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2 2013
BABYLONIA 2 2013
Sprachenlernen in der Berufsbildung
L’apprentissage des langues dans la formation professionnelle
L’apprendimento delle lingue nella formazione professionale
Emprender linguatgs en la scolaziun professiunala
Fondazione Lingue e Culture
Stiftung Sprachen und Kulturen
Fondation Langues et Cultures
Fundaziun Linguatgs e Culturas
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BABYLONIA
Sprachenlernen in der Berufsbildung
L’apprentissage des langues dans la formation professionnelle
L’apprendimento delle lingue nella formazione professionale
Emprender linguatgs en la scolaziun professiunala
Responsabili di redazione per il tema
Gianni Ghisla & Georges Lüdi
Con contributi di
Tibor Bauder | Solothurn
Luca Bausch | Lugano
Bettina Bichsel | Bern
Elena Boldrini | Lugano
Damiano Cioldi | Trevano
Giorgia Franzini | Bellinzona
Gianni Ghisla | Lugano
François Grin | Genève
Adelheid Joller-Voss | Uster
Kathrin Jonas Lambert | Zollikofen
Stefano Losa | Genève
Georges Lüdi | Basel
Mary Miltschev | Zürich
Patricia Pullin | Yverdon-les-Bains
Kilian Schreiber | Bern
Con un inserto didattico di
Jeanne Pantet & Mireille Venturelli | Bellinzona
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Babylonia
Quadrimestrale plurilingue
edito dalla
Fondazione Lingue e Culture
cp 120, CH-6949 Comano
ISSN 1420-0007
no 2/anno XXI/2013
L’opinione di…
Gabriele Gendotti*
Fondo nazionale svizzero:
inglese, ma non solo…
La ricerca si fonda sulla scienza e questa si produce attraverso la comunicazione. Non si può far finta di non vedere: oggi il mondo scientifico a livello operativo parla oramai quasi esclusivamente inglese. Siamo in presenza di un monolinguismo dominante, già a partire dai corsi di master universitari, che ha il grande pregio di facilitare la
comunicazione della scienza a livello universale. Di questo inglese
quale lingua franca della produzione e della comunicazione scientifica
bisogna prenderne atto come di un dato di fatto di per sé positivo. Ma
il FNS, finanziato sulla scorta di un mandato di prestazione con la
Confederazione, non vuole, e direi anche non può, trascurare la sua
comunicazione anche attraverso le lingue nazionali. Anzitutto nei rapporti istituzionali con la politica o all’interno dei suoi organi e della
sua amministrazione. Ad esempio nel Consiglio di fondazione, con 22
membri che rappresentano le scuole universitarie, le organizzazioni e le accademie scientifiche
di tutto il Paese, ognuno parla la propria lingua e
pertanto le discussioni si fanno prevalentemente
in tedesco e in francese con solo qualche sporadica comparsa della lingua inglese. Proprio per
scongiurare i pericoli, o comunque gli svantaggi,
di una monocultura scientifica con il rischio di
omologazione di un pensiero unico, è importante che il FNS resti anche una palestra di plurilinguismo. Un gruppo di lavoro del FNS composto
da esperti è stato incaricato di preparare un mandato di studio sulle pratiche linguistiche nell’ambito della valutazione dei progetti di ricerca al
cospetto della diversità delle lingue. Questo
mandato si prefigge di valutare “les effets de la
coprésence de plusieurs langues au FNS et à saisir
dans quelle mesure cette coprésence peut être
exploitée comme une ressource à des fins
d’amélioration non sulement des pratiques scientifiques mais également des pratiques d’évaluation de la science”. In altre parole si vogliono
analizzare, sulla scorta di una valutazione scientifica, le procedure attuate dal FNS nell’ambito
dell’utilizzo delle lingue e proporre, se ritenuti
necessari, dei correttivi. Non si tratta di mettere
in contrapposizione un monolinguismo scientifico con pratiche fondate sul plurilinguismo,
quanto di capire come queste possono continuare ad essere complementari e ancora attuali nel
processo di valutazione dei vari progetti di ricerca. I risultati di questo studio saranno pertanto
molto importanti per individuare le pratiche migliori e più efficienti nell’ambito della comunicazione anche quale processo di pubblicazione e
di divulgazione dei risultati della ricerca scientifica a livello nazionale e internazionale.
*Già
Consigliere di Stato del Canton Ticino (2000-2011),
ora presidente del Consiglio di Fondazione del Fondo nazionale svizzero per la ricerca.
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Sommario
Inhalt
Sommaire
Cuntegn
4
Tema
6
Editoriale
Sprachenlernen in der Berufsbildung
L’apprentissage des langues dans la formation professionnelle
L’apprendimento delle lingue nella formazione professionale
Emprender linguatgs en la scolaziun professiunala
Introduzione | Einleitung Gianni Ghisla & Georges Lüdi
10
Englisch als lingua franca und/oder Mehrsprachigkeit? Georges Lüdi
17
Les besoins des entreprises en compétences linguistiques François Grin
23
Mobilität und Sprachen: Eine Patentlösung gibt es nicht Bettina Bichsel
26
Fremdsprachenlandschaft Berufliche Grundbildung: eine Übersicht und ein Beispiel
Gianni Ghisla
29
32
Die Berufsbildung Post öffnet Türen Kilian Schreiber
From curriculum to classroom: designing and delivering courses in workplace communication
Patricia Pullin
37
Berufsbildung: Mehrwert durch Austausch Tibor Bauder
42
Das Interview: P.G. und T.L., zwei moderne Lehrlinge auf Wanderschaft
44
Il plurilinguismo nel calcio come lavoro. Quando fare l’allenatore significa code-switching
Stefano A. Losa
48
Situationsdidaktik im Fremdsprachenunterricht. Ein Plädoyer für eine integrierte Sicht von
Wissen, Können und Reflexion Gianni Ghisla, Luca Bausch & Elena Boldrini
57
Sprachlich bedeutsame Situationen im Beruf Damiano Cioldi & Giorgia Franzini
59
Zweisprachiger Unterricht an Berufsfachschulen? Aber sicher! Mary Miltschev
64
Fachunterricht in der Fremdsprache: Das Beispiel der neuen Grundbildung Koch/Köchin EFZ
Kathrin Jonas Lambert
69
Didaktik des bilingualen Fachunterrichts in der beruflichen Grundbildung
Adelheid Joller-Voss
73
Quand la leçon doit être multilingue: essayer de transformer un problème en chance
Luca Bausch
Il Racconto 78
Finestra I 80
Finestra II 87
Gaudium Leta Semadeni
Valorizzare tutte le lingue nella scuola Vincenzo Todisco
Internationalisation, Mobility and Integration at Higher Education Institutions
Stephan Meyer, Petra Gekeler, Daniela Urank
Bloc Notes 92
98
103
104
L'angolo delle recensioni
Informazioni
Agenda
Programma, autori, impressum
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Editorial
Editoriale
La formazione viene considerata il bene maggiore del
nostro Paese. E della nostra formazione non c’è da lamentarsi, è in buona salute, così come lo è la nostra economia.
Di conseguenza godiamo, a confronto con i molti paesi vicini e lontani subissati dalle crisi, di un benessere notevole.
Questa è però una diagnosi dal valore relativo perché i vantaggi possono decadere velocemente, magari a seguito
dell’insorgere di illusioni o presunzioni. Ecco perché ha ragione chi ammonisce la necessità di cambiamenti e riforme,
onde evitare al nostro Paese brutte sorprese, derivanti dai
mutamenti epocali in atto. Se ciò vale ad esempio per la socialità, non è da meno per la formazione, vincolata com’è a
compiti e responsabilità intergenerazionali. La domanda da
porsi è quindi la seguente: che cosa devono imparare i giovani di oggi per la società di domani? Con quali contenuti
devono confrontarsi, di quali saperi e di quali capacità devono dotarsi, per poter assumere un ruolo attivo, da protagonisti, in una realtà mutevole? Certo, sarebbe troppo bello
poter anticipare le esigenze dei prossimi decenni, eppure
uno sforzo in questa direzione è inevitabile. Ed è proprio
ciò che compete alle riforme dei programmi scolastici, da
qualche anno in atto nel nostro Paese, sullo sfondo di quanto richiesto dalla CF, art. 62, ossia la creazione di una spazio
formativo elvetico. Con il Plan d’études romand (PER), già
in fase di implementazione, la Romandia ha anticipato i
tempi, mentre il Ticino sta lavorando al proprio nuovo Piano di studio. La Svizzera tedesca dal canto suo ha appena
mandato in consultazione il Lehrplan 21, espressione del lavoro congiunto dei cantoni interessati (cfr. www.lehrplan21.ch).
Se le innovazioni scolastiche richiedono un’elevata attenzione critica, ciò vale ancor più per le riforme dei programmi. I programmi sono infatti lo strumento di pilotaggio
della scuola par excellence e perciò particolarmente vulnerabili, ad esempio nei confronti di interessi particolari di
qualsiasi provenienza che cercano di imporre alla scuola visioni e contenuti, oppure nei confronti dei moderni missionari capaci di vedere il futuro solo con gli occhiali della tecnologia, ma anche nei confronti della classe dei pedagogisti
e del suo linguaggio autoreferenziale. Ad ogni buon conto,
sugli aspetti del Lehrplan 21 relativi alle lingue e alle culture
avremo modo ancora di tornare criticamente in uno dei
prossimi numeri.
Infatti, l’edizione attuale è dedicata all’apprendimento delle
lingue nel mondo del lavoro e nella formazione professionale. Gli ultimi anni hanno visto crescere il riconoscimento
dell’importanza del capitale umano e di conseguenza anche
di una buona formazione professionale dei giovani. Di una
tale formazione fanno parte anche competenze comunicative ben sviluppate sia linguisticamente sia culturalmente, e
le questioni che derivano vengono affrontate nei diversi
contributi da tre punti di vista: quello del mondo del lavoro,
quello politico e quello della didattica. Auguriamo ai lettori momenti di riflessione stimolanti. (ggh)
4
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Bildung gilt als das wichtigste Gut unseres Landes. Und
in Sachen Bildung geht es der Schweiz gut, was auch auf
unsere Wirtschaft zutrifft. So dürfen wir uns, verglichen mit
dem von Krisen besonders hart getroffenen Ausland, eines
bemerkenswerten Wohlstandes erfreuen. Nur, diese Diagnose ist zeitabhängig und hat relativen Wert, sodass sich die
erfreuliche Lage schnell ändern oder aber zu Illusionen und
Überheblichkeiten Anlass geben kann. Deshalb haben jene
Recht, die für unser Land Reformen und Anpassungen
verlangen, denn sonst könnten uns die epochalen Umbrüche böse Überraschungen bescheren. Dies gilt etwa für den
Bereich der Sozialwerke, insbesondere aber auch für die
Bildung, die eine wichtige generationsübergreifende Aufgabe darstellt. So lautet die Frage:Was müssen die Jugendlichen von heute für die Gesellschaft von morgen lernen?
Mit welchen Inhalten müssen sie sich auseinandersetzen,
mit welchem Wissen und mit welchen Fähigkeiten müssen
sie ausgerüstet werden, um in einer sich rasant ändernden
Wirklichkeit das Leben aktiv mitgestalten zu können? Natürlich wäre es zu schön, wenn man die Anforderungen der
nächsten Jahrzehnte vorhersehen könnte. Und dennoch
kommt man um einen Effort in diese Richtung nicht herum. Genau darum geht es bei den Lehrplanreformen, die
vor dem Hintergrund des in der BV, Art. 62, verankerten
Auftrags nach Schaffung eines nationalen Bildungsraumes
zur Zeit schweizweit anstehen. Die Romandie hat schon
vorgelegt mit dem Plan d’études romand (PER), der sich in
der Einführungsphase befindet. Das Tessin arbeitet zur Zeit
am neuen Piano di studio, während der Lehrplan 21, das Gemeinschaftswerk der Kantone der deutschen Schweiz, soeben in die Vernehmlassung geschickt wurde (vgl. www.
lehrplan21.ch).
Wenn bei Bildungsreformen generell kritische Aufmerksamkeit vonnöten ist, gilt dies speziell für die Erneuerung von
Lehrplänen, dem Steuerungsinstrument der Schule par excellence, das Bildung und Schule besonders exponiert: Etwa
gegenüber denVertreterInnen von partikularen Interessen aller Couleurs, die der Schule ihre Vorstellungen und Inhalte
aufbürden wollen, oder den modernen Missionaren, die die
Zukunft nur mit der technologischen Brille zu sehen vermögen, aber auch den heutigen Pädagogen und ihrem selbstbezogenen Jargon. Deshalb wird Babylonia auf die fremdsprach- und kulturspezifischen Aspekte des Lehrplan 21 in einer nächsten Nummer noch kritisch zurückkommen.
Die vorliegende Ausgabe ist dem Sprachenlernen in der
Arbeitswelt und in der Berufsbildung gewidmet. In den
letzten wirtschaftlich besonders krisenanfälligen Jahren ist
die Bedeutung des Humankapitals und damit einer guten
beruflichen Ausbildung der jungen Generationen allen bewusst geworden. Und zu einer solchen Bildung gehört
auch die Aneignung von sprachlich und kulturell fundierten Kompetenzen. Die damit verbundenen Fragen werden
in den verschiedenen Beiträgen aus drei Perspektiven angegangen: Jene der Arbeitswelt, jene der Politik und jene der
Didaktik. Wir wünschen eine anregende Lektüre. (ggh)
La formation est considérée comme le bien le plus précieux de notre Pays. Il n’y a en effet pas à se plaindre de
notre formation: elle est en bonne santé tout comme notre
économie. Par conséquent nous jouissons, comparés aux
pays avoisinants ou plus lointains touchés par les crises, d’un
bien-être certain. La valeur de ce diagnostique est toutefois
relative: il faut bien peu de temps pour que les avantages
chutent, balayés par des illusions ou des présomptions.Voilà
qui donne raison à qui insiste sur la nécessité de changements et de réformes pour éviter à notre Pays de mauvaises
surprises, dues aux mutations que vit notre époque. Ceci
vaut pour la socialité et tout autant pour la formation limitée par ses devoirs et responsabilités intergénérationnels. La
question qui se pose est donc: que doivent apprendre les
jeunes d’aujourd’hui pour la société de demain? À quels
contenus doivent-ils se mesurer, de quels savoirs et de
quelles capacités doivent-ils se doter pour pouvoir jouer un
rôle actif et être protagonistes dans une société changeante?
Il serait certes trop beau de pouvoir anticiper les exigences
des prochaines décennies, mais cela n’empêche qu’il faille
faire un effort en ce sens. C’est justement le rôle, depuis
quelques années dans notre Pays, des réformes des programmes scolaires qui, sur la base de ce qui est demandé par
la CF, art.62, visent à la création d’un espace de formation
helvétique. Avec le Plan d’études romand (PER), dont la mise
en œuvre a déjà commencé, la Romandie est en avance
alors que le Tessin travaille à son nouveau Piano di studio. La
Suisse alémanique vient, de son côté, de mettre en consultation le Lehrplan 21, expression du travail commun des cantons concernés (cf. www.lehrplan21.ch).
Si les innovations dans le domaine scolaire demandent une
attention critique élevée, cela est encore plus vrai pour les
réformes des programmes. Ceux-ci sont en effet l’instrument de pilotage par excellence de l’école et sont donc particulièrement vulnérables, par rapport, par exemple, aux intérêts particuliers de toute provenance, qui cherchent à imposer à l’école des visions et des contenus, ou par rapport
aux missionnaires modernes qui voient le futur uniquement
à travers la lunette de la technologie, mais aussi – et surtout
– par rapport à la classe des pédagogues et de son langage
autoréférentiel. Quant aux aspects du Lehrplan 21 relatifs aux
langues et aux cultures, Babylonia aura l’occasion d’y revenir
de manière critique dans un des prochains numéros.
La présente édition, quant à elle, est dédiée à l’apprentissage
des langues dans le monde du travail et dans la formation
professionnelle des jeunes. Ces dernières années, on a vu
croitre la reconnaissance de l’importance du capital humain
et, par conséquent, aussi de la bonne formation professionnelle des jeunes, formation dont font partie aussi des compétences communicatives bien développées tant au niveau
linguistique que culturel. Ainsi, les questions qui découlent
de ces exigences sont abordées dans différents articles sous
trois angles: celui du monde du travail, celui politique et celui de la didactique. Nous souhaitons aux lectrices et aux
lecteurs des moments de réflexion stimulants. (ggh)
La scolaziun vegn considerada sco il pli aut bain da noss
pajais. E da nos sitem da scolaziun na stuain nus propi betg
ans lamentar, el è bain en chomma gist uschiè bain sco nossa economia. Perquai giudain nus, auter che en ils pajais vischinants spossads da la cirsa, ina pulita bainstanza. Quai
dentant è ina diagnosa da valur fitg relativa, pertge ils avantatgs pon spert sa pulverisar, magari er en consequenza da la
naschentscha da diversas illusiuns e presumziuns. Gist perquai han gist quels raschun che admoneschan la necessitad
da midadas e refurmas, per evitar nauschas surpresas per noss
pajais che provegnan da midadas epocalas che sa manifesteschan actualmain. Sche quai vala per exempel per la convivenza sociala, ha quai er repercussiuns per il sectur da la scolaziun ch’è colliada cun divers pensums e responsabladads
tranter las generaziuns. La dumonda che nus stuain ans
tschentar è damai la sequenta:Tge duian ils giuvens emprender da l’oz per la societad da damaun? Cun tge cuntegns
duain els sa confruntar, cun tge savida e tge capacitads ston
els sa proveder per pudair surprender ina rolla activa sco protagonists en ina realitad che sa mida ad in midar? Segir, i fiss
memia bel da pudair prevair las pretensiuns dal proxims decennis, ma in tschert sforz en questa na sa lascha betg evitar.
Ed igl è propi quai che cumpeta a las refurmas da programs
e plans d’insctrucziun che sa manifesteschan ils davos onns
en noss pajais, saja quai a basa da las pretensiuns da vart da la
Constituziun federala art. 62, u la creaziun d’in spazi da scolaziun naziunal. Quai po succeder cun il Plan d’études romand
(PER), che sa chatta gia en la fasa d’implementaziun, entant
ch’il Tessin lavura anc vi da ses Piano di studio. La Svizra tudestga e rumantscha da sia vart ha tramess en consultaziun il
Lehrplan 21, che furma l’expressiun da la lavur cuminaivla
dals chantuns interessads (cfr. www.lehrplan21.ch).
Sche las innovaziun scolasticas pretendan ina pli gronda attenziun critica, vala quai anc bler dapli per las refurmas dals
programs da scolaziun. Tals programs èn numnadamain ils
instruments per excellenza per diriger la scola e gist perquai
èn els spezialmain vulnerabels, p. ex. envers ils interess particulars da diversas varts che emprovan d‘imponer a la scola
lur visiuns e cuntegns, ni envers ils missiunaris moderns,
abels da prevair il futur mo cun ils egliers da la tecnologia,
ma er envers la classa dals pedagogs e ses linguatg autoreferenzial. En mintga cas avain nus anc chaschun d‘ans deditgar criticamain al Lehrplan 21 en connex cun ils linguatgs
e las culturas en in dals proxims numers.
