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2 2013 BABYLONIA 2 2013 Sprachenlernen in der Berufsbildung L’apprentissage des langues dans la formation professionnelle L’apprendimento delle lingue nella formazione professionale Emprender linguatgs en la scolaziun professiunala Fondazione Lingue e Culture Stiftung Sprachen und Kulturen Fondation Langues et Cultures Fundaziun Linguatgs e Culturas v rc hi I / A NFO on rchi lin ve e s/ A vi o Ar ch i Gli abbonati privati possono ora passare all'abbonamento online Les abonné-e-s privé-e-s peuvent passer à l'abonnement online Private AbonnentInnen können jetzt zum Online-Abonnement wechseln Individual subscribers can now switch to online-subscrition CHF 50.(invece di/statt/au lieu de/instead of 60.-/75.- CHF) L'archivio di Babylonia, che contiene tutti gli articoli pubblicati dal 1991, è stato organizzato in 23 aree tematiche. Potete accedervi facilmente dal nostro sito internet, passando attraverso l'area abbonati grazie al codice di accesso pubblicato sulla prima pagina del numero più recente. In questo modo potete consultare le 23 schede tematiche che contengono i titoli di tutti gli articoli e numeri di Babylonia in relazione con un tema. Poi scaricate i contributi che vi interessano in formato PDF. Les archives de Babylonia, contenant tous les articles publiés à partir de 1991, ont été organisées selon 23 domaines thématiques. Vous pouvez y accéder facilement sur notre site internet, en passant par l’espace réservé aux abonnés, grâce au code d’accès imprimé sur la page 1 du numéro le plus récent. Ainsi, vous pouvez consulter les 23 fiches thématiques contenant les titres de tous les articles et numéros de Babylonia en relation avec un thème, puis télécharger les contributions qui vous intéressent en format PDF. Babylonia hat das Archiv mit sämtlichen seit 1991 publizierten Artikeln nach 23 Themenbereichen geordnet. Online Zugang hat jede/r Interessierte dank dem Passwort, welches jeweils auf der ersten Seite der neusten Nummer veröffentlicht wird. Die 23 Übersichtsblätter enthalten alle Titel der erschienenen, mit einem Thema zusammenhängenden Beiträge und Ausgaben von Babylonia. Diese können im PDF-Format heruntergeladen werden. Sur la première page de chaque article, vous trouverez désormais l'indication du thème traité. Zu Beginn jedes Beitrags wird von nun an auf das behandelte Thema hingewiesen. Nuovo! Nouveau! Neu! Sulla prima pagina di ogni articolo troverete ormai l'indicazione del tema trattato. Plus d’articles sur ce thème: www.babylonia.ch > Archives thématiques > Fiche 13 Mehr Beiträge zu diesem Thema: www.babylonia.ch > Thematisches Archiv > Thema 15 Gute praktische Beispiele zur Verwendung des Archivs in der Ausbildung befinden sich auf der Babylonia-Homepage: www.babylonia.ch/1/thematisches-archiv Quelques exemples d'utilisation des archives sont disponibles sur le site de Babylonia: www.babylonia.ch/2/archives-thematiques Alcuni esempi di utilizzazione dell'archivio sono disponibili sul sito di Babyonia: www.babylonia.ch/archivio-tematico BABYLONIA Sprachenlernen in der Berufsbildung L’apprentissage des langues dans la formation professionnelle L’apprendimento delle lingue nella formazione professionale Emprender linguatgs en la scolaziun professiunala Responsabili di redazione per il tema Gianni Ghisla & Georges Lüdi Con contributi di Tibor Bauder | Solothurn Luca Bausch | Lugano Bettina Bichsel | Bern Elena Boldrini | Lugano Damiano Cioldi | Trevano Giorgia Franzini | Bellinzona Gianni Ghisla | Lugano François Grin | Genève Adelheid Joller-Voss | Uster Kathrin Jonas Lambert | Zollikofen Stefano Losa | Genève Georges Lüdi | Basel Mary Miltschev | Zürich Patricia Pullin | Yverdon-les-Bains Kilian Schreiber | Bern Con un inserto didattico di Jeanne Pantet & Mireille Venturelli | Bellinzona Login www.babylonia.ch Username: [email protected] Password: formprof2_2013_flc Babylonia Quadrimestrale plurilingue edito dalla Fondazione Lingue e Culture cp 120, CH-6949 Comano ISSN 1420-0007 no 2/anno XXI/2013 L’opinione di… Gabriele Gendotti* Fondo nazionale svizzero: inglese, ma non solo… La ricerca si fonda sulla scienza e questa si produce attraverso la comunicazione. Non si può far finta di non vedere: oggi il mondo scientifico a livello operativo parla oramai quasi esclusivamente inglese. Siamo in presenza di un monolinguismo dominante, già a partire dai corsi di master universitari, che ha il grande pregio di facilitare la comunicazione della scienza a livello universale. Di questo inglese quale lingua franca della produzione e della comunicazione scientifica bisogna prenderne atto come di un dato di fatto di per sé positivo. Ma il FNS, finanziato sulla scorta di un mandato di prestazione con la Confederazione, non vuole, e direi anche non può, trascurare la sua comunicazione anche attraverso le lingue nazionali. Anzitutto nei rapporti istituzionali con la politica o all’interno dei suoi organi e della sua amministrazione. Ad esempio nel Consiglio di fondazione, con 22 membri che rappresentano le scuole universitarie, le organizzazioni e le accademie scientifiche di tutto il Paese, ognuno parla la propria lingua e pertanto le discussioni si fanno prevalentemente in tedesco e in francese con solo qualche sporadica comparsa della lingua inglese. Proprio per scongiurare i pericoli, o comunque gli svantaggi, di una monocultura scientifica con il rischio di omologazione di un pensiero unico, è importante che il FNS resti anche una palestra di plurilinguismo. Un gruppo di lavoro del FNS composto da esperti è stato incaricato di preparare un mandato di studio sulle pratiche linguistiche nell’ambito della valutazione dei progetti di ricerca al cospetto della diversità delle lingue. Questo mandato si prefigge di valutare “les effets de la coprésence de plusieurs langues au FNS et à saisir dans quelle mesure cette coprésence peut être exploitée comme une ressource à des fins d’amélioration non sulement des pratiques scientifiques mais également des pratiques d’évaluation de la science”. In altre parole si vogliono analizzare, sulla scorta di una valutazione scientifica, le procedure attuate dal FNS nell’ambito dell’utilizzo delle lingue e proporre, se ritenuti necessari, dei correttivi. Non si tratta di mettere in contrapposizione un monolinguismo scientifico con pratiche fondate sul plurilinguismo, quanto di capire come queste possono continuare ad essere complementari e ancora attuali nel processo di valutazione dei vari progetti di ricerca. I risultati di questo studio saranno pertanto molto importanti per individuare le pratiche migliori e più efficienti nell’ambito della comunicazione anche quale processo di pubblicazione e di divulgazione dei risultati della ricerca scientifica a livello nazionale e internazionale. *Già Consigliere di Stato del Canton Ticino (2000-2011), ora presidente del Consiglio di Fondazione del Fondo nazionale svizzero per la ricerca. 2 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Sommario Inhalt Sommaire Cuntegn 4 Tema 6 Editoriale Sprachenlernen in der Berufsbildung L’apprentissage des langues dans la formation professionnelle L’apprendimento delle lingue nella formazione professionale Emprender linguatgs en la scolaziun professiunala Introduzione | Einleitung Gianni Ghisla & Georges Lüdi 10 Englisch als lingua franca und/oder Mehrsprachigkeit? Georges Lüdi 17 Les besoins des entreprises en compétences linguistiques François Grin 23 Mobilität und Sprachen: Eine Patentlösung gibt es nicht Bettina Bichsel 26 Fremdsprachenlandschaft Berufliche Grundbildung: eine Übersicht und ein Beispiel Gianni Ghisla 29 32 Die Berufsbildung Post öffnet Türen Kilian Schreiber From curriculum to classroom: designing and delivering courses in workplace communication Patricia Pullin 37 Berufsbildung: Mehrwert durch Austausch Tibor Bauder 42 Das Interview: P.G. und T.L., zwei moderne Lehrlinge auf Wanderschaft 44 Il plurilinguismo nel calcio come lavoro. Quando fare l’allenatore significa code-switching Stefano A. Losa 48 Situationsdidaktik im Fremdsprachenunterricht. Ein Plädoyer für eine integrierte Sicht von Wissen, Können und Reflexion Gianni Ghisla, Luca Bausch & Elena Boldrini 57 Sprachlich bedeutsame Situationen im Beruf Damiano Cioldi & Giorgia Franzini 59 Zweisprachiger Unterricht an Berufsfachschulen? Aber sicher! Mary Miltschev 64 Fachunterricht in der Fremdsprache: Das Beispiel der neuen Grundbildung Koch/Köchin EFZ Kathrin Jonas Lambert 69 Didaktik des bilingualen Fachunterrichts in der beruflichen Grundbildung Adelheid Joller-Voss 73 Quand la leçon doit être multilingue: essayer de transformer un problème en chance Luca Bausch Il Racconto 78 Finestra I 80 Finestra II 87 Gaudium Leta Semadeni Valorizzare tutte le lingue nella scuola Vincenzo Todisco Internationalisation, Mobility and Integration at Higher Education Institutions Stephan Meyer, Petra Gekeler, Daniela Urank Bloc Notes 92 98 103 104 L'angolo delle recensioni Informazioni Agenda Programma, autori, impressum 3 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Editorial Editoriale La formazione viene considerata il bene maggiore del nostro Paese. E della nostra formazione non c’è da lamentarsi, è in buona salute, così come lo è la nostra economia. Di conseguenza godiamo, a confronto con i molti paesi vicini e lontani subissati dalle crisi, di un benessere notevole. Questa è però una diagnosi dal valore relativo perché i vantaggi possono decadere velocemente, magari a seguito dell’insorgere di illusioni o presunzioni. Ecco perché ha ragione chi ammonisce la necessità di cambiamenti e riforme, onde evitare al nostro Paese brutte sorprese, derivanti dai mutamenti epocali in atto. Se ciò vale ad esempio per la socialità, non è da meno per la formazione, vincolata com’è a compiti e responsabilità intergenerazionali. La domanda da porsi è quindi la seguente: che cosa devono imparare i giovani di oggi per la società di domani? Con quali contenuti devono confrontarsi, di quali saperi e di quali capacità devono dotarsi, per poter assumere un ruolo attivo, da protagonisti, in una realtà mutevole? Certo, sarebbe troppo bello poter anticipare le esigenze dei prossimi decenni, eppure uno sforzo in questa direzione è inevitabile. Ed è proprio ciò che compete alle riforme dei programmi scolastici, da qualche anno in atto nel nostro Paese, sullo sfondo di quanto richiesto dalla CF, art. 62, ossia la creazione di una spazio formativo elvetico. Con il Plan d’études romand (PER), già in fase di implementazione, la Romandia ha anticipato i tempi, mentre il Ticino sta lavorando al proprio nuovo Piano di studio. La Svizzera tedesca dal canto suo ha appena mandato in consultazione il Lehrplan 21, espressione del lavoro congiunto dei cantoni interessati (cfr. www.lehrplan21.ch). Se le innovazioni scolastiche richiedono un’elevata attenzione critica, ciò vale ancor più per le riforme dei programmi. I programmi sono infatti lo strumento di pilotaggio della scuola par excellence e perciò particolarmente vulnerabili, ad esempio nei confronti di interessi particolari di qualsiasi provenienza che cercano di imporre alla scuola visioni e contenuti, oppure nei confronti dei moderni missionari capaci di vedere il futuro solo con gli occhiali della tecnologia, ma anche nei confronti della classe dei pedagogisti e del suo linguaggio autoreferenziale. Ad ogni buon conto, sugli aspetti del Lehrplan 21 relativi alle lingue e alle culture avremo modo ancora di tornare criticamente in uno dei prossimi numeri. Infatti, l’edizione attuale è dedicata all’apprendimento delle lingue nel mondo del lavoro e nella formazione professionale. Gli ultimi anni hanno visto crescere il riconoscimento dell’importanza del capitale umano e di conseguenza anche di una buona formazione professionale dei giovani. Di una tale formazione fanno parte anche competenze comunicative ben sviluppate sia linguisticamente sia culturalmente, e le questioni che derivano vengono affrontate nei diversi contributi da tre punti di vista: quello del mondo del lavoro, quello politico e quello della didattica. Auguriamo ai lettori momenti di riflessione stimolanti. (ggh) 4 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Bildung gilt als das wichtigste Gut unseres Landes. Und in Sachen Bildung geht es der Schweiz gut, was auch auf unsere Wirtschaft zutrifft. So dürfen wir uns, verglichen mit dem von Krisen besonders hart getroffenen Ausland, eines bemerkenswerten Wohlstandes erfreuen. Nur, diese Diagnose ist zeitabhängig und hat relativen Wert, sodass sich die erfreuliche Lage schnell ändern oder aber zu Illusionen und Überheblichkeiten Anlass geben kann. Deshalb haben jene Recht, die für unser Land Reformen und Anpassungen verlangen, denn sonst könnten uns die epochalen Umbrüche böse Überraschungen bescheren. Dies gilt etwa für den Bereich der Sozialwerke, insbesondere aber auch für die Bildung, die eine wichtige generationsübergreifende Aufgabe darstellt. So lautet die Frage:Was müssen die Jugendlichen von heute für die Gesellschaft von morgen lernen? Mit welchen Inhalten müssen sie sich auseinandersetzen, mit welchem Wissen und mit welchen Fähigkeiten müssen sie ausgerüstet werden, um in einer sich rasant ändernden Wirklichkeit das Leben aktiv mitgestalten zu können? Natürlich wäre es zu schön, wenn man die Anforderungen der nächsten Jahrzehnte vorhersehen könnte. Und dennoch kommt man um einen Effort in diese Richtung nicht herum. Genau darum geht es bei den Lehrplanreformen, die vor dem Hintergrund des in der BV, Art. 62, verankerten Auftrags nach Schaffung eines nationalen Bildungsraumes zur Zeit schweizweit anstehen. Die Romandie hat schon vorgelegt mit dem Plan d’études romand (PER), der sich in der Einführungsphase befindet. Das Tessin arbeitet zur Zeit am neuen Piano di studio, während der Lehrplan 21, das Gemeinschaftswerk der Kantone der deutschen Schweiz, soeben in die Vernehmlassung geschickt wurde (vgl. www. lehrplan21.ch). Wenn bei Bildungsreformen generell kritische Aufmerksamkeit vonnöten ist, gilt dies speziell für die Erneuerung von Lehrplänen, dem Steuerungsinstrument der Schule par excellence, das Bildung und Schule besonders exponiert: Etwa gegenüber denVertreterInnen von partikularen Interessen aller Couleurs, die der Schule ihre Vorstellungen und Inhalte aufbürden wollen, oder den modernen Missionaren, die die Zukunft nur mit der technologischen Brille zu sehen vermögen, aber auch den heutigen Pädagogen und ihrem selbstbezogenen Jargon. Deshalb wird Babylonia auf die fremdsprach- und kulturspezifischen Aspekte des Lehrplan 21 in einer nächsten Nummer noch kritisch zurückkommen. Die vorliegende Ausgabe ist dem Sprachenlernen in der Arbeitswelt und in der Berufsbildung gewidmet. In den letzten wirtschaftlich besonders krisenanfälligen Jahren ist die Bedeutung des Humankapitals und damit einer guten beruflichen Ausbildung der jungen Generationen allen bewusst geworden. Und zu einer solchen Bildung gehört auch die Aneignung von sprachlich und kulturell fundierten Kompetenzen. Die damit verbundenen Fragen werden in den verschiedenen Beiträgen aus drei Perspektiven angegangen: Jene der Arbeitswelt, jene der Politik und jene der Didaktik. Wir wünschen eine anregende Lektüre. (ggh) La formation est considérée comme le bien le plus précieux de notre Pays. Il n’y a en effet pas à se plaindre de notre formation: elle est en bonne santé tout comme notre économie. Par conséquent nous jouissons, comparés aux pays avoisinants ou plus lointains touchés par les crises, d’un bien-être certain. La valeur de ce diagnostique est toutefois relative: il faut bien peu de temps pour que les avantages chutent, balayés par des illusions ou des présomptions.Voilà qui donne raison à qui insiste sur la nécessité de changements et de réformes pour éviter à notre Pays de mauvaises surprises, dues aux mutations que vit notre époque. Ceci vaut pour la socialité et tout autant pour la formation limitée par ses devoirs et responsabilités intergénérationnels. La question qui se pose est donc: que doivent apprendre les jeunes d’aujourd’hui pour la société de demain? À quels contenus doivent-ils se mesurer, de quels savoirs et de quelles capacités doivent-ils se doter pour pouvoir jouer un rôle actif et être protagonistes dans une société changeante? Il serait certes trop beau de pouvoir anticiper les exigences des prochaines décennies, mais cela n’empêche qu’il faille faire un effort en ce sens. C’est justement le rôle, depuis quelques années dans notre Pays, des réformes des programmes scolaires qui, sur la base de ce qui est demandé par la CF, art.62, visent à la création d’un espace de formation helvétique. Avec le Plan d’études romand (PER), dont la mise en œuvre a déjà commencé, la Romandie est en avance alors que le Tessin travaille à son nouveau Piano di studio. La Suisse alémanique vient, de son côté, de mettre en consultation le Lehrplan 21, expression du travail commun des cantons concernés (cf. www.lehrplan21.ch). Si les innovations dans le domaine scolaire demandent une attention critique élevée, cela est encore plus vrai pour les réformes des programmes. Ceux-ci sont en effet l’instrument de pilotage par excellence de l’école et sont donc particulièrement vulnérables, par rapport, par exemple, aux intérêts particuliers de toute provenance, qui cherchent à imposer à l’école des visions et des contenus, ou par rapport aux missionnaires modernes qui voient le futur uniquement à travers la lunette de la technologie, mais aussi – et surtout – par rapport à la classe des pédagogues et de son langage autoréférentiel. Quant aux aspects du Lehrplan 21 relatifs aux langues et aux cultures, Babylonia aura l’occasion d’y revenir de manière critique dans un des prochains numéros. La présente édition, quant à elle, est dédiée à l’apprentissage des langues dans le monde du travail et dans la formation professionnelle des jeunes. Ces dernières années, on a vu croitre la reconnaissance de l’importance du capital humain et, par conséquent, aussi de la bonne formation professionnelle des jeunes, formation dont font partie aussi des compétences communicatives bien développées tant au niveau linguistique que culturel. Ainsi, les questions qui découlent de ces exigences sont abordées dans différents articles sous trois angles: celui du monde du travail, celui politique et celui de la didactique. Nous souhaitons aux lectrices et aux lecteurs des moments de réflexion stimulants. (ggh) La scolaziun vegn considerada sco il pli aut bain da noss pajais. E da nos sitem da scolaziun na stuain nus propi betg ans lamentar, el è bain en chomma gist uschiè bain sco nossa economia. Perquai giudain nus, auter che en ils pajais vischinants spossads da la cirsa, ina pulita bainstanza. Quai dentant è ina diagnosa da valur fitg relativa, pertge ils avantatgs pon spert sa pulverisar, magari er en consequenza da la naschentscha da diversas illusiuns e presumziuns. Gist perquai han gist quels raschun che admoneschan la necessitad da midadas e refurmas, per evitar nauschas surpresas per noss pajais che provegnan da midadas epocalas che sa manifesteschan actualmain. Sche quai vala per exempel per la convivenza sociala, ha quai er repercussiuns per il sectur da la scolaziun ch’è colliada cun divers pensums e responsabladads tranter las generaziuns. La dumonda che nus stuain ans tschentar è damai la sequenta:Tge duian ils giuvens emprender da l’oz per la societad da damaun? Cun tge cuntegns duain els sa confruntar, cun tge savida e tge capacitads ston els sa proveder per pudair surprender ina rolla activa sco protagonists en ina realitad che sa mida ad in midar? Segir, i fiss memia bel da pudair prevair las pretensiuns dal proxims decennis, ma in tschert sforz en questa na sa lascha betg evitar. Ed igl è propi quai che cumpeta a las refurmas da programs e plans d’insctrucziun che sa manifesteschan ils davos onns en noss pajais, saja quai a basa da las pretensiuns da vart da la Constituziun federala art. 62, u la creaziun d’in spazi da scolaziun naziunal. Quai po succeder cun il Plan d’études romand (PER), che sa chatta gia en la fasa d’implementaziun, entant ch’il Tessin lavura anc vi da ses Piano di studio. La Svizra tudestga e rumantscha da sia vart ha tramess en consultaziun il Lehrplan 21, che furma l’expressiun da la lavur cuminaivla dals chantuns interessads (cfr. www.lehrplan21.ch). Sche las innovaziun scolasticas pretendan ina pli gronda attenziun critica, vala quai anc bler dapli per las refurmas dals programs da scolaziun. Tals programs èn numnadamain ils instruments per excellenza per diriger la scola e gist perquai èn els spezialmain vulnerabels, p. ex. envers ils interess particulars da diversas varts che emprovan d‘imponer a la scola lur visiuns e cuntegns, ni envers ils missiunaris moderns, abels da prevair il futur mo cun ils egliers da la tecnologia, ma er envers la classa dals pedagogs e ses linguatg autoreferenzial. En mintga cas avain nus anc chaschun d‘ans deditgar criticamain al Lehrplan 21 en connex cun ils linguatgs e las culturas en in dals proxims numers. Propi, l’ediziun actuala è deditgà a l’emprender linguatgs en il mund da la lavur ed en la scolaziun professiunala. Ils davos onns han ins pudì observar che la renconuschientscha da l’impurtanza dal chapital uman e d’ina buna scolaziun professiunala dals giuvenils è creschida. D’ina tala scolaziun fan er part las cumpetenzas communicativas bain sviluppadas tant a livel linguistic sco cultural. Las dumondas che pertutgan quest sectur vegnan tractadas da trais puncts da vista: quel dal mund da la alvur, quel da la politica e quel da la didactica. Nus giavischain als lecturs stimulants muments da reflexiun. (ggh) 5 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Tema Sprachenlernen in der Berufsbildung L’apprentissage des langues dans la formation professionnelle L’apprendimento delle lingue nella formazione professionale Emprender linguatgs en la scolaziun professiunala Einleitung | Introduzione Sprachenlernen zwichen Arbeit, Politik und Didaktik: Eine Einführung L’apprendimento delle lingue tra lavoro, politica e didattica: un’introduzione Die Perspektive der Arbeitswelt Il punto di vista del mondo del lavoro “Les données récoltées (…) sur les langues dans l’activité économique en Suisse nous montrent que l’utilisation des langues étrangères ainsi que les exigences en termes de compétences linguistiques au sein de l’activité professionnelle sont très différenciées… (…) D’une façon générale, (dans le monde du travail) les compétences linguistiques étrangères sont plus souvent utilisées qu’elles ne sont exigées.” “Les données récoltées (…) sur les langues dans l’activité économique en Suisse nous montrent que l’utilisation des langues étrangères ainsi que les exigences en termes de compétences linguistiques au sein de l’activité professionnelle sont très différenciées… (…) D’une façon générale, (dans le monde du travail) les compétences linguistiques étrangères sont plus souvent utilisées qu’elles ne sont exigées.” Das Zitat aus dem Beitrag von François Grin zu den Sprachbedürfnissen der schweizerischen Unternehmungen spricht zwei Themen an, die für die Einordnung der Beiträge dieser thematischen Nummer zum Sprachenlernen in Arbeitswelt und Berufsbildung bedeutend sind. Zunächst geht es generell um die Bedeutung und die Rolle der Sprachen in den Unternehmungen unseres Landes. Grin weist diesbezüglich auf sehr grosse Unterschiede nach Wirtschaftssektoren, nach der Reichweite der Aktivitäten (national oder international), aber auch nach dem Unternehmensstandort (Sprachregion, Nähe zur Grenze, usw.) hin. Dieses vielschichtige Bild ist allerdings, namentlich nach 2000 und wegen der Neugestaltung der Eidgenössischen Volkszählungen, erst spärlich mit empirischen Forschungsdaten abgesichert. Zweitens stellt Grin eine Kluft zwischen Vorstellungen und Wirklichkeit fest. In der Tat zeichne sich die Arbeitswelt in Wirklichkeit durch einen viel häufigeren Gebrauch von Fremdsprachen aus als gemeinhin angenommen werde und insbesondere als die bei der Einstellung von Personal verlangten Kompetenzen vermuten liessen. Diese Aussage wird durch die von Georges Lüdi angeführten Forschungsresultate bestätigt, wobei es nicht nur um die Häufigkeit des Fremdsprachengebrauchs, sondern auch um die grosse Vielfalt der eingesetzten Sprachen geht. So sei „die Dominanz von Englisch an Schweizer Arbeitsplätzen mehr ein Cliché als ein Abbild des tatsächlichen Sprachgebrauchs.“ Mögen die empirischen Daten auch etwas unscharf sein, so kann als gesichert gelten, dass Sprachkompetenzen und Sprachbildung in der Wirtschaftswelt auf ein so grosses Interesse stossen, wie dies möglicherweise noch nie zuvor der Fall war. Dies nicht nur, weil die Berufsbildung und genereller das Humankapital zu einem strategisch entscheidenden Faktor für die Unternehmensführung geworden sind, mit unmittelbaren Auswirkungen auf den Markerfolg. Die erhöhte Krisenanfälligkeit auch der Schweizer Wirtschaft hat, gepaart mit der Globalisierung der Absatzmärkte (grosse Bedeutung des Exports) und des Arbeitsmarktes (starke La citazione dall’articolo di François Grin sui bisogni linguistici delle aziende svizzere tocca due tematiche importanti per l’inquadramento dei contributi di questo numero dedicato all’apprendimento delle lingue nel mondo del lavoro e nella formazione professionale. Anzitutto discutiamo in generale del ruolo delle lingue nelle aziende del nostro paese. Come rileva Grin, la realtà specifica e le pratiche linguistiche variano molto a seconda del settore economico, del livello di attività (nazionale o internazionale), ma anche del luogo di attività (regione linguistica, vicinanza alla frontiera, ecc.). Occorre tuttavia far notare una certa fragilità dei dati empirici soprattutto recenti, verificatasi a seguito della nuova impostazione del censimento popolare nel 2000. In secondo luogo, Grin constata una spaccatura tra rappresentazioni e realtà. Di fatto il mondo del lavoro si contraddistingue per un uso molto più diffuso delle lingue straniere di quanto si ritenga comunemente e di quanto i criteri di assunzione delle aziende possano lasciar presumere. Questa costatazione viene confermata dai risultati della ricerca presentati da Georges Lüdi, dai quali si evince come non si tratti solo della frequenza dell’uso, ma anche dell’elevata diversità delle lingue utilizzate. Il “presunto dominio dell’inglese sul posto di lavoro in Svizzera – così Lüdi – si rivela essere più un cliché che non una verosimile rappresentazione dell’effettivo uso delle lingue”. A dispetto dell’opacità dei dati empirici, le competenze e la formazione linguistica incontrano un notevole interesse nel mondo economico, come probabilmente non è mai stato il caso finora. E questo non solo perché la formazione professionale e, più in generale, il capitale umano sono diventati un fattore strategicamente decisivo per il successo delle aziende. In questo periodo di forte crisi, anche l’aumentata vulnerabilità dell’economia svizzera, combinata con la globalizzazione dei mercati (accresciuta importanza dell’esportazione) e, specificamente, del mercato del lavoro (immigrazione crescente a tutti i livelli dell’economia), mette le aziende di fronte a sfide comunicative molto impegnative. Il bisogno di competenze linguistiche che ne deriva è 6 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Immigration auf allen Ebenen der Wirtschaft), zu anspruchsvollen und immer differenzierteren kommunikativen Herausforderungen geführt. Daraus entsteht ein dringendes Bedürfnis nach Sprachkompetenzen. Aber welche Sprachen soll man gebrauchen bzw. unterrichten und lernen? Im Beitrag von Georges Lüdi ist die Frage wegleitend, ob man auf Englisch als lingua franca setzen oder sich vielmehr an der Mehrsprachigkeit orientieren soll. Allerdings macht es vielleicht wenig Sinn, die zwei Optionen gegeneinander auszuspielen. Wenn man davon ausgeht, dass sowohl Englisch wie auch die Landessprachen (und andere Sprachen) wichtig sind, gilt es, nach Szenarien zu suchen, welche es erlauben, die unterschiedlichen auf dem Spiel stehenden Interessen zu berücksichtigen. Dabei is zu bedenken, dass die Wirtschaft mit Vorliebe ihre eigenen Interessen verfolgt, sich nach den Gesetzen der „ökonomischen Rationalität“, d.h. der Effizienz, der Kostenreduktion und der Gewinnmaximierung richtet, und sich weniger für andere Werte und Prinzipien begeistern lässt. Es macht den Anschein, dass in diesem ökonomischen Spiel Englisch als lingua franca über die besten Karten und d.h. den höchsten Marktwert verfügt. Wie die Daten zum Fremdsprachenunterricht in der Berufsbildung zeigen, ist zur Zeit die Berufsbildung auf dem besten Wege, dieser Tendenz zu folgen, obwohl die Realität der Sprachverwendung in den Unternehmungen viel komplexer sein dürfte. Auch sprachökonomische Forschungsergebnisse, nicht zuletzt aus dem Team von François Grin, die aber in der Öffentlichkeit ungenügend wahrgenommen werden, belegen den Mehr- bzw. Zusatzwert der Mehrsprachigkeit. Die Perspektive der Politik Damit richtet sich der Fokus auf die Politik, genauer auf die Berufsbildungspolitik als Steuerungsinstanz für die beruflichen Bildung. In diese zweite wichtige Perspektive führt der Beitrag von Bettina Bichsel zum Thema Mobilität und Sprachen aus der Sicht des Staatssekretariats für Bildung, Forschung und Innovation (SBFI) ein. Die Berufsbildungspolitik habe, so die Autorin, die Mobilität klar zu einem evidente. Ma quali lingue dobbiamo utilizzare, insegnare e imparare? Nel contributo di G. Lüdi è questo l’interrogativo guida, e più precisamente l’autore si confronta con l’alternativa, se puntare sull’inglese come lingua franca oppure giocare la carta del plurilinguismo. Sottolinea però anche che forse non ha molto senso contrapporre le due opzioni, per cui, se si parte dal presupposto che sono importanti sia l’inglese sia le lingue nazionali (e altre lingue), sarebbe meglio cercare scenari favorevoli alla conciliazione dei diversi interessi in gioco. Non si può comunque sottacere che l’economia persegue di preferenza i propri interessi, si orienta secondo le leggi della “razionalità economica, ossia efficienza, minimizzazione dei costi e massimizzazione dei guadagni, e non si entusiasma certo per altri valori e principi. Sull’arena economica è perciò l’inglese come lingua franca ad avere le migliori carte da giocare e il miglior valore di mercato I dati relativi all’insegnamento delle lingue straniere mostrano come la formazione professionale si stia decisamente muovendo in questa direzione. E questo nonostante la realtà nell’uso delle lingue nelle aziende non lasci spazio ad una tale semplificazione, smentita anche dagli esiti della ricerca in economia delle lingue – come quella realizzata dal team di François Grin, purtroppo poco noti al pubblico – che documentano il valore aggiunto del plurilinguismo. Il punto di vista della politica Concentriamo così la nostra attenzione sulla politica e più precisamente sulla politica della formazione professionale, quale istanza di pilotaggio della scuola professionale. A questo importante punto di vista ci introduce il contributo di Bettina Bichsel sul tema del rapporto tra mobilità e lingue così come viene affrontato dal Segretariato di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI). L’autrice ci spiega che la politica della formazione professionale ha fatto della mobilità un importante obiettivo strategico, da raggiungere con misure che, salvaguardando il principio di volontarietà, permettano di incrementare gli scambi linguistici, gli stage professionali, ecc. e favoriscano l’insegnamento delle lingue straniere nelle scuole professionali. Sappiamo che la mobilità è sostanzialmente una categoria economica. Ed è comprensibile che la politica Cours d'anglais pour travailleuses hispanophones. 7 Babylonia 02/13 | babylonia.ch wichtigen strategischen Ziel erklärt. Dabei gehe es aus bildungspolitischer Sicht um Massnahmen, die – bei gleichzeitiger Wahrung des Freiwilligkeitsprinzips – der Steigerung von „Aktivitäten wie Sprachaustausche, Berufspraktika, etc.“ dienen sowie zur Förderung des „Fremdsprachenunterrichts an den Berufsfachschulen“ beitragen können. Mobilität ist, wir wissen es, im wesentlichen eine ökonomische Kategorie; und es ist durchaus einsichtig, dass die Berufsbildungspolitik im Sinne der Optimierung der Arbeitsmarktfähigkeit eine wirtschaftlich relevante Zielsetzung als strategische Steuerungsvorgabe festlegt. Es lässt sich aber immerhin fragen, ob andere, der Wirtschaft übergeordnete und staatsrelevante Werte im Bereich der sprachlichen und kulturellen Vielfalt zumindest eine ähnliche Aufmerksamkeit erhalten sollten. Immerhin stellt sich die ch-Stiftung, als eine wichtige interkantonale Agentur zur Förderung von Austauschprojekten und Praktika, der Herausforderung einer Mobilität, die einen Mehrwert ausdrücklich auch in der menschlichen und kulturellen Bereicherung sucht, und dies durchaus auch im Auftrag der öffentlichen Hand. In der Tat sei der Nutzen von Austauscherfahrungen, meint Tibor Bauder in seinem Artikel, in einer umfassenden menschlichen Bereicherung zu suchen. Allerdings müssten die Berufsbildungsverantwortlichen davon überzeugt werden, was keineswegs auf der Hand liege. Jedenfalls zeigt die Datenlage, dass Austausch- und Praktikumserfahrungen in der Schweiz noch weitgehend zu den Ausnahmeerscheinungen gehören, obwohl die Voraussetzungen zumindest von den kultur- und sprachregionalen Bedingungen her optimal wären. Ein Beispiel dafür ist in der Region Basel das sprachgrenzüberschreitende EUREGIO-Zertifikat (vgl. die Erfahrungsberichte zweier beteiligter Lehrlinge). Damit die angestrebte Kultur der Erfahrungsvielfalt, wie sie dank der Tradition der Wanderlehrlinge im genetischen Code der schweizerischen Berufsbildung eingeprägt war, wieder aufblühen kann, braucht es einen tiefgreifenden Wandel, der sich an positiven Beispielen wie z.B. bei der Berufsbildung der Post orientieren kann (vgl. den Beitrag von Kilian Schreiber), aber auch einer überzeugten und überzeugenden Unterstützung durch den Schulunterricht bedarf. Die Perspektive der Didaktik So eröffnet sich die dritte wichtige Perspektive, jene der Berufsbildung und der Didaktik. Ein 8 Babylonia 02/13 | babylonia.ch della formazione professionale assuma un obiettivo strategico di valenza economica per ottimizzare la capacità di accedere al mercato del lavoro dei giovani. Ci pare tuttavia legittimo chiedere se altri valori e obiettivi di particolare rilevanza per lo Stato, segnatamente nell’area della varietà linguistica e culturale, non meritino almeno un’attenzione analoga.Va quantomeno segnalato che la fondazione ch, una delle più importanti agenzie intercantonali che opera su mandato dello Stato nel campo degli scambi e degli stage, ha raccolto la sfida di una mobilità il cui valore aggiunto sia da ricercare esplicitamente anche nell’arricchimento personale e culturale. Nel suo contributo, Tibor Bauder sottolinea come l’utilità delle esperienza di scambio consista proprio nell’arricchimento umano. Di questo valore dovrebbero però essere coscienti i responsabili della formazione professionale, cosa tutt’altro che scontata. In effetti il quadro statistico attuale mostra come le esperienze di stage e di scambio siano ancora delle eccezioni, nonostante il nostro Paese disponga di presupposti pressoché ottimali, almeno dal punto di vista delle opportunità offerte dalle regioni linguistiche. La Regione Basilea che ha introdotto il certificato transfrontaliero EUREGIO (cfr. le interviste con due apprendisti) ne è un esempio. In ogni modo, affinché l’idea di una cultura della diversificazione delle esperienze possa avere la possibilità di risorgere dalla tradizione degli artigiani medievali formatisi nelle botteghe di tutta Europa, tradizione che ha lasciato le sue tracce nel codice genetico della formazione professionale svizzera, occorre una profonda trasformazione che si potrebbe ispirare ad esempi positivi come quello della Posta (cfr. il contributo di Kilian Schreiber), ma che necessiterebbe anche di un supporto convinto e convincente da parte dell’insegnamento scolastico. Il punto di vista della didattica Si apre così l’ultima prospettiva, quella della formazione e della didattica. Uno sguardo alla situazione della formazione professionale di base (cfr. il contributo di Gianni Ghisla) mostra che solo una minoranza delle professioni (tra il 20% e il 30%) prevede nella propria ordinanza e nel piano di formazione una lingua straniera come materia obbligatoria. L’inglese (e l’inglese tecnico) la fa poi più o meno da padrone, in quanto solo poche professioni danno la preferenza ad una lingua nazionale, confermando, come già evocato, il trend verso l’inglese. Sul piano didattico sta assumendo un ruolo di importanza e di successo crescente il cosiddetto insegnamento bilingue, e ciò grazie anche agli sforzi fatti nel Canton Zurigo, come si può evincere dagli articoli di M. Miltschev e di A. Joller-Voss. In questa direzione vanno anche diversi altri progetti, ad esempio nella formazione dei cuochi (K. Jonas Lambert) o nelle cosiddette microprofessioni (L. Bausch). L’approccio si basa sull’insegnamento di una materia in una lingua straniera e si contraddistingue, tra l’altro, per due aspetti: da un lato risponde ad un’esigenza di efficienza e di riduzione dei costi, quindi ad un criterio Blick auf die Landschaft der beruflichen Grundbildung zeigt (vgl. Beitrag von G. Ghisla), dass nur eine Minderheit der Berufe (zwischen 20% und 30%) gemäss Bildungsverordnung und Bildungsplan eine Fremdsprache als Pflichtfach vorsieht. Dabei hat Englisch (bzw. Fachenglisch) ziemlich deutlich die Überhand und nur wenige Berufe geben einer zweiten Landessprache den Vorzug, sodass, wie bereits angedeutet, ein Trend zum Englischen deutlich wird. Auf der Ebene der Unterrichtsgestaltung spielt der sogenannte zweisprachige Unterricht eine zunehmend wichtige und erfolgreiche Rolle, dies u.a. dank den im Kanton Zürich unternommenen Anstrengungen, wie den Beiträgen von M. Miltschev und von A. Joller-Voss entnommen werden kann. In eine ähnliche Richtung des Angebots von Fachunterricht in der Fremdsprache weisen auch Projekte z.B. bei den Köchen/Köchinnen (K. Jonas Lambert) oder bei Kleinstberufen (L. Bausch). Zweisprachiger Fachunterricht zeichnet sich u.a. durch zwei Charakteristika aus: Er entspricht einem Gebot der Effizienz und der Kostenreduktion, also einem ökonomischen Kriterium, und drängt gleichsam die kulturelle Dimension der Sprache weitgehend in den Hintergrund. Die Fremdsprache –in den meisten Fällen Englisch – gerät fast ausschliesslich zu einem technischen Kommunikationsmittel und ist nicht mehr Ausdruck einer Lebensweise und von kulturellen Werten. Freilich ist die Berufsbildung eine breitgefächerte und differenzierte Welt, die entsprechend vielfältige Möglichkeiten offen liesse. Auf der didaktischen Ebene gilt es deshalb Konzepte zu entwickeln, die den Fremdsprachen – unter Wahrung der notwendigen Handlungsorientierung – die Ausnützung ihres kommunikativen und kulturellen Potentials ermöglichen. In diese Richtung weist der Beitrag von G. Ghisla, L. Bausch und E. Boldrini, welcher die Grundlagen einer Situationsdidaktik aufzeigt. Eine solche, mit Beispielen erläuterten Konzeption der Didaktik (u.a. auch im didaktischen Beitrag dieser Nummer illustriert), bietet den Lehrkräften die Möglichkeit, instrumentelles, beruflich relevantes Wissen und Können mit sprachlich-kulturellen Inhalten zu verbinden. Plurilanguaging als Horizont? „Es gibt Stimmen, wonach Mehrsprachigkeit im Allgemeinen und plurilanguaging im speziellen Werkzeuge zur Bekämpfung von ‚Englisch only’ seien. Trotzdem möchten wir von einer Dichotomie‚ Englisch’ vs. ‚Mehrsprachigkeit’ Abstand nehmen“. economico, e dall’altro lato mette sostanzialmente in ombra gli aspetti culturali della lingua. La lingua straniera – prevalentemente si tratta dell’inglese – diventa quasi esclusivamente un mezzo di comunicazione tecnico e non è più espressione di un modo di vivere e di valori culturali. Resta il fatto che la formazione professionale è un mondo ampio e differenziato che lascia aperte molte possibilità. Sul piano didattico è perciò essenziale sviluppare concetti e approcci che permettano all’insegnamento di sfruttare il grande potenziale delle lingue, tanto quello comunicativo quanto quello culturale. È questo, tra l’altro, l’obiettivo della didattica per situazioni, un approccio innovativo presentato nel contributo di G. Ghisla, L. Bausch e E. Boldrini e illustrato anche nell’inserto didattico con cui si vogliono mettere gli insegnanti nelle condizioni di offrire un insegnamento che lasci spazio tanto ai saperi e alle capacità strumentali quanto ai contenuti culturali. Plurilanguaging quale orizzonte? „Es gibt Stimmen, wonach Mehrsprachigkeit im Allgemeinen und plurilanguaging im speziellen Werkzeuge zur Bekämpfung von ‚Englisch only’ seien.Trotzdem möchten wir von einer Dichotomie ‚englisch’ vs. ‚Mehrsprachigkeit’ Abstand nehmen“. In den Worten von G. Lüdi wird die Herausforderung deutlich: Zum einen geht es darum, realistisch den Trend zum Englischunterricht bzw. zur Einlösung von vornehmlich ökonomisch bedingten Bedürfnissen zu berücksichtigen, zum anderen gilt es, die Bedeutung der Mehrsprachigkeit und der damit verbundenen kulturellen Werte in der Berufsbildung konkret wahrzunehmen und mit Massnahmen, u.a. auf der didaktischen Ebene, umzusetzen. Die Quadratur des Kreises? Vielleicht. Freilich ist die Aussicht durchaus realistisch, dass die Verantwortlichen mit der Zeit die sprachliche Vielfalt, welche sich im Arbeitsalltag als plurilanguaging manifestiert (vgl. auch den Beitrag von S. Losa), als Potential und als Aufwertung des Humankapitals zu entdecken beginnen. Dalle parole di G. Lüdi appare nitidamente la sfida: da un lato si tratta di considerare in maniera realistica la tendenza verso l’inglese e la soddisfazione di bisogni a carattere prevalentemente economico, dall’altro lato occorre salvaguardare l’importanza del plurilinguismo e dei valori di cui è foriero anche nella formazione professionale, possibilmente in modo concreto e con misure didattiche. La quadratura del cerchio? Forse. Ma resta una prospettiva tutto sommato realistica e cioè che i responsabili nel mondo del lavoro riconoscano nella varietà linguistica, che nella quotidianità si manifesta come plurilanguaging (cfr. anche il contributo di S. Losa), un potenziale e una reale valorizzazione del capitale umano. Gianni Ghisla & Georges Lüdi Gianni Ghisla & Georges Lüdi 9 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Tema Englisch als lingua franca und/oder Mehrsprachigkeit? Georges Lüdi | Basel La peur du mélange de langues est répandue. Pourtant, si tous les élèves doivent apprendre des langues étrangères, il est réaliste – et suffisant – de viser, comme objectif minimal de l’école, une compétence d’usage approximative. Celle-ci comprendra des stratégies de communication translinguistiques et donc le mélange. L’anglais lingua franca en est un bon exemple, caractérisé comme il est par un usage flexible et des formes hybrides. Or, dans un contexte de diversité linguistique, il est moins dominant que certains ne pensent et se partage la scène avec d’autres formes d’exploitation de ressources plurilingues, notamment le parler plurilingue ou plurilanguaging. On l’observe souvent dans des équipes mixtes, particulièrement créatives non pas malgré, mais grâce à leur plurilinguisme. Ce dernier ne se conçoit pas, ici, comme addition de plusieurs unilinguismes, mais comme une multicompétence intégrée. Elle nous permettra de répondre de manière optimale et dynamique au défi du monde contemporain. Plus d’articles sur ce thème: www.babylonia.ch > Archives thématiques > Fiche 15 I need Nuggi, sagte kürzlich unser 2 1/2-jähriger, in den USA zweisprachig Englisch-Schwyzertütsch aufwachsender Enkelsohn. Seine lustigen Sprachkreationen lassen in der Familie keine Bedenken aufkommen, er könnte in Zukunft seine Sprachen nicht trennen, sondern werden als normaler Ausdruck seiner beginnenden Zweisprachigkeit empfunden. Freilich wird Sprachmischung - namentlich bei älteren Sprechern - im Lichte puristischer Sprachvorstellungen oft immer noch als bedrohlich für die Integrität einer Sprache, für die Kohäsion einer Sprachgemeinschaft oder gar für den Charakter einer Person betrachtet. Im Lichte der schulischen Fremdsprachenpolitik wirft dies eine Reihe von Fragen auf: 1. Wie perfekt müssen die schulisch erworbenen Fremdsprachen gesprochen werden? 2. Wie sollen die Lehrpersonen mit Sprachmischungen zwischen Erstsprache und Fremdsprachen, aber auch und besonders unter Fremdsprachen umgehen? 10 Babylonia 02/13 | babylonia.ch 3. Wäre es angesichts des globalen Trends in Richtung Englisch als lingua franca nicht vernünftiger, sich an Stelle einer Diversifizierung (approximative Kenntnisse in mehreren Fremdsprachen) auf Englisch zu konzentrieren und diese Sprache besser zu lernen? 4. Wie steht es mit der Verwendung von Englisch und/oder mehrsprachigen Repertoires im (beruflichen) Alltag? 5. Welche Konsequenzen ergeben sich aus empirischen Untersuchungen über den Sprachgebrauch für unsere Sprachvorstellungen? Gebrauchskompetenzen als Lernziel Antworten auf die erste Frage bieten die Lehrpläne, welche am Schluss der obligatorischen Schulzeit realistischerweise als Minimalziel bloss Gebrauchskompetenzen anstreben, mit Schwergewicht auf der Mündlichkeit, was natürlich keineswegs weder viel bessere Kompetenzen noch (inter-)kulturelle Inhalte ausschliesst. Die Minimalziele entsprechen durchaus auch den durchschnittlichen Bedürfnissen im Anschluss an die Schulzeit, namentlich in der Arbeitswelt von gewerblichen Mitarbeitenden, wie sie in den Lehrplänen für Auszubildende im Raum Basel berufsspezifisch definiert werden, z. B. für Polymechaniker (Stundendotation 120 Lektionen): „Einfache englische Fachtexte und Gebrauchstexte verstehen. Ziel: Lesen und Interpretation von Handbüchern, Fachzeitungen, Fachberichten, Internet, englischen Betriebsanleitungen: Schwergewicht auf Lesen und sinngemäss verstehen. Kurze mündl. Aussagen und Anweisungen verstehen und selbst formulieren“. Dass Letzteres häufig in Form von gemischten Äusserungen stattfindet, wird noch zu thematisieren sein. Wie normal und nützlich - oder wie gefährlich - ist das Mischen von Sprachen? Dass Sprachmischung auch im Klassenzimmer geschieht, wissen Lehrpersonen zu gut. Drei Aspekte gilt es dabei zu unterscheiden: (a) sprachübergreifende Kommunikationsstrategien erlauben die Verständigung in der Fremdsprache auch über die Grenzen der aktuellen Sprachkompetenzen hinaus, namentlich im lexikalischen Bereich, indem Wörter aus anderen Sprachen eingeflochten werden; (b) zur Beschleunigung und Vertiefung des multiplen Fremdspracherwerbs werden Querbeziehungen und Brücken zwischen den Einzelsprachen konstruiert bzw. ausgenutzt; (c) gleichzeitig müssen die Lernenden immer mehr versuchen, diese Einzelsprachen auseinanderzuhalten. Sie beim Letzteren zu unterstützen ohne die kommunikations- und lerntechnischen Vorteile der ersten beiden Aspekte zu unterdrücken stellt eine der Herausforderungen des Fremdsprachenunterrichts dar. Gerade die aktuellen Diskussionen über die Bedeutung des Englischen in einer zunehmend globalisierten Wert sind von enorm vielen Clichés geprägt, was die Qualität der Kommunikation in dieser Sprache betrifft. In der Tat wird zu oft nicht genügend zwischen dem Englischen in einer seiner standardisierten Formen (British English, American English, etc.) und der als Verkehrssprache verwendeten lingua franca unterschieden. Zweifellos stellen (sehr) gute Kompetenzen in der Standardsprache - zu Recht! - das Idealziel jeglichen Fremdsprachenerwerbs dar. Dieses wird namentlich in Schulen mit weitergehenden Ansprüchen und in vielfältiger Weise nach der obligatorischen Schulzeit (z. B. mit Sprachaufenthalten) progressiv angestrebt. Dennoch verfügt die Mehrzahl der Sprecher, wie schon angedeutet, bloss über approximative Kenntnisse. Auch ELF (English as lingua franca) ist in aller Regel weit entfernt von „reiner“ Sprachverwendung: je nach Sprachniveau greifen die Sprecher - bewusst oder unbewusst - mehr oder weniger auf alle anderen als nutzbringend erachteten Sprachen zurück, wenn sie „Englisch“ reden. So sind sich die Spezialistinnen des Wiener Voice-Projekts über ELF des „gemischten” Charakters der Kommunikation in ELF sehr bewusst, wenn sie schreiben: „ELF (sc. English as lingua franca) is per definition a multilingual and multicultural situation and this fact is bound to affect the interaction and also the use of potential idioms“ (Pitzl, 2009: 315). „Hybrid forms and flexible usage is a characteristic of ELF which has been shown to be effective in multilingual communication.“ (Böhringer,Hülmbauer & Seidlhofer, 2010) Dies gilt natürlich für die in der exolingualen Kommunikation verwendeten Landessprachen ebenso. Englisch ist häufig, aber nicht so dominant wie angenommen Die Diskussion um die Zahl der Fremdsprachen in der Primarschule ist wieder aufgeflammt.Viele Schüler (und Lehrpersonen) seien überfordert. Auch sei die Qualität der resultierenden Sprachkompetenzen ungenügend, wie nicht zuletzt aufgrund von „gemischten“ Äusserungen argumentiert wird. Und überhaupt sei Englisch eh viel wichtiger als die Landessprachen, nicht nur in den Ferien, sondern auch und besonders bei der Arbeit. Wie sich ein Basler Lehrling ausdrückte, der Französisch in der Schule abwählte: Jo, mir g’fallt die Sproch eifach nid, Französisch. Und au die ganze aigus und so; und ich weiss nid, was ich mit dere Sproch söll. Mit Änglisch cha me do international au im Internet und so. Und Französisch chasch nie bruche. (P.G., Vgl. Das Interview in dieser Nummer, S. 42) Dennoch wäre es völlig verfehlt, mit dem Hinweis auf das häufige Verfehlen besserer Kompetenzen auf den obligatorischen Fremdsprachunterricht gerade da, wo die Landessprachen als zweite oder dritte Fremdsprache figurieren, ganz zu verzichten. Natürlich soll hier die Bedeutung von Englisch als internationale Verkehrssprache nicht klein geredet werden. Aber die Dominanz von Englisch an Schweizer Arbeitsplätzen ist mehr ein Cliché als ein Abbild des tatsächlichen Sprachgebrauchs, wie zahlreiche empirische Untersuchungen nachwiesen (vgl. schon Andres et al., 2005 und Lüdi,Werlen et al., 2005), selbst bei internationalen Unternehmen. Die Vorstellungen eines hohen Managers in der Pharmaindustrie, auch Einheimische würden an der Arbeit untereinander auf Englisch kommunizieren, werden häufig widerlegt und bewahrheiten sich in der Regel nur, wenn Anderssprachige dabei sind. So verwendet ein Mitglied des mittleren Kaders derselben Firma (obwohl er nur sehr schlecht Deutsch spricht) gemäss unseren Audioaufnahmen an zwei aufeinander folgenden Arbeitstagen zwar zu 68% Englisch, aber auch zu 23% Französisch und sogar zu 9% Deutsch. Seine Maximen: wenn jemand Französisch spricht, dann sprich Französisch; wenn jemand weder Französisch noch Englisch kann, sprich Deutsch; sonst sprich Englisch. Bei einem Schweizer Laborangestellten lautet das Verhältnis hingegen: 40% Schweizerdeutsch, 34% Standarddeutsch, 26% eine Mischung zwischen Schweizerdeutsch und Standarddeutsch und bloss 0,2% Englisch und sozusagen gar kein Französisch (0,01%). Dies hat natürlich zum Teil mit Sprachkompetenzen zu tun, aber nicht nur. Ein perfekt zweisprachiger Personalmanager in der Agroindustrie meinte dazu im Interview: Ich rede in meiner Sprache anders, freier, offener, selbstbewusster, sicherer. (…) Da gehen also wirklich viele Ideen eigentlich verloren, wenn man sich einfach für das Englische entscheidet in einer solchen Situation, weil dann nicht alle gleich, sich gleich wohl fühlen. (Maurice M.) 11 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Gesamtschweizerische Dienstleistungsunternehmen privilegieren in ihrer Sprachpolitik die Landessprachen und schliessen gar manchmal Englisch explizit aus: Mister Kull, the Chief Executive Officer, is absolutely rabid about this. (…) he has outlawed eh the use the English terms when speaking German, French, it‘s outlawed, and that‘s official (…) he really went very, very, very far in this, and we all had to change our job titles. (Wanda M.) Mehrsprachige Kommunikation im Kontext sprachlicher Vielfalt Diese Beobachtungen stellen, wie gesagt, den Wert von Englischkenntnissen in keiner Weise in Frage, unterstreichen aber die Bedeutung anderer Sprachen bei der Bewältigung der Herausforderungen des Arbeitsalltags. Der Anerkennung anderer Sprachverwendungsmuster stehen allerdings - auch in der Schweiz - oft auf das 18. und 19. Jahrhundert zurückgehende Vorstellungen im Wege, wonach Menschen unterschiedlicher Sprache in nebeneinander existierenden, weitgehend monoglossischen1 Sprachgebieten leben sollten, in welchen eine einzige Sprache gesprochen wird, notfalls aufgrund der Unterdrückung von Sprachminderheiten gemäss dem Prinzip: ein Territorium, ein Staat, eine Sprache. Diese Vorstellungen stellen auch heute noch die Grundlage für die meisten sprachpolitischen Massnahmen dar. Freilich hat die wachsende Mobilität von bedeutenden Teilen der Weltbevölkerung aus ökonomischen, politischen oder privaten Gründen in den post-modernen Gesellschaften zu einem nachhaltigen Wandel von monoglossischen zu polyglossischen oder zumindest heteroglossischen Gesellschaften mit namhaften „extraterritorialen” Sprachminderheiten geführt, die meisten davon geprägt von unterschiedlichen Formen von individueller Mehrsprachigkeit. In diesen von sprachlicher Vielfalt geprägten Kontexten sind sehr unterschiedliche Vorstellungen („Ideologien”) und Praxen der Kommunikation zu beobachten.Während die einen auf vielfältige Formen der Ausnutzung mehrsprachiger Ressourcen setzen, halten andere eisern an der Suche nach einsprachigen Lösungen für die Kommunikationsprobleme der Menschheit fest. Wir haben diese Phänomene innerhalb des Basler Moduls des DylanProjekts hauptsächlich am Beispiel „gemischter Teams“ am Arbeitsplatz untersucht2. Im Rahmen des sogenannten „Diversity management” streben Firmen eine Diversifizierung sowohl der Abnehmermärkte, als auch des Arbeitsmarkts und der Profile der Arbeitnehmer innerhalb der Firma an (Cornet & Warland, 2008). Immer häufiger werden gemischte Teams nicht nur einfach hingenommen, sondern direkt angestrebt samt der damit einhergehenden different points of view, cultural and country specific skills, an understanding of diverse customer groups, opportunities for employees to develop to their full potential [sowie der] availability and use of multiple knowledge domains (Köppel & Sandner, 2008: 11, 56). Die Argumente zugunsten gemischter Teams sind sehr zahlreich: (a) In gemischten Teams ist mehr Dynamik in der Wissenskonstruktion zu beobachten; (b) gemischte Teams sind effizienter und (c) gemischte Teams sind kreativer. Aber dies gilt nur, wenn innerhalb gemischter 12 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Teams optimal kommuniziert wird. Eine weitverbreitete Strategie des Topmanagements von Firmen ist es, to install a common corporate language and harmonize internal and external communications through general rules and policies, driven by the assumption that ‘one language fit all’ communication needs (Piekkari & Tietze, 2011: 267) sei dies nun die eigene Sprache des Unternehmens sein (z.B. Italienisch im Tessin), die Sprache der Hauptabnehmer (z.B. Spanisch für eine Firma, die ihren Geschäften zur Hauptsache in Lateinamerika nachgeht) oder aber, wie oben angedeutet, die internationale Verkehrssprache Englisch. Dies im Bestreben, die Kosten und Nebeneffekte der sprachlichen Vielfalt zu minimisieren. In der Praxis findet die Interaktion in gemischten Teams freilich in höchst vielfältiger Weise statt. Im Bestreben nach einem Ausgleich zwischen den zwei Grundprinzipien der „Progressivität“ (wo es darum geht, möglichst rasch voranzugehen, allenfalls auf Kosten von Missverständnissen oder Kommunikationspannen) und der „Intersubjektivität“ (wo Erklärungen, Rückfragen, Reformulierungen usw. zwar Zeit kosten, aber das Verständnis sicherstellen) (vgl. Mondada, 2012) werden verschiedene Verfahren gewählt, teils getrennt voneinander, teils gleichzeitig: r +FEFSTQSJDIUTFJOF4QSBDIFVOEWFSTUFIUKFOF der Gesprächspartner; r &OHMJTDI PEFS FJOF BOEFSF 4QSBDIF [ #TQ Deutsch in gewissen gesamtschweizerischen Betrieben) als lingua franca; r %PMNFUTDIFOEVSDI-BJFOJOEFS*OUFSBLUJPO oder durch Profis; r .FISTQSBDIJHF *OUFSBLUJPO PEFS plurilanguaging. Diese Verfahren schliessen sich gegenseitig nicht aus, werden häufig auch nicht ein für alle Male gewählt, sondern im Verlaufe der Interaktion in Funktion des Kontextes immer wieder neu ausgehandelt. Umfangreiche Sprachaufnahmen und Interviews mit Firmenangehörigen in verschiedensten hierarchischen Positionen im Rahmen unserer Untersuchungen erlauben es, die beobachteten Interaktionsverfahren schematisch in einem Koordinatensystem anzusiedeln, welches einerseits durch die Achse ‚endolingual‘ vs. ‚exolingual‘ gebildet wird (welche sich auf die mehr oder weniger weitgehende Kongruenz der sprachlichen Ressourcen der Teilnehmer bezieht, prototypisch: ‚endolingual‘ = unter Muttersprachlern, ‚exolingual‘ = unter Nicht-Muttersprachlern), andererseits durch die Achse ‚ein- sprachig‘ vs. mehrsprachig (welche sich auf die Anzahl der an der Interaktion beteiligten Sprachen bezieht).