minerbe.
INTERVISTA: MARIALUISA MENEGOLO, PROTEZIONE CIVILE,
COMITATO GEMELLAGGIO
I suoi dati biografici, i suoi studi, la professione,..
Mi chiamo Marialuisa Menegolo, ho 53 anni e risiedo da
sempre a Minerbe . Sono sposata da più di 30 anni con
geom. Doriano Pesarin anche lui di Minerbe. Ho un figlio,
Antonio di 27 anni . Nel 1976 ho conseguito il diploma di
ragioniere e perito commerciale ma la professione di
ragioniere l‘ho esercitata solamente tre anni perché ho
dovuto accogliere a malincuore l‘invito di mio padre a
condurre l‘azienda commerciale di famiglia. Dico a
malincuore perché desideravo tantissimo proseguire gli
studi all‘Università . Mi sarebbe piaciuto studiare
Giurisprudenza e diventare avvocato o notaio . Vi sembrerà
impossibile ma per i miei genitori era impensabile che una
figlia lasciasse Minerbe per studiare a Bologna.
Così ho accettato e ho proseguito la mia attività di
collaborazione nell‘azienda di famiglia fino a quando mio
padre muore prematuramente ; così passo da una collaborazione all‘altra infatti da allora
ho continuato ad essere collaboratrice nello studio tecnico di mio marito.
Oggi sono felice di questa mia scelta perché mi ha permesso di essere moglie e madre a
tempo pieno e di dedicarmi anche al volontariato che da sempre è una parte importante
della mia vita.
Nel 1992 casualmente ad una celebrazione commemorativa dell‘Associazione Nazionale
Alpini ho conosciuto Barbara, una ragazza di Peschiera volontaria di Protezione Civile. Mi
ha incuriosito molto questa presenza femminile nell‘ambito di una attività che pensavo
fosse riservata solo ai maschi. Mi sono interessata subito, Le donne iscritte erano
solamente tre e tutte con specializzazioni particolari : addestratore di cani, sub e
infermiera professionale . Io non avevo nessuna specializzazione particolare ma ,
conoscendo loro tre , ho trovato in me qualcosa che loro non avevano così molto radicato
cioè un grande desiderio di impegnarsi per il bene del proprio paese e una grande
ammirazione per i valori degli alpini. Il motto ― Onorare i morti aiutando i vivi‖ ha
sempre alimentato in me lo spirito di solidarietà. Non è stato semplice riuscire ad
iscrivermi ma mio marito, già capogruppo Alpini di Minerbe, mi ha aiutato a realizzare
questo desiderio. Così nel 1993 non solo sono riuscita ad essere iscritta al nucleo Sezionale
144
di Verona , ma insieme ad altri 5 alpini del
Gruppo di Minerbe ho contribuito alla nascita
dell‘attuale squadra della zona
Basso
Veronese che oggi conta 52 volontari.
Nel 1999 sono stata contattata dal Sindaco di
Minerbe ing. Tullio Ferrari per realizzare un
gemellaggio con un paese europeo poiché in
un Consiglio Comunale a loro riservato, gli
alunni della Scuola Elementare di Minerbe lo
avevano richiesto. Io non ero così informata
riguardo l‘Europa e a tutti i movimenti di
sensibilizzazione rivolti ai cittadini europei ,
Volontari della protezione civile
ma da subito l‘idea mi ha affascinato. Nel 2000
ho partecipato ad un convegno dei paesi gemellati in Austria e in quell‘occasione ho
conosciuto alcune persone di Schwabenheim presenti al convegno perché desiderose di
stringere un gemellaggio con un paese italiano.
Dopo quell‘ incontro ne sono seguiti altri due e il 3 marzo 2001, ad Aschau, una cittadina
della Baviera, i sindaci di Minerbe e di Schwabenheim hanno firmato il loro patto di
gemellaggio e la Giunta Comunale di Minerbe mi ha eletto presidente del Comitato
Gemellaggio. E‘ un incarico che rivesto tuttora . L‘attività di gemellaggio è un‘attività che
mi impegna un po‘ meno della Protezione Civile ma necessita però di studio continuo
soprattutto di due lingue straniere: l‘inglese per i contatti ufficiali con le sedi istituzionali
europee di Bruxelles e Strasburgo e il tedesco per comunicare con gli amici gemelli di
Schwabenheim.