Propi, l’ediziun actuala è deditgà a l’emprender linguatgs en
il mund da la lavur ed en la scolaziun professiunala. Ils davos
onns han ins pudì observar che la renconuschientscha da
l’impurtanza dal chapital uman e d’ina buna scolaziun professiunala dals giuvenils è creschida. D’ina tala scolaziun fan
er part las cumpetenzas communicativas bain sviluppadas
tant a livel linguistic sco cultural. Las dumondas che pertutgan quest sectur vegnan tractadas da trais puncts da vista:
quel dal mund da la alvur, quel da la politica e quel da la didactica. Nus giavischain als lecturs stimulants muments da
reflexiun. (ggh)
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Tema
Sprachenlernen in der Berufsbildung
L’apprentissage des langues dans la formation professionnelle
L’apprendimento delle lingue nella formazione professionale
Emprender linguatgs en la scolaziun professiunala
Einleitung | Introduzione
Sprachenlernen zwichen Arbeit, Politik und
Didaktik: Eine Einführung
L’apprendimento delle lingue tra lavoro, politica e
didattica: un’introduzione
Die Perspektive der Arbeitswelt
Il punto di vista del mondo del lavoro
“Les données récoltées (…) sur les langues dans l’activité économique en Suisse nous montrent que l’utilisation des langues
étrangères ainsi que les exigences en termes de compétences
linguistiques au sein de l’activité professionnelle sont très différenciées… (…) D’une façon générale, (dans le monde du travail) les compétences linguistiques étrangères sont plus souvent
utilisées qu’elles ne sont exigées.”
“Les données récoltées (…) sur les langues dans l’activité économique en Suisse nous montrent que l’utilisation des langues
étrangères ainsi que les exigences en termes de compétences
linguistiques au sein de l’activité professionnelle sont très différenciées… (…) D’une façon générale, (dans le monde du travail) les compétences linguistiques étrangères sont plus souvent
utilisées qu’elles ne sont exigées.”
Das Zitat aus dem Beitrag von François Grin zu den
Sprachbedürfnissen der schweizerischen Unternehmungen
spricht zwei Themen an, die für die Einordnung der Beiträge dieser thematischen Nummer zum Sprachenlernen in
Arbeitswelt und Berufsbildung bedeutend sind. Zunächst
geht es generell um die Bedeutung und die Rolle der Sprachen in den Unternehmungen unseres Landes. Grin weist
diesbezüglich auf sehr grosse Unterschiede nach Wirtschaftssektoren, nach der Reichweite der Aktivitäten (national oder international), aber auch nach dem Unternehmensstandort (Sprachregion, Nähe zur Grenze, usw.) hin.
Dieses vielschichtige Bild ist allerdings, namentlich nach
2000 und wegen der Neugestaltung der Eidgenössischen
Volkszählungen, erst spärlich mit empirischen Forschungsdaten abgesichert. Zweitens stellt Grin eine Kluft zwischen
Vorstellungen und Wirklichkeit fest. In der Tat zeichne sich
die Arbeitswelt in Wirklichkeit durch einen viel häufigeren
Gebrauch von Fremdsprachen aus als gemeinhin angenommen werde und insbesondere als die bei der Einstellung
von Personal verlangten Kompetenzen vermuten liessen.
Diese Aussage wird durch die von Georges Lüdi angeführten Forschungsresultate bestätigt, wobei es nicht nur um
die Häufigkeit des Fremdsprachengebrauchs, sondern auch
um die grosse Vielfalt der eingesetzten Sprachen geht. So
sei „die Dominanz von Englisch an Schweizer Arbeitsplätzen mehr ein Cliché als ein Abbild des tatsächlichen
Sprachgebrauchs.“
Mögen die empirischen Daten auch etwas unscharf sein, so
kann als gesichert gelten, dass Sprachkompetenzen und
Sprachbildung in der Wirtschaftswelt auf ein so grosses Interesse stossen, wie dies möglicherweise noch nie zuvor der
Fall war. Dies nicht nur, weil die Berufsbildung und genereller das Humankapital zu einem strategisch entscheidenden Faktor für die Unternehmensführung geworden sind,
mit unmittelbaren Auswirkungen auf den Markerfolg. Die
erhöhte Krisenanfälligkeit auch der Schweizer Wirtschaft
hat, gepaart mit der Globalisierung der Absatzmärkte (grosse Bedeutung des Exports) und des Arbeitsmarktes (starke
La citazione dall’articolo di François Grin sui bisogni linguistici delle aziende svizzere tocca due tematiche importanti per l’inquadramento dei contributi di questo numero
dedicato all’apprendimento delle lingue nel mondo del lavoro e nella formazione professionale. Anzitutto discutiamo
in generale del ruolo delle lingue nelle aziende del nostro
paese. Come rileva Grin, la realtà specifica e le pratiche linguistiche variano molto a seconda del settore economico,
del livello di attività (nazionale o internazionale), ma anche
del luogo di attività (regione linguistica, vicinanza alla frontiera, ecc.). Occorre tuttavia far notare una certa fragilità dei
dati empirici soprattutto recenti, verificatasi a seguito della
nuova impostazione del censimento popolare nel 2000. In
secondo luogo, Grin constata una spaccatura tra rappresentazioni e realtà. Di fatto il mondo del lavoro si contraddistingue per un uso molto più diffuso delle lingue straniere
di quanto si ritenga comunemente e di quanto i criteri di
assunzione delle aziende possano lasciar presumere. Questa
costatazione viene confermata dai risultati della ricerca
presentati da Georges Lüdi, dai quali si evince come non si
tratti solo della frequenza dell’uso, ma anche dell’elevata diversità delle lingue utilizzate. Il “presunto dominio dell’inglese sul posto di lavoro in Svizzera – così Lüdi – si rivela
essere più un cliché che non una verosimile rappresentazione dell’effettivo uso delle lingue”.
A dispetto dell’opacità dei dati empirici, le competenze e la
formazione linguistica incontrano un notevole interesse nel
mondo economico, come probabilmente non è mai stato il
caso finora. E questo non solo perché la formazione professionale e, più in generale, il capitale umano sono diventati
un fattore strategicamente decisivo per il successo delle
aziende. In questo periodo di forte crisi, anche l’aumentata
vulnerabilità dell’economia svizzera, combinata con la globalizzazione dei mercati (accresciuta importanza dell’esportazione) e, specificamente, del mercato del lavoro (immigrazione crescente a tutti i livelli dell’economia), mette
le aziende di fronte a sfide comunicative molto impegnative. Il bisogno di competenze linguistiche che ne deriva è
6
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Immigration auf allen Ebenen der Wirtschaft), zu anspruchsvollen
und immer differenzierteren kommunikativen Herausforderungen
geführt. Daraus entsteht ein dringendes Bedürfnis nach Sprachkompetenzen. Aber welche Sprachen soll man gebrauchen bzw. unterrichten und lernen? Im Beitrag von Georges Lüdi ist die Frage wegleitend, ob man auf Englisch als lingua franca setzen oder sich vielmehr an
der Mehrsprachigkeit orientieren soll. Allerdings macht es vielleicht
wenig Sinn, die zwei Optionen gegeneinander auszuspielen. Wenn
man davon ausgeht, dass sowohl Englisch wie auch die Landessprachen (und andere Sprachen) wichtig sind, gilt es, nach Szenarien zu
suchen, welche es erlauben, die unterschiedlichen auf dem Spiel stehenden Interessen zu berücksichtigen.
Dabei is zu bedenken, dass die Wirtschaft mit Vorliebe ihre eigenen
Interessen verfolgt, sich nach den Gesetzen der „ökonomischen Rationalität“, d.h. der Effizienz, der Kostenreduktion und der Gewinnmaximierung richtet, und sich weniger für andere Werte und Prinzipien
begeistern lässt. Es macht den Anschein, dass in diesem ökonomischen
Spiel Englisch als lingua franca über die besten Karten und d.h. den
höchsten Marktwert verfügt. Wie die Daten zum Fremdsprachenunterricht in der Berufsbildung zeigen, ist zur Zeit die Berufsbildung
auf dem besten Wege, dieser Tendenz zu folgen, obwohl die Realität
der Sprachverwendung in den Unternehmungen viel komplexer sein
dürfte. Auch sprachökonomische Forschungsergebnisse, nicht zuletzt
aus dem Team von François Grin, die aber in der Öffentlichkeit ungenügend wahrgenommen werden, belegen den Mehr- bzw. Zusatzwert
der Mehrsprachigkeit.
Die Perspektive der Politik
Damit richtet sich der Fokus auf die Politik, genauer auf die Berufsbildungspolitik als Steuerungsinstanz für die beruflichen Bildung. In
diese zweite wichtige Perspektive führt der Beitrag von Bettina Bichsel zum Thema Mobilität und Sprachen aus der Sicht des Staatssekretariats für Bildung, Forschung und Innovation (SBFI) ein. Die Berufsbildungspolitik habe, so die Autorin, die Mobilität klar zu einem
evidente. Ma quali lingue dobbiamo utilizzare,
insegnare e imparare? Nel contributo di G. Lüdi
è questo l’interrogativo guida, e più precisamente
l’autore si confronta con l’alternativa, se puntare
sull’inglese come lingua franca oppure giocare la
carta del plurilinguismo. Sottolinea però anche
che forse non ha molto senso contrapporre le
due opzioni, per cui, se si parte dal presupposto
che sono importanti sia l’inglese sia le lingue nazionali (e altre lingue), sarebbe meglio cercare
scenari favorevoli alla conciliazione dei diversi
interessi in gioco.
Non si può comunque sottacere che l’economia
persegue di preferenza i propri interessi, si orienta secondo le leggi della “razionalità economica,
ossia efficienza, minimizzazione dei costi e massimizzazione dei guadagni, e non si entusiasma
certo per altri valori e principi. Sull’arena economica è perciò l’inglese come lingua franca ad avere le migliori carte da giocare e il miglior valore
di mercato I dati relativi all’insegnamento delle
lingue straniere mostrano come la formazione
professionale si stia decisamente muovendo in
questa direzione. E questo nonostante la realtà
nell’uso delle lingue nelle aziende non lasci spazio ad una tale semplificazione, smentita anche
dagli esiti della ricerca in economia delle lingue
– come quella realizzata dal team di François
Grin, purtroppo poco noti al pubblico – che documentano il valore aggiunto del plurilinguismo.
Il punto di vista della politica
Concentriamo così la nostra attenzione sulla politica e più precisamente sulla politica della formazione professionale, quale istanza di pilotaggio
della scuola professionale. A questo importante
punto di vista ci introduce il contributo di Bettina Bichsel sul tema del rapporto tra mobilità e
lingue così come viene affrontato dal Segretariato di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI). L’autrice ci spiega che la politica della formazione professionale ha fatto della
mobilità un importante obiettivo strategico, da
raggiungere con misure che, salvaguardando il
principio di volontarietà, permettano di incrementare gli scambi linguistici, gli stage professionali, ecc. e favoriscano l’insegnamento delle lingue straniere nelle scuole professionali. Sappiamo
che la mobilità è sostanzialmente una categoria
economica. Ed è comprensibile che la politica
Cours d'anglais pour travailleuses hispanophones.
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
wichtigen strategischen Ziel erklärt. Dabei gehe
es aus bildungspolitischer Sicht um Massnahmen,
die – bei gleichzeitiger Wahrung des Freiwilligkeitsprinzips – der Steigerung von „Aktivitäten
wie Sprachaustausche, Berufspraktika, etc.“ dienen sowie zur Förderung des „Fremdsprachenunterrichts an den Berufsfachschulen“ beitragen
können. Mobilität ist, wir wissen es, im wesentlichen eine ökonomische Kategorie; und es ist
durchaus einsichtig, dass die Berufsbildungspolitik im Sinne der Optimierung der Arbeitsmarktfähigkeit eine wirtschaftlich relevante Zielsetzung als strategische Steuerungsvorgabe festlegt.
Es lässt sich aber immerhin fragen, ob andere, der
Wirtschaft übergeordnete und staatsrelevante
Werte im Bereich der sprachlichen und kulturellen Vielfalt zumindest eine ähnliche Aufmerksamkeit erhalten sollten. Immerhin stellt sich die
ch-Stiftung, als eine wichtige interkantonale
Agentur zur Förderung von Austauschprojekten
und Praktika, der Herausforderung einer Mobilität, die einen Mehrwert ausdrücklich auch in
der menschlichen und kulturellen Bereicherung
sucht, und dies durchaus auch im Auftrag der öffentlichen Hand. In der Tat sei der Nutzen von
Austauscherfahrungen, meint Tibor Bauder in
seinem Artikel, in einer umfassenden menschlichen Bereicherung zu suchen. Allerdings müssten die Berufsbildungsverantwortlichen davon
überzeugt werden, was keineswegs auf der Hand
liege. Jedenfalls zeigt die Datenlage, dass Austausch- und Praktikumserfahrungen in der
Schweiz noch weitgehend zu den Ausnahmeerscheinungen gehören, obwohl die Voraussetzungen zumindest von den kultur- und sprachregionalen Bedingungen her optimal wären. Ein Beispiel dafür ist in der Region Basel das
sprachgrenzüberschreitende EUREGIO-Zertifikat (vgl. die Erfahrungsberichte zweier beteiligter Lehrlinge). Damit die angestrebte Kultur
der Erfahrungsvielfalt, wie sie dank der Tradition
der Wanderlehrlinge im genetischen Code der
schweizerischen Berufsbildung eingeprägt war,
wieder aufblühen kann, braucht es einen tiefgreifenden Wandel, der sich an positiven Beispielen wie z.B. bei der Berufsbildung der Post orientieren kann (vgl. den Beitrag von Kilian
Schreiber), aber auch einer überzeugten und
überzeugenden Unterstützung durch den Schulunterricht bedarf.
Die Perspektive der Didaktik
So eröffnet sich die dritte wichtige Perspektive,
jene der Berufsbildung und der Didaktik. Ein
8
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
della formazione professionale assuma un obiettivo strategico di valenza economica per ottimizzare la capacità di accedere al mercato del
lavoro dei giovani. Ci pare tuttavia legittimo chiedere se altri valori e
obiettivi di particolare rilevanza per lo Stato, segnatamente nell’area
della varietà linguistica e culturale, non meritino almeno un’attenzione analoga.Va quantomeno segnalato che la fondazione ch, una delle
più importanti agenzie intercantonali che opera su mandato dello Stato nel campo degli scambi e degli stage, ha raccolto la sfida di una mobilità il cui valore aggiunto sia da ricercare esplicitamente anche
nell’arricchimento personale e culturale. Nel suo contributo, Tibor
Bauder sottolinea come l’utilità delle esperienza di scambio consista
proprio nell’arricchimento umano. Di questo valore dovrebbero però
essere coscienti i responsabili della formazione professionale, cosa
tutt’altro che scontata. In effetti il quadro statistico attuale mostra
come le esperienze di stage e di scambio siano ancora delle eccezioni,
nonostante il nostro Paese disponga di presupposti pressoché ottimali,
almeno dal punto di vista delle opportunità offerte dalle regioni linguistiche. La Regione Basilea che ha introdotto il certificato transfrontaliero EUREGIO (cfr. le interviste con due apprendisti) ne è un
esempio. In ogni modo, affinché l’idea di una cultura della diversificazione delle esperienze possa avere la possibilità di risorgere dalla tradizione degli artigiani medievali formatisi nelle botteghe di tutta Europa, tradizione che ha lasciato le sue tracce nel codice genetico della
formazione professionale svizzera, occorre una profonda trasformazione che si potrebbe ispirare ad esempi positivi come quello della Posta (cfr. il contributo di Kilian Schreiber), ma che necessiterebbe anche
di un supporto convinto e convincente da parte dell’insegnamento
scolastico.
Il punto di vista della didattica
Si apre così l’ultima prospettiva, quella della formazione e della didattica. Uno sguardo alla situazione della formazione professionale di
base (cfr. il contributo di Gianni Ghisla) mostra che solo una minoranza delle professioni (tra il 20% e il 30%) prevede nella propria ordinanza e nel piano di formazione una lingua straniera come materia
obbligatoria. L’inglese (e l’inglese tecnico) la fa poi più o meno da padrone, in quanto solo poche professioni danno la preferenza ad una
lingua nazionale, confermando, come già evocato, il trend verso l’inglese.
Sul piano didattico sta assumendo un ruolo di importanza e di successo crescente il cosiddetto insegnamento bilingue, e ciò grazie anche agli
sforzi fatti nel Canton Zurigo, come si può evincere dagli articoli di
M. Miltschev e di A. Joller-Voss. In questa direzione vanno anche diversi altri progetti, ad esempio nella formazione dei cuochi (K. Jonas
Lambert) o nelle cosiddette microprofessioni (L. Bausch). L’approccio
si basa sull’insegnamento di una materia in una lingua straniera e si
contraddistingue, tra l’altro, per due aspetti: da un lato risponde ad
un’esigenza di efficienza e di riduzione dei costi, quindi ad un criterio
Blick auf die Landschaft der beruflichen Grundbildung zeigt (vgl.
Beitrag von G. Ghisla), dass nur eine Minderheit der Berufe (zwischen
20% und 30%) gemäss Bildungsverordnung und Bildungsplan eine
Fremdsprache als Pflichtfach vorsieht. Dabei hat Englisch (bzw. Fachenglisch) ziemlich deutlich die Überhand und nur wenige Berufe geben einer zweiten Landessprache den Vorzug, sodass, wie bereits angedeutet, ein Trend zum Englischen deutlich wird. Auf der Ebene der
Unterrichtsgestaltung spielt der sogenannte zweisprachige Unterricht
eine zunehmend wichtige und erfolgreiche Rolle, dies u.a. dank den
im Kanton Zürich unternommenen Anstrengungen, wie den Beiträgen von M. Miltschev und von A. Joller-Voss entnommen werden
kann. In eine ähnliche Richtung des Angebots von Fachunterricht in
der Fremdsprache weisen auch Projekte z.B. bei den Köchen/Köchinnen (K. Jonas Lambert) oder bei Kleinstberufen (L. Bausch).
Zweisprachiger Fachunterricht zeichnet sich u.a. durch zwei Charakteristika aus: Er entspricht einem Gebot der Effizienz und der Kostenreduktion, also einem ökonomischen Kriterium, und drängt gleichsam die kulturelle Dimension der Sprache weitgehend in den Hintergrund. Die Fremdsprache –in den meisten Fällen Englisch – gerät fast
ausschliesslich zu einem technischen Kommunikationsmittel und ist
nicht mehr Ausdruck einer Lebensweise und von kulturellen Werten.