(vgl. Lüdi et al., im Druck) Dabei lässt sich empirisch nachweisen, dass in gemischtsprachigen Teams wegen und nicht trotz der Mehrsprachigkeit Prozesse ablaufen, in welchen die Verwendung mehrerer Sprachen vorteilhaft ist, und dies weit über die reine Verständnissicherung hinaus. Ein Forscherteam der Universität Lausanne hat an zahlreichen Beispielen nachgewiesen, dass die systematische Konfrontation von Begriffssystemen in zwei oder mehr Sprachen im Hochschulunterricht, etwa am Beispiel von Schweizer Bundesgerichtsentscheiden an einer juristischen Fakultät, über das reine Verstehen der Rechtsterminologie hinaus entscheidend zum Aufbau einer juristischen Kompetenz beiträgt (Gajo et al., im Druck); Untersuchungen zur Rechtssprechung in der Europäischen Union belegen ebenfalls die entscheidenden Vorteile des „multilingual and multicultural legal reasoning“ (Kjaer & Adama (eds.), 2010), gerade angesichts paralleler Versionen der Gesetzgebung in unterschiedlichen Sprachen. Entgegen allen Erwartungen sind mit den Begriffen ‚mélange‘, ‚Mischig‘, ‚Esperanto‘ oder gar ‚Kauderwelsch-Esperanto‘ keinerlei negative Konnotationen verbunden; das hochrangige Kadermitglied sieht darin sogar eine Voraussetzung für ‚kreative Prozesse‘! Diese positive Bewertung erinnert an extreme Beispiele exolingualmehrsprachiger Rede, wie wir sie zum Beispiel in einer Konsultation zwischen einem Basler Arzt und einer portugiesischen Patientin am Basler Universitätsspital auf Tonband aufgenommen haben: 1M so hat es doch noch geklappt 2P vous parlez français! 3M <französisch. > (°oder°) spanisch? 4 ((a l’air embarassée)) 5P espanisch. ja 6M sie kommen von portugal hab ich gehört ja. 7P 8M 9P ja. (tratamos) en con español. <eetabo.> 10 ((très vite; probablement portugais «está bem/bom»)) 11 M 12 ok. (..) bueno. (.) puede explicarme eh [tus problemas] síntomas. Das Plurilanguaging und seine Folgen für eine Theorie der Mehrsprachigkeit Gewöhnungsbedürftig ist in diesem Zusammenhang unter anderem auch die Beobachtung, dass in diesen Verwendungskontexten sprachliche Mischformen oder „mehrsprachige Rede“ nicht nur sehr häufig sind, sondern in aller Regel auch problemlos akzeptiert werden. 13 P donc ça c’est clair, les termes scientifiques et techniques, très souvent on les utilise en anglais, même en allemand, ça veut dire que même si je parle avec une technicienne qui parle très peu l’ anglais, elle aussi elle comprend, study protocol et tout ça c’est en anglais, c’est un mélange. Parfois c’est intéressant, mais je ne me rends pas compte quand je parle et parfois il y a un mélange linguistique. (Jamal H., Leiter einer Forschungsgruppe in der Pharmaindustrie) und mir hei jez beschlosse well’s zähjährig isch gsi mir düe d’Jury komplett uswächsle un ich ha jez z’erscht Mal es Meeting müesse leite mit dr komplett neue Jury zäh komplett neu Lütt oder se Mal zämme bringe de findet mene Sprach und eh isch e Mischig zwüsche Basel-Hochdütsch-Änglisch, oder s’isch igend üses Esperanto wo mr do gfunde hei un jez simmer d(r)a gsi und hei sächzäh Projäkt gha müesse entscheide welles. (…) ond hei de da i üsem Chuderwälsch-Esperanto das düre diskutiert (Leitender Angestellter, Pharmaindustrie) °portugal° [eh tengo ma!l]e. 14 a la cabeza? 15 M mmh 16 P eh duo-dolores y e (bri tisas)? 17 M mmh 18 P y me doile tambem moito la la spalda. 19 M la columna! due[le.] 20 P 21 [la ]columna me doi molto! y e: (..) e +<cui> un poco+ 22 ((pr. Ital.; touche sa gorge)) 23 M ähä a- +aquí+ 24 25 ((touche sa propre gorge))((il note tout ce qu’elle dit)) 26 P 27 sí. ho pensato que la gri!pe? +por qu+ la ot[ra ] settimana 28 ((prononciation portugaise)) 29 M 30 P 31 M 32 M [mmh] mine [(niña) (…) gr]ipe! y ahora] [ah? la niña?] (…) e tiene también dolores [en los a]rticulaciones. (.) 33 P 34 M [sim sim] desde quándo tie[ne?] 35 P [eh?] desde iere 36 M desde ayer. ah. 37 P anteontem (…) 13 Babylonia 02/13 | babylonia.ch In den ersten Redezügen (l. 1-8) werden die möglichen Ressourcen ausgebreitet und man einigt sich scheinbar auf Spanisch, aber die Bestätigung durch P geschieht auf Portugiesisch (l. 9). In den folgenden Redezügen spricht P gleichsam „Panromanisch“, eine Mischung von Portugiesisch, Spanisch und Italienisch. Lexikalische Unsicherheiten bleiben unbeachtet (bri tisas; iere ayer - anteontem), wo sie für die Diagnose nicht relevant erscheinen. Umgekehrt wird der Sinn da, wo es den Tellnehmern bedeutsam erscheint, über mehrere Redezüge hinweg, unter Einbezug deiktischer Gesten, ausgehandelt (spalda columna columna cui aquí). Man erinnert sich an Levy-Strauss, der von einem „Werkzeugkasten für Bastler“ sprach: La règle de son enjeu est de toujours s’arranger avec les “moyens du bord”. Ces derniers constituent un ensemble hétéroclite d’outils et de matériaux, résultat, non pas d’un projet particulier mais contingent de toutes les occasions à l’issue desquelles le stock a été renouvelé, enrichi ou entretenu avec les résidus de constructions et de destructions antérieures. (Lévy-Strauss, 1962: 27) Die Konsequenzen solcher Beobachtungen für die theoretische Erfassung der Mehrsprachigkeit sind bedeutsam. Es beginnt damit, dass die unterschiedlichen Sprachen im Repertoire eines Mehrsprachigen nicht künstlich voneinander getrennt werden; sie bilden „one connected system, rather than each language being a separate system“ (Cook, 2008). Die daraus resultierende Auffassung der Mehrsprachigkeit ist jene einer integrierten Kompetenz - Cook spricht von multicompetence -, wobei die einzelnen Teilkompetenzen mehr oder weniger ausgebildet sind, entsprechend der Konzeption der funktionellen Mehrsprachigkeit, wie sie der GER (2001) formuliert, die aber auch den Vorstellungen vieler Interviewpartner entspricht. Entsprechend wird die Multikompetenz oft, unter Vermeidung dieses stark konnotierten Begriffs, als mehrsprachige Repertoires oder als Menge verbaler und non-verbaler Ressourcen beschrieben (vgl. Lüdi & Py, 2009: 157). Nun bedeutet die Existenz mehrsprachiger Ressourcen keineswegs, dass diese nicht auch einsprachig - und mit einem sehr hohen Grad an Korrektheit - eingesetzt werden können. Grosjean hatte schon 1985 zwischen einem „einsprachigen“ und einem „zwei-/mehrsprachigen Modus“ unterschieden. In Situationen, welche die Fokussierung auf eine einzige Sprache erfordern, wird der mehrsprachige Sprecher jene Teile seines Repertoires, die nicht der aktuellen Sprachenwahl entsprechen, nach Möglichkeit ausblenden und sich ausschließlich jener lexikalischer, grammatikalischer und phonetischer, aber auch soziokulturellerWissensbestandteile bedienen, die denselben Index tragen. Hingegen sind im zwei- oder mehrsprachigen Modus Mischungen von Elementen aus unterschiedlichen Sprachen und Registern an der Tagesordnung - und erlaubt. Zahlreiche Forschungen haben gezeigt, dass mehrsprachige Rede formal und funktional geregelte Formen der Mobilisierung mehrsprachiger Ressourcen darstellt, keineswegs abartig, sondern im Gegenteil höchst identitätsträchtig. Pennycook formulierte daraus in einem Vortrag eine neuartige Forschungsfrage: „In what ways do people draw on language resources, features, elements, styles as they engage in translingual, polylingual, metrolingual language practices?“3. Umgekehrt kann man natürlich auch behaupten, dass die Multikompetenz das Resultat des rekurrenten Gebrauchs von vielfältigen Mustern von - ein- und mehrsprachiger - Rede darstellt, wie dies die Emergenz-Theorie für den (Fremd–)Spracherwerb im Allgemeinen postuliert4. Plurilanguaging, lingue franche, und Fremdspracherwerb Wie oben angedeutet können approximative Formen des Gebrauchs einer lingua franca als plurilanguaging gedeutet werden. In den letzten Jahren wurde immer wieder der hybride Charakter von ELF hervorgehoben, etwa von House (2003: 573f.), die sich auf Bakhtin und Bhabha beruft: Rather than measuring ELF talk against an English L1 norm, one might openly regard ELF as a hybrid language ± hybrid in the sense of Latin hibrida as anything derived from heterogeneous sources. (…) Here I would further differentiate between phenotypical hybridity, where the foreign admixture is manifest on the surface (transfer is isolable), and genotypical hybridity, where different mental lexica or, in a Whorfian way, different underlying `Weltanschauungen’ and conceptual sets, may be operative in ELF speakers.” Diese positive Sicht der ‚Fremdheit‘ im Gebrauch von ELF ist vergleichbar mit einer Konzeption der Lernersprache, welche beginnt, die Äußerungen in einer L2 nicht mehr ausschliesslich am Grad der Annäherung an die Grammatik Crieur public. 14 Babylonia 02/13 | babylonia.ch der Standardsprache zu messen. So betonte z. B. Larsen-Freeman am Summer Institute in Applied Linguistics (Penn State, June 22-July 3, 2009): Language is not fixed, but is rather a dynamic system. Language evolves and changes in the dynamics of language use between and among individuals. Entscheidend sei der Verwendungskontext: Embodied learners soft assemble their language resources interacting with a changing environment. As they do so, their language resources change. Learning is not the taking in of linguistic forms by learners, but the constant adaptation and enactment of languageusing patterns in the service of meaning-making in response to the affordances that emerge in a dynamic communicative situation. (Larsen-Freeman & Cameron, 2008) Entsprechend ist die systematische Variation in den Äusserungen von Nicht-Muttersprachlern (siehe schon Py, 1995) in erster Linie mit Kontextfaktoren korrelierbar. Wie die Sprache im Allgemeinen sind Lernersprachen - und eben auch die Tausenden von Varietäten von ELF - soziale Konstrukte. Grammatik wird als dynamisch verstanden (vgl. Fussnote 4), entsteht aus dem Gebrauch und geht diesem nicht - als langue oder E-Grammatik voraus. Sprache und Spracherwerb sind komplexe, dynamische, anpassungsfähige und nicht-lineare Phänomene (Ellis & Larsen-Freeman, 2006). So betrachtet, sind ELF und Lernersprachen - bis hin zu den oben zitierten Beispielen extremer exolingualer Kommunikation - wohl unterschiedliche Facetten desselben Grundphänomens: Mehrsprachige Menschen (und Verwender von ELF sind per definitionem mehrsprachig) setzen ihre sprachlichen Ressourcen situationsgerecht ein, auf einer Art von Kontinuum zwischen einem tendenziell einsprachigen und einem tendenziell mehrsprachigen Modus. Zwar soll Seneca gesagt haben: Non vitae, sed scholae discimus (wir lernen nicht für das Leben, sondern für die Schule); seine Argumentation ging na- Englisch allein erfüllt die sprachgemeinschaftsübergreifenden Kommunikationsbedürfnisse, gerade in der Schweiz, nur suboptimal und trägt zur Verarmung der Landessprachen bei. türlich in die Gegenrichtung. Wenn wir nun davon ausgehen, dass schulischer Fremdsprachenunterricht, Austauschaktivitäten usw. auf die Sprachbedürfnisse des - privaten und beruflichen - Alltags vorbereiten sollen, dann ist es mit den eingangs zitierten, nach Einzelsprachen geordneten Lernzielen natürlich nicht getan. Das Ziel stellen mehrsprachige Repertoires, stellt die Multikompetenz dar. Aber wir müssen uns nun keineswegs alle ständig des plurilanguaging befleissigen. Im Gegenteil. Wir werden weiterhin einzelne Sprachen erwerben und uns im Alltag in der Regel um einsprachige Rede bemühen. Trotzdem gilt es aber nicht aus den Augen zu verlieren, welche Vorteile in mehrsprachigen Ressourcen und in deren Einsatz in von sprachlicher Diversität geprägten Situationen liegen - und die werden in Zeiten von globalem Austausch und erhöhter Mobilität immer mehr die Regel. Sie sind, wenn wir den Spezialisten Glauben schenken können, der Schlüssel zu einer verbesserten Handhabe von Information, verändern unsere Wahrnehmung von Gegenständen und Prozessen, erlauben einen vertieften und präziseren Zugriff zu begrifflichen Netzwerken, beeinflussen Partizipationräume und die Organisation der Interaktion ebenso wie Formen des Aushandelns, die Manifestation von Führungsverhalten und Verfahren der Problemlösung und der Entscheidungsfindung (Compendium, 2009, Berthoud et al., 2012). Es gibt Stimmen, wonach Mehrsprachigkeit im Allgemeinen und plurilanguaging im speziellen Werkzeuge zur Bekämpfung der Nebenwirkungen von „English only“ seien. Trotzdem möchten wir ausdrücklich von einer Dichotomie „Englisch“ vs. „Mehrsprachigkeit“ Abstand nehmen. Zum einen, weil ELF, wie die Forschung schon festgestellt hat, in den meisten Fällen einer Form von Mischvarietät entspricht. Zum andern, weil ELF unter Sprechern mit extrem divergierenden Repertoires - z. B. zwischen jeweils mehrsprachigen Chinesen, Arabern und Schweizern - in der Tat häufig die einzige Lösung der kommunikativen Probleme darstellt. Aus diesem Grunde können gegen eine Ausweitung des Englischunterrichts auf alle Schülerinnen und Schüler auch keine Einwände gemacht werden. Allerdings können umgekehrt andere Formen der Kommunikation, z. B. „jeder spricht seine Sprache und versteht jene der anderen“, in vielen Situationen, namentlich innerhalb der Schweiz, viel effizienter sein. Voraussetzung ist, dass die Menschen darauf vorbereitet werden, und das heisst auch weitere Sprachen, insbesondere jene ihrer unmittelbaren Nachbarn, mit einer entsprechenden Methodik lernen. Bilanz Fassen wir die Antworten auf die eingangs gestellten Fragen kurz zusammen. Wie perfekt müssen die schulisch erworbenen Fremdsprachen gesprochen werden? So perfekt wie möglich. Wie sollen die Lehrpersonen mit Sprachmischungen zwischen Erstsprache und Fremdsprachen, aber auch und besonders unter Fremdsprachen umgehen? Mit Verständnis für deren kommunikative Vorteile und einer Methodik, welche es den Lernenden gleichzeitig erlaubt, alle erwerbsfördernden Sprachbrücken auszunutzen und die Sprachen trennen zu lernen. Wäre es angesichts des globalen Trends in Richtung Englisch als lingua franca nicht vernünftiger, sich an Stelle einer Diversifizierung (approximative Kenntnisse in mehreren Fremdsprachen) auf Englisch zu konzentrieren und diese Sprache besser zu lernen? Auf keinen Fall. Englisch allein erfüllt die sprachgemeinschaftsübergreifen15 Babylonia 02/13 | babylonia.ch den Kommunikationsbedürfnisse, gerade in der Schweiz, nur suboptimal und trägt zur Verarmung der Landessprachen bei. Wie steht es mit der Verwendung von Englisch und/oder mehrsprachigen Repertoires im (beruflichen) Alltag? Diese Kommunikationsformen sind komplementär und sollten nicht gegeneinander ausgespielt werden. Welche Konsequenzen ergeben sich aus empirischen Untersuchungen über den Sprachgebrauch für unsere Sprachvorstellungen? Mehrsprachigkeit ist weit mehr als eine blosse Addition von Kenntnissen in Einzelsprachen, sondern bedeutet eine sich ständig weiter entwickelnde, integrierte Multikompetenz, welche es uns erlaubt, den Herausforderungen der modernen Welt optimal und dynamisch zu begegnen. Fussnoten In einer monoglossischen Gesellschaft wird nur eine einzige Sprache gesprochen, in der di- bzw. polyglossischen werden aufgrund eines gemeinsamen zugrundeliegenden Sprachwertsystems die Varietäten funktional unterschieden, in einer heteroglossischen Gesellschaft fehlen geteilte Wertvorstellungen und Gebrauchsnormen. 2 Dylan war ein integriertes Projekt mit einer Laufzeit von fünf Jahren, das innerhalb des sechsten Rahmenprogramms der Europäischen Union gefördert wurde. Das Projekt vereinte 19 Forschungseinrichtungen aus 12 europäischen Ländern. Ziel des Projektes war es die Bedingungen zu identifizieren, unter denen die Sprachenvielfalt Europas einen Vorteil für die Entwicklung von Wissen und Ökonomie darstellt. Für Details cf. http:// www.dylan-project.org und Berthoud, Grin & Lüdi, 2012. 3 http://www.wesleycollege.net/Our-Community/Wesley-College-Institute/PublicEducation/Global-Language-Convention/ Presentations/~/media/Files/Wesley%20College%20Institute/Global%20Language%20 Convention/Alastair%20Pennycook.ashx 4 Wir berufen uns hier z. B. auf eine Theorie, wonach ‚Sprache‘ bzw. ‚Grammatik‘ sich aus 1 16 Babylonia 02/13 | babylonia.ch dem Sprachgebrauch heraus entwickelt, die sogenannte emergent grammar (Hopper, 1998; Larsen-Freeman & Cameron, 2008). Referenzen Andres, M. et al. (2005). Fremdsprachen in Schweizer Betrieben. Fachhochschule Nordwestschweiz Solothurn. Berthoud, A.-C., Grin, F. & Lüdi, G. (2012). The Dylan project booklet. Dylan project, main findings. Lausanne (http://www.dylan-project.org/Dylan_en/dissemination/final/ booklet/booklet.php) Böhringer, H., Hülmbauer, C. & Seidlhofer, B. (2010). Dylan working Paper 4 on ‚Creativity and Innovation’, RT 4.2. Compendium (2009). Study on the contribution of multilingualism to creativity. Compendium Part One: Multilingualism and creativity: Towards an evidence-base. Brussels: European Commission. http://eacea.ec.europa. eu/llp/studies/documents/study_on_the_ contribution_of_multilingualism_to_creativity/compendium_part_1_en.pdf Cook, V. (2008). Second Language Learning and Language Teaching. London: Arnold. Cornet, A. & Warland, P. (2008). La gestion de la diversité dans les entreprises et les organisations – manuel à destination des employeurs. Liège: Editions de l’ULg. Ellis, N. & Larsen-Freeman, D. (2006). Language emergence: Implications for Applied Linguistics - Introduction to the Special Issue, Applied Linguistics, 27/4, 558-589. Gajo, L. et al. (im Druck). Plurilingualisms and Knowledge Construction in Higher Education. In: A.-C. Berthoud, F. Grin, G. Lüdi (eds.): Exploring the Dynamics of Multilingualism. Amsterdam: John Benjamins. GER (2001). 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The paper then turns to the more or less “optimal” character of language practices, before presenting survey data indicating that on the Swiss labour market, companies appear to underestimate, or possibly to deliberately understate, the extent of their needs for foreign language skills. More articles on this topic: www.babylonia.ch > Thematic Archives > Topic 15 Les besoins des entreprises: un champ encore très mal connu Le débat permanent sur le plurilinguisme (individuel) et le multilinguisme (sociétal) fait fréquemment référence aux besoins des entreprises en matière de compétences linguistiques, et c’est tout particulièrement vrai en Suisse. Toutefois, ce débat souffre du fait qu’on connait étonnamment mal la réalité de ces besoins. En effet, les données font sérieusement défaut. Certes, il existe une quantité d’études de terrain sur l’utilisation des langues dans le contexte linguistiquement pluriel de telle ou telle entreprise. Ces études, qui fournissent une observation détaillée des pratiques linguistiques d’acteurs donnés dans des situations spécifiques, nous permettent d’enrichir notre vision des processus de communication. Cependant, elles ne suffisent pas à dire quels sont les besoins des entreprises en matière de compétences linguistiques. Il y a à cela trois principales raisons: r QSFNJÍSFNFOUFMMFTQSPQPTFOUFTTFOUJFMMFNFOU des approches qualitatives – bien entendu nécessaires, mais insuffisantes pour tirer, à partir des observations effectuées, des tendances générales; r EFVYJÍNFNFOU MB QPQVMBSJUÊ EBOT EF MBSHFT segments de la linguistique appliquée contemporaine, des études sur l’interaction orale, a conduit à porter une attention nettement moindre à l’écrit, alors que l’importance de l’écrit, loin de s’estomper avec le développement des nouvelles technologies de l’information et de la communication (TIC), n’a fait que se renforcer; r USPJTJÍNFNFOU MPCTFSWBUJPO EF UFMMFT PV telle(s) pratique(s) n’est en général pas mise en relation avec des questionnements économiques qui permettraient de faire le lien avec les «besoins» des entreprises. Ce troisième point mérite un commentaire plus approfondi. Car s’il subsiste un décalage notable entre les observations (qualitatives) des pratiques multilingues et la connaissance des besoins des entreprises, c’est parce que plusieurs phénomènes se liguent pour compliquer la chose. Ils ont trait au statut des faits observés, qui est plus ambigu qu’on pourrait le penser, et la section suivante de ce texte examine ce problème de plus près. La troisième et dernière section illustre cette difficulté en partant de données récoltées au cours de diverses études quantitatives réalisées en Suisse sur la base d’enquêtes auprès des employeurs ou des employés. L’ambiguité des faits observés Supposons qu’on observe, dans l’entreprise X, telle ou telle pratique langagière. Cela nous permet-il de conclure que cette pratique est le reflet d’un besoin? Non, et cela pour diverses raisons. Détaillons pour commencer un point strictement statistique déjà évoqué plus haut: ces observations, en tant qu’elles portent sur deux ou trois cas, ne permettent pas de dire que tel ou tel phénomène, qu’on observe dans l’entreprise X ou même dans deux ou trois entreprises (X,Y et Z), vaudra pour «les» entreprises. Il est parfaitement possible que cela soit vrai, mais il est également 17 Babylonia 02/13 | babylonia.ch possible que ce que l’on a observé constitue un cas particulier, voire unique. En outre, même si l’on a des raisons convaincantes (fussentelles de simple bon sens), de penser que ce que l’on a observé dans l’entreprise X est réellement le reflet de réalités largement répandues (ce qui permet, jusqu’à un certain point, d’évacuer le problème de la représentativité), il reste impossible de se prononcer sur l’ordre de grandeur des phénomènes observés (par exemple, la fréquence de l’alternance codique par les acteurs). Car parler d’ordre de grandeur suppose qu’on se réfère à une tendance, à une valeur centrale ou moyenne. Or le concept même de moyenne (la plus simple de toutes les statistiques) suppose un nombre minimal d’observations comparables et valides, que les statisticiens situent en général aux alentours de 30. Endessous de 30 observations, pas de tendance générale. Si, en outre, on n’a relevé aucune information sur les couts, le volume de production, la productivité, le chiffre d’affaires, la part de marché, le profit, ou quelque autre variable permettant de jauger la performance de l’entreprise au sens économique, il est clair qu’on ne pourra pas dire grand-chose sur les «besoins» des entreprises, car les besoins n’apparaissent qu’en fonction des objectifs. Même la «communication» n’est qu’un moyen mis en œuvre pour atteindre un objectif économique de rentabilité ou de profit. Cependant, il se pose également un important problème conceptuel. Ce problème ne concerne pas que les études qualitatives sans référence aux variables économiques; il concerne les études économiques elles-mêmes. Supposons donc qu’on dispose, sur les pratiques langagières en entreprise, d’observations représentatives en quantité suffisante. Supposons en outre – même si c’est rarement le cas – que ces observations ne portent pas que sur les pratiques langagières, mais aussi sur des variables économiques pouvant être mises en rapport avec ces pratiques langagières en vue d’en inférer des régularités qui présentent un sens économique. Par exemple, on peut vouloir tester l’existence et l’ordre de grandeur d’une éventuelle relation entre, d’une part, le degré de pratique, au sein de l’entreprise, d’une langue de communication unique et, d’autre part, l’évolution du nombre de brevets déposés par l’entreprise. Certes, on peut supposer que si telle pratique est observée, c’est parce qu’elle est profitable. Par conséquent, les compétences que le personnel ou la direction d’une entreprise mettent en œuvre dans telle ou telle pratique observée sont assimilables aux besoins des entreprises. Telle est du reste l’hypothèse que retiendrait quasi-automatiquement un économiste, en faisant le raisonnement suivant: du fait de la concurrence entre les différents producteurs, chacun a intérêt à adopter la technologie la plus performante possible et à appliquer la technique de production (c’est-àdire le dosage de différents facteurs) la plus coutefficace possible (et à l’échelle de l’entreprise, on pourra se permettre de parler «d’efficience», même si ce terme renvoie en principe à des conditions techniques plus complexes). Mais outre que ceci suppose une concurrence très aiguë ainsi qu’une vive sensibilité des producteurs à cette concurrence, cela suppose également que les entreprises ne pourraient pas faire mieux que ce qu’elles font (et que l’on observe). Pour le dire en termes plus techniques, on aurait fait ici l’hypothèse que les entreprises se situent sur la frontière efficiente, appelée également frontière d’efficience – ou du moins pas très loin de celle-ci – au sens du graphique ci-dessous. Fig. 1: La frontière d’efficience Bureau de télégraphie. 18 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Dans ce schéma, on a porté en abscisse les ressources engagées dans un processus productif (les inputs). Par simplification, on exprime respectivement les inputs et les outputs sur un axe unique, mais il est clair que les choses sont plus complexes. Ainsi, du côté des inputs, les ressources engagées sont très diverses (temps, argent, talent, compétences, etc.); cependant, l’impossibilité de représenter graphiquement des relations situées dans l’hyperespace conduit, pour les besoins de l’analyse (comme dans n’importe quel manuel d’économie, du reste), à les condenser en cette variable composite qu’on nommera «input». Plus d’input donne lieu à une production plus élevée (ou à un niveau d’output plus élevé; au lieu d’output au sens de «production», on peut également retenir, comme mentionné plus haut, un autre indicateur de la performance de l’entreprise). Cependant, en raison de la loi, fréquemment constatée, des rendements décroissants, cette relation positive entre input et output est positive, mais de façon de moins en moins nette, d’où la concavité de la courbe apparaissant dans ce schéma. Les différentes entreprises (A, B, C, D, etc.) constituent autant d’observations qu’on peut disposer sur ce schéma. Les entreprises observées se trouvent soit sur la frontière efficiente, soit à proximité immédiate de celle-ci (celles qui en seraient trop éloignées ne survivraient pas à la pression de la concurrence: dans notre exemple, l’entreprise G est candidate à une sortie du marché.) Parmi les caractéristiques de chaque observation, il y a des dimensions langagières; à première vue, les observations (représentatives, en nombre suffisant, et combinant des informations sur les pratiques langagières et les variables économiques pertinentes) permettraient de dire que ces pratiques langagières sont efficientes, puisque les entreprises se situent plus ou moins sur la frontière d’efficience, et que les compétences mises en œuvre dans le cadre de ces pratiques constituent ipso facto les «besoins». On peut en rester là si l’on admet que les entreprises ne peuvent pas faire mieux, ce qui suppose qu’elles connaissent parfaitement leur propre réalité, y compris le rôle des compétences linguistiques dans leur processus de production. Or, comme on va le voir, ce n’est pas certain. Certes, la pression de la concurrence va marginaliser les pratiques langagières radicalement inefficaces. Mais la concurrence n’est pas partout – la concurrence dite «parfaite» est même rarissime en-dehors des marchés financiers. Si les monopoles au sens strict sont eux aussi peu fréquents, la plupart des marchés se caractérisent par des structures oligopolistiques, voire cartellaires, dans lesquelles un petit nombre de producteurs peuvent s’entendre, fût-ce tacitement (cela ne signifie pas que la concurrence soit totalement évacuée – à preuve, la banalité des cas de concurrence monopolistique, constellation dans laquelle un petit nombre d’entreprises cherchent à différencier leur produit de manière à reconstituer, sur un segment de marché rendu artificiellement distinct des segments voisins, une situation ressemblant au monopole). Néanmoins, l’idée que la concurrence amènera immanquablement les entreprises à opter pour le meilleur régime linguistique possible est par trop optimiste. Il est donc possible que les pratiques observées ne soient pas optimales; et même en situation de concurrence, il se peut que les entreprises, en raison d’une information incomplète (et surtout si cette incomplétude les affecte toutes, en raison de représentations erronées mais largement répandues), soient loin de la véritable frontière efficiente. De fait, celle-ci peut se situer au-delà de la frontière efficiente apparente qu’on peut déduire d’une observation du réel: peut-être les entreprises pourraient-elles faire encore mieux en modifiant leurs pratiques, y compris, pourquoi pas, en matière langagière; c’est la situation que symbolise la fig. 2 ci-dessous. Fig. 2: Frontière d’efficience véritable On voit donc que les pratiques observées ne sont pas forcément optimales, même si l’on dispose d’observations représentatives, en grand nombre, dans un contexte concurrentiel. Nous ne pourrons pas discuter de tous ces points ici, mais nous pouvons nous demander si les entreprises «savent ce qu’elles font» en matière de stratégie linguistique, et c’est la question vers laquelle nous nous tournons dans la troisième et dernière section de ce texte. 19 Babylonia 02/13 | babylonia.ch D’une façon générale, les compétences linguistiques en langues «étrangères» sont plus souvent utilisées qu’elles ne sont exigées, et l’ordre selon lequel elles sont exigées est légèrement différent de celui selon lequel elles sont utilisées. 9% 29. 35. 33.8% Anglais 18 % .6% .5 27 Français .9% 9% Allemand 6% Babylonia 02/13 | babylonia.ch Fig. 3: Utilisation («tous les jours ou presque») des langues étrangères au travail 17 20 en ceci, aux services comme le conseil et placement de personnel, l’électronique/informatique, l’économie/finance/assurances, l’enseignement et la recherche ainsi que le marketing. Enfin, en ce qui concerne l’échelle d’activité, on constate sans grande surprise non plus que c’est surtout dans les entreprises dont les activités et échanges se déroulent au niveau international et, dans une moindre mesure, national que les langues étrangères sont le plus souvent utilisées. La fig. 3 indique le pourcentage de répondants basés dans les régions de langue allemande, française ou italienne qui disent utiliser fréquemment le français, l’allemand, l’italien et l’anglais au travail à titre de langues étrangères ou secondes. 51. Sur le caractère nécessaire des compétences en langues étrangères Une des façons de tester la mesure dans laquelle les entreprises apprécient correctement le rôle que les compétences linguistiques jouent dans leur fonctionnement, c’est de comparer deux informations: d’une part, les exigences en la matière qu’elles formulent lors de l’embauche de leurs employés; d’autre part, l’utilisation effective des langues, qu’on peut approcher au travers des déclarations de leurs collaborateurs basés dans les différentes régions linguistiques. Certes, on sait que ces déclarations sont largement tributaires des représentations; mais en même temps, quand on dispose de données représentatives sur des échantillons de plusieurs centaines, voire plusieurs milliers d’individus, les représentations (et les biais de déclaration qui peuvent les accompagner) commencent à se compenser mutuellement, permettant à une tendance centrale raisonnablement fiable de se dégager. Les données récoltées dans des enquêtes successives sur les langues dans l’activité économique en Suisse1 nous montrent que l’utilisation des langues étrangères ainsi que les exigences en termes de compétences linguistiques au sein de l’activité professionnelle sont très différenciées selon l’activité professionnelle, le secteur d’activité ainsi que l’échelle d’activité (internationale, nationale ou locale), d’une façon moindre selon le canton, la région économique ou encore la situation géographique par rapport à la frontière linguistique, par exemple entre la Suisse romande et la Suisse alémanique. Sans grande surprise, on observe que l’utilisation de langues étrangères (qu’il s’agisse de l’anglais et de l’allemand2 en Suisse romande, de l’anglais et du français en Suisse alémanique, de l’allemand, du français ou encore de l’anglais en Suisse Italienne) est nettement plus répandue au sein de catégories professionnelles dites supérieures (cadres, patrons, professions libérales, fonctionnaires supérieurs) qu’au sein de professions comme les ouvriers, les employés ou les fonctionnaires. De même, les secteurs orientés vers la production (alimentaire, agriculture, métallurgie et machinerie) ainsi que des secteurs comme le transport, la santé et l’immobilier utilisent moins les langues étrangères au quotidien et s’opposent, 51.8% 11.8% Italien Les langues «étrangères» les plus fréquemment utilisées sont le français et l’allemand en Suisse italienne, et ce à des niveaux très proches. Viennent ensuite le français et l’anglais en Suisse alémanique puis l’allemand et l’anglais en Suisse romande. L’anglais en Suisse italienne ainsi que l’italien en Suisse alémanique arrivent quant à eux en queue de peloton, juste avant l’italien en Suisse romande. Les activités professionnelles en Suisse italienne apparaissent très investies par les deux autres langues nationales. La Suisse romande se distingue par des taux relativement faibles par rapport aux deux autres régions linguistiques, exception faite de l’utilisation de l’anglais, qui y est plus courante qu’en Suisse italienne. Le tableau est quelque peu différent si l’on s’intéresse aux exigences en langues étrangères lors du recrutement, comme le montre la Fig. 4, qui indique le pourcentage de répondants, dans les différentes régions Fig. 5: différences entre taux d’utilisation et taux d’exigence ([% d’utilisation] – [% d’exigence]) Allemand linguistiques, auxquels on a demandé, lors de l’embauche, des compétences en français, allemand, italien et anglais à titre de langues étrangères ou secondes. % 4.9 8.2 +1 +1 % 7% 22. 17. 7% 15% % % 3.2 Français 4.7 3.3 +1 +36.6% +10.9% % Italien 5.3 .2% % 15 Français +1 % 2.3 16.2% 8.9 Anglais Allemand Anglais +2 Fig. 4: Exigences linguistiques lors du recrutement +1 % +17.6% 15.2% 0.9% Italien D’une façon générale, les compétences linguistiques en langues étrangères sont plus souvent utilisées qu’elles ne sont exigées. Par ailleurs, l’ordre selon lequel les compétences linguistiques sont exigées est légèrement différent de celui selon lequel elles sont utilisées. La langue la plus exigée est l’allemand en Suisse italienne. Viennent ensuite, à des taux relativement proches, le français en Suisse alémanique, l’anglais en Suisse alémanique, l’anglais en Suisse romande, le français en Suisse italienne et l’allemand en Suisse romande. Enfin, les «parents pauvres» sont l’anglais en Suisse italienne, l’italien en Suisse alémanique et l’italien en Suisse romande (dans ce dernier cas, on recense moins d’une embauche sur 100 où cette langue est exigée). On peut mettre plus directement en évidence la discrépance entre les deux informations en soustrayant du taux d’utilisation le taux d’exigence à l’embauche; cette discrépance peut, a priori, être interprétée comme un indicateur du «non-savoir», par les entreprises elles-mêmes, de l’importance du multilinguisme. Cette comparaison est proposée dans la fig. 5. Les langues pour lesquelles les différences entre utilisation effective et exigence lors du recrutement sont les plus fortes concernent toutes deux la Suisse italienne: il s’agit en effet des différences entre utilisation et exigences pour le français et l’allemand dans cette région linguistique. L’écart le plus faible concerne l’italien en Suisse romande. Il est intéressant de constater qu’en la matière, les différences les plus fortes renvoient aux langues étrangères les plus couramment utilisées, tandis que les différences les plus faibles renvoient quant à elles aux langues les plus rarement utilisées. Ces résultats, de même que les considérations des deux sections qui précèdent, doivent nous amener à la prudence: il nous reste encore beaucoup à étudier avant de conclure que les entreprises «ont besoin» de ceci ou de cela, et qu’elles sur- ou sous-estiment leurs besoins à l’égard de telle ou telle compétence. Pour s’en convaincre, reprenons l’apparente sous-estimation des besoins que nous venons de mettre en évidence. Il est possible qu’il ne s’agisse pas là d’une sous-estimation, mais bien d’une stratégie délibérée, de la part des entreprises, pour minimiser leurs couts: en effet, toute procédure de recrutement est couteuse, et le sera d’autant plus que les exigences posées sont spécifiques; dès lors, il peut être rentable pour l’entreprise de ne pas exiger certaines compétences, même si elle sait pertinemment qu’elles seront utiles, afin de ne pas exclure d’emblée des candidats potentiellement intéressants, quitte ensuite à leur donner, dans le cadre d’une formation continue, les compétences requises pour leur poste3.Ces deux explications ne s’excluent cependant pas l’une l’autre, et peuvent même se combiner avec une troisième: lors de l’embauche, une entreprise romande peut fort bien exiger d’un candidat qu’il sache l’anglais, si elle part du principe que c’est en anglais que le candidat, une fois nommé, gèrera ses contacts avec des clients ou des fournisseurs en Suisse alémanique. Dans ce but, elle lui aura demandé, lors de l’em- 21 Babylonia 02/13 | babylonia.ch bauche, de savoir l’anglais. Cependant, une fois nommé, l’employé, s’il sait aussi l’allemand, peut constater que cette langue lui est utile – et s’en servir effectivement – pour divers contacts en Suisse alémanique, même si on ne lui a pas demandé, lors de l’embauche, de connaitre l’allemand. Des discrépances entre les exigences à l’embauche et les pratiques ultérieures peuvent donc également naitre par ce biais. On se limitera donc ici à une conclusion au caractère provisoire: les compétences linguistiques sont assurément nécessaires aux entreprises, qui les rémunèrent parfois fort bien; du point de vue des acteurs individuels, l’investissement dans ces compétences se justifie en général sans difficulté. Mais quant aux façons exactes dont cette valeur apparait, et quant à la détermination de la nature précise des besoins des entreprises en telle ou telle langue, une certaine prudence s’impose, et un regard approfondi, basé sur des études quantitatives soigneuses, en partenariat avec une recherche qualitative rigoureuse, est aussi nécessaire que jamais. Notes Pour des informations détaillées sur les enquêtes en question, cf. Grin, F. (1999). Compétences et récompenses: la valeur des langues en Suisse. Fribourg: Éditions Universitaires, et Grin, F., Sfreddo, C. & Vaillancourt, F. (2010). The Economics of the Multilingual Workplace. Londres/New York: Routledge. 2 Dans ce qui suit, la catégorie «allemand» inclut également le dialecte alémanique. 1 Gustave Caillebotte, Les raboteurs de parquets, 1875. 22 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Voir Grin, F. & Sfreddo, C. (2010). Besoins linguistiques et stratégie de recrutement des entreprises, in I. Behr, P. Farges, D. Hentschel, M. Kauffmann & C. Lang (dir.), Langue, économie, entreprise. Gérer les échanges. Paris: Presses Sorbonne Nouvelle, pp. 19-40. 3 François Grin est depuis 2003 titulaire de la chaire d’économie à la Faculté de traduction et d’interprétation de l’Université de Genève. Il est également professeur invité à l’Università della Svizzera italiana. Il s’est spécialisé en économie des langues, économie de l’éducation et évaluation des politiques publiques dans ces domaines, où il est l’auteur de nombreuses publications. Il est président de la Délégation à la langue française de Suisse romande (DLF). Tema Mobilität und Sprachen: Eine Patentlösung gibt es nicht Bettina Bichsel | Bern Data la crescente internazionalizzazione del mercato del lavoro, la formazione professionale deve prendere in considerazione il tema della mobilità. Le conoscenze linguistiche e le competenze interculturali diventano sempre più importanti in molte professioni. Tuttavia, nella formazione professionale l’apprendimento delle lingue straniere e la mobilità oltre i confini linguistici e nazionali costituiscono ancora, come nei decenni passati, un’eccezione: una situazione in netto contrasto con l’istruzione obbligatoria - e con l’offerta attuale e le condizioni agevolate. Nel 2011 fu siglato l’impegno della Confederazione, dei Cantoni e delle organizzazioni del settore professionale, creando così la base per la promozione della mobilità. S’intende trovare insieme delle soluzioni per aumentare le attività di scambio e per promuovere l’insegnamento delle lingue straniere nella formazione professionale e agevolare la mobilità dei diplomandi delle scuole professionali a livello internazionale per far beneficiare le aziende di professionisti che siano ben preparati per l’economia globalizzata. Una soluzione unica che vada bene per tutti non esiste: sono richieste iniziative specifiche, ritagliate su misura per le esigenze di ogni settore. Altri articoli su questo tema: www.babylonia.ch > Archivio tematico > Schede 14 e 15 Das Thema Mobilität hat in den letzten Jahren auch in der Berufsbildung an Bedeutung gewonnen. Nicht nur, weil Fremdsprachenkenntnisse und interkulturelle Kompetenzen in vielen Berufen immer wichtiger werden, sondern auch, damit die Berufsbildung gegenüber der allgemeinen Bildung nicht an Attraktivität einbüsst. Bei der Lancierung von Massnahmen stehen für den Bund Freiwilligkeit und Bedürfnisorientierung klar im Vordergrund. Verbundpartnerschaftliches Commitment Bund, Kantone und Organisationen der Arbeitswelt (Verbundpartner der Berufsbildung) suchen derzeit gemeinsam nach Lösungen, um den Berufsbildungsabsolventen die berufliche Mobilität zu erleichtern und sie so möglichst optimal auf den zunehmend internationalisierten Arbeitsmarkt vorzubereiten. Ein entsprechendes Com- mitment hatten die Spitzen der Verbundpartner an der Lehrstellenkonferenz 2011 abgegeben. Ziel war und ist es, Mobilitätsaktivitäten wie Sprachaustausche, Berufspraktika etc. zu steigern und den Fremdsprachenunterricht an den Berufsfachschulen zu fördern. Dass die Thematik in den vergangenen Jahren bei den Berufsbildungsverantwortlichen verstärkt ins Bewusstsein gerückt ist, hängt vorab mit der zunehmenden Internationalisierung der Arbeitswelt zusammen. Fremdsprachenkenntnisse und interkulturelle Kompetenzen sind in vielen Branchen auf dem Arbeitsmarkt zunehmend gefragt. Diese Entwicklung stellt auch an die Berufsbildung neue Anforderungen. Hinzu kommt, dass sich in der allgemeinen Bildung bereits seit Jahren eine ausgeprägte „Mobilitätskultur“ etabliert hat. Austauschprogramme wie Erasmus werden im Gymnasial- und Hochschulbereich rege genutzt. Die Berufsbildung sollte hier den Anschluss nicht verlieren; insbesondere auch, damit sie für Leistungsstarke attraktiv bleibt. Die gesetzlichen Grundlagen für die Mobilitätsförderung sind vorhanden (Vgl. Box auf S. 22). Zudem gibt es bereits heute Initiativen und Ansätze, sowohl im Bereich von Austauschen als auch beim Fremdsprachenunterricht in der Schule. Und nicht zuletzt bietet die Mehrsprachigkeit in unserem Land beste Voraussetzungen. All diese Chancen sollten, wo Bedarf besteht, genutzt werden. Bilingualer Unterricht Mehrere Kantone haben Projekte mit bilingualem Unterricht lanciert. Dabei werden – entweder im Fach- oder im allgemeinbildenden Unterricht – fachliche Inhalte in einer Fremdsprache vermittelt. Die ersten Erfahrungen sind positiv. Das Mittelschul- und Berufsbildungsamt 23 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Anspruch und Wirklichkeit: Fremdsprachenunterricht als Ausnahme Wirft man einen Blick auf die Bildungspläne in der beruflichen Grundbildung, zeigt sich ein deutliches Bild. Unterricht in einer Fremdsprache findet in den wenigsten Berufen statt. Seit 2005 sind 180 neue Bildungsverordnungen in Kraft getreten. Über 140 davon sehen keinen obligatorischen Fremdsprachenunterricht vor. Eine zweite Landessprache wird beispielsweise im Hotel- und Gastrobereich oder in der Gesundheitsbranche unterrichtet. Insbesondere in technischen Berufen steht Fachenglisch auf dem Stundenplan. Auch unter den meistgewählten Berufen finden sich einige Ausbildungen (z.B. Kauffrau EFZ, Detailhandelsfachmann EFZ, Köchin EFZ, Informatiker EFZ oder Polymechanikerin EFZ), in denen (vereinzelt sogar bis zu zwei) Fremdsprachen Pflicht sind. Dennoch absolvieren die meisten Lernenden ihre berufliche Grundbildung ohne obligatorischen Fremdsprachenunterricht1. Das bedeutet auch, dass bei diesen Jugendlichen nicht auf den Fremdsprachkenntnissen aufgebaut wird, die im Rahmen der Volksschule vermittelt worden sind. Die Lernenden haben zwar die Möglichkeit, sprachliche Freikurse an der Berufsfachschule zu besuchen. Angesichts der ohnehin grossen Belastung, welche die Ausbildung in Betrieb und Schule mit sich bringt, und angesichts des Umstands, dass Freikurse oft zu Randzeiten oder an Samstagen stattfinden, werden die Angebote jedoch meist nur beschränkt in Anspruch genommen. (Vgl. auch die Übersicht auf S. 26-27) des Kantons Zürich beispielsweise hält in einer Broschüre zum bilingualen Unterricht fest2: „Da die Lektionenzahl an Berufsfach- und Berufsmaturitätsschulen nicht ausdehnbar ist, ist ein solch kompaktes, stundenplanneutrales Lernen effizient: In den drei oder vier Lehrjahren werden fachliche Inhalte und gleichzeitig die Fremdsprache gelernt.“ Zudem verstünden Lernende in zweisprachigen Klassen den Stoff sogar häufig besser, da Inhalte und Wortschatz zwei Mal erarbeitet würden, in der Erst- und in der Zweitsprache. Natürlich ist zweisprachiger Unterricht auch mit besonderen Anforderungen an die Lehrpersonen verbunden. Dennoch scheint hier Potenzial vorhanden. (Vgl. dazu den Beitrag von M. Miltschev in dieser Nummer) Austausche: Möglichkeiten auf verschiedenen Ebenen Neben dem Fremdsprachenunterricht an den Berufsfachschulen steht die Förderung von Mobilitätsaktivitäten wie Austauschen, Praktika etc. im Fokus der verbundpartnerschaftlichen Bestrebungen. Dabei gilt es zu beachten, dass bei solchen Aufenthalten nicht nur die Verbesserung der sprachlichen Fähigkeiten im Vordergrund steht (zumal dafür längere Aufenthalte nötig sind). Sie tragen vielmehr auch zur Persönlichkeitsentwicklung und Motivationssteigerung bei, fördern Selbstständigkeit, Organisationsfähigkeit, interkulturelle Kompetenzen und ermöglichen einen Einblick in ein anderes betriebliches Umfeld. Das sind wertvolle Erfahrungen für den weiteren Werdegang, persönlich wie beruflich. In einzelnen Branchen (z.B. Landwirtschaft, KV) haben Austausche oder Sprachaufenthalte Tradition und sind Teil der Ausbildung. Es gibt inzwischen zahlreiche Unternehmen, die ihre Lernenden während 24 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Rechtliche Grundlagen Mit dem 2009 in Kraft getretenen Sprachengesetz (SpG) wurde der sprachpolitische Verfassungsauftrag konkretisiert. Art. 15 SpG hält fest, dass „Bund und Kantone im Rahmen ihrer Zuständigkeit die Mehrsprachigkeit der Lernenden und Lehrenden fördern“. Gemäss Art. 12 Abs. 2 der Berufsbildungsverordnung ist in den Bildungsverordnungen der beruflichen Grundbildung „in der Regel eine zweite Sprache vorzusehen“ – ob eine zweite Landessprache oder Englisch, ist nach den Bedürfnissen der jeweiligen Branche zu regeln. Die Bedürfnisorientierung bei der Sprachenwahl steht auch bei den Angeboten der höheren Berufsbildung im Vordergrund – sei es bei eidgenössischen Berufsund höheren Fachprüfungen oder bei Bildungsgängen von höheren Fachschulen, die teilweise in einer Fremdsprache durchgeführt werden. oder nach der Ausbildung ins Ausland oder an einen anderen Standort in der Schweiz schicken. Schulen, kantonale Behörden und auch die Verwaltungseinheiten des Bundes ermöglichen ihren Lernenden Aufenthalte in einer anderen Sprachregion oder über die Landesgrenzen hinaus. Und schliesslich gibt es verschiedene – privat oder von der öffentlichen Hand finanzierte – Programme zur Förderung der Mobilität. Dazu gehören die nationalen und internationalen Programme, welche die ch Stiftung für eidgenössische Zusammenarbeit im Auftrag des Bundes umsetzt. (Vgl. den Beitrag von T. Baudor in dieser Nummer) Einen systematischen Überblick über alle Initiativen in diesem Bereich gibt es nicht, weshalb auch keine genauen Aussagen über die Zahl der Mobilitätsaktivitäten in der Berufsbildung gemacht werden können. Bei den bisherigen Arbeiten hat sich jedoch gezeigt, dass die Initiativen meist nur punktuell bekannt sind. Auch das ist sicher mit ein Grund, weshalb – vor allem im Vergleich zum Gymnasial- und Hochschulbereich – von einem bescheidenen Volumen auszugehen ist. In einer vom Bund in Auftrag gegebenen Bestandsanalyse belaufen sich die Schätzungen für den binnenstaatlichen Bereich auf jährlich 300 bis maximal 1200 Austausche3. Das sind weniger als 1.0 Prozent aller Lehrverhältnisse. Die Analyse brachte weitere interessante Erkenntnisse. Seitens der Unternehmen erfolgt die Organisation der Austausche meist ohne fremde Hilfe. Zudem stehen die befragten Berufsbildnerinnen und -bildner Austauschen grundsätzlich positiv gegenüber. Wenn es um die konkrete Umsetzung geht, äussern sie allerdings aus organisatorischen Gründen gewisse Bedenken. Allgemein hat sich im Rahmen der bisherigen Arbeiten gezeigt, dass die Komplexität der Berufsbildung als Erschwernis betrachtet wird. In der beruflichen Grundbildung erfordert die Ausgestaltung der Ausbildung in Betrieb, Berufsfachschule und überbetrieblichen Kursen einen erhöhten Koordinationsaufwand. Hinzu kommt, dass die Betriebe für die Dauer des Austausches auf die Lernenden verzichten müssen. Je nach Unternehmensgrösse kann dies problematisch sein. Branchenspezifische Lösungen gefragt Im Nachgang zur Lehrstellenkonferenz 2011 wurden Ansätze gesucht, wie der schulische Fremdsprachenerwerb gefördert und das Volumen von Mobilitätsaktivitäten erhöht werden können. In einem verbundpartnerschaftlichen Projekt wurden entsprechend vier Handlungsfelder definiert4: r Definition von Modellen zur Durchführung von Mobilitätsaktivitäten mit dem Ziel, Unternehmen, Verbände, Schulen und andere potenzielle Initianten zu animieren, selbst Projekte zu lancieren. Grundlage bilden Best-Practice-Beispiele, d.h. bestehende oder abgeschlossene Projekte, die sich in der Umsetzung bewährt haben. r Förderung des bilingualen Unterrichts auf Basis der bisherigen positiven Erfahrungen. Im Zentrum steht der interkantonale Austausch sowie die Qualifizierung von Lehrkräften für den zweisprachigen Unterricht. r Information und Sensibilisierung über bestehende Möglichkeiten, wobei insbesondere auch Projektträger und -teilnehmende als Botschafter eingesetzt werden sollen. r Ergänzende Finanzierung: Der Bund gewährt im Rahmen seiner Projektförderung nach Art. 54/55 BBG Anschubfinanzierung für geeignete Initiativen. Damit steht neben den Mitteln, welche die ch Stiftung im Bereich der nationalen und internationalen Bildungs- und Jugendprogramme verwaltet, eine weitere Möglichkeit zur Unterstützung von innovativen Projekten zur Verfügung. In den jüngsten Diskussionen zeigte sich deutlich, dass dem Thema „Mobilität“ in der Berufsbildung nach wie vor sehr unterschiedliche Bedeutung beigemessen wird. Das ist verständlich – angesichts der verschiedenen aktuellen Herausforderungen in der Berufsbildung, der Arbeitsbelastung, welche die Ausbildung für Lernende und Berufsbildungsverantwortliche mit sich bringt, und nicht zuletzt angesichts der Komplexität des Berufsbildungssystems an sich. Eine Patentlösung gibt es deshalb nicht. Und schon gar nicht zielführend wären regulatorische Eingriffe wie ein flächendeckendes Obligatorium für Fremdsprachenunterricht oder Austauschaktivitäten. Gefragt sind vielmehr spezifische, passgenaue Initiativen, die sich vorab an den Bedürfnissen der einzelnen Branchen orientieren. Freiwilligkeit steht im Vordergrund. Übergeordnet braucht es ein koordiniertes Vorgehen zwischen Bund, Kantonen und Verbänden, um die Rahmenbedingungen zu optimieren, den Austausch zu fördern und das 2011 abgegebene Commitment zu festigen. Auf der operativen Ebene braucht es aber vor allem auch das individuelle Engagement von Berufsbildungsverantwortlichen, Unternehmen,Verbänden, privaten wie öffentlichen Institutionen, sowie – nicht zuletzt – von den Lernenden. Gute Beispiele müssen weiter Schule machen. Nur so kommt der Prozess richtig ins Rollen. Nur so kann es gelingen, eine eigentliche ‚Mobilitätskultur‘ zu etablieren. Eine Entwicklung, die für die Berufsbildung wichtig ist, um in einer internationalisierten Arbeitswelt als Karrieresprungbrett zu dienen und auch von ambitionierten Jugendlichen als attraktiver, zukunftsträchtiger Ausbildungsweg wahrgenommen zu werden. Anmerkungen Der Regierungsrat des Kantons Bern 2011 in seiner Antwort auf einen parlamentarischen Vorstoss zum Schluss, dass der Unterricht in einer oder zwei Fremdsprachen nur für einen Drittel aller Lernenden obligatorisch ist. (vgl. Postulat 243-2010 „Bili – Mehrsprachiger Unterricht an Berufsfachschulen“). 