L’essere donna ha condizionato/favorito le sue scelte e i suoi impegni in questi
campi dove occorre disponibilità di tempo, impiego di energie, impegno, sensibilità
particolari,..
L‘essere donna non mi ha né condizionato né favorito. Come ho detto prima qualche
difficoltà l‘ho trovata all‘inizio con la Protezione Civile ma poi non ho avuto problemi
.Certamente non è stato sempre semplice conciliare la famiglia, il lavoro e l‘attività di
volontariato ma ho avuto e continuo ad avere intorno a me persone che conoscono la mia
passione e ammirano il mio impegno nel sociale e per questo riescono a capire perché il
mio zaino d‘emergenza è sempre pronto e il biglietto aereo per la Germania sempre
aperto. Per mio figlio era normale vedermi partire in fretta e stava volentieri con la nonna
perché sapeva che la sua mamma andava ad aiutare le persone in difficoltà.
Una cosa però è molto importante : quasi tutta la mia attività di volontariato la svolgo
insieme con mio marito. Sì, sono riuscita a coinvolgere in pieno mio marito sia
nell‘attività di Protezione Civile che in quella del gemellaggio. La cosa che più mi gratifica
è aver coinvolto in pieno anche mio figlio. Con il gemellaggio è logico perché ci impegna
come famiglia ma nell‘attività di Protezione Civile non pensavo; eppure sei mesi fa ha
chiesto di far parte della nostra squadra Basso Veronese.
Cosa spinge le persone a impegnarsi in associazioni di volontariato (viene
adeguatamente capita questa disponibilità ad una cittadinanza attiva, spesso con
costi in termini personali di tempo, di responsabilità, impegni,…)
Questa domanda è ricorrente infatti molti mi chiedono ― Chi te lo fa fare ?‖
Fare volontariato mi permette di esprimere la mia generosità verso il prossimo, mi fa
sentire utile.
145
Non ho nessuna gratificazione economica e non mi interessa assolutamente, ma ho una
remunerazione a livello emozionale, mentale e formativo. Fare volontariato non significa
essere ―eroi solitari ―ma far parte di un gruppo.
Far parte di un gruppo di volontariato significa farsi forti del sostegno di altre persone
per collaborare alla costruzione di una società solidale e quindi sensibile alle necessità
delle persone in difficoltà . Desidero un mondo migliore ? Anch‘io devo dare il mio
contributo.
Ogni attività di volontariato , poi, ti fa crescere e maturare in competenze e capacità di
alto valore perché necessita di una formazione continua.
Nel suo impegno nella Protezione civile o nel Comitato per il gemellaggio, ha
qualche rammarico , pensa di aver commesso degli errori, crede di non aver dato
adeguata attenzione a fatti particolari e/o situazioni, …
No, non ho nessun rammarico perché sono certa di aver dato il massimo che potevo dare.
Certamente nessuno è perfetto, avrò sicuramente commesso qualche errore ma non
devono essere stati così grandi perché ora non ne ricordo. Il mio pensiero guida è una
frase di Sant‘Agostino ― Ama e fai quello che vuoi!! ―
Il suo rapporto con Minerbe: da semplice cittadino, da persona impegnata nel
sociale, con impegni lavorativi, da madre di famiglia,…
Io amo il mio paese anche se molto volte gradirei fosse un po‘ più moderno e che i suoi
abitanti fossero più aperti e disponibili ad aderire alle tante proposte nell‘ambito culturale,
sociale, artistico ecc. Da semplice cittadino vivo nel rispetto delle leggi , mi impegno a non
essere solo critica ma anche propositiva . Una cosa non mi attira e non mi interessa : la
politica.
Come madre spero di essere una brava madre… bisognerebbe chiederlo a mio figlio.
Certamente sono stata anche una madre severa e rigida nel trasmettere i valori essenziali
quegli stessi valori che mi sono stati trasmessi dai miei genitori e verso i quali sarò sempre
riconoscente.
Si sente più europea, più italiana, più veneta, più veronese, più minerbese,…
Mi sento europea e come potrei non esserlo visto che di fatto sono un cittadino europeo
impegnato nell‘ambito di un gemellaggio europeo, credo nella forza di un‘Europa unita e
nel futuro che promette l‘Europa unita.