Freilich ist die Berufsbildung eine breitgefächerte und differenzierte
Welt, die entsprechend vielfältige Möglichkeiten offen liesse. Auf der
didaktischen Ebene gilt es deshalb Konzepte zu entwickeln, die den
Fremdsprachen – unter Wahrung der notwendigen Handlungsorientierung – die Ausnützung ihres kommunikativen und kulturellen Potentials ermöglichen. In diese Richtung weist der Beitrag von G. Ghisla, L. Bausch und E. Boldrini, welcher die Grundlagen einer Situationsdidaktik aufzeigt. Eine solche, mit Beispielen erläuterten Konzeption
der Didaktik (u.a. auch im didaktischen Beitrag dieser Nummer illustriert), bietet den Lehrkräften die Möglichkeit, instrumentelles, beruflich relevantes Wissen und Können mit sprachlich-kulturellen Inhalten
zu verbinden.
Plurilanguaging als Horizont?
„Es gibt Stimmen, wonach Mehrsprachigkeit im Allgemeinen und
plurilanguaging im speziellen Werkzeuge zur Bekämpfung von ‚Englisch
only’ seien. Trotzdem möchten wir von einer Dichotomie‚ Englisch’ vs.
‚Mehrsprachigkeit’ Abstand nehmen“.
economico, e dall’altro lato mette sostanzialmente in ombra gli aspetti culturali della lingua. La
lingua straniera – prevalentemente si tratta
dell’inglese – diventa quasi esclusivamente un
mezzo di comunicazione tecnico e non è più
espressione di un modo di vivere e di valori culturali. Resta il fatto che la formazione professionale è un mondo ampio e differenziato che lascia
aperte molte possibilità. Sul piano didattico è
perciò essenziale sviluppare concetti e approcci
che permettano all’insegnamento di sfruttare il
grande potenziale delle lingue, tanto quello comunicativo quanto quello culturale. È questo, tra
l’altro, l’obiettivo della didattica per situazioni, un
approccio innovativo presentato nel contributo
di G. Ghisla, L. Bausch e E. Boldrini e illustrato
anche nell’inserto didattico con cui si vogliono
mettere gli insegnanti nelle condizioni di offrire
un insegnamento che lasci spazio tanto ai saperi
e alle capacità strumentali quanto ai contenuti
culturali.
Plurilanguaging quale orizzonte?
„Es gibt Stimmen, wonach Mehrsprachigkeit im
Allgemeinen und plurilanguaging im speziellen
Werkzeuge zur Bekämpfung von ‚Englisch only’
seien.Trotzdem möchten wir von einer Dichotomie
‚englisch’ vs. ‚Mehrsprachigkeit’ Abstand nehmen“.
In den Worten von G. Lüdi wird die Herausforderung deutlich: Zum
einen geht es darum, realistisch den Trend zum Englischunterricht
bzw. zur Einlösung von vornehmlich ökonomisch bedingten Bedürfnissen zu berücksichtigen, zum anderen gilt es, die Bedeutung der
Mehrsprachigkeit und der damit verbundenen kulturellen Werte in
der Berufsbildung konkret wahrzunehmen und mit Massnahmen, u.a.
auf der didaktischen Ebene, umzusetzen. Die Quadratur des Kreises?
Vielleicht. Freilich ist die Aussicht durchaus realistisch, dass die Verantwortlichen mit der Zeit die sprachliche Vielfalt, welche sich im Arbeitsalltag als plurilanguaging manifestiert (vgl. auch den Beitrag von S.
Losa), als Potential und als Aufwertung des Humankapitals zu entdecken beginnen.
Dalle parole di G. Lüdi appare nitidamente la sfida: da un lato si tratta di considerare in maniera
realistica la tendenza verso l’inglese e la soddisfazione di bisogni a carattere prevalentemente economico, dall’altro lato occorre salvaguardare
l’importanza del plurilinguismo e dei valori di
cui è foriero anche nella formazione professionale, possibilmente in modo concreto e con misure
didattiche. La quadratura del cerchio? Forse. Ma
resta una prospettiva tutto sommato realistica e
cioè che i responsabili nel mondo del lavoro riconoscano nella varietà linguistica, che nella
quotidianità si manifesta come plurilanguaging
(cfr. anche il contributo di S. Losa), un potenziale e una reale valorizzazione del capitale umano.
Gianni Ghisla & Georges Lüdi
Gianni Ghisla & Georges Lüdi
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Tema
Englisch als lingua franca
und/oder Mehrsprachigkeit?
Georges Lüdi | Basel
La peur du mélange de langues est répandue. Pourtant, si tous les
élèves doivent apprendre des langues étrangères, il est réaliste – et
suffisant – de viser, comme objectif minimal de l’école, une compétence d’usage approximative. Celle-ci comprendra des stratégies de
communication translinguistiques et donc le mélange. L’anglais lingua
franca en est un bon exemple, caractérisé comme il est par un usage
flexible et des formes hybrides. Or, dans un contexte de diversité linguistique, il est moins dominant que certains ne pensent et se partage
la scène avec d’autres formes d’exploitation de ressources plurilingues, notamment le parler plurilingue ou plurilanguaging. On l’observe
souvent dans des équipes mixtes, particulièrement créatives non pas
malgré, mais grâce à leur plurilinguisme. Ce dernier ne se conçoit pas,
ici, comme addition de plusieurs unilinguismes, mais comme une multicompétence intégrée. Elle nous permettra de répondre de manière
optimale et dynamique au défi du monde contemporain.
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Archives thématiques > Fiche 15
I need Nuggi, sagte kürzlich unser 2 1/2-jähriger,
in den USA zweisprachig Englisch-Schwyzertütsch aufwachsender Enkelsohn. Seine lustigen
Sprachkreationen lassen in der Familie keine Bedenken aufkommen, er könnte in Zukunft seine
Sprachen nicht trennen, sondern werden als normaler Ausdruck seiner beginnenden Zweisprachigkeit empfunden. Freilich wird Sprachmischung - namentlich bei älteren Sprechern - im
Lichte puristischer Sprachvorstellungen oft immer noch als bedrohlich für die Integrität einer
Sprache, für die Kohäsion einer Sprachgemeinschaft oder gar für den Charakter einer Person
betrachtet.
Im Lichte der schulischen Fremdsprachenpolitik
wirft dies eine Reihe von Fragen auf:
1. Wie perfekt müssen die schulisch erworbenen
Fremdsprachen gesprochen werden?
2. Wie sollen die Lehrpersonen mit Sprachmischungen zwischen Erstsprache und Fremdsprachen, aber auch und besonders unter
Fremdsprachen umgehen?
10
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
3. Wäre es angesichts des globalen Trends in
Richtung Englisch als lingua franca nicht vernünftiger, sich an Stelle einer Diversifizierung
(approximative Kenntnisse in mehreren
Fremdsprachen) auf Englisch zu konzentrieren
und diese Sprache besser zu lernen?
4. Wie steht es mit der Verwendung von Englisch
und/oder mehrsprachigen Repertoires im
(beruflichen) Alltag?
5. Welche Konsequenzen ergeben sich aus empirischen Untersuchungen über den Sprachgebrauch für unsere Sprachvorstellungen?
Gebrauchskompetenzen als Lernziel
Antworten auf die erste Frage bieten die Lehrpläne, welche am Schluss der obligatorischen
Schulzeit realistischerweise als Minimalziel bloss
Gebrauchskompetenzen anstreben, mit Schwergewicht auf der Mündlichkeit, was natürlich keineswegs weder viel bessere Kompetenzen noch
(inter-)kulturelle Inhalte ausschliesst. Die Minimalziele entsprechen durchaus auch den durchschnittlichen Bedürfnissen im Anschluss an die
Schulzeit, namentlich in der Arbeitswelt von gewerblichen Mitarbeitenden, wie sie in den Lehrplänen für Auszubildende im Raum Basel berufsspezifisch definiert werden, z. B. für Polymechaniker (Stundendotation 120 Lektionen):
„Einfache englische Fachtexte und Gebrauchstexte verstehen. Ziel: Lesen und Interpretation
von Handbüchern, Fachzeitungen, Fachberichten, Internet, englischen Betriebsanleitungen:
Schwergewicht auf Lesen und sinngemäss verstehen. Kurze mündl. Aussagen und Anweisungen verstehen und selbst formulieren“. Dass
Letzteres häufig in Form von gemischten Äusserungen stattfindet, wird noch zu thematisieren
sein.
Wie normal und nützlich - oder wie
gefährlich - ist das Mischen von
Sprachen?
Dass Sprachmischung auch im Klassenzimmer
geschieht, wissen Lehrpersonen zu gut. Drei Aspekte gilt es dabei zu unterscheiden: (a) sprachübergreifende Kommunikationsstrategien erlauben die Verständigung in der Fremdsprache auch
über die Grenzen der aktuellen Sprachkompetenzen hinaus, namentlich im lexikalischen Bereich, indem Wörter aus anderen Sprachen eingeflochten werden; (b) zur Beschleunigung und
Vertiefung des multiplen Fremdspracherwerbs
werden Querbeziehungen und Brücken zwischen den Einzelsprachen konstruiert bzw. ausgenutzt; (c) gleichzeitig müssen die Lernenden
immer mehr versuchen, diese Einzelsprachen
auseinanderzuhalten. Sie beim Letzteren zu unterstützen ohne die kommunikations- und lerntechnischen Vorteile der ersten beiden Aspekte
zu unterdrücken stellt eine der Herausforderungen des Fremdsprachenunterrichts dar.
Gerade die aktuellen Diskussionen über die Bedeutung des Englischen in einer zunehmend
globalisierten Wert sind von enorm vielen Clichés geprägt, was die Qualität der Kommunikation in dieser Sprache betrifft. In der Tat wird zu
oft nicht genügend zwischen dem Englischen in
einer seiner standardisierten Formen (British
English, American English, etc.) und der als Verkehrssprache verwendeten lingua franca unterschieden. Zweifellos stellen (sehr) gute Kompetenzen in der Standardsprache - zu Recht! - das
Idealziel jeglichen Fremdsprachenerwerbs dar.
Dieses wird namentlich in Schulen mit weitergehenden Ansprüchen und in vielfältiger Weise
nach der obligatorischen Schulzeit (z. B. mit
Sprachaufenthalten) progressiv angestrebt. Dennoch verfügt die Mehrzahl der Sprecher, wie
schon angedeutet, bloss über approximative
Kenntnisse. Auch ELF (English as lingua franca) ist
in aller Regel weit entfernt von „reiner“ Sprachverwendung: je nach Sprachniveau greifen die
Sprecher - bewusst oder unbewusst - mehr oder
weniger auf alle anderen als nutzbringend erachteten Sprachen zurück, wenn sie „Englisch“ reden. So sind sich die Spezialistinnen des Wiener
Voice-Projekts über ELF des „gemischten” Charakters der Kommunikation in ELF sehr bewusst,
wenn sie schreiben:
„ELF (sc. English as lingua franca) is per definition a
multilingual and multicultural situation and this fact
is bound to affect the interaction and also the use of
potential idioms“ (Pitzl, 2009: 315).
„Hybrid forms and flexible usage is a characteristic of ELF which has been
shown to be effective in multilingual communication.“
(Böhringer,Hülmbauer & Seidlhofer, 2010)
Dies gilt natürlich für die in der exolingualen Kommunikation verwendeten Landessprachen ebenso.
Englisch ist häufig, aber nicht so dominant wie angenommen
Die Diskussion um die Zahl der Fremdsprachen in der Primarschule
ist wieder aufgeflammt.Viele Schüler (und Lehrpersonen) seien überfordert. Auch sei die Qualität der resultierenden Sprachkompetenzen
ungenügend, wie nicht zuletzt aufgrund von „gemischten“ Äusserungen argumentiert wird. Und überhaupt sei Englisch eh viel wichtiger
als die Landessprachen, nicht nur in den Ferien, sondern auch und besonders bei der Arbeit. Wie sich ein Basler Lehrling ausdrückte, der
Französisch in der Schule abwählte:
Jo, mir g’fallt die Sproch eifach nid, Französisch. Und au die ganze aigus
und so; und ich weiss nid, was ich mit dere Sproch söll. Mit Änglisch cha
me do international au im Internet und so. Und Französisch chasch nie
bruche. (P.G., Vgl. Das Interview in dieser Nummer, S. 42)
Dennoch wäre es völlig verfehlt, mit dem Hinweis auf das häufige Verfehlen besserer Kompetenzen auf den obligatorischen Fremdsprachunterricht gerade da, wo die Landessprachen als zweite oder dritte
Fremdsprache figurieren, ganz zu verzichten. Natürlich soll hier die
Bedeutung von Englisch als internationale Verkehrssprache nicht
klein geredet werden. Aber die Dominanz von Englisch an Schweizer
Arbeitsplätzen ist mehr ein Cliché als ein Abbild des tatsächlichen
Sprachgebrauchs, wie zahlreiche empirische Untersuchungen nachwiesen (vgl. schon Andres et al., 2005 und Lüdi,Werlen et al., 2005),
selbst bei internationalen Unternehmen. Die Vorstellungen eines hohen Managers in der Pharmaindustrie, auch Einheimische würden an
der Arbeit untereinander auf Englisch kommunizieren, werden häufig
widerlegt und bewahrheiten sich in der Regel nur, wenn Anderssprachige dabei sind. So verwendet ein Mitglied des mittleren Kaders derselben Firma (obwohl er nur sehr schlecht Deutsch spricht) gemäss
unseren Audioaufnahmen an zwei aufeinander folgenden Arbeitstagen zwar zu 68% Englisch, aber auch zu 23% Französisch und sogar zu
9% Deutsch. Seine Maximen: wenn jemand Französisch spricht, dann
sprich Französisch; wenn jemand weder Französisch noch Englisch
kann, sprich Deutsch; sonst sprich Englisch. Bei einem Schweizer Laborangestellten lautet das Verhältnis hingegen: 40% Schweizerdeutsch,
34% Standarddeutsch, 26% eine Mischung zwischen Schweizerdeutsch und Standarddeutsch und bloss 0,2% Englisch und sozusagen
gar kein Französisch (0,01%). Dies hat natürlich zum Teil mit Sprachkompetenzen zu tun, aber nicht nur. Ein perfekt zweisprachiger Personalmanager in der Agroindustrie meinte dazu im Interview:
Ich rede in meiner Sprache anders, freier, offener, selbstbewusster, sicherer.
(…) Da gehen also wirklich viele Ideen eigentlich verloren, wenn man sich
einfach für das Englische entscheidet in einer solchen Situation, weil dann
nicht alle gleich, sich gleich wohl fühlen. (Maurice M.)
11
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Gesamtschweizerische Dienstleistungsunternehmen privilegieren in
ihrer Sprachpolitik die Landessprachen und schliessen gar manchmal
Englisch explizit aus:
Mister Kull, the Chief Executive Officer, is absolutely rabid about this. (…)
he has outlawed eh the use the English terms when speaking German,
French, it‘s outlawed, and that‘s official (…) he really went very, very, very
far in this, and we all had to change our job titles. (Wanda M.)
Mehrsprachige Kommunikation im Kontext sprachlicher
Vielfalt
Diese Beobachtungen stellen, wie gesagt, den Wert von Englischkenntnissen in keiner Weise in Frage, unterstreichen aber die Bedeutung anderer Sprachen bei der Bewältigung der Herausforderungen
des Arbeitsalltags.
Der Anerkennung anderer Sprachverwendungsmuster stehen allerdings - auch in der Schweiz - oft auf das 18. und 19. Jahrhundert zurückgehende Vorstellungen im Wege, wonach Menschen unterschiedlicher Sprache in nebeneinander existierenden, weitgehend monoglossischen1 Sprachgebieten leben sollten, in welchen eine einzige
Sprache gesprochen wird, notfalls aufgrund der Unterdrückung von
Sprachminderheiten gemäss dem Prinzip: ein Territorium, ein Staat,
eine Sprache. Diese Vorstellungen stellen auch heute noch die Grundlage für die meisten sprachpolitischen Massnahmen dar.
Freilich hat die wachsende Mobilität von bedeutenden Teilen der
Weltbevölkerung aus ökonomischen, politischen oder privaten Gründen in den post-modernen Gesellschaften zu einem nachhaltigen
Wandel von monoglossischen zu polyglossischen oder zumindest heteroglossischen Gesellschaften mit namhaften „extraterritorialen”
Sprachminderheiten geführt, die meisten davon geprägt von unterschiedlichen Formen von individueller Mehrsprachigkeit.
In diesen von sprachlicher Vielfalt geprägten Kontexten sind sehr unterschiedliche Vorstellungen („Ideologien”) und Praxen der Kommunikation zu beobachten.Während die einen auf vielfältige Formen der
Ausnutzung mehrsprachiger Ressourcen setzen, halten andere eisern
an der Suche nach einsprachigen Lösungen für die Kommunikationsprobleme der Menschheit fest.
Wir haben diese Phänomene innerhalb des Basler Moduls des DylanProjekts hauptsächlich am Beispiel „gemischter Teams“ am Arbeitsplatz untersucht2. Im Rahmen des sogenannten „Diversity management” streben Firmen eine Diversifizierung sowohl der Abnehmermärkte, als auch des Arbeitsmarkts und der Profile der Arbeitnehmer
innerhalb der Firma an (Cornet & Warland, 2008). Immer häufiger
werden gemischte Teams nicht nur einfach hingenommen, sondern
direkt angestrebt samt der damit einhergehenden
different points of view, cultural and country specific skills, an understanding of diverse customer groups, opportunities for employees to develop to
their full potential
[sowie der] availability and use of multiple knowledge domains (Köppel &
Sandner, 2008: 11, 56).
Die Argumente zugunsten gemischter Teams sind sehr zahlreich: (a) In
gemischten Teams ist mehr Dynamik in der Wissenskonstruktion zu
beobachten; (b) gemischte Teams sind effizienter und (c) gemischte
Teams sind kreativer. Aber dies gilt nur, wenn innerhalb gemischter
12
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Teams optimal kommuniziert wird. Eine weitverbreitete Strategie des Topmanagements von
Firmen ist es,
to install a common corporate language and harmonize internal and external communications through
general rules and policies, driven by the assumption
that ‘one language fit all’ communication needs
(Piekkari & Tietze, 2011: 267)
sei dies nun die eigene Sprache des Unternehmens sein (z.B. Italienisch im Tessin), die Sprache
der Hauptabnehmer (z.B. Spanisch für eine Firma,
die ihren Geschäften zur Hauptsache in Lateinamerika nachgeht) oder aber, wie oben angedeutet, die internationale Verkehrssprache Englisch.
Dies im Bestreben, die Kosten und Nebeneffekte
der sprachlichen Vielfalt zu minimisieren.