2 Vgl. Mittelschul- und Berufsbildungsamt Zürich (2012). Fit for Life: „bili – Zweisprachiger Unterricht an Berufsfach- und Berufsmaturitätsschulen im Kanton Zürich. 3 Vgl. Landert>Partner (2012). Binnenstaatliche Sprachaustausche und Mobilität in der beruflichen Grundbildung, Zürich. 4 Vgl. SBFI/Res Publica Consulting AG (2012). Stossrichtungen zur Förderung der Mobilitätsaktivitäten und des schulischen Fremdsprachenerwerbs, Bern. 1 Bettina Bichsel arbeitet als Projektverantwortliche in der Abteilung berufliche Grundbildung und höhere Berufsbildung des Staatssekretariates für Bildung, Forschung und Innovation (SBFI). Sie ist unter anderem verantwortlich für die nationale Lehrstellenkonferenz und koordiniert die Tätigkeiten des SBFI im Bereich Mobilität. 25 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Tema Fremdsprachenlandschaft Berufliche Grundbildung: eine Übersicht und ein Beispiel Gianni Ghisla | Lugano Gemäss einer Übersicht des Staatssekretariats für Bildung Forschung und Innovation (SBFI) vom Oktober 2012 präsentierte sich die Situation des Fremdsprachenunterrichts in der beruflichen Grundbildung wie aus folgender Tabelle: Von den über 180 in 22 Bereichen aufgeteilten Berufen sehen deren 37 in der Bildungsverordnung einen Pflichtunterricht in einer Fremdsprache vor. Englisch (oder Fachenglisch) wird für 19 vorgeschrieben, 17 lassen die Wahl zwischen Englisch oder einer zweiten Landessprache, und in einem Fall wird Französisch verlangt. Eine Fremdsprache gehört demnach in ca. 20 % der Berufe zum Lehrplan. Allerdings muss auch betrachtet werden, dass in einigen weiteren Berufen der sogenannte bilinguale Unterricht (Bili) praktiziert wird, sodass etwa über 60 Berufe (ca. 30%) in den Genuss irgendeiner Form von Fremdsprachenunterricht kommen. Freilich wird Bili v.a. im Kanton Zü- Edgar Degas, Les repasseuses, 1884. 26 Babylonia 02/13 | babylonia.ch rich praktiziert (vgl. dazu den Beitrag von M. Miltschev in dieser Nummer) und fast ausschliesslich in Englisch angeboten, mit wenigen Ausnahmen, etwa Deutsch im Tessin. Ferner kommt Bili hauptsächlich im Allgemeinbildungsunterricht zum Zuge und in einigen Fällen auch im Fachunterricht. Damit wird für die berufliche Grundbildung zweierlei deutlich: r &TJTUFJOF.JOEFSIFJUEFS#FSVGFXFMDIFPGfenbar aus kommunikativem oder fachtechnischem Anlass einen Fremdsprachenunterricht in irgend einer Form verlangen. r &OHMJTDIC[X'BDIFOHMJTDIJTUEJFXFJUBVTEPminante Sprache, während die Landessprachen sozusagen als kleine Flecken in weniger als 20 Berufen vermutlich dort überleben, wo sich noch Lehrkräfte leidenschaftlich dafür einsetzen. Bereich Beruf (EFZ) Pflichtfremdsprache 1 2 3 Natur Nahrung Gastgewerbe 4 5 Textilien Schönheit/Sport Englisch oder zweite LS Englisch Englisch oder zweite LS Englisch oder zweite LS Englisch oder zweite LS 6 7 8 9 10 11 12 Gestaltung, Kunst Druck Bau Gebäudetechnik Holz, Innenausbau Fahrzeuge Elektrotechnik 13 Metall, Maschinen 14 Chemie, Physik 15 16 Planung, Konstruktion Verkauf 17 Wirtschaft,Verwaltung 18 19 Verkehr, Logistik Informatik 20 Kultur 21 Gesundheit Hotelfachmann/-frau Koch/Köchin Restaurationsfach-mann/-frau Technologe/-gin Fachmann/-frau Bewegungs- und Gesundheitsförderung Polygraf/in Automatiker/in Elektroniker/in Multimediaelektroniker/in Telematiker/in Formenbauer/in Polymechaniker/in Uhrmacher/in Uhrmacher Praktiker/in Chemie- u. Pharmatechnologe/in Kunststofftechnologe/in Laborant/in Physiklaborantin Konstrukteur/in Buchhändler/in Detailhandelsfachmann/-frau Detailhandelsassistent/in (EBA) Drogist/in Fachmann/-frau Kundendialog Pharma-Assistent/in Kaufmann/-frau (B-Profil) Kaufmann/-frau (B-Profil) Informatiker/in Applikation Informatiker/in Support Informatiker/in Systemtechnik Informatiker/in Generalist Mediamatiker/in Bühnentänzer/in Fachmann/-frau Information u. Dokumentation Veranstaltungsfachmann/-frau Augenoptiker/in Dentalassistent/in Medizinische/r Praxisassistent/in 37 22 Bildung, Soziales Total Englisch und zweite LS Fachenglisch Fachenglisch Fachenglisch Fachenglisch Fachenglisch Fachenglisch Englisch Englisch Englisch u. Fachenglisch Fachenglisch Englisch u. Fachenglisch Fachenglisch Fachenglisch Englisch oder zweite LS Englisch oder zweite LS Englisch oder zweite LS Französisch Englisch oder zweite LS Englisch oder zweite LS Englisch oder zweite LS Englisch und zweite LS Englisch Englisch Englisch Englisch Englisch und zweite LS Englisch Englisch und zweite LS Fachenglisch Englisch oder zweite LS Englisch oder zweite LS Englisch oder zweite LS E (+Fachenglisch): 19 E oder zweite LS: 13 E und zweite LS: 4 Französisch: 1 27 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Pharma-AssistentInnen: Ein Beispiel (noch) wenig genutzter Möglichkeiten Die Ausbildung der PharmaassistentInnen geht von einer Bildungsverordnung aus, die am 14.12.2006 in Kraft getreten ist und angesichts der Berufsanforderungen die lokalen Landessprachen und die Fremdsprachen stark aufgewertet hat. Der Unterricht in einer Fremdsprache, Englisch oder einer zweiten LS, erfolgt auf der Basis eines Lehrplans, der nach dem CoRe-Ansatz entwickelt wurde1. Konkret bedeutet dies, dass im Verlaufe der dreijährigen Ausbildung, das Niveau B1 des GER erreichen sollen und dabei erwerben sollen: a) allgemeine Kenntnisse und Fähigkeiten gemäss GERS, b) berufsspezifische Kenntnisse und Fähigkeiten nach dem vorgegebenen Kompetenzprofil des/der PharmaassistentIn, c) kulturelle Kenntnisse. Die Lehrperson wählt je nach Sprache angemessene kulturelle Inhalte aus, die so weit wie sinnvoll die Mehrsprachigkeit und Multikulturalität der Schweiz berücksichtigen. Für den Unterricht stehen gesamthaft 200 Stunden zur Verfügung, 80 im ersten, 40 im zweiten und 40 + 40 im dritten Schuljahr. Um die kulturellen Kenntnisse zu fördern, wird im dritten Lehrjahr ein Austausch, z.B. in Form eines Praktikums, in einer Apotheke einer anderen Sprachregion, sehr empfohlen. Um diese Absicht zu fördern, sieht der Lehrplan ein Gefäss von 40 Stunden vor, wobei „die Berufsfachschule einen solchen Austausch im 5. Semester (optimal anfangs 3. Lehrjahr, evtl. Ende 2. Lehrjahr) unterstützt. Das Einverständnis der Apothekerin, des Apothekers ist Voraussetzung. Die Suche nach einer passenden Apotheke und Unterkunft ist Sache der Lernenden, die mit der Unterstützung der Schule rechnen können.” Unterdessen haben bereits drei Jahrgänge ihre Ausbildung als PharmaassistentInnen nach der neuen Bildungsverordnung abgeschlossen, was den zuständigen Verband pharmaSuisse dazu bewogen hat, eine Evaluation durchzuführen. Dabei wurden u.a. auch die PharmaassistentInnen direkt befragt, auch zu den Erfahrungen mit dem Fremdsprachenunterricht und insbesondere zur Möglichkeit eines Sprachaufenthaltes (Vgl. die Fragestellung in der nachstehenden Tabelle). Wie aus der Tabelle ersichtlich, haben lediglich 154 PharmaassistentInnen auf die Umfrage geantwortet, weshalb die Resultate nicht repräsentativ sein können, es aber dennoch erlauben, zumindest Mutmassungen zur effektiven Praxis von Sprachaufenthalten anzustellen. Es fällt einmal auf, dass all jene (etwa 14%) , die einen Sprachaufenthalt hatten, dies durchwegs positiv erlebten (was die allgemeinen Erfahrungen mit Sprachaufenthalten bestätigt). Auch haben einige Schulen offensichtlich von der Möglichkeit Gebrauch gemacht, für alternative Angebote zu sorgen, und so zur kulturellen Bereicherung der Lernenden beigetragen. Hingegen fällt ein Grossteil der Antworten negativ aus, weil die Schulen nichts organisiert haben oder gar, weil die Lernenden über diese Möglichkeit nicht einmal Bescheid wussten. Es muss daran erinnert werden, dass im Bildungsplan die Organisation eines Sprachaufenthaltes lediglich empfohlen wird. Und doch ist es frappant, wie vermutlich eine sehr grosse Anzahl oder gar die Mehrheit der Schulen sich kaum dafür einsetzt, dass die Lernenden solche Möglichkeiten ausnützen können. In diesem Zusammenhang sind vermutlich auch Lehrkräfte gefordert. Die Schaffung von günstigen Bedingungen für einen Austausch oder für ein Praktikum ist nämlich relativ aufwendig. Freilich, wenn der Unterricht darauf ausgerichtet wird, kann man offensichtlich auch bemerkenswerte Resultate erzielen. Es ist aber auch zu bedenken, dass solche Sprachaufenthalte v.a. dann realistisch sind, wenn eine zweite Landessprache (und nicht Englisch) unterrichtet wird. Anmerkungen Sämtliche Dokumente, insbesondere auch der Lehrplan Fremdsprache, sind auf der Homepage von pharmaSuisse abrufbar: http://www.pharmasuisse.org/de/bildung/ Pharma-Assistentin/Seiten/Arbeitsunterlagen.aspx. Zum CoRe-Ansatz siehe auch dr Beitrag von G. Ghisla zur «Situationsdidaktik» in dieser Nummer. 1 „Der Fremdsprachenunterricht sieht die Möglichkeit eines Aufenthalts in einer anderen Sprachregion (z.B. als Austausch) oder einer besonderen sprachlich-kulturelle Erfahrung vor. Geben Sie bitte darüber Auskunft. Antwortmöglichkeit Abs. % Die Berufsfachschule hat nichts organisiert und ich hatte weder einen Sprachaufenthalt noch eine andere Erfahrung machen können 57 37 Berufsfachschule hat alternative Angebote im Bereich Fremdsprache organisiert (Theaterbesuche, Kino etc.) 14 9 Ich hatte einen Aufenthalt in einer anderen Sprachregion und diesen positiv empfunden 21 14 Ich hatte einen Aufenthalt in einer anderen Sprachregion und diesen negativ empfunden 0 Ich wusste nicht, dass es diese Möglichkeiten des Fremdsprachenlernens gibt 48 31 Anderes 15 10 154 100 28 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Tema Die Berufsbildung Post öffnet Türen Kilian Schreiber | Bern La Posta, presente su tutto il territorio nazionale, dispone di condizioni pressoché ottimali per favorire gli stages in una regione linguistica diversa. L’azienda fa degli sforzi di rilievo in questa direzione, offrendo ai propri apprendisti anche la possibilità di recarsi all’estero, ad esempio in Inghilterra, Francia o Germania, e cerca di non lasciare nulla al caso, grazie tra l’altro ad una preparazione specifica in vista dell’esperienza. L’autore del contributo si sofferma però anche sul fatto che la formazione professionale non concede che scarso spazio all’insegnamento delle lingue e sulla necessità di rafforzare le lingue nazionali. A queste riflessioni fa da corollario l’intervista con un’apprendista che ha fatto uno stage a Londra. Altri articoli su questo tema: www.babylonia.ch > Archivio tematico > Schede 13 e 15 Die berufliche Mobilität gewinnt an Bedeutung. Die Anforderungen an die sprachlichen und interkulturellen Kompetenzen der Berufsleute steigen. Die Berufsbildung Post mit ihren über 2000 Lernenden fördert den Austausch über Sprach- und Landesgrenzen hinweg. Den Lernenden stehen zwei Möglichkeiten offen: Sie können sich für ein Praktikum in einer anderen Sprachregion der Schweiz bewerben. Oder sie absolvieren gar einen Einsatz bei Konzerngesellschaften der Post im Vereinigten Königreich, in Deutschland oder bei der französischen Post. Die Lernenden werden auf ihre Einsätze gut vorbereitet. Die Zahl der Stagiaires soll in den nächsten Jahren wachsen. Interkulturelle Kompetenzen wichtig In praktisch allen Berufen ist heutzutage interkulturelle Kompetenz gefragt. Und zwar auch dort, wo wir es auf den ersten Blick vielleicht gar nicht erwarten: Etwa bei einem Paketzusteller der Post im Kanton Zug, der es auf seiner Tour mit vielen Expats der dort niedergelassenen Firmen aus aller Herren Länder zu tun hat. Oder bei der Detailhandelsfachfrau aus Genf, die während eines einzigen Arbeitstages Menschen mit verschiedenstem kulturellem Hintergrund begegnet. Die Schweizerische Post bereitet als Lehrbetrieb die jungen Menschen auf diese Realität vor. Junge Menschen trainieren beispielsweise in Aufenthalten in einem anderen Landesteil oder im Ausland eine ganze Reihe von Kompetenzen. Sie überwinden Hemmungen in einer für sie noch ungewohnten Welt und lernen den Umgang mit anderen Kulturen und Sprachen. Im Vordergrund steht dabei nicht in erster Linie der perfekte Spracherwerb. Das wäre angesichts der zum Teil kurzen Stages auch eine unrealistische Vorstellung. Zentrale Ziele sind die Förderung der Toleranz sowie die Stärkung des Selbstbewusstseins. Die Rückmeldungen der jungen Berufsleute bestätigen, dass auch in relativ kurzer Zeit ihr Selbstbewusstsein tatsächlich gestärkt werden konnte. Und was ebenso wichtig ist: Die jungen Leute bekommen Lust auf mehr. Auf mehr Austausch. Und auf mehr Sprachunterricht! Mauerblümchen Sprachunterricht Im Gegensatz zu den Mittelschulen fristet der Sprachunterricht an Berufsfachschulen ein Mauerblümchen-Dasein. In vielen Berufen, etwa bei den angehenden Logistikern, gehört eine Fremdsprache nicht zum obligatorischen Unterricht. Allenfalls besteht die Möglichkeit, sich höhere Sprachkompetenzen in Freifächern anzueignen. Diese Situation erhöht die Hemmschwelle von Lernenden für einen Stage in einem anderssprachigen Gebiet. Die Erfahrungen der Post zeigen, dass die Stagiaires zu Beginn über Sprachkompetenzen auf Niveau A2 des europäischen Sprachenportfolios verfügen sollten. Wenn diese Bedingung nicht erfüllt ist, werden die Lernenden vom Sprachaufenthalt kaum profitieren. 29 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Landessprachen stärken In einigen Berufen, etwa bei den Detailhandelsfachleuten, gehört der Erwerb von Sprachkompetenzen nach wie vor zum obligatorischen Schulstoff. Hier stellt die Schweizerische Post als Lehrbetrieb fest, dass nicht in allen Gegenden der Schweiz gewährleistet ist, dass die Fremdsprache im obligatorischen Angebot eine Landessprache ist. An Genfer Berufsfachschulen gehört Deutsch nicht mehr zum Pflichtstoff und Französisch wird in Teilen der östlichen Deutschschweiz nicht mehr gelehrt. Und die dritte Landessprache Italienisch hat sowohl in der deutschen als auch in der französischen Schweiz einen schweren Stand. Das ist nicht etwa nur aus Gründen des landesweiten Zusammenhalts bedauerlich, sondern auch ein Mangel im Hinblick auf die Arbeitsmarktfähigkeit der jungen Berufsleute. Denn gute Kenntnisse in einer anderen Landessprache sind schlicht und einfach am Arbeitsplatz gefragt. Eine zweite Landessprache ist im Alltag wichtiger als Englisch. Zumindest in den meisten Fällen. Pragmatische Ansätze im Fokus Lernende absolvieren im Rahmen ihrer Ausbildung ein festgelegtes Programm. Neben der Ausbildung im Betrieb besuchen die jungen Berufsleute die Berufsfachschule und zusätzlich eine Reihe von so genannten überbetrieblichen Kursen. Es ist wichtig, dass durch den Aufenthalt kein Unterrichtsstoff verloren geht. Die Berufsbildung Post plädiert für pragmatische Lösungen und hat mit diesen bereits gute Erfahrungen gesammelt. Gerade in der mehrsprachigen Schweiz bieten sich hier einzigartige Möglichkeiten. In allen Sprachregionen der Schweiz werden dieselben Inhalte vermittelt. Lernende an der Sprachgrenze können beispielsweise einige Tage pro Woche in der anderen Sprachregion arbeiten und den Unterricht in ihrer Muttersprache an der Berufsfachschule am ursprünglichen Lernort besuchen. Diese Art von Austausch könnte auch während einem oder Vincent van Gogh, Le postier Joseph Roulin, 1888. 30 Babylonia 02/13 | babylonia.ch mehreren Semestern stattfinden, ohne die Erreichung der Lernziele zu gefährden. Eine Lernende aus Solothurn hätte keinerlei Mühe, den Unterricht an der Berufsfachschule dort zu besuchen und während des Rests der Woche in Neuenburg zu leben, zu arbeiten und in die französische Kultur einzutauchen. Die Fahrt mit dem ICN von Solothurn nach Neuenburg dauert lediglich 33 Minuten. Ein Austausch im Ausland wird in der Regel während der Ferien der Berufsfachschule organisiert, damit es keine Konflikte mit dem Ausbildungsprogramm der Lernenden gibt. Die Berufsbildung Post engagiert sich Die Berufsbildung Post engagiert sich auch künftig dafür, dass ihre Lernenden noch vermehrt interkulturelle Erfahrungen sammeln, damit die entsprechenden Kompetenzen erhöhen und sich so Vorteile auf dem Arbeitsmarkt sichern können. Kilian Schreiber Jahrgang 1965, arbeitet als Projektleiter bei der Berufsbildung der Schweizerischen Post. In dieser Funktion hat er seit 2006 bedeutende Vorhaben in der schweizerischen Berufsbildungslandschaft geleitet. Nach seinem Studium der Geschichte und Politikwissenschaft war Kilian Schreiber ab 1993 zunächst im Kanton Bern bei Stadt und Kanton Bern tätig. Seit 1999 arbeitet Kilian Schreiber bei der Schweizerischen Post in verschiedenen Funktionen im Personalmanagement beziehungsweise in der Berufsbildung. Erfahrungen einer Lernenden Linda Jordi wohnt in Sigriswil und arbeitet in Thun. Sie ist 19-jährig und hat bereits Erfahrungen in La Chaux-de-Fonds und London gesammelt. Wir haben mit Linda Jordi gesprochen. Wie sind Sie auf die Idee gekommen, in einer anderen Sprachregion zu arbeiten? Unser Regionalleiter hat per Mail gefragt, wer einen Austausch in der Romandie machen will. Ich hatte sofort Interesse, von der französischen Seite wollte leider niemand nach Thun kommen. Schliesslich konnte ich in La Chaux-de-Fonds drei Wochen bei der Schwester eines Briefträgers aus unserem Team wohnen und bei der Post arbeiten. Was hat Ihnen der Aufenthalt gebracht? Es ist zuerst einmal eine tolle Erfahrung, sehen zu können, wie es die anderen machen. Ich habe ziemliche Unterschiede festgestellt, gerade auch im postalischen Geschäft. Zudem war es für mich auch eine willkommene Abwechslung in meiner Ausbildung. Dann haben Sie auch einen Einsatz in England gemacht? Ja, ich konnte für zwei Wochen bei der Post Konzerngesellschaft Swiss Post UK in London mitarbeiten. Auch das hat meinen Horizont erweitert und mir neue Einblicke und Bekanntschaften ermöglicht. Gearbeitet habe ich übrigens bei der BBC, der weltberühmten Radio- und Fernsehanstalt. Haben die drei- bzw. zweiwöchigen Aufenthalte auch Ihre Sprachkompetenzen verbessert? Auf jeden Fall. Ganz in der Sprachregion zu sein, nimmt einem die Hemmungen. Schulisch war ich in Englisch nicht sehr gut. Durch einen früheren zweimonatigen Aufenthalt in England konnte ich aber ziemlich fliessend Englisch sprechen und so waren interessante Gespräche möglich. Französisch spreche ich etwas weniger gut, aber wenn man vor Ort ist, bleibt einem nichts anderes als frisch von der Leber weg zu sprechen. Sie sind kurz vor Abschluss ihrer Berufsausbildung zur Logistikerin. Was haben Sie danach im Sinn? Ich kann 60 Prozent bei der Post weiterarbeiten und besuche während zweier Jahre die Berufsmaturitätsschule. 31 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Tema From curriculum to classroom: designing and delivering courses in workplace communication Patricia Pullin | Yverdon-les-Bains Cet article s’interroge sur l’intérêt d’adopter une approche systématique dans le développement de programmes d’études. Même si ce processus est de nature pratique, il fait aussi appel à la recherche sur le développement de programmes d’études, à l’enseignement et à l’apprentissage des langues ainsi qu’à la communication professionnelle. Le modèle que nous avons utilisé montre l’importance d’une analyse des besoins. Il implique initialement une analyse de la situation ou du contexte dans lequel l’enseignement aura lieu. Puis il la met en relation avec des questions à la fois locales et globales qui pourraient avoir un impact sur les besoins des apprenant-e-s, comme par exemple la diversité croissante sur le lieu de travail et le besoin qui en résulte de connaissance de soi et d’aptitude à s’adapter à d’autres cultures. Pour illustrer ce processus, on donnera des exemples concrets empruntés à deux cours de Workplace Communication donnés au Centre de langues de l’Université de Zürich et de l’EPFZ. Un cours s’adressait à des étudiant-e-s avec un bon niveau d’anglais mais pas d’expérience professionnelle. Le second regroupait du personnel spécialisé avec un anglais un peu rouillé mais qui éprouvait un besoin urgent de communiquer avec des étudiant-e-s ou des membres du personnel venant de contextes linguistico-culturels différents. Plus d’articles sur ce thème: www.babylonia.ch > Archives thématiques > Fiche 15 Introduction Drawing on examples from two courses in Workplace Communication that were run in 2012 at the Language Center of the University of Zurich and ETH Zurich, this article considers the practical benefits of taking a research-informed approach to course development. Workplace Communication is sometimes equated with Business English, however, these courses were for specialist staff in the ETHZ Safety, Security, Health and the Environment Unit (SSHE), and University and ETH students studying a range of subjects, but not necessarily business or economics. As neither a standard business curriculum nor published Business English teaching materials were appropriate to meet their needs, the courses were developed from scratch, based on a systematic and principled, research-informed approach to course development.The process, which has relevance to 32 Babylonia 02/13 | babylonia.ch the development of any course, involved drawing on published research on curriculum development and on research carried out on the use of languages in companies and other organisations. Adopting a research-informed approach does not mean that the teacher has to be a researcher, but s/he can draw on relevant research as and when necessary, thus gaining valuable and grounded insights into course design in terms of individual language learning and teaching, for example with regard to the importance of frequency in choosing lexis and of regularly recycling items taught. On another level, the employers’ perspective increasingly emphasises the need to work in teams, which implies having not only an adequate range and mastery of language, but also adaptability and sensitivity towards others based on an awareness of self and “different others” in a world of increasing diversity.The research is wide ranging, yet reference to just a few key publications can be helpful. In their short and straightforward book on the subject, Nation & Macalister (2010: 11) note that: “Curriculum design is in essence a practical activity”. As such, it is both relevant and accessible to hands-on teachers and although situations and needs differ from one context to another, the principles and process can be applied to the development of any course. Thus, to illustrate the generic process of curriculum design, I refer to a model for course development I derived from Richards (2001) and the work of a colleague at the University of Zurich Teaching and Learning Center, Balthasar Eugester. It is also worth considering terminology as the terms “curriculum” and “syllabus” are used differently in different contexts. In this article, “syllabus” refers to the content of a given course (Richards, 2001) and “Curriculum development” to “planning and implementation, from needs analysis, situation analysis, setting of aims and outcomes, course design, delivery and assessment.” (Ibid., 2001: 41). A principled Approach to Curriculum Development Adapted from Richards, J. (2001). Curriculum Development in Language and developed based on work with Bathazar Eugester, University of Zurich Hochschuldidaktik. Situation or Context Firstly, “Situation” or “Context” is often considered with regard to a specific workplace or group of learners. This is also the case here. However, given the considerable change in terms of globalization and resulting international mobility and diversity in the workplace, it is important to look beyond the immediate context and consider resulting implications concerning language use on a wider range of levels. In the case of the courses referred to here, relevant points include the use of English as a lingua franca in a multilingual context and immediate needs to use English effectively with colleagues from diverse linguistic and cultural backgrounds, for example from Asia. At an institutional level, quality initiatives both within the University and the Language Center encourage the development of courses based on empirical research. Courses and Participant Profiles The two courses comprised firstly, a tailor-made course, designed at the request of the Director of the ETHZ SSHE Unit. It was one of a number of courses provided for the Unit and included eighteen 1.5 hour sessions held in the organisation’s offices over a period of 18 months. Five members of staff followed the course and all were Swiss German. Apart from one person who spoke French and used it regularly in her work, the others used only English and German for their work. Each participant was a specialist in one of the unit’s fields of activity. Their work covered a range of activities including training provided on the use of dangerous chemicals, setting up security procedures, e.g. for the evacuation of buildings, developing and monitoring environmental policy and, in one case, working shifts as a security guard and dealing with incidents at the Alarm Center. All five participants in the class had a reasonably high level of English (B2.2-C1 on the Common European Framework of Reference - CEFR). They could all be described as “middle aged”, although covering a broad range of years! The second course was a course entitled “Advanced Workplace Communication” and was on the standard English programme for Bachelor and Master students at the Language Center.The course comprised fourteen weekly sessions over one semester. All of the students were C1 or C2 on the CEFR and most in their twenties. Their mother tongues or first languages included: German (both from Switzerland and Germany), Romansch, Lithuanian and Russian. Two were bilingual, German and Spanish, and German and Danish. Some, but not all, had work experience in a range of contexts, but only one had a professional background as a lawyer, before starting studying again. Of the 10 students analysed here, in the initial needs analyisis two mentioned one other language alongside English, but the majority gave three or four languages in addition to their mother tongues. The additional languages included French, Italian, Spanish and Russian. The students were mainly studying at Master’s level, although two were Bachelor students and their subjects included, Architecture, Business Administration, Chemistry and Business Administration, Economics, Law, Mathematics, Medicine and Political Science. This mix in itself provided many opportunities for interdisciplinary communication, in addition to considering cultural differences reflected in their backgrounds. Needs Analysis and Aims Nation & Macalister (2010) point out that needs analysis should consider what course participants already know and what they need to know to fulfill specific learning outcomes defined as a result of the analysis. A principled approach to course design should ensure that elements to be covered in the course are relevant and useful for the learners, thus also ensuring that return on time invested is profitable. Given the very different target groups in the courses included here, the approach to needs analysis was considerably different. The students assessed their own language level, using the CEFR or previous official examination results, e.g. Cambridge Proficiency, and enrolled on a voluntary basis, having read the detailed on-line description of the course. Needs analysis for the 33 Babylonia 02/13 | babylonia.ch student course was guided, firstly, by the teacher’s own research into workplace communication in companies, and teaching experience, and secondly, by published research on employers’ needs (e.g. Crossing & Ward, 2002). After the first lesson, the students were also given an opportunity to write about their linguistic and cultural backgrounds and give reasons for following the course. One example of reasons included the following: “My goal is not to speak perfectly English but the ability to understand people and be understood by people. This course is a wonderful opportunity to make a further step in that direction and also become more aware of the challenges related to nonEnglish speakers and multilingual workplace settings. Talking to Russian and Chinese students I’ve realised that I have less communication problems than native speakers who are not used to interact with non-native speakers.” The first step in the needs analysis for the ETHZ SSHE Unit involved interviewing the Director of the ETH Unit who gave an overview of the Unit’s needs and her expectations. The staff then took a commercial on-line placement test and filled in a questionnaire. A draft syllabus consisting of an outline of areas to cover was drawn up and fine-tuned after discussion with the participants at the first lesson. Whilst the students had little or no experience in the so-called “real world” and needed to focus on appropriate and effective communication in English, the ETH staff, as experienced communicators, used to dealing with difficult situations in an increasingly multicultural environment, had considerable sensitivity to “different others”, but needed to “brush up” and build on latent knowledge, expanding their range of language, notably to gain automaticity and confidence in using English. Based on the needs analyses, the following objectives were set: r IBWFFYQBOEFEUIFJSWPDBCVMBSZJOSFMBUJPOUPXPSLBOEJNQSPWFE their grammatical range and accuracy r IBWFJODSFBTFEBXBSFOFTTPGUIFJSTUSFOHUITBOEXFBLOFTTFTJOUFSNT of linguistic competence and communication skills, and be able to set further learning goals. Staff Course Learning Outcomes By the end of the course, participants will: r IBWFEFWFMPQFEëVFODZDPOêEFODFBOENPSFFĄFDUJWFDPNNVOJDBtion skills in spoken English r JODSFBTFEUIFJSBDDVSBDZBOEBXBSFOFTTPGBQQSPQSJBDZJOXSJUJOHF mails r CFBXBSFPGUIFJSTUSFOHUITBOEXFBLOFTTFTJO&OHMJTIBOECFDBQBCMF of setting and achieving further learning aims. The next step in the process was then Syllabus Design and Course Planning. Syllabus Design, Course Planning and Delivery Initially, a simple list of essential items was drawn up to comprise the syllabus. These were then ordered and developed into teaching units. Assessment can also be considered at this stage as it will relate to the teaching approach and course content. There are many different syllabus types, which may focus more or less on aspects of language such as grammar or lexis, or be based on functions or themes, or particular genres such as academic papers or business reports. Some syllabi also have tasks incorporated in them, although it is rare to find an entirely task-based syllabus. In fact, many syllabi are eclectic in that they draw on a number of threads to best meet the learners’ needs. In the case of the courses considered here, the student course was largely task-based with the whole course being organized around a project, which is described below. Nevertheless, there was a grammar thread (mainly dealt with as self-study outside the classroom), focusing on grammar points that tend to cause advanced learners problems, e.g. present perfect and simple past. Themes such as Teamwork, English as a lingua franca, and Corporate Culture were also on the syllabus list and practical activities such as conducting and participating in meetings and making telephone calls were included. Student Course Learning Outcomes By the end of the course, students will: r CFBCMFUPXSJUFTUSBJHIUGPSXBSEFNBJMTBOEFGfective, well structured reports r CFBCMFUPQMBOBOEEFMJWFSBQSFTFOUBUJPOJO English r IBWF HBJOFE DPOêEFODF JO VTJOH &OHMJTI JO communicating with people of different backgrounds and levels of hierarchy Gustave Caillebotte, Les peintres en bâtiment, 1877. 34 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Curriculum development, syllabus and course design is an area where practice can and should meet theory, without teaching staff feeling burdened by distant theorists, but where all can benefit. The staff course was more traditional in that there was a clear grammar thread that ran thoughout the course and grammar work was undertaken in class and regularly recycled. This was mainly as accuracy in written work was necessary, for example for texts appearing on the website. Vocabulary was also an important element in the course, particularly in developing automaticity. Work on presentations and practising participants’ own training sessions in class related to real productive needs, whilst also allowing the integration and practice of both grammar and lexis. The teacher provided texts relating to the participants’ fields of work, for example action in case of bomb threats or accidents in labs. These texts proved motivating and were used for discussions, jigsaw reading and summarizing activities. Wherever possible, authentic tasks were integrated into the course, e.g. writing and editing circular e-mails regarding safety training or health issues, and improving the website. In working on syllabi, it is important to avoid “cluttering”, i.e. being overambitious on what can be covered in the time available. Nation and Macalister (2010: 7) state that: “… it is important for the curriculum designer to keep some check on vocabulary, grammar and discourse to make sure that important items are being covered and repeated. Frequency is clearly important for lexis, as are lists of grammatical structures representing research findings on learning order. Richards (2001: 151) refers to “spiral sequencing”, noting that “This approach involves recycling of items to ensure that learners have repeated opportunities to learn them.” Two examples of differences in approach and activities in the two courses that resulted from different needs and participant profiles are outlined below. Firstly, a key thread running through the student course was the development of sociopragmatic and intercultural competence, including focus on self-awareness and the need to adapt to others. Socio-pragmatic competence can be related to Crystal’s (1997) definition of pragmatics: “… the study of language from the point of view of users, especially of the choices they make, the constraints they encounter in using language in social interaction and the effects their use of language has on other participants in the act of communication.” In the workplace, there are constraints, which students may be unaware of, for example with regard to hierarchy, and cultural differences relating to social norms or the different ways politeness is enacted. Seeing how such theoretical topics translated into practice was a particularly valuable aspect of the course. The Student Project It is notoriously difficult to enact truly authentic communication in a classroom, so the project was organized to give students access to professionals in a range of external contexts. These people were chosen and contacted by the teacher before the beginning of the course, and agreed to be interviewed by pairs of students. They included a medical doctor, a professor of economics, high-level administrative or technical staff, and executives from international companies. A journalist from ETHZ also made a presentation on interviewing people and presenting findings effectively. All external correspondence was reviewed by the teacher and different styles and approaches reviewed. The students were given complete freedom to conduct the interview, although the main focus was on the interviewees’ career paths and what the students could learn from them. Practical questions arose such as how to address the professor or whether to use first names with managers in international companies. Dealing with very busy high flyers meant that the stakes were high and this created a need to communicate appropriately and effectively, both in writing and orally. Individual Learning Plans for the Staff An important feature of the staff course was the development of individual self-study plans to help the participants to integrate English into their very busy daily lives and focus on the learning process in a systematic way. Having identified needs on an individual level and discussed the concept of individual learning plans and the learning process, the participants drew up their own plans based on the following underlying principles. The individual learning plans should be: r systematic: to allow regular extensive exposure to the language and regular opportunities to use the language and reflect on the learning process r individualized: to allow for differences in linguistic levels, backgrounds, and learning styles and preferences r ëFYJCMF to allow for periods when there is no time to open a book, but activities such as listening and work-related reading can be continued to allow for study in different places, e.g. listening in the car on the way to work or on public transport 35 Babylonia 02/13 | babylonia.ch r progress oriented: to create awareness of ways of measuring and reviewing progress, e.g. reading a difficult article or listening to a podcast once, and then again after a period of time to be able to gauge a difference in comprehension. The plans themselves included a range of very different approaches from formal timetables with time set aside at different periods for “study” during the week, for example to read a workrelated article and spend some time actively noticing and noting relevant and useful vocabulary, or working on grammar points in need of revision, to listening to audio books in the car during a 45-minute commute. Reading ranged from Harry Potter to specialist journals on security and the environment. University websites of similar organizations in both English and non-English speaking countries proved relevant and motivating. The learning plans tended to be overambitious at the outset, but after revision became an integral part of the participants’ lives. English almost became a hobby for two of the class members, who spent time in their holidays working on it.The plans were reviewed at the beginning of each lesson for a while and then just from time to time.They played an important role in the gradual, but considerable, progress that was achieved during the 18 months of lessons. Assessment and Evaluation In the staff course, there was no formal assessment, although regular mini-tests and exercises were given in class. Feedback on the course was positive, notably concerning the development of confidence and autonomy in using English for work. For the students, the oral assessment was a presentation of what they had learnt from their interviews. The written examination was in the form of a report. For a ‘mock’ test the students wrote a report to the teacher on the project. This required diplomacy in putting forward suggestions for improvement, whilst also emphasizing the strengths of the course. It gave valuable insights to the teacher, for example, many students initially failed to see the value of the project, and suggestions included clearer instructions, an overview of the process at the outset, and examples of outcomes. Still, all students felt they had learnt a lot from the projects, e.g. the value of writing and analyzing authentic e-mails and thus developing their own individual styles and sensitivity towards the reader. The final written test was a proposal nominating two lecturers or professors for an award for excellence in teaching. This was a topic they could all relate to and realistic in their context. Conclusions and further applications Finally, the process outlined here underlines the importance of identifying learners’ real needs, both in terms of language development and in relation to how they need or will need to use the language in authentic workplace contexts. In current times of change, curriculum development or renewal is an on-going process. Indeed, at the time of writing, the results of a major needs analysis at the University of Zurich and ETHZ Language Center are currently being analysed. This wideranging study included working with the HR Departments of both institutions regarding the needs of administrative and technical staff for workplace communication. In conclusion, curriculum development, syllabus and course design is an area where practice can and should meet theory, without teaching staff feeling burdened by distant theorists, yet where all can benefit. References Crystal, D. (ed.) (1997). The Cambridge Encyclopedia of Language (2nd ed.). New York: Cambridge University Press. Crossling, G. & Ward, I. (2002). Oral communication: the workplace needs and uses of business graduate employees. English for Specific Purposes, 21, 41-57. Nation, I. & Macalister, J. (2010). Language Curriculum Design. New York and Oxford: Routledge. Richards, J. (2001). Curriculum Development in Language Teaching. Cambridge: Cambridge University Press. Patricia Pullin Patricia Pullin’s background is in TESOL and she has a PhD in Applied Linguistics from the University of Birmingham. She is a discourse analyst and the focus of her research is interaction and politeness in workplace contexts. Until the end of 2012 she was Head of English at the Language Center of the University of Zurich and ETH Zurich, and is now Head of English and Co-ordinator for International Relations at the School of Business and Engineering Vaud, University of Applied Sciences Western Switzerland. She also works as a consultant in companies and jointly teaches a course on Teaching in English in non-English speaking environments for the University of Zurich Center for University Teaching and Learning. Eugène Atget, Chiffonier, 1899. 36 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Tema Berufsbildung: Mehrwert durch Austausch Tibor Bauder | Solothurn Pendant longtemps, la place de l’échange dans la formation professionnelle a été fonction des besoins de quelques professions. La situation a changé au cours de ces dernières années: l’échange est à présent considéré comme un facteur important de gestion ciblée de la capacité concurrentielle de la formation professionnelle et de l’économie. Depuis 2011, la mise en œuvre des échanges dans la formation professionnelle est partie intégrante de la mission de la Fondation ch pour la collaboration confédérale. Conjointement avec les partenaires de la formation professionnelle, la Fondation ch veille à ce que les apprentis soient en prise directe avec la réalité pratique dans une autre langue. L’intérêt ne cesse d’augmenter, au même titre que le nombre de projets gérés par la Fondation ch, en Suisse et à l’étranger. Les formateurs adoptent, quant à eux, une certaine retenue lorsqu’il s’agit de réalisation concrète: ils souhaitent en effet connaître l’utilité réelle de l’échange, tant pour eux que pour les entreprises. Pour promouvoir l’échange dans la formation professionnelle, il est indispensable de se pencher sur ces questions. L’article suivant montre comment la Fondation ch et ses partenaires y travaillent. La Fondation ch informe sur des projets d’échange réalisés; des formateurs expérimentés montrent la plus-value des échanges; informations pratiques à l’appui, p. ex. sur l’organisation de l’échange (forme, période, durée), la Fondation ch apporte un soutien plus poussé à la promotion des échanges. Plus d’articles sur ce thème: www.babylonia.ch > Archives thématiques > Fiches 13 et 15 1. Auf zum Austausch „Mir war es wichtig, dass unser Lernender eine Chance nutzt und seine fachlichen Kompetenzen, Sprach- und Menschenkenntnisse erweitert. Ich möchte durch die Austauschförderung von Lernenden das Berufsbild Fahrradmechaniker/ in sowie unseren Ausbildungsbetrieb attraktiver machen“1. Dieses Statement eines Berufsbildners enthält die zentralen Motive, die auch Verbundpartner2 der Berufsbildung auf interkantonaler und Bundesebene für die Unterstützung von Austausch3 nennen: Lernende sollen – auf freiwilliger Basis – ihre beruflichen, sprachlichen und kulturellen Kompetenzen während der beruflichen Grundbildung erweitern können. Lehrbetriebe, Berufe und die Berufsbildung ins- gesamt gewinnen mit Austauschangeboten an Attraktivität bei der Rekrutierung und Ausbildung des beruflichen Nachwuchses. Austausch soll allen Lernenden offenstehen und mit verschiedenen Zielen verbunden sein, wie z.B. Talentförderung, Motivationssteigerung für eine Fremdsprache sowie Belohnung für besonders engagierte Lernende. 1.1 Austausch in neuem Fokus Austausch in der Berufsbildung ist nicht neu. Aufenthalte in anderen Betrieben und Sprachgebieten sind in einigen Bildungsverordnungen verankert. Neu ist hingegen, dass Austausch in der Berufsbildung r CSFJUEJTLVUJFSUVOEBVGLBOUPOBMFSJOUFSLBOUPnaler und Bundesebene gefördert wird, basierend auf der eidgenössischen Berufsbildungsund Sprachengesetzgebung. r BMT XJDIUJHFS 'BLUPS HFOBOOU XJSE NJU EFN sich gezielt auf die Wettbewerbsfähigkeit der Berufsbildung und der Schweizer Wirtschaft hinarbeiten lässt. Berufsleute mit guten Sprachkenntnissen und Sensibilität für andere Kulturen sind gefragt. r (FTJDIUFS CFLPNNU ¾CFS &SGBISVOHFO WPO Lernenden und Berufsbildnern mit Austausch berichten Print- und Onlinemedien. Die Erlebnisberichte lenken die Aufmerksamkeit aufs Thema und unterstützen die Planung und Umsetzung von Austauschprojekten. Den Impuls gesetzt für diese Entwicklungen haben zwei parallele aber eng verzahnte Ereignisse im Jahr 2011: r 4FJUƇƅƆƆCFTUFIUEBT"OHFCPUEFSCJOOFOTUBBUlichen4 und europäischen Bildungs-, Berufsbildungs- und Jugendprogramme. Deren Umsetzung gehört zu den Aufgaben der ch Stiftung für eidgenössische Zusammenarbeit5. Für die Berufsbildung können die Angebote und 37 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Dienstleistungen der Programme Piaget6 (Austausch innerhalb der Schweiz) und Leonardo da Vinci (Austausch in Europa) genutzt werden. r %JF7FSCVOEQBSUOFSEFS#FSVGTCJMEVOHIBCFO sich anlässlich der Lehrstellenkonferenz 20117 darauf geeinigt, Austausch und Mobilität in der Berufsbildung zu fördern. Die Resultate von zwei Studien zum europäischen und binnenstaatlichen Austausch (SBFI 20138) dienten der Erarbeitung so genannter Stossrichtungen zur Förderung der Mobilität9. Die darin enthaltenen Massnahmen zur Umsetzung wurden von der Lehrstellenkonferenz 2012 verabschiedet und an der Verbundpartnertagung 2013 10 ausführlich diskutiert. Die zugrunde liegenden Leitgedanken sind auf einen langfristigen Prozess ausgerichtet, der eine Mobilitätskultur in der Berufsbildung befördern soll. Zur konkreten Umsetzung ist beim Bund ein Konzept in Arbeit.11 Die ch Stiftung bringt sich aktiv in die Förderung von Austausch in der Berufsbildung ein. Als Botschafterin für Austausch arbeitet sie mit den Verbundpartnern eng zusammen und ist in unterschiedlichen Gremien präsent. An Veranstaltungen, bei Präsentationen, in Publikationen usw., wirbt sie für Austausch. Das zeigt Wirkung: Die Thematik ist bei vielen Akteuren inzwischen gut bekannt und anerkannt. Die Zahl der Austausche in Europa und innerhalb der Schweiz nimmt zu. Die Erfahrungen engagierter Berufsbildner und Lernender stossen auf Interesse. Beispiele erfolgreich umgesetzter Austauschprojekte werden nachgefragt. 1.2 Gemischte Gefühle in der Berfusbildung Die Ergebnisse der erwähnten Studie zum binnenstaatlichen Austausch bestätigen das Interesse von 90% der erfassten Berufsbildner an Austausch für Lernende. Die Berfusbildner sind der Meinung, der Mehrwert des Arbeitsplatzwechsels in eine andere Sprachregion gehe weit über das Üben einer zweiten Landessprache hinaus. Gleichzeitig reagieren Berufsbildner zurückhaltend auf die direkte Frage: „Möchten Sie ein Austaschprojekt unterstützen?“ (SBFI 2013, 6). Das hat zwei Gründe: r #FUSJFCMJDIF7PSBVTTFU[VOHFO LÕOOFO FT FSschweren, Lernenden einen Aufenthalt in einer anderen Sprachregion zu ermöglichen oder Lernende aufzunehmen. Solche Gründe sind in der Studie des SBFI zum binnenstaatlichen Austausch ausführlich diskutiert. 38 Babylonia 02/13 | babylonia.ch r 'FIMFOEF&SGBISVOHNJU"VTUBVTDIMÅTTU#FSVGTCJMEOFS[ÕHFSO%JFT zeigen Fragen wie etwa:Welche Austauschangebote bestehen? Welche Unterstützung gibt es? Welche Ziele können mit Austausch verbunden und erreicht werden? Wie ist Austausch mit dem engen zeitlichen Rahmen der beruflichen Grundbildung vereinbar? Wie lässt sich Austausch organisieren? Immer wieder genannt wird eine Frage, die klare Erwartungen signalisiert: In welchem Verhältnis stehen Aufwand und Ertrag für Lernende und Betriebe? Oder: Was hat der Betrieb von seinem Engagement für Austausch? Bei genauem Hinsehen muss das Interesse an Austausch zunächst als Interesse an der Klärung der eben genannten Fragen gelesen werden. Der Artikel zeigt nachfolgend an drei aktuellen Entwicklungen, wie Austauschförderung seit 2011 die Information und Unterstützung für Berufsbildungsverantwortliche verbessert: r Sensibilisierung und Netzwerk: Das zunehmende Engagement der Kantone fördert die Sensibilisierung für Austausch nahe an der Praxis und den Bedürfnissen der Berufsbildner. Austausch wird verstärkt zum Thema der inter- und intrakantonalen Zusammenarbeit. r Umsetzung und Mehrwert: Aufbereitete Praxisbeispiele belegen die Umsetzbarkeit von Austausch in der Berufsbildung und zeigen den Mehrwert für Lernende und Betriebe auf. r Werkzeugkiste: Der Ausbau einer Sammlung von erfahrungsbasierten Unterlagen unterstützt Berufsbildner und Lernende bei der Vorbereitung und Umsetzung von Austausch. Im Fokus der folgenden Ausführungen ist die nachgewiesene grosse Zahl v.a. von Berufsbildnern in Lehrbetrieben, die über keine eigenen Erfahrungen mit Austausch in der Berufsbildung verfügen, deren betriebliche Voraussetzungen ein Engagement aber erlauben würden. Ihnen gegenüber stehen Berufsbildner, die seit Jahren v.a. sprachregional etablierte Angebote nutzen (z.B. xchange), auf die in diesem Beitrag nicht eingegangen werden kann. Lehrpersonen an Berufsfachschulen haben eine wichtige Rolle bei der Information von Lernenden und bei der Unterstützung von Austauschprojekten. Der Artikel stützt sich auf Austauschbeispiele aus der Schweiz und orientiert sich in erster Linie an den Unterstützungsbedürfnissen für die Umsetzung von Austausch zwischen den Sprachregionen im Lande. Je nach Destination kann die Bewertung der Frage von Aufwand und Nutzen unterschiedlich ausfallen, zumal die Vorbereitung bzw. das Antragsverfahren für Austauschprojekte mit europäischen Partnern spezifischen Support erfordern. Abgesehen davon können die folgenden Überlegungen auch Berufsbildungsverantwortliche ansprechen, die an Austauschprojekten ausserhalb des Landes interessiert sind. Der Kasten im Anschluss an diesen Artikel geht speziell auf die Möglichkeiten für Austausch in Europa ein. 2. Sensibilisierung und Netzwerk: Ausrichtung auf die Bedürfnisse in der Praxis Die Entwicklungen auf interkantonaler und nationaler Ebene sowie die zunehmende Austauschdynamik in der Berufsbildungspraxis ver- Was hat der Betrieb von seinem Engagement für Austausch? anlasst Kantone zu unterschiedlichen Massnahmen: Einige Kantone (z.B. Luzern, Zürich) arbeiten an entsprechenden Konzepten. Andere Kantone haben die Zuständigkeit für das Austauschdossier von den Bildungsdepartementen an die für Berufsbildung zuständigen Ämter delegiert. Damit soll den spezifischen Bedürfnissen der Bildungsstufen Rechnung getragen werden. Wenige Kantone profitieren von eigenen Fachstellen für Austausch. Als interkantonale Organisation unterstützt die ch Stiftung die Kantone aktiv, denn sie nehmen bei der Förderung von Austausch in der Berufsbildung aus verschiedenen Gründen eine Schlüsselrolle ein: r %JF,BOUPOFMFOLFOEJF"VGNFSLsamkeit der Berufsbildungsverantwortlichen auf das Austauschthema. r %JF4FOTJCJMJTJFSVOHEFS#FSVGTCJMEner und Lehrpersonen ist wichtig: Berufsbildungsverantwortliche informieren den beruflichen Nachwuchs über Angebote. Sie motivieren die Lernenden. Sie unterstützen die Vorbereitung und Umsetzung von Austauschprojekten. r %JF "VTUBVTDIGÕSEFSVOH JO EFO Kantonen verlagert den Fokus von strategischen Überlegungen auf die konkrete Umsetzung. Abgestimmt auf kantonale Gegebenheiten und lokale Bedürfnisse können Schwerpunkte gesetzt werden. In den Zuständigen Ämtern sind Ansprechpersonen benannt, die die Anliegen der Berufsbildungsverantwortlichen vor Ort kennen. r *OGPSNBUJPOVOE#FSBUVOHLÕOOFO dezentral über eingespielte Netzwerke und vertraute Kommunikationskanäle erfolgen. Dies ist für die Unterstützung von Austauschprojekten in der Schweiz und in Europa zentral. r /JDIU[VMFU[UFOUTUFIUEVSDILBOUPnale und lokale Vernetzung wichtiges Knowhow rund um Austausch. Erfahrene und interessierte Berufsbildner sowie Lernende können in Kontakt treten, über sprachliche, kantonale und Landesgrenzen hinweg. 3. Umsetzung und Mehrwert: Austausch bringt Nutzen Werden Berufsbildner zum ersten Mal mit der Frage konfrontiert, ob sie einen Lernenden aus einer anderen Sprachregion in ihrem Betrieb aufnehmen, ist die Reaktion meistens zurückhaltend. Dass Lernende im Austausch ihre fachlichen und sprachlichen Kompetenzen erweitern und Selbständigkeit entwickeln, ist weitgehend unbestritten. Jedoch besteht v.a. Zweifel am Mehrwert für den Betrieb: Was bleibt dem Betrieb, wenn der Gast wieder abgereist ist? Zudem fehlt vielen Berufsbildnern der gesicherte Nachweis der Umsetzbarkeit. Die Zurückhaltung der Berufsbildner ist teilweise auch persönlich begründet. Eine Berufsbildnerin, die aufgrund ihrer Fremdsprachenkenntnisse unsicher ist, ob sie die Lernende aus der Romandie betreuen kann, ist erleichtert, dass die Kommunikation in Deutsch möglich ist. Berufsbildner, die das Experiment zum ersten Mal wagten, einen Lernenden in ihrem Betrieb aufzunehmen und zu betreuen, ziehen am Ende mehrheitlich eine positive Bilanz. Mit anderen Worten: Der Mehrwert stellt sich mit der Umsetzung ein, rechtfertigt den Aufwand und schmälert die Skepsis. Was benennen Berufsbildner bei der Auswertung von Austauschprojekten konkret als Mehrwert für den Betrieb? Sie begrüssen die Abwechslung von der Routine, die der Aufenthalt eines Gastes mit sich bringt. Die eigenen Lernenden und Mitarbeitenden interessieren sich für den Gast, stellen Unterschiede zwischen der Herkunftsund Gastregion fest und bauen Vorurteile ab. Die daraus entstehende Dynamik in der Belegschaft stärkt die Motivation und den betrieblichen Zusammenhalt. Berufsbildner interessieren sich insbesondere für die betrieblichen Unterschiede und vergleichen Ausbildungsinhalte und -organisation. Dies regt zu Reflexionen und allenfalls Anpassung des eigenen Vorgehens an. Reaktionen von Kunden und Geschäftspartnern die das Engagement anerkennen, fördern das Image und tragen zum positiven Fazit bei. Lernende kehrend aus dem Austausch motiviert in ihren Lehrbetrieb zurück, ihre Leistungsbereitschaft steigt, sie sind persönlich gereift und können flexibler eingestzt werden, z.B. bei Kontakten mit fremdsprachigen Geschäftspartnern oder Kunden. Die Diskussion zum Mehrwert liesse sich anhand weiterer betriebsbezogener Statements fortsetzen. Deutlich wird aus den Beispielen: Betriebe profitieren von Austausch. Ob Austausch aus Imagegründen zu unterstützen oder damit die Attraktivität des Betriebs für leistungsfähigen beruflichen Nachwuchs (Stichwort Talentförderung) zu steigern, zum Erfolg führt, wird sich in Zukunft zeigen. 