Mi sento Italiana e ne sono fiera perché l‘Italia è un paese libero , soprattutto grazie a
migliaia di uomini che hanno dato la vita perché io oggi possa esprimere liberamente il
mio pensiero. Molti italiani dimostrano di non avere stima della propria nazione, ma non
fanno nulla per migliorare la situazione , sono troppo impegnati a lodare le nazioni
straniere .
In Italia ci sono certamente tante cose che non funzionano , ma ritengo che sia sbagliato
continuare a denigrarci e insistere nel confronto con le altre nazioni proponendo modelli
culturali che non sono adeguati al nostro sistema culturale , alla nostra storia e alle nostre
tradizioni. E perché questa nostra Italia continuiamo a chiamarla paese, nazione e ci siamo
dimenticati della parola PATRIA?
Sono felice di essere veneta e di appartenere a questo popolo così laborioso, attivo,
simpatico. Amo Verona, città dell‘amore . Viaggio spesso e di piazze ne ho viste molte ma
mi sembra che Piazza Brà sia sempre la più bella. Amo le tradizioni venete e veronesi e
amo la cucina della mia terra.
Sono Minerbese amo il mio paese e non andrei ad abitare in nessun altro paese.
146
La sua idea sui 150 anni dell’unità d’Italia: utile celebrarla? Secondo lei cosa
caratterizza maggiormente l’italianità, l’essere italiani,…
Certamente è giusto celebrare l‘Unità d‘Italia . Riconosco che siamo un popolo un po‘
vario nelle tradizioni, usi e costumi ma l‘esperienza europea mi ha insegnato che la
diversità ti fa crescere . ― Unità nella diversità‖ è il motto europeo ma sarebbe utile che
diventasse il motto di tutti gli Stati. Che cosa caratterizza gli italiani ? Molte volte ho posto
questa domanda ai miei amici tedeschi. La risposta è: Italiani = Spaghetti, pizza e
mandolino ma ci ammirano perché siamo un popolo sorridente, perché il nostro
umorismo è intelligente perché siamo creativi e pieni di fantasia e i nostri stilisti sono fra i
più famosi e perché la nostra cucina è la migliore del mondo. Ma purtroppo dell‘Italia
conoscono anche la mafia e la camorra .
Il Sindaco Tullio Ferrari tra le presidenti dei due Comitati gemellaggio
La sua idea sui ragazzi, sui giovani d’oggi sia come persona che come soggetto
impegnato nel sociale
Sui ragazzi io‖ penso positivo‖ come dice una canzone di Jovanotti . Certo la cronaca ci
mostra anche tanta negatività : droga, sballo, delinquenza , violenza ma in questi casi io
mi faccio sempre una domanda : ― Che cosa ho fatto perché questo non avvenga?‖ Sono
convinta che molte colpe sono anche di noi adulti., di noi genitori. Non abbiamo permesso
loro di crescere forti perché abbiamo dato e diamo troppo. Io conosco tantissimi ragazzi
impegnati nel sociale . Quanti ne vedo nei pellegrinaggi a Lourdes con il treno bianco che
si mettono a disposizione come barellieri!
Quanti fanno i volontari nei centri per
portatori di handicap! Quanti ne vedo impegnati nelle Associazioni a difesa dell‘ambiente
! … e molti altri. Ma sappiamo bene che fa più rumore un albero che cade che una foresta
che cresce.
Le idee e i valori che l’hanno guidata ad impegnarsi nel volontariato, nella
protezione civile, nel gemellaggio,..
A questa domanda ho già risposto precedentemente
E’ stato difficile farlo. Le è riuscito di farlo come voleva o ci sono state sono state
incomprensioni? E di che tipo? Ha incontrato difficoltà? Quali?
Quando credi in quello che fai tutte le difficoltà si superano. Il lavoro di gruppo e di
squadra ti porta a confrontarti con idee diverse. Anche i caratteri diversi delle persone
possono dare origine a delle incomprensioni ma l‘ambiente del volontariato ti aiuta a
superarle facilmente . La formazione invece è la parte più difficoltosa. La partecipazione ai
corsi di addestramento , a convegni ecc. a volte è pesante.
147
Una persona, ed in particolare una donna, su quali aspetti deve maggiormente
impegnarsi per promuovere la comunità e il territorio?