In der Praxis findet die Interaktion in gemischten Teams freilich in höchst vielfältiger Weise
statt. Im Bestreben nach einem Ausgleich zwischen den zwei Grundprinzipien der „Progressivität“ (wo es darum geht, möglichst rasch voranzugehen, allenfalls auf Kosten von Missverständnissen oder Kommunikationspannen) und der
„Intersubjektivität“ (wo Erklärungen, Rückfragen, Reformulierungen usw. zwar Zeit kosten,
aber das Verständnis sicherstellen) (vgl. Mondada,
2012) werden verschiedene Verfahren gewählt,
teils getrennt voneinander, teils gleichzeitig:
r +FEFSTQSJDIUTFJOF4QSBDIFVOEWFSTUFIUKFOF
der Gesprächspartner;
r &OHMJTDI PEFS FJOF BOEFSF 4QSBDIF [ #TQ
Deutsch in gewissen gesamtschweizerischen
Betrieben) als lingua franca;
r %PMNFUTDIFOEVSDI-BJFOJOEFS*OUFSBLUJPO
oder durch Profis;
r .FISTQSBDIJHF *OUFSBLUJPO PEFS plurilanguaging.
Diese Verfahren schliessen sich gegenseitig nicht
aus, werden häufig auch nicht ein für alle Male
gewählt, sondern im Verlaufe der Interaktion in
Funktion des Kontextes immer wieder neu ausgehandelt. Umfangreiche Sprachaufnahmen und
Interviews mit Firmenangehörigen in verschiedensten hierarchischen Positionen im Rahmen
unserer Untersuchungen erlauben es, die beobachteten Interaktionsverfahren schematisch in
einem Koordinatensystem anzusiedeln, welches
einerseits durch die Achse ‚endolingual‘ vs. ‚exolingual‘ gebildet wird (welche sich auf die mehr
oder weniger weitgehende Kongruenz der
sprachlichen Ressourcen der Teilnehmer bezieht,
prototypisch: ‚endolingual‘ = unter Muttersprachlern, ‚exolingual‘ = unter Nicht-Muttersprachlern), andererseits durch die Achse ‚ein-
sprachig‘ vs. mehrsprachig (welche sich auf die
Anzahl der an der Interaktion beteiligten Sprachen bezieht).(vgl. Lüdi et al., im Druck)
Dabei lässt sich empirisch nachweisen, dass in
gemischtsprachigen Teams wegen und nicht trotz
der Mehrsprachigkeit Prozesse ablaufen, in welchen die Verwendung mehrerer Sprachen vorteilhaft ist, und dies weit über die reine Verständnissicherung hinaus. Ein Forscherteam der Universität Lausanne hat an zahlreichen Beispielen
nachgewiesen, dass die systematische Konfrontation von Begriffssystemen in zwei oder mehr
Sprachen im Hochschulunterricht, etwa am Beispiel von Schweizer Bundesgerichtsentscheiden
an einer juristischen Fakultät, über das reine Verstehen der Rechtsterminologie hinaus entscheidend zum Aufbau einer juristischen Kompetenz
beiträgt (Gajo et al., im Druck); Untersuchungen
zur Rechtssprechung in der Europäischen Union belegen ebenfalls die entscheidenden Vorteile
des „multilingual and multicultural legal reasoning“ (Kjaer & Adama (eds.), 2010), gerade angesichts paralleler Versionen der Gesetzgebung in
unterschiedlichen Sprachen.
Entgegen allen Erwartungen sind mit den Begriffen ‚mélange‘, ‚Mischig‘, ‚Esperanto‘ oder gar ‚Kauderwelsch-Esperanto‘ keinerlei negative Konnotationen verbunden; das hochrangige Kadermitglied sieht
darin sogar eine Voraussetzung für ‚kreative Prozesse‘!
Diese positive Bewertung erinnert an extreme Beispiele exolingualmehrsprachiger Rede, wie wir sie zum Beispiel in einer Konsultation
zwischen einem Basler Arzt und einer portugiesischen Patientin am
Basler Universitätsspital auf Tonband aufgenommen haben:
1M
so hat es doch noch geklappt
2P
vous parlez français!
3M
<französisch. > (°oder°) spanisch?
4
((a l’air embarassée))
5P
espanisch. ja
6M
sie kommen von portugal hab ich gehört ja.
7P
8M
9P
ja. (tratamos) en con español.
<eetabo.>
10
((très vite; probablement portugais «está bem/bom»))
11 M
12
ok. (..) bueno. (.) puede explicarme eh [tus problemas]
síntomas.
Das Plurilanguaging und seine Folgen für
eine Theorie der Mehrsprachigkeit
Gewöhnungsbedürftig ist in diesem Zusammenhang unter anderem auch die Beobachtung, dass
in diesen Verwendungskontexten sprachliche
Mischformen oder „mehrsprachige Rede“ nicht
nur sehr häufig sind, sondern in aller Regel auch
problemlos akzeptiert werden.
13 P
donc ça c’est clair, les termes scientifiques et techniques, très souvent on les utilise en anglais, même
en allemand, ça veut dire que même si je parle avec
une technicienne qui parle très peu l’ anglais, elle
aussi elle comprend, study protocol et tout ça c’est
en anglais, c’est un mélange. Parfois c’est intéressant,
mais je ne me rends pas compte quand je parle et
parfois il y a un mélange linguistique. (Jamal H., Leiter einer Forschungsgruppe in der Pharmaindustrie)
und mir hei jez beschlosse well’s zähjährig isch gsi
mir düe d’Jury komplett uswächsle un ich ha jez
z’erscht Mal es Meeting müesse leite mit dr komplett neue Jury zäh komplett neu Lütt oder se Mal
zämme bringe de findet mene Sprach und eh isch e
Mischig zwüsche Basel-Hochdütsch-Änglisch, oder
s’isch igend üses Esperanto wo mr do gfunde hei un
jez simmer d(r)a gsi und hei sächzäh Projäkt gha
müesse entscheide welles. (…) ond hei de da i üsem
Chuderwälsch-Esperanto das düre diskutiert (Leitender Angestellter, Pharmaindustrie)
°portugal°
[eh tengo ma!l]e.
14
a la cabeza?
15 M
mmh
16 P
eh duo-dolores y e (bri tisas)?
17 M
mmh
18 P
y me doile tambem moito la la spalda.
19 M
la columna! due[le.]
20 P
21
[la ]columna me doi molto! y e: (..) e
+<cui> un poco+
22
((pr. Ital.; touche sa gorge))
23 M
ähä a- +aquí+
24
25
((touche sa propre gorge))((il note tout
ce qu’elle dit))
26 P
27
sí. ho pensato que la gri!pe? +por qu+ la ot[ra ] settimana
28
((prononciation portugaise))
29 M
30 P
31 M
32 M
[mmh]
mine [(niña) (…) gr]ipe! y ahora]
[ah? la niña?] (…)
e tiene también dolores [en los a]rticulaciones. (.)
33 P
34 M
[sim sim]
desde quándo tie[ne?]
35 P
[eh?] desde iere
36 M
desde ayer. ah.
37 P
anteontem (…)
13
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
In den ersten Redezügen (l. 1-8) werden die möglichen Ressourcen
ausgebreitet und man einigt sich scheinbar auf Spanisch, aber die Bestätigung durch P geschieht auf Portugiesisch (l. 9). In den folgenden
Redezügen spricht P gleichsam „Panromanisch“, eine Mischung von
Portugiesisch, Spanisch und Italienisch. Lexikalische Unsicherheiten
bleiben unbeachtet (bri tisas; iere ayer - anteontem), wo sie für die
Diagnose nicht relevant erscheinen. Umgekehrt wird der Sinn da, wo
es den Tellnehmern bedeutsam erscheint, über mehrere Redezüge
hinweg, unter Einbezug deiktischer Gesten, ausgehandelt (spalda
columna columna cui aquí).
Man erinnert sich an Levy-Strauss, der von einem „Werkzeugkasten
für Bastler“ sprach:
La règle de son enjeu est de toujours s’arranger avec les “moyens du bord”.
Ces derniers constituent un ensemble hétéroclite d’outils et de matériaux,
résultat, non pas d’un projet particulier mais contingent de toutes les occasions à l’issue desquelles le stock a été renouvelé, enrichi ou entretenu avec
les résidus de constructions et de destructions antérieures. (Lévy-Strauss,
1962: 27)
Die Konsequenzen solcher Beobachtungen für die theoretische Erfassung der Mehrsprachigkeit sind bedeutsam. Es beginnt damit, dass die
unterschiedlichen Sprachen im Repertoire eines Mehrsprachigen
nicht künstlich voneinander getrennt werden; sie bilden „one connected system, rather than each language being a separate system“
(Cook, 2008). Die daraus resultierende Auffassung der Mehrsprachigkeit ist jene einer integrierten Kompetenz - Cook spricht von multicompetence -, wobei die einzelnen Teilkompetenzen mehr oder weniger ausgebildet sind, entsprechend der Konzeption der funktionellen
Mehrsprachigkeit, wie sie der GER (2001) formuliert, die aber auch
den Vorstellungen vieler Interviewpartner entspricht. Entsprechend
wird die Multikompetenz oft, unter Vermeidung dieses stark konnotierten Begriffs, als mehrsprachige Repertoires oder als Menge verbaler und non-verbaler Ressourcen beschrieben (vgl. Lüdi & Py, 2009:
157).
Nun bedeutet die Existenz mehrsprachiger Ressourcen keineswegs,
dass diese nicht auch einsprachig - und mit einem sehr hohen Grad an
Korrektheit - eingesetzt werden können. Grosjean hatte schon 1985
zwischen einem „einsprachigen“ und einem „zwei-/mehrsprachigen
Modus“ unterschieden. In Situationen, welche die Fokussierung auf
eine einzige Sprache erfordern, wird der mehrsprachige Sprecher jene
Teile seines Repertoires, die nicht der aktuellen Sprachenwahl entsprechen, nach Möglichkeit ausblenden und sich ausschließlich jener
lexikalischer, grammatikalischer und phonetischer, aber auch soziokulturellerWissensbestandteile bedienen, die denselben Index tragen.
Hingegen sind im zwei- oder mehrsprachigen Modus Mischungen
von Elementen aus unterschiedlichen Sprachen und Registern an der
Tagesordnung - und erlaubt. Zahlreiche Forschungen haben gezeigt,
dass mehrsprachige Rede formal und funktional geregelte Formen
der Mobilisierung mehrsprachiger Ressourcen darstellt, keineswegs
abartig, sondern im Gegenteil höchst identitätsträchtig. Pennycook
formulierte daraus in einem Vortrag eine neuartige Forschungsfrage:
„In what ways do people draw on language resources, features, elements, styles as they engage in translingual, polylingual, metrolingual
language practices?“3. Umgekehrt kann man natürlich auch behaupten, dass die Multikompetenz das Resultat des rekurrenten Gebrauchs
von vielfältigen Mustern von - ein- und mehrsprachiger - Rede darstellt, wie dies die Emergenz-Theorie für den (Fremd–)Spracherwerb im
Allgemeinen postuliert4. Plurilanguaging, lingue franche, und
Fremdspracherwerb
Wie oben angedeutet können approximative
Formen des Gebrauchs einer lingua franca als plurilanguaging gedeutet werden. In den letzten Jahren wurde immer wieder der hybride Charakter
von ELF hervorgehoben, etwa von House (2003:
573f.), die sich auf Bakhtin und Bhabha beruft:
Rather than measuring ELF talk against an English
L1 norm, one might openly regard ELF as a hybrid
language ± hybrid in the sense of Latin hibrida as
anything derived from heterogeneous sources. (…)
Here I would further differentiate between phenotypical hybridity, where the foreign admixture is
manifest on the surface (transfer is isolable), and genotypical hybridity, where different mental lexica
or, in a Whorfian way, different underlying `Weltanschauungen’ and conceptual sets, may be operative
in ELF speakers.”
Diese positive Sicht der ‚Fremdheit‘ im Gebrauch von ELF ist vergleichbar mit einer Konzeption der Lernersprache, welche beginnt, die
Äußerungen in einer L2 nicht mehr ausschliesslich am Grad der Annäherung an die Grammatik
Crieur public.
14
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
der Standardsprache zu messen. So betonte z. B. Larsen-Freeman am Summer
Institute in Applied Linguistics (Penn
State, June 22-July 3, 2009):
Language is not fixed, but is rather a dynamic system. Language evolves and
changes in the dynamics of language use
between and among individuals.
Entscheidend sei der Verwendungskontext:
Embodied learners soft assemble their
language resources interacting with a
changing environment. As they do so,
their language resources change. Learning is not the taking in of linguistic
forms by learners, but the constant adaptation and enactment of languageusing patterns in the service of meaning-making in response to the affordances that emerge in a dynamic
communicative situation. (Larsen-Freeman & Cameron, 2008)
Entsprechend ist die systematische Variation in den Äusserungen von
Nicht-Muttersprachlern (siehe schon
Py, 1995) in erster Linie mit Kontextfaktoren korrelierbar. Wie die Sprache
im Allgemeinen sind Lernersprachen
- und eben auch die Tausenden von
Varietäten von ELF - soziale Konstrukte. Grammatik wird als dynamisch
verstanden (vgl. Fussnote 4), entsteht
aus dem Gebrauch und geht diesem
nicht - als langue oder E-Grammatik voraus. Sprache und Spracherwerb
sind komplexe, dynamische, anpassungsfähige und nicht-lineare Phänomene (Ellis & Larsen-Freeman, 2006).
So betrachtet, sind ELF und Lernersprachen - bis hin zu den oben zitierten Beispielen extremer exolingualer
Kommunikation - wohl unterschiedliche Facetten desselben Grundphänomens: Mehrsprachige Menschen
(und Verwender von ELF sind per definitionem mehrsprachig) setzen ihre
sprachlichen Ressourcen situationsgerecht ein, auf einer Art von Kontinuum zwischen einem tendenziell einsprachigen und einem tendenziell
mehrsprachigen Modus.
Zwar soll Seneca gesagt haben: Non vitae, sed scholae discimus (wir lernen
nicht für das Leben, sondern für die
Schule); seine Argumentation ging na-
Englisch allein erfüllt die
sprachgemeinschaftsübergreifenden
Kommunikationsbedürfnisse, gerade
in der Schweiz, nur suboptimal und
trägt zur Verarmung der
Landessprachen bei.
türlich in die Gegenrichtung. Wenn
wir nun davon ausgehen, dass schulischer Fremdsprachenunterricht, Austauschaktivitäten usw. auf die Sprachbedürfnisse des - privaten und beruflichen - Alltags vorbereiten sollen, dann
ist es mit den eingangs zitierten, nach
Einzelsprachen geordneten Lernzielen
natürlich nicht getan. Das Ziel stellen
mehrsprachige Repertoires, stellt die
Multikompetenz dar. Aber wir müssen
uns nun keineswegs alle ständig des
plurilanguaging befleissigen. Im Gegenteil. Wir werden weiterhin einzelne
Sprachen erwerben und uns im Alltag
in der Regel um einsprachige Rede
bemühen. Trotzdem gilt es aber nicht
aus den Augen zu verlieren, welche
Vorteile in mehrsprachigen Ressourcen und in deren Einsatz in von
sprachlicher Diversität geprägten Situationen liegen - und die werden in
Zeiten von globalem Austausch und
erhöhter Mobilität immer mehr die
Regel. Sie sind, wenn wir den Spezialisten Glauben schenken können, der
Schlüssel zu einer verbesserten Handhabe von Information, verändern unsere Wahrnehmung von Gegenständen und Prozessen, erlauben einen
vertieften und präziseren Zugriff zu
begrifflichen Netzwerken, beeinflussen Partizipationräume und die Organisation der Interaktion ebenso wie
Formen des Aushandelns, die Manifestation von Führungsverhalten und
Verfahren der Problemlösung und der
Entscheidungsfindung (Compendium,
2009, Berthoud et al., 2012).
Es gibt Stimmen, wonach Mehrsprachigkeit im Allgemeinen und plurilanguaging im speziellen Werkzeuge zur
Bekämpfung der Nebenwirkungen
von „English only“ seien. Trotzdem
möchten wir ausdrücklich von einer
Dichotomie „Englisch“ vs. „Mehrsprachigkeit“ Abstand nehmen. Zum
einen, weil ELF, wie die Forschung
schon festgestellt hat, in den meisten
Fällen einer Form von Mischvarietät
entspricht. Zum andern, weil ELF unter Sprechern mit extrem divergierenden Repertoires - z. B. zwischen jeweils mehrsprachigen Chinesen, Arabern und Schweizern - in der Tat
häufig die einzige Lösung der kommunikativen Probleme darstellt. Aus diesem Grunde können gegen eine Ausweitung des Englischunterrichts auf
alle Schülerinnen und Schüler auch
keine Einwände gemacht werden. Allerdings können umgekehrt andere
Formen der Kommunikation, z. B. „jeder spricht seine Sprache und versteht
jene der anderen“, in vielen Situationen, namentlich innerhalb der
Schweiz, viel effizienter sein. Voraussetzung ist, dass die Menschen darauf
vorbereitet werden, und das heisst auch
weitere Sprachen, insbesondere jene
ihrer unmittelbaren Nachbarn, mit einer entsprechenden Methodik lernen.
Bilanz
Fassen wir die Antworten auf die eingangs gestellten Fragen kurz zusammen.
Wie perfekt müssen die schulisch erworbenen Fremdsprachen gesprochen werden?
So perfekt wie möglich.
Wie sollen die Lehrpersonen mit Sprachmischungen zwischen Erstsprache und
Fremdsprachen, aber auch und besonders
unter Fremdsprachen umgehen?
Mit Verständnis für deren kommunikative Vorteile und einer Methodik,
welche es den Lernenden gleichzeitig
erlaubt, alle erwerbsfördernden
Sprachbrücken auszunutzen und die
Sprachen trennen zu lernen.
Wäre es angesichts des globalen Trends in
Richtung Englisch als lingua franca nicht
vernünftiger, sich an Stelle einer Diversifizierung (approximative Kenntnisse in
mehreren Fremdsprachen) auf Englisch zu
konzentrieren und diese Sprache besser zu
lernen?
Auf keinen Fall. Englisch allein erfüllt
die sprachgemeinschaftsübergreifen15
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
den Kommunikationsbedürfnisse, gerade in der Schweiz, nur suboptimal
und trägt zur Verarmung der Landessprachen bei.
Wie steht es mit der Verwendung von Englisch und/oder mehrsprachigen Repertoires
im (beruflichen) Alltag?
Diese Kommunikationsformen sind
komplementär und sollten nicht gegeneinander ausgespielt werden.
Welche Konsequenzen ergeben sich aus
empirischen Untersuchungen über den
Sprachgebrauch für unsere Sprachvorstellungen?
Mehrsprachigkeit ist weit mehr als
eine blosse Addition von Kenntnissen
in Einzelsprachen, sondern bedeutet
eine sich ständig weiter entwickelnde,
integrierte Multikompetenz, welche
es uns erlaubt, den Herausforderungen
der modernen Welt optimal und dynamisch zu begegnen.