4. Werkzeugkiste: Erfahrungsbasierte Unterstützung für Projekte In der Diskussion mit Verbundpartnern und Berufsbildungsverantwortlichen wird oft der Wunsch nach unterstützenden Dokumenten geäussert. Gemeint ist eine Art „Werkzeugkiste“, die Instrumente enthält, um Projekte zu zimmern. Exemplarisch wird nachfolgend auf zwei Instrumente eingegangen: Praxisbeispiele und Austauschmodelle. 4.1 Praxisbeispiele: Umgesetzte Projekte verbreiten Praxisnahe Umsetzungsbeispiele in aufbereiteter Form – beispielsweise bebilderte Berichte über umgesetzte Austauschprojekte mit eingearbeiteten Statements der Beteiligten (z.B. Lernende, Berufsbildner im Lehr- und Gastbetrieb, allenfalls Gasteltern) – werden als nützliche Unterstützung geschätzt. Sie finden vor allem dann Beachtung, wenn sie berufsspezifisch glaubhaft machen, dass Austausch in der beruflichen Grundbildung praktikabel ist. Zu einzelnen umgesetzten Projekten innerhalb der Schweiz ste- 39 Babylonia 02/13 | babylonia.ch hen Praxisbeispiele online12 zur Verfügung. Lernende sowie Berufsbildner aus Lehr- und Gastbetrieben berichten über ihre Ziele und Erfahrungen mit Austausch, schildern Schwierigkeiten und zeigen den Mehrwert auf. Künftig könnten in den Projekten erprobte Hilfsmittel von Lernenden und Berufsbildnern sowie Projektprodukte (z.B. Zielvorgaben für Lernende,Vereinbarungen zwischen Lehr- und Gastbetrieben, Reportings von Lernenden und Arbeitsaufträge und -ergebnisse) die Erlebnisberichte ergänzen. Klar ist: Gute Praxisbeispiele entstehen nur durch Umsetzung von Austausch. Eindeutig ist ebenso, dass der Informationsgehalt publizierter Austauschbeispiele begrenzt ist. Sie können Aufmerksamkeit wecken, zu Projekten anregen, Ziele aufzeigen und den Mehrwert verdeutlichen. Es kann aber auch sein, dass Beispiele mehr Fragen aufwerfen als klären, v.a. bezüglich der konkreten Organisation. 4.2 Austauschmodelle Die ch Stiftung erarbeitet derzeit – mit Unterstützung von Berufsbildnern und Lehrpersonen – so genannte Austauschmodelle. Es handelt sich um schriftliche Unterlagen, die Interessierten in Zukunft helfen sollen, Projekte zu planen, umzusetzen und auszuwerten. Die Arbeit basiert auf Gesprächen mit Austauschinteressierten und -erfahrenen. Konkret enthalten die Modelle Basisinformationen zur Organisation von Austausch (Form, Zeitraum, Dauer), zu Zielen und Mehrwert für Lernende und Berufsbildner bzw. Betriebe sowie zum Aufwand für die Beteiligten. Auf dieser Grundlage sollen die Modelle nach betrieblichen, beruflichen und individuellen Voraussetzungen angepasst und erweitert werden können. In einem nächsten Schritt wird im Rahmen von Projekten die Praxistauglichkeit der Modelle geprüft. 5. Fazit und Ausblick Das Ziel der Verbundpartner, Austausch in der Berufsbildung zu fördern, schliesst die Entwicklung einer Austauschkultur (BBT 201213) in der Berufsbildung ein. Ist mit Austauschkultur gemeint, dass Austausch umgesetzt und weiterentwickelt wird, so zeigt dieser Artikel, dass wichtige Etappen zum Kulturaufbau erreicht sind: Rahmenbedingungen werden geschaffen, Informationen zu Angeboten und Dienstleistungen verbreitet, Umsetzungsbeispiele zugänglich gemacht und Support zusammen mit Berufsbildungsverantwortlichen erarbeitet. Der Mehrwert für Lernende ist unbestritten und die Verbindung zur Wettbewerbsfähigkeit von Berufsbildung und Wirtschaft einleuchtend. Die Frage nach dem Mehrwert für Betriebe muss weiter diskutiert werden. Unter welchen Voraussetzungen profitieren Betriebe? Wie kann Austausch Betrieben einen nachhaltigen Mehrwert bringen? Zentrale Schritte zu Antworten auf diese und andere drängende Fragen sind nicht getan. Zwei Beispiele: r %JFXFJUFSPCFOFSXÅIOUF4UVEJFEFT4#'*[VNCJOOFOTUBBUMJDIFO Austausch geht jährlich von 300 bis 1200 Lernenden aus, die einen Austausch absolvieren (SBFI 201314: 24). Die grosse Spanne zwischen den Werten verweist auf eine grobe Schätzung. Eine systema40 Babylonia 02/13 | babylonia.ch tische quantitative und qualitative Erfassung von Austausch in der Berufsbildung gibt es bisher nicht. Ein breiteres Wissen über Ziele, Organisation und Ergebnisse käme dem Support von Austausch zugute. r *N 6OUFSTDIJFE [VS PCMJHBUPSJTDIFO 4DIVMF sind Vernetzungsmöglichkeiten zum Austauschthema in der Berufsbildung kaum gegeben. Es existiert keine Begegnungsplattform, die es ermöglicht, Erfahrungen zu diskutieren, Anregungen entgegenzunehmen, Impulse zu geben und Partner für Austauschprojekte zu finden. Der Schlüssel zu wichtigen Erkenntnissen für die Förderung von Austausch sind Umsetzungsbeispiele. Das Einstiegszitat zu diesem Artikel steht für den Mut dem beruflichen Nachwuchs neue Anreize zu bieten, Austausch zu erproben und die Erfahrungen zu teilen. Auf zum Austausch! Anmerkungen Das Zitat stammt aus der Nachbereitung eines Austauschprojekts, das mit Unterstützung der ch Stiftung zustande kam. Die ch Stiftung hat den Gastbetrieb und die Unterkunft vermittelt. Zu den Erfahrungen der Verantwortlichen im Lehr- und im Gastbetriebs sind unter dem Titel „Berufsbildung:Yverdon–Zürich“ Interviews nachzulesen, unter www.ch-go.ch/nc (Suchbegriff:Yverdon). 2 Zur Erklärung des Begriffs „Verbundpartner“ siehe: www.lex.dbk.ch (Suchbegriff: Verbundpartnerschaft) und: Staatssekretariat für Bildung, Forschung und Innovation (2013): Fakten und Zahlen. Berufsbildung in der Schweiz 2013. Bern: SBFI, S. 6f., Quelle: http://www.berufsbildung.ch/dyn/2777 (Stand: 27.6.13). 3 In diesem Artikel meint der Begriff „Austausch“ den zeitlich beschränkten Aufenthalt von Lernenden der beruflichen Grundbildung in einem Ausbildungsbetrieb einer anderen Sprachregion im In- oder Ausland. Zur Zeit ist Austausch kein klar umrissener Begriff. Oft wird Austausch zusammen mit Mobilität als Begriffspaar verwendet und sein Mehrwert in Zusammenhang mit Sprachenlernen betont. In diesem Artikel wird v.a. der Begriff „Austausch“ verwendet, weil er im Unterschied zu Mobilität die persönliche Auseinandersetzung von Lernenden mit anderen Betrieben, Sprachen und Umgebungen am Austauschort betont. 4 Der binnenstaatliche Austausch kennzeichnet den Austausch zwischen den Sprachregionen der Schweiz. 5 Als interkantonale Organisation aller 26 Kantone 1967 zum Zweck der Zusammenarbeit und Verständigung zwischen den Sprachgemeinschaften gegründet, fördert und unterstützt die ch Stiftung seit 1976 den binnenstaatlichen und internationalen (Jugend-)Austausch. 1 Leonardo da Vinci – das europäische Berufsbildungsprogramm Die ch Stiftung bietet für den Austausch in der Schweiz die Programme „Piaget – Lehrstellentausch“ und „Piaget – Offene Stellen“ an. Letzteres richtet sich an Lehr- und Hochschulabgänger, die arbeitslos gemeldet sind. Sie absolvieren während maximal sechs Monaten ein Berufspraktikum in einer anderen Sprachregion der Schweiz (siehe www.ch-go.ch/piaget-offenestellen). 7 Konkrete Massnahmen zur Förderung der beruflichen Mobilität, siehe: www.sbfi.admin.ch/aktuell/medien/00483/00594/index.html?lang=de&msg-id=42373 (Stand: 27.6.13). 8 Staatssekretariat für Bildung, Forschung und Innovation (2013): Binnenstaatliche Sprachaustausche und Mobilität in der beruflichen Grundbildung. Bericht über die Bestandsaufnahme. Bern: SBFI, Quelle: http://www.sbfi.admin.ch/berufsbildung/01501/01503/index.html?lang=de (Stand: 27.6.13). 9 Bundesamt für Berufsbildung und Technologie (2012): Stossrichtungen zur Förderung der Mobilitätsaktivitäten und des schulischen Fremdsprachenerwerbs in der Berufsbildung. Bern: BBT, Quelle: www.sbfi.admin.ch/berufsbildung/01511/01773/index.html?lang=de (Stand: 27.6.13). 10 Siehe Fussnote 7. 11 Siehe dazu den Beitrag von Bettina Bichsel in diesem Heft. 12 Beispiele unter: www.ch-go.ch/nc (Suchbegriff: Piaget) (Stand: 27.6.13). 13 Bundesamt für Berufsbildung und Technologie (2012): Stossrichtungen zur Förderung der Mobilitätsaktivitäten und des schulischen Fremdsprachenerwerbs in der Berufsbildung. Bern: BBT, S. 7, Quelle: www.sbfi.admin.ch/ berufsbildung/01511/01773/index.html?lang=de (Stand: 27.6.13). 14 Siehe Fussnote 7. 6 Tibor Bauder Lic. phil. Tibor Bauder ist seit 2011 Programmleiter Berufsbildung bei der ch Stiftung für eidgenössische Zusammenarbeit. Nach der Ausbildung zum Primarlehrer hat er Erziehungswissenschaft, Geschichte und Politik studiert. Als Assistent am Institut für Erziehungswissenschaft der Universität Bern und im Forschungsteam am Leading House «Professional Mind» (Zentrums für Berufsbildungsforschung an der Universität Freiburg, CH) hat er zu Fragen der Geschichte und Qualität der Berufsbildung geforscht. In einer globalisierten Arbeitswelt werden Sprachkenntnisse zunehmend wichtiger. Erste Berufsschulen, z.B. in Zürich und Luzern, konnten in den letzten zehn Jahren Erfahrungen sammeln und bieten vereinzelt zweisprachige Ausbildungsgänge an. Mit dem europäischen Berufsbildungsprogramm Leonardo da Vinci, an welchem die Schweiz seit 2011 teilnimmt, bestehen neue Möglichkeiten zur Sprachenförderung. Das Programm bietet sämtlichen Einrichtungen der Berufsbildung die Möglichkeit, Mobilitäts- und Kooperationsprojekte durchzuführen und für deren Umsetzung Fördergelder zu beantragen. Gerade Mobilitätsprojekte sind ideal, um das Sprachniveau der Lernenden anzuheben und sie neu zu motivieren. Dieses Angebot wurde und wird von einigen Berufsbildungseinrichtungen genutzt – mit ausnehmend guten Erfahrungen. Um die Arbeitsmarktfähigkeit der jungen Tessiner/-innen dauerhaft zu steigern, hat der Kanton bereits in den 90er Jahren die Fachstelle Lingue e stage all’estero geschaffen. Diese organisiert in Zusammenarbeit mit verschiedenen Tessiner Berufsschulen 4-26wöchige Auslandaufenthalte im Rahmen des Programms Leonardo da Vinci. Die Aufenthalte bestehen jeweils aus einem Sprachkurs vor Ort sowie einem Praktikum. Im Falle der Langzeitaufenthalte handelt es sich um Pflichtpraktika im Rahmen der zweisprachigen Berufsmatura, ohne die die Ausbildung keine Gültigkeit hat. Auch der Kanton Jura engagiert sich mit diversen Projekten für die Mobilität und gute Fremdsprachenkenntnisse. Um ihnen den Einstieg ins Arbeitsleben zu vereinfachen, vermittelt der Service de la Coopération beispielsweise stellensuchenden KV-Abgängern/-innen Praktikumsstellen in Deutschland oder England. Dank dieser zusätzlichen Arbeitserfahrung und der verbesserten Sprachkenntnisse fällt die Stellensuche in der Schweiz deutlich einfacher aus. Der Aufbau und die Durchführung von Mobilitätsprojekten für Lernende in der Berufsbildung sind zweifellos anspruchsvoll. Damit die Teilnehmenden optimal von ihren Aufenthalten profitieren können, ist eine gute Vorbereitung unabdingbar. In sprachlicher und kultureller Hinsicht steht mit VOCAL (Vocationally Oriented Culture and Language) ein äusserst hilfreiches Gratisinstrument zur Verfügung: Auf der Webseite können Lernende anhand von neun Schlüsselthemen ihren Auslandaufenthalt vorbereiten, virtuelle Reisen vornehmen und dank interaktiven Quiz ihren Wissenstand überprüfen. Für weitere Informationen zu Mobilitätsprojekten mit sprachlichem Fokus: Henriette Graf, Projektkoordinatorin Leonardo da Vinci [email protected], 032 346 18 71. www.chstiftung.ch www.ch-go.ch Zum VOCAL Projekt: www.vocalproject.eu 41 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Das Interview: P.G. und T.F., zwei moderne Lehrlinge auf Wanderschaft (ein Zeitdokument) Das nahe Elsass gehört zur Grossagglomeration Basels und ist für deutschsprachige Lehrlinge aus der Schweiz oder Deutschland gleich um die Ecke. Deshalb bietet es sich ihnen problemlos für Stages im benachbarten Land an. P. G und T. F. sind Lehrlinge, die die Gelegenheit zu einer solchen Erfahrung ergriffen haben. Sie erzählen wie sie das Praktikum und die sich ihnen eröffnende Sprachenwelt erlebten. Die Interviews wurden im Rahmen des Projekts Dylan (vgl. dazu den Beitrag von G. Lüdi in diesem Heft) aufgenommen. Um die Authentizität und alle Finessen zu wahren, veröffentlichen wir Ausschnitte davon in der transkribierten Originalform auf Basler Deutsch (die Originale sind online verfügbar). Der Text wird den LeserInnen einiges abfordern, aber die Mühe lohnt sich allemal, denn man erhält einen Einblick in eine zwar nicht repräsentative aber dennoch typische Vorstellung der Sprachen, wie sie in der Denkwelt von Jugendlichen sehr verbreitet sein dürfte. Deutsch, Englisch und Französisch treffen sich an der Kreuzung von Arbeitsplatz, Schule und Alltag auf äusserst spannende Weise. Das Interview mit P.G. Interviewer I: Stelle Sie sich doch ganz churz emol vor, was für en Usbildig Sie mache, wär Sie sin. PG: Ich bi de Philipp Geiser, chum jetz denn ins vierte Lehrjohr als Elektroniker. I schaff jetz in ere Abteilig. Mer baue Teschtg’rät für uns’ri Mässg’rät, wo mer härstelle in de Produktion, eifach so Zwüscheteschts mache. (...) Interviewer I: Ok. Wie gseht’s us mit de Sproche? Was für Sproche händ Sie g’lehrt? In dr Schuel oder sunscht nöime? PG: Jo, halt Schwizerdütsch und Hochdütsch, ((do)) han i immer Problem g’ha in dr Schuel, aber s’goht au guet, und Änglisch han i sehr Int’rässe dra. Und denn au in Frankrich han i Änglisch g’lehrt. Statt Französisch. ((lachen)) mit Französisch chan i gar nüt afo. Interviewer I: Händ Sie das emol g’lehrt g’ha aber au i dr Schuel? PG: Jo, au in dr Schu- in de Schuel hämmer ebe Französisch un Ä- und Änglisch g’ha. Aber denn isch ähm isch’s Wahlfach worde. Me cha eifach eins uswähle. Han i Änglisch g’noh. PG: Jo. ((rire fort)) Interviewer I: Wie isch das gsi, isch das obligatorisch gsi für Sie, das Praktikum in Huningue z’machen? Oder händ Sie do sich chönne sälber dezue entscheide, dass Sie das möchte? PG: Jo, eigentlich isch’s jo bi uns, aso, mir DÖr- fe das mache. Und ich bi au gärn gange. Trotzdäm halt wäge de Sproch z’erscht het’s mi e chli ag’schisse. Und nochher han i g’merkt, dass es wü- mit em Änglisch cha drii goh.+ ((rire)) Und au d’Lüt sin nätt gsi., nachene het’s mr g’falle. Aber so z’erscht wäge de Sproch han i scho chli Schiss g’ha. Was söll i döt in Frankrich? Cha kä Wort Französisch. Alles verlehrt, won i e bitzli g’lernt ha. Jo, de erschti Tag isch e chli, jo s’schlimmschte gsi. ((rire)) Jo z’erscht, die händ gar nid g’wüsst, dass ich gar kä Französisch cha. Nochene het’s emol son e Präsentation händ sie z’erscht welle mache. Und dänn händ sie g’merkt, ich cha gar kä Französisch. S› isch non e and’re döt gsi. Het er eifach mit däm d’Präsentation g’macht. E Franzos. Nachene bin i zum ene and’re gange, han i müesse warte, und ha sind ä chli überefo- überforderet gsi, wül i d’Sproch nid beherrscht ha. Interviewer I: Mmh. Händ Sie’s denn probiert döt mit Französisch mol, wo Sie döt ane cho sin? PG: jo bonjour, sunscht ich cha nid vil. Interviewer I: Und wie isch denn das witer gange, händ Sie’s uf Änglisch probiert? Oder uf Dütsch]? Oder PG: Jo, uf Änglisch und, jo, Dütsch het händ sie au e bitzli chönne, e paar. Hän’s au bitzli im Griff. Interviewer II: Bevor Sie det ane gange sind, händ Sie nid wenigschtens eso, di- ebe, die Begrüessigsformle no einisch ag’lueget? Aso Sie händ sich überhaupt nöd vorbereitet? PG: Nei, überhaupt nid ((sourire)). (...) Interviewer I: Mmh. Mit was für Lüt händ Sie denn döt Kontakt g’ha? PG: Mit ding, mit Servicetechniker, wo d’G’rät Interviewer I: Ok. Und mit Hochdütsch goht’s jetzt besser? PG: Jo, tiptop eigentlech jetz. Aber friehner extremi Schwierigkeite. Interviewer II: Händ Sie das bewusst usg’wählt, Änglisch statt Französisch? Was isch do de Grund gsi? PG: Jo, mir g’fallt die Sproch eifach nid, Französisch. Und au die gan- repariere. Es paar. ze aigus und so; und ich weiss nid, was ich mit dere Sproch söll. Mit Änglisch cha me do international au im Internet und so. Und Französisch chasch nie bruche. um, und mit däm han i immer ä chli Änglisch g’redet. Und denn het er ä chli Dütsch. Denn het er mängisch paar Wörter verdrüllt in Dütsch. Aso ich ha’s denn äh in Änglisch versu- Interviewer II: Usser, wänn Sie uf Huningue gönd, oder? 42 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Interviewer I: Und mit dene händ Sie hauptsächlech ebe Änglisch kommuniziert? Oder au no Dütsch? PG: Jo, eine isch am Dütsch lerne no, so Studi- echt, denn han i’s vilicht nid grad s- g’schafft, denn han i’s Dütsch versuecht. Denn het är’s aber ä chli falsch verstande, will är d’Wörter verdrüllt het. Das isch immer witzig gsi. (...) Interviewer I: Was isch für Sie so dr persönlichi G’wünn vo däm Praktikum? PG: Mmh,+ d’Steigerig vom Änglisch. Und, jo, s’isch halt ä scho mol toll, dass me öppis ander g’seh het. Und au tolli Lüt kenneg’lernt. (...) Interviewer II: Sie händ g’seit g’ha, eine vo de Vorteil sig, oder eine vo de G’wünn sig gsi, dass Sie besser Änglisch chönned jetzte. Spilt Änglisch dänn do in Rinach e Rollen i Ihrem Arbetsalltag? PG: Mmh, do jetz nid würklech. Nei. Usser jetz vilicht ganz e bitzli, jetzt (wän) sie alli PCs uf Änglisch installiere neuerdings. Eifach so international. Un äh halt d’Grundbegriff isch halt scho guet, wemme die im Griff het. KH: Und das wird jetzt au durch s’Änglisch an dr Schuel no vertieft? TF: Jo, wobi das isch eher technischs Änglisch, Fachbegriff. KH: Und wo wärde Sie Ihres Praktikum absolviere? TF: Ich wird, also ab nägst Wuche :bin ich z’Frankrich. KH: Hän Sie sich jetzt irgendwie speziell vorbereitet uf dä [Ufenthalt?] TF: [Nei.] ((sourire)) Nei. KH: Het me Ihne gseit gha, dass Sie müend e Bricht zum Bispiel schribe während em Praktikum, wo Sie nochär müend abgä, oder? TF: E Bricht weissi grad nit. Aber ich glaub nit, also ich ha no nüt ghört vomene Bricht wo ich müsst mache. Was ich aber ghört ha und was au ufem Plan stoht isch, dass me am Änd vo dere Arbeit dört mues me uf Französisch e Präsentation mache über die Arbeit, was me dört gmacht het und das eifach vorstelle. KH: Traue Sie sich das zue? TF: Äh i dänk scho. MG: Also uf was freue Sie sich oder uf was ebe eher nit? °Also.° TF: Ähm (1) Schwierig. Also irgendwie bini gspannt, was uf mi zue chunnt eso, uf die ander Art ((sourire)) e kli Französisch lerne und so, also Französisch rede bini no unsicher °und so jo eifach, wird scho irgendwie go.° Interviewer I: Mmh. Aber mündlich bruche Sie’s nid? PG: +Mmh,+ nä. MG: Isch e chli e Herusforderig, he? TF: jä KH: Ok. Wie isch es so allgemein jetzt bi Ihrem aktuelle Arbeitsplatz, bruche Sie do Fremdsproche bi dr Arbeit? TF: Ähm Änglisch bruch ich, also. Dört wo ich jetzt bi isch Änglisch Interview mit T.F. – Einige Tage vor dem Stage eigentlich Standardsproch. (...) TF: Ä:h ich heisse Tim Fink und mach e Elektronikerlehr. Do im Baselland, bi im dritte Lehrjohr. KH: Vor was hän Sie am meiste Angst oder was hän Sie s’Gfühl isch die grösti Herusforderig, wenn Sie jetzt nägst Wuche in Frankrich sin? TF: Ähm (3) Die grösst Herusforderig dänk ich wird d’Sproch si. KH: Ok. Und ehm was für Sproche chönne Sie? Wo hän Sie die glernt? TF:Ich ka vo dr Schuel här chli Französisch, han Also vor allem zum Bispiel wenn me öppis sage wot oder so oder öpper erklärt einem öppis und me verstoht’s zum Bispiel irgendwie nit, will’s halt eifach so ze- vil Fremdwörter het, wo me nit kennt, wo me halt eifach vom Sinn här nit verstoht. °Das (isch’s so)° und ähm oder me probiert’s irgendwie z’sage und nochär fallt eim grad s’Wort nit i ((sourire)) und weiss nit wie witer jo. ich glaub drei, vier Johr ka (1), glaub vier Johr, und Änglisch han ich au drei Johr ka und im Momänt in dr Schuel. KH: An dr Gwärbschuel? TF: Jä. MG: Also beidi Sproche nomol oder numme no Änglisch jetzt an Sch-? TF: Nume no Änglisch jetzt. KH: Wie schätze Sie so Ihri Fähigkeite i in däne beide Sproche? TF: Ä:hm s’goh:t. Alle ((rires)) TF: Nit so gross. Ähm Französisch kan I e bitze- Drei Wochen später, während des Stages KH: °So° wie gfallt’s Ihne (...)? TF: Ehm jo eigentlich guet °do tolls Projäktli [ebe° ] KH: Ok. Und wie isch so s’Arbeitsklima do in dr Firma? Wie wärde Sie integriert? ((sourire)) TF: Jä das isch eigentlich rächt guet do, °mmh jo.° KH: Hän Sie viel Kontakt mit de Kollege? TF: Äh jo zum Teil. Also mit dene do °scho.° li, halt eifach so s’Wichtigste. KH: Also so in de Ferie cha me sich unterhalte? So in däm Stil? TF: Jä, also knapp.Halt eifach s’Wichtigste kani uf Französisch und Änglisch kani au nit allzu vil aber do kani scho kli meh, also würdi jetzt sage. (... ) Der vollständige Text der zwei Interviews ist auf unserer Homepage verfügbar: www. babylonia.ch/de/archiv/2013/nummer-2/ Das Interview 43 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Tema Il plurilinguismo nel calcio come lavoro Quando fare l’allenatore significa code-switching Stefano A. Losa | Genève Whilst they occupy an institutional position of authority, sports coaches permanently need to confirm their leadership on the players by acting in a specific expected and valued way. Within a multilingual as well as multicultural team in which language competences are not equally distributed amongst participants, language use strongly interferes in the construction of such legitimacy. Manifest language hesitation as well as unease could contradict the endorsement of an authoritarian role and its related expected conducts. This paper focuses on the coach-players tutoring relationship during training interactions observed in a multilingual Swiss national football team. It aims to shed light on how language use and code-switching are massively involved within trainer activities. Through some examples it is stressed that rather than setting obstacles to face-to-face communication, code-switching and bilingual speech tend to be used by the coach as resources for establishing a legitimate interactional position in front of the players. These resources aim at making situated roles salient, and contribute to avoid linguistic unease in specific interactional tasks. More articles on this topic: www.babylonia.ch > Thematic Archives > Topics 14 and 15 In Svizzera, le situazioni di contatto linguistico avvengono principalmente all’interno di contesti istituzionali quali l’esercito, le sessioni parlamentari a Palazzo federale, i molteplici incontri professionali o ancora durante le attività sportive che si svolgono a livello nazionale. Tali situazioni di contatto portano gli individui a comunicare tra di loro e ad oltrepassare, in un modo o nell’altro, la propria diversità linguistica e culturale. Essi sono spesso tenuti a svolgere le mansioni lavorative in modo congiunto in funzione delle risorse e competenze di ognuno. Ciò comporta l’assunzione di ruoli e posizioni complementari e spesso asimmetrici tra loro (esperto/debuttante, maestro/allievo, superiore/subalterno, etc.). A quali risorse linguistiche gli attori possono dunque attingere in modo da assumere pienamente il ruolo che sono tenuti a svolgere? Quale uso delle lingue viene fatto per interagire e riuscire a coordinarsi in vista delle mansioni da espletare? Le interazioni plurilingui in un contesto istituzionale rappresentano un momento privilegiato per 44 Babylonia 02/13 | babylonia.ch capire il ruolo del plurilinguismo nella costruzione della relazione con l’altro. Il presente articolo tratta degli usi linguistici osservati nel contesto di più campi d’allenamento di una selezione nazionale di calcio (le “speranze”)1. L’accento è posto sulla comunicazione plurilingue cioè la comunicazione tra persone di estrazione linguistica diversa e parlanti una o più lingue secondo il proprio livello di padronanza. Il plurilinguismo (o bilinguismo) viene definito in termini funzionali come la capacità di una persona “di passare da una lingua ad un’altra in svariate situazioni a seconda delle possibilità o necessità, anche con una competenza significativamente asimmetrica” (Lüdi & Py, 2003: 131, tradotto dal francese). Nel caso di situazioni plurilingui, tali cambiamenti di lingua sono generalmente conosciuti mediante il termine inglese code-switching (alternanza di codice o di lingua). Diversi e diversificati tra loro (diverse ricerche hanno proposto classificazioni tipologiche e funzionali dei cambi di lingua), tali fenomeni di alternanza linguistica sono vettori di senso e significato che possono fortemente variare a seconda della situazione d’utilizzo. Partendo dal parlare plurilingue dell’allenatore, ed in particolare l’alternanza tra le diverse lingue nazionali, l’articolo intende evidenziare come l’uso delle lingue s’inserisce nello svolgimento delle attivià d’istruzione sportiva e contribuisce pertanto alla legittimità dell’allenatore nel suo ruolo di fronte ai giocatori. Allenatore di una squadra plurilingue e multiculturale Nei paesi occidentali, la figura dell’allenatore in ambito sportivo ha subito, negli ultimi decenni, una profonda mutazione verso la professionalizzazione. Il ruolo dell’allenatore non si limita più alla preparazione, produzione e monitoraggio delle prestazioni strettamente fisiche, tecniche e tattiche degli atleti. Oltre alla preparazione atletica, l’allenatore è tenuto a gestire anche il “fattore umano” e ad assumerne così la natura profondamente comunicativa. Pertanto, la qualità dell’interazione e della relazione con gli atleti appare come una variabile sempre più determinante della funzione dell’allenamento e della sua efficacia. L’allenatore è dunque chiamato a svolgere una moltitudine di ruoli, dal preparatore atletico all’accompagnatore esperto, passando dal mentore (coach) alla guida del collettivo e come risorsa morale per i singoli atleti. In Svizzera, il processo di professionalizzazione dell’accompagnamento sportivo si è tradotto nello sviluppo e rafforzamento della formazione degli allenatori. Infatti, dal 1995, l’Associazione Svizzera di Football (ASF), l’organizzazione mantello che raggruppa le associazioni calcistiche a livello regionale e nazionale e di cui fa parte anche la selezione nazionale delle speranze, ha costituito uno staff di allenatori professionisti incaricati di reclutare giovani calciatori promettenti nelle diverse regioni linguistiche. Tale professionalizzazione ha l’obiettivo specifico di contribuire in modo significativo alla crescita delle giovani leve sia a livello fisico e tecnico che sul piano relazionale e mentale. L’interazione diretta con i giovani giocatori assume così un ruolo centrale e fa della comunicazione (sia sul campo che fuori) l’elemento chiave del mestiere d’allenatore. Nel contesto specifico della selezione nazionale delle speranze qui considerata, le strategie pedagogiche e di comunicazione adottate all’interno della squadra, ed in particolare dall’allenatore, assumono un’importanza supplementare se si considera l’elevato grado di diversità linguistica (e culturale) dei giocatori. In effetti, sulla ventina di giocatori titolari, la maggioranza è germanofona (svizzero tedesco come prima lingua), 5-6 giocatori sono francofoni mentre 1-3 giocatori sono italofoni2. L’allenantore, francofono, può esprimersi in tedesco ed in italiano ed è affiancato da un assistente-allenatore francofono e germanofono (svizzerotedesco). A tale diversità linguistica si aggiunge l’asimmetria linguistica dovuta al fatto che il grado di competenza linguistica in una o l’altra delle lingue presenti non è distribuito in modo omogeneo tra i membri della squadra. Appare chiaro che in una squadra con una tale eterogeneità linguistica, l’impiego specifico delle lingue nazionali risulta centrale per la costruzione della base relazionale tra allenatore e giocatori così come per la solidità del gruppo. Comunicazione e legittimità Allenare una squadra plurilingue e multiculturale significa quindi prendere in considerazione la diversità linguistica e comunicativa dei giocatori. Tale adattamento obbliga lo staff tecnico ed in particolare l’allenatore ad adottare delle modalità di espressione e di utilizzazione delle lingue che permettano una comunicazione efficace. Le osservazioni raccolte durante i campi d’allenamento seguiti permettono di mettere in evidenza l’impressionante lavoro di manipolazione linguistica prodotto dall’allenatore, mediante l’alternanza di codice e la scelta locale di una lingua piuttosto che un’altra, a seconda della situazione comunicativa e degli interlocutori presenti. Tale attività linguistica va inserita e avviene nel contesto istituzionale specifico della squadra nazionale di calcio speranze. Sotto forma di istruzioni, spiegazioni, commenti, consigli, ordini ed incitazioni, il linguaggio si inserisce in pressoché tutte le attività d’allenamento quali i momenti di teoria, le riunioni informative, le situazioni di debriefing, le spiegazioni e le consegne riguardanti gli esercizi o ancora negli spogliatoi prima di una partita. Il linguaggio occupa chiaramente una parte considerevole del lavoro svolto dall’allenatore per quel che riguarda la trasmissione d’informazioni e di conoscenze specifiche. Oltre a ciò, il linguaggio – e specificatamente la competenza comunicativa di saper utilizzare le lingue in modo adeguato alla composizione plurilingue della squadra – rappresentano i mezzi privilegiati attraverso i quali l’allenatore può convogliare il riconoscimento e la legittimità del proprio ruolo. Infatti, chiamato ad assumere delle posizioni complementari che oscillano tra l’esercizio dell’autorità, la dimostrazione di competenza e l’accompagnamento morale, l’allenatore dovrà fare un uso consono dell’espressione orale e del linguaggio in generale, tale da consentire, per esempio, la marcatura della distanza gerarchica con i giocatori o di persuaderli e motivarli in merito ad una certa attività. In un ambiente plurilingue, che ruolo svolgono le lingue ed il linguaggio nella costruzione della posizione d’allenatore? Come contribuiscono alla legittimità della sua posizione nelle situazioni d’interazione faccia a faccia? Esempi di pratiche plurilingui dell’allenatore L’uso delle lingue è considerato un indicatore privilegiato di come le identità linguistiche, culturali e sociali sono messe in gioco e negoziate dagli interlocutori in situazione di interazione. Per cercare di capire l’azione della comunicazione plurilingue sulla costruzione dell’identità d’allenatore in una squadra plurilingue, ecco alcuni esempi concreti di uso delle lingue in contesto. Assumere il ruolo istituzionale Se la condizione d’allenatore rappresenta una posizione sociale di prestigio e conferisce potere nell’ambito della squadra, essa non è pertanto esente da obblighi. Lavorare in un’istituzione che opera a livello nazionale in un paese ufficialmente plurilingue implica il rispetto di una serie di aspettative. Prima fra tutte, la presa in considerazione della diversità linguistica dei giocatori e dei susseguenti rapporti di forza tra regioni linguistiche. 45 Babylonia 02/13 | babylonia.ch I dati raccolti sul campo hanno permesso di osservare come il linguaggio e l’uso delle lingue operati dall’allenatore rispondono a tale aspettativa. In primo luogo, egli ha tendenza ad adottare il tedesco come principale lingua d’uso quando si rivolge collettivamente ai giocatori. Per un francofono, tale pratica linguistica appare come un forma di allineamento verso il gruppo linguistico maggioritario all’interno della squadra. Ma in una squadra plurilingue, il tedesco come principale lingua d’uso è accettato a condizione che i gruppi linguistici minoritari vengano a loro volta presi in considerazione. L’allenatore fa quindi un uso estremamente frequente dell’alternanza linguistica. Le frasi in tedesco vengono tradotte in francese e a volte anche in italiano. Sebbene si tratti di una traduzione accorciata (parti conclusive della frase, termini chiave), tale pratica permette di mostrare considerazione verso la pluralità linguistica dei giocatori in modo conforme alle attese. La tensione esistente in merito alla legittimità della condizione di francofono alla guida di una squadra perlopiù germanofona diventa ulteriormente palese quando l’uso consecutivo delle tre lingue (tedesco, francese, italiano) assume une forma retorica come indicato nell’esempio seguente. Esempio 1: Allenatore Giocatori (...) okay sie schauen die stehende bälle, ist gut? keine andere fragen? pas de questions? tutto è chiaro? wir schliessen mit die bilder (…) In tale esempio, l’allenatore ha appena esposto una serie di argomenti e in conclusione chiede ai giocatori se hanno domande in merito a quanto è stato loro spiegato. La formulazione giustapposta della questione (avete domande?) nelle tre lingue, unitamente all’assenza di risposta da parte dei giocatori, suggerisce che tale domanda, in realtà, non è volta a fornire ulteriori informazioni. La frequente e sistematica ripetizione nel corso degli allenamenti, sembra piuttosto corrispondere ad una maniera simbolica di rendere conto della diversa appartenenza linguistica dei giocatori. Tale uso particolare delle lingue permette di rendere saliente la posizione di allenatore ufficiale di una squadra nazionale che coinvolge le diverse comunità linguistiche. Il plurilinguismo appare qui come une risorsa che consente all’allenatore di confermare il suo ruolo istituzionale e di rafforzare la sua legittimità all’interno della squadra. Ciò che contribuisce al riconoscimento della sua autorità. chiamato ad occultare eventuali suoi imbarazzi linguistici (esolinguismo) in tedesco. Contemporaneamente, egli deve anche saper anticipare le possibili difficoltà linguistiche dei giocatori non germanofoni. Come nell’esempio che segue (esempio 2), l’alternanza con il francese permette all’allenatore di aggirare difficoltà ed esitazioni nella produzione discorsiva in tedesco, potenzialmente imbarazzanti. Esempio 2: Allenatore Giocatori (…) welche punkt entscheidet meine leistung wir sprechen nicht auf drei punkt\ einige wollen immer siegen\ wir sch-aber besser wir sind leistungsfähig\ on parle tous de la victoire/ pour nous c’est des facteurs de performance\ und wir fixieren auf diese faktor\ on va se fixer sur ces facteurs de performance (…) Intento a spiegare ai giocatori la differenza tra prestazione (leistung) ed il fatto di vincere (siegen), l’allenatore risulta esitare (wir sch-aber besser…) proprio nel momento di formulare un aspetto centrale del suo proposito (la prestazione come imperativo per la vittoria). La riformulazione di tale aspetto in francese gli permette di lisciare l’espressione, renderla più fluida ed affinarne il senso. In altri casi, l’alternanza di codice interviene come espediente comunicativo volto ad aggirare il probabile esolinguismo di una parte dei giocatori. Dimostrare assertività e chiarezza La scelta del tedesco come lingua principale di comunicazione con la squadra conduce l’allenatore ad adottare pratiche linguistice particolari che gli consentano di aggirare eventuali difficoltà linguistiche.Tale necessità interviene soprattutto durante i momenti di spiegazione o d’istruzione ovvero quando l’allenatore si esprime da una posizione d’istruttore-esperto. Pertanto, i giocatori si aspettano chiarezza d’espressione. Ciò significa che l’allenatore è in un certo qual modo tenuto a mostrarsi autorevole ed all’altezza del suo ruolo. Egli è dunque Eugène Atget, Paveur de rues, Paris, 1899. 46 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Esempio 3: Allenatore Giocatori (…) wir machen eins-eins NICHTS GEDULD hein/ la patience pazienza rimaniamo la:: organizzazione a-apposto\ hein/ jouez si::mple encore vous voulez beaucoup sie wollen viel es ist gut/ aber es ist zu hektisch c’est trop nerveux dans le jeu wir verlieren zu viele bälle In tal caso, l’alternanza in francese e in italiano di termini precisi quali geduld e hektisch agisce come un’agevolazione indirizzata ai giocatori francofoni ed italofoni che – secondo l’ipotesi dell’allenatore – non ne conoscono la traduzione. L’analisi dei dati empirici raccolti mostra che è proprio in tali circostanze che il plurilinguismo rivela tutto il suo potenziale comunicativo e appare come una micro risorsa fondamentale al servizio dell’allenatore per quel che riguarda la gestione della sua immagine e legittimità presso i giocatori. Dimostrare empatia e sensibilità professionale Un ulteriore aspetto emerso dall’osservazione empirica riguarda il considerevole lavoro di persuasione, responsabilizzazione e motivazione prodotto dall’allenatore nei confronti dei suoi giocatori. Anche in tal caso, l’alternanza tra le lingue ed il linguaggio in generale, svolgono un ruolo centrale nel sottolineare propositi importanti e nell’amplificare i risvolti morali del discorso. Ecco un esempio, tra tanti, in cui l’alternanza tra tedesco e francese tende ad assumere una funzione reiterativa oltre alla sola funzione traduttiva. Esempio 4: Allenatore Giocatori (...) sie haben das schlüssel\ vous avez la clé\ wollen sie entwickeln/ vous voulez grandir/ sie wollen die beste karte haben im hand für ihre carrière/ oder okay wir spielen für plauschfussball\ wurst und bier am zehn uhr am sonntag pour la bière et pour la saucisse\ hein/ (...) In questo caso, l’alternanza di codice permette non solo di attirare l’attenzione dei giocatori ma, tramite il parlare per “slogans” (sie haben das schlüssel, vous avez la clé), enfatizza gli aspetti concernenti la responsabilizzazione individuale. Unitamente ad altri aspetti comunicativi, un simile linguaggio plurilingue constribuisce ad affermare la posizione d’accompagnatore e di guida morale che l’allenatore è chiamato ad assumere di fronte a giocatori in età critica. Conclusioni In conclusione, con il presente articolo si è voluto mettere l’accento sulla complessa realtà rappresentata dalle situazioni di contatto linguistico. La comprensione di come la comunicazione e i rapporti tra le comunità e le persone di lingua (e cultura) diversa si costruiscono non può prescindere dalla comprensione delle situazioni reali e quotidiane d’interazione. Osservando da vicino le situazioni d’interazione plurilingui nell’ambito dell’accompagnamento sportivo di una squadra nazionale di calcio, ci si accorge che la posizione dell’allenatore è assunta e mantenuta tramite un lavoro linguistico importante ed incessante. In tal senso, le pratiche plurilingui ed in particolare l’alternanza di codice appaiono come risorse comunicative fondamentali tramite le quali l’allenatore agisce sul suo modo di relazionarsi con in giocatori adattandosi a loro ed alle loro aspettative. Il plurilinguismo contribuisce pertanto al suo riconoscimento di allenatore e quindi alla sua legittimità. A partire da tali osservazioni, ci si rende conto che l’incrociarsi delle lingue e delle varietà linguistiche corrisponde anche ad un incrociarsi di posizioni identitarie diverse, messe in scena in una certa situazione, abbandonate in un’altra e così via. In tal senso, si avverte che la ragione di un uso particolare delle lingue in contesto plurilingue non dipende solo e necessariamente dall’origine etnolinguistica dell’interlocutore. Le frontiere linguistiche sono malleabili, mobili e cambiano in funzione degli individui e della situazione interattiva nella quale essi si trovano. Note Le osservazioni ed i dati relativi a tale contesto provengono da uno studio sociologico sugli usi delle lingue in contesti istituzionali plurilingui svizzeri (un Ufficio dell’Amministrazione federale, una caserma militare ed una squadra nazionale di calcio giovanile). Tale studio, condotto da S. Losa e S. Cattacin e terminatosi nel 2009, s’inserisce nel Programma Nazionale di Ricerca “Diversità delle lingue e competenze linguistiche in Svizzera” (PNR 56) finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica (FNS). 2 Le considerazioni riprodotte nel presente articolo valgono per il periodo di tempo limitato durante il quale hanno avuto luogo le osservazioni. Durante tale periodo, si è potuto costatare che il numero di giocatori può variare da un campo d’allenamento all’altro in funzione della disponibilità dei giocatori, spesso impegnati con la loro squadra di campionato, o in funzione della convocazione. Da notare che sul totale dei titolari, 6-7 giocatori sono in grado di esprimersi correntemente in un’altra lingua seconda (italiano, serbo, albanese). 1 Bibliografia Lüdi, G. & Py, B. (2003). Etre bilingue. Bern: Peter Lang. Stefano A. Losa è titolare di un dottorato in sociologia nell’ambito delle pratiche plurilingui ed identitarie in contesti istituzionali. In seno alla sezione di scienze dell’educazione dell’Università di Ginevra dal 2010, le sue ricerche portano sulle dinamiche interazionali dell’apprendimento sul luogo di lavoro ed in contesti di formazione professionale. 47 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Tema Situationsdidaktik im Fremdsprachenunterricht Ein Plädoyer für eine integrierte Sicht von Wissen, Können und Reflexion1 Gianni Ghisla, Luca Bausch, Elena Boldrini | Lugano Per sua natura e tradizione, la didattica delle lingue straniere ha proposto un insegnamento vicino alle pratiche comunicative reali. In questo senso ha svolto un’opera pionieristica per una didattica generale intesa a permettere apprendimenti fondati su due pilastri essenziali: da un lato l’esperienza e i saperi che ne derivano, dall’altro la conoscenza codificata e sistematizzata nelle discipline. In questo contributo si delineano i fondamenti di una tale didattica, definita didattica per situazioni (DpS). La DpS ha carattere generale (quindi non disciplinare), vuole essere integrativa rispetto ai diversi saperi, e flessibile nell’uso di metodologie diverse. Al centro dell’attenzione pone un apprendimento realizzato nell’ambito di un circolo virtuoso pratica-teorie-pratica, che si affida ad una doppia trasposizione didattica: di situazioni di vita reale e di saperi codificati in situazioni didattiche (scenari didattici). Altri articoli su questo tema: www.babylonia.ch > Archivio tematico > Schede 13 e 15 Die Vermittlung zwischen den Fachdidaktiken Heute gelte es, die bestehende „Zersplitterung“ der Fachdidaktiken durch eine „umfassende begriffliche Arbeit“ zu überwinden. So bringt Bernard Schneuwly die aktuelle Diskussion zur Didaktik auf den Begriff (Schneuwly, 2013: 29). Die Programmatik, vorgetragen am 23. Januar 2013 in Zürich anlässlich einer Fachdidaktiktagung, ist nicht nur für die auf Forschung und Lehre (v.a. Lehrerausbildung) ausgerichtete akademische Welt von Bedeutung, sondern trifft einen empfindlichen Nerv der alltäglichen Unterrichtspraxis, namentlich auch im Fremdsprachenunterricht. Einige Präzisierungen sind dazu notwendig. Wenn von „Überwindung“ die Rede ist, dann geht es keineswegs um eine denkbare Auflösung der einzelnen fach- oder bereichsspezifischen Didaktiken, sondern vielmehr um eine „Konsolidierung des didaktischen Feldes“, so die Ausdrucksweise von Schneuwly, welche aus der Spannung zwischen „Didaktik im Singular und Didaktik im Plural“ (ibid: 28) geleistet werden kann.Was, so kann gefragt werden, ist das Verbin48 Babylonia 02/13 | babylonia.ch dende der verschiedenen Didaktiken, worin liegt der gemeinsame Nenner, der die identitätsstiftende Klammer liefern kann? Der Definitionen von Didaktik gibt es verständlicherweise viele (vgl. dazu Heitzmann, 2013) und sie widerspiegeln kulturelle, historische und soziale Gegebenheiten. So lassen sich unschwer u.a. eine deutsche, eine französische oder eine englische Tradition ausmachen, die in ihrer Eigenart bei der Suche nach Antworten auf unsere Frage durchaus ergiebig sind. Gerade die in der deutschsprachigen Tradition stark verankerte Allgemeindidaktik zeugt für einen generellen Diskurs, der lange vor dem Aufkommen der modernen Fachdidaktiken geführt wurde und die Auseinandersetzung mit dem was und dem wie des Unterrichtens aufzunehmen erlaubt, welche historisch auf Jan Amos Comenius’ Didactica magna zurückgeht. So kann Comenius auch für die Fachdidaktiken, die sich seit den 1970er Jahren immer profilierter herausgebildet haben, Pate stehen. Dazu gehört auch die Fremdsprachendidaktik, die sich dank eines ergiebigen Marktes sowie ihrer Fähigkeit, auf den technologischen Zug aufzuspringen – man denke nur an die Sprachlabors von damals – sehr schnell und stark entwickeln konnte. Heute besteht wohl ein breiter Konsens darüber, dass die Fachdidaktiken von der Lehr- und Lernszene nicht mehr wegzudenken sind, zumal sie einerseits für einen Unterricht Garant stehen, der auf ein strukturiertes und systematisches Fachwissen zurückgreift und andererseits für eine professionelle Identität der Lehrkräfte sorgen, die im Zeitalter des grassierenden Coachings von nicht unbedenklichen Zerfallserscheinungen heimgesucht wird. Retrouvez cet article en français sur notre site: http://babylonia.ch/fr/archives/2013/numero-2/ > Didactique par situations dans l’enseignement des langues (secondes) Ritrovate questo articolo in italiano sul nostro sito: http://babylonia.ch/it/archivio/2013/numero-2-13/ > Didattica per situazioni nell’insegnamento delle lingue (seconde) Wissen, Können, Reflexion: vom virtuosen didaktischen Kreislauf Die Fremdsprachendidaktik wurde in den letzten Jahrzehnten stark von den Bemühungen geprägt, sich von einem auf grammatikalisches Wissen, auf Vokabellernen und allenfalls auf literarische Unterweisung ausgerichteten Unterricht zu befreien, um auf die Vermittlung von lebendigen, kommunikationsrelevanten Fähigkeiten setzen zu können. In diesen Bemühungen lässt sich leicht die didaktische Anstrengung um die Lösung des Theorie-Praxis-Problems erkennen, und zwar durch eine sinnvolle Verbindung von Wissen und Können als Merkmal eines handlungsorientierten Unterrichts. Von ihrer Natur her begünstigt, hat die Fremdsprachendidaktik diesbezüglich Pionierarbeit geleistet. Ihre Handlungsorientierung steht in einem lebensweltlichen Zusammenhang, der sich didaktisch in Form von Rollenspielen, Simulationen, Projektunterricht oder realistischen Kommunikationsszenarien umsetzen lässt. Von einer ähnlichen, kommunikations- und handlungsorientierten Logik sind auch neuartige Sprachlernprojekte ausserhalb des traditionellen schulischen Kontextes geprägt, so z.B. die in der Schweiz gross angelegte Förderung von grundlegenden Sprachkompetenzen bei Migranten, die in der letzten Babylonianummer (1/2013) zum „Lernen in Szenarien“ ausführlich vorgestellt wurde. Was dieses fide-Projekt auszeichnet, ist die Einübung von sprachlichem Wissen und Können, das auf bedeutsame, wiederkehrende Situationen des Alltags bezogen wird, um damit die Bedürfnisse der Lernenden aber auch des sozialen Umfeldes einlösen zu können. Mittels didaktischer Ausgestaltung von Szenarien kann sich der Unterricht vom Verwendungskontext, von der Praxis inspirieren und motivieren lassen. Hier einige Beispiele von solchen Szenarien, die den wirklich gelebten Situationen aus dem normalen oder beruflichen Alltag nachgebildet werden: „Den ausländischen Führerschein umschreiben lassen“, „Das Kind vom Hort oder von der Krippe abholen“, „Einen technischen Apparat am Domizil des Kunden abliefern und installieren“, „Beim Kunden eine Reparatur vornehmen“.2 Realistische – womöglich reelle – Situationen aus dem Lebenszusammenhang wirken nicht nur unmittelbar sinnstiftend für die Lernenden, sondern erlauben auch den Lehr- und Lernprozess reflexionsorientiert und kreativer zu gestalten. Die Lernenden bringen bekanntlich aus der eigenen Erfahrung und Biographie wertvolles Wissen und Können mit, etwa in Form von gehörten/gesehenen Wörtern, von Redewendungen in der Ziel- oder in anderen Sprachen oder aber von Metawissen zur eigenen Sprache. In der Regel entsteht solches Vorwissen spontan und ist deshalb auch punktuell und rudimentär. Trotzdem kann es als eine unerlässliche Basis für das Lernen aktiviert und von einem impliziten Status analytisch und systematisch aufgearbeitet und explizit gemacht werden. Damit werden Brücken hergestellt, die den Verwendungs- mit dem Lernkontext verbinden. Anders ausgedrückt:Wenn Lebenssituationen in didaktische Situationen überführt werden können, bilden sie eine wichtige (freilich nicht die einzige) Basis für ein Lernen, das gleichsam als Aufarbeitung von Erfahrungen und Einarbeitung von verfügbarem Fachwissen lebendig Abb. 1: Der virtuose Kreislauf der Didaktik 49 Babylonia 02/13 | babylonia.ch und aktiv gestaltet werden kann. In neuen bzw. anderen Lebenssituationen wird es dann für die Lernenden relativ leicht, das Gelernte abzuberufen und anzuwenden. Es entsteht ein Kreislauf, ein didaktischer Kreislauf, den wir virtuos, d.h. tugendhaft nennen wollen, weil man in der Tat erwarten kann, dass darin Theorie und Praxis produktiv und sinnvoll in Verbindung gebracht werden können. Der virtuose didaktische Kreislauf3 entfaltet sich idealerweise im Klassenzimmer oder, genereller, an den für das Lernen formal zuständigen Orten und hat eine äussere und eine innere Seite (vgl. Abb. 1). An der äusseren Seite stellen wir zwei Zugänge und einen Ausgang fest: Über die ersteren fliessen die Erfahrung aus den Lebenssituationen (LS1) und das (Fach)Wissen aus den disziplinären Repertoires ins Unterrichtsgeschehen ein. Über den Ausgang gelangt man wieder zu neuen Lebenssituationen (LS2-n). Zweifache „transposition didactique“ Die bisherigen Ausführungen zu einer kommunikations- und handlungsorientierten Fremdsprachendidaktik, die sich in einem didaktischen Kreislauf konkretisieren lässt, haben uns die enge, dialektische Beziehung zwischen Wissen und Können, Theorie und Praxis, Verwendungskontext der Sprache im Alltag und Lernkontext in schulischer Umgebung vor Augen geführt. Didaktisch schlägt sich diese Beziehung im Vorgang der analytischen Aufarbeitung nieder, wodurch bereits vorhandenes, implizites Wissen und Können sozusagen zu einer Lernsynthese, mit dem einfliessenden Fachwissen geführt wird. Dieser Vorgang soll als reflexive Verarbeitung bezeichnet werden4. Die reflexive Verarbeitung schliesst grundsätzlich sämtliche Lehr- und Lernprozesse mit ein und ist deshalb in Wirklichkeit viel komplexer als unsere schematische Darstellung nahelegt. Insbesondere lässt sich darin eine zentrale Problematik der Didaktik erkennen. Es geht dabei um die Frage der transposition didactique, der didaktischen Transposition, welche v.a. in der französischen Tradition intensiv diskutiert wurde (Chevallard, 1991). In ihrer ursprünglichen Form ging es der transposition didactique vornehmlich um das Problem der Überführung vom savoir savant, also vom systematisch in einer Disziplin aufbewahrten Wissen, z.B. in der Mathematik oder in der 50 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Geschichte, in ein savoir à enseigner und in ein savoir enseigné. Damit verbunden wurde eine breite Auseinandersetzung mit den sogenannten situations didactiques5, mit den didaktischen Unterrichtssituationen, in denen die Transposition unter besonderen Gestaltungsbedingungen zum Tragen kommen soll. Aus dieser Perspektive, und metaphorisch ausgedrückt, ist im Klassenzimmer das savoir savant ein besonders gut gesehener Gast, der gerne in der Gestalt der Fachdidaktik auftritt. Uns ist heute aber zunehmend bewusst, dass die Klassenzimmertür, wie es Schneuwly postuliert (ibid: 22), für einen zweiten Gast offen gehalten werden soll, nämlich für das Erfahrungswissen (und Können). Das Postulat ist natürlich nicht von heute, sondern gehört seit langem zu den wichtigen Ansprüchen der Pädagogik. Wenn wir hier, der gebotenen Kürze verpflichtet, auf eine diesbezügliche pädagogische auctoritas verweisen, so deshalb weil der Begriff der „Situation“ explizit aufgegriffen werden kann. Es war nämlich John Dewey, der den „Lebenssituationen“ und der damit verbundenen Erfahrung als pädagogisch-didaktische Kategorie eine grosse Bedeutung zugeschrieben hat. In „Demokratie und Erziehung“ diskutiert Dewey vorerst die nicht aufkündbare Beziehung zwischen Erfahrung und Denken, wobei das Denken in Lebenssituationen stattfindet und „im gegebenen Augenblick und Zustand unvollkommen und unvollendet ist.“ (Dewey 1993/1916: 196). Danach geht Dewey auf „die Notwendigkeit einer gegebenen Wirklichkeit als erste Stufe des Denkens“ ein, das es primär anzuregen gelte, zumal es nicht um die Aneignung von „blossen Worten“ gehe (ibid: 205 f). Schliesslich präzisiert er die Beziehung zwischen Erfahrung, Situation und Methoden: „Wenn wir uns klarmachen wollen, was eine wirkliche Erfahrung, eine lebendige Situation ist, so müssen wir uns an diejenigen Situationen erinnern, die sich ausserhalb der Schule darbieten, die im gewöhnlichen Leben Interesse erwecken und zur Betätigung anregen. Eine sorgfältige Untersuchung derjenigen Methoden, die sich überall im eigentlichen Unterricht – im Rechnen und Lesen, in der Naturlehre, der Erdkunde oder den Fremdsprachen – als dauernd erfolgreich erweisen, zeigt nämlich, dass ihre Wirksamkeit gerade auf der Tatsache beruht, dass sie auf diejenige Art von Situationen zurückgreifen, die im gewöhnlichen, ausserschulischen Leben zum Nachdenken veranlassen.