Secondo me non c‘è una grande distinzione tra uomo e donna perché penso sia dovere di
tutti impegnarsi socialmente. La donna penso sia più sensibile alle problematiche
riguardanti la famiglia, la violenza sulle donne e sui minori.
Per il progresso e la crescita (culturale, sociale,..) di Minerbe: quali azioni sente di
aver maggiormente realizzato? Di quale risultato si sente maggiormente fiera?
Quale obiettivo si rammarica di non aver completamente raggiunto? Si è riferita a
modelli e ad esempi importanti o ha interpretato un suo ruolo personale?
Per 28 anni sono stata catechista in Parrocchia quindi ho dato il mio piccolo contributo per
la formazione religiosa di molti ragazzi, ho avviato e continuo a sostenere lo sviluppo
della cultura di Protezione Civile , ho fatto conoscere a circa 40 famiglie di Minerbe
l‘importanza e il ―gusto‖ di essere cittadini europei .. mi ritengo soddisfatta ma ancora
disponibile ad impegnarmi per dare ancora il meglio di me. Non mi sono ispirata a nessun
modello ho sempre interpretato me stessa nella speranza di essere un valido testimone di
solidarietà.
I risultati della Protezione civile sono più il frutto di una squadra o vi contano
anche le persone ed i loro singoli atti/azioni? Di quanti e quali interventi si è resa
protagonista la Protezione civile di Minerbe? Di quali va maggiormente orgogliosa
e quali sono stati gli interventi più significativi?
Ho detto in una risposta precedente che un volontario di Protezione Civile non è e non
può essere ― un eroe solitario‖ perché agisce sempre come squadra quindi anche i risultati
vengono raggiunti come squadra o come nucleo. Gli interventi che hanno impegnato la
nostra squadra sono stati molti.
Dal 1994 in poi siamo stati impegnati in tutte le emergenze nazionali dall‘alluvione in
Piemonte nel 1994, all‘ alluvione in Versilia 1996, terremoto Marche-Umbria 1997,
emergenze piena dei fiumi Adige e Po nel 2000 e 2002 fino ad arrivare al terremoto
dell‘Aquila.
Alcuni volontari della nostra squadra sono stati impegnati anche in Albania durante la
guerra del Kosovo, in Armenia, nel terremoto in Algeria e attualmente siamo disponibili
per l‘accoglienza dei profughi del Nord Africa .
Il gemellaggio ha cambiato idee e prospettive culturali nel paese e nella
cittadinanza? Secondo lei come è sentita l’Europa? E’ sufficientemente vicina o
ancora lontana?
E cosa potremo fare per diffonderne lo spirito (soprattutto in questi giorni in cui
risulta essere in crisi anche la semplice circolazione delle persone)?
Il gemellaggio certamente ha cambiato ,o meglio, ha sviluppato un po‘ le nostre
prospettive culturali e sociali. I tedeschi sono molto più attenti di noi alla crescita
culturale, sportiva e alla difesa ambientale. Le grandi città come i piccoli paesi hanno
grandi centri sportivi dove si praticano sport diversi , i teatri sono sempre affollati ,
numerose sono le scuole di Musica , di danza ecc. . In ogni famiglia c‘è qualcuno che
suona uno strumento musicale o che canta in un coro. Pochissimi trascorrono le serate
davanti alla televisione. Tutto questo certamente ci ha fatto pensare e riflettere sulla
insufficienza delle strutture disponibili a Minerbe e sul nostro scarso interesse per il teatro
e il cinema e la cultura in genere.
Purtroppo l‘esperienza del gemellaggio da sola non è sufficiente per sviluppare a pieno il
senso della cittadinanza europea.
148
Quest‘anno abbiamo trovato nella vostra Scuola un eccellente ― compagno di viaggio ― .
Contiamo molto su voi ragazzi perché come ho avuto modo di dire in altre occasioni, voi
ragazzi siete i nostri più validi collaboratori.
Cosa potete fare? Cogliere tutte le occasioni possibili per allargare le vostre conoscenze
sull‘Europa intesa non solo come riferimento geografico ma in tutti i suoi aspetti.
Purtroppo la televisione e la carta stampata ci presentano solamente l‘Europa delle leggi ,
delle grandi manovre economiche e finanziarie, l‘Europa dei politici e delle grandi
discussioni .