Fussnoten
In einer monoglossischen Gesellschaft wird
nur eine einzige Sprache gesprochen, in der
di- bzw. polyglossischen werden aufgrund eines gemeinsamen zugrundeliegenden
Sprachwertsystems die Varietäten funktional
unterschieden, in einer heteroglossischen
Gesellschaft fehlen geteilte Wertvorstellungen und Gebrauchsnormen.
2
Dylan war ein integriertes Projekt mit einer
Laufzeit von fünf Jahren, das innerhalb des
sechsten Rahmenprogramms der Europäischen Union gefördert wurde. Das Projekt
vereinte 19 Forschungseinrichtungen aus 12
europäischen Ländern. Ziel des Projektes war
es die Bedingungen zu identifizieren, unter
denen die Sprachenvielfalt Europas einen
Vorteil für die Entwicklung von Wissen und
Ökonomie darstellt. Für Details cf. http://
www.dylan-project.org und Berthoud, Grin
& Lüdi, 2012.
3
http://www.wesleycollege.net/Our-Community/Wesley-College-Institute/PublicEducation/Global-Language-Convention/
Presentations/~/media/Files/Wesley%20College%20Institute/Global%20Language%20
Convention/Alastair%20Pennycook.ashx
4
Wir berufen uns hier z. B. auf eine Theorie,
wonach ‚Sprache‘ bzw. ‚Grammatik‘ sich aus
1
16
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
dem Sprachgebrauch heraus entwickelt, die
sogenannte emergent grammar (Hopper, 1998;
Larsen-Freeman & Cameron, 2008).
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Georges Lüdi
ist emeritierter Professor für Französische
Sprachwissenschaft an der Universität Basel.
Seine Forschungsinteressen umfassen die Bereiche Spracherwerb, Mehrsprachigkeit,
Sprachpolitik sowie Sprache und Migration.
Er ist Präsident der Stiftung Sprachen und Kulturen.
Tema
Les besoins des entreprises
en compétences linguistiques
François Grin | Genève
What foreign or second language skills do employers need? This apparently straightforward question proves difficult to answer, for conceptual as well as empirical reasons. This short paper begins with an overview of the issue, showing that qualitative research on language use at
work, though necessary, is not sufficient to understand the processes
at hand. The paper then turns to the more or less “optimal” character
of language practices, before presenting survey data indicating that on
the Swiss labour market, companies appear to underestimate, or possibly to deliberately understate, the extent of their needs for foreign
language skills.
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Les besoins des entreprises: un champ
encore très mal connu
Le débat permanent sur le plurilinguisme (individuel) et le multilinguisme (sociétal) fait fréquemment référence aux besoins des entreprises
en matière de compétences linguistiques, et c’est
tout particulièrement vrai en Suisse.
Toutefois, ce débat souffre du fait qu’on connait
étonnamment mal la réalité de ces besoins. En
effet, les données font sérieusement défaut.
Certes, il existe une quantité d’études de terrain
sur l’utilisation des langues dans le contexte linguistiquement pluriel de telle ou telle entreprise.
Ces études, qui fournissent une observation détaillée des pratiques linguistiques d’acteurs donnés dans des situations spécifiques, nous permettent d’enrichir notre vision des processus de
communication. Cependant, elles ne suffisent pas
à dire quels sont les besoins des entreprises en
matière de compétences linguistiques. Il y a à
cela trois principales raisons:
r QSFNJÍSFNFOUFMMFTQSPQPTFOUFTTFOUJFMMFNFOU
des approches qualitatives – bien entendu nécessaires, mais insuffisantes pour tirer, à partir
des observations effectuées, des tendances générales;
r EFVYJÍNFNFOU MB QPQVMBSJUÊ EBOT EF MBSHFT
segments de la linguistique appliquée contemporaine, des études sur l’interaction orale, a
conduit à porter une attention nettement
moindre à l’écrit, alors que l’importance de
l’écrit, loin de s’estomper avec le développement des nouvelles technologies de l’information et de la communication (TIC), n’a fait
que se renforcer;
r USPJTJÍNFNFOU MPCTFSWBUJPO EF UFMMFT
PV
telle(s) pratique(s) n’est en général pas mise en
relation avec des questionnements économiques qui permettraient de faire le lien avec
les «besoins» des entreprises.
Ce troisième point mérite un commentaire plus
approfondi. Car s’il subsiste un décalage notable
entre les observations (qualitatives) des pratiques
multilingues et la connaissance des besoins des
entreprises, c’est parce que plusieurs phénomènes se liguent pour compliquer la chose. Ils
ont trait au statut des faits observés, qui est plus
ambigu qu’on pourrait le penser, et la section
suivante de ce texte examine ce problème de plus
près. La troisième et dernière section illustre
cette difficulté en partant de données récoltées
au cours de diverses études quantitatives réalisées
en Suisse sur la base d’enquêtes auprès des employeurs ou des employés.
L’ambiguité des faits observés
Supposons qu’on observe, dans l’entreprise X,
telle ou telle pratique langagière. Cela nous permet-il de conclure que cette pratique est le reflet
d’un besoin? Non, et cela pour diverses raisons.
Détaillons pour commencer un point strictement statistique déjà évoqué plus haut: ces observations, en tant qu’elles portent sur deux ou trois
cas, ne permettent pas de dire que tel ou tel phénomène, qu’on observe dans l’entreprise X ou
même dans deux ou trois entreprises (X,Y et Z),
vaudra pour «les» entreprises. Il est parfaitement
possible que cela soit vrai, mais il est également
17
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
possible que ce que l’on a observé constitue un cas particulier, voire
unique. En outre, même si l’on a des raisons convaincantes (fussentelles de simple bon sens), de penser que ce que l’on a observé dans
l’entreprise X est réellement le reflet de réalités largement répandues
(ce qui permet, jusqu’à un certain point, d’évacuer le problème de la
représentativité), il reste impossible de se prononcer sur l’ordre de
grandeur des phénomènes observés (par exemple, la fréquence de l’alternance codique par les acteurs). Car parler d’ordre de grandeur suppose qu’on se réfère à une tendance, à une valeur centrale ou moyenne.
Or le concept même de moyenne (la plus simple de toutes les statistiques) suppose un nombre minimal d’observations comparables et
valides, que les statisticiens situent en général aux alentours de 30. Endessous de 30 observations, pas de tendance générale.
Si, en outre, on n’a relevé aucune information sur les couts, le volume
de production, la productivité, le chiffre d’affaires, la part de marché,
le profit, ou quelque autre variable permettant de jauger la performance de l’entreprise au sens économique, il est clair qu’on ne pourra pas dire grand-chose sur les «besoins» des entreprises, car les besoins
n’apparaissent qu’en fonction des objectifs. Même la «communication» n’est qu’un moyen mis en œuvre pour atteindre un objectif économique de rentabilité ou de profit.
Cependant, il se pose également un important problème conceptuel.
Ce problème ne concerne pas que les études qualitatives sans référence aux variables économiques; il concerne les études économiques
elles-mêmes. Supposons donc qu’on dispose, sur les pratiques langagières en entreprise, d’observations représentatives en quantité suffisante. Supposons en outre – même si c’est rarement le cas – que ces
observations ne portent pas que sur les pratiques
langagières, mais aussi sur des variables économiques pouvant être mises en rapport avec ces
pratiques langagières en vue d’en inférer des régularités qui présentent un sens économique. Par
exemple, on peut vouloir tester l’existence et
l’ordre de grandeur d’une éventuelle relation
entre, d’une part, le degré de pratique, au sein de
l’entreprise, d’une langue de communication
unique et, d’autre part, l’évolution du nombre de
brevets déposés par l’entreprise.
Certes, on peut supposer que si telle pratique est
observée, c’est parce qu’elle est profitable. Par
conséquent, les compétences que le personnel ou
la direction d’une entreprise mettent en œuvre
dans telle ou telle pratique observée sont assimilables aux besoins des entreprises. Telle est du
reste l’hypothèse que retiendrait quasi-automatiquement un économiste, en faisant le raisonnement suivant: du fait de la concurrence entre les
différents producteurs, chacun a intérêt à adopter
la technologie la plus performante possible et à
appliquer la technique de production (c’est-àdire le dosage de différents facteurs) la plus coutefficace possible (et à l’échelle de l’entreprise, on
pourra se permettre de parler «d’efficience»,
même si ce terme renvoie en principe à des
conditions techniques plus complexes). Mais
outre que ceci suppose une concurrence très aiguë ainsi qu’une vive sensibilité des producteurs
à cette concurrence, cela suppose également que
les entreprises ne pourraient pas faire mieux que
ce qu’elles font (et que l’on observe). Pour le dire
en termes plus techniques, on aurait fait ici l’hypothèse que les entreprises se situent sur la frontière efficiente, appelée également frontière d’efficience – ou du moins pas très loin de celle-ci
– au sens du graphique ci-dessous.
Fig. 1: La frontière d’efficience
Bureau de télégraphie.
18
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Dans ce schéma, on a porté en abscisse les ressources engagées dans un processus productif (les
inputs). Par simplification, on exprime respectivement les inputs et les outputs sur un axe
unique, mais il est clair que les choses sont plus
complexes. Ainsi, du côté des inputs, les ressources engagées sont très diverses (temps, argent,
talent, compétences, etc.); cependant, l’impossibilité de représenter graphiquement des relations
situées dans l’hyperespace conduit, pour les besoins de l’analyse (comme dans n’importe quel
manuel d’économie, du reste), à les condenser en
cette variable composite qu’on nommera «input».
Plus d’input donne lieu à une production plus
élevée (ou à un niveau d’output plus élevé; au
lieu d’output au sens de «production», on peut
également retenir, comme mentionné plus haut,
un autre indicateur de la performance de l’entreprise). Cependant, en raison de la loi, fréquemment constatée, des rendements décroissants,
cette relation positive entre input et output est
positive, mais de façon de moins en moins nette,
d’où la concavité de la courbe apparaissant dans
ce schéma. Les différentes entreprises (A, B, C, D,
etc.) constituent autant d’observations qu’on
peut disposer sur ce schéma. Les entreprises observées se trouvent soit sur la frontière efficiente,
soit à proximité immédiate de celle-ci (celles qui
en seraient trop éloignées ne survivraient pas à la
pression de la concurrence: dans notre exemple,
l’entreprise G est candidate à une sortie du marché.)
Parmi les caractéristiques de chaque observation,
il y a des dimensions langagières; à première vue,
les observations (représentatives, en nombre suffisant, et combinant des informations sur les pratiques langagières et les variables économiques
pertinentes) permettraient de dire que ces pratiques langagières sont efficientes, puisque les entreprises se situent plus ou moins sur la frontière
d’efficience, et que les compétences mises en
œuvre dans le cadre de ces pratiques constituent
ipso facto les «besoins».
On peut en rester là si l’on admet que les entreprises ne peuvent pas faire mieux, ce qui suppose
qu’elles connaissent parfaitement leur propre
réalité, y compris le rôle des compétences linguistiques dans leur processus de production. Or,
comme on va le voir, ce n’est pas certain. Certes, la pression de la
concurrence va marginaliser les pratiques langagières radicalement
inefficaces. Mais la concurrence n’est pas partout – la concurrence
dite «parfaite» est même rarissime en-dehors des marchés financiers. Si
les monopoles au sens strict sont eux aussi peu fréquents, la plupart des
marchés se caractérisent par des structures oligopolistiques, voire cartellaires, dans lesquelles un petit nombre de producteurs peuvent s’entendre, fût-ce tacitement (cela ne signifie pas que la concurrence soit
totalement évacuée – à preuve, la banalité des cas de concurrence monopolistique, constellation dans laquelle un petit nombre d’entreprises
cherchent à différencier leur produit de manière à reconstituer, sur un
segment de marché rendu artificiellement distinct des segments voisins, une situation ressemblant au monopole).
Néanmoins, l’idée que la concurrence amènera immanquablement les
entreprises à opter pour le meilleur régime linguistique possible est
par trop optimiste. Il est donc possible que les pratiques observées ne
soient pas optimales; et même en situation de concurrence, il se peut
que les entreprises, en raison d’une information incomplète (et surtout si cette incomplétude les affecte toutes, en raison de représentations erronées mais largement répandues), soient loin de la véritable
frontière efficiente. De fait, celle-ci peut se situer au-delà de la frontière efficiente apparente qu’on peut déduire d’une observation du
réel: peut-être les entreprises pourraient-elles faire encore mieux en
modifiant leurs pratiques, y compris, pourquoi pas, en matière langagière; c’est la situation que symbolise la fig. 2 ci-dessous.
Fig. 2: Frontière d’efficience véritable
On voit donc que les pratiques observées ne sont pas forcément optimales, même si l’on dispose d’observations représentatives, en grand
nombre, dans un contexte concurrentiel.
Nous ne pourrons pas discuter de tous ces points ici, mais nous pouvons nous demander si les entreprises «savent ce qu’elles font» en matière de stratégie linguistique, et c’est la question vers laquelle nous
nous tournons dans la troisième et dernière section de ce texte.
19
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
D’une façon générale, les
compétences linguistiques en langues
«étrangères» sont plus souvent
utilisées qu’elles ne sont exigées, et
l’ordre selon lequel elles sont exigées
est légèrement différent de celui selon
lequel elles sont utilisées.
9%
29.
35.
33.8%
Anglais
18
%
.6%
.5
27
Français
.9%
9%
Allemand
6%
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Fig. 3: Utilisation («tous les jours ou presque») des langues
étrangères au travail
17
20
en ceci, aux services comme le conseil et placement de personnel,
l’électronique/informatique, l’économie/finance/assurances, l’enseignement et la recherche ainsi que le marketing. Enfin, en ce qui
concerne l’échelle d’activité, on constate sans grande surprise non
plus que c’est surtout dans les entreprises dont les activités et échanges
se déroulent au niveau international et, dans une moindre mesure, national que les langues étrangères sont le plus souvent utilisées. La fig. 3
indique le pourcentage de répondants basés dans les régions de langue
allemande, française ou italienne qui disent utiliser fréquemment le
français, l’allemand, l’italien et l’anglais au travail à titre de langues
étrangères ou secondes.
51.
Sur le caractère nécessaire des
compétences en langues étrangères
Une des façons de tester la mesure dans laquelle
les entreprises apprécient correctement le rôle
que les compétences linguistiques jouent dans
leur fonctionnement, c’est de comparer deux informations: d’une part, les exigences en la matière qu’elles formulent lors de l’embauche de
leurs employés; d’autre part, l’utilisation effective
des langues, qu’on peut approcher au travers des
déclarations de leurs collaborateurs basés dans les
différentes régions linguistiques. Certes, on sait
que ces déclarations sont largement tributaires
des représentations; mais en même temps, quand
on dispose de données représentatives sur des
échantillons de plusieurs centaines, voire plusieurs milliers d’individus, les représentations (et
les biais de déclaration qui peuvent les accompagner) commencent à se compenser mutuellement, permettant à une tendance centrale raisonnablement fiable de se dégager.
Les données récoltées dans des enquêtes successives sur les langues dans l’activité économique
en Suisse1 nous montrent que l’utilisation des
langues étrangères ainsi que les exigences en
termes de compétences linguistiques au sein de
l’activité professionnelle sont très différenciées
selon l’activité professionnelle, le secteur d’activité ainsi que l’échelle d’activité (internationale,
nationale ou locale), d’une façon moindre selon
le canton, la région économique ou encore la situation géographique par rapport à la frontière
linguistique, par exemple entre la Suisse romande
et la Suisse alémanique.
Sans grande surprise, on observe que l’utilisation
de langues étrangères (qu’il s’agisse de l’anglais et
de l’allemand2 en Suisse romande, de l’anglais et
du français en Suisse alémanique, de l’allemand,
du français ou encore de l’anglais en Suisse Italienne) est nettement plus répandue au sein de
catégories professionnelles dites supérieures
(cadres, patrons, professions libérales, fonctionnaires supérieurs) qu’au sein de professions
comme les ouvriers, les employés ou les fonctionnaires. De même, les secteurs orientés vers la
production (alimentaire, agriculture, métallurgie
et machinerie) ainsi que des secteurs comme le
transport, la santé et l’immobilier utilisent moins
les langues étrangères au quotidien et s’opposent,
51.8%
11.8%
Italien
Les langues «étrangères» les plus fréquemment utilisées sont le français
et l’allemand en Suisse italienne, et ce à des niveaux très proches.
Viennent ensuite le français et l’anglais en Suisse alémanique puis l’allemand et l’anglais en Suisse romande. L’anglais en Suisse italienne
ainsi que l’italien en Suisse alémanique arrivent quant à eux en queue
de peloton, juste avant l’italien en Suisse romande. Les activités professionnelles en Suisse italienne apparaissent très investies par les deux
autres langues nationales. La Suisse romande se distingue par des taux
relativement faibles par rapport aux deux autres régions linguistiques,
exception faite de l’utilisation de l’anglais, qui y est plus courante
qu’en Suisse italienne.
Le tableau est quelque peu différent si l’on s’intéresse aux exigences
en langues étrangères lors du recrutement, comme le montre la Fig. 4,
qui indique le pourcentage de répondants, dans les différentes régions
Fig. 5: différences entre taux d’utilisation et taux d’exigence ([%
d’utilisation] – [% d’exigence])
Allemand
linguistiques, auxquels on a demandé, lors de
l’embauche, des compétences en français, allemand, italien et anglais à titre de langues étrangères ou secondes.
%
4.9
8.2
+1
+1
%
7%
22.
17.
7%
15%
%
%
3.2
Français
4.7
3.3
+1
+36.6%
+10.9%
%
Italien
5.3
.2%
%
15
Français
+1
%
2.3
16.2%
8.9
Anglais
Allemand
Anglais
+2
Fig. 4: Exigences linguistiques lors du
recrutement
+1
%
+17.6%
15.2%
0.9%
Italien
D’une façon générale, les compétences linguistiques en langues étrangères sont plus souvent
utilisées qu’elles ne sont exigées. Par ailleurs,
l’ordre selon lequel les compétences linguistiques sont exigées est légèrement différent de
celui selon lequel elles sont utilisées. La langue la
plus exigée est l’allemand en Suisse italienne.
Viennent ensuite, à des taux relativement
proches, le français en Suisse alémanique, l’anglais en Suisse alémanique, l’anglais en Suisse romande, le français en Suisse italienne et l’allemand en Suisse romande. Enfin, les «parents
pauvres» sont l’anglais en Suisse italienne, l’italien en Suisse alémanique et l’italien en Suisse
romande (dans ce dernier cas, on recense moins
d’une embauche sur 100 où cette langue est exigée).