“ (ibid: 206) Also doch nichts Neues unter der westlichen Schulsonne? Doch, denn die heutige Herausforderung besteht darin, die zwei Gäste ins Klassenzimmer einzuführen und sinnvoll aufeinander ein- und abzustimmen6. Dies ist durchaus zweckmässig und machbar, vorab in der Berufsbildung, die für den „Erfahrungsgast“ sehr privilegierte Voraussetzungen bietet. Es geht in anderen Worten darum, eine doppelte, integrierte Transposition zu leisten, die didaktisch das Fachwissen und das Erfahrungswissen im virtuosen Kreislauf zur Konvergenz bringen kann. Der Unterricht soll sich von den Lebenssituationen inspirieren und motivieren und vom etablierten Fachwissen bereichern lassen. Die Kunst der Didaktik im Singular ist es demnach, das Erfahrungswissen und das disziplinäre Fachwissen im Klassenzimmer zu einem produktiven Bildungsprozess zu vereinigen. Die Kunst der Fachdidaktiken ist es, diesen Prozess für das je spezifische Wissen wie in der Fremdsprache, in der Mathematik oder in der Geschichte zu leisten. Freilich muss im Rahmen der Berufsbildung dieses Fachwissen auch auf die Bedingungen der spezifischen Berufssituationen abgestimmt werden. Lebenssituationen – didaktische Situationen Die Abgrenzung zwischen einer Lebenssituation und einer didaktischen Situation ist klar hervorzuheben7, denn die Unterschiede sind nur auf den ersten Blick naheliegend und der Übergang von der einen zur anderen durchaus fliessend. Man bedenke, dass auch eine didaktische Situation durchaus als Lebenssituation bezeichnet werden kann. In Lebenssituationen, wie wir sie verstehen wollen, ist die Person als Aktor in authentischer Absicht involviert: So wird die kaufmännische Lehrperson in Lugano am Telefon beim Lieferanten in Zürich Waren zur Aufstockung des Lagers auf Deutsch – allenfalls Schwytzerdütsch – bestellen. Im didaktischen Kontext wird diese Situation nachgestellt, inszeniert. Ähnliches gilt für den Tourist aus Basel, der sich in Locarno eine Pizza und ein Bier wünscht, um nur zwei Situationen aus zwei unterschiedlichen Lebensbereichen zu zitieren. Wenn in der didaktischen Situation die authentische Lebenssituation ins Szene gesetzt wird, kann der Bezug direkt oder indirekt sein, wobei dieser Unterscheidung grosse didaktische Bedeutung zukommt. Direkt besagt nämlich, dass der/die Lernende die Lebenssituation persönlich erfahren konnte und sie inszenieren bzw. davon in irgend einer Form berichten kann. Indirekt besagt hingegen, dass die Lebenssituation von keinem Lernenden erfahren worden ist, und deshalb mit Hilfe von Medien (Beschreibung, Photos, Videos, usw.) vermittelt werden muss. Natürlich sind persönliche Erfahrungen und Erlebnisse didaktisch von Vorteil, jedoch wissen Lehrerinnen und Lehrer, wie beide Formen des Bezugs für das Lernen äusserst sinnvoll und zweckmässig sind. Grundsätzlich können wir davon ausgehen, dass Lernen spontan im normalen Lebenskontext genauso wie absichtlich in speziell dafür vorgesehenen schulischen Situationen stattfindet (vgl. Abb. 2). Die Situationsdidaktik postuliert, dass, wenn immer möglich und sinnvoll, in der Schule ein direkter oder indirekter Bezug zu den Lebenssituationen hergestellt werden soll. Damit bleibt die Situationsdidaktik zwar im Singular, d.h. sie bewahrt einen allgemeinen, übergreifenden Charakter, erhebt aber zugleich den Anspruch, auf die Fachdidaktiken sinn- und identitätsstiftend zu wirken.Voraussetzung dazu ist eigentlich nur, dass sie ein genügendes Mass an Flexibilität aufweist und den Fachdidaktiken den nötigen Freiraum lässt. Die didaktische Benutzung von Erfahrungen aus den Lebenssituationen – vom Beruf wie vom übrigen Alltag – stellt eine wirkliche Herausforderung dar, v.a. wenn der Anspruch auf eine lernproduktive Integration von spontanem Erfahrungswissen und etabliertem Fachwis- Abb. 2: Vom Lernen nach einer Situationsdidaktik 51 Babylonia 02/13 | babylonia.ch 52 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Abb. 3 Die Hauptphasen einer Situationsdidaktik sen besteht. Die Gefahr der Banalisierung liegt auf der Hand. Deshalb macht es Sinn, in einer Situationsdidaktik drei Hauptmomente zu unterscheiden: I. die Vorbereitung, II. die analytische Verarbeitung und III. die synthetische Verarbeitung (vgl. Abb. 3 auf der nächste Seite), die von der Umsetzung her allerlei Fragen aufkommen lassen. Wir wollen zwei davon kurz diskutieren. Wie lassen sich Lebenssituationen sinnvoll abgrenzen und definieren und ins Klassenzimmer „bringen“? Ein wichtiger Aspekt der Vorbereitung hat mit der Identifizierung, Definition und Auswahl von bedeutsamen Lebenssituationen zu tun. In unserem Alltag führen Situationen ein buntes Leben, sie kommen sich in die Quere, überlappen und durchmischen sich, was deren Beschreibung für didaktische Zwecke zu einer anspruchsvollen Aufgabe macht. So kann man mit Freunden ins Restaurant gehen und, siehe da, die Situationen „Bestellung der Pizza“ und „Pflege der Beziehung zu den Freunden“ gleiten nebeneinander daher. Gleiches passiert im Büro, wo sich Gleichzeitigkeit zwischen dem Telefongespräch zur Bestellung von Waren und der Zusammenarbeit mit den KollegInnen einstellt. Und dennoch lassen sich die Situationen einfangen, wobei sie im beruflichen Umfeld in der Regel viel leichter abzugrenzen sind als im übrigen Alltag. Es gilt dabei u.a. auf bedeutsame und repräsentative, allenfalls beispielhafte Situationen zu achten. In den letzten Jahren sind bereits zahlreiche Lehrpläne auf dieser Basis entstanden (siehe dazu den nächsten Abschnitt). Den Lehrkräften erleichtern sie nicht nur die Arbeit, sie liefern ihnen auch einen wichtigen Legitimationsrahmen, dies v.a. in der Berufsbildung, oder aber auch in Projekten wie das erwähnte fide-Projekt. Wer nicht auf solche Lehrpläne zurückgreifen kann, kann selbst mit Phantasie und System Lebenssituationen identifizieren, um sie dann auf bestehende, meistens lernziel- bzw. kompetenzorientierte Lehrpläne abzustimmen. Häufig werden aber Lehrkräfte auch in die Erarbeitung von Schullehrplänen involviert, was ihnen Gelegenheit gibt, die notwendigen Bezugssituationen zu identifizieren und zu beschreiben. Zur Illustration einer solchen Vorbereitungsarbeit sei auf das Beispiel von zwei KollegInnen verwiesen, die dies für den Fremdsprachenunterricht in Deutsch und Englisch an einer Höheren Fachschule für Technik geleistet haben (vgl. Box S. 57-58). Wenn Lebenssituationen in didaktische Situationen überführt werden, bilden sie eine wichtige Basis für ein Lernen, das lebendig und aktiv gestaltet werden kann. Ist einmal ein Set solcher Situationen vorhanden, kann der eigentliche kreative, fachdidaktische Teil der konkreten Gestaltung eines Szenarios in Angriff genommen werden. Man tritt damit in die zweite Phase der Situationsdidaktik ein (vgl. Abb. 3) und wird mit folgender Frage konfrontiert:Wie sollen Lebenssituationen in didaktische Situationen überführt und inszeniert werden? Konkreter: Wer, wie und wann soll eine (erlebte) Lebenssituation im Unterricht vorstellen? Die Antworten können natürlich sehr vielfältig ausfallen, und hängen vom Fach, von den Lernenden, von den verfügbaren Medien, usw. ab. Ein Beispiel hierzu wird in der didaktischen Beilage illustriert. Wie lässt sich die Erfahrung aus den Lebenssituationen analytisch bzw. synthetisch verarbeiten? Die vermutlich wichtigsten Lernprozesse spielen sich in den Phasen der reflexiven Verarbeitung des Erfahrungs- und des Fachwissens ab. Die Phasen 2 (Präsentation), 3 (Strukturierung) und 4 (Identifizierung II) greifen dabei ineinander: Man beginnt mit der Präsentation einer Situation, die einer analytischen Strukturierung unterzogen werden muss. Sobald die Situation angemessen beschrieben worden ist kann die zentrale Frage gestellt werden: Welche Ressourcen, d.h. welche Kenntnisse, welche Fähigkeiten und welche Haltungen sind notwendig, um in der Situation angemessen und erfolgreich handeln zu können? Betrachten wir dies kurz an einem Beispiel. Die Englischlehrkraft an der höheren Fachschule lässt eine Studentin, die ein Praktikum in einer Pharmazeutikfirma absolviert, über die Sicherheitspraktiken im Labor berichten (Siehe Box, Situation 3.1). Ihre Erzählung wird mit schriftlichen Unterlagen und einigen Photos bereichert. Die Berichterstattung wird im Unterricht analysiert: Handlungen, Ziele, Akteure, Bedingungen usw. werden festgehalten. Daraufhin wird die Frage nach den zur Bewältigung der Situation notwendigen sprachlichen Ressourcen gestellt. Die Ergebnisse der Diskussion werden mit denen im Schullehrplan vorgegebenen Beschreibungen verglichen (vgl. Box). Die folgenden zwei abschliessenden Phasen 5 und 6 können je nach Situation die anspruchsvollsten und intensivsten sein, denn sie müssen den Lernprozess zu Ende führen. Die Lehrkraft wird hier aus dem Vollen schöpfen können und dabei je nach Bedürfnis und Interesse auf Textanalyse, Grammatiklektionen, Simulationen, Übungen usw. zurückgreifen. Situationsorientierte Lehrpläne Wie steht es mit den heutigen Lehrplänen? Ermöglichen oder begünstigen sie die Verwirklichung einer Situationsdidaktik im Unterricht? Seit den 1970er Jahren wurden traditionelle, auf die Definition der Unterrichtsinhalte ausgerichtete Lehrpläne systematisch von sogenannten lernzielorientierten Curricula ersetzt, die Lernen in Form von möglichst beobachtbarem Verhalten beschreiben. Diese soge53 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Cheminots du Paris-Lyon-Méditerranée, 1912. nannte Lernzielwende der Pädagogik war seit je weniger den didaktischen Anliegen nach einer sinnvollen Gestaltung des Unterrichts, als vielmehr den gesellschaftlichen Anforderungen nach Kontrolle und Rechenschaftsablegung8 verpflichtet und bleibt bis heute das vorherrschende Paradigma. Allerdings hat in den letzten zwei Dekaden die Aufmerksamkeit für den konkreten Verwendungskontext des Wissens stark zugenommen und sich als Kompetenzorientierung etabliert. Damit wurde dem Wunsch nach vermehrter Handlungsnähe und unmittelbarer, marktorientierter Verwertbarkeit der Lernergebnisse Rechnung getragen, ohne dabei des gesellschaftlichen Anspruchs nach Kontrolle verlustig zu gehen. Es mag banal erscheinen, aber die Resultante aus dieser Kreuzung besteht einfach darin, dass Kompetenzen in heutigen Lehrplänen in der Regel einfach als beobachtbare Lern- 54 Babylonia 02/13 | babylonia.ch ziele alter Manier definiert werden. Dies trifft auch für die Fremdsprachen zu, wo mit dem Gemeinsamen Europäischen Referenzrahmen9, u.a. zur Begünstigung der internationalen Lesbarkeit und Anerkennung, Referenzniveaus mit sogenannten „KannBeschreibungen“ angegeben werden. Generell kann jedoch gesagt werden, dass sich eine solche Handlungs- und Kompetenzausrichtung sehr gut mit der Situationsdidaktik vereinbaren lässt. Auch in der Berufsbildung sind Lernziel- und Kompetenzorientierung tonangebend. Dank einer breit angelegten Reform ist in den letzten 10 Jahren aus den meisten Lehrplänen (Berufsreglemente) ein doppeltes Instrument geworden, das sich aus einer Verordnung und einem dazu gehörenden Bildungsplan zusammensetzt. Die Vorgaben des SBFI (früher BBT) erlaubten es allerdings, neben strikten lernzielorientierten auch situationsorientierte Lehrpläne zu konzipie- ren10, sofern diese eine adäquate Beschreibung der angestrebten Handlungskompetenzen beinhalten. So sind zahlreiche Bildungsverordnungen nach dem CoRe-Modell (Kompetenzen-Ressourcen-Modell) entstanden11, ein Verfahren zur Entwicklung von Curricula, das von der Analyse von beruflichen und Lebenssituationen ausgeht und die Ressourcen bzw. Kompetenzen definiert, welche zu deren Bewältigung notwendig sind 12. Wer solche Bildungspläne zur Verfügung hat, kann leicht auf ein Set von bedeutsamen, repräsentativen Situationen zurückgreifen und sie als Ausgangspunkt für die didaktische Gestaltung des Unterrichts verwenden. Sind solche Lehrpläne nicht verfügbar, können Situationen identifiziert werden und in der Regel ohne grosse Probleme mit den Kompetenzanforderungen der üblichen Lehrpläne abgestimmt werden. Die Hauptphasen einer Situationsdidaktik In Abb. 3 werden die sechs Hauptphasen einer Situationsdidaktik zusammenfassend dargestellt, wobei in aller Knappheit für jede Phase auf die didaktische Fragestellung, die didaktischen Optionen und das zu erwartende Resultat eingegangen wird. Es ist äusserst wichtig festzuhalten, dass die Reihenfolge der Phasen idealtypischen Charakter hat und keinesfalls als rigide betrachtet werden muss. Im Gegenteil: Es steht der Lehrkraft frei, die Sequenzen je nach Bedürfnissen und Kontext zu variieren. Ebenso hat die Lehrkraft völlige Freiheit in der Auswahl der jeweiligen methodischen Optionen, denn eine Situationsdidaktik ist nicht mit didaktischen Methoden gleichzusetzen, sondern ist solchen Methoden übergeordnet. Von diesen Prämissen ausgehend lassen sich zwei entscheidende Prinzipien hervorstreichen. Eine Situationsdidaktik soll integrierend wirken und flexibel sein. Integration ist dabei doppelt zu verstehen und bezieht sich gleichsam auf die systematische Herstellung des Bezugs zwischen Lebens- und didaktischen Situationen und auf die Zusammenführung von Erfahrungsund Fachwissen. Zusammenführung bedeutet u.a., dass Fachwissen nicht einfach aus dem Erfahrungswissen induktiv rekonstruiert werden kann, sondern als Input autonom in den Lernprozess eingegeben werden muss. Flexibilität heisst, dass Situationsdidaktik den Rahmen hergibt, der auf fachspezifischer Ebene je nach Inhalten und methodischen Opportunitäten konkretisiert werden muss. In diesem Sinne steht eine Situationsdidaktik für pädagogische und methodische Vielfalt, für eine möglichst kreative, lebendige wenn auch rigorose Inszenierung des fachlich bestimmten Unterrichts, die von den in ihrer Rolle aufgewerteten Lehrpersonen geleistet werden muss. Alle denkbaren methodischen Hegemonieansprüche sind aus ihrem Horizont verbannt. Die Metapher liesse sich insofern weiter ausführen, als die zwei Gäste, die in der Philosophie und Epistemologie mit dem Empirismus und dem Rationalismus eng verwandt sind, seit je etwas zerstritten und nicht immer gut aufeinander zu sprechen sind.Wir wollen hier jedenfalls mit Immanuel Kant die „Vernunft ins Gericht zitieren“ und in didaktischer Absicht den kritischen Weg der Versöhnung, ja der gegenseitigen – auch im Sinne des ‚kognitiven Konflikts’ – Fruchtbarmachung gehen. 7 Wir definieren Situation als eine strukturierte zeitliche und räumliche Einheit (Entität) worin eine oder mehrere Personen zielgerichtete Handlungen vollführen, welche in übergeordnete, sinnstiftende Tätigkeiten (Praxis) eingebettet sind. Eine Situation unterliegt objektiven (materiellen und sozialen) und subjektiven Bedingungen und bestimmten Normen. Deshalb wird die Struktur einer Situation mindestens von folgenden Elementen bestimmt: die Akteure (Handlungssubjekte), die Handlungen, die Kontextbedingungen, die Normen. 8 Damit verbunden ist eine radikale Veränderung der administrativ-politischen Steuerung der Schule in Richtung Kontrolle der Resultate bzw. Rechenschaftsablegung einher gegangen: Man spricht heute von einer sogenannten Output- gegenüber der früheren Input-Kontrolle. 9 Vgl. dazu die ausführliche Dokumentation im thematischen Archiv von Babylonia: http://babylonia.ch/fileadmin/user_upload/ documents/FICHES_PDF/10_GER.pdf 10 Vgl. Dazu das Handbuch zur Entwicklung von Bildungsverordnungen der beruflichen Grundbildung, SBFI/BBT, abrufbar unter: http://www.sbfi.admin.ch/ber ufsbild u n g / 0 15 8 7 / 0 15 9 5 / 0 15 9 6 / i n d e x . html?lang=de 11 Das CoRe-Modell wird im erwähnten Handbuch kurz dargelegt und in Ghisla et al. 2008 ausführlich beschrieben. Ein Kurzportrait ist abrufbar unter: http://idea-ti.ch/de/ documenti-e-pubblicazioni/documenti-dibase/ 12 Solche Bildungspläne sind etwa für verschiedene Berufe erstellt worden, so etwa im sozialen Bereich, bei den sogenannten MEM-Berufen (Maschinen-, Elektro- und 6 Anmerkungen Dieser Beitrag ist das Resultat einer langjährigen Arbeit in der Curriculumentwicklung in zahlreichen Fächern und in der didaktischen Ausbildung von LehrerInnen und Lehrern, v.a. in der Berufsbildung. Die didaktischen Konzepte werden hier für die Fremdsprachendidaktik diskutiert, sie haben aber grundsätzlich eine allgemeine Geltung. Den vielen KollegInnen, v.a. Monica Lupi, die an der Erprobung und Diskussion der Konzepte beteiligt waren geht gilt unser ausdrücklicher Dank. 2 Siehe zu solchen ausführlich besprochenen Beispielen die Beiträge von Margrit Hagenow und Gé Stoks in Babylonia 1/2013. Solche Szenarien sind systematisch für wichtige Lebensbereiche wie Wohnungsumgebung, Kinder, Arbeitssuche, Verkehr, usw. erarbeitet worden. Sämtliche Unterlagen sind auf dem Fideportal verfügbar. (www.fide-info.ch) 3 Der so definierte virtuose Kreislauf versteht sich streng didaktisch und nicht als möglicher Lernkreislauf. Damit soll auch etwa der Unterschied zum Kreislauf von Kolb (1984) markiert werden. 4 Den theoretischen Hintergrund zu dieser Konzeption des Lernens und der Didaktik liefern zahlreiche Autoren. Es sei insbesondere auf folgende verwiesen: Gilbert Ryle (1949), der Entscheidendes zur Klärung der Unterscheidung von deklarativem (knowing that) und prozeduralem (knowing how) Wissen geleistet hat, Michel Polany (1966) mit seinem bahnbrechenden Beitrag zum impliziten und expliziten Wissen, Georg Hans Neuweg (2001, 2000), der die Begriffe von Polany im Hinblick aufs Lernen und die Didaktik aufgearbeitet hat, Donald Schön (1987) mit seinen unerlässlichen Arbeiten zum Reflexionsbegriff, David Kolb (1984) der die Bedeutung des Erfahrungslernens neu aufgerollt hat und I. Nonaka & H.Takeuchi (1995), die die Entstehungsprozesse des Wissens in der Arbeit beleuchtet haben. 5 Vgl. dazu z.B. die Nummer 139/199-2 der Zeitschrift Education permanente, die dem Thema «Apprendre des situations» gewidmet ist, aber auch G. Brousseau, der eine «théorie des situations didactiques» vorgelegt hat. 1 55 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Metallindustrie), bei den Pharmaassistentinnen und weiteren Berufen sowie auch in der höheren Berufsbildung (alle Bildungsverordnungen und -pläne auf der SEFRIHomepage abrufbar). Situationsorientierte Materialien sind aber auch z.B. zum Berufsrechnen für verschiedene Berufe im Entstehen (Kaiser, 2013). Bibliografie Broussau, G. (o.J.). La théorie des situations didactiques. Abrufbar unter: http://eroditi.free. fr/Enseignement/DDML3S1_08-09/ DDML30809S1_C5_TSDb.pdf (8.7.2013) Chevallard, Y. (1991). La transposition didactique du savoir savant au savoir enseigné. Grenoble: La Pensée Sauvage. Dewey, J. (1993/1916). Demokratie und Erziehung. Weinheim und Basel: Beltz. (Hrsg. Jürgen Oelkers) Comenius, J. A. (1992/1638). Grosse Didaktik. Stuttgart: Klett-Cotta. Ghisla, G., Bausch, L., & Boldrini, E. (2008). CoRe – Kompetenzen-Ressourcen: Ein Modell der Curriculumentwicklung für die Berufsbildung. Zeitschrift für Berufs- und Wirtschaftspädagogik, 3/2008, 431–466. Hagenow-Caprez, M. (2013). Unterrichten mit Szenarien: “Aus der Praxis”. Babylonia, 1/2013, 47-50. Heitzmann, A. (2013). Entwicklung und Etablierung der Fachdidaktik in der schweizerischen Lehrerinnen- und Lehrerbildung. Beiträge zur Lehrerbildung, 1/2013, 5-17. Kaiser H. (2013). Ansätze für eine berufsbildungsspezifische Didaktik des Fachrechnens. In: bwp@ Berufs- und Wirtschaftspädagogik – online, Ausgabe 24, 1-21. Online: http:// www.bwpat.de/ausgabe24/kaiser_bwpat24. pdf (8.7.2013) Kolb, D. A. (1984). Experiential Learning: Experience as the Source of Learning and Development. New York: Englewood Cliffs, Prentice Hall. Neuweg, G. H. (2000). Wissen Können Reflexion. Innsbruck: STUDIENVerlag. Neuwg, G. H. (2004). Könnerschaft und implizites Wissen. Münster: Waxmann. Nonaka, I. & Takeuchi, H. (1995). The Knowledge-Creating Company. Oxford/New York: Oxford University Press. Polanyi, M. (1966). The Tacit Dimension. Gloucester, MA: Peter Smith. Ryle, G. (1949). The Concept of Mind. London: Hitchinson & Co. Schön, D. A. (1987). Educating the Reflective Practitioner. San Francisco: Jossey-Bass. Schneuwly, B. (2013). Didaktik: Aufbau eines disziplinären Feldes – Eine frankofone Perspektive. Beiträge zur Lehrerbildung, 1/2013, 1830. Stoks, G. (2013). L’approccio per scenari anche per altri ambiti formativi? Babylonia, 1/2013, 39-42. Gianni Ghisla PhD, ist Mitglied der Redaktion von Babylonia. Seit Jahren ist er in der Lehrerausbildung tätig und beschäftigt sich mit Fragen der Didaktik und der Schulinnovation. Luca Bausch lic. phil. In Politikwissenschaften, ist Projektverantwortlicher und Dozent am Eidgenössischen Hoschulinstitut für Berufsbildung (EHB) in Lugano. Nebe der Didaktik, konzentrieren sich seine Forschungsinteressen auf die Fragen der LehrerInnenidentität, die Entwicklung von Curricula und die Analyse von Berufspraktiken. Elena Boldrini PhD, ist Senior Researcher und Dozentin am Eidgenössischen Hochschulinstitut für Berufsbildung (EHB) in Lugano. Ihre Forschungsinteressen betreffen v.a. die didaktische Anwendung von Technologien in der Berufsbildung, die Fragen der LehrerInnendentität, die Entwicklung von Curricula und die Analyse von Berufspraktiken. Eugène Atget, Marchand d’abat-jours dans les rues de Paris, 1899. 56 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Damiano Cioldi und Giorgia Franzini | Bellinzona Sprachlich bedeutsame Situationen im Beruf Den Fremdsprachenlehrkräften an einer Höheren Fachschule (HF) stellt sich eine wichtige Frage: Wie sollen die relativ offenen Vorgaben des Rahmenlehrplans für Technik (2.8.2010) in den Unterricht bedürfnisorientiert und fachgerecht umgesetzt werden? Der Lehrplan verlangt eigentlich nur, dass diplomierte TechnikerInnen einer HF „sich im Alltag der beruflichen Tätigkeit in einer Fremdsprache verständigen können“, wobei das minimale Niveau auf der Stufe A2 des europäischen Sprachenportfolios angesetzt ist. Die Schulen können sich auf der Basis dieser offenen Voraussetzungen recht frei bewegen und ihren Fremdsprachenunterricht in Inhalt und Form auch frei gestalten. Dies geschieht in der Regel mit einem Schullehrplan, der von den beteiligte Lehrkräften mitkonzipiert wird. Wir unterrichten an zwei Schulen, in Bellinzona und Trevano, die diplomierte Systemtechniker ausbilden und zwar für die Elektrotechnik, Metallkonstruktion sowie Chemie und Pharmazeutik, entweder in einem vollschulischen oder in einem berufsbegleitenden Curriculum. Der Unterricht erfolgt in den Sprachen Deutsch und Englisch und hat für das Vollzeitcurriculum 146 Unterrichtsstunden zur Verfügung, verteilt auf zwei Jahre, während im berufsbegleitenden, dreijährigen Kurs 216 Unterrichtsstunden verfügbar sind. An den Abschlussprüfungen werden Sprachkompetenzen sowohl genereller als auch fachspezifischer Natur verlangt. Im Folgenden soll knapp und am Beispiel des Lehrplans für den Bereich Chemie und Pharmazeutik aufgezeigt werden, wie wir bei der Identifikation der für den beruflichen Alltag in fremdsprachlicher Hinsicht bedeutsamen und repräsentativen Situationen vorgegangen sind und wie das vorläufige Resultat aussieht. KOMPETENZBEREICH 1. Arbeitssuche 2. IT-Ressourcen 3. Laboraktivitäten 4. Administration und Fortbildung Wichtig ist festzuhalten, dass man bei einer derartigen Lehrplanarbeit immer die zwei zentralen Perspektiven möglichst präsent haben sollte: Einerseits die didaktische Situation, worin sich das Lehren und Lernen hauptsächlich abspielen wird, andererseits die berufliche Tätigkeit, worin das Gelernte zur Anwendung kommt. Nur wenn es gelingt, eine genügende Kontinuität zwischen den zwei Kontexten zu erzielen wird das Lernen tatsächlich erfolgreich sein. Da wir von der Ausbildung her Sprachfachleute sind, haben wir uns entschieden, um diesen zwei Anforderungen genügen zu können, Erfahrungen am Arbeitsplatz zu sammeln. So hat einer von uns im letzten Sommer zwei Wochen bei einer Pharmazeutikfirma verbracht, Einsicht in beinahe alle Arbeitsprozesse haben können und v.a. die Verwendung der englischen Sprache unter die Lupe genommen. Auf dieser Basis haben wir uns vorerst überlegt, welche Berufsaktivitäten fremdsprachlich relevant sind und wir haben vier Kompetenzbereiche bestimmt: Arbeitssuche, IT-Ressourcen, Laboraktivitäten, administrative Arbeiten und Fortbildung. Die verschiedenen möglichen Handlungssituationen wurden dann gruppiert und sozusagen in die Vernehmlassung geschickt. Einige berufstätige Systemtechniker haben sie kritisch begutachtet. Das Resultat mit 18 gruppierten Situationen, das noch weiter evaluiert werden soll, sieht vorläufig wie folgt aus: SITUATION 1.1 Redaktion eines Curriculum Vitae 1.2 Stellensuche in den einschlägigen Medien 1.3 Verfassung von schriftlichen Bewerbungen 1.4 Persönliche Vorstellung am Telefon oder in Präsenz 2.1 Benutzung der elektronischen Post und der verschiedenen social networks 2.2 Suche nach Informationen und Wissen zum Beruf im Internet 2.3 Benutzung von beruflich relevanten Softwares 3.1 Anwendung von bereits vorhandenen Prozeduren und Statements (z.B. hazard statements, precautionary statements) 3.2 Redaktion von neuen, firmeninternen Prozeduren 3.3 Anwendung von Richtlinien und vorgegebenen Normen (z.B.:GMP – Good Manufacturing Practice) 3.5 Anwendung von mündlichen oder schriflichen Instruktionen zu neuen Instrumenten und Anlagen 3.6 Technische Informationen zur Lösung von Laborproblemen einholen 3.7 Labormaterial bestellen 3.8 Laborberichte redigieren 4.1 Beteiligung an Sitzungen der Unternehmungsführung in Präsenz oder online 4.2 Präsentationen vorbereiten und halten 4.3 Fotbildungsaktivitäten (Kurse, persönliche Recherchen, usw.) 57 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Gleichzeitig wurde die Arbeit an der Verfeinerung, d.h. Strukturierung und Beschreibung einer jeden Situation aufgenommen. Neben der Beschreibung der Aktivität, die sich in Situationen abspielt ist diesbezüglich eine Frage zentral: Welche sprachlichen Ressourcen (Kenntnisse, Fähigkeiten und Haltungen) sind notwendig, um die Arbeitssituation kompetent bewältigen zu können? In diesem Falle illustrieren wir das vorläufige Ergebnis am Beispiel einer Handlungssituation im Labor, wo Sicherheitsvorschriften sehr streng gehandhabt werden müssen. Da solche Vorschriften häufig auf Englisch verfasst und da an den Laborteams häufig englischsprechende MitarbeiterInnen tätig sind, ist des verlangte Niveau mit B1-B2 deutlich höher angesetzt als bei den Minimalanforderungen des Rahmenlehrplans. Situation 3.1 Anwendung von bereits vorhandenen Prozeduren und Statements (z.B. hazard statements, precautionary statements) Akteure Systemtechniker, Mitarbeiterinnen Aktivität Der chemisch-pharmazeutische Systemtechniker führt und überwacht sämtliche Arbeiten im chemischen und biologischen Labor. Er muss dabei für die Einhaltung von Prozeduren und Statements sorgen, die entweder standardisiert oder experimentell sein können. Standardprozeduren und Statement sind in internationalen Anleitungen enthalten, die entweder schriflich oder online in englischer Sprache verfügbar sind. Bei diesen Aktivitäten muss der Systemtechniker häufig mit MitarbeiterInnen in der eigenen oder mit VertreterInnen anderer Firmen effizient und sicher kommunizieren können. Normen Internationale und firmenspezifische Normen Ressourcen Kenntnisse Sprachlich (Italienisch/Englisch): r-FYJLBMJTDIF,FOOUOJTTFFJOTDIMÅHJHFT7PLBCVMBS[V4VCTUBO[FO4JDIFSIFJUTWPSLFISVOHFO/PSNFO)BOEMVOgen, usw.) r5ZQJTDIF5FYUTUSVLUVSFO Fachspezifisch: r4VCTUBO[FO*OTUSVNFOUFVOE1SP[FEVSFOEJFJN-BCPS[VS"OXFOEVOHLPNNFO.BUFSJBMJFONJUJISFOFJOschlägigen Charakteristika (einschliesslich Gefahren) Fähigkeiten Sprachlich (Italienisch/Englisch): r4JDIFSFTTDISJGUMJDIFTVOENÛOEMJDIFT7FSTUFIFOWPOFJOTDIMÅHJHFO*OGPSNBUJPOFO[VTÅNUMJDIFOSFMFWBOUFO-Bboraktivitäten (Niveau B1-B2) r4JDIFSF7FSTDISJGUMJDIVOHWPO4UBOEBSEJOGPSNBUJPOFO/JWFBV#Ɔ#Ƈ r7FSGBTTFOWPOFJOGBDIFO5FYUFOVOE1SÅTFOUBUJPOFO/JWFBV#Ɔ r4JDIFSFNÛOEMJDIF.JUUFJMVOHWPO4UBOEBSEJOGPSNBUJPOFO/JWFBV#Ƈ#Ƈ r.ÛOEMJDIF1SÅTFOUBUJPOWPOFJOGBDIFO*OGPSNBUJPOFO/JWFBV#Ƈ Fachspezifisch: r&JOTDIMÅHJHF'ÅIJHLFJUFO[VEFOWFSTDIJFEFOFO-BCPSBLUJWJUÅUFO Haltungen Verantwortungssinn, Genauigkeit, Disziplin, Flexibilität, Sinn für Zusammenarbeit Damit verfügen wir über eine zuverlässige situationsbasierte Beschreibung der fremdsprachlichen Anforderungen des beruflichen Alltag und können uns, ausgehend von der Frage „Wie lassen sich diese Alltagssituationen am besten in die Unterrichtsrealität hinein bringen?“, an die didaktische Gestaltung der Szenarien machen. 58 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Damiano Cioldi Englischlehrer an den Höheren Fachschulen im Tessin. Giorgia Franzini unterrichtet Deutsch an den Höheren Fachschulen im Tessin. Tema Zweisprachiger Unterricht an Berufsfachschulen? Aber sicher! Mary Miltschev | Zürich L’insegnamento bilingue nelle scuole specializzate per le professioni è stato introdotto per la prima volta nel 1999 a Zurigo e in alcuni cantoni della Svizzera tedesca nella combinazione tedesco/inglese. In due progetti zurighesi (denominati bili ) in totale 40 insegnanti hanno tenuto le loro lezioni bilingui in 10 scuole professionali. Nel 2010 i progetti sono stati sottoposti ad una valutazione esterna ad opera dell’Università di Friborgo. I risultati hanno mostrato che le competenze specifiche degli allievi delle classi bilingui sono altrettanto buone che quelle degli allievi delle altre classi. Inoltre, essi evidenziano chiaramente migliori conoscenze linguistiche rispetto agli allievi delle altre classi. Di conseguenza, l’insegnamento bilingue è possibile in tutte le scuole professionali del canton Zurigo. Il Consiglio di Stato ha messo a disposizione 1.6 milioni di franchi per la fase preparatoria di questa introduzione (2011-2015). Ciò consente il sostegno finanziario dei nuovi docenti che devono formarsi tanto dal punto di vista linguistico quanto da quello didattico per poter tenere lezioni bilingui. Da allora sono più di 30 i nuovi insegnanti operanti nell’insegnamento bilingue nel canton Zurigo. Il bili è particolarmente adatto per le classi di maturità professionale, in cui l’insegnamento bilingue è praticato piuttosto in modo immersivo. Sia nelle scuole specializzate per le professioni che a livello di maturità professionale sono stati effettuati con successo esami finali bilingui. L’esame bilingue in una materia viene registrato nella pagella finale e visibile ai futuri datori di lavoro. In altri cantoni l’insegnamento bilingue ha luogo in singole scuole. Il canton Lucerna sta per far sì che a partire dal prossimo anno scolastico ci sia almeno una classe bilingue in ogni scuola professionale. A livello federale sono state approvate misure di sostegno nel campo dell’insegnamento bilingue. Non resta che sperare che questa moderna forma di insegnamento si consolidi a lungo termine in tutta la Svizzera. Altri articoli su questo tema: www.babylonia.ch > Archivio tematico > Schede 11 e 15 Ein Blick zurück Wer würde heute der Behauptung glauben, dass der bilinguale Unterricht zuerst an Berufsfachschulen erprobt wurde, bevor auch die Mittelschulen sich dazu entschlossen, mit Immersion anzufangen? Schliesslich ist der zweisprachige Unterricht fast schon zu einem Markenzeichen der Gymnasien geworden, der auch bei den Jugendlichen sehr beliebt ist. Und doch stimmt die Aussage. Werfen wir einen kurzen Blick zurück: In den 90er Jahren entdecken ein paar wissens- gierige Berufschullehrpersonen die Forschungsergebnisse aus Kanada, wo der Fachunterricht in einer Fremdsprache bereits in den 60er Jahren eingeführt wurde. Die Kinder wurden dort ausschliesslich in der gewählten Fremdsprache unterrichtet und dies von der ersten Klasse an. Die Resultate waren erstaunlich, vor allem, weil bei dieser Methode die Kinder nicht nur die Fremdsprache sehr schnell lernten, sondern auch Fortschritte in der Muttersprache, die nicht unterrichtet wurde, erzielten. Nun, damals – wie auch heute – waren die Fremdsprachen in der Berufsbildung nicht sehr stark vertreten: In den meisten Berufen, in denen die Jugendlichen ausgebildet wurden, gab es nach der Volksschule keinen Fremdsprachenunterricht mehr. Der Anfang Das war der Hauptgrund, warum sich einige Enthusiasten entschlossen, ihre Lernenden in einem Fach zweisprachig (in der Kombination Deutsch/Englisch) zu unterrichten.Sie tauften das Projekt bi.li.1 (für bilingualen Unterricht) und reichten ein Gesuch für finanzielle Unterstützung beim Kanton Zürich ein.Vertreten waren Lehrpersonen aus elf Berufsfachschulen im Kanton Zürich und einzelne Lehrpersonen aus anderen Deutschschweizer Kantonen. Die grosse Aufbauarbeit begann. Da dies ein „bottom up“ Projekt war, galt es zuerst alle Beteiligten – Lernende, Schulleiter und Betriebe – vom Nutzen dieser Unterrichtsform zu überzeugen. Das war keine leichte Aufgabe. Besonders wenn man bedenkt, dass sogar heute die gleichen Vorurteile in den Köpfen der meisten nicht direkt Beteiligten herrschen, nämlich: die Lernenden müssen im Beruf, nicht in Sprachen, ausgebildet werden. Oder: sie müssen zuerst Deutsch lernen, erst dann die Fremdsprache. Den Erkenntnissen aus der Forschung, dass das eine das andere nicht ausschliesst, sondern sogar unterstützt, wurde immer wieder mit Skepsis begegnet. 59 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Der zweisprachige Unterricht an Berufsfachschulen wurde zum ersten Mal 1999 in Zürich und in einigen Deutschschweizer Kantonen in der Kombination Deutsch/Englisch eingeführt. Innerhalb von zwei Zürcher Projekten (unter dem Namen bili) unterrichteten insgesamt 40 Lehrpersonen an 10 Berufsfachschulen ihre Fächer bilingual. 2010 wurden die Projekte durch die Universität Freiburg extern evaluiert. Die Ergebnisse zeigten, dass die Fachkompetenzen der Lernenden in den bili-Klassen mindestens so gut wie diejenigen der Lernenden in den Kontrollklassen waren. Zudem wiesen sie klar bessere Sprachkenntnisse aus als die Lernenden in den Kontrollklassen. Darauf wurde der bilinguale Unterricht im Kanton Zürich für alle Berufsschulen möglich. Der Regierungsrat bewilligte 1,6 Millionen Franken für die Aufbauphase der Einführung (2011-2015). Dies ermöglicht die finanzielle Unterstützung der neueinsteigenden Lehrpersonen, die sich sprachlich und didaktisch weiterbilden müssen, um bilingual zu unterrichten. Seitdem sind über 30 Lehrpersonen in den bilingualen Unterricht im Kanton Zürich eingestiegen. Besonders geeignet ist bili für Berufsmaturitätsklassen, wo der zweisprachige Unterricht eher immersiv als bilingual geführt wird. Sowohl an den Berufsfachschulen als auch auf Berufsmaturitätsstufe wurden zweisprachige Abschlussprüfungen erfolgreich durchgeführt. Der zweisprachige Abschluss in einem Fach wird in den Schlusszeugnissen vermerkt und somit auch für die künftigen Arbeitgeber sichtbar. Im Rahmen dieses Projekts wurden zwei Bücher herausgegeben (Jansen O’Dywer & Nabholz, 2004, Jansen O’Dywer, 2007) zudem eine Informationsbroschüre und ein Kurzvideo. Parallel dazu, und beinahe unbemerkt von der Öffentlichkeit, wurden Woche für Woche verschiedene Fächer auf Englisch unterrichtet, zweisprachige Übungsblätter wurden kreiert, Materialien wurden gesammelt und man traf sich regelmässig, um Erfahrungen auszutauschen. Mittlerweile waren auch die Mittelschulen neugierig geworden – warum nicht gleich selbst ausprobieren, wenn es schon in den Berufsfachschulen geht? Es wurde nach einem neuen Namen gesucht und schliesslich, im Jahr 2001, wurde die Immersion, das Eintauchen im Sprachbad, geboren. Die Entwicklung und der Erfolg des zweisprachigen Unterrichts an den Mittelschulen ist nicht das Thema dieses Artikels. Es zeigt nur, was man erreichen kann, wenn die Beteiligten – in diesem Fall die Schülerinnen und Schüler, die Eltern, die Lehrpersonen und nicht zuletzt die Schulleitungen – voll hinter einem Projekt, besser gesagt, hinter einer innovativen Unterrichtsform stehen. Die Fortsetzung Zurück zur Berufsbildung: Nach Ablauf des ersten Projekts stellte sich die Frage nach der didaktisch-methodischen Ausbildung der Fachlehrpersonen, die bilingual unterrichteten. Es wurde mittlerweile klar, dass es nicht reicht, in der Stunde ein wenig Englisch zu sprechen oder einfach etwas auszuprobieren. Auch beim zweisprachigen Un60 Babylonia 02/13 | babylonia.ch terricht ist das Erlernen des Fachs, und nicht der Sprache, im Vordergrund. Dies erfordert das Beherrschen spezifischer methodisch-didaktischer Kompetenzen, die dabei helfen, die Lernenden weder im Fach noch in der Sprache zu überfordern. Darum lag der Schwerpunkt des Umsetzungsprojekts bili bei der Ausbildung der Lehrpersonen. In diesem Projekt 2 verschwand der Punkt vom bi.li, und es wurden die Rahmenbedingungen für den erfolgreichen zweisprachigen Unterricht genauer definiert. Die Lehrpersonen wurden in einem Didaktikkurs ausgebildet sowie sprachlich und finanziell durch das Mittelschul- und Berufsbildungsamt Zürich unterstützt. Die Fachstelle Fremdsprachen übernahm die Koordination und Beratung im bilingualen Bereich, der methodisch-didaktische bili-Lehrgang wurde am Zürcher Hochschulinstitut für Schulpädagogik und Fachdidaktik angesiedelt. Zudem wurden mit einzelnen Klassen die zweisprachigen Lehrabschlussprüfungen erfolgreich erprobt. Die bili-Familie im Kanton Zürich wuchs. Die Evaluation Mittlerweile war das Thema Mehrsprachigkeit in allen Bildungsbelangen wichtig geworden. Sowohl in Europa als auch in der Schweiz3 wurden dem Erlernen von Fremdsprachen und den damit verbundenen interkulturellen Kompetenzen zentrale Bedeutung zugemessen. Die Fremdsprachen als Fach in der Berufsbildung waren noch immer nur bei den Kaufleuten, den Detailhandelsangestellten und bei einigen wenigen anderen Berufen vertreten. Die restlichen fast fünfzig Prozent der Zürcher Jugendlichen, die mittlerweile dank dem HarmoS-Konkordat - mit acht Jahren Englisch und fünf Jahren Französisch aus der Volksschule kommen, haben an den Berufsfachschulen keinen Deutsch- oder Fremdsprachenunterricht mehr. Bili ist für sie immer noch die einzige Möglichkeit, ihre vorhandenen Fremdsprachenkenntnisse mindestens zu erhalten. Nur, ist bili wirklich nützlich? Antworten dazu lieferte die im 2010 von der Universität Freiburg durchgeführte Evaluation der beiden Zürcher Projekte (Brohy & Gurtner, 2011). Die wichtigsten Erkenntnisse daraus wa- ren, dass die bili-Lernenden bessere Sprachkenntnisse und mindestens gleich gute Fachkompetenzen im Vergleich zu den Lernenden in den Kontrollklassen ohne bili-Unterricht aufwiesen.Wirklich erstaunt darüber waren nur die Skeptiker. Die Resultate waren eine grosse Anerkennung der Arbeit der bili-Lehrpersonen, die oft auch an der eigenen Berufsfachschule einen schweren Stand hatten und manchmal weder von Schulleitungen noch von Kolleginnen und Kollegen unterstützt wurden. Interessant waren einige Ergebnisse, die ans Licht kamen, z.B. dies: die bili-Lernenden räumen intuitiv und ohne didaktische Fachkenntnisse mit einigen Vorurteilen gegenüber bili auf, die sich in der Bildungslandschaft immer noch hartnäckig halten. Wie aus Abb. 1 ersichtlich wird, findet die Aussage „Ich werde im Fach Deutsch einen geringeren Fachwortschatz haben als die Lernenden in den einsprachigen Klassen“ bei den befragten bili-Lernenden die kleinste Zustimmung. Die höchste Zustimmung trifft auf die Aussage zu: „Es ist nicht nötig, Fremdsprachen fehlerlos zu sprechen und zu schreiben, die Kommunikation ist wichtig.“ Abb. 1: Aussage Lernenden (Quelle: Brohy et. al., 2011) Spannend ist auch ein kleines Detail aus der Statistik betreffend biliLehrpersonen: diese haben Kenntnisse von durchschnittlich drei Fremdsprachen, die sie jedoch nicht unterrichten. Vielleicht ist es doch diese Offenheit und Neugier anderen Kulturen gegenüber, die die erfolgreichen bili- Lehrpersonen ausmachen und vorantreiben. Schliesslich ist die Eigenmotivation und Freude an der Arbeit besonders wichtig, wenn der Mehraufwand bei der Vorbereitung der Lektionen so hoch ist. Bili heute Die Ergebnisse der Evaluation öffneten den Weg für bili an weitere Zürcher Berufsfachschulen. Der Bildungsrat sprach sich im Frühjahr 2011 für die generelle Einführung des zweisprachigen Unterrichts an allen Berufsfachschulen aus. Angeregt wurde zudem die Einführung eines bili-Angebots Deutsch/Französisch. Der Zürcher Regierungsrat bewilligte im August 20114 die nötige finanzielle Unerstützung für die Aufbauphase des zweisprachigen Unterrichts. Mittlerweile hat sich gezeigt, dass die unterstützenden Massnahmen greifen: Über 30 neue Lehrpersonen befinden sich in Ausbildung und unterrichten gleichzeitig bilingual. Mit dem Einstieg der KV Zürich Business School mit einer Berufsmaturitätsklasse im Schuljahr 2011/12, die in allen Fächern, ausser den sprachlichen, auf Englisch unterrichtet wird, hat sich bili vor allem auf Berufsmaturitätsstufe etabliert. Ab Schuljahr 2013/14 werden Lernende sowohl an der Berufsmaturitätsschule Zürich als auch an fünf von insgesamt sieben Berufsmaturitätsabteilungen bilingual in der Kombination Deutsch/Englisch unterrichtet. Auch in den Eidgenössisches Fähigkeitszeugnis (EFZ)-Ausbildungen breitet sich bili langsam aus. Fünf Berufsfachschulen haben schon grössere bili-Teams mit einer Fachgruppenleitung gebildet, andere führen bilinguale Klassen mit nur einer oder zwei Lehrpersonen. Einige bili-Lehrpersonen der ersten Generation sind schon pensioniert. Nun gilt es, ihre Aufbauarbeit weiterzuführen und neue biliLehrpersonen auszubilden. Seit zwei Jahren bietet die Pädagogische Hochschule Zürich einen einjährigen CAS-Kurs für zweisprachige Didaktik an, die ersten Absolventinnen und Absolventen nahmen ihre Diplome im Januar 2013 entgegen. Die Fachstelle Fremdsprachen des Mittelschulund Berufsbildungsamts Zürich bietet Beratung und finanzielle Unterstützung für die Lehrpersonen, die zweisprachig unterrichten. Zudem verfasst sie einmal jährlich einen Newsletter zum Thema und organisiert, in Zusammenarbeit mit der Pädagogischen Hochschule Zürich, ein jährliches Erfahrungsaustauschtreffen für angehende und schon ausgebildete bili-Lehrpersonen. Eine überarbeitete Version der Broschüre „Fit for Life“ bietet Informationen zu bili für Schulleitungen, Betriebe und Jugendliche5. Nützliche Links und Materialien sowie Informationen zum zweisprachigen Unterricht befinden sich auf der Plattform „2. Sprache in der beruflichen Grundbildung“. Innerhalb des darin integrierten Forums können sich Lehrpersonen informell austauschen.6 An einigen Berufsschulen wurden in den letzten drei Jahren zweisprachige Lehrabschlussprüfungen erfolgreich durchgeführt. Beim Bestehen erhalten die Jugendlichen neben der Fachnote ei- 61 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Seit mehreren Jahren wird an Berufsfachschulen bilingual unterrichtet. Obwohl in der Öffentlichkeit fast unbekannt, ist diese Unterrichtsform ein Erfolgsrezept. nen Eintrag „zweisprachig geprüft“ im Zeugnis. Auch in den Semesterzeugnissen wird der bilinguale Unterricht mit „zweisprachig besucht“ vermerkt. Künftige Arbeitgeber tun gut daran, nach solchen Einträgen Ausschau zu halten, denn sie bezeugen nicht nur bessere Sprachkenntnisse und Durchhaltevermögen, sondern auch Motivation, Offenheit und Freude am Lernen. Da bili an den meisten Berufsfachschulen freiwillig ist, ist es sehr wichtig, die Jugendlichen mit dem Angebot rechtzeitig zu erreichen, so dass bili-Klassen gebildet werden können, was stundenplantechnisch nicht immer einfach ist. Hier wäre die Unterstützung der ausbildenden Betriebe enorm wichtig. Im Kanton Zürich als Sitz vieler internationaler Firmen sollte man keine Mühe haben, genug Betriebe zu finden, die den Fremdsprachenerwerb unterstützen würden. Obwohl im Kanton Zürich Französisch als zweite Landessprache gefördert werden sollte, ist bisher wenig erreicht worden. Die Jugendlichen müssen vermehrt dazu motiviert werden, die Kombination Französisch/Deutsch zu wählen. Zudem ist es nicht immer einfach, geeignete Lehrpersonen zu finden, die über genügende Sprachkenntnisse in Französisch verfügen.Trotzdem kann man davon ausgehen, dass auch dieses Angebot an den Berufsfachschulen aufgebaut werden kann, wenn es von der Wirtschaft verlangt wird. Bili in anderen Kantonen Dank der Evaluation und der ergriffenen Massnahmen verwandelte sich bili von einem Projekt zu einem zwar kleinen aber festen Bestandteil der Zürcher Berufschullandschaft. Währenddessen ist bili auch in der übrigen Schweiz an einigen Berufsfachschulen angekommen. Ein Projekt zum zweisprachigen Unterricht, das auch erfolgreich evaluiert wurde, gibt es im Kanton Luzern. Im Aargau wird an kaufmännischen und gewerblichen Schulen bilingual unterrichtet, allerdings ohne Koordination oder Unterstützung vom Kanton. Im Thurgau wurde der mehrsprachige Unterricht aus der Not eingeführt, für eine Kleinklasse für Musikinstrumentenbauer, die aus der ganzen Schweiz kommen und z.T. auf Deutsch, Englisch oder Französisch unterrichtet werden.Vereinzelt wird in Graubünden und im Tessin bilingual unterrichtet. Allumeur de réverbères, Buenos Aires, 1931. 62 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Die Schweizerische Berufsbildungsämter-Konferenz (SBBK) veröffentlichte schon im Jahr 2003 eine Empfehlung zum zweisprachigen Unterricht, in der es heisst7: „Die SBBK stellt fest, dass von Seiten der Wirtschaft klare Forderungen nach Sprachen und interkulturellen Kompetenzen bestehen. Diese Mehrsprachigkeit muss generell gefördert werden, auch wenn der Bedarf nicht in jedem Berufsfeld identisch ist. Eine Möglichkeit zur Förderung der Kompetenzen in einer andern Sprache ist der zweisprachige Unterricht. Die bisher gewonnen Erfahrungen sind positiv und sollen deshalb… umgesetzt werden… .“ Es sollten 10 Jahre vergehen, bevor sich einige Kantone dazu entschlossen, den bilingualen Unterricht zu fördern. Schon erwähnt wurde der Kanton Luzern, der mit dem Konzept „Mobilingua“ ab Schuljahr 2013/14 alle Berufsschulen dazu auffordert, ein bilinguales Angebot zu führen und als Unterstützung auch eine Koordinationsperson zur Verfügung stellt. Ab nächstem Schuljahr führt eine Schule im Kanton Bern (Wirtschaftschule Thun) den zweisprachigen Unterricht auf Berufsmaturitätsstufe ein. Es bleibt zu hoffen, dass auch andere bald folgen werden. Die Zukunft In einer Aktennotiz der SBBK über Sprachkompetenz stellt die Kommission im Jahr 2011 erneut fest: „Die Wichtigkeit des Sprachenlernens auf der Sekundarstufe II im Bereich Berufsbildung ist noch nicht genügend erkannt worden. Es herrscht die Meinung, dass es auf dieser Stufe schwergewichtig berufsspezifische Kompetenzen zu er- lernen gilt. Folglich werden in vielen Berufen nicht nur die Fremdsprachen, sondern auch die erste Landessprache zu wenig gepflegt… . Wenn die Politik besondere Anstrengungen unternimmt, allen Jugendlichen in der Schweiz lebenslange Weiterbildungsmöglichkeiten zu bieten, muss auch die Sprachpolitik an den Berufsschulen neu definiert werden.“ Auch beim Bund – zuerst im Rahmen der Lehrstellenkonferenz 2011, wurde wieder über Massnahmen zur Erhöhung der beruflichen Mobilität diskutiert, allerdings ohne dabei den Fremdsprachen besondere Beachtung zu schenken. Schliesslich wurde anlässlich der Lehrstellenkonferenz 2012 das Papier „Stossrichtungen zur Förderung der Mobilitätsaktivitäten und des schulischen Fremdsprachenerwerbs in der Berufsbildung“ verfasst. Zwei der insgesamt zehn unterstützenden Massnahmen betreffen den bilingualen Unterricht. Somit wird auf Bundesebene die Anstrengung unternommen, koordinierte Unterstützung im Bereich Sprachen, wenn auch nur in Form von bilingualem Unterricht, zu bieten. Bleibt zu hoffen, dass die Massnahmen nachhaltig greifen. Denn ohne gute Sprachkenntnisse bleibt für rund die Hälfte der Jugendlichen den Weg zur Weiterbildung und Höheren Bildung via Berufsmaturität verschlossen. Dies mindert die Chancengleichheit der Jugendlichen in der Schweiz, weshalb in diesem Bereich weiterhin ein grosses Engagement gefragt ist. So join us, go for bili! Anmerkungen Pilotprojekt bi.li – Zweisprachiges Lernen an Berufsschulen (1999-2004) 2 Umsetzungsprojekt bili – zweisprachiger Unterricht an Berufsfachschulen (2006 – 2011) 3 Verordnung über die Landessprachen und die Verständigung zwischen den Sprachgemeinschaften, Juni 2010 4 Beschluss 972. Zweisprachiger Fachunterricht an Berufsfachschulen (Aufbauphase 2011-2015), August 2011 5 Weitere Informationen dazu auf: http:// www.mba.zh.ch/internet/bildungsdirektion/mba/de/schulen_ber ufsbildung/ berufsfachschulen/unterrichtsthemen/bilingualer_unterricht.html 6 http://www.2sprachen.ch 7 Zweisprachiger Unterricht, Empfehlungen der Schweizerischen Berufsbildungskonferenz, November 2003 1 Referenzliste Brohy, C. & Gurtner, J.-L. (2011). Evaluation des bilingualen Unterrichts (bili) an Berufsfachschulen des Kantons Zürich. http://www.mba. zh.ch/internet/bildungsdirektion/mba/de/ Jansen O’Dwyer, E. & Nabholz, W. (2004). Die Lehre zur Sprache bringen. Handbuch für die Einführung von zweisprachigem Unterricht an Berufsschulen. Bern: h.e.p.- Verlag. Jansen O’Dwyer, E. (2007). Two for One. Die Sache mit der Sprache. Didaktik des zweisprachigen Unterrichts. Bern: h.e.p.- Verlag. Mary Miltschev ist Anglistin mit langjähriger Erfahrung als Berufsschullehrerin im kaufmännischen Bereich. Als Beauftragte Fremdsprachen des Mittelschul- und Berufsbildungsamts Zürich ist sie u.a. für den bilingualen Unterricht an Berufsfachschulen verantwortlich. 63 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Tema Fachunterricht in der Fremdsprache: Das Beispiel der neuen Grundbildung Koch/Köchin EFZ Ein Gespräch mit Oscar Eberli, Alexander Wilhelm und Kathrin Jonas Lambert Kathrin Jonas Lambert | Zollikofen Afin de permettre aux apprenants cuisiniers de ne pas perdre les connaissances de langue étrangère acquises pendant l’école obligatoire, les cuisiniers ont décidé de formaliser l’obligation d’enseigner la deuxième langue. A la différence de beaucoup d’autres formations de base, ils ont rendu l’enseignement de la deuxième langue obligatoire en l’ancrant dans l’ordonnance de formation. Les enseignant-e-s de branche se voient ainsi depuis 2 ans obligés d’intégrer la deuxième langue dans leur cours. Pour bon nombre d’entre eux, cela représente un grand défi qui a demandé des efforts considérables en termes de formation pour mettre à jour leurs compétences langagières. Pour en savoir un peu plus de ce projet audacieux, nous avons parlé avec Alexander Wilhelm (Allgemeine Berufsschule Zürich), Oscar Eberli (école professionnelle artisanale et industrielle Fribourg) et Kathrin Jonas Lambert (responsable de domaine langue EHB IFFP IUFFP). Plus d’articles sur ce thème: www.babylonia.ch > Archives thématiques > Fiches 11 et 15 Hotel & Gastro Union, GastroSuisse und der Schw. Kochverband haben sich darüber geeinigt, mit der neuen Bildungsverordnung 2010 wieder eine Fremdsprache in die berufliche Grundbildung der Köche aufzunehmen1. Damit unterrichten die Kochfachlehrpersonen ihr Fach seit nunmehr 2 Jahren auch in einer Fremdsprache. Um etwas mehr über den Verlauf dieses beispielhaften Projekts zu erfahren, haben wir mit Alexander Wilhelm (Allgemeine Berufsschule Zürich), Oscar Eberli (école professionelle artisanale et industrielle Fribourg) und Kahrin Jonas Lambert (Bereichsleiterin Sprachen EHB) gesprochen. Oscar Eberli und Alexander Wilhelm sind Kochfachlehrpersonen und waren an der Redaktion eines fremdsprachigen Fachlehrmittels zur Unterstützung der Lehrpersonen beteiligt. Geleitet wurde das Projekt von Kathrin Jonas Lambert. Vorerst wird aber der Rahmen des Fremdsprachenunterrichts bei den Köchen EFZ aufgezeigt. 64 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Nicht auf festem Boden: Fremdsprachenunterricht in der Schweizerischen Berufsbildungslandschaft Ein Obligatorium für Fremdsprachenunterricht (FSU) in der beruflichen Grundbildung wurde im Jahr 2000 vom Parlament knapp abgelehnt, wesentlich aufgrund der absehbaren Kosten und der voraussichtlichen Abwesenheit der Lernenden im Betrieb. Die Reglung des FSU wird den einzelnen „Bildungsverordnungen“ überlassen (vgl. Beitrag Bichsel in dieser Nummer). Im Berufsbildungsgesetz heisst es, die 2. Sprache „wird nach den Bedürfnissen der jeweiligen Grundbildung geregelt“. Für die berufliche Grundbildung im gewerblich-industriellen Bereich bedeutet das konkret, dass rund 4/5 der Lernenden nicht die Möglichkeit haben, die in der Volksschule erworbenen Fremdsprachenkenntnisse weiter zu pflegen. Lost & Found: Platz der Fremdsprache in der Grundbildung Koch/Köchin EFZ Vor über 100 Jahren erwachte in den Industrienationen der Tourismus. Mit ihm erhielten die jungen Köche und Köchinnen Gelegenheit, in guten Hotels und Restaurants in Europa und Übersee zu arbeiten. Die dafür notwendigen Fremdsprachenkenntnisse eigneten sie sich an Ort und Stelle an. Auf diesem Weg gelangten viele Fachausdrücke und Formulierungen, aus der damals vorwiegend französischen Küchensprache, in die Schweiz. Die Schweizerische Fachkommission für das Gastgewerbe (SFG), die 1926 gegründet wurde, nahm die Fachsprache Französisch dann auch bald ins Ausbildungsreglement für Köche auf, wo sie bis vor 40 Jahren einen festen Bestandteil bildete. Aber die Zeiten änderten sich. Eine Umfrage Anfang der 70er Jahre ergab, dass in der Deutschschweiz kaum mehr Speisen in der französischen Sprache angeboten wurden. Auch als Küchensprache hatte Französisch massiv an Bedeutung verloren. Dies hatte zur Konsequenz, dass die Fremdsprache 1974 aus dem Reglement verschwand. Schon im Rahmen der ersten Vorarbeiten für die neue Grundbildung Köchin/Koch EFZ wurde 2006 der verlorene Faden wieder aufgenommen. Dabei zeigten die drei Trägerverbände von Hotel & Gastroformation unterschiedliches Interesse an den Fremdsprachen. Während von Seiten der Köche (Schweizer Kochverband) die Bedeutung des Englischen betont wurde, erachteten die Gastwirte die Fremdsprachen zwar als wünschbar, aber angesichts des engen Zeitplans am einzelnen Schultag als nicht prioritär. Der Verband hotelleriesuisse wies auf die vielen ausländischen Gäste und Mitarbeitenden hin und wünschte eine umfangreiche Fremdsprachenausbildung. Diese unterschiedlichen Positionen verzögerten den Abschluss der Arbeiten an der neuen Verordnung um fast ein Jahr. Erst in letzter Minute kam ein „freundeidgenössischer Kompromiss“ unter Berücksichtigung der Interessen der Kantone zustande. Er umfasst folgende Eckdaten: • Einbau der Fremdsprache/kochtechnischen Fachsprache im ersten und wichtigsten Leitziel des Bildungsplanes bzw. Schaffung eines Richtzieles mit Leistungszielen für alle drei Lernorte. • In der Lektionentafel des Bildungsplanes für die Berufsfachschule erfolgte die Präzisierung für den Unterricht: „Der Unterricht in der Fremdsprache/Kochtechnischen Fachsprache (…) wird im 2. und 3. Lehrjahr einerseits in einer integrierten Form erteilt und anderseits in entsprechenden Unterrichtsstunden. Insgesamt umfasst die Fremdsprache ca. ein Viertel der Lektionen des Bereichs Herstellung/Zubereitung/Präsentation von Speisen und Gerichten/Fremdsprache pro Lehrjahr.“ Dies bedeutet eine grosse Herausforderung für Lehrpersonen und Lernende zugleich: Die Fremdsprache wurde wieder Bestandteil der Grundbildung Koch/Köchin EFZ; zudem sollte sie anhand eines eigens geschaffenen Lehrwerks eingeführt werden. Zweisprachiger Unterricht Da keine zusätzlichen Lektionen zur Verfügung standen, hat man sich bei der Einführung der Fremdsprache für einen zweisprachigen Fachunterricht entschieden. Die grosse Schwierigkeit dabei waren und sind die fehlenden Sprachkenntnisse der Kochfachlehrperson. Um dem Problem nachzuhelfen, haben viele Schulen die Lehrpersonen durch Sprachkurse unterstützt. Auch ist das Eidgenössische Hochschulinstitut für Berufsbildung (EHB) mandatiert worden, den Unterrichtsstoff des Kochfachunterrichts in Form eines Lehrmittels so zu didaktisieren, dass es im Unterricht direkt einsetzbar ist und auch sprachliche Lücken seitens der Lehrpersonen überbrücken hilft2. Folgende Kriterien waren für die Entwicklung des lehrplanorientierten Sprachmittels massgebend: • Direkte Umsetzbarkeit im Berufskunde-Unterricht. • Handlungsorientierte Arbeitsaufträge: die Lernenden müssen etwas in der Sprache machen und so die Sprache lernen. • Verzicht auf Lernprogression – das fremdsprachliche Niveau der Volksschule soll nicht überschritten werden, sondern kochspezifisch erweitert werden Da es sich nicht um Fremdsprachenunterricht, sondern um bilingualen Sachfachunterricht handelt, wird auch auf Grammatik verzichtet. Louis-Robert Carrier-Belleuse, Les livreurs de farine, 1885. 