L‘Europa non è solo questo; c‘è un‘altra parte e forse la più importante : i cittadini
europei che hanno voglia di conoscersi, di integrarsi , di divertirsi insieme , di scoprire
territori , tradizioni , usi e costumi. E‘ bella un‘espressione dei nostri amici tedeschi:
―costruire insieme la nostra casa Europa‖.
Partecipate alla nostra Festa del gemellaggio in Settembre, osservateci e comprenderete
molto di più !
La Protezione civile ed il Comitato per il Gemellaggio cosa rappresentano per la
comunità e per e per l’Amministrazione comunale. Secondo lei è sufficientemente
conosciuta ed apprezzata, è un orgoglio per il paese e per i cittadini, rappresenta un
valore aggiunto, una presenza fondamentale; è considerata piuttosto una spesa, un
impegno rilevante, oppure una collaborazione interistituzionale di fondamentale
importanza per il paese,...
La sicurezza dei cittadini è certamente una cosa a cui guarda con attenzione
l‘Amministrazione Comunale. Il Sindaco è Autorità comunale di Protezione Civile e
quindi primo responsabile della sicurezza dei cittadini. Il Comune di Minerbe si è dotato
di un Piano di Protezione Civile . Sono stati
analizzati tutti i rischi a cui è esposto il
territorio comunale e si sono perfezionate
metodologie di intervento adeguate.
C‘è un squadra di Volontari di Protezione
Civile in continuo addestramento per
operare al meglio in situazioni critiche e
dotata di mezzi ed attrezzature adeguate per
molte tipologie di intervento. C‘è anche un
sostegno
economico
da
parte
dell‘Amministrazione Comunale compatibile
con il Bilancio .
Dopo ogni nostro intervento l‘Amministrazione Comunale non ha mai mancato di
esprime tutta la stima e ammirazione per il nostro lavoro e anche i nostri amici di
Schwabenheim più volte ci hanno espresso il loro apprezzamento. In occasione del
terremoto dell‘Aquila ci hanno inviato anche un contributo .
Il gemellaggio è un‘azione proposta dall‘Amministrazione Comunale e il patto di
gemellaggio è firmato dal Sindaco . Certo l‘Amministrazione Comunale ha molte cose più
importanti di cui occuparsi, ma in questi 10 anni ho trovato disponibilità e collaborazione
sufficienti per continuare e sviluppare questa esperienza.
Penso che il gemellaggio non sia considerato una cosa fondamentale ma sicuramente un
valore aggiunto. Una spesa rilevante penso proprio di no perché vengono sfruttate tutte le
opportunità di finanziamento messe a disposizione dalla Comunità Europea.
149
Ed ai giovani d’oggi quali “messaggi”, quali “orientamenti” si sente di dare
(impegno nella scuola, nel lavoro, cittadinanza attiva, impegno nel sociale, nel
volontariato, nell’associazionismo, senso etico, senso storico e conoscenza della
realtà locale,…
Come può continuare a crescere e progredire il comune di Minerbe? Quale
messaggio si sentirebbe di dare ai giovani che intendessero assumere responsabilità
civili e sociali?
Un‘unica risposta a queste due domande anzi un‘esortazione.
― Cari ragazzi la società di cui tanto parlate e a cui molte volte date molte colpe non è
composta solo dagli altri ma anche da voi. Quindi potrà essere migliore nella misura in
cui voi vi impegnerete a renderla migliore. Il volontariato in ogni sua forma è un modo per
essere cittadini attivi . Ci sono molte opportunità e una grande scelta di Associazioni .
Ognuno di voi troverà senza dubbio quella in cui dare il proprio contributo. Certo nessuno
verrà a suonare il campanello di casa per chiamarvi , voi dovete cercarvi il posto giusto .
Cogliete tutte le occasioni che la Scuola vi offre per mettervi fin d‘ora alla ricerca perché il
volontariato è vita e gioia. ― Nessuno è così povero da non aver niente dare o così ricco da
non aver bisogno di niente . Riceverai quello che tu stesso avrai donato. ― .. E se non hai
donato niente……..