On peut mettre plus directement en évidence la
discrépance entre les deux informations en soustrayant du taux d’utilisation le taux d’exigence à
l’embauche; cette discrépance peut, a priori, être
interprétée comme un indicateur du «non-savoir», par les entreprises elles-mêmes, de l’importance du multilinguisme. Cette comparaison est
proposée dans la fig. 5.
Les langues pour lesquelles les différences entre utilisation effective et
exigence lors du recrutement sont les plus fortes concernent toutes
deux la Suisse italienne: il s’agit en effet des différences entre utilisation et exigences pour le français et l’allemand dans cette région linguistique. L’écart le plus faible concerne l’italien en Suisse romande. Il
est intéressant de constater qu’en la matière, les différences les plus
fortes renvoient aux langues étrangères les plus couramment utilisées,
tandis que les différences les plus faibles renvoient quant à elles aux
langues les plus rarement utilisées.
Ces résultats, de même que les considérations des deux sections qui
précèdent, doivent nous amener à la prudence: il nous reste encore
beaucoup à étudier avant de conclure que les entreprises «ont besoin»
de ceci ou de cela, et qu’elles sur- ou sous-estiment leurs besoins à
l’égard de telle ou telle compétence. Pour s’en convaincre, reprenons
l’apparente sous-estimation des besoins que nous venons de mettre en
évidence. Il est possible qu’il ne s’agisse pas là d’une sous-estimation,
mais bien d’une stratégie délibérée, de la part des entreprises, pour minimiser leurs couts: en effet, toute procédure de recrutement est couteuse, et le sera d’autant plus que les exigences posées sont spécifiques;
dès lors, il peut être rentable pour l’entreprise de ne pas exiger certaines compétences, même si elle sait pertinemment qu’elles seront
utiles, afin de ne pas exclure d’emblée des candidats potentiellement
intéressants, quitte ensuite à leur donner, dans le cadre d’une formation continue, les compétences requises pour leur poste3.Ces deux explications ne s’excluent cependant pas l’une l’autre, et peuvent même
se combiner avec une troisième: lors de l’embauche, une entreprise
romande peut fort bien exiger d’un candidat qu’il sache l’anglais, si
elle part du principe que c’est en anglais que le candidat, une fois
nommé, gèrera ses contacts avec des clients ou des fournisseurs en
Suisse alémanique. Dans ce but, elle lui aura demandé, lors de l’em-
21
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
bauche, de savoir l’anglais. Cependant,
une fois nommé, l’employé, s’il sait
aussi l’allemand, peut constater que
cette langue lui est utile – et s’en servir
effectivement – pour divers contacts
en Suisse alémanique, même si on ne
lui a pas demandé, lors de l’embauche,
de connaitre l’allemand. Des discrépances entre les exigences à l’embauche et les pratiques ultérieures
peuvent donc également naitre par ce
biais.
On se limitera donc ici à une conclusion au caractère provisoire: les compétences linguistiques sont assurément
nécessaires aux entreprises, qui les rémunèrent parfois fort bien; du point
de vue des acteurs individuels, l’investissement dans ces compétences se justifie en général sans difficulté. Mais
quant aux façons exactes dont cette
valeur apparait, et quant à la détermination de la nature précise des besoins
des entreprises en telle ou telle langue,
une certaine prudence s’impose, et un
regard approfondi, basé sur des études
quantitatives soigneuses, en partenariat avec une recherche qualitative rigoureuse, est aussi nécessaire que jamais.
Notes
Pour des informations détaillées sur les enquêtes en question, cf. Grin, F. (1999). Compétences et récompenses: la valeur des langues en
Suisse. Fribourg: Éditions Universitaires, et
Grin, F., Sfreddo, C. & Vaillancourt, F.
(2010). The Economics of the Multilingual Workplace. Londres/New York: Routledge.
2
Dans ce qui suit, la catégorie «allemand» inclut également le dialecte alémanique.
1
Gustave Caillebotte, Les raboteurs de parquets, 1875.
22
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Voir Grin, F. & Sfreddo, C. (2010). Besoins
linguistiques et stratégie de recrutement des
entreprises, in I. Behr, P. Farges, D.
Hentschel, M. Kauffmann & C. Lang (dir.),
Langue, économie, entreprise. Gérer les échanges.
Paris: Presses Sorbonne Nouvelle, pp. 19-40.
3
François Grin
est depuis 2003 titulaire de la chaire d’économie à la Faculté de traduction et d’interprétation de l’Université de Genève. Il est également professeur invité à l’Università della
Svizzera italiana. Il s’est spécialisé en économie des langues, économie de l’éducation et
évaluation des politiques publiques dans ces
domaines, où il est l’auteur de nombreuses
publications. Il est président de la Délégation
à la langue française de Suisse romande
(DLF).
Tema
Mobilität und Sprachen:
Eine Patentlösung gibt es nicht
Bettina Bichsel | Bern
Data la crescente internazionalizzazione del mercato del lavoro, la
formazione professionale deve prendere in considerazione il tema
della mobilità. Le conoscenze linguistiche e le competenze interculturali diventano sempre più importanti in molte professioni. Tuttavia,
nella formazione professionale l’apprendimento delle lingue straniere
e la mobilità oltre i confini linguistici e nazionali costituiscono ancora,
come nei decenni passati, un’eccezione: una situazione in netto contrasto con l’istruzione obbligatoria - e con l’offerta attuale e le condizioni agevolate. Nel 2011 fu siglato l’impegno della Confederazione, dei
Cantoni e delle organizzazioni del settore professionale, creando così
la base per la promozione della mobilità. S’intende trovare insieme
delle soluzioni per aumentare le attività di scambio e per promuovere
l’insegnamento delle lingue straniere nella formazione professionale e
agevolare la mobilità dei diplomandi delle scuole professionali a livello
internazionale per far beneficiare le aziende di professionisti che siano
ben preparati per l’economia globalizzata. Una soluzione unica che
vada bene per tutti non esiste: sono richieste iniziative specifiche,
ritagliate su misura per le esigenze di ogni settore.
Altri articoli su questo tema:
www.babylonia.ch >
Archivio tematico > Schede 14 e 15
Das Thema Mobilität hat in den letzten Jahren
auch in der Berufsbildung an Bedeutung gewonnen. Nicht nur, weil Fremdsprachenkenntnisse
und interkulturelle Kompetenzen in vielen Berufen immer wichtiger werden, sondern auch,
damit die Berufsbildung gegenüber der allgemeinen Bildung nicht an Attraktivität einbüsst.
Bei der Lancierung von Massnahmen stehen für
den Bund Freiwilligkeit und Bedürfnisorientierung klar im Vordergrund.
Verbundpartnerschaftliches Commitment
Bund, Kantone und Organisationen der Arbeitswelt (Verbundpartner der Berufsbildung) suchen
derzeit gemeinsam nach Lösungen, um den Berufsbildungsabsolventen die berufliche Mobilität
zu erleichtern und sie so möglichst optimal auf
den zunehmend internationalisierten Arbeitsmarkt vorzubereiten. Ein entsprechendes Com-
mitment hatten die Spitzen der Verbundpartner
an der Lehrstellenkonferenz 2011 abgegeben.
Ziel war und ist es, Mobilitätsaktivitäten wie
Sprachaustausche, Berufspraktika etc. zu steigern
und den Fremdsprachenunterricht an den Berufsfachschulen zu fördern.
Dass die Thematik in den vergangenen Jahren
bei den Berufsbildungsverantwortlichen verstärkt ins Bewusstsein gerückt ist, hängt vorab
mit der zunehmenden Internationalisierung der
Arbeitswelt zusammen. Fremdsprachenkenntnisse und interkulturelle Kompetenzen sind in vielen Branchen auf dem Arbeitsmarkt zunehmend
gefragt. Diese Entwicklung stellt auch an die Berufsbildung neue Anforderungen.
Hinzu kommt, dass sich in der allgemeinen Bildung bereits seit Jahren eine ausgeprägte „Mobilitätskultur“ etabliert hat. Austauschprogramme
wie Erasmus werden im Gymnasial- und Hochschulbereich rege genutzt. Die Berufsbildung
sollte hier den Anschluss nicht verlieren; insbesondere auch, damit sie für Leistungsstarke attraktiv bleibt.
Die gesetzlichen Grundlagen für die Mobilitätsförderung sind vorhanden (Vgl. Box auf S. 22).
Zudem gibt es bereits heute Initiativen und Ansätze, sowohl im Bereich von Austauschen als
auch beim Fremdsprachenunterricht in der
Schule. Und nicht zuletzt bietet die Mehrsprachigkeit in unserem Land beste Voraussetzungen.
All diese Chancen sollten, wo Bedarf besteht, genutzt werden.
Bilingualer Unterricht
Mehrere Kantone haben Projekte mit bilingualem Unterricht lanciert. Dabei werden – entweder im Fach- oder im allgemeinbildenden Unterricht – fachliche Inhalte in einer Fremdsprache vermittelt. Die ersten Erfahrungen sind
positiv. Das Mittelschul- und Berufsbildungsamt
23
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Anspruch und Wirklichkeit: Fremdsprachenunterricht als
Ausnahme
Wirft man einen Blick auf die Bildungspläne in der beruflichen Grundbildung, zeigt sich ein deutliches Bild. Unterricht in einer Fremdsprache findet in den wenigsten Berufen statt. Seit 2005 sind 180 neue
Bildungsverordnungen in Kraft getreten. Über 140 davon sehen keinen obligatorischen Fremdsprachenunterricht vor. Eine zweite Landessprache wird beispielsweise im Hotel- und Gastrobereich oder in
der Gesundheitsbranche unterrichtet. Insbesondere in technischen
Berufen steht Fachenglisch auf dem Stundenplan. Auch unter den
meistgewählten Berufen finden sich einige Ausbildungen (z.B. Kauffrau EFZ, Detailhandelsfachmann EFZ, Köchin EFZ, Informatiker EFZ
oder Polymechanikerin EFZ), in denen (vereinzelt sogar bis zu zwei)
Fremdsprachen Pflicht sind. Dennoch absolvieren die meisten Lernenden ihre berufliche Grundbildung ohne obligatorischen Fremdsprachenunterricht1. Das bedeutet auch, dass bei diesen Jugendlichen
nicht auf den Fremdsprachkenntnissen aufgebaut wird, die im Rahmen der Volksschule vermittelt worden sind. Die Lernenden haben
zwar die Möglichkeit, sprachliche Freikurse an der Berufsfachschule zu besuchen. Angesichts der ohnehin grossen Belastung, welche
die Ausbildung in Betrieb und Schule mit sich bringt, und angesichts
des Umstands, dass Freikurse oft zu Randzeiten oder an Samstagen
stattfinden, werden die Angebote jedoch meist nur beschränkt in Anspruch genommen. (Vgl. auch die Übersicht auf S. 26-27)
des Kantons Zürich beispielsweise hält in einer Broschüre zum bilingualen Unterricht fest2: „Da die Lektionenzahl an Berufsfach- und
Berufsmaturitätsschulen nicht ausdehnbar ist, ist ein solch kompaktes,
stundenplanneutrales Lernen effizient: In den drei oder vier Lehrjahren werden fachliche Inhalte und gleichzeitig die Fremdsprache gelernt.“ Zudem verstünden Lernende in zweisprachigen Klassen den
Stoff sogar häufig besser, da Inhalte und Wortschatz zwei Mal erarbeitet würden, in der Erst- und in der Zweitsprache.
Natürlich ist zweisprachiger Unterricht auch mit besonderen Anforderungen an die Lehrpersonen verbunden. Dennoch scheint hier Potenzial vorhanden. (Vgl. dazu den Beitrag von M. Miltschev in dieser
Nummer)
Austausche: Möglichkeiten auf verschiedenen Ebenen
Neben dem Fremdsprachenunterricht an den Berufsfachschulen steht
die Förderung von Mobilitätsaktivitäten wie Austauschen, Praktika
etc. im Fokus der verbundpartnerschaftlichen Bestrebungen. Dabei
gilt es zu beachten, dass bei solchen Aufenthalten nicht nur die Verbesserung der sprachlichen Fähigkeiten im Vordergrund steht (zumal dafür längere Aufenthalte nötig sind). Sie tragen vielmehr auch zur Persönlichkeitsentwicklung und Motivationssteigerung bei, fördern
Selbstständigkeit, Organisationsfähigkeit, interkulturelle Kompetenzen und ermöglichen einen Einblick in ein anderes betriebliches
Umfeld. Das sind wertvolle Erfahrungen für den weiteren Werdegang,
persönlich wie beruflich.
In einzelnen Branchen (z.B. Landwirtschaft, KV) haben Austausche
oder Sprachaufenthalte Tradition und sind Teil der Ausbildung. Es gibt
inzwischen zahlreiche Unternehmen, die ihre Lernenden während
24
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Rechtliche Grundlagen
Mit dem 2009 in Kraft getretenen Sprachengesetz (SpG) wurde der sprachpolitische Verfassungsauftrag konkretisiert. Art. 15 SpG hält
fest, dass „Bund und Kantone im Rahmen ihrer
Zuständigkeit die Mehrsprachigkeit der Lernenden und Lehrenden fördern“. Gemäss Art. 12
Abs. 2 der Berufsbildungsverordnung ist in den
Bildungsverordnungen der beruflichen Grundbildung „in der Regel eine zweite Sprache vorzusehen“ – ob eine zweite Landessprache oder
Englisch, ist nach den Bedürfnissen der jeweiligen Branche zu regeln. Die Bedürfnisorientierung bei der Sprachenwahl steht auch bei den
Angeboten der höheren Berufsbildung im Vordergrund – sei es bei eidgenössischen Berufsund höheren Fachprüfungen oder bei Bildungsgängen von höheren Fachschulen, die teilweise
in einer Fremdsprache durchgeführt werden.
oder nach der Ausbildung ins Ausland oder an einen anderen Standort in der Schweiz schicken.
Schulen, kantonale Behörden und auch die Verwaltungseinheiten des Bundes ermöglichen ihren Lernenden Aufenthalte in einer anderen
Sprachregion oder über die Landesgrenzen hinaus. Und schliesslich gibt es verschiedene – privat oder von der öffentlichen Hand finanzierte
– Programme zur Förderung der Mobilität. Dazu
gehören die nationalen und internationalen Programme, welche die ch Stiftung für eidgenössische Zusammenarbeit im Auftrag des Bundes
umsetzt. (Vgl. den Beitrag von T. Baudor in dieser Nummer)
Einen systematischen Überblick über alle Initiativen in diesem Bereich gibt es nicht, weshalb
auch keine genauen Aussagen über die Zahl der
Mobilitätsaktivitäten in der Berufsbildung gemacht werden können. Bei den bisherigen Arbeiten hat sich jedoch gezeigt, dass die Initiativen
meist nur punktuell bekannt sind. Auch das ist sicher mit ein Grund, weshalb – vor allem im Vergleich zum Gymnasial- und Hochschulbereich
– von einem bescheidenen Volumen auszugehen
ist. In einer vom Bund in Auftrag gegebenen Bestandsanalyse belaufen sich die Schätzungen für
den binnenstaatlichen Bereich auf jährlich 300
bis maximal 1200 Austausche3. Das sind weniger
als 1.0 Prozent aller Lehrverhältnisse.
Die Analyse brachte weitere interessante Erkenntnisse. Seitens der Unternehmen erfolgt die Organisation der
Austausche meist ohne fremde Hilfe.
Zudem stehen die befragten Berufsbildnerinnen und -bildner Austauschen grundsätzlich positiv gegenüber.
Wenn es um die konkrete Umsetzung
geht, äussern sie allerdings aus organisatorischen Gründen gewisse Bedenken.
Allgemein hat sich im Rahmen der
bisherigen Arbeiten gezeigt, dass die
Komplexität der Berufsbildung als Erschwernis betrachtet wird. In der beruflichen Grundbildung erfordert die
Ausgestaltung der Ausbildung in Betrieb, Berufsfachschule und überbetrieblichen Kursen einen erhöhten
Koordinationsaufwand. Hinzu kommt,
dass die Betriebe für die Dauer des
Austausches auf die Lernenden verzichten müssen. Je nach Unternehmensgrösse kann dies problematisch
sein.
Branchenspezifische Lösungen
gefragt
Im Nachgang zur Lehrstellenkonferenz 2011 wurden Ansätze gesucht,
wie der schulische Fremdsprachenerwerb gefördert und das Volumen von
Mobilitätsaktivitäten erhöht werden
können. In einem verbundpartnerschaftlichen Projekt wurden entsprechend vier Handlungsfelder definiert4:
r Definition von Modellen zur
Durchführung von Mobilitätsaktivitäten mit dem Ziel, Unternehmen, Verbände, Schulen und andere
potenzielle Initianten zu animieren,
selbst Projekte zu lancieren. Grundlage bilden Best-Practice-Beispiele,
d.h. bestehende oder abgeschlossene
Projekte, die sich in der Umsetzung
bewährt haben.
r Förderung des bilingualen Unterrichts auf Basis der bisherigen positiven Erfahrungen. Im Zentrum
steht der interkantonale Austausch
sowie die Qualifizierung von Lehrkräften für den zweisprachigen Unterricht.
r Information und Sensibilisierung
über bestehende Möglichkeiten,
wobei insbesondere auch Projektträger und -teilnehmende als Botschafter eingesetzt werden sollen.
r Ergänzende Finanzierung: Der
Bund gewährt im Rahmen seiner
Projektförderung nach Art. 54/55
BBG Anschubfinanzierung für geeignete Initiativen. Damit steht neben den Mitteln, welche die ch Stiftung im Bereich der nationalen und
internationalen Bildungs- und Jugendprogramme verwaltet, eine
weitere Möglichkeit zur Unterstützung von innovativen Projekten zur
Verfügung.
In den jüngsten Diskussionen zeigte
sich deutlich, dass dem Thema „Mobilität“ in der Berufsbildung nach wie
vor sehr unterschiedliche Bedeutung
beigemessen wird. Das ist verständlich
– angesichts der verschiedenen aktuellen Herausforderungen in der Berufsbildung, der Arbeitsbelastung, welche
die Ausbildung für Lernende und Berufsbildungsverantwortliche mit sich
bringt, und nicht zuletzt angesichts
der Komplexität des Berufsbildungssystems an sich.
Eine Patentlösung gibt es deshalb
nicht. Und schon gar nicht zielführend wären regulatorische Eingriffe
wie ein flächendeckendes Obligatorium für Fremdsprachenunterricht oder
Austauschaktivitäten. Gefragt sind
vielmehr spezifische, passgenaue Initiativen, die sich vorab an den Bedürfnissen der einzelnen Branchen orientieren. Freiwilligkeit steht im Vordergrund.
Übergeordnet braucht es ein koordiniertes Vorgehen zwischen Bund,
Kantonen und Verbänden, um die
Rahmenbedingungen zu optimieren,
den Austausch zu fördern und das 2011
abgegebene Commitment zu festigen.