65 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Interview Babylonia: Im Gegensatz zu vielen anderen Grundbildungen im gewerblich-industriellen Bereich, haben sich die Köche dafür entschieden, die Fremdsprache in der Bildungsverordnung zu verankern. Können Sie uns etwas mehr dazu sagen? Alexander Wilhelm: Der neue Bildungsplan verlangt eine Fremdsprache. Die Kantone entscheiden welche. Von den zuständigen Organisationen der Arbeitswelt (OdA) ist der zweisprachige Ansatz (Bili) vorgegeben. Konkret soll ab dem 2. Lehrjahr 20% der Berufskunde-Unterrichts in der Fremdsprache stattfinden. Das deklarierte Ziel ist, das Niveau der Sekundarstufe I zu halten und mit Fachwortschatz anzureichern. Die Prüfung der Fremdsprache erfolgt in einem vorstrukturierten, 10-minütigen Gespräch während der praktischen Prüfung. Die Lernenden können sich zu grossen Teilen darauf vorbereiten. Oscar Eberli: Ich gehe davon aus, dass immer mehr neue Bildungspläne, auch im gewerblich-industriellen Bereich, die Fremdsprache integrieren werden. Die Strategie und das Ziel sind meiner Meinung nach, Jugendliche, die in der Grundschule eine Fremdsprache erlernt haben, zu motivieren, diese weiterhin zu brauchen, damit sie anschliessend im Berufsleben, z.B. bei der Arbeit mit Touristen, oder während eines Auslandaufenthaltes weitergebraucht werden kann und nicht vergessen wird. Babylonia: Um den Lehrpersonen bei der Umsetzung dieser schwierigen Aufgabe zu helfen – schliesslich handelt es sich um Berufskundler und nicht um Sprachlehrpersonen –, ist ein Lehrmittel entwickelt worden, bei dessen Redaktion Sie mitgewirkt haben. Alexander Wilhelm: Ja, die OdA hat diesbezüglich das EHB mandatiert. 66 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Eine Arbeitsgruppe hat sich während eines Jahres ungefähr einmal im Monat getroffen und die verschiedenen Module unter Berücksichtigung des Lehrplans ausgearbeitet. Das Lehrmittel ist für Deutsch erstellt worden und dann auf Französisch und Englisch übersetzt worden. Dabei haben wir uns explizit an die Zielgruppe gerichtet, nämlich Fachlehrpersonen und nicht Sprachlehrpersonen. heisst, ob sie ein Modul ganz oder nur teilweise mit den Lernenden behandeln will. Dieser Umstand trägt sicher dazu bei, einen gewissen Stoffdruck von den Lehrkräften wegzunehmen, denn das Werk versteht sich ganz klar als eine Zusammenstellung von didaktischen Vorschlägen und nicht als ein Sprachlehrbuch, welches von der ersten bis zur letzten Seite „durchgeackert“ werden muss. Oscar Eberli: Es ging vor allem darum, nicht ein Wörterbuch mit berufstechnischen Ausdrücken zusammenzustellen, sondern den Gebrauch der Fremdsprache zu leben und so zu gestalten, dass gleichzeitig die Kommunikation gefördert wird. Das war uns ein besonderes Anliegen: Kommunizieren in der Fremdsprache. Um dieses Ziel umzusetzen haben wir voll und ganz auf das Unterrichten von Grammatik verzichtet. Babylonia: Frau Jonas, Sie waren von Seiten des EHB für die Lehrmittelentwicklung verantwortlich. Worin bestand die wichtigste Herausforderung für Sie ? Babylonia: Ein solches Lehrmittel kann offensichtlich ein grosse Hilfe darstellen. Trotzdem sind die Erwartungen an die Fachlehrpersonen enorm. Können Sie etwas zur Umsetzung dieses Projekts sagen? Alexander Wilhelm: Das Projekt brauchte grosse Überzeugungsarbeit, um die Fachlehrpersonen zu gewinnen, wobei das Lehrmittel für alle Schulen von der OdA gratis zur Verfügung gestellt wurde. Zum Teil war es auch in Lernunterlagen integriert. Informationen wurden auf Fachlehrertagungen mit allerdings sehr kleinem Diskussionsspielraum ausgetauscht. Zudem hat das EHB verschiedene spezifische Weiterbildungstage angeboten. Natürlich war die Teilnahme freiwillig, hat den Lehrpersonen aber trotzdem viele Ängste nehmen und auch Motivation geben können. Oscar Eberli: Wie gesagt, das Werk wurde den Schulen von der OdA kostenlos elektronisch zugestellt. Es ist nun jeder Lehrkraft selbst überlassen, welche Übungen sie drucken, das Kathrin Jonas: Ja, ich war bei dem Pro- jektstart gerade einmal seit ein paar Monaten in meiner Funktion als Projektverantwortliche Sprachen beim EHB tätig und habe mich mit grosser Begeisterung an die Arbeit gemacht. Ich selbst unterrichte seit langem Deutsch als Fremdsprache und habe somit recht viel Erfahrung bei der Didaktisierung von Lehrmaterialien. Da spielte es für mich auch keine grosse Rolle, dass das zu didaktisierende Lehrmaterial aus dem Kochfachbereich kommt. Wichtig war vielmehr, dass wir die Basis gut geklärt hatten. Zu allererst haben wir genau die Leistungsanforderungen bestimmt. Dabei sollte das Sprachniveau nach der obligatorischen Schule, das sich bei Kochlernenden auf dem Niveau A2 befindet, nicht überschritten werden. Weiterhin haben wir vollkommen auf Grammatik verzichtet. Dementsprechend kommt der Lehrperson auch nicht die Aufgabe der Fehlerkorrektur im klassischen Sinn zu. Auf diesem Weg konnten wir der Lehrperson die Arbeit erleichtern, da sie „nur“ Bili unterrichten muss, also ihr Fach teilweise in der Fremdsprache und nicht die Fremdsprache selbst. Der Lehrperson soll mit Hilfe des Lehrmittels die Aufgabe erleichtert werden, die Fremdsprache fachlich relevant in den Unterricht einzubeziehen. Dies ist auch die Hauptaufgabe des Lehrmit- tels, nämlich die teilweise fehlenden Fremdsprachenkompetenzen der Lehrpersonen überbrücken zu helfen. Babylonia: Ein wichtiger Punkt bei der Umsetzung ist neben der Zweisprachendidaktik natürlich auch die (Fremd)sprachenkompetenz der Lehrpersonen, die von Frau Jonas gerade angesprochen wurde. Wie ist das in Ihren Kantonen gehandhabt worden? Alexander Wilhelm: Einzelne Schulen schickten ihre Lehrpersonen zu Sprachaufenthalten oder in Sprachkurse. Zum Teil wurde es aber den Lehrpersonen überlassen, wie sie sich darauf vorbereiten wollten. Das Lehrmittel wurde so konzipiert, dass die Fremdsprachendidaktik darin berücksichtigt ist und die Übungen dem Bildungsplan angepasst sind. Spezielle Ausbildungen gab es nur wenige (z.B. beim Bili Studiengang in Zürich) oder diese wurde den Lehrpersonen überlassen. Allerdings sind hier nicht alle Ansätze bekannt. Eine Schwierigkeit in der Umsetzung war auch der Niveau-Unterschied der Lehrpersonen. Einige hatten die Fremdsprachenkenntnisse von Jobs im Ausland und andere hatten bis auf den Fremdsprachenunterricht in der Schule keine weiteren Kenntnisse. Oscar Eberli: Da ich in einem zweisprachigen Kanton unterrichte, sind auch unsere Lehrkräfte zweisprachig, also stellte sich das Problem der Fähigkeiten nicht. Die Übungen in dem Werk selbst sind klar definiert, an didaktischen Hinweisen fehlt es nicht und der Bildungsplan wurde eingehalten, somit stellten sich für mich die oben gestellten Fragen nicht. Babylonia: Wie ist diese Art des Fremdsprachunterrichts von den Kollegen aufgenommen worden? Alexander Wilhelm: Unterschiedlich.Von begeis- tert bis ablehnend. Zum Teil waren grosse Ängste vorhanden. Bei der Umsetzung liessen sich aber viele positiv überraschen, da die Lernenden meist wenig Widerstand gegen die Fremdsprache zeigten. Im Gegenteil, viele begrüssten diesen Rhythmuswechsel. Da es Bestandteil des Bildungsplans ist, war die Sachlage immer klar. Das Lehrmittel gab zudem Sicherheit. Un remouleur dans les rues de Paris. anbelangt. Anders als von Alex erwähnt, war es durch das unterschiedliche Niveau der Lernenden manchmal schwierig, einen Rhythmus zu finden.Widerstand hatten wir an unserer Schule aber eigentlich gar keinen. Babylonia: Welchen Stellenwert hat die Fremdsprache gegenüber den anderen Fächern? Alexander Wilhelm: Meist wird der Stellenwert aus dem Prüfungsgewicht abgeleitet. Das bedeutet hier, dass er sehr tief ist. Wird der Stellenwert aber als erweiterte Kompetenz für die Zukunft betrachtet, sieht es anders aus. Zudem wird das Prüfungsgewicht von den Lernenden nicht als so tief wahrgenommen. Oscar Eberli: Die Fremdsprache bringt Auflockerung in den Unter- richt, und die Lernenden merken immer mehr, wie wichtig die Fremdsprachen sind. Einige von ihnen waren nach einem Jahr recht stolz, ein Rezept in einfachen Worten, wenn auch oberflächlich, erklären zu können. Babylonia: Wie würden Sie eine gelungene Stunde beschreiben? Alexander Wilhelm: Alles in der Zielsprache, für mich Englisch. Lernende erstellen ein Frühstücksbuffet mittels Skizzen oder Begriffskarten. Diskussion zu den einzelnen Komponenten oder verschiedenen Buffet-Arten. Dialoge rund ums Buffet mit Hilfe des Vokabulars im Lehrmittel. Einer spielt den Gast, einer den Koch hinter dem Buffet. Oscar Eberli: Die Lernenden mussten in Form eines Rollenspiels te- Oscar Eberli: Meine Kollegen haben es eher po- sitiv aufgenommen, stiessen aber an ihre Grenzen, was die Menge des Stoffs und der Übungen lefonisch eine Bestellung ausführen, oder wie von Alex erwähnt, ein Buffet aufbauen, das heisst, sie müssen einen Brunch auf dem Papier planen. 67 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Babylonia: Wie wird die Fremdsprache seitens der Lernenden aufgenommen? Oscar Eberli: Eher positiv, jedoch hat dies sicher mit der Zweisprachigkeit unseres Kantons zu tun. Es gab/gibt aber auch Lernende, die „leiden“. Es sind Jugendliche, welche nicht in der Schweiz in die Schule gegangen sind, also während ihrer Schulzeit in ihrem Heimatland eine andere oder keine FS lernten. Diese bekamen an unserer Schule durch das Online-Sprachprogramm „Tell me more“ Unterstützung. Babylonia: Wie würde ein generelles Feedback ausfallen? Und wie sehen Sie die Zukunft des Projekts? Alexander Wilhelm: Grundsätzlich ganz klar ein tolles Projekt, das mit viel Enthusiasmus umgesetzt wurde. Auch wenn es von einzelnen Lehrpersonen als Zwang empfunden wurde, . In meiner Wahrnehmung wird noch zu viel Fremdsprachenunterricht gemacht anstatt Fachunterricht in Fremdsprache. Aber natürlich sind wir noch in der Anfangsphase. Für mich ist es eine echte Chance und ein wirklicher Mehrwert für die Ausbildung. Was die Zukunft anbelangt, so kann ich mir gut vorstellen, dass andere Berufe die gleiche Problematik haben und sich von unserem Lösungsansatz auch aus ökonomischen Gründen überzeugen lassen. Ich fände es aber gut, wenn die Lehrpersonen in BiliKursen darauf vorbereitet werden könnten, wo auch Chancen und Gefahren dieses Unterrichtens aufgezeigt werden. Ich glaube, dass das die Motivation der Lehrpersonen positiv beeinflussen würde. Oscar Eberli: Ich bin ein Verfechter von Fremdsprachen und bin überzeugt, dass diese für die Jugendlichen von Morgen eine enorme Bedeutung erhalten. Die verschiedenen Module sind „nahe am Herd“ und so umge- 68 Babylonia 02/13 | babylonia.ch setzt, dass die Lernenden allein, im Klassenverband oder mit der Lehrperson in Form des Lehrervortrags arbeiten können. Ich nehme die Fremdsprachen gerne in die Hand und auch von den Lernenden kommt selten ein Murren zurück, wenn es auf dem „Tagesmenu“ steht. Natürlich muss der Unterrichtseinsatz der Fremdsprache gezielt bleiben. Nach zwei Jahren bilingualem Unterricht steht für mich auch heute noch das Ziel im Vordergrund, die Fremdsprache, welche in der Grundschule gelernt wurde, nicht „schlafen“ und somit nicht in Vergessenheit geraten zu lassen. Es wäre eine Illusion zu glauben, die Lernenden innert dieser kurzen Zeit auf ein höher liegendes Niveau laut GER zu bringen. Um auf ein höheres Niveau zu kommen, kann der Lernende auf anderen Wegen, zum Beispiel mit einem Auslandsaufenthalt, effizienter vorwärts kommen. Mein Wunsch an die Lehrpersonen ist, das Spielerische und die Kommunikation bei dieser Methode weiterhin im Mittelpunkt zu belassen und den Lernenden vor allem zum Sprechen zu motivieren. Babylonia: Frau Jonas, Ihnen gehört das letzte Wort. Kathrin Jonas: Ich habe mich sehr für dieses Projekt eingesetzt und tue dies auch immer noch. Ich habe gesehen, wie hervorragend es den Kochfachlehrpersonen gelungen ist, sich nicht von Hürden, wie die der Fremdsprachenkompetenz, abschrecken zu lassen. Auch habe ich bei einigen Lehrpersonen hospitieren dürfen und gemerkt, dass die Lernenden Spass hatten, die Sprache in konkreten Situationen zu benutzen. Und das ist schliesslich das Ziel einer Fremdsprache, Fehler hin oder her. Wir machen uns auch an eine Evaluation des Projektes, welche sowohl Lernende als auch Lehrpersonen miteinbezieht. Erste Rückmeldungen haben hier gezeigt, dass die Mehrzahl der Lernenden die Sprachprüfung gut bestanden hat. Zudem haben an einer Schule rund 50% der Prüflinge Interesse an einem Sprachaufenthalt geäussert, um die erworbenen Kenntnisse nicht zu verlieren.Dabei besteht die Hoffnung, dass mit diesen Ergebnissen auch andere Branchen davon überzeugt werden können, den Bili-Weg einzuschlagen. Auch wenn die Lehrpersonen einiges investieren müssen, ist dieser Weg insofern auch sehr effizient als weder Neueinstellungen noch Zusatzlektionen notwendig sind. Und die Fremdsprachen sind im Interesse der Lernenden; egal, ob in beruflicher, akademischer oder persönlicher Hinsicht. Anmerkungen Vgl. dazu den Beitrag von K. Jonas Lambert in Babylonia 1/2012, S. 44-47 2 Dazu wurde eine Arbeitsgruppe Umsetzung der Fremdsprache in der neuen Grundbildung Köchin/Koch EFZ gebildet, unter der Leitung von Kathrin Jonas Lambert, Bereichsleiterin „Sprachen“ am EHB. Die Arbeitsgruppe setzte sich zusammen aus: Heinz Berger (Hotel&Gastroformation), Alexander Wilhelm (Allgemeine Berufsschule Zürich), Oscar Eberli (école professionelle artisanale et industrielle Fribourg), Stéphane Vaucher (école professionelle de Montreux) 1 Kathrin Jonas Lambert ist Bereichsleiterin „Sprachen“ am Eidgenössisches Hochschulinstitut für Berufsbildung (EHB), Zollikofen. Alexander Wilhelm ist von Beruf Koch und diplomierte Berufsschullehrperson an der Allgemeinen Berufsschule Zürich. Er arbeitete bei der Umsetzung des Rahmenlehrplans mit. Oscar Eberli ist von Beruf Koch und diplomierte Berufsschullehrperson an der Gewerblichen und industriellen Berufsfachschule (EPAI-GIBS) in Fribourg. Er arbeitete ebenfalls an der Umsetzung des Rahmenlehrplans mit. Tema Didaktik des bilingualen Fachunterrichts in der beruflichen Grundbildung Adelheid Joller-Voss | Uster In questo contributo vengono introdotti alcuni concetti basilari dell’insegnamento bilingue (bili) che permette di apprendere al tempo stesso una materia specifica e una lingua seconda. L’accento è posto sulla materia insegnata, mentre la L2 viene utilizzata come lingua d’insegnamento e quindi costituisce oggetto di apprendimento indiretto. Con riferimento alle proprie esperienze in una scuola artiganale industriale ove insegna cultura genereale, e sulla base di un esempio didattico concreto, l’autrice delinea diversi aspetti metodologici e didattici come ad es. la ridondanza, la comprensione del testo, l’atteggiamento correttivo, la valutazione. Conclude sottolineando che l’insegnamento bilingue, se applicato correttamente, possa dare risultati sorprendenti a livello di materia insegnata, nella L2, ma anche nella lingua materna. Altri articoli su questo tema: www.babylonia.ch > Archivio tematico > Schede 11 e 15 Durch die Globalisierung ist der Anteil der ausländischen Wohnbevölkerung angestiegen, in der Stadt Zürich betrug sie im Jahr 2012 zum Beispiel 31.2%. Da Berufslernende deshalb bei ihrer beruflichen Tätigkeit zunehmend auf Situationen treffen, in denen sie in einer Fremdsprache kommunizieren müssen, ist es geboten, ihnen die dazu notwendigen kommunikativen Fähigkeiten zu vermitteln. An den gewerblich-industriellen Berufsschulen stehen jedoch in der Regel für den Fremdsprachenunterricht keine Stunden zur Verfügung. Dank dem bilingualen Sachunterricht (Bili) können daher, ohne das Wochenstundenpensum zu erhöhen, die notwendigen fachbezogenen kommunikativen Fähigkeiten in zwei Sprachen vermittelt werden. Bili ist eine gute Ergänzung zum herkömmlichen Sprachunterricht, der eher auf die Alltagskommunikation und auf literarische Themen ausgerichtet ist und weniger auf die Kommunikationssituationen im beruflichen Umfeld vorbereitet. Was ist bilingualer Fachunterricht? Die Sprache ist im Bili jedoch nur indirekt Lerngegenstand und dient als Kommunikationsmedi- um für die Vermittlung von fachlichen Inhalten. Der Unterrichtsschwerpunkt liegt also auf der inhaltlichen Sachebene. Es werden zum Beispiel Fachbegriffe in beiden Sprachen der Ausgangssprache (L1) und der Zielsprache (L2) erarbeitet. L2 wird phasenweise als Arbeitssprache gebraucht. In jedem Fall sind aber die Lernziele des Lehrplans im betreffenden Sachfach verbindlich zu erreichen. Die Lehrkräfte sind oftmals keine Sprachlehrer, sondern engagierte Fachlehrer mit einer Zusatzausbildung. Voraussetzungen für Bili Beim Eintritt in die Berufsschule verfügen die Lernenden in der Regel über Fremdsprachenkenntnisse auf dem Niveau A1 bis A2 nach dem ESP. Durch den bilingualen Unterricht soll dieses Niveau mindestens gehalten werden. Bekanntermassen geht Wissen, falls es nicht weiter genutzt wird, schnell verloren. Auf diesen Minimalkenntnissen kann der bilinguale Unterricht aufbauen und fachsprachliche Kompetenzen zu erarbeitet. Von Kritikern des bilingualen Unterrichts hört man immer wieder: „Die Lernenden sollen erst einmal richtig Deutsch lernen“. In der Tat sind, wohl auch bedingt durch die Diglossie, im Bereich Deutsch teilweise Defizite anzutreffen. Die Schulen bieten jedoch, falls notwendig, den Lernenden gezielte Förderprogramme an. Mittlerweile weiss man jedoch, dass das Lernen einer neuen Sprache L2 im Lernalter unserer Lehrlinge nicht auf Kosten der Erstsprache L1 geschieht, da die beiden Sprachen L1 und L2 in unterschiedlichen Gehirnarealen verarbeitet und gespeichert werden. Durch die Vernetzung der Sachinhalte in beiden Sprachen werden diese nachweislich effektiver im Gedächtnis verankert. Lerntechniken, wie z. B. Leseverstehen oder Bedeutungserschliessung, die im bilingualen Unterricht vermittelt und/oder angewendet wer- 69 Babylonia 02/13 | babylonia.ch den, benutzen die Lernenden, sobald sie einmal gelernt wurden, auch für die Erschliessung muttersprachlicher bzw. deutscher Texte. Bilingualer Unterricht fördert nicht nur die Kenntnisse in der Zweitsprache, sondern wirkt sich auch positiv auf die L1Sprache aus. Die Motivation der Lernenden für die Teilnahme am bilingualen Unterricht ist hoch, da sie sich freiwillig für diese Unterrichtsform entscheiden. Sie geben an, dass im bilingualen Unterricht sprachliche Fertigkeiten vermittelt werden, die für sie im Beruf nützlich sind. Durch die erfolgreiche Anwendung des Gelernten werden die neu erworbenen Fertigkeiten gefestigt und im besten Fall sogar automatisiert. Es gibt drei bilinguale Unterrichtsprofile, die je nach Leistungsfähigkeit der Lehrlinge zur Anwendung kommen: Bili basic: In einem Pflicht- oder Freifach wird mindestens in 80 Wochenlektionen während zwei aufeinanderfolgenden Semestern bilingualer Unterricht erteilt. Bili standard: In zwei Fächern wird für die dreijährigen Lehren während drei bis vier Semestern in 120 Lektionen und für die vierjährigen Lehren in 160 Lektionen bilingualer Unterricht erteilt. Bili advanced: In zwei Lehrabschlussprüfungsfächern wird während sechs Semestern in 200 Lektionen für die dreijährigen Lehren und während acht Semestern in 280 Lektionen für die vierjährigen Lehren bilingualer Unterricht erteilt. Der Besuch des zweisprachigen Unterrichts wird im Semester- sowie im Abschlusszeugnis vermerkt. Die Profile standard und advanced berechtigen auch zur Teilnahme an 2-sprachigen Qualifikationsverfahren. Methoden Im bilingualen Unterricht wird nach Möglichkeit mit aktuellen authentischen Texten gearbeitet (vgl. das Unterrichtsbeispiel in der Box). Eine Recherche im Internet bringt meist schnell brauchbare Ergebnisse. In der Regel haben diese Texte ein etwas hö- Atelier de couture Worth, Paris, début du XXème siècle. 70 Babylonia 02/13 | babylonia.ch heres Sprachniveau als der augenblickliche L2-Stand der Klasse. Sie sind deswegen aber nicht unbrauchbar, denn im bilingualen Unterricht wird normalerweise nicht übersetzt, sondern der Inhalt wird zum Beispiel durch eine gezielte Vorentlastung, Aktivierung des Vorwissens, passenden Visualisierungen und eine passende Lesetechnik (z.B. selektives Lesen) abschnittsweise Schritt für Schritt erschlossen. Die Lehrperson sollte den Text bis auf das Wesentliche kürzen und womöglich etwas vereinfachen. Zusätzlich kann man Glossare anbieten. Die Arbeitsaufträge können auch auf Deutsch erteilt werden, wichtig ist, dass sie richtig verstanden werden; damit die Schüler genau wissen, was ihr Arbeitsauftrag ist und nicht gleich zu Beginn ein Missverständnis einem gutem Arbeitsergebnis im Wege steht. Redundanz Da im Unterrichtsbeispiel die vorgeschriebenen Vertragspunkte als Fachbegriffe in beiden Sprachen sicher zur Verfügung stehen sollen, werden Sie redundant erarbeitet. Redundanz bedeutet im bilingualen Unterricht nicht einfach Wiederholung, sondern auch Variation, Weiterführung des Themas, Wechsel der Aspekte oder unterschiedliche Sichtweisen des gewählten Themas zu erarbeiten. Diese Redundanz ist wichtig, um das Gelernte sicher im Gedächtnis zu verankern. Texterschliessung Im bilingualen Unterricht baut man bei den rezeptiven Fertigkeiten stark auf passives Verständnis der Textinhalte, das durch die Aktivierung von Welt- und Vorwissens sowie durch geeignete Erschliessungstechniken gewonnen werden soll. In Fachtexten sind Fachausdrücke in den verschiedenen Sprachen oft sehr ähnlich, man spricht von Internationalismen, wie zum Beispiel Demokratie - democracy oder Ökonomie - economy. Es lohnt sich, diese Wörter aus einem Text heraussuchen zu lassen. Zusätzlich hat es sich bewährt, auch Lernende mit einer anderen Muttersprache aufzufordern, diese Fachbegriffe in ihrer Muttersprache nachzuschlagen. Nachdem die Lernenden die Ähnlichkeit der Wörter entdeckt und den mehrfachen Nutzen der Fachausdrücke erkannt haben, gelingt es ihnen, sie auch aktiv zu verwendet. Diese Technik wird dann ebenfalls auf die Erschliessung von Texten in der L1 übertragen. Der Auftrag, zunächst einmal alles in einem Text zu markieren, was man schon versteht und dies danach zusammenzufassen, verhilft meistens zu einem Globalverständnis des Textes, worauf man auch unbekannte Wörter aus dem Kontext erschliessen kann. Dieses Textverstehen ist in den meisten Fällen ausreichend, um die Aufträge zum Text lösen zu können oder in angemessener Frist auf einen sprachlichen Input zu reagieren. Im bilingualen Unterricht haben Übersetzungen selten einen Platz, höchstens einmal bei einzelnen Ausdrücken. Code-Switching und Korrektur Bei den produktiven Fertigkeiten, wie Sprechen und Schreiben, gibt es für viele Lernende zunächst erst einmal eine Hemmschwelle. Sie schätzen oft ihre Fähigkeiten als nicht ausreichend genug ein, um den gestellten Auftrag zu erfüllen. Sie befürchten, dass zum Beispiel ihre Wortkenntnisse nicht ausreichen. In solchen Situationen hilft CodeSwitching weiter. Der Ausdruck, den man in der L2 nicht beherrscht, wird einfach in der L1 eingefügt aber sonst fährt man einfach in der L2 fort. Die Lehrperson kann an dieser Stelle z. B. kurz bestätigend nicken und einwerfen: „O, yes, …“ Dabei nennt sie das betreffende Wort. Meistens wird das dann aufgenommen und im Weiteren verwendet. Zusätzlich ist ein der Situation angemessenes Korrekturverhalten der Lehrperson unabdingbar. Es sei daran erinnert, dass nicht die Sprache in erster Linie Unterrichtsgegenstand ist, sondern mit Hilfe der Sprache die Inhalte des betreffenden Fachs vermittelt werden sollen. Die Leistung im Sachfach wird bewertet. Grammatik- und andere Fehler werden im Allgemeinen ignoriert und nicht korrigiert, es sei denn, es handelt sich um Fehler, die zu Missverständnissen führen würden. Die Korrekturen werden umgehend während des Gesprächsverlaufs eingebracht und stören daher den normalen Ablauf kaum. Ein fragender Blick oder ein leichtes Räuspern gibt zunächst erst einmal die Möglichkeit zur Selbstkorrektur, man kann zum Beispiel einwerfen: „Sorry, I didn’t understand that. Could you explain?“. Falls keine Selbstkorrektur erfolgt, kann man den fehlerhaften Satz zum Beispiel in Form einer positiven Echokorrektur wiederholen: „You mean (kor- rekter Ausdruck)…?“ Nur bei groben Missverständnissen oder aber auch bei „false friends“ wird man den Fehler kurz besprechen, dass geschieht dann oft in der L1, um schnell Klarheit zu schaffen. Sinngemäss verfährt man bei schriftlichen Texten. Um den Sprechanteil der einzelnen Lernenden pro Stunde zu erhöhen, sollten für die Gruppenarbeit mehrere Sprechaufträge erteilt werden. Ergebnisse können zusätzlich in Stichpunkten festgehalten und dann im Plenum präsentiert werden. Leistungsbeurteilung Bei Tests dürfen sprachliche Fehler nicht die Note im Sachfach beeinflussen. Die Lernenden dürfen auch in der L1 antworten. Es hat sich allerdings bewährt, für Antworten in der L2 Zusatzpunkte zu vergeben. Dies motiviert die Lernenden, die L2 zu benutzen. Bilingualer Unterricht ist nicht zuletzt ein grossartiges Instrument für interkulturelles Lernen. Die authentischen Texte aus der L2 vermitteln eine andere Sichtweise, die zur Reflexion der eigenen Standpunkte Anlass geben. Bilingualer Fachunterricht bereitet effektiv auf die Erfordernisse der globalisierten Berufswelt vor. Er erweitert die Sichtweise sowie die Kommunikationsfähigkeit sowohl in der L1 als auch in der L2, vermittelt Lerntechniken und sorgt für eine bessere Verankerung des Lernstoffs im Gedächtnis. Er ist in jedem Fall eine Gewinn bringende Unterrichtsform. Bili-Unterrichtsbeispiel Allgemeinbildender Unterricht (ABU). Thema: Geld und Konsum Leistungsziel: Die Lernenden kennen die gesetzlich vorgeschriebenen Vertragspunkte eines Leasingvertrages a. Vorentlastung Sie haben gerade die Fahrprüfung bestanden und können es kaum abwarten, ein eigenes Auto zu besitzen. Leider haben Sie aber nur CHF 10 000.- auf Ihrem Sparkonto. Da lesen Sie die folgende Anzeige. Diskutieren Sie mit Ihrem Banknachbarn, ob Leasing für Sie in Frage kommt. Notieren Sie einen Grund für Ihre Entscheidung in deutscher oder englischer Sprache. 71 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Spezialangebot Autoleasing Prämien + Leasing 3.9% JETZT PROFITIEREN Leasingrate pro Monat ab CHF 97.- b. Glossar Contract Vertrag contractual ? arrangement Vereinbarung asset Leasing-Gegenstand lessee ? lessor ? c. Basistexte (A) Definition of Leasing “Financial leasing can be defined as a contractual arrangement that allows one party (the lessee) to use an asset owned by the leasing company (the lessor) in exchange for specified periodic payments.” (B) Vehicle Leasing for Private Use The vehicle leasing contract for private use is intended for individual employees 18 years and above. It enables the immediate use of a vehicle without prior investment. The leasing contract is similar to a leasing agreement. It provides for the payment of a particular rent according to the price of the vehicle, the duration of the contract and the annual number of kilometres run. This last point will determine the residual value (price at which the customer can buy the vehicle on the expiration of the contract.) http://www.bcge.ch/ index.php?label_x=leasing_usage_prive&lang=en (C) Leasing contracts must be concluded in writing. The contract must include the following information: • Description of lease and its cash payment price at the time of contract conclusion; • the number and amount of installments and payment dates; • amount of a possible deposit; • actual yearly interest. (D) Arbeitsanweisungen 1. Read the definition of “Leasing” (text A). Who ist he owner of the asset? 2. Lesen Sie den Titel des Textes (B). Für welche Personengruppe gelten die Leasingbedingungen? Kreuzen Sie die zutreffende Bezeichnung an. • Firmen • Privatpersonen 3. Markieren Sie im gleichen Text die Bedingungen für Leasing. 4. Welche Angaben muss ein Leasingvertrag nach schweizerischem Recht enthalten? Notieren Sie diese Vertragspunkte. 5. Vergleichen Sie Ihre Lösung mit den Inhalten im Lehrbuch. 6. Schreiben Sie die unterstrichenen Fachbegriffe heraus und schreiben Sie jeweils den entsprechenden deutschen Fachbegriff daneben. 7. Welcher der Punkte in Text (C) ist für Sie besonders wichtig? Warum? Berichten Sie im Plenum auf Englisch. Adelheid Joller- Voss hat einen Abschluss als Diplombiologin (Ruhruniversität Bochum), SVEB-Diplom Stufe 2 des Lehrgangs Deutsch als Fremdsprache, Ausbildnerin mit eidgenössischem Fachausweis, Höheres Lehramt an Berufsschulen für allgemein bildenden Unterricht im Kanton Zürich, Zertifikat des Lehrgangs Bilingualer Sachunterricht an Berufsschulen Praktische Erfahrungen in Firmenkursen erwarb sie als Headteacher für DaF bei den Flying Teachers, Zürich und ist derzeit Lehrerin an der Baugewerblichen Berufsschule in Zürich. Sie unterrichtet dort seit 2005 ABU auch bilingual. 72 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Tema Quand la leçon doit être multilingue: essayer de transformer un problème en chance Luca Bausch | Lugano Il numero ridotto di apprendisti costringe le piccole professioni a trovare soluzioni praticabili per garantire una continuità alla formazione professionale. La difficoltà di reperire formatrici e formatori qualificate/i e ragioni finanziarie hanno portato diverse associazioni professionali a concentrare la formazione in centri che, nel caso della Comunità di interessi dei costruttori di strumenti musicale (CEFIM), coprono l’intero territorio della Confederazione. Questi poli nazionali di competenza, che assumono la formazione scolastica e quella dei corsi interaziendali, pongono questioni nuove che necessitano di soluzioni specifiche. Il progetto “Plurilinguisme, de problème à chance”, sostenuto dalla Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI), si propone di elaborare e verificare sul territorio strumenti didattici per l’insegnamento in classi plurilingue e soluzioni di sistema con l’obiettivo dichiarato di mettere a punto un modello applicabile ad altre professioni che si trovassero in situazioni simili. Altri articoli su questo tema: www.babylonia.ch > Archivio tematico > Schede 11 e 15 Le contexte Comment les professions avec un nombre limité d’apprentis peuvent-elles garantir une formation professionnelle de base de qualité à des coûts supportables pour les professions elles-mêmes et pour la collectivité? Et encore, est-il nécessaire de former dans un cadre formel? Une étude1 montre que les chances de survie des petits métiers2 artisanaux sont strictement liées à la possibilité d’offrir une formation de qualité afin de garantir la relève. La discussion autour des critères définissant ce qu’est une «formation de qualité» ne rentre pas dans les objectifs de cet article: il nous semble toutefois important de mentionner l’importance de former non seulement à la tradition, mais aussi aux compétences nécessaires à l’évolution des professions concernées, et cela dans le sens des technologies de production mais aussi de la compétitivité sur le marché. L’étude souligne aussi que parmi les critères de qualité d’une formation, la reconnaissance formelle par un diplôme joue un rôle important. On peut donc répondre affirmativement à la deuxième des questions posées plus haut: reste celle de l’organisation de la formation et de son financement. Et là, le fait d’être un petit métier, autrement dit «à faibles effectifs», rend la tâche plus compliquée que pour les grandes professions dotées de structures organisationnelles établies. On se limitera ici à citer quelques complications qui ont exercé une influence sur le projet dont il est question dans cet article: en premier lieu pose problème le manque répandu et chronique de personnes professionnellement compétentes disposées à s’engager dans la formation, ce qui implique un risque réel de surmenage pour celles qui se mettent à disposition. De plus, les organisations professionnelles ne disposent normalement pas de grandes ressources financières et ont souvent du mal à couvrir les frais engendrés par l’entrée en vigueur d’une nouvelle ordonnance sur la formation professionnelle initiale3. Les pistes institutionnelles entreprises pour rationnaliser les ressources de personnes et financières peuvent être reconduites à une intégration de professions similaires – ou du moins qui présentent des traits communs significatifs – dans une seule ordonnance ainsi qu’à la création de centres de compétence nationaux où sont centralisés la formation scolaire et des cours interentreprises (CiE). La Communauté d’intérêt des facteurs d’instruments de musique4 (CEFIM) a suivi ces deux pistes en intégrant cinq professions dans un seul Certificat Fédéral de Capacité (CFC)5 et en créant un centre de compétence unique à Arenenberg, dans le canton de Turgovie6. Avec l’entrée en vigueur du nouveau plan de formation en 2008, il a vite été évident que les mesures de mise en œuvre normalement prévues ne suffisaient pas à trouver des solutions à tous les problèmes liés à la centralisation de la formation: problèmes institutionnels, certes, mais aussi di- 73 Babylonia 02/13 | babylonia.ch dactiques, dûs à la nécessité d’accueillir des apprentis7 provenant des quatre coins de la Suisse, et donc s’exprimant dans des langues différentes8. Pour essayer de trouver des solutions, un projet de développement a été mis en place avec le financement de l’OFFT (aujourd’hui SEFRI). Les objectifs du projet, répondant à des attentes précises de l’institution, étaient clairement définis: rÊMBCPSFS VO NPEÍMF TUSVDUVSFT PSHBOJTBUJPO DPÚUT DPOEJUJPOT cadres nécessaires, …) de mise en œuvre pouvant s’adapter à d’autres professions se trouvant dans des situations similaires, r ÊMBCPSFSVOQBSDPVSTEFGPSNBUJPODPOUJOVFmMVJBVTTJUSBOTGÊSBCMF le cas échéant, à d’autres contextes – pour les enseignants et les formateurs concernés, et r ÊMBCPSFSEFTTPMVUJPOTEJEBDUJRVFTQPVSMFOTFJHOFNFOUFUMBQQSFOtissage plurilingue. Nous exposerons ci-dessous quelques caractéristiques du projet, le but étant d’en mettre en évidence les particularités et de donner un aperçu des mesures que le groupe de projet est en train d’expérimenter. Il est trop tôt pour tirer des conclusions, c’est pourquoi nous nous limiterons à esquisser quelques tendances liées surtout aux aspects didactiques. Construction d'un clavier. 74 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Le projet9: le plurilinguisme entre problème et chance à saisir Le titre du projet n’est pas dû au hasard. La perception des acteurs principaux était en effet plutôt orientée vers une interprétation «problématique» de la situation: l’obligation de centraliser la formation impliquait la nécessité de recourir au plurilinguisme, perçue comme aspect négatif. Il faut avouer que les difficultés objectives ne manquaient pas: tout d’abord, les enseignants et les formateurs devaient construire un groupe et apprendre à travailler à un objectif commun et, pour la plupart d’entre eux, nouveau, à savoir mettre en place une formation intégrant cinq professions qui présentent bien entendu un dénominateur commun (les instruments de musique), mais qui sont issues de traditions différentes et dotées d’identités professionnelles bien établies. Pour atteindre cet objectif, les moyens didactiques, notamment, étaient à réinventer: presque rien n’existait en deux langues (sinon le matériel préparé par les acteurs eux-mêmes) et le marché n’offrait pas (et n’offre toujours pas) de produits adaptés prêts à l’emploi. Le contexte institutionnel était à découvrir: un centre de compétence pour la construction d’instruments de musique accueilli dans un centre de formation ayant une solide tradition dans le domaine de l’agriculture, décentralisé par rapport aux frontières linguistiques suisses: le pari n’était pas gagné d’avance. Et, last but not least, les compétences linguistiques des enseignants et formateurs en langue seconde (L2) n’étaient pas, pour certains d’entre eux, suffisantes pour enseigner sans problèmes dans une classe. Sans parler des compétences en L2 des apprentis! Il semble évident que l’objectif principal du projet (élaborer des stratégies de «didactique plurilingue») ne pouvait pas être atteint sans tenir compte de ce contexte. La discussion avec les enseignants et les formateurs avait mis en évidence que la perception des difficultés liées à l’enseignement plurilingue concernait deux aspects: les matériaux didactiques en plusieurs langues d’une part, et, d’autre part, le manque de temps pour couvrir le programme, étant donné que les leçons alternaient des séquences en une langue et des séquences où les mêmes contenus étaient traités dans la deuxième langue. À cela s’ajoutait, toujours dans la perception des acteurs concernés, un problème de discipline en classe: comment faire en sorte qu’un groupe reste tranquille pendant que l’enseignant explique un concept à l’autre (et dans une autre langue)? Partant de ces considérations, le projet a été conçu en prévoyant deux axes principaux d’intervention: un premier dit «de système» et un deuxième centré sur la didactique. Axe de système Cet axe vise à la définition d’un modèle pouvant être appliqué à d’autres contextes professionnels. Il s’agit dans ce projet d’identifier les éléments du système (institutionnels, rôles, personnes, …), les facteurs et les dynamiques jouant un rôle dans le contexte d’un centre de compétence centralisé (par définition plurilingue) et d’expérimenter des mesures qui en favorisent la mise en œuvre10. Axe didactique Les considérations évoquées plus haut quant au contexte dans lequel le projet a débuté nous ayant convaincus de la nécessité d’une approche allant au-delà de la didactique plurilingue stricto sensu, nous avions ainsi prévu quatre pistes d’intervention. 1. Élaboration de documentation didactique plurilingue (y compris pour l’évaluation et la qualification). 2. Soutien aux apprentis, qui se concentre principalement sur la mise en place d’ateliers linguistiques dans le cadre de la formation scolaire ainsi que de séjours professionnels dans une entreprise située dans une autre région linguistique que celle de l’entreprise formatrice. a) Ateliers linguistiques et d’apprentissage11: une heure hebdomadaire où l’apprenti peut bénéficier d’un soutien linguistique (compétences de base et langage technique), avec une approche qui intègre l’analyse de situations et le soutien à l’apprentissage. Les ateliers sont animés en deux, voire trois langues. b) Séjours linguistiques: la durée minimale est fixée à 3 semaines (6 semaines sont conseillées) et doit permettre une «immersion» linguistique dans le domaine professionnel de l’apprenti mais aussi dans le contexte de la vie quotidienne. 3. Soutien aux formateurs des Cours inter-entreprises (CiE) et aux enseignants de l’école professionnelle dans plusieurs domaines: a) Compétences en L2 (voire L3). b) Didactique (gestion d’ateliers, approche par compétences, …) et didactique plurilingue. 4. Soutien aux entreprises formatrices, surtout lors des stages linguistiques (mise à disposition de documentation didactique, personne de contact, …). Mise en œuvre des mesures, obstacles et premiers résultats Dès le début, les acteurs sur le terrain et les spécialistes en didactique des langues secondes se sont rendu compte qu’il s’agissait d’une forme de plurilinguisme peu connue, qualitativement différente des nombreuses expériences d’enseignement bilingue. La littérature12 est abondante mais difficilement applicable aux contextes des centres de compétence professionnels centralisés. Certes, certains principes sont bien sûr transposables mais le contexte est significativement différent: l’accès à la formation plurilingue n’est pas fait sur une base volontaire (contrairement à la plupart des expériences d’enseignement bilingue); il est très difficile de choisir les enseignants et formateurs en fonction de leurs compétences linguistiques, les compétences professionnelles demeurant, bien évidemment, prioritaires. Dans la pratique didactique, les leçons se font en deux langues13 presque en contemporain; et on touche là au cœur des aspects didactiques. Les traits communs peuvent par contre être identifiés dans 75 Babylonia 02/13 | babylonia.ch l’ordre de priorité des objectifs: en premier lieu demeure, dans les deux cas, l’acquisition de compétences professionnelles et en second lieu celle des compétences linguistiques en L2. Dans le cas du projet CIFIM, ce deuxième objectif s’est révélé in itinere, lors du développement du projet, dans la mesure où les doutes des acteurs (enseignants et formateurs mais aussi institution scolaire et, en partie, les apprentis) ont créé quelques obstacles à une réinterprétation de l’enseignement plurilingue en tant que chance et occasion de croissance professionnelle (des apprentis, bien sûr, mais aussi des enseignants et formateurs). À cet effet, l’adhésion sans conditions, même si parfois critique - dans le sens constructif du terme - de quelques acteurs clés (enseignants de l’école professionnelle) a été, et est toujours, déterminante. La formation et le soutien pédagogique qui a accompagné et accompagne toujours les expérimentations sur le terrain ont permis un partage qui a créé, sinon un enthousiasme, au moins une participation active14. En guise de conclusion, et dans l’attente de disposer de l’ensemble des données des évaluations en cours et prévues, il nous semble pouvoir esquisser ci-dessous quelques résultats. L’un des objectifs indirects du projet est évidemment l’amélioration des compétences en L2 des apprentis en premier lieu, mais aussi des formateurs. Des analyses de compétences selon le CECR ont été menées avec tous les apprentis commençant leur parcours en 2010, 2011 et 2012: il faudra attendre les analyses de fin de parcours formatif mais les premières indications montrent que l’on ne peut pas s’attendre à une amélioration significative des compétences liées à la production linguistique. D’autre part, les taux de réussite lors de la première session d’examens n’ont pas montré de ten- 76 Babylonia 02/13 | babylonia.ch dances négatives: l’apprentissage des apprentis des classes bilingues n’a pas souffert, ce qui laisse espérer une évolution des compétences passives. L’atelier linguistique et d’apprentissage, après le problème initial dû à la difficulté de lui trouver une place stable dans la grille horaire, semble apporter une plus-value non négligeable en termes d’approche à l’apprentissage. Reste à évaluer son impact sur l’acquisition des compétences linguitiques. Les stages aussi ont souffert de problèmes organisationnels mais ceux qui ont été réalisés jusqu’à présent ont pleinement satisfait les apprentis concernés15. Quelques conditions sine qua non semblent aussi émerger de ce début de projet, et, en premier lieu, la question des compétences linguistiques des enseignants et des formateurs. On ne demande pas qu’ils soient parfaitement bilingues mais il est nécessaire qu’ils atteignent un niveau B2/C1 du CECR. Un aspect qui a été soulevé et que l’on aimerait pouvoir approfondir concerne les relations entre compétences linguistiques et identité de l’enseignant: il semblerait que les difficultés en L2 déstabilisent ce dernier, mais il est trop tôt pour en conclure davantage. Une dernière condition est la possibilité pour les apprentis d’entrer régulièrement en contact avec la L2 (fréquence hebdomadaire au minimum). L’organisation de la formation en semaines-bloc ne facilite pas la tâche: il est donc nécessaire de prévoir un soutien dans le lieu de domicile ou de travail de l’apprenti. Notes Haefeli, U., Feller-Länzlinger, R., Biebricher, M. & Bucher, N. (2011). Forschungsmandat “traditionelles Handwerk“. Bern: BAKOFFT (Mandat). Le mandat a été mis au concours par l’Office fédéral de la culture et le Secrétariat d’état à la formation, à la recherche et à l’innovation (SEFRI, ex-OFFT) 1 suite à la ratification de la part de la Confédération de la Convention pour la sauvegarde du patrimoine culturel immatériel de l’UNESCO, entrée en vigueur en Suisse le 16 octobre 2008. 2 En allemand, «Kleinstberufe». Le qualificatif «petit» se réfère au nombre de professionnels qui pratiquent ce métier, et, dans notre contexte, au nombre de personnes qui suivent la formation professionnelle de base. 3 Cf. Loi sur la formation professionnelle entrée en vigueur en 2004: http://www.sbfi.adm i n . c h / b e r u f s b i l d u n g / 0155 0 / i n d e x . html?lang=fr (der nière consultation: 15.07.2013). 4 La CEFIM assume entre autres le rôle d’OrTra et représente les intérêts des profession de Facteur/-trice d’instruments à vent, Réparateur/-trice d’instruments à vent, Facteur/-trice d’orgues/de tuyaux d’orgues, Facteur/-trice de pianos. L’ordonnance pour la formation professionnelle initiale prévoit que le curriculum de formation mène à un Certificat Fédéral de Capacité (CFC) avec les spécialisations correspondantes aux métiers représentés par la CEFIM.Voir aussi: http://www.musikinstrumentenbauer.ch (dernière consultation: 15.07.2013). 5 Cf. note précédente. La nouvelle ordonnance de Facteur/-trice d’instruments de musique est entrée en vigueur en 2007. 6 www.lbbz.tg.ch (dernière consultation: 15.07.2013). 7 Pour faciliter la lecture, la forme masculine sera utilisée pour désigner les deux genres. Lors qu’on parlera d’apprentis, de formateurs ou d’enseignants, on entendra bien sûr les femmes comme les hommes. 8 Deux tiers environ des personnes en formation sont germanophones, un tiers francophones. Les apprentis de langue maternelle italienne ou rumantsch sont plus rares. 9 Le projet, dont le titre déposé est «Mehrsprachigkeit im Beruf – vom Problem zur Chance» se déroule sous la responsabilité du canton de Turgovie (Amt für Berufsbildung und Berufsberatung Kanton Thurgau) et de la CIFIM. La direction opérationnelle est confiée à l’IFFP. Le financement (60% du budget) est garanti par l’OFFT (SEFRI). Le projet a débuté en 2010 et le financement est prévu jusqu’en juin 2014. 10 Pour de plus amples détails, voir Bausch, L. et al. (2010). Mehrsprachigkeit im Beruf – vom Problem zur Chance. Beitraggesuch. Bern: BBT. Toute la documentation à laquelle cet article fait référence est disponible auprès du secrétariat IGMIB-CIFIM. [email protected]. 11 Bausch, L., Winterberger, H.H. & Haerri, U. (2011). Ateliers linguistiques et d’apprentissage: Concept. Berne/Lugano: IFFP-IGMIB/CIFIM. Bausch, L., Winterberger, H.H. & Haerri, U. (2011). Stage linguistique: Concept. Berne/ Lugano: IFFP-IGMIB/CIFIM. Bausch, L., Leist, W. et al. (2013). Mehrsprachigkeit im Beruf – vom Problem zur Chance, Wirklichkeit und Vision: Dossier Lehrstellenaustausch. Bern: IGMIB/CIFIM. 12 Pour ce qui concerne la Suisse, on cite l’expérience BILI: Jansen O’Dwyer, E. (2007). Two for one. Die Sache mit der Sprache. Didaktik des zweisprachigen Sachunterrichts. Bern: Hep-Verlag. Jansen O’Dwyer, E. & Nabholz, W. (2004). Die Lehre zur Sprache bringen. Handbuch für die Einführung von zweisprachigem Unterricht an Berufsschulen. Bern: Hep-Verlag. Voir aussi l’article de Kathrin Jonas Lambert dans ce numéro. 13 Pour le moment le projet s’est limité à appliquer un plurilinguisme qui en effet est un bilinguisme allemand-français. 14 L’évaluation intermédiaire prévoit une série d’entretiens aux acteurs-clé du projet (initiateurs du projet, rôles institutionnels, acteurs sur le terrain). Les entretiens sont en voie de réalisation. Ces quelques considération conclusives sont tirées d’une première lecture de quelques-uns de ces entretiens et des rencontres de régulation du groupe de projet. 15 Voir par exemple le reportage dans Accento (journal de la CIFIM) no 3 Quartal 2012: http://www.musikinstrumentenbauer.ch/ multi/index.php?option=com_content&vie w=article&id=92&Itemid=104&lang=de Luca Bausch licencié en Sciences politiques, est actuellement maître d’enseignement et responsable de projet auprès de l’IFFP à Lugano. Il s’intéresse aux questions liées à l’élaboration de curricula de formation, à l’analyse du travail et à la didactique professionnelle. Il a aussi suivi, en tant que consultant pédagogique, différentes professions dans le cadre de la réforme de la formation professionnelle initiale. Image du film A Song Is Born, 1948. De gauche à droite: Charlie Barnett, Tommy Dorsey, Benny Goodman, Louis Armstrong, Lionel Hampton. 77 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Il racconto Gaudium Leta Semadeni | Lavin Aus einem Auge ist beiläufig sauté un cri de joie aint in mi’uraglia Cammino a tempo tras il di, tras il di et je rêve la nuit: Wie die Mähne del vento sospinge le cri tras las giassas Leta Semadeni, 1944 in Scuol/Engadin geboren, lebt seit 2005 als freie Autorin in Lavin im Unterengadin. Publiziert Prosa und Gedichte, wobei sie ihre Gedichte durchgehend auf Rätoromanisch und Deutsch schreibt. Ihr lyrisches Werk wurde 2011 mit dem Literaturpreis des Kantons Graubünden und mit dem Preis der schweizerischen Schillerstiftung ausgezeichnet. Zuletzt erschienen „raz“ (2011), „Fila, fila! – Spinne, spinne!“ (2012) und der zweisprachige Gedichtband „In mia vita da vuolp – In meinem Leben als Fuchs“, Chasa editura rumantscha, Chur 2010. Robert Delaunay, Joie de vivre, 1930. 78 Babylonia 03/12 02/13 ||babylonia.ch babylonia.ch D’un œil par hasard un cri de joie a sauté dans mon oreille Je marche en rythme à travers le jour et je rêve la nuit: Comme la crinière du vent pousse mon cri de joie à travers les ruelles Da un occhio è saltato per caso un grido di gioia nel mio orecchio Cammino a ritmo attraverso il giorno e sogno di notte: Come la criniera del vento sospinge il mio grido di gioia attraverso i vicoli Aus einem Auge ist beiläufig sauté un cri de joie aint in mi’uraglia Our dad ün ögl es sigli in passond ün güvel aint in mi‘uraglia Eu chamin in tact tras il di e m’insömg da not: Co cha la chavlüra dal vent chatscha meis güvel tras las giassas Cammino a tempo tras il di, tras il di et je rêve la nuit: Aus einem Auge ist beiläufig ein Jauchzer in mein Ohr gesprungen Ich laufe im Takt durch den Tag und träume nachts: Wie die Mähne des Windes meinen Jauchzer durch die Gassen treibt Wie die Mähne del vento sospinge le cri tras las giassas 79 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Finestra I Valorizzare tutte le lingue nella scuola Convegno sul plurilinguismo ad Ascona Vincenzo Todisco | Chur Am 16. und 17. Oktober fand in Ascona eine Tagung zum Thema „ein Platz für alle Sprachen in der Schule“ statt. Neben den Themen, die mit dem Sprachlernbewusstsein in Zusammenhang stehen, wurde auch der schulische Sprachunterricht thematisiert, wobei auf die didaktischen Konsequenzen der Mehrsprachigkeit als Bildungsziel eingegangen wurde. Wegen der verschiedenen Faktoren, die dabei eine Rolle spielen, ist es nicht möglich, eine eindeutige Definition der Mehrsprachigkeit zu geben. Im schulischen Umfeld ist das Kriterium der Sprachkompetenz wohl am wichtigsten. Obwohl das Bild der einsprachig-aufwachsenden Schüler immer noch dominiert, müssen wir feststellen, dass die Mehrsprachigkeit zum Normalfall geworden ist und dass wir diese Mehrsprachigkeit in den Klassenzimmern nicht länger negieren können. Es gibt jedoch noch viel Skepsis hinsichtlich der Einführung von zwei Fremdsprachen schon auf der Primarstufe. Um sich den neuen Herausforderungen zu stellen, muss die Schule auf kommunikative, pragmatische, kontextualisierte und induktive Unterrichtsansätze setzen und versuchen, im Sinne der Mehrsprachigkeitsdidaktik den herkömmlichen Fremdsprachenunterricht zu optimieren und zu erweitern, zum Beispiel durch interdisziplinäre Ansätze, indem ELBE/EOLE Ansätze herangezogen werden, Immersionsunterricht, Austauschpädagogik und Sprachenportfolio gefördert werden, um so eine Annäherung zwischen dem schulischen Sprachunterricht und Möglichkeiten für das ausschulische Sprachenlernen zu ermöglichen. Mehr Beiträge zu diesem Thema: www.babylonia.ch > Thematisches Archiv > Thema 15 Valorizzare tutte le lingue nella scuola, questo il titolo dato al convegno tenutosi ad Ascona il 16 e 17 ottobre 2012, richiama subito gli approcci didattici realizzabili attraverso i materiali e le attività proposti dai programmi ELBE (Eveil aux langues – Language awerness – Begegnung mit Sprachen) e EOLE (Eveil et ouverture aux langues).Tali approcci mirano a svegliare nei discenti l’interesse e la sensibilità per le lingue e le peculiarità linguistiche, a renderli coscienti del pluralismo culturale, a valorizzare, anche attraverso una riflessione metalinguistica e comparativa, sia le lingue materne sia quelle straniere, onde suscitare un atteggiamento positivo nei confronti del plurilinguismo e del multiculturalismo. Tutte queste iniziative sono encomiabili e assumono 80 Babylonia 02/13 | babylonia.ch un ruolo importante nella panoramica della glottodidattica moderna. Accanto alla mera sensibilizzazione linguistica, la scuola ha però anche e soprattutto il compito di porsi come obiettivo quello che potremmo definire un plurilinguismo scolastico. A scuola, infatti, oltre a lavorare sugli atteggiamenti, si tratta di insegnare le lingue per fare in modo che ogni singola persona possa sviluppare una coscienza plurilingue (Hutterli et al., 2008). Nel convegno di Ascona si è messo quindi l’accento sull’insegnamento scolastico delle lingue, riflettendo sulle implicazioni didattiche del plurilinguismo come obiettivo educativo. Definizione del bilinguismo A questo punto serve fare una distinzione molto importante, quella tra il bilinguismo acquisito naturalmente durante l’infanzia e quello che abbiamo definito come bilinguismo scolastico. Per semplificare le cose ci limiteremo al caso dell’acquisizione o apprendimento di due lingue e quindi parleremo di bilinguismo. Cominciamo con il bilinguismo acquisito naturalmente. Quando una persona può essere considerata bilingue? Quando padroneggia molto bene due lingue, essendo in grado di svolgere una conversazione sia nell’una sia nell’altra, o quando capisce una seconda lingua, ma non è (più) in grado di usarla attivamente? È bilingue solo chi acquisisce due lingue già durante l‘infanzia? Può essere considerato bilingue chi padroneggia la lingua standard e il dialetto? Ci troviamo insomma di fronte all’intricato problema della definizione del bilinguismo. Se ci affidiamo a una concezione minimalista del termine, possiamo dire che ogni essere umano è per lo meno bilingue. Se invece optiamo per una concezione massimalista, possiamo considerare bilingue solo chi padroneggia due lingue in modo equo. Sino ad oggi gli studiosi non sono riusciti a trovare una definizione univoca del termine. Negli anni trenta del secolo scorso Bloomfield (1933) poneva come condizione, per poter considerare bilingue una persona, la competenza di parlante nativo nelle due lingue. Negli anni cinquanta Weinreich (1953) postulava invece la capacità di usare le due lingue. Secondo questa concezione sarebbe quindi bilingue chi usa regolarmente due lingue senza che sia necessario padroneggiarle ambedue a un livello di parlante nativo. Negli anni settanta Titone (1972) poneva come condizione il fatto di usare correttamente le due lingue e quindi, secondo questa concezione, sarebbe da considerare bilingue chi fosse in grado di separare le due lingue, evitando interferenze tra un sistema e l’altro. In anni più recenti, Skutnabb-Kangas (1995) postulava almeno quattro criteri per individuare un parlante bilingue, la competenza, la funzione (vale a dire i diversi ambiti e contesti in cui vengono usate le due lingue), l’età di acquisizione e l’identificazione. Secondo questa concezione sarebbe quindi da considerare bilingue chi padroneggiasse a un livello molto alto le due lingue, sapesse usare ambedue le lingue nei più svariati contesti, avesse imparato le due lingue sin dalla prima infanzia e quindi in modo simultaneo e non consecutivo e infine si identificasse soggettivamente come una persona bilingue. A tale identificazione interna può ovviamente corrispondere una rispettiva identificazione esterna, vale a dire la persona può essere percepita come parlante bilingue anche dagli altri. La definizione del plurilinguismo si può via via allargare, fino ad arrivare a quella di Wiater (2006), secondo la quale ogni persona è plurilingue, giungendo praticamente a negare l’esistenza stessa del monolinguismo. Accanto alla lingua standard e amministrativa di un paese, afferma Wiater, ci sarebbe infatti sempre stato un grande numero di varianti regionali, dialetti, gerghi e peculiarità linguistiche individuali o collettive parlati dalla popolazione di una nazione. Tutti questi diversi punti di vista circa il bilinguismo ci permettono di dire che non esiste una definizione univoca e che il fatto di padroneggiare o meno una o più lingue non costituisce una di- mensione statica. Nel corso della vita una persona può attraversare diverse fasi in cui potrà considerarsi bilingue o meno. Quando parliamo di bilinguismo sono quindi in gioco diversi fattori. Quello più forte, e il più determinante in ambito scolastico, è ovviamente quello della competenza. A tale proposito Moretti e Antonini (2000) individuano quattro gradi di competenza: l’ambilinguismo, vale a dire un bilinguismo in senso strettissimo, per così dire perfetto, nel quale abbiamo una competenza equa e molto alta nelle due lingue; il bilinguismo equilibrato, dove abbiamo una competenza molto avanzata nelle due lingue con tracce di una lingua nell’uso dell’altra (le cosiddette interferenze) e dove possiamo parlare di un bilinguismo come lingua materna; la terza possibilità è costituita dal bilinguismo non equilibrato, dove la competenza in una delle due lingue è inferiore rispetto a quella di un corrispondente monolingue e quindi dove una lingua domina sull’altra (è il caso dei figli di immigrati che si trovano a dover imparare la lingua del posto); e infine il semilinguismo, per il quale il parlante presenta scarse competenze nelle due lingue e quindi si trova ad avere due mezze lingue. Il plurilinguismo è normale Indipendentemente dalle diverse definizioni e dai diversi fattori in gioco, oggi, in un mondo globalizzato in cui in seguito alla mobilità delle persone le lingue e le culture si mescolano, dovremmo dire che il bilinguismo, rispettivamente il plurilinguismo, è un fatto normale. Difatti, come affermano Cathomas e Carigiet (2008), la maggior parte delle persone è plurilingue, mentre Petit (2002) ha calcolato che tre terzi della popolazione infantile del pianeta cresce bi- o plurilingue. Malgrado tale evidenza, in Europa, e anche nella Svizzera ufficialmente quadrilingue, spesso è ancora predominante l‘immagine dell’individuo che cresce monolingue e altrettanto spesso si ritiene che questa sia la norma (Hutterli et al. 2008). Per illustrare tale controsenso, Ingrid Gogolin (1994) ha coniato il termine “monolingualer Habitus der multilingualen Schule”, vale a dire il fatto che troppo spesso a scuola si fa come se ci si trovasse di fronte a classi linguisticamente omogenee, mentre in realtà sappiamo bene che è vero il contrario. Se ci prendiamo la briga di considerare la pluralità linguistica nelle nostre aule scolastiche, ci accorgiamo che le lingue presenti sono tante e diverse. Per rendere visibile il repertorio linguistico di un bambino, Hans-Jürgen Krumm (2001) ha sperimentato i cosiddetti ritratti linguistici, attraverso i quali gli stessi bambini possono, colorando una sagoma che rappresenta un bambino o una bambina, illustrare la propria identità linguistica. Si tratta di un ottimo strumento per dare un’immagine al plurilinguismo vigente all’interno di una classe. Questi due esempi sono stati raccolti nel 2006 nell’ambito di una settimana di progetto sul plurilinguismo in una seconda classe ginnasiale di Coira. 