Un‘altra cosa importante, siate ottimisti . I giovani spesso guardano solo il lato negativo
della vita ma , come dice Rino Gaetano, ― Il cielo è sempre più blu‖.‖
Volontari all‟opera
150
VERSO LA CONCLUSIONE
La celebrazione dei 150 anni dell‘unità nazionale da parte della scuola ha un grande
significato in quanto non serve solo a compiere un gesto per celebrare questo
avvenimento, ma torna anche utile per ricordare ed esaltare il percorso che ha portato
l‘Italia ad essere unita ed indipendente.
Dal 17 marzo 1861 ad oggi sono passati 150 anni: i primi cento, non molto entusiasmanti
per l‘Italia, ma sempre la nostra Italia. Gli ultimi cinquanta eccezionali invece.
Soprattutto su questi la Scuola ha il dovere di far riflettere i giovani.
I cambiamenti e le trasformazioni sono state epocali, molti di noi le hanno vissute in prima
persona, a loro le dobbiamo spiegare e far comprendere: democrazia, libertà, diritto allo
studio e al lavoro, affermazione personale, trasformazione dell‘agricoltura, sviluppo
dell‘industria, progresso economico, aumento demografico,..
Questo risultato è la sintesi di una coscienza che si è formata in questi 150 anni che ci dà
l‘appartenenza a un progetto comune e in cui l‘unità nazionale non può mai considerarsi
un processo concluso, ma di continua crescita collettiva.
Dobbiamo perciò stare attenti ai pericoli dell‘immobilismo e a non esaurire mai la
dialettica e il confronto in quanto strumenti più adatti a portarci a innovazione e
progresso.
L‘Italia infatti trova la sua forza proprio nel suo pluralismo, nelle sue specificità e nelle sue
autonomie, grazie alle quali è potuta crescere e diventare il Paese moderno, civile e
industriale che è oggi.
Ed infine i giovani. Sono il nostro futuro e rappresentano il domani della nostra nazione,
dell‘Italia. Nei loro confronti ci sono diverse responsabilità:
 del livello amministrativo-politico di questo paese in quanto non c‘è dubbio che
quello che questo comune è diventato ed è, il suo sviluppo passato e quello futuro,
deriva dalle scelte attuate e da attuare. All‘amministrazione di un paese competono
infatti precise responsabilità nell‘uso delle risorse e nella loro destinazione sulla
base di precise priorità che possono condizionarne sviluppo e progresso;
 della scuola che ha la responsabilità di orientare ed educare i giovani ai valori della
persona, ad amare l‘Italia, a conoscerne la storia e la cultura in tutte le sue
espressioni: la musica, l‘arte, la letteratura, la geografia. Solo così infatti la scuola
rappresentata da suoi insegnanti lavorerà per l‘Italia e la sua unità. Quando mai
una persona nella sua vita riuscirà a conoscere tutta l‘Italia? Ma non per questo
dovrà mai venir meno lo sviluppo del sentimento dell‘italianità. Per questo è
importante sviluppare la cultura e la conoscenza dell‘Italia perché solo agendo in
tal senso si potrà assicurare questo risultato,
 ma anche i giovani stessi hanno una precisa responsabilità. Come i giovani
garibaldini e i giovani italiani di Mazzini, anche i giovani devono dare il loro
contributo affinché si crei un clima di rinascita. Le sfide poste dall‘attuale società
sono numerose e complesse. Superarle dipende anche dal loro studio e impegno
lavorativo e in questo modo non contribuiranno soltanto al progresso del paese,
ma ovunque andranno in ogni parte del mondo saranno orgogliosi di dire a tutti di
essere italiani.
151
PASSAGGIO DEL “TESTIMONE”
STUDENTI:
-Si dice spesso che leggiamo poco, che non studiamo abbastanza, che non siamo molto
impegnati, che usiamo un linguaggio a volte irrispettoso,.. ma in questo lavoro ci siamo
impegnati.
Abbiamo studiato fatti e situazioni storiche, ricercato informazioni e notizie su come era
Minerbe e cosa è diventato.
Abbiamo coinvolto persone, associazioni, fatto domande ed interviste,…
Lo abbiamo fatto volentieri per conoscere la storia e l‘evoluzione di questo paese che è ciò
che vive e continua dentro noi.