Auf der operativen Ebene braucht es
aber vor allem auch das individuelle
Engagement von Berufsbildungsverantwortlichen, Unternehmen,Verbänden, privaten wie öffentlichen Institutionen, sowie – nicht zuletzt – von
den Lernenden. Gute Beispiele müssen weiter Schule machen. Nur so
kommt der Prozess richtig ins Rollen.
Nur so kann es gelingen, eine eigentliche ‚Mobilitätskultur‘ zu etablieren.
Eine Entwicklung, die für die Berufsbildung wichtig ist, um in einer internationalisierten Arbeitswelt als Karrieresprungbrett zu dienen und auch von
ambitionierten Jugendlichen als attraktiver, zukunftsträchtiger Ausbildungsweg wahrgenommen zu werden.
Anmerkungen
Der Regierungsrat des Kantons Bern 2011
in seiner Antwort auf einen parlamentarischen Vorstoss zum Schluss, dass der Unterricht in einer oder zwei Fremdsprachen nur
für einen Drittel aller Lernenden obligatorisch ist. (vgl. Postulat 243-2010 „Bili –
Mehrsprachiger Unterricht an Berufsfachschulen“).
2
Vgl. Mittelschul- und Berufsbildungsamt
Zürich (2012). Fit for Life: „bili – Zweisprachiger Unterricht an Berufsfach- und Berufsmaturitätsschulen im Kanton Zürich.
3
Vgl. Landert>Partner (2012). Binnenstaatliche Sprachaustausche und Mobilität in der beruflichen Grundbildung, Zürich.
4
Vgl. SBFI/Res Publica Consulting AG
(2012). Stossrichtungen zur Förderung der Mobilitätsaktivitäten und des schulischen Fremdsprachenerwerbs, Bern.
1
Bettina Bichsel
arbeitet als Projektverantwortliche in der
Abteilung berufliche Grundbildung und
höhere Berufsbildung des Staatssekretariates
für Bildung, Forschung und Innovation
(SBFI). Sie ist unter anderem verantwortlich
für die nationale Lehrstellenkonferenz und
koordiniert die Tätigkeiten des SBFI im Bereich Mobilität.
25
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Tema
Fremdsprachenlandschaft Berufliche
Grundbildung: eine Übersicht und ein Beispiel
Gianni Ghisla | Lugano
Gemäss einer Übersicht des Staatssekretariats für
Bildung Forschung und Innovation (SBFI) vom
Oktober 2012 präsentierte sich die Situation des
Fremdsprachenunterrichts in der beruflichen
Grundbildung wie aus folgender Tabelle: Von
den über 180 in 22 Bereichen aufgeteilten Berufen sehen deren 37 in der Bildungsverordnung
einen Pflichtunterricht in einer Fremdsprache
vor. Englisch (oder Fachenglisch) wird für 19
vorgeschrieben, 17 lassen die Wahl zwischen
Englisch oder einer zweiten Landessprache, und
in einem Fall wird Französisch verlangt. Eine
Fremdsprache gehört demnach in ca. 20 % der
Berufe zum Lehrplan.
Allerdings muss auch betrachtet werden, dass in
einigen weiteren Berufen der sogenannte bilinguale Unterricht (Bili) praktiziert wird, sodass
etwa über 60 Berufe (ca. 30%) in den Genuss irgendeiner Form von Fremdsprachenunterricht
kommen. Freilich wird Bili v.a. im Kanton Zü-
Edgar Degas, Les repasseuses, 1884.
26
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
rich praktiziert (vgl. dazu den Beitrag von M.
Miltschev in dieser Nummer) und fast ausschliesslich in Englisch angeboten, mit wenigen
Ausnahmen, etwa Deutsch im Tessin. Ferner
kommt Bili hauptsächlich im Allgemeinbildungsunterricht zum Zuge und in einigen Fällen
auch im Fachunterricht.
Damit wird für die berufliche Grundbildung
zweierlei deutlich:
r &TJTUFJOF.JOEFSIFJUEFS#FSVGFXFMDIFPGfenbar aus kommunikativem oder fachtechnischem Anlass einen Fremdsprachenunterricht
in irgend einer Form verlangen.
r &OHMJTDIC[X'BDIFOHMJTDIJTUEJFXFJUBVTEPminante Sprache, während die Landessprachen
sozusagen als kleine Flecken in weniger als 20
Berufen vermutlich dort überleben, wo sich
noch Lehrkräfte leidenschaftlich dafür einsetzen.
Bereich
Beruf (EFZ)
Pflichtfremdsprache
1
2
3
Natur
Nahrung
Gastgewerbe
4
5
Textilien
Schönheit/Sport
Englisch oder zweite LS
Englisch
Englisch oder zweite LS
Englisch oder zweite LS
Englisch oder zweite LS
6
7
8
9
10
11
12
Gestaltung, Kunst
Druck
Bau
Gebäudetechnik
Holz, Innenausbau
Fahrzeuge
Elektrotechnik
13
Metall, Maschinen
14
Chemie, Physik
15
16
Planung, Konstruktion
Verkauf
17
Wirtschaft,Verwaltung
18
19
Verkehr, Logistik
Informatik
20
Kultur
21
Gesundheit
Hotelfachmann/-frau
Koch/Köchin
Restaurationsfach-mann/-frau
Technologe/-gin
Fachmann/-frau Bewegungs- und Gesundheitsförderung
Polygraf/in
Automatiker/in
Elektroniker/in
Multimediaelektroniker/in
Telematiker/in
Formenbauer/in
Polymechaniker/in
Uhrmacher/in
Uhrmacher Praktiker/in
Chemie- u. Pharmatechnologe/in
Kunststofftechnologe/in
Laborant/in
Physiklaborantin
Konstrukteur/in
Buchhändler/in
Detailhandelsfachmann/-frau
Detailhandelsassistent/in (EBA)
Drogist/in
Fachmann/-frau Kundendialog
Pharma-Assistent/in
Kaufmann/-frau (B-Profil)
Kaufmann/-frau (B-Profil)
Informatiker/in Applikation
Informatiker/in Support
Informatiker/in Systemtechnik
Informatiker/in Generalist
Mediamatiker/in
Bühnentänzer/in
Fachmann/-frau Information u. Dokumentation
Veranstaltungsfachmann/-frau
Augenoptiker/in
Dentalassistent/in
Medizinische/r Praxisassistent/in
37
22 Bildung, Soziales
Total
Englisch und zweite LS
Fachenglisch
Fachenglisch
Fachenglisch
Fachenglisch
Fachenglisch
Fachenglisch
Englisch
Englisch
Englisch u. Fachenglisch
Fachenglisch
Englisch u. Fachenglisch
Fachenglisch
Fachenglisch
Englisch oder zweite LS
Englisch oder zweite LS
Englisch oder zweite LS
Französisch
Englisch oder zweite LS
Englisch oder zweite LS
Englisch oder zweite LS
Englisch und zweite LS
Englisch
Englisch
Englisch
Englisch
Englisch und zweite LS
Englisch
Englisch und zweite LS
Fachenglisch
Englisch oder zweite LS
Englisch oder zweite LS
Englisch oder zweite LS
E (+Fachenglisch): 19
E oder zweite LS: 13
E und zweite LS: 4
Französisch: 1
27
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Pharma-AssistentInnen: Ein Beispiel (noch) wenig genutzter
Möglichkeiten
Die Ausbildung der PharmaassistentInnen geht von einer Bildungsverordnung aus, die am 14.12.2006 in Kraft getreten ist und angesichts
der Berufsanforderungen die lokalen Landessprachen und die Fremdsprachen stark aufgewertet hat. Der Unterricht in einer Fremdsprache, Englisch oder einer zweiten LS, erfolgt auf der Basis eines Lehrplans, der nach dem CoRe-Ansatz entwickelt wurde1. Konkret bedeutet dies, dass im Verlaufe der dreijährigen Ausbildung, das Niveau
B1 des GER erreichen sollen und dabei erwerben sollen:
a) allgemeine Kenntnisse und Fähigkeiten gemäss GERS,
b) berufsspezifische Kenntnisse und Fähigkeiten nach dem vorgegebenen Kompetenzprofil des/der PharmaassistentIn,
c) kulturelle Kenntnisse. Die Lehrperson wählt je nach Sprache angemessene kulturelle Inhalte aus, die so weit wie sinnvoll die Mehrsprachigkeit und Multikulturalität der Schweiz berücksichtigen.
Für den Unterricht stehen gesamthaft 200 Stunden zur Verfügung, 80
im ersten, 40 im zweiten und 40 + 40 im dritten Schuljahr. Um die
kulturellen Kenntnisse zu fördern, wird im dritten Lehrjahr ein Austausch, z.B. in Form eines Praktikums, in einer Apotheke einer anderen Sprachregion, sehr empfohlen. Um diese Absicht zu fördern, sieht
der Lehrplan ein Gefäss von 40 Stunden vor, wobei „die Berufsfachschule einen solchen Austausch im 5. Semester (optimal anfangs 3.
Lehrjahr, evtl. Ende 2. Lehrjahr) unterstützt. Das Einverständnis der
Apothekerin, des Apothekers ist Voraussetzung. Die Suche nach einer
passenden Apotheke und Unterkunft ist Sache der Lernenden, die mit
der Unterstützung der Schule rechnen können.”
Unterdessen haben bereits drei Jahrgänge ihre Ausbildung als PharmaassistentInnen nach der neuen Bildungsverordnung abgeschlossen,
was den zuständigen Verband pharmaSuisse dazu bewogen hat, eine
Evaluation durchzuführen. Dabei wurden u.a. auch die PharmaassistentInnen direkt befragt, auch zu den Erfahrungen mit dem Fremdsprachenunterricht und insbesondere zur Möglichkeit eines Sprachaufenthaltes (Vgl. die Fragestellung in der nachstehenden Tabelle).
Wie aus der Tabelle ersichtlich, haben lediglich 154 PharmaassistentInnen auf die Umfrage geantwortet, weshalb die Resultate nicht repräsentativ sein können, es aber dennoch erlauben, zumindest Mutmassungen zur effektiven Praxis von Sprachaufenthalten anzustellen.
Es fällt einmal auf, dass all jene (etwa 14%) , die
einen Sprachaufenthalt hatten, dies durchwegs
positiv erlebten (was die allgemeinen Erfahrungen mit Sprachaufenthalten bestätigt). Auch haben einige Schulen offensichtlich von der Möglichkeit Gebrauch gemacht, für alternative Angebote zu sorgen, und so zur kulturellen
Bereicherung der Lernenden beigetragen. Hingegen fällt ein Grossteil der Antworten negativ
aus, weil die Schulen nichts organisiert haben
oder gar, weil die Lernenden über diese Möglichkeit nicht einmal Bescheid wussten.
Es muss daran erinnert werden, dass im Bildungsplan die Organisation eines Sprachaufenthaltes lediglich empfohlen wird. Und doch ist es
frappant, wie vermutlich eine sehr grosse Anzahl
oder gar die Mehrheit der Schulen sich kaum
dafür einsetzt, dass die Lernenden solche Möglichkeiten ausnützen können. In diesem Zusammenhang sind vermutlich auch Lehrkräfte gefordert. Die Schaffung von günstigen Bedingungen
für einen Austausch oder für ein Praktikum ist
nämlich relativ aufwendig. Freilich, wenn der
Unterricht darauf ausgerichtet wird, kann man
offensichtlich auch bemerkenswerte Resultate
erzielen. Es ist aber auch zu bedenken, dass solche Sprachaufenthalte v.a. dann realistisch sind,
wenn eine zweite Landessprache (und nicht
Englisch) unterrichtet wird.
Anmerkungen
Sämtliche Dokumente, insbesondere auch der Lehrplan
Fremdsprache, sind auf der Homepage von pharmaSuisse
abrufbar: http://www.pharmasuisse.org/de/bildung/
Pharma-Assistentin/Seiten/Arbeitsunterlagen.aspx. Zum
CoRe-Ansatz siehe auch dr Beitrag von G. Ghisla zur
«Situationsdidaktik» in dieser Nummer.
1
„Der Fremdsprachenunterricht sieht die Möglichkeit eines Aufenthalts in einer anderen Sprachregion (z.B. als Austausch)
oder einer besonderen sprachlich-kulturelle Erfahrung vor. Geben Sie bitte darüber Auskunft.
Antwortmöglichkeit
Abs.
%
Die Berufsfachschule hat nichts organisiert und ich hatte weder einen Sprachaufenthalt noch eine andere Erfahrung machen können
57
37
Berufsfachschule hat alternative Angebote im Bereich Fremdsprache organisiert (Theaterbesuche, Kino etc.)
14
9
Ich hatte einen Aufenthalt in einer anderen Sprachregion und diesen positiv empfunden
21
14
Ich hatte einen Aufenthalt in einer anderen Sprachregion und diesen negativ empfunden
0
Ich wusste nicht, dass es diese Möglichkeiten des Fremdsprachenlernens gibt
48
31
Anderes
15
10
154
100
28
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Tema
Die Berufsbildung Post öffnet Türen
Kilian Schreiber | Bern
La Posta, presente su tutto il territorio nazionale, dispone di condizioni
pressoché ottimali per favorire gli stages in una regione linguistica diversa. L’azienda fa degli sforzi di rilievo in questa direzione, offrendo ai
propri apprendisti anche la possibilità di recarsi all’estero, ad esempio
in Inghilterra, Francia o Germania, e cerca di non lasciare nulla al caso,
grazie tra l’altro ad una preparazione specifica in vista dell’esperienza.
L’autore del contributo si sofferma però anche sul fatto che la formazione professionale non concede che scarso spazio all’insegnamento
delle lingue e sulla necessità di rafforzare le lingue nazionali. A queste
riflessioni fa da corollario l’intervista con un’apprendista che ha fatto
uno stage a Londra.
Altri articoli su questo tema:
www.babylonia.ch >
Archivio tematico > Schede 13 e 15
Die berufliche Mobilität gewinnt an Bedeutung.
Die Anforderungen an die sprachlichen und interkulturellen Kompetenzen der Berufsleute
steigen. Die Berufsbildung Post mit ihren über
2000 Lernenden fördert den Austausch über
Sprach- und Landesgrenzen hinweg.
Den Lernenden stehen zwei Möglichkeiten offen: Sie können sich für ein Praktikum in einer
anderen Sprachregion der Schweiz bewerben.
Oder sie absolvieren gar einen Einsatz bei Konzerngesellschaften der Post im Vereinigten Königreich, in Deutschland oder bei der französischen Post.
Die Lernenden werden auf ihre Einsätze gut
vorbereitet. Die Zahl der Stagiaires soll in den
nächsten Jahren wachsen.
Interkulturelle Kompetenzen wichtig
In praktisch allen Berufen ist heutzutage interkulturelle Kompetenz gefragt. Und zwar auch
dort, wo wir es auf den ersten Blick vielleicht gar
nicht erwarten: Etwa bei einem Paketzusteller
der Post im Kanton Zug, der es auf seiner Tour
mit vielen Expats der dort niedergelassenen Firmen aus aller Herren Länder zu tun hat. Oder bei
der Detailhandelsfachfrau aus Genf, die während
eines einzigen Arbeitstages Menschen mit verschiedenstem kulturellem Hintergrund begegnet.
Die Schweizerische Post bereitet als Lehrbetrieb
die jungen Menschen auf diese Realität vor.
Junge Menschen trainieren beispielsweise in
Aufenthalten in einem anderen Landesteil oder
im Ausland eine ganze Reihe von Kompetenzen.
Sie überwinden Hemmungen in einer für sie
noch ungewohnten Welt und lernen den Umgang mit anderen Kulturen und Sprachen. Im
Vordergrund steht dabei nicht in erster Linie der
perfekte Spracherwerb. Das wäre angesichts der
zum Teil kurzen Stages auch eine unrealistische
Vorstellung. Zentrale Ziele sind die Förderung
der Toleranz sowie die Stärkung des Selbstbewusstseins.
Die Rückmeldungen der jungen Berufsleute bestätigen, dass auch in relativ kurzer Zeit ihr
Selbstbewusstsein tatsächlich gestärkt werden
konnte. Und was ebenso wichtig ist: Die jungen
Leute bekommen Lust auf mehr. Auf mehr Austausch. Und auf mehr Sprachunterricht!
Mauerblümchen Sprachunterricht
Im Gegensatz zu den Mittelschulen fristet der
Sprachunterricht an Berufsfachschulen ein Mauerblümchen-Dasein.
In vielen Berufen, etwa bei den angehenden Logistikern, gehört eine Fremdsprache nicht zum
obligatorischen Unterricht. Allenfalls besteht die
Möglichkeit, sich höhere Sprachkompetenzen in
Freifächern anzueignen.
Diese Situation erhöht die Hemmschwelle von
Lernenden für einen Stage in einem anderssprachigen Gebiet. Die Erfahrungen der Post zeigen,
dass die Stagiaires zu Beginn über Sprachkompetenzen auf Niveau A2 des europäischen Sprachenportfolios verfügen sollten. Wenn diese Bedingung nicht erfüllt ist, werden die Lernenden
vom Sprachaufenthalt kaum profitieren.
29
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Landessprachen stärken
In einigen Berufen, etwa bei den Detailhandelsfachleuten, gehört der Erwerb von Sprachkompetenzen nach wie vor zum obligatorischen
Schulstoff. Hier stellt die Schweizerische Post als
Lehrbetrieb fest, dass nicht in allen Gegenden
der Schweiz gewährleistet ist, dass die Fremdsprache im obligatorischen Angebot eine Landessprache ist. An Genfer Berufsfachschulen gehört Deutsch nicht mehr zum Pflichtstoff und
Französisch wird in Teilen der östlichen Deutschschweiz nicht mehr gelehrt. Und die dritte Landessprache Italienisch hat sowohl in der deutschen als auch in der französischen Schweiz einen schweren Stand.
Das ist nicht etwa nur aus Gründen des landesweiten Zusammenhalts bedauerlich, sondern
auch ein Mangel im Hinblick auf die Arbeitsmarktfähigkeit der jungen Berufsleute. Denn
gute Kenntnisse in einer anderen Landessprache
sind schlicht und einfach am Arbeitsplatz gefragt.
Eine zweite Landessprache ist im Alltag wichtiger als Englisch. Zumindest in den meisten Fällen.
Pragmatische Ansätze im Fokus
Lernende absolvieren im Rahmen ihrer Ausbildung ein festgelegtes Programm.
Neben der Ausbildung im Betrieb besuchen die
jungen Berufsleute die Berufsfachschule und zusätzlich eine Reihe von so genannten überbetrieblichen Kursen.
Es ist wichtig, dass durch den Aufenthalt kein
Unterrichtsstoff verloren geht.
Die Berufsbildung Post plädiert für pragmatische
Lösungen und hat mit diesen bereits gute Erfahrungen gesammelt. Gerade in der mehrsprachigen Schweiz bieten sich hier einzigartige Möglichkeiten. In allen Sprachregionen der Schweiz
werden dieselben Inhalte vermittelt.