81 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Fig. 1 Fig. 2 Certo, la bambina che si identifica con 9 lingue (Fig. 2) è sicuramente un caso eccezionale, ma bambini o ragazzi che nel loro repertorio linguistico fanno confluire due o tre lingue costituiscono quasi la regola in quanto vivono in un contesto plurilingue di cui la scuola farebbe bene a prendere atto. A questo plurilinguismo individuale si aggiunge un plurilinguismo sociale, molto significativo per un paese come la Svizzera con le sue quattro regioni linguistiche e diversi cantoni bilingui (il Canton Grigioni addirittura trilingue). Eppure, come abbiamo già detto, la scuola spesso non sembra tener conto di questa realtà, in altre parole non rispecchia né il plurilinguismo individuale né quello sociale. In molti contesti scolastici regna non poco scetticismo circa il fatto di insegnare, come succede attualmente in Svizzera, due lingue straniere già nella scuola elementare. C’è chi sostiene che due lingue sono troppe e costituiscono un problema per gran parte dei bambini. Spesso queste paure derivano da pregiudizi nei confronti di un’educazione scolastica bilingue. Si teme un carico eccessivo per i bambini e che l’apprendimento contemporaneo di più lingue abbia come conseguenza una scarsa padronanza di ambedue le lingue con ripercussioni negative sulla lingua scolastica (che non sempre equivale alla lingua d’origine dei vari bambini). E questo, secondo tali preoccupazioni, perché una lingua verrebbe appresa a scapito dell’altra. Tutti questi dubbi, spiegano Cathomas e Carigiet (2008), sono infondati, e riconducibili alla falsa immagine che abbiamo del cervello umano, visto come un contenitore che una volta pieno non avrebbe più spazio per altro, mentre il cervello dispone di spazio e flessibilità sufficienti per più di una lingua, visto che non si impara una lingua a scapito dell’altra. Il problema infatti normalmente non è costituito dal numero delle lingue, ma semmai dalle condizioni in cui le diverse lingue vengono acquisite o apprese dal bambino. Ovviamente vi possono essere casi in cui le lingue in gioco sono troppe, ma questo succede soprattutto quando le due lingue risultano ambedue sottosviluppate, quando la trasmissione delle due lingue non avviene in modo ordinato e coerente o quando, per ricollegarci all’ambito scolastico, le lingue vengono insegnate con metodi inappropriati e approcci didattici demotivanti. 82 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Le interferenze non sono un deficit Un ulteriore pregiudizio che incombe sul bilinguismo o sull’apprendimento di più lingue nella scuola è quello che considera le interferenze come un deficit e un segno di scarsa competenza in ambedue le lingue. Non si tiene conto del fatto che quando un bambino impara due lingue, è normale che attraversi una fase in cui mescola le due lingue. È quindi sbagliato considerare i fenomeni di interferenza come degli indizi di scarsa competenza. Come ha già dimostrato Weinreich (1953), le interferenze costituiscono invece un indizio per il fatto che nell’individuo bilingue le due lingue entrano in contatto tra loro. Oggi si tende a valutare positivamente le interferenze, in quanto servono da identificazione all‘interno del gruppo, fanno da ponte tra due identità culturali diverse, sopperiscono a lacune lessicali, aumentano l‘effetto che si fa dell‘uso della rispettiva lingua e sono indicatori importanti in quanto forniscono informazioni circa la competenza bilingue del rispettivo parlante. Le interferenze quindi non vanno intese come un disturbo del sistema linguistico del parlante, ma come una strategia efficace per sopperire, in caso di necessità, a delle lacune. In tal caso infatti il parlante ripiega su strutture dell’altra lingua per evitare delle interruzioni o delle lacune nella comunicazione. I vantaggi del plurilinguismo Se poniamo come obiettivo l’educazione plurilingue a scuola, e quindi un plurilinguismo scolastico, dobbiamo chiederci quali possono essere i vantaggi che ne conseguono. Come spiegano ampiamente Cathomas e Carigiet (2008), il bambino plurilingue dispone di più ambiti di esperienza, si ricollega più facilmente a culture diverse tra loro, si pone di fronte a un problema o a un dato di fatto dall’ottica di due lingue e quindi dispone di una dimensione cognitiva più ampia, presenta una maggiore consapevolezza linguistica, ciò che gli permette più flessibilità nella comunicazione e più creatività e flessibilità di pensiero. Non bisogna infine dimenticare che il plurilinguismo offre più opportunità nel mondo del lavoro. Come sostengono diversi autori (Etter, 2011; Andres et al., 2005; Hufeisen, 2011), se nell’ambito dell’industria privata d’esportazione l’inglese è indispensabile, per le altre categorie professionali è altrettanto vantaggioso, e in certi settori indispensabile, basti pensare al turismo, all’edilizia, all’amministrazione pubblica, alla scuola e ai media, padroneggiare anche altre lingue accanto all’inglese, visto che in questi casi spesso si richiede personale plurilingue. Malgrado i vantaggi evidenti derivanti dall’apprendimento delle lingue, e senza che l’insegnamento contemporaneo di due lingue sia stato collaudato e siano state fatte delle esperienze e raccolti dei dati empirci a lungo termine, si sentono già delle voci contrarie o per lo meno scettiche circa l’insegnamento di più lingue nella scuola elementare. Questo succede malgrado il fatto che a partire dal 1959 il Consiglio d‘Europa si sia espresso a favore del pluralismo linguistico, ponendo come obiettivo quello di migliorare la qualità della comunicazione tra la popolazione europea di diversa lingua e cultura. In tal senso il plurilinguismo dovrebbe permettere maggiore mobilità, comprensione reciproca e collaborazione tra la popolazione europea. In tale ottica nel 2004 la Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) ha emanato delle strategie atte a potenziare l’insegnamento delle lingue nella scuola elementare. Orientandosi a un insegnamento precoce delle lingue, la riforma contiene l’introduzione o l’anticipazione di una prima lingua straniera (nella maggior parte dei casi una lingua cantonale o nazionale) a partire dalla 3a classe, una seconda lingua straniera (quasi sempre l‘inglese) a partire dalla 5a, l’applicazione di nuovi elementi didattici quali ELBE, l’insegnamento bilingue e immersivo, gli approcci CLIL, la pedagogia degli scambi e il Portfolio europeo delle lingue, il tutto all’insegna di una didattica integrata delle lingue per un insegnamento coordinato e possibilmente interdisciplinare. Scuole bilingui Per far fronte alle nuove sfide nell’ambito dell’insegnamento delle lingue, la scuola deve avviare delle innovazioni consistenti e continuare a mettere in atto le strategie della CDPE, così come proposto dal progetto Passepartout1. Se per le scuole monolingui i problemi da risolvere sono complessi, per le scuole bilingui le cose sono più semplici. I Grigioni e altri cantoni della Svizzera conoscono da tempo il modello della scuola bilingue. Il Canton Grigioni ne conta ben 10 (Bivio, Samedan, Coira, Pontresina,Trin, Bever, Maloja, Celerina, La Punt e Ilanz). Gli altri cantoni con delle scuole o classi bilingui sono il Vallese (Sierre, Sion, Motnhey e Brig), Berna (Bienne), Friburgo (Morat, Sarine Ouest, La Tour-de-Trême, Bulle, Châtel-St. Denis), Neuchâtel (singole classi con un insegnamento immersivo) e Giura (insegnamento bilingue nel secondario I), senza dimenticare ovviamente l’insegnamento bilingue nel secondario II e le numerose scuole bilingui private. In tutte queste scuole si adotta il metodo dell’immersione. Questo vuol dire che determinate materie non linguistiche, come per esempio la matematica, la storia o la geografia, vengono impartite nella L2. In questi casi parliamo di un insegnamento veicolare che permette di insegnare una L2 in modo molto efficiente in quanto la lingua non è più oggetto, ma mezzo di insegnamento. I vantaggi dell’immersione sono molteplici e l‘efficacia del metodo è dimostrata da numerosi studi scientifici che di regola attestano una competenza dei discenti molta alta nella L2. Si tratta di un approccio autentico, induttivo, attraverso il quale è possibile focalizzare l’attenzione degli apprendenti in primo luogo sul contenuto della rispettiva materia e non sulla L2. Di regola non si verifica nessuna conseguenza negativa sullo sviluppo né della lingua materna né per quanto riguarda le prestazioni in altre materie scolastiche. È stato ampiamente dimostrato che nell’insegnamento bilingue di regola lo sviluppo cognitivo dei discenti non subisce dei deficit. Eventuali ritardi iniziali in singole materie vengono recuperati anche senza un sostegno specifico. I discenti che imparano la L2 in modo immersivo raggiungono risultati comparabili e in parte anche superiori rispetto ai gruppi di controllo delle scuole monolingui. Scuole monolingui Nell’ambito dell’insegnamento delle lingue la scuola monolingue deve partire da premesse completamente diverse. Deve innanzitutto fare i conti con il problema di una situazione d’apprendimento artificiale in cui le lingue vengono acquisite in modo guidato e non spontaneo e naturale come avviene in famiglia o in parte in un insegnamento bilingue. Spesso in ambito scolastico regna confusione nel definire gli obiettivi legati non solo al bilinguismo, ma all’apprendimento delle lingue in genere, e questo può portare a delle false aspettative quasi sempre frustrate. Abbiamo già accennato al fatto che l’apprendimento scolastico delle lingue si svolge per forza di cose quasi sempre in un contesto artificiale. Se l’acquisizione della L1, o di più L1, avviene in modo spontaneo, per la L2 di regola abbiamo un apprendimento guidato e solo eccezionalmente, per esempio nell’ambito di un soggiorno linguistico, spontaneo. Le diverse modalità di acquisizione, rispettivamente di apprendimento della lingua, possono essere schematizzate nel modo seguente: Tab. 1 Acquisizione spontanea e apprendimento guidato della lingua L1 L2 Acquisizione non guidata, spontanea, implicita, naturale, induttiva. E quando si acquisisce più di una lingua: plurilinguismo naturale. Apprendimento esplicito, guidato, deduttivo (a scuola). E quando si impara più di una lingua a scuola: plurilinguismo guidato risp. scolastico. Acquisizione spontanea, per esempio nell’ambito di un soggiorno linguistico. 83 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Il problema infatti di regola non è costituito dal numero delle lingue, ma semmai dalle condizioni in cui le diverse lingue vengono acquisite o apprese dal bambino. Una premessa fondamentale per l’apprendimento della lingua è l’uso che effettivamente se ne può fare in situazioni comunicative possibilmente autentiche. La convenzionale lezione di lingua offre purtroppo solo un minimo di autenticità. Questo tipo di insegnamento si svolge infatti prevalentemente in modo frontale (non sempre nella lingua d’arrivo) e le situazioni comunicative, se ci sono, non sono di carattere autentico. Meno è autentica la situazione di apprendimento, meno sono alte le opportunità d’uso di una lingua. Una lingua straniera si impara invece quando l’apprendente ha molteplici occasioni di usarla in situazioni concrete che in un insegnamento convenzionale scarseggiano o mancano del tutto. Con il metodo convenzionale inoltre il tempo a disposizione per imparare una lingua è ridotto, si limita a singole lezioni, ciò che impone un insegnamento scarsamente comunicativo e decontestualizzato con risultati spesso poco soddisfacenti. In più le lingue cantonali o nazionali si trovano in conflitto con l’inglese. Per rendersi conto di quanto presente sia ancora un approccio convenzionale all’insegnamento delle lingue straniere nelle nostre scuole basta leggere le biografie linguistiche di molti nostri studenti dell’Alta scuola pedagogica, in questo caso dei Grigioni, biografie che riportano esperienze d’apprendimento tendenzialmente negative. Per tutti questi motivi è lecito supporre che con il metodo convenzionale, vale a dire con la classica lezione di lingua, in futuro non sarà possibile far fronte alle nuove sfide che pone l’insegnamento di più lingue nella scuola. Se le lingue continueranno ad essere insegnate in base a metodi convenzionali, i risultati non saranno soddisfacenti e alla fine avranno ragione gli scettici. E allora cosa deve fare la scuola? Innanzitutto bisogna assumere un atteggiamento positivo e considerare il bilinguismo scolastico non un problema, ma qualcosa di stimolante, un’opportunità che comporta grossi vantaggi. Qualsiasi apprendimento è condizionato in modo determinante dalle esperienze, dalle preconoscenze, dalle immagini e opinioni, da quello che riteniamo importante, dalle supposizioni, aspettative e preferenze delle quali spesso non ci rendiamo conto (Cathomas & Carigiet, 2008). Se i genitori o gli insegnanti assumono un atteggiamento negativo nei confronti dell’educazione bi- o plurilingue, susciteranno nei bambini sentimenti e premesse che ostacoleranno il loro apprendimento. Bisogna rendersi conto che non sono solo i bambini cresciuti con due lingue a trarre vantaggio da un apprendimento di più lingue, ma anche, e a volte soprattutto, i monolingui. Come sostengono giustamente Gage e Berliner, “il plurilinguismo non è soltanto una necessità indispensabile per le minoranze; è soprattutto un‘opportunità formativa estremamente vantaggiosa per tutti gli allievi” (Ibidem,2008). Studiare più lingue a scuola significa, anche per i monolingui, allargare il proprio orizzonte culturale. Così, per esempio, i bambini della parte tedesca del Canton Grigioni che imparano l’italiano a partire dalla quarta elementare, attraverso l’italiano avranno la chiave per accedere ad altre lingue romanze. In più, iniziando con l’italiano, saranno agevolati nell’apprendimento dell’inglese, basti pensare alla dimensione 84 Babylonia 02/13 | babylonia.ch lessicale con una radice comune di moltissimi vocaboli che risale al latino. Ma la condizione forse più importante per creare le premesse per una buona riuscita dell’insegnamento delle lingue a scuola è l’orientamento all’obiettivo del plurilinguismo funzionale. Nel nuovo piano di studi per l’italiano L2 del Canton Grigioni (2010) si legge che è considerato plurilingue chi è in grado di comunicare in due lingue sapendosi adeguare alle rispettive situazioni. Il plurilinguismo funzionale è un concetto che ci permette di evitare false aspettative e di rendere più plausibile il fatto di insegnare una o più lingue straniere a scuola. Attraverso il plurilinguismo funzionale non si mira più alla padronanza perfetta della L2, obiettivo del resto poco realistico e spesso motivo di frustrazione sia per l’insegnante che per il discente, ma a un repertorio di competenze parziali in diverse lingue e sviluppate in modo diverso. In questo modo si pone l’accento sulle capacità comunicative del discente. Non si tratta quindi più di raggiungere un alto grado di perfezione nell’uso che si fa delle singole lingue, ma del ruolo che queste possono svolgere nell’affrontare situazioni comunicative diverse. Secondo una tale impostazione, i bambini sapranno usare le lingue apprese a scuola per scopi e in ambiti comunicativi diversi. Durante la vita il rapporto di dominanza tra le diverse lingue potrà mutare, a seconda di quale lingua verrà usata in quale ambito o contesto. L’essenziale è che la comunicazione riesca, che il bambino impari ad assumere un atteggiamento disinibito nei confronti delle lingue e ad abbattere quelle barriere che troppo spesso ci impediscono di comunicare in una lingua straniera. La scuola farà bene a sfruttare le potenzialità di un insegnamento precoce delle lingue straniere. È vero che, rispetto a un bambino, un adulto dispone di maggiori abilità cognitive, di un sapere maggiore, impara più velocemente, ha abilità metalinguistiche più avanzate, ma è altrettanto vero che i bambini, visto che iniziano prima, hanno più tempo a disposizione, dispongono di abilità mnemoniche più flessibili, sono più aperti ad approcci induttivi, hanno maggiori abilità articolatorie, e quindi sono agevolati nella pronuncia, sono esenti da filtri emotivi, sono spinti da curiosità e di regola sono motivati e disposti a apprendere altre lingue. I bambini inoltre hanno meno inibizioni e un atteggiamento più naturale e disinvolto nei confronti delle lingue. Non sfruttare tali premesse e potenzialità significa rinunciare a importanti opportunità. Se il metodo cosiddetto tradizionale prevede un approccio deduttivo, in cui la grammatica è punto di partenza e di arrivo dell’insegnamento, dove l’obiettivo sono le competenze formali è il criterio di valutazione la correttezza formale nella produzione linguistica per mezzo di materiali linguistici non autentici, l’approccio comunicativo, al quale si orienta la didattica del plurilinguismo, segue un procedimento induttivo, attraverso il quale la grammatica viene scoperta, gli apprendenti vengono posti al centro del processo di apprendimento con l’obiettivo di suscitare in loro delle competenze comunicative. Lo scopo principale è quello di indurli a parlare in modo disinibito in situazioni comunicative possibilmente autentiche e per mezzo di materiali didattici anche questi autentici. La scuola deve quindi puntare su degli approcci di insegnamento comunicativi, pragmatici, contestualizzati e induttivi, cercando in tal modo di ottimizzare e allargare l’insegnamento convenzionale delle lingue straniere, per esempio attraverso procedimenti interdisciplinari, il coinvolgimento di elementi ELBE (coscienza linguistica, confronti tra le lingue, riflessioni sulla lingua, coinvolgimento delle varie lingue presenti in classe), le sequenze d’insegnamento immersive, gli approcci CLIL, la pedagogia degli scambi (scambi epistolari, mail, contatti, visite) e il Portfolio delle lingue, avvicinando in tal modo l’apprendimento prettamente scolastico delle lingue a occasioni di apprendimento extrascolastiche. La didattica del plurilinguismo Il potenziamento dell’insegnamento convenzionale delle lingue sotto il tetto della didattica del plurilinguismo può essere schematizzato nel modo seguente: Fig. 3: Didattica del plurilinguismo Così come postulato nei principi didattici del progetto Passepartout (Didaktische Grundsätze 2008), dare una tale impostazione all’insegnamento delle lingue implica tener conto della coerenza verticale e orizzontale. Il problema della coerenza verticale si pone soprattutto al momento della transizione da un grado scolastico all’altro, per esempio dalla scuola elementare al grado secondario, dove avviene un vero e proprio cambio di paradigma, da un approccio induttivo a un procedimento deduttivo. Succede troppo spesso che al momento del passaggio da un grado all’altro si debba presentare la necessità di dover ricominciare da capo. La coerenza orizzontale si ottiene invece facendo in modo che le lingue apprese non vengano insegnate separatamente, ma che si possano sfruttare le sinergie tra le singole lingue, che i mezzi didattici tengano conto delle altre lingue apprese dai bambini e che gli insegnanti collaborino maggiormente. Imparare una seconda lingua straniera dopo aver iniziato ad impararne una prima reca dei vantaggi. Haenni Hoti (2006) ha dimostrato che le strategie di apprendimento messe in atto per la prima lingua possono essere trasportate alla seconda. Difatti, come si legge nel Quadro europeo comune di riferimento delle lingue (2001: 17), “[...] Le lingue e culture non vengono immagazzinate in aree mentali separate tra loro, ma piuttosto danno vita a una competenza comunicativa, alla quale contribuiscono tutte le conoscenze e esperienze linguistiche e attraverso la quale le lingue si pongono in relazione l‘una con l‘altra e interagiscono.” Ovviamente, per insegnare le lingue in questo modo, servono insegnanti molto ben preparati sia da un punto di vista linguistico che didattico. Ci deve essere la volontà politica per un insegnamento delle lingue così concepito in modo che possano venire a crearsi le strutture istituzionali, organizzative e logistiche necessarie. E infine saranno necessarie delle ricerche e dei monitoraggi, si dovranno raccogliere dati empirici per decidere se effettivamente l’apprendimento di più lingue costituisce un sovraccarico per i bambini o se, come si spera, la didattica del plurilinguismo permetterà di sfruttare al meglio le potenzialità dell’insegnamento contemporaneo di due lingue. 85 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Note Con il progetto Passepartout si designa l’iniziativa dei cantoni di Berna, Basilea campagna, Basilea città, Soletta,Vallese e Friburgo che hanno riorganizzato l’insegnamento delle lingue straniere nella scuola dell’obbligo in modo coordinato. A partire dal 2011 i bambini di questi sei cantoni imparano il francese a partire dalla 3a classe e l’inglese dalla 5a. L’insegnamento avviene in base ai principi della didattica del plurilinguismo e si usano gli stessi mezzi didattici, che sono stati coordinati in base ai piani di studi per le rispettive lingue. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del progetto: http://www. passepartout-sprachen.ch/de.html (2.4.2013). 1 Bibliografia Andres, M., Korn K., Barjak, F., Glas A., Leukens, A. & Niederer, R. (2005). Fremdsprachen in Schweizer Betrieben. Eine Studie zur Verwendung von Fremdsprachen in der Schweizer Wirtschaft und deren Ansichten zu Sprachenpolitik und schulischer Fremdsprachenausbildung. Solothurn: Fachhochschule Solothurn Nordwestschweiz. Bloomfield, L. (1933). Language. New York: Holt, Rinehart and Winston. Cathomas, R. & Carigiet, W. (2008). TopChance Mehrsprachigkeit. Bern: Schulverlag. Didaktische Grundsätze des Fremdsprachenunterrichts in der Schule. (2008). Passepartout. Fremdsprachen an der Volksschule. http://www.passepartout-sprachen.ch/de/ downloads/inhaltliches.html (2.4.2013). Etter, B. (2011). Mit Händen und Füssen oder zwingende Sprachvielfalt? Eine Untersuchung zur Sprachpraxis in den Betrieben Graubündens. Masterarbeit eingereicht an der Philosophischen Fakultät der Universität Freiburg, 7.9.2011. Gogolin, I. (1994). Der monolinguale Habitus der multilingualen Schule. Münster: Waxmann. Haenni Hoti, A. (2006). Die Wirksamkeit des Fremdsprachenunterrichts auf der Primarstufe. Zum Forschungsdesign der Zentralschweizer Längsstudie, in: Babylonia, 1, 2006, S. 31-33. Hufeisen, B. (2011). Wirksames Sprachenlernen in der Schule, in: Mythos Babel – Mehrsprachigkeitsdidaktik zwischen Schein, Sein und Wollen, a c. di V. Todisco e M.Trezzini. Zürich: Verlag Pestalozzianum. Hutterli, S., Stotz, D. & Zappatore, D. (2008). Do you parlez andere lingue? Fremdsprachen lernen in der Schule. Zürich: Verlag Pestalozzianum an der Pädagogischen Hochschule Zürich. Petit, J. (2002). Le bilinguisme précoce et ses avantages. http://christian.huber.pagespersoorange.fr/bilinguismebis.htm#additif (10.10.2012). Krumm, H.-J. (2001). Kinder und ihre Sprachen – Lebendige Mehrsprachigkeit. Wien: Eviva. Moretti, B. & Antonini, F. (2000). Famiglie bilingui. Locarno: Dadò. Skutnabb-Kangas, T. (1995). Multilingualism and the Education of Minority Children, in: O. Garcia & C. Baker (Eds.), Policy and Practice in Bilingual Education: A Reader Extending the Foundations. Clevedon: Multilingual Matters. Titone, R. (1972). Bilinguismo precoce ed educazione bilingue. Roma: Armando. Weinreich, U. (1974). Lingue in contatto. (traduzione dall’originale del 1953).Torino: Boringhieri. Wiater, W. (2006). Didaktik der Mehrsprachigkeit. München:Verlag Erns Vögel. Vincenzo Todisco nato nel 1964 a Stans, laureato in letteratura e linguistica italiana e francese, è docente e collaboratore scientifico presso la trilingue Alta scuola pedagogica dei Grigioni di Coira, dove si occupa di didattica delle lingue straniere e del plurilinguismo e conduce delle ricerche e dei progetti nell’ambito del plurilinguismo. Nel 2011 ha ottenuto il dottorato con una ricerca sul plurilinguismo e la scuola bilingue di Maloja (Grigioni). È inoltre autore di diversi mezzi didattici per l’insegnamento dell’italiano e ha realizzato un documentario sull’insegnamento dell’italiano L2 nel Canton Grigioni. In qualità di scrittore ha pubblicato romanzi (il più recente è Rocco e Marittimo, 2011, per le Edizioni Casagrande) e libri per ragazzi (Angelo e il gabbiano, 2003). Robert Delauney, Rythm, 1939. 86 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Finestra II Internationalisation, Mobility and Integration at Higher Education Institutions Promoting and Researching Pluri- and Multilingualism at Language Centres Stephan Meyer, Petra Gekeler, Daniela Urank | Basel Die Förderung der Mehrsprachigkeit spielt eine zentrale Rolle bei der Internationalisierung von Hochschulen. Sprachenzentren können dabei einen wichtigen Beitrag leisten. Dies gilt gleichermassen für die Verbesserung der Mobilität und die Integration von Studierenden, Dozierenden und Forschenden. Wir berichten darüber, wie auf institutioneller Ebene Mehrsprachigkeit verankert werden kann und wie Studierende am Sprachenzentrum der Universität Basel mit ihr umgehen. Wir stellen dazu ein neu entwickeltes Kursmodul “Kommunikationstraining im mehrsprachigen Umfeld” vor, in dem die Teilnehmenden lernen und üben, mehrere Sprachen im gleichen Kontext einzusetzen und den akademischen und öffentlichen Diskurs dadurch zu bereichern. Zum Schluss erwähnen wir Fragen, die in weiterführender Forschung zur Mehrsprachigkeit an Hochschulen Aufmerksamkeit verdienen. Mehr Beiträge zu diesem Thema: www.babylonia.ch > Thematisches Archiv > Themen 14 und 17 The assumption that students at higher education institutions will automatically maintain and/or acquire communicative competence in the languages they need for their studies, their work, and to participate in society is increasingly viewed with scepticism. Instead, there is growing acceptance that systematic institutional promotion of these skills is imperative, also on tertiary level. The need to actively intervene is further strengthened by the growing internationalisation of tertiary education institutions and curricula; the increased mobility of students and academics; and the mounting need to integrate national and international students and staff into local contexts. Global and regional social processes – such as the creation of a European Higher Education Area as envisaged by the Bologna reforms – inflect with local language practices.The outcomes are a mixture of bane and boon, which elicits a range of sometimes paradoxical behaviours. Language Centres have become one of the established instruments in higher education institutions to promote multi- and plurilingualism. In Switzerland, the last decade saw the rapid institutionalisation of language courses for students of other disciplines and, in some cases, the establishment of dedicated Language Centres. Presently thirteen higher education institutions are affiliated to the Enseignement des Langues dans les Hautes Ecoles en Suisse (FHS-ELHE), which has an advisory role to the Conférence des Recteurs des Universités Suisses (CRUS). More than a decade into the Bologna process and with internationalisation high on the agenda, we clearly need to improve our understanding of multilingualism in higher education. We need to take stock of the status quo and we need to prepare ourselves for future developments. In contrast to the more established research, didactic materials, and interventions on the school level, we still know relatively little about multilingual practices in higher education institutions in Europe in general and in Switzerland in particular (A selection from the few available studies includes Morel, 2009; Schaffner, 2012; Studer, Pelli-Ehrensperger & Kelly, 2009; Veronesi & Nickenig, 2009). Accordingly, the Language Centre at the University of Basel undertook a mixed methods study in 2011 and 2012 to enhance our understanding of students’ attitudes and behaviours pertaining to pluri- and multilingualism in higher education. We start with a sketch of the measures that the Language Centre has undertaken to promote pluri- and multilingualism on the institutional level. This is followed by selected findings from the quantitative and qualitative data that emerged from the mentioned investigation. In particular, we emphasise the future importance of subjectspecific courses and the need to complement conventional monolingual courses with courses that enhance participants’ ability to integrate different languages within the same setting. We 87 Babylonia 02/13 | babylonia.ch offer an outline of a pilot intervention project that draws on some of the findings from the investigation, namely a semester-long four-language course Kommunikationstraining im mehrsprachigen Umfeld, and conclude with a few questions for practice and research. The Language Centre as promoter of multilingualism Like the cantons which it primarily serves, German is historically the principal language at the University of Basel. Other languages are present by virtue of the plurilingualism of staff and students. Institutionally, multilingualism is evident in joint courses with other universities that use different languages of instruction, such as the Masters in Law, offered in collaboration with the University of Geneva. In addition to these networks, institutional multilingualism is also evident in the form of marked anglicisation on all levels. Recently amended University of Basel regulations regarding the language of instruction for example stipulate: ‘Die hauptsächlichen Unterrichtssprachen sind Deutsch und Englisch’ (§ 14 Studierenden-Ordnung der Universität Basel 2011). It is increasingly assumed that students are sufficiently proficient in English to consult publications and even follow lectures or submit written work. Depending on the discipline, this may already happen on the Bachelor’s level. Some Master’s and PhD courses are mainly or exclusively conducted in English. 88 The Language Centre serves the university community by enhancing their language competences for academic and professional environments and participation in societal processes. In addition to three of the national languages Italian, French and German, it offers courses in major lingua Franca languages such as English and Spanish, so-called small and medium-sized languages such as Swedish and Dutch, and languages that are crucial for communication between Europe and other parts of the world, such as Arabic, Chinese and Swahili. The courses range from general academic language courses with integrated professional skills (such as Deutsch als Studiersprache), to subject-specific courses (such as Italiano per medicina) and courses that are more or less loosely integrated into departmental curricula or timetables (such as English for Scientists in Sports). The Language Centre also prepares students and staff for commercial language exams, such as the Diplôme approfondi de langue française (DALF) and Cambridge exams, such as the International Legal English Certificate. In addition, it offers a tandem consultation and partnering service. Whilst each of the courses taken on their own is conceived largely monolingually, participants often take courses in different languages to enhance their plurilingual repertoires. This contributes to the multilingual profile of the University, the professional organisations in which students will be employed, and the social institutions in which they will exercise their citizenship rights and duties. The mixed methods study: quantitative and qualitative data The mixed methods study used a range of quantitative and qualitative datasets. These combined to give insights into synchronic and diachronic patterns regarding large groups, which are enriched by interviews that offer detailed first person perspectives. Statistics from a survey with 740 respondents gives the following picture. Most respondents (68.5%) had German (including Swiss German) as a first language, followed by French (5.5%) and Italian (4.5%) as first languages. Collectively, they reported having knowledge (defined as A1 and higher) of 42 languages, including Catalan, Estonian, Kurdish,Turkish and Russian. Forty per cent of respondents indicated that they have knowledge of four languages, the most common of Matthäus Merian, Topographia Helvetiae, Rhaetiae et Valesiae, 1654. Babylonia 02/13 | babylonia.ch What are the specific contributions that institutions of higher learning can make in societies which value the promotion of pluri- and multilingualism? which came from the following group: German, English, French, Spanish and Italian. More females than males were enrolled, (62% were women, compared to 55% women students in the University as a whole). The academic levels of respondents correlated to those in the University at large: 53.8% were on the Bachelor’s level, followed by Masters/Licentiate (32.8%) and PhD students (12.7%). Concerning faculties, the biggest group of students (22.4%) come from the Social Sciences and Humanities; followed by the Natural Sciences (21.1%). In terms of course registrations, the most popular languages for the period first semester 2003 to first semester 2012, were English (with 5180 registrations), Spanish (with 2193 registrations), German as a Foreign Language (with 1947 registrations), French (with 1888 registrations) and Italian (with 1277 registrations). Over the years there has been a growth in the number of courses and registrations in the different languages. In the first semester 2003, eight languages were taught in 17 courses; by the first semester of 2012, the number of languages had more than doubled to 18 and the number of courses had multiplied more than six times to 114. Likewise, the number of subject-specific courses on offer has also grown.This started with 5 in the first semester of 2003, attracting 39 students. By the first semester of 2012 this had grown to 14 courses with a total of 136 registrations. Reflecting the difficulties associated with balancing quality and quantity, 90.8% of respondents reported that they strive for correctness, while 82.5% prioritised the number of languages spoken irrespective of the level. In 73.1% of the cases, these were the same respondents who prioritise both level and number of languages. Asked whether their competence in the languages they knew had improved or deteriorated while at university, 45% of respondents reported that their English had rather improved. In contrast, as far as French is concerned, the biggest group (34%) reported that their competence had rather deteriorated. The same applied to Italian, with the biggest group (23%) also reporting that their competence had rather deteriorated. A first corpus of semi-structured qualitative interviews with Master’s students concentrated on their experience of pluri- and multilingualism at university and their expectations regarding pluri- and multilingualism after university. Some of the points made by these students included: r A*OUIFCVTJOFTTXPSMEMJLFJOOVSTJOHPOFNVTUCFBCMFUPFYQSFTT oneself, exchange ideas, somehow reach a consensus – that in different languages’ r A'PSNFUIFNPUJWBUJPOJTBDUVBMMZ*XBOUUPLOPXNPSF4P*XBOU to be able to experience more or speak better with other people from other countries, other cultures. […] And certainly, employment opportunities are better. […] It is easier to go and work in another country for example. Or to work along in a project where the project leader only speaks English or only French. Also within Switzerland.’ r A"UTDIPPM*SFBMMZFOKPZFE'SFODIBOEBDUVBMMZ it annoys me that I’ve quite lost it. […] In Law, it was necessary to read a Federal ruling in French maybe once. But this, one rather avoids. So, one can wriggle out of it extremely well. […] I had a job interview with the Federal administration and there […] it is extremely strongly emphasised that French is so important.’ These and additional utterances not cited here confirmed that for many interviewees: r 1MVSJBOENVMUJMJOHVBMJTNBSFIJHIMZSFHBSEFE r .BTUFSJOH BDBEFNJD MBOHVBHF JT NPSF EFmanding than everyday language, possibly even including language in many work contexts. Thus a minimum level of C1 offers a viable starting point to read academic literature. Initially this may require some word-for-word translation, but through learning by doing, the content rather than the language will gradually become the main focus. A level below C1 is a considerable obstacle to effective comprehension of academic texts. r -BOHVBHFTUIBUNBZCFJNQPSUBOUBGUFSTUVEJFT may not coincide with languages that are important during studies. So, whereas English tends to have a pivotal position as a language of research and instruction, other languages that are neglected in higher education institutions (such as French or Spanish) may also be important, or even more important, in the workplace. A second corpus of interviews sought to gain insight into the broader language biographies of a relatively privileged group of young people who are extremely plurilingual. These language biographies covered a longer timespan (sometimes extending to the language portfolios of grandparents) and extended beyond educational institutions and prospective employment. Three groups were examined, each correlating to one of the focus areas of linguistic intervention associated with internationalisation, mobility and integration in higher education. The three groups comprised: local Swiss who have (Swiss) German as a first language; Swiss from other parts of Switzerland who do not have German as a first language; and international students who do not have German as a first language. This reflected 89 Babylonia 02/13 | babylonia.ch three of the Language Centre’s target communities: local nationals who are learning non-local languages to enhance their language portfolios in view of envisaged future mobility in the form of study and/or work in other parts of Switzerland and/or abroad; already mobile Swiss nationals from other parts of the country who are learning the local language (German) and for whom improvement of an additional national language is the major concern; and students from abroad who have been recruited in terms of the international orientation of the University who are learning the local language in order to integrate into local everyday life. Unsurprisingly, most of the interviewees had been exposed to a range of languages and/or multilingual settings at an early age, be that because of family constellations, school, or migration. Whilst they underscored their instrumental value for study and work, these interviewees took more than a utilitarian attitude to languages. They also foregrounded the significance of: r &YQSFTTJOHPOFTFMGJOBEJĄFSFOUTZNCPMJDTZTtem r 5IFFNPUJPOBMBTTPDJBUJPOTXJUIBOEWBMVFPG different languages r&ODPVOUFSTXJUIBOEVOEFSTUBOEJOHBNPOHTU people r *OUFHSBUJPO JOUP BOE CFMPOHJOH UP MPDBM OBtional and transnational communities. they mostly restricted themselves to one or two languages and they hardly ever sourced knowledge or experience from the many additional languages they know. Also related to this, some respondents reported that they found it difficult to move easily between languages where such flexibility is required. On the other hand, some interviewees expressed the fear that they slip too easily between languages, that they are unable to police what they perceive as required borders between languages and that this jeopardises expectations regarding linguistic purity. In view of these concerns, respondents were asked if they ‘would be interested in a course offering the possibility to use and learn two or more languages in the same context (for e.g. conferences, meetings)’. To this question 45.7% responded that they would. These findings became a central consideration in the conceptualisation of the course Kommunikationstraining im mehrsprachigen Umfeld. A four-language course:Kommunikationstraining im mehrsprachigen Umfeld An increasingly common though reductionist notion of multilingualism in higher education is that this consists of the use of English as a lingua franca in non-English institutions, i.e. L1 + English. This narrow view contrasts with the broader approach that all Europeans should be competent in their first language plus two additional ones. The broader perception constitutes the background to the four-language course Kommunikationstraining im mehrsprachigen Umfeld that was piloted by the Language Centre in 2012. The target languages are two of the Swiss national languages, namely French and Italian, in addition to English as a lingua franca. German serves as a background language, used for some organisational and administrative purposes. Participants are expected to have a level of at least C1 in at least one of the languages; at least B2 in a second language; and at least A2 in the third. It is assumed that they have sufficient knowledge Some of these views transpire from utterances of German to understand administrative arrangements. about pluri- and multilingualism such as: Amongst other things, the course seeks to: r A8IFOZPVIBWFBOPUIFSMBOHVBHFZPVEPOU r *NNFSTFQBSUJDJQBOUTJOUBTLCBTFEDPNNVOJDBUJPOJONVMUJMJOHVBM simply have the translation – you have another settings commonly found in academic, professional, and societal inculture, other ways of expressing. […] So if I’m teractions learning another language, it’s as if I’m build- r 'VSUIFSFOIBODFUIFWBMVFQBSUJDJQBOUTBTDSJCFUPNVMUJMJOHVBMJTN ing another life.’ by giving them various opportunities to experience successful comr 4QBOJTIJTABMTPWFSZJNQPSUBOUUPNFGPSTFOUJmunicative interaction across languages mental reasons. [… It’s] more about me than a r/VEHFQBSUJDJQBOUTUPTUFQPVUPGUIFJSDPNGPSU[POFTBOEUBLFSJTLT career or profession.’ in languages in which they feel less confident r A*GZPVSFBCMFUPDPNNVOJDBUFJOUIFMBOHVBHF r*NQSPWFUIFGBDJMJUZXJUIXIJDITQFBLFSTDPEFTXJUDIXIFSFQPTTJthat the general public knows, you’re in sync.’ ble and helpful r1SBDUJTFTUJDLJOHUPPOFMBOHVBHFXIFSFUIJTJTOFDFTTBSZ Overall, different parts of the study confirmed that students’ attitudes to the degrees of com- The course is offered by a team of multilingual lecturers. Each lecturpartmentalisation amongst different languages er is responsible for one of the course languages that is also a first lanare a critical issue (Meyer et al., 2012). On the guage for him/her. A script consisting of thematically clustered mulone hand, respondents reported that they per- timedia dossiers focusses on the following topics: Felicità/Happiness; ceive a correlation between language barriers Santé et nutrition/Health and nutrition; Aide humanitaire sans frontières/ and knowledge barriers. Thus in their studies Aiuti umanitari senza frontiere; La visione e la visualizzazione delle idee/ 90 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Vision and the visualisation of ideas; and a simulation of an international EXPO. Each two-hour workshop of the thirteen-hour course includes activities in all three of the target languages, with two of these given priority in each session on a rotation basis.While some tasks train students’ ability to remain in one language, others require that they source materials in several languages, discuss them in two languages and produce written and oral output in two or three languages. In each workshop a brief grammar section introduces the language that would be used for a task-based, often collaboratively produced, written communicative act. For example, in the Felicità/Happiness workshop, following the viewing of a trailer for a documentary on happiness (German/ English) and an interview with an academic who researches happiness (Italian), participants’ use of the grammar of questions in French and Italian is refreshed. Participants are then divided into project groups and given the task of compiling a questionnaire whose aim it is to raise awareness amongst potential interviewees regarding the various dimensions of happiness in their lives and the significance they ascribe to it. In addition to class-time, participants have to submit homework and do self-study as further requirements for receiving credit points. The series of workshops culminates in an EXPO Basilea. During this event, groups of students give an oral presentation in three languages using media and strategies of their choice to support the understanding of an audience with different levels of competence in different languages. In addition, simulating a poster session at a conference, they display and talk to an academic poster they have prepared in two languages. Course evaluation of the first two semesters suggests that the multilingual course setting fosters collaboration among participants and lecturers with divergent levels in different languages, creates cross-lingual awareness, enhances flexilingualism, and is perceived as an invaluable asset in the regular academic course schedule. Final comment Taking the University of Basel as an example, this survey of ongoing interventions and investigations sought to enhance the visibility of a variety of pluri- and multilingualisms at one higher education institution in a multilingual society. The survey also gives a taste of the extent to which students in particular value pluri- and multilingualism. And it gives a flavour of some of the growing active systematic measures that staff, students and Language Centres at higher education institutions take to promote pluri- and multilingualism in individuals, institutions, and society. Foreseen follow-up publications will each focus on a specific part of the investigation. These will provide and discuss additional data, and venture possible explanations for the findings. This initial investigation raises many questions for further inquiry and suggest avenues of possible debate and intervention.This includes issues such as: r 8IBUBSFUIFTUJMMJOTVąDJFOUMZFYamined assumptions and effects pertaining to language associated with the promotion of mobility and the internationalisation of higher education? r 8IBUBSFUIFTQFDJêDDPOUSJCVUJPOT that institutions of higher learning can make in societies which value the promotion of pluri- and multilingualism? Finally, the overview also confirms the contribution that Language Centres at higher education institutions that take their mandate seriously can make as sites of instruction, intervention, and academic inquiry. References Meyer, S., Gekeler, P., Urank, D. (2012). Plurilingualism, multilingualism and internationalisation in the European Higher Education Area: Challenges and perspectives at a Swiss University. Language Learning in Higher Education, 2 (2), 405-425. Morel, E. (2009). Gestion des langues d’une université au cœur de l’Europe dans un contexte en mouvement. Licence Faculté des lettres et sciences humaines Université de Bâle. Schaffner, S. (Hrsg) (2012). Unsere Mehrsprachigkeit: Eine Sammlung von Mehrsprachigkeitsbiografien: Studierende und Mitarbeitende der Universität Zürich und der ETH Zürich erzählen. Zürich: vdf Hochschulverlag. Studer P., Pelli-Ehrensperger A., Kelly P. (2009). Mehrsprachigkeit an universitären Bildungsinstitutionen: Arbeitssprache Englisch im Hochschulfachunterricht. Winterthur: ISBB Working Papers Zürcher Hochschule für Angewandte Wissenschaften. Universität Basel (2011). Studierenden-Ordnung der Universität Basel. www.unibas.ch Veronesi D. & Nickenig C. (2009). Bi- and Multilingual Universities: European Perspectives and Beyond Bolzano. Bolzano: University Press. Stephan Meyer co-ordinates the English programme at the University of Basel Language Centre. Petra Gekeler directs the Language Centre at the University of Basel. Daniela Urank is a co-researcher in the multilingual project team at the University of Basel Language Centre and Lecturer of English. 