Quello che abbiamo prodotto, compresa la rappresentazione di sabato 4 giugno, non ha la
pretesa di essere una ricostruzione monografica, ma vuole essere un momento di
riflessione, un frammento di storia di Minerbe riletta da noi.
Perché anche noi, ai 150 anni d‘unità nazionale, abbiamo voluto dare il nostro contributo.
Guidati dagli insegnanti abbiamo parlato di sviluppo sociale ed economico del nostro
paese, dei fattori e delle situazioni che lo hanno favorito e reso possibile.
Un‘attività che ci ha fatto sentire più coinvolti e più consapevoli.
IL DIRIGENTE SCOLASTICO:
-Come hanno detto i ragazzi, questa sera la scuola ha voluto soprattutto rappresentare un
paese e una comunità viva che ha partecipato con entusiasmo al lavoro svolto
realizzandone una fotografia che non vuole semplicemente essere la storia dei 150 anni
d‘unità nazionale a Minerbe quanto piuttosto rappresentare l‘orgoglio e la fiducia di
vedere che tutti quelli che sono stati coinvolti hanno compreso e condiviso la riflessione
sul percorso compiuto: un percorso di sviluppo e di crescita continua.
Utile a questo proposito ricordare che il Presidente della Repubblica, con riferimento ai
150 anni d‘unità nazionale, non ha trascurato di mettere in luce il fatto che la sua
realizzazione è dovuta a tanti giovani che per questa unità hanno dato la loro vita.
Il Presidente ci ha donato anche un‘altra esigenza quella di educare i nostri giovani a tirar
fuori la parte migliore presente nelle loro esistenze, non sempre adeguatamente
valorizzate.
Ecco perché vorremo dedicare i 150 anni dell‘unità d‘Italia a loro, ai nostri giovani, ai
ragazzi e alle ragazze che stanno vivendo in prima persona le difficoltà di scelta,
progettuali e di vita, di questo tempo.
I 150 anni li vorremo dedicare a loro, ai giovani, perché saranno quelli chiamati a farla nei
prossimi anni.
Li vorremo però dedicare ai giovani ricordando loro il testamento particolare di Papa
Giovanni Paolo II di impegno coraggioso e militante: ―Voi difenderete la pace, pagando
anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete a un mondo in cui altri esseri
umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in
ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere
questa terra sempre più abitabile per tutti‖.
152
Classi prime, Scuola Primaria
Per fare festa una grande torta tricolore di polistirolo e carta, e una filastrocca.
153
INDICE
INTRODUZIONE …………..……………………………………………………………....pag. 1
LA SCUOLA ……………..………………………………………………………………….pag. 3
IL PAESE ………………………………………………………………………………...…..pag. 34
Minerbe attraverso le sue botteghe: classi terze, scuola primaria …………...…pag. 35
Dimore storiche: classi seconde, scuola primaria ...…………………………...…pag. 43
Gli uffici postali e la corrispondenza: classi quarte, scuola primaria……...…...pag. 45
Monete di ieri: classi seconde, scuola primaria ……………………………….…pag. 54
Famiglie a Minerbe: classi quinte, scuola primaria ………………………….….pag. 58
IL TERRITORIO ………….…………………………………………………………………pag. 64
Visita a Corte Le Comune: classi I B e C, secondaria………………….…………pag. 65
Visita ad Anson: classi II e III B, secondaria ……………………………….….….pag. 72
Corte Campeggio: classe II e III B, secondaria ………………………………..….pag. 74
Corte Colombaron: classe II e III B, secondaria …………………...………….….pag. 78
Pila Rebustini: classe II e III B, secondaria …………………………………….….pag. 79
IMPRENDITORIA AGRICOLA …………………………………………………………...pag. 83
IMPRENDITORIA ARTIGIANALE E INDUSTRIALE ……….…………………..…….pag. 92
IL COMUNE DI MINERBE, LA SUA STORIA, IL SUO GOVERNO……….…..…… pag. 106
La parola ad alcuni amministratori ……………………………………………...pag. 108
EMIGRAZIONE ED IMMIGRAZIONE ..………………………………..…………...….pag. 114
LA SECONDA GUERRA MONDIALE …………………………………………………pag. 120
PERSONE, ASSOCIAZIONI E ATTIVITA‘ CULTURALI …………………………….pag. 129
CONCLUSIONI …………………………………………………………………………..pag. 149
154