91 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Bloc Notes L’angolo delle recensioni Basturkmen, H. (2012). Review of research into the correspondence between language teachers’ stated beliefs and practices. System 40(2), pp. 282-295 In this survey article Helen Basturkmen asks the question as to how foreign language teachers’ beliefs are concretized in their teaching practice. The research was carried out because the author had concluded that the outcomes of research in this area are often contradictory. Some studies show a correspondence between beliefs and teaching practices, whereas other studies demonstrate that teacher beliefs do not agree with their teaching practices. It is generally assumed that foreign language teachers’ beliefs impact on their teaching practice (Borg, 2011)1. This has a double effect: beliefs impact on actions and experiences impact on beliefs. However, there are several reasons why beliefs and practices often do not correspond. There are also methodological considerations according to Basturkmen, but they will not be addressed here because they are not unequivocal. Context factors can prevent teachers from putting certain beliefs into practice. A teacher might find it important to use the target language in his/her classroom as the language of communication, but not do this, because it is not common practice in his/her school. Secondly, the teachers’ learning process itself plays an important role. It is possible that teachers’ beliefs do change, but that these changes are not yet visible in their teaching practice. A third factor may be that a teacher may have different conflicting belief systems at the same time. Beliefs on 92 Babylonia 02/13 | babylonia.ch In questa rubrica proponiamo sia recensioni che presentazioni di nuovi libri. Queste ultime sono contraddistinte da un asterisco. the use of the target language may conflict with beliefs about how students learn. For her survey article Basturkmen restricted her research to studies that appeared between 2000 and 2008. The studies had to include the term beliefs and be aimed at beliefs teachers are able to formulate explicitly, so-called stated beliefs. At the same time she wished to find out in how far beliefs corresponded to, respectively differed from classroom practices. This resulted in seventeen studies, six of which showed clear correspondences between beliefs and practices and eleven with only a partial correspondence. The studies show that the following factors play a significant role when certain beliefs are put into practice or are not implemented: context, the teacher’s experience and lesson planning. The context can prevent a teacher from putting his/her ideas into practice. It may be related to the school culture, the demands of the curriculum and the role of colleagues. Basturkmen points out that, in some cases, context factors are also used as an excuse for not putting certain beliefs into practice. The studies that showed a correspondence between beliefs and teaching practices attributed this to the teacher’s experience and/or his/her lesson planning. Exper ienced teachers showed a higher degree of correspondence between beliefs and teaching practice than less experienced teachers. Basturkmen gives two explanations for this phenomenon: firstly, beliefs that a teacher has held for a longer period of time are more likely to be put into practice than more recent beliefs. The beliefs of beginning teachers are of more recent date. Secondly, experience is likely to impact on beliefs. Beliefs that are formed by experience during teaching practice will, for obvious reasons, correspond with teaching practice. Beginning teachers have less experience and therefore, fewer beliefs based on experience. When lessons were planned, there was a higher correspondence between beliefs and practices, for instance when selecting a specific type of instruction, designing tasks or choosing assignments for the students. A few studies looked into unplanned events during the lesson, such as giving grammatical feedback. These studies showed that with experienced teachers, beliefs and practices corresponded, whereas this was not the case with beginning teachers. The survey article concerns a limited number of studies, the majority of which shows a limited correspondence between beliefs and practices. It is hard to draw clear conclusions on the basis of these studies. A possible conclusion is that explicit beliefs may have an impact on certain planned activity in teaching practice and that these may be useful points of departure for initial and in-service teacher education. Borg, S. (2011). The impact of in-service education on language teachers’ beliefs. System 39 (3), pp. 370-380. 1 Machteld Moonen This review was originally published in Levende Talen Tijdschrift Dertiende Jaargang, nummer 4, december 2012 and translated into English with permission from the author. Wolfgang Hallet, Frank G. Königs (Hsg.) (2013). Handbuch Bilingualer Unterricht – Content and Language Integrated Learning. Seelze: KlettKallmeyer/Friedrich-Verlag. Dem Klappentext ist zu entnehmen, dass das vorliegende Handbuch zum ersten Mal umfassend über die besondere Didaktik und Methodik des bilingualen Unterrichtes und über die im deutschen Schulsystem üblichen Organisationsstrukturen informiert. Der Anspruch, das erste Handbuch zu diesem Thema verfasst zu haben, soll den Herausgebern keineswegs streitig gemacht werden; was jedoch das Umfassende betrifft, habe ich jedoch Zweifel, die ich im weiteren Verlauf dieser Besprechung begründen werde. Dennoch soll an dieser Stelle bereits lobend erwähnt werden, dass es Hallet und Königs mit dieser Publikation durchaus gelungen ist, die Diskussion um das so genannte Content and Language Integrated Learning zu fördern und voranzutreiben. Die unterschiedlichen Beiträge zu den einzelnen Kapiteln des Buches – Entstehung und Grundlegung, Organisationsformen und Modelle, Integration von inhaltlichem und sprachlichem Lernen, Unterrichtsprozesse, Methodik und Didaktiken und Methodiken bilingualer Fächer – ermöglichen dem interessierten Leser einen vielseitigen Einblick in den gegenwärtigen Stand des bilingualen Lernens. Schade ist nur, dass sich die Mehrzahl der enthaltenen Aufsätze vorrangig auf den bilingualen Fremdsprachenunterricht in der Bundesrepublik Deutschland bezieht, der Deutsch-als-Fremdsprache- bzw. als Zweitspracheunterricht jedoch nur ansatzweise einbezogen wird. Die Historie des bilingualen Unterrichts in der BRD wird anschaulich, umfassend und von daher gut nachvollziehbar aufgearbeitet. Wenn jedoch – wie im Beitrag von Dieter Wolff – CLIL als europäisches Konzept in den Fokus der Betrachtungen gerückt wird, ist es eigentlich unverständlich, dass die Untersuchungen und Ergebnisse von Kim Haataja zu diesem Thema, die bereits 2008 und 2009 publiziert wurden, keineswegs einbezogen werden1. Damit wird die Chance versäumt, Aspekte des bilingualen DaF-Unterrichts im (außer) europäischen Raum miteinzubeziehen. Es soll nicht bestritten werden, dass es den Autoren im ersten Kapitel z.B. gelingt, die bildungstheoretischen Grundlagen, die Entwicklungstendenzen und Desiderata sowie die Sprachenpolitik zu veranschaulichen, dennoch fehlen hier wertvolle Hinweise zu DaF/DaZ. Dieses Problem wird im zweiten Kapitel teilweise gelöst, denn zu den Modellen des bilingualen Sachfachunterrichts trägt Josef Leisen mit seinem Beitrag Deutschsprachiger Fachunterricht an Auslandsschulen bei. In bewährter Manier, die er schon in seinen Handbüchern und in zahlreichen anderen Veröffentlichungen unter Beweis gestellt hat, gelingt es Leisen, das Thema sehr präzise, knapp und dennoch äußerst informativ darzustellen. Sprachlich ist sein Beitrag so gehalten, dass er auch von ausländischen (Deutschund Fach-)Lehrerinnen und Lehrern mühelos rezipiert werden kann. Es ist begrüßenswert, dass der Bogen der Modelle bilingualen Unterrichts im zweiten Kapitel ausgehend vom Kindergarten über Ansätze in den Primarund weiterführenden Schulen schließlich bis hin zur Lehrerausbildung, zu diversen Abschlüssen und zu fremdsprachigen Studiengängen geschlagen wird. In dem Beitrag Bilingualer Unterricht an berufsbildenden Schulen von Karin Vogt wäre meines Erachtens jedoch die Berücksichtigung der Publikation zu Sprachtraining und Beruf eines Autorenteams um Hermann Funk sinnvoll gewesen, da diese überzeugend nachweist, wie sich die Ziele des CLIL-Unterrichts im inländischen DaZ-Unterricht (und auf den ausländischen DaF-Unterricht) übertragen lassen 2. Besonders lesenswert im Kapitel Integration von inhaltlichem und sprachlichem Lernen sind die Beiträge von Helmut Johannes Vollmer, Christiane DaltonPuffer und Josef Leisen. Vollmer zeigt in seinem Beitrag zum Verhältnis von Sprach- und Inhaltslernen deutlich auf, dass im bilingualen Unterricht die Erlernung der Fremdsprache nicht zu Lasten des Erwerbs von Sachfachwissen erfolgen kann und darf. Vielmehr spricht er sich für ein ausgewogenes Verhältnis von Fach- und Sprachlernen aus, bei dem der Erwerb der Fachsprache als funktional notwendig erachtet wird, aber keineswegs der Unterricht zum Fremdsprachenunterricht umfunktioniert werden darf. DaltonPuffer hebt die besondere Bedeutung der Diskursfunktion des bilingualen Unterrichts hervor, die Schüler erwerben müssen, um sowohl ihre gegenwärtigen als auch zukünftige berufliche Kenntnisse und Kompetenzen im Austausch anwenden zu können. Leisen zeigt in seinem Aufsatz 93 Babylonia 02/13 | babylonia.ch auf, wie wichtig es ist, Darstellungsund Symbolisierungsformen im Bilingualen Unterricht zur Unterstützung der Arbeit im Sinne eines Scaffolding zu verwenden. Dem wichtigen Aspekt der Verwendung geeigneter Lehrwerke für den bilingualen Fremdsprachenunterricht widmet sich Corinna Böwing im Kapitel Unterrichtsprozesse. Dabei bezieht sie sich jedoch weitgehend auf das Fach Englisch, das einige Verlage bereits entsprechend bedienen. Im Fach DaF, das keine Erwähnung findet, sieht es dagegen jedoch schon anders aus, denn hier fehlen die benötigten Materialien in der Regel.Von daher kommt dem Beitrag Aufgaben- und Materialentwicklung von Hallet besondere Bedeutung zu, denn häufig sind Lehrerinnen und Lehrer auf die Adaption vorhandener (muttersprachlicher) Materialien angewiesen. Hier ist es von besonderer Wichtigkeit, motivierende Aufgaben zu finden, die den Schülern die sachfachliche Auseinandersetzung erleichtern. Erwartungsgemäß sind die Beiträge von Eike Thürmann zu Spezifische Methoden für den bilingualen Unterricht und Scaffolding im Fünften Kapitel Methodik aus meiner Sicht besonders lesenswert. In beiden Artikeln wird deutlich, dass der Verfasser sich der Wechselwirkung zwischen Theorie und Praxis bewusst ist und diese in beiden Beiträgen reflektiert. Hier lassen sich wertvolle Hinweise für die Gestaltung des eigenen Unterrichts finden. Die Beispiele zu Didaktiken und Methodiken bilingualer Fächer (Kapitel VI) 94 Babylonia 02/13 | babylonia.ch sind hilfreich, denn hier berichten die Beiträgerinnen und Beiträger unter anderem konkret über die Gestaltung des Kunst-/Musik-/Physik-(Leisen!), Chemie und Geschichtsunterrichts. Schade ist, dass auch hier die Chance der Berücksichtigung von bereits vorhandenen Publikationen im DaF-Bereich nicht wahrgenommen wurde, inzwischen liegen z.B. zu den Fächern Musik und Kunst entsprechende Veröffentlichungen vor 3. Zusammenfassend kann bestätigt werden, dass die Veröffentlichung dieser Anthologie sicherlich ein Schritt in die richtige Richtung ist, denn die zunehmende Einrichtung bilingualer Programme im inner-, aber auch im außereuropäischen Raum bedarf dringend einer theoretisch-praktischen Begleitung, wie sie in diesem Kompendium angelegt ist. Das Handbuch erfüllt seinen Zweck, denn es kann Fachkonferenzen und interessierten Lehrerinnen und Lehrern Hilfestellung bei der Etablierung bilingualer Unterrichtsformen leisten. Wünschenswert wäre, dass auch die Bereiche des DaF-/DaZ- und DFU-Unterrichts stärker in die Diskussion einbezogen würden. Hier ist ein Desiderat erkennbar. Weiterhin wäre es denkbar, dass Beiträge zu einem fächerübergreifenden Fremdsprachenunterricht, dem eine Art Brückenfunktion bei der Etablierung bilingualer Unterrichtsformen eingeräumt werden müsste, ebenfalls einbezogen werden. Damit könnten die Fremdsprachenlehrer für die Integrierung von Sach- und Fachthemen in den Sprachunterricht, ebenso wie für die Kooperation mit Fachlehrern, gewonnen werden. Dies erscheint in Anbetracht der Tatsache sinnvoll, dass die Lehreraus- und Weiterbildung im Bereich DaF den Anforderungen des CLILiG-Unterrichts immer noch sehr stark hinterherhinkt. Für die Verwendung in Zusammenhängen des Auslandsschulwesens sind die Beiträge Deutschsprachiger Fachunterricht an Auslandsschulen (Leisen), Das Verhältnis von Sprach- und Inhaltslernen (Vollmer). Aufgaben- und Materialentwicklung (Hallet), Spezifische Methoden für den Bilingualen Unterricht und Scaffolding (Thürmann) besonders interessant, denn es wäre vorstellbar, dass die Lektüre dieser Beiträge z.B. die Arbeit in den Vorbereitungslehrgängen der ZfA erheblich entlasten könnte. Haataja, Kim (Hsg.).(2008). Curriculum Linguae 2007, Tampere: Juvenes Print. Sowie: Haataja, Kim & Wicke, Rainer-E. (Hsg.) (2009). Zweiklang im Einklang – Integriertes Sprachen- und Fachlernen (CLIL), Fremdsprache Deutsch, 40, München: HueberVerlag. 2 Ohm, U., Kuhn, C. & Funk, H.(2007). Sprachtraining für Fachunterricht und Beruf. Berlin: Waxmann. 3 Baur, Rupprecht S., Hufeisen, B.(2011). „Vieles ist sehr ähnlich“, Individuelle und gesellschaftliche Mehrsprachigkeit als bildungspolitische Aufgabe. Schneider-Verlag Hohengehren, Baltmannsweiler. Sowie: Wicke, R.E.(2000). Grenzüberschreitungen. München: iudiciumVerlag. 1 Rainer E. Wicke Rösler, D., O`Sullivan, E. (2013). Kinder- und Jugendliteratur im Fremdsprachenunterricht, Stauffenburg Einführungen, Band 23.Tübingen: Brigitte Narr-Verlag. Ein wichtiger, aber ergänzungsbedürftiger Ratgeber Bedenkt man, dass Bernd Kasts Klassiker Jugendliteratur im kommunikativen Deutschunterricht bereits 1985 veröffentlicht wurde, so wird deutlich, dass diese aktuelle Publikation einen wichtigen Stellenwert in der Diskussion um den Einsatz literarischer Texte im Fremdsprachenunterricht einnimmt. Es war an der Zeit, dass viele der von Kast aufgeworfenen Themen und Fragen (trotz der Tatsache, dass sein Buch in mancher Hinsicht immer noch relevant ist) Im Hinblick auf den PISASchock und den daraus resultierenden kompetenzorientierten Ansatz im Fremdsprachenunterricht erneut diskutiert werden. Den Anspruch, an Beispielen des Deutschen, Englischen und Französischen als Fremdsprache aufzuzeigen, wie die Textrezeption – und –produktion, Fremdverstehen und selbstbestimmtes Lernen gefördert werden können, lösen die beiden Autoren weitgehend ein, allerdings sind die Ausführungen im Hinblick auf den fremdsprachigen Deutschunterricht (DaF) teilweise ergänzungsbedürftig, wie im Folgenden aufgezeigt werden wird. Positiv ist an dieser Stelle bereits hervorzuheben, dass es den beiden Verfassern gelungen ist, die Thematik für in der Praxis tätige Deutsch-als-Fremdsprachelehrerinnen und –lehrer anschaulich, nachvollziehbar und vor allen Dingen auch konkret und praktisch orientiert zu präsentieren. Zwar wurden viele der zitierten Beispiele dem modernen Fremdsprachenunterricht Englisch und Französisch entnommen, dennoch sind diese so gehalten, dass der Transfer auf den DaF-Unterricht durchaus erkennbar ist. Dazu trägt auch die klare und verständliche Sprache bei, in der das Buches verfasst wurde. Diese erleichtert ausländischen Deutschlehrerinnen und –lehrern die Lektüre. Bei der Betrachtung des Inhaltsverzeichnisses wird die Strukturierung, nach der die Autoren vorgegangen sind ersichtlich. Ausgehend von allgemeinen Bemerkungen zum Lesen in der Fremdsprache und den Auswirkungen von PISA führen die Verfasser den Leser über die Definition von Kinder- und Jugendliteratur zu Fragen wie Warum überhaupt Literatur? Und welche Texte, Original oder didaktische Adaption? Und Ganzschrift oder Textarbeit mit Ausschnitten? Weiterhin werden das Alter der Lernenden, hybride Texte im Fremdsprachenunterricht und methodische Überlegungen ebenso berücksichtigt, wie die zu erwerbenden Fertigkeiten. Auch die Themen Landeskunde und Literatur und der Stellenwert literarischer Texte im Projekt- sowie im fächerübergreifenden Unterricht werden nicht ausgespart. Hier wird bereits erkenntlich, dass die vorliegende Publikation den DaF-Fachschaften an den von der Bundesrepublik geförderten (Deutschen) Schulen bei ihren Bemühungen um Berücksichtigung literarischer Texte wichtige Argumentationshilfen liefern kann. Von daher kann die Anschaffung dieses praktischen Ratgebers empfohlen werden. Wenden wir uns nun den einzelnen Kapiteln zu. Den Ausführungen in den ersten beiden Kapiteln Lesen und Kinder- und Jugendliteratur kann man voll und ganz zustimmen, denn hier wird die Notwendigkeit der Beschäftigung mit literarischen Texten nach PISA nachvollziehbar begründet. Die Definitionen von Kinder- und Jugendliteratur sind ebenso hilfreich, wie die - keinen Anspruch auf Vollständigkeit erhebenden – Auflistungen von Büchern, Fachzeitschriften und Institutionen zum Thema. Ergänzungsbedürftig im Hinblick auf den fremdsprachigen Deutschunterricht sind meines Erachtens die Ausführungen zum Thema Warum überhaupt Literatur? Hier werden zwar alle notwendigen Fragen diskutiert, jedoch fehlen in der Diskussion einige Beiträge unterschiedlicher Autoren, deren Einbezug sich aus Gründen der Aktualität empfohlen hätte. Dazu gehören zum Einen Hans Hunfelds Prinzip der doppelten Fremdheit fremdsprachiger literarischer Texte ebenso wie seine Einstufung der Literatur als Sprachlehre1. Auch Cigdem Ünals Forschungsergebnisse wären es wert gewesen, in diesem Zusammenhang erwähnt zu werden, da sie sich – analog zu den Verfassern der vorliegenden Publikation – mit Fragen des Stellenwerts entsprechender Texte im schulischen Unterricht befasst hat 2. Die 2004 erschienene Veröffentlichung Aktiv und Kreativ Lernen veranschaulicht auch den Einsatz von Kinder- und Jugendliteratur (KJL) im DaF-Unterricht, wird jedoch ebenfalls nicht erwähnt 3. Mit Hilfe dieser Quellen hätten die Ausführungen zur Altersangemessenheit literarischer Texte, zu deren Brückenfunktion und die Kriterien zur Auswahl noch deutlicher auf den DaF-Bereich abgestimmt werden können. Wie gut überlegt Adaptionen von Texten vorgenommen werden müssen, wird im vierten Kapitel deut- 95 Babylonia 02/13 | babylonia.ch lich. Hier muss reflektiert werden, ob die Annäherung des Textes an den Leser oder dessen Annäherung an den Text vorzuziehen ist. Auch die im fünften Kapitel enthaltene Diskussion, ab wann und ob man Ganzschriften und/oder Textausschnitte einsetzen kann und soll, halte ich für wertvoll und informativ. Die Beispiele aus Koppensteiner 20014 sind nachvollziehbar, allerdings wirft sich hier erneut die Frage auf, – genau wie im später folgenden Kapitel zu Projekten –warum keine neueren Beispiele im DaF-Bereich zitiert werden, die gerade diese Dinge belegen. Den Ausführungen im sechsten Kapitel zum Alter der Lernenden und der Adressierung der Texte kann ebenso zugestimmt werden, wie denen im siebten Kapitel, in dem es um so genannte hybride Texte im Fremdsprachenunterricht geht. Erfreulicherweise belegen die Autoren, dass Bilderbücher nach dem Prinzip „Literatur gehört auch in den Anfangsunterricht“ die Möglichkeit bieten, den frühen Fremdsprachenunterricht in der Grundschule zu fördern, dass deren Einsatz aber auch in anderen Zusammenhängen möglich ist. Auch die Ausführungen zum Einsatz zweisprachiger Texte teile ich weitgehend, melde aber Bedenken an gegen die von den Verfassern propagierte Verwendung von „genuinen zweisprachigen Texten, in denen die Zweisprachigkeit aus der Handlung, der Charakterisierung usw. stimmig hervorgeht“. Das Code-Switching vom Englischen ins Deutsche und zurück innerhalb eines Textes, auch wenn dieser sich offensichtlich mit einem Schüleraustausch befasst, erscheint mir doch arg künstlich und wenig realitätsgetreu. Die Ausführungen des achten Kapitels zu methodischen Überlegungen sind hilfreich für die Gestaltung der Praxis, die zitierten Schülerarbeiten überzeugend. Hier 96 Babylonia 02/13 | babylonia.ch können Hilfen für die Gestaltung des eigenen Unterrichts ebenso wie im neunten Kapitel, in dem es um Fertigkeiten geht, entnommen werden. Die Hinweise zu Aufgaben und Übungen vor dem, während des und nach dem Lesen(s) literarischer Texte, die zugestandenermaßen keinen Anspruch auf Vollständigkeit erheben, hätten im Sinne einer notwendigen Binnendifferenzierung etwas ausführlicher ausfallen können. Gerade im Anfangsunterricht wird es z.B. notwendig sein, auch beim Einsatz von KJL verstärkt Verständnisaufgaben anzubieten. Für besonders wichtig halte ich das zehnte Kapitel, in dem es um Landeskunde und Literatur geht. Positiv hervorzuheben ist, dass in diesem Zusammenhang auch Lothar Bredella zitiert wird, der sich ausführlich mit diesem Thema auseinandergesetzt hat. Allerdings wird seine 2010 erschienene Publikation Das Verstehen des Anderen, in dem er dieses Thema ausführlich und umfassend beleuchtet, nicht erwähnt5.Wichtig ist auch das elfte Kapitel, in dem die Verfasser den projektorientierten Literaturunterricht konkretisieren und auch Möglichkeiten des fächerübergreifenden Unterrichts erwähnen. Wenn in diesem Zusammenhang das Content and Language Integrated Learning (CLIL) Erwähnung findet, fehlt hier ein Bezug zur Arbeit von Haataja im Bereich DaF, der unter anderem auch dessen Einsatz im frühen Fremdsprachenunterricht favorisiert6. Das zwölfte und letzte Kapitel befasst sich mit dem Aspekt der Kinder- und Jugendliteratur in der Lehrerbildung, einem Thema, das für den Einsatz literarischer Texte sicherlich nicht unerheblich ist und das immer wieder Erwähnung finden muss, wenn die literarische Kompetenz der Schüler von Anfang an gefördert werden soll.Trotz der in dieser Besprechung erwähnten Defizite im Hinblick auf aktuellere Veröffentlichungen im DaF - Bereich handelt es sich bei diesem Buch um einen wichtigen und wertvollen Beitrag zur gegenwärtigen Diskussion um den Stellenwert literarischer Texte im kompetenzorientierten Fremdsprachenunterricht. Die Publikation kann sowohl zur Erstellung eines Gesamtsprachencurriculums als auch zur Konzeption fachbezogener schulinterner Arbeitspläne den Fachschaften wichtige Hilfestellung leisten. Fremdsprachenlehrer können es auch als einen praktischen Ratgeber bei der Konzeption des eigenen Unterrichts einsetzen. Dabei ist die Lektüre von Anfang bis Ende nicht unbedingt obligatorisch, obwohl ich zu dieser raten möchte. Es ist auch durchaus denkbar, dass einzelne Kapitel – je nach Bedarf – zu Rate gezogen werden. Für professionelle Lerngemeinschaften mit dem Ziel der gemeinsamen Unterrichtsentwicklung kann es ebenfalls Hilfestellung leisten. Hunfeld, H.(2004). Fremdheit als Lernimpuls. Meran: alpha beta Verlag. 2 Ünal, C.D.(2010). Die Arbeit mit Literatur im Fach Deutsch als Fremdsprache – Neue Ansätze mit Unterrichtsentwürfen. Ankara: Hacettepe-Üniversitesi. 3 Wicke, R.-E. (2004). Aktiv und Kreativ Lernen. Ismaning: Hueber. 4 Koppensteiner, J. (2001). Literatur im DaF-Unterricht. Wien: öbv. 5 Bredella, L. (2010). Das Verstehen des Anderen. Tübingen: Narr-Verlag. 6 Haataj, K.(2007). Der Ansatz des integrierten Sprach- und Fachlernens (CLIL) und die Förderung des schulischen „Mehrsprachenerwerbs“. In: Goethe-Inst. (Hsg.) Frühes Deutsch, Bielefeld. 1 Rainer E. Wicke Viridiana, M. & Wirthner, M. (2013). Développement d’un modèle d’évaluation adapté au PER. Rapport scientifique du projet d’épreuves romandes communes. Neuchâtel: IRDP. En 2007, la Conférence intercantonale de l’instruction publique de la Suisse romande et du Tessin (CIIP) attribue un mandat à l’Institut de recherche et de documentation pédagogique (IRDP) pour planifier des épreuves romandes en référence au Plan d’études romand (PER), en français et mathématiques. Un modèle d’évaluation commun a été élaboré pour créer des épreuves communes, soumises à environ 120 élèves de plusieurs cantons. Le PER étant un curriculum envisageant le développement de compétences pour tous les élèves dans différents domaines et définissant la compétence comme «la possibilité, pour un individu, de mobiliser un ensemble intégré de ressources en vue d’exercer efficacement une activité considérée généralement comme complexe» (PER), M. Viridiana et M. Wirthner ont conçu – en groupes de travail – un modèle d’évaluation structuré en deux phases: la première est constituée de tâches spécifiques permettant de vérifier un ensemble de connaissances et de procédures; la seconde est constituée de tâches complexes permettant d’analyser comment les apprenants utilisent cet ensemble de connaissances et de procédures dans une situation donnée. Les épreuves concernaient les deux phases de ce modèle. Dans ce rapport, on présente tout d’abord les situations cantonales en matière d’évaluation ainsi que le cadre du mandat. Les auteurs se penchent ensuite sur des éléments théoriques permettant d’étayer les choix effectués dans leurs développements ainsi que sur le modèle d’évaluation élaboré. Enfin, ce livre décrit une épreuve-prototype diagnostique (en mathématiques et en français) permettant une première mise à l’essai du modèle d’évaluation proposé. D’après les auteurs, ce modèle rendrait possible l’évaluation des compétences des élèves en référence au PER et, de plus, il pourrait valoir pour toutes les disciplines.Toutefois, il ne faut pas oublier qu’une uniformisation générale des épreuves devrait quand même permettre de sauvegarder une certaine autonomie du point de vue des contenus ainsi que des méthodes propres à chaque enseignant. Il ne reste qu’à souligner ce point central: lorsque les enseignants réfléchissent à leur enseignement, on peut parler de développement de l’enseignement. Donato Sperduto * Sperduto, D. (2013). Armonie lontane. Ariosto, Croce, D’Annunzio, Pavese, Carlo Levi e Scotellaro. Roma: Aracne. La luce che questo libro intende fare sugli scrittori italiani presi in considerazione dovrebbe indurre i critici letterari a “superare” finalmente (come fece Benedetto Croce con Ludovico Ariosto) obsoleti pregiudizi e schemi interpretativi impedenti una fruizione sufficientemente approfondita e completa delle tematiche care a Gabriele d’Annunzio, Cesare Pavese, Carlo Levi e Rocco Scotellaro: ad esempio la discesa agli Inferi, il mondo dei Padri, il confino, la lontananza. In tal modo, se ne coglierebbe l’unità nella diversità: pur nella lontananza dei rispettivi intenti, negli autori analizzati trapela un forte anelito verso l’armonia. Inoltre, questo libro mette l’accento sull’ultimo e molto importante scritto di Levi: Quaderno a cancelli. Da segnalare, in particolare il confronto attuato da Sperduto tra i romanzi del confino di Pavese e Levi: rispettivamente Il carcere e Cristo si è fermato a Eboli. Il differente modus vivendi dei protagonisti del Carcere e del Cristo riflette lo stesso differente modus vivendi degli autori dei due romanzi, del loro essere al mondo. A Brancaleone Calabro (e per certi versi non soltanto lì), Pavese si sente un pesce fuor d’acqua. Ma mentre col suo libro Levi intende favorire lo sviluppo del Sud, Pavese è concentrato su se stesso e sull’inutilità della vita. Levi si immerge attivamente nel “pantano” lucano. Ne deriva che l’olimpico Levi si oppone all’amareggiato e sofferente Pavese. Pertanto, nel caso del Carcere, l’ultima cosa che ci si può aspettare è una sorta di inno alla libertà ed allo sviluppo del Sud. Ma, sottolinea Donato Sperduto, se la si smette di limitarsi ad accentuare la sola dimensione antropologica del Carcere e soprattutto del Cristo – trascurandone la portata letteraria –, si deve rilevare che entrambi i romanzi sono il risultato dell’anima libera di un prigioniero. 97 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Bloc Notes Informazioni Lo scambio come progetto pedagogico Congresso nazionale sullo scambio 2013 • 14 - 15 novembre 2013, Coira Il Congresso nazionale sullo scambio è la piattaforma di formazione continua e d’informazione per le questioni relative agli scambi. Esso si rivolge alle direzioni scolastiche e agli insegnanti che consentono ai propri allievi di partecipare a un progetto di scambio e desiderano pianificarlo e prepararlo nell’ambito di questo incontro. Il Congresso, giunto al suo sesto appuntamento, funge innanzitutto da tramite per l’individuazione di partenariati nazionali ed europei e, inoltre, mira a sviluppare le idee di progetto dei contatti già esistenti. Nell’occasione vengono presentati esempi di progetti di successo e proposte di soluzioni a eventuali impedimenti. Alla vigilia di questo appuntamento, la Fondazione ch è alla ricerca di insegnanti e membri di direzioni scolastiche di tutti i livelli desiderosi di realizzare un progetto di scambio. La Fondazione ch coopera nell’attività d’individuazione di idonei partner di scambio e offre la possibilità di pianificare e preparare il progetto interessato nell’ambito del Congresso sullo scambio. In questo contesto, i responsabili di progetto esperti offrono il proprio supporto in veste di tutor e coach. L’iscrizione è possibile già ora. Per ulteriori informazioni e iscrizioni: Fondazione ch per la collaborazione confederale Tanja Pete, assistente Scambi ch [email protected] www.ch-go.ch/veranstaltungen Colloque annuel de l’APEPS 22-23.11.2013, Université de Neuchâtel L’instrucziun bilingua: la perspectiva da tgi ch’emprenda L’insegnamento bilingue dal punto di vista dello studente L’enseignement bilingue: la perspective des apprenant-e-s Bilingualer Unterricht aus der Perspektive der Lernenden L’Association pour la promotion de l’enseignement plurilingue en Suisse (APEPS), créée en 1994, s’engage pour la promotion, la formation, la recherche et le développement en matière d’enseignement bi-plurilingue et de ses variantes: immersion, modules et séquences dans plusieurs langues, échanges, etc. Elle tient compte des langues nationales, des langues de la migration et de l’anglais, à tous les degrés de la scolarité et de la formation, du préscolaire à la formation continue. Chaque année, un colloque réunit les membres et toutes les personnes et institutions intéressées autour d’un thème spécifique en lien avec la didactique du plurilinguisme. Cette année, ce sont les apprenant-e-s qui sont au centre de l‘intérêt de la rencontre qui a lieu à l’Université de Neuchâtel, du 22 au 23 novembre 2013, le 22 étant essentiellement dédié à des visites de classes pratiquant des formes d’enseignement bilingue et à des échanges entre participant-e-s. À la rentrée 2013, vous trouverez le programme et la fiche d’inscription sous www.plurilingua.ch. Cordiale invitation à toutes les personnes intéressées aux différentes facettes de l’enseignement bilingue! Claudine Brohy, vice-présidente de l’APEPS, Université de Fribourg 98 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Rätoromanisch – 75 Jahre Nationalsprache Tiefgreifende gesellschaftliche und wirtschaftliche Veränderungen im 19. Jahrhundert hatten einen negativen Einfluss auf die rätoromanische Sprache und Kultur. Die Öffnung der Alpen, die Entwicklung des Tourismus, der industrielle Fortschritt und eine stets mobiler werdende Bevölkerung waren die hauptsächlichen Gründe für den einsetzenden Rückgang des Rätoromanischen. Intensive Bestrebungen, die Sprache vor dem Untergang zu bewahren, setzten ein und führten im Jahre 1919 zur Gründung der Lia Rumantscha mit dem Ziel, die zersplitterten regionalen Kräfte zu bündeln und so die Sprache vor weiteren Einbussen zu schützen. Dieser Schritt war laut Gründungsprotokoll gleichzeitig eine „vigurusa slaffada en pel gneff als dus Chirurgs philologics talians, che han gia daditg declarau muribunds nies lungatg romontsch“, eine kräftige Ohrfeige für italienische Sprachforscher im Dienste des Faschismus, die behaupteten, die verschiedenen Ausprägungen des Rätoromanischen seien nichts anderes als italienische Dialekte und das rätoromanische Sprachgebiet gehöre folglich zu Italien. Der Wille, einen weiteren Rückgang der Sprache zu verhindern sowie eine nationale Abwehrhaltung gegen aussen verhalfen dem Rätoromanischen langsam, aber endlich zum Status einer Nationalsprache. Einer umfassenden Eingabe des Pitschen Cussagl grischun an den Bundesrat im Jahre 1935 mit der Bitte „da declarer il rumauntsch sco quarta lingua naziunela“ folgten zwei Jahre später die Debatte in der Bundesversammlung und am 20. Februar 1938 die erfolgreiche Volksabstimmung mit einem überwältigenden Ja-Stimmenanteil von rund 92%, deren Ergebnis in den Worten von Alt-Bundesrat Philipp Etter, dem damaligen Vorsteher des Eidgenössischen Departements des Innern, „die enge Verbundenheit Bündens mit dem Gesamtvaterland kräftigt und nach aussen hin unzweideutig dokumentiert.“ Das Rätoromanische vermochte ein Identitäts- und Gemeinschaftsgefühl zu wecken und trug auf seine Weise zu einer geeinten, viersprachigen Schweiz bei. En nous contactant, vous pourrez inscrire votre événement dans le programme général de la SLFF diffusé à plusieurs milliers d’exemplaires dans toute la Suisse. Le thème de la 19ème édition de la SLFF, «langue en folies» – choisi par le réseau Opale regroupant la France, la Suisse romande, le Québec, la Communauté française de Belgique et l’Organisation Internationale de la Francophonie – propose de bousculer notre vision du français, souvent perçu comme la langue de la raison, de la sagesse et de l’argumentation cartésienne. En 2014, la SLFF prendra le contre-pied de cette image et célébrera la langue française pour sa formidable inventivité et sa capacité à nourrir les imaginations les plus fécondes par des mots et des expressions gorgés de saveurs. Nous espérons que ce thème inspirera nos partenaires et que vous serez nombreux à vous joindre à nous pour préparer cette 19ème édition de la SLFF, où la créativité lexicale et les jeux de mots les plus fous seront à l’honneur. Pour en savoir plus sur la Semaine de la Langue Française et de la Francophonie en Suisse: www.slff.ch Contact à l’Ambassade de France en Suisse: [email protected] Albert Camus: un uomo giusto Incontri e spettacoli per il centenario della nascita di Camus, Bellinzona, novembre 2013 Organizzato da: Città di Bellinzona, AMOPA Ticinese, RSI e Biblioteca Cantonale di Bellinzona. Daniel Telli, Lia Rumantscha Appel à projets pour la «Semaine de la Langue Française et de la Francophonie 2014» La 19ème Semaine de la Langue Française et de la Francophonie (SLFF) aura lieu du 14 au 23 mars 2014 dans toute la Suisse, avec le soutien actif de l’Ambassade de France en Suisse. Cette manifestation est constituée chaque année d’une centaine d’événements francophones organisés par plus de cinquante associations et institutions culturelles sur l’ensemble du territoire helvétique. Nous invitons l’ensemble de nos partenaires linguistiques et culturels à participer à cette Semaine en développant un projet pour fêter la langue française et les cultures francophones. Dal 6 al 26 novembre la Città di Bellinzona ospiterà un ciclo di manifestazioni per ricordare e discutere il filosofo, spiegare l’autore agli studenti, conoscere l’uomo attraverso conferenze, spettacoli e film che illustrano la sua visione della vita, del mondo, dell’Altro. Gli incontri pubblici saranno accompagnati da percorsi e ateliers per gli studenti, da una formazione per docenti e da una mostra didattica alla Biblioteca Cantonale. Cinque trasmissioni culturali realizzate dalla Rete2 della RSI andranno in onda dal 4 al 9 novembre. Informazioni e programma: http://www.sbt.ti.ch/bcb/home/manifestazioni/ 99 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Determinanten von Leseaktivitäten und Leseverständnis In der einschlägigen Literatur werden zahlreiche Determinanten von Leseaktivitäten und Leseverständnis beschrieben, jedoch mangelt es eher an Untersuchungen zur Kombination der verschiedenen Wirkfaktoren. Um das komplexe Bedingungsgefüge von Lesekompetenz bei Erwachsenen und Kindern genauer zu untersuchen, hat Eva Bonerad in ihrer Dissertation drei Studien durchgeführt. Sie hat dazu kausale Modelle entwickelt, welche Effekte von individuellen Faktoren und von Sozialisationsfaktoren integrieren. Anhand von Strukturgleichungsmodellen hat sie in der Folge die Gültigkeit dieser Modelle überprüft. Ihre Ergebnisse zeigen sowohl für Erwachsene wie auch für Kinder einen beträchtlichen Einfluss der freiwilligen Leseaktivitäten auf das Leseverständnis. Dergleichen Aktivitäten werden stark beeinflusst von der intrinsischen Lesemotivation, die wiederum von einem positiven Leseselbstkonzept begünstigt wird. Dieses wie auch Lesemotivation und freiwillige Leseaktivitäten scheinen unabhängig von der Intelligenz zu sein. Bei Erwachsenen gehen mit steigender Ausbildung ein besseres Leseselbstkonzept und ein höherer Berufsstatus einher, die wiederum häufigere Lese- und Schreibaktivitäten in Arbeit und Freizeit zur Folge haben und das Leseverständnis begünstigen. All das wirkt sich auch positiv auf die Förderung ihrer Kinder aus, wiederum unabhängig von deren Intelligenz. Schon in der frühen Kindheit werden so Unterschiede in der Lesekompetenz angelegt, die sich im Lauf des Lebens vergrössern und von Generation zu Generation weitergegeben werden. Die Autorin zeigt auch Wirkungswege auf, aus denen Ansätze für Fördermassnahmen abgeleitet werden können. Bonerad, Eva-Maria (2012). Einflussfaktoren von Leseaktivitäten und Leseverständnis: Kausale Modelle für Erwachsene und Kinder. Diss. Universität Zürich, 166 S. Kurse zu Kinderliteratur und literaler Förderung Das Schweizerische Institut für Kinder- und Jugendmedien SIKJM bietet 2013 verschiedene Weiterbildungskurse zu Kinder- und Jugendliteratur und zu literaler Förderung an. Sie richten sich an Lehrpersonen aller Stufen, Bibliotheksmitarbeitende und andere Interessierte. Ein Teil der Kurse widmet sich verschiedenen Trends und Neuerscheinungen, von Comics über Hörbücher bis zu digitalen Spielen. Andere Kurse behandeln ein spezifisches Thema der literalen Förderung. Sie gehen beispielsweise der Frage nach, wo es geeignete Lektüre für ungeübte Leserinnen und Leser zu finden gibt, wie Jungen zu Lesern werden oder vermitteln Ideen für die Zusammenarbeit von Schulbibliothek und Oberstufe. Einzelne Kursbeschreibungen und ein Anmeldeformular sind auf der Homepage abrufbar: www.sikjm.ch/weiterbildung/kurse/ Nouveau: Bibliographie annuelle de la recherche suisse sur le plurilinguisme La première édition (pour l’année 2011) de la Bibliographie annuelle de la recherche suisse sur le plurilinguisme comprend des articles de revues, chapitres de livres, monographies, volumes collectifs et documents en ligne publiés par des chercheurs et chercheuses d’institutions suisses. La bibliographie recense des publications dans les langues nationales ainsi qu’en anglais. Elle contient également un index des auteurs ainsi qu’un index des matières. Als PDF unter: Lien vers la version électronique: www.edudoc.ch/record/107279 www.centre-plurilinguisme.ch > Centre de documentation 100 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Zugang zum Arbeitsmarkt, Arbeitslosigkeit und Sprachkompetenzen Die geeignete Schulweiterbildung online finden Der Verein bildungsplattformen.ch lanciert anlässlich seines 10 jährigen Jubiläums die neue Plattform schulweiterbildung.ch. Darauf finden sich umfangreiche Informationen zu Veranstaltungen bezüglich Weiter- und Fortbildung sowie zu allgemeinen Dienstleistungsangeboten für Schulen. Das Angebot auf schulweiterbildung.ch richtet sich an Personen aus dem Bildungsbereich, also an Lehrpersonen aller Stufen und Fachbereiche, an Schulleitende, an Schulverwaltungsmitarbeitende oder Schulbehörden. Von Kursen zur Auftrittskompetenz, über Veranstaltungen zur Gewaltprävention bis zu Dienstleistungen wie Schulberatung, Supervision und Coaching findet sich alles, was mit Schulweiterbildung zu tun hat. Die Benutzung der Plattform ist weitgehend kostenlos. Kommerzielle Dienstleitungen sind kostenpflichtig. Das Angebot von schulweiterbildung.ch wird zukünftig laufend ausgebaut und trägt so zum Ziel des Vereins bildungsplattformen.ch bei, Personen aus dem Bildungswesen einen umfassenden Service bieten zu können. bildungsplattformen.ch bietet ein aktuelles und umfassendes Netzwerk unterschiedlicher Internet-Plattformen im Bereich „Schule“ und „Bildung“. Momentan zählen die Plattformen über 85‘500 registrierte Benutzende. Für Fragen stehen zur Verfügung: r%JOBI5SVOJOHFS7FSBOUXPSUMJDIF,PNNVOJLBUJPO 078 768 67 30, [email protected] r3PNBO"SOPME7FSBOUXPSUMJDIFS.BSLFUJOH 078 600 36 30, [email protected] Das vom Bund mandatierte Kompetenzzentrum für Mehrsprachigkeit der Universität und Pädagogischen Hochschule Freiburg i.Ue. (Prof. A. Duchêne) führt zusammen mit der Universität Lausanne (Prof. P. Singy) ein zweijähriges Forschungsprojekt durch zum Thema „Zugang zum Arbeitsmarkt, Arbeitslosigkeit und Sprachkompetenzen“ (2013–2014). Im Zentrum steht die Bedeutung von Sprache, Sprachkompetenzen und Sprachzugehörigkeit im Arbeitsvermittlungsprozess. Das Forschungsteam untersucht, welche sprachbezogenen Konzeptionen und Repräsentationen die institutionellen Diskurse und Praktiken prägen. Zu diesem Zweck analysiert es den Diskurs der mit der Arbeitsvermittlung beauftragten Behörden und ihre Wissensproduktion zum Themenbereich Sprache und Arbeitsmarkt. Zusätzlich werden Arbeitslose und Stellensuchende, die in einem Regionalen Arbeitsvermittlungszentrum (RAV) eingeschrieben sind, bei ihren Beratungsgesprächen und Arbeitsbemühungen begleitet. Die Studie umfasst statistische Meta-Analysen von Arbeitsmarktstatistiken, eine Online-Umfrage in den rund 130 RAV der Schweiz sowie eine ethnografische Forschung in drei RAV. Die forschungsleitenden Hauptfragen lauten: r 8FMDIF3PMMFTQJFMFO4QSBDILPNQFUFO[FOVOETQSBDIMJche Herkunft in den Diskursen und Praktiken der Arbeitsmarktakteure (Behörden, öffentliche Personalberater, Stellensuchende, Arbeitgeber etc.)? r 8FMDIF 4QSBDILPNQFUFO[FO XFSEFO GÛS EFO ;VHBOH zum Arbeitsmarkt geltend gemacht? r .JUXFMDIFO4USBUFHJFOWFSTVDIFOEJFWFSTDIJFEFOFO"Lteure die sprachlichen Ressourcen anzuerkennen und zu unterstützen? Das Projekt will dazu beitragen, bestehende Diskurse zum Zusammenhang zwischen Sprache, Mehrsprachigkeit und beruflicher Integration differenziert zu hinterfragen und neue Forschungshypothesen zu formulieren. Die Resultate sind somit auch für nationale und kantonale Behörden von Interesse, die sich mit Arbeitsvermittlung und arbeitsmarktlichen Massnahmen (AMM) befassen. Renata Coray, Kompetenzzentrum für Mehrsprachigkeit, Freiburg 101 Babylonia 02/13 | babylonia.ch 4th International conference Applied Linguistics and Professional Practice (ALAPP 2014) LEARNING THROUGH AND FOR PROFESSIONAL PRACTICE • University of Geneva, 10-13 September 2014 After Cardiff in 2011, Sydney in 2012 and Kuala Lumpur in 2013, the University of Geneva will host the 4th International conference on Applied Linguistics and Professional Practice. The conference aims to bring together scholars from different disciplinary backgrounds, especially language and communication research, and professional specialities (e.g., healthcare, social care, therapy, law, mediation, management, business, journalism, education). It encourages research and reflection developing interdisciplinarity, methodological diversity, inter-professional collaboration and explores the relations between language use and social practices taking place in institutional and organisational contexts. A special emphasis will be on cross-boundary collaboration and translation of research findings to ensure impact. For this 2014 ALAPP conference, a special attention will be dedicated to the topic of Learning through and for professional practice. Individual papers, posters and thematic symposia can be submitted in English and French through the conference website: http://www.unige.ch/alapp2014 Submission opening: 1st November 2013 • Submission deadline: 31st January 2014 [email protected] Label per progetti innovativi di insegnamento e apprendimento delle lingue Il 30 giugno 2013 è scaduto il termine di iscrizione al primo concorso indetto in Svizzera in vista dell’assegnazione del Label europeo delle lingue. Molti sono i progetti interessanti e originali presentati che verranno ora giudicati da una giuria. I progetti vincitori verranno resi noti sul nostro sito www.ch-go.ch/sprachensiegel il 26 settembre 2013, in occasione della Giornata europea delle lingue. La cerimonia di premiazione si terrà il prossimo novembre a Coira nell’ambito del Congresso nazionale sullo scambio. La scuola o l’istituzione dei progetti vincitori potrà esibire il Label europeo delle lingue. Il progetto vincitore si aggiudica inoltre un premio di 10’000 franchi. I vincitori di ogni paese partecipano automaticamente al concorso per l’attribuzione del label a livello europeo. In Svizzera il concorso per il Label delle lingue è stato indetto dalla Fondazione ch per la collaborazione confederale con il sostegno della Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE). Informazioni: Fondazione ch per la collaborazione confederale www.ch-go.ch/sprachensiegel 102 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Bloc Notes Agenda Octobre 3-4.10.2013 3rd International Conference of Applied Linguistics ‘Languages and People: Space, Time, Identity’ Faculty of Philology Universiteto St. 5 LT-01513 Vilnius Lithuania Information: http://www.lsk.flf.vu.lt/en/department/applied-linguistics/ 10.10.2013 Vortrag Prof. Dr. Ruth Wodak (Universität Wien) Mother-tongue and Fatherland: re/inventing national identities and the homo/femina nationalis Institut für Mehrsprachigkeit, Murtengasse 24, 1700 Freiburg Informationen: http://www.institut-mehrsprachigkeit.ch/de/veranstaltungen1/2013/10.-oktober-2013-vortrag-ruth-wodak 16.10.2013 Vortrag Prof. Dr. Torsten Meireis (Institut für Systematische Theologie, Universität Bern) Bildungsgerechtigkeit Hauptgebäude der Universität Bern, Hochschulstrasse 4, 1. Obergeschoss, Auditorium maximum *OGPSNBUJPOFOIUUQXXXDPMMFHJVNHFOFSBMFVOJCFDIrDH!DHVOJCFDI Novembre 6-26.11.2013 Cycle de conférences pour le centenaire de la naissance d'Albert Camus Bellinzona, Biblioteca Cantonale / RSI Informations et programme: http://www.sbt.ti.ch/bcb/home/manifestazioni/ 7-9.11.2013 2nd Saarbrücken Conference on Foreign Language Teaching Hochschule für Technik und Wirtschaft des Saarlandes, Campus Rotenbühl, Fakultät für Wirtschaftswissenschaften, Waldhausweg 14, 66123 DE – Saarbrücken http://2saarbrueckerfremdsprachentagung.blogspot.tw/search/label/1.1%20Deutsch [email protected] 14-15.11.2013 Austauschkongress 2013 Austausch als pädagogisches Projekt, ch Stiftung für eidgenössische Zusammenarbeit, Chur Informationen: www.ch-go.ch/veranstaltungen 15-17.11.2013 EXPOLINGUA Berlin 2013, 26th International Fair for Languages and Cultures Russisches Haus der Wissenschaft und Kultur, Friedrichstraße 176 – 179, 10117 Berlin-Mitte Informationen: http://www.expolingua.com 21.11.2013 Vortrag Prof. Dr. Anke Lüdeling (Humboldt-Universität, Berlin) Syntaktische Analyse von Lernerdaten Institut für Mehrsprachigkeit, Murtengasse 24, 1700 Freiburg Informationen: http://www.institut-mehrsprachigkeit.ch/de/veranstaltungen1/2013/21.-november2013-vortrag-anke-ledeling Décembre 5-7.12.2013 Conference on E-nnovative Learning: Foreign Language Instructional Technology 29 Kallipoleos Avenue, Nicosia,Cyprus *OGPSNBUJPOIUUQMDXFCVDZBDDZëJUrMDFOUSF!VDZBDDZ 103 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Vorschau 2013-14 | Programmazione 2013-14 3/2013 Nouvelles technologies de la communication pour l’enseignement des langues: écouter, regarder et échanger 1/2014 Je früher desto besser? Frühes Fremdsprachenlernen 2/2014 La leçon de grammaire revisitée Indirizzo Impressum Editore Fondazione Lingue e Culture CP 120, CH-6949 COMANO Babylonia, Stabile Lanzi, via Cantonale CH-6594 Contone Tel.: 0041 91 8401143 - Fax: 0041 91 8401144 E-mail: [email protected] Sito: www.babylonia.ch PCC 69-40263-5 Tiratura | abbonamento Redazione Martina Zimmermann|Institut für Mehrsprachigkeit, Murtengasse 24 1700 Freiburg (coordinazione) Jean-François de Pietro|IRDP Faubourg de l’Hôpital 43, 2002 Neuchâtel Brigitte Gerber|Université Genève, IUFE, 40, Boulevard du Pont d’Arve, 1211 Genève 4 Gianni Ghisla|Idea, via Cantonale 6594 Contone Daniela Kappler|DFA-SUPSI Pza S. Francesco 19, CH-6600 Locarno Giovanni Mascetti|via Pedotti 1 6500 Bellinzona Jeanne Pantet|Via Leoncavallo 2 6833 Vacallo Hannelore Pistorius|ch. Colladon 18 1209 Genève Sonia Rezgui Giebel|PHBern Brückenstrasse 73, 3005 Bern Donato Sperduto|Kantonsschule Sursee, Moosgasse 11, 6210 Sursee Käthi Staufer-Zahner|Stettemerstrasse 40 8207 Schaffhausen Gé Stoks|Idea, via Cantonale, 6594 Contone Daniel Stotz|PHZH - LAB-F050 Lagerstrasse 2, 8090 Zürich Ingo Thonhauser|HEP Vaud, UER didactique des langues et cultures Av. de Cour 25, 1014 Lausanne Mireille Venturelli|via Dogana 8 6500 Bellinzona Werner Carigiet|7164 Dardin (collaboratore di redazione per il romancio) Silvia Serena|Via Paravicini 28 I-21100 Varese (collaboratrice per l’Italia) Segretaria di redazione: Jeanne Pantet Organo d’informazione di: r-&%"'*%4-FLUPSFOVOE-FLUPSJOOFO Deutsch als Fremdsprache in der Schweiz) r"1&14"SCFJUTHFNFJOTDIBGU[VS Förderung des mehrsprachigen Unterrichts in der Schweiz) 104 Babylonia 02/13 | babylonia.ch Tiratura di questo numero 2/13: 1150 copie. Abbonamento annuale: fr. 50.- più costi di spedizione. Studenti: fr. 35.Costo del numero singolo: fr. 20.-. L’abbonamento non disdetto entro un mese prima della fine dell’anno si rinnova automaticamente. Tipografia Tipografia Torriani SA, via Pizzo di Claro 3 CH-6500 Bellinzona E-mail: [email protected] Autori di questo numero Tibor Bauder|ch Stiftung, Dornacherstrasse 28A, 4501 Solothurn, [email protected] Luca Bausch|Via Magrin, 6986 Novaggio [email protected] Bettina Bichsel|SBFI Ressort, Effingerstrasse 27, 3003 Bern [email protected] Elena Boldrini|IUFFP, Via Besso 84 6900 Lugano, [email protected] Damiano Cioldi|Via Balzarino 5 6517 Arbedo, [email protected] Giorgia Franzini|CAM Bellinzona viale Franscini 25, 6500 Bellinzona [email protected] Petra Gekeler|Sprachenzentrum der Universität Basel, Kornhausgasse 2 4051 Basel, [email protected] Gabriele Gendotti|Via Nanzenga 30 6760 Faido, [email protected] Gianni Ghisla|Idea, via Cantonale 6594 Contone, [email protected] François Grin|Université de Genève, FTI, 40, boulevard du Pont-d’Arve 1211 Genève 4, [email protected] Adelheid Joller-Voss|Sonnenbergstrasse 73 8610 Uster, [email protected] Kathrin Jonas Lambert|Hochfeldstrasse 19 3012 Bern, [email protected] Stefano A. Losa|3 rue Cavour 1203 Genève, [email protected] Georges Lüdi|Uni Basel,Stapfelberg 7-99, 4051 Basel, [email protected] Stephan Meyer|Sprachenzentrum der Universität Basel, Kornhausgasse 2 4051 Basel, [email protected] Mary Miltschev|Mittelschul- und Berufsbildungsamt, Ausstellungsstrasse 80, Postfach, 8090 Zürich [email protected] Jeanne Pantet|via Leoncavallo 2 6833 Vacallo, [email protected] Patricia Pullin|HEIG-VD, Centre St Roch, Avenue des Sports 20 1401 Yverdon-les-bains [email protected] Kilian Schreiber|Die Schweizerische Post Viktoriastrasse 21, 3030 Bern [email protected] Leta Semadeni|Pragliver 163, 7543 Lavin [email protected] Donato Sperduto|Kantonsschule Sursee Moosgasse 11, 6210 Sursee, [email protected] Vincenzo Todisco|Pädagogische Fachhochschule GR, Scalärastrasse 17 7000 Chur, [email protected] Daniela Urank|Sprachenzentrum der Universität Basel, Kornhausgasse 2 4051 Basel, [email protected] Mireille Venturelli|via Dogana 8 6500 Bellinzona, [email protected] Immagini La vignetta a p. 2 è di Andreas Lori Optingenstrasse 41, 3013 Bern. Sito: www.babylonia.ch Il sommario del numero, le sintesi di tutti gli articoli e una selezione di articoli sono scaricabili in pdf dal sito internet. Per gli abbonati, tramite il login, è invece disponibile l’intero archivio dei numeri dal 1994. Babylonia per scopi didattici Babylonia può essere richiesto per l’utilizzazione nell’insegnamento al costo di fr. 12.- più spese di spedizione, fino ad un massimo di 15 copie, e fino ad esaurimento. Con il sostegno di rUfficio federale della migrazione r %JQBSUJNFOUP&EVDB[JPOF$VMUVSBF4QPSU del Canton Ticino r6ĀDJP'FEFSBMFEFMMB$VMUVSB r"NCBTTBEFEF'SBODFFO4VJTTF r'POEB[JPOF0FSUMJ A nome della redazione Grazie di cuore! Due anni sono trascorsi da quando, nel 2011, abbiamo festeggiato con un certo orgoglio i 20 anni di Babylonia. Nel no. 3/2011 della rivista sono raccolte le testimonianze di quella per tutti noi arricchente stagione. Tuttavia, in quel numero, più che guardare al passato, si è cercato di tracciare un orizzonte futuro, nella consapevolezza che la squadra redazionale di allora si stava preparando a passare il testimone. In un’epoca di così profonde trasformazioni come la nostra occorrono le idee, il coraggio e l’entusiasmo dei giovani per dare una prospettiva alla rivista e per tenerne alti i valori e gli ideali, soprattutto quelli di una società aperta e tollerante, dove la diversità linguistica e culturale non sia un peso, ma l’essenza della convivenza civile. Abbiamo la fortuna che questo passaggio di consegne si sta attuando nel migliore dei modi: una parte di coloro che hanno segnato le sorti di Babylonia sta rimettendo, nella certezza di aver dato il meglio di sé, il proprio bagaglio di esperienze nelle mani di chi ne edificherà il futuro. Fra costoro che, complice anche l’età, stanno aprendo un nuovo capitolo della propria esistenza c’è Mari Mascetti. A lei, che per quasi vent’anni è stata molto di più di una segretaria di redazione, va un plauso particolare e un riconoscimento di noi tutti, membri della redazione, ma anche dei lettori. Eravamo nel 1996 e avevamo messo in circolazione un urgente messaggio che suonava più o meno così: “Conosci qualcuno che abbia voglia, molto idealismo ed entusiasmo per dedicarsi a Babylonia?” Ed ecco che Mari venne a trovarsi da un giorno all’altro a fare la rivista. Mancava l’esperienza? Ma a questo si può supplire facendola… e questo in condizioni letteralmente babiloniche, almeno per quanto riguarda la logistica, per non parlare delle certezze sul futuro. Il segretariato era per così dire itinerante, non avendo a disposizione un locale stabile e le discussioni sul continuare l’avventura o meno erano all’ordine del giorno. In queste condizioni Mari si è rivelata spesso decisiva, dimostrando tutte le sue qualità… Con tranquillità e pacatezza si è inserita come elemento stabilizzante e rassicurante nell’attività della redazione, spesso frammentata e poco strutturata, in sintonia con i suoi membri sparsi nei quattro angoli della Svizzera. Con i toni a tratti decisi e soprattutto con le sue competenze linguistiche e culturali e con la sua passione per il lavoro ben fatto – magari fino alle due di notte – non solo ha tappato mille buchi, andando ben oltre le mansioni di una segretaria di redazione. La stima di tutti Mari se l’è guadagnata non solo grazie a queste qualità, ma anche in virtù della sua sensibilità estetica, messa alla prova numero per numero e tradottasi, ad esempio con immagini azzeccate, in risposte eleganti e leggere al difficile rapporto tra contenuto e forma. E tutti ora, assieme ad un segno di riconoscenza, le facciamo gli auguri di rito per le tante altre cose che si è messa in mente di fare, magari non dimenticando di dare un’occhiata anche a Babylonia che con particolare cura ha rimesso nelle mani di Jeanne. Come però abbiamo detto, in questo momento di transizione non è solo Mari ad accomiatarsi. La lista dei membri della redazione in ultima pagina si presenta di parecchio rinnovata. Dal prossimo numero non vi appariranno più Giovanni Mascetti, Hannelore Pistorius, Käthi Staufer-Zahner, Mireille Venturelli e Silvia Serena. Alcuni di loro hanno visto nascere e crescere la rivista, altri l’hanno accompagnata per diversi anni. Ognuno ha dato una sua impronta particolare, sempre però con una spontanea condivisione e un orizzonte comune mai venuto meno. Del resto non disperiamo poter contare su di loro per qualche lavoretto di loro gradimento o, magari, di particolare urgenza… A tutti indistintamente va perciò un pensiero di profonda e sentita riconoscenza che esprimiamo a nome dei redattori che restano, del Consiglio di Fondazione della Fondazione Lingue e Culture, editrice della rivista, ma anche dei tanti lettori che hanno apprezzato il loro lavoro. (ggh)