Lernende an der Sprachgrenze können beispielsweise einige Tage pro Woche in der anderen
Sprachregion arbeiten und den Unterricht in ihrer Muttersprache an der Berufsfachschule am
ursprünglichen Lernort besuchen. Diese Art von
Austausch könnte auch während einem oder
Vincent van Gogh, Le postier Joseph Roulin, 1888.
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
mehreren Semestern stattfinden, ohne die Erreichung der Lernziele
zu gefährden. Eine Lernende aus Solothurn hätte keinerlei Mühe, den
Unterricht an der Berufsfachschule dort zu besuchen und während
des Rests der Woche in Neuenburg zu leben, zu arbeiten und in die
französische Kultur einzutauchen. Die Fahrt mit dem ICN von Solothurn nach Neuenburg dauert lediglich 33 Minuten.
Ein Austausch im Ausland wird in der Regel während der Ferien der
Berufsfachschule organisiert, damit es keine Konflikte mit dem Ausbildungsprogramm der Lernenden gibt.
Die Berufsbildung Post engagiert sich
Die Berufsbildung Post engagiert sich auch künftig dafür, dass ihre
Lernenden noch vermehrt interkulturelle Erfahrungen sammeln, damit die entsprechenden Kompetenzen erhöhen und sich so Vorteile
auf dem Arbeitsmarkt sichern können.
Kilian Schreiber
Jahrgang 1965, arbeitet als Projektleiter bei der Berufsbildung der Schweizerischen Post. In dieser Funktion hat er
seit 2006 bedeutende Vorhaben in der schweizerischen
Berufsbildungslandschaft geleitet. Nach seinem Studium
der Geschichte und Politikwissenschaft war Kilian
Schreiber ab 1993 zunächst im Kanton Bern bei Stadt
und Kanton Bern tätig. Seit 1999 arbeitet Kilian Schreiber bei der Schweizerischen Post in verschiedenen Funktionen im Personalmanagement beziehungsweise in der
Berufsbildung.
Erfahrungen einer Lernenden
Linda Jordi wohnt in Sigriswil und arbeitet in Thun. Sie ist 19-jährig und hat bereits Erfahrungen in La Chaux-de-Fonds und London gesammelt. Wir haben mit Linda Jordi gesprochen.
Wie sind Sie auf die Idee gekommen, in einer anderen Sprachregion zu arbeiten?
Unser Regionalleiter hat per Mail gefragt, wer einen Austausch in der Romandie machen will. Ich hatte sofort Interesse, von der französischen Seite wollte leider niemand
nach Thun kommen. Schliesslich konnte ich in La Chaux-de-Fonds drei Wochen bei der
Schwester eines Briefträgers aus unserem Team wohnen und bei der Post arbeiten.
Was hat Ihnen der Aufenthalt gebracht?
Es ist zuerst einmal eine tolle Erfahrung, sehen zu können, wie es die anderen machen. Ich habe ziemliche Unterschiede festgestellt, gerade auch im postalischen Geschäft. Zudem war es für mich auch eine willkommene Abwechslung in meiner Ausbildung.
Dann haben Sie auch einen Einsatz in England gemacht?
Ja, ich konnte für zwei Wochen bei der Post Konzerngesellschaft Swiss Post UK in London mitarbeiten. Auch das hat meinen
Horizont erweitert und mir neue Einblicke und Bekanntschaften ermöglicht. Gearbeitet habe ich übrigens bei der BBC, der
weltberühmten Radio- und Fernsehanstalt.
Haben die drei- bzw. zweiwöchigen Aufenthalte auch Ihre Sprachkompetenzen verbessert?
Auf jeden Fall. Ganz in der Sprachregion zu sein, nimmt einem die Hemmungen. Schulisch war ich in Englisch nicht sehr gut.
Durch einen früheren zweimonatigen Aufenthalt in England konnte ich aber ziemlich fliessend Englisch sprechen und so waren interessante Gespräche möglich. Französisch spreche ich etwas weniger gut, aber wenn man vor Ort ist, bleibt einem
nichts anderes als frisch von der Leber weg zu sprechen.
Sie sind kurz vor Abschluss ihrer Berufsausbildung zur Logistikerin. Was haben Sie danach im Sinn?
Ich kann 60 Prozent bei der Post weiterarbeiten und besuche während zweier Jahre die Berufsmaturitätsschule.
31
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Tema
From curriculum to classroom: designing and
delivering courses in workplace communication
Patricia Pullin | Yverdon-les-Bains
Cet article s’interroge sur l’intérêt d’adopter une approche systématique dans le développement de programmes d’études. Même si ce
processus est de nature pratique, il fait aussi appel à la recherche sur
le développement de programmes d’études, à l’enseignement et à
l’apprentissage des langues ainsi qu’à la communication professionnelle. Le modèle que nous avons utilisé montre l’importance d’une analyse des besoins. Il implique initialement une analyse de la situation
ou du contexte dans lequel l’enseignement aura lieu. Puis il la met en
relation avec des questions à la fois locales et globales qui pourraient
avoir un impact sur les besoins des apprenant-e-s, comme par exemple
la diversité croissante sur le lieu de travail et le besoin qui en résulte
de connaissance de soi et d’aptitude à s’adapter à d’autres cultures.
Pour illustrer ce processus, on donnera des exemples concrets empruntés à deux cours de Workplace Communication donnés au Centre
de langues de l’Université de Zürich et de l’EPFZ. Un cours s’adressait
à des étudiant-e-s avec un bon niveau d’anglais mais pas d’expérience
professionnelle. Le second regroupait du personnel spécialisé avec un
anglais un peu rouillé mais qui éprouvait un besoin urgent de communiquer avec des étudiant-e-s ou des membres du personnel venant de
contextes linguistico-culturels différents.
Plus d’articles sur ce thème:
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Archives thématiques > Fiche 15
Introduction
Drawing on examples from two courses in Workplace Communication that were run in 2012 at
the Language Center of the University of Zurich
and ETH Zurich, this article considers the practical benefits of taking a research-informed approach to course development. Workplace Communication is sometimes equated with Business
English, however, these courses were for specialist
staff in the ETHZ Safety, Security, Health and the
Environment Unit (SSHE), and University and
ETH students studying a range of subjects, but
not necessarily business or economics. As neither
a standard business curriculum nor published
Business English teaching materials were appropriate to meet their needs, the courses were developed from scratch, based on a systematic and
principled, research-informed approach to course
development.The process, which has relevance to
32
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
the development of any course, involved drawing
on published research on curriculum development and on research carried out on the use of
languages in companies and other organisations.
Adopting a research-informed approach does not
mean that the teacher has to be a researcher, but
s/he can draw on relevant research as and when
necessary, thus gaining valuable and grounded insights into course design in terms of individual
language learning and teaching, for example with
regard to the importance of frequency in choosing lexis and of regularly recycling items taught.
On another level, the employers’ perspective increasingly emphasises the need to work in teams,
which implies having not only an adequate range
and mastery of language, but also adaptability and
sensitivity towards others based on an awareness
of self and “different others” in a world of increasing diversity.The research is wide ranging, yet reference to just a few key publications can be helpful. In their short and straightforward book on the
subject, Nation & Macalister (2010: 11) note that:
“Curriculum design is in essence a practical activity”. As such, it is both relevant and accessible
to hands-on teachers and although situations and
needs differ from one context to another, the
principles and process can be applied to the development of any course.
Thus, to illustrate the generic process of curriculum design, I refer to a model for course development I derived from Richards (2001) and the
work of a colleague at the University of Zurich
Teaching and Learning Center, Balthasar Eugester.
It is also worth considering terminology as the
terms “curriculum” and “syllabus” are used differently in different contexts. In this article, “syllabus” refers to the content of a given course
(Richards, 2001) and “Curriculum development”
to “planning and implementation, from needs
analysis, situation analysis, setting of aims and
outcomes, course design, delivery and assessment.” (Ibid., 2001: 41).
A principled Approach to Curriculum Development
Adapted from Richards, J. (2001). Curriculum Development in Language and developed
based on work with Bathazar Eugester, University of Zurich Hochschuldidaktik.
Situation or Context
Firstly, “Situation” or “Context” is often considered with regard to a
specific workplace or group of learners. This is also the case here.
However, given the considerable change in terms of globalization and
resulting international mobility and diversity in the workplace, it is
important to look beyond the immediate context and consider resulting implications concerning language use on a wider range of levels.
In the case of the courses referred to here, relevant points include the
use of English as a lingua franca in a multilingual context and immediate needs to use English effectively with colleagues from diverse linguistic and cultural backgrounds, for example from Asia. At an institutional level, quality initiatives both within the University and the Language Center encourage the development of courses based on
empirical research.
Courses and Participant Profiles
The two courses comprised firstly, a tailor-made course, designed at
the request of the Director of the ETHZ SSHE Unit. It was one of a
number of courses provided for the Unit and included eighteen 1.5
hour sessions held in the organisation’s offices over a period of 18
months. Five members of staff followed the course and all were Swiss
German. Apart from one person who spoke French and used it regularly in her work, the others used only English and German for their
work. Each participant was a specialist in one of the unit’s fields of activity. Their work covered a range of activities including training provided on the use of dangerous chemicals, setting up security procedures, e.g. for the evacuation of buildings, developing and monitoring
environmental policy and, in one case, working shifts as a security
guard and dealing with incidents at the Alarm Center. All five participants in the class had a reasonably high level of English (B2.2-C1 on
the Common European Framework of Reference - CEFR). They
could all be described as “middle aged”, although
covering a broad range of years!
The second course was a course entitled “Advanced Workplace Communication” and was on
the standard English programme for Bachelor
and Master students at the Language Center.The
course comprised fourteen weekly sessions over
one semester. All of the students were C1 or C2
on the CEFR and most in their twenties. Their
mother tongues or first languages included: German (both from Switzerland and Germany), Romansch, Lithuanian and Russian. Two were bilingual, German and Spanish, and German and
Danish. Some, but not all, had work experience
in a range of contexts, but only one had a professional background as a lawyer, before starting
studying again. Of the 10 students analysed here,
in the initial needs analyisis two mentioned one
other language alongside English, but the majority gave three or four languages in addition to
their mother tongues. The additional languages
included French, Italian, Spanish and Russian.
The students were mainly studying at Master’s
level, although two were Bachelor students and
their subjects included, Architecture, Business
Administration, Chemistry and Business Administration, Economics, Law, Mathematics, Medicine and Political Science. This mix in itself provided many opportunities for interdisciplinary
communication, in addition to considering cultural differences reflected in their backgrounds.
Needs Analysis and Aims
Nation & Macalister (2010) point out that needs
analysis should consider what course participants
already know and what they need to know to
fulfill specific learning outcomes defined as a result of the analysis. A principled approach to
course design should ensure that elements to be
covered in the course are relevant and useful for
the learners, thus also ensuring that return on
time invested is profitable.
Given the very different target groups in the
courses included here, the approach to needs
analysis was considerably different. The students
assessed their own language level, using the
CEFR or previous official examination results,
e.g. Cambridge Proficiency, and enrolled on a
voluntary basis, having read the detailed on-line
description of the course. Needs analysis for the
33
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
student course was guided, firstly, by the teacher’s
own research into workplace communication in
companies, and teaching experience, and secondly, by published research on employers’ needs
(e.g. Crossing & Ward, 2002). After the first lesson, the students were also given an opportunity
to write about their linguistic and cultural backgrounds and give reasons for following the
course. One example of reasons included the following:
“My goal is not to speak perfectly English but the
ability to understand people and be understood by
people. This course is a wonderful opportunity to
make a further step in that direction and also become more aware of the challenges related to nonEnglish speakers and multilingual workplace settings. Talking to Russian and Chinese students I’ve
realised that I have less communication problems
than native speakers who are not used to interact
with non-native speakers.”
The first step in the needs analysis for the ETHZ
SSHE Unit involved interviewing the Director
of the ETH Unit who gave an overview of the
Unit’s needs and her expectations. The staff then
took a commercial on-line placement test and
filled in a questionnaire. A draft syllabus consisting of an outline of areas to cover was drawn up
and fine-tuned after discussion with the participants at the first lesson.
Whilst the students had little or no experience in
the so-called “real world” and needed to focus on
appropriate and effective communication in
English, the ETH staff, as experienced communicators, used to dealing with difficult situations
in an increasingly multicultural environment,
had considerable sensitivity to “different others”,
but needed to “brush up” and build on latent
knowledge, expanding their range of language,
notably to gain automaticity and confidence in
using English.
Based on the needs analyses, the following objectives were set:
r IBWFFYQBOEFEUIFJSWPDBCVMBSZJOSFMBUJPOUPXPSLBOEJNQSPWFE
their grammatical range and accuracy
r IBWFJODSFBTFEBXBSFOFTTPGUIFJSTUSFOHUITBOEXFBLOFTTFTJOUFSNT
of linguistic competence and communication skills, and be able to
set further learning goals.
Staff Course Learning Outcomes
By the end of the course, participants will:
r IBWFEFWFMPQFEëVFODZDPOêEFODFBOENPSFFĄFDUJWFDPNNVOJDBtion skills in spoken English
r JODSFBTFEUIFJSBDDVSBDZBOEBXBSFOFTTPGBQQSPQSJBDZJOXSJUJOHF
mails
r CFBXBSFPGUIFJSTUSFOHUITBOEXFBLOFTTFTJO&OHMJTIBOECFDBQBCMF
of setting and achieving further learning aims.
The next step in the process was then Syllabus Design and Course
Planning.
Syllabus Design, Course Planning and Delivery
Initially, a simple list of essential items was drawn up to comprise the
syllabus. These were then ordered and developed into teaching units.
Assessment can also be considered at this stage as it will relate to the
teaching approach and course content. There are many different syllabus types, which may focus more or less on aspects of language such
as grammar or lexis, or be based on functions or themes, or particular
genres such as academic papers or business reports. Some syllabi also
have tasks incorporated in them, although it is rare to find an entirely
task-based syllabus. In fact, many syllabi are eclectic in that they draw
on a number of threads to best meet the learners’ needs.
In the case of the courses considered here, the student course was
largely task-based with the whole course being organized around a
project, which is described below. Nevertheless, there was a grammar
thread (mainly dealt with as self-study outside the classroom), focusing on grammar points that tend to cause advanced learners problems,
e.g. present perfect and simple past. Themes such as Teamwork, English as a lingua franca, and Corporate Culture were also on the syllabus
list and practical activities such as conducting and participating in
meetings and making telephone calls were included.
Student Course Learning Outcomes
By the end of the course, students will:
r CFBCMFUPXSJUFTUSBJHIUGPSXBSEFNBJMTBOEFGfective, well structured reports
r CFBCMFUPQMBOBOEEFMJWFSBQSFTFOUBUJPOJO
English
r IBWF HBJOFE DPOêEFODF JO VTJOH &OHMJTI JO
communicating with people of different backgrounds and levels of hierarchy
Gustave Caillebotte, Les peintres en bâtiment, 1877.
34
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Curriculum development, syllabus and
course design is an area where
practice can and should meet theory,
without teaching staff feeling
burdened by distant theorists, but
where all can benefit.
The staff course was more traditional in that
there was a clear grammar thread that ran
thoughout the course and grammar work was
undertaken in class and regularly recycled. This
was mainly as accuracy in written work was necessary, for example for texts appearing on the
website. Vocabulary was also an important element in the course, particularly in developing
automaticity. Work on presentations and practising participants’ own training sessions in class related to real productive needs, whilst also allowing the integration and practice of both grammar
and lexis. The teacher provided texts relating to
the participants’ fields of work, for example action in case of bomb threats or accidents in labs.
These texts proved motivating and were used for
discussions, jigsaw reading and summarizing activities. Wherever possible, authentic tasks were
integrated into the course, e.g. writing and editing circular e-mails regarding safety training or
health issues, and improving the website.
In working on syllabi, it is important to avoid
“cluttering”, i.e. being overambitious on what
can be covered in the time available. Nation and
Macalister (2010: 7) state that: “… it is important
for the curriculum designer to keep some check
on vocabulary, grammar and discourse to make
sure that important items are being covered and
repeated. Frequency is clearly important for lexis,
as are lists of grammatical structures representing
research findings on learning order. Richards
(2001: 151) refers to “spiral sequencing”, noting
that “This approach involves recycling of items
to ensure that learners have repeated opportunities to learn them.”
Two examples of differences in approach and activities in the two courses that resulted from different needs and participant profiles are outlined
below. Firstly, a key thread running through the
student course was the development of sociopragmatic and intercultural competence, including focus on self-awareness and the need to adapt
to others. Socio-pragmatic competence can be
related to Crystal’s (1997) definition of pragmatics:
“… the study of language from the point of view of
users, especially of the choices they make, the constraints they encounter in using language in social
interaction and the effects their use of language has
on other participants in the act of communication.”
In the workplace, there are constraints, which students may be unaware of, for example with regard to hierarchy, and cultural differences
relating to social norms or the different ways politeness is enacted.
Seeing how such theoretical topics translated into practice was a particularly valuable aspect of the course.
The Student Project
It is notoriously difficult to enact truly authentic communication in a
classroom, so the project was organized to give students access to professionals in a range of external contexts. These people were chosen
and contacted by the teacher before the beginning of the course, and
agreed to be interviewed by pairs of students. They included a medical doctor, a professor of economics, high-level administrative or technical staff, and executives from international companies. A journalist
from ETHZ also made a presentation on interviewing people and
presenting findings effectively. All external correspondence was reviewed by the teacher and different styles and approaches reviewed.
The students were given complete freedom to conduct the interview,
although the main focus was on the interviewees’ career paths and
what the students could learn from them. Practical questions arose
such as how to address the professor or whether to use first names
with managers in international companies. Dealing with very busy
high flyers meant that the stakes were high and this created a need to
communicate appropriately and effectively, both in writing and orally.
Individual Learning Plans for the Staff
An important feature of the staff course was the development of individual self-study plans to help the participants to integrate English
into their very busy daily lives and focus on the learning process in a
systematic way. Having identified needs on an individual level and discussed the concept of individual learning plans and the learning process, the participants drew up their own plans based on the following
underlying principles. The individual learning plans should be:
r systematic: to allow regular extensive exposure to the language and
regular opportunities to use the language and reflect on the learning
process
r individualized: to allow for differences in linguistic levels, backgrounds, and learning styles and preferences
r ëFYJCMF
to allow for periods when there is no time to open a book, but
activities such as listening and work-related reading can be continued
to allow for study in different places, e.g. listening in the car on
the way to work or on public transport
35
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
r progress oriented: to create awareness of ways of measuring and reviewing progress, e.g. reading a difficult article or listening to a podcast
once, and then again after a period
of time to be able to gauge a difference in comprehension.
The plans themselves included a range
of very different approaches from formal timetables with time set aside at
different periods for “study” during
the week, for example to read a workrelated article and spend some time
actively noticing and noting relevant
and useful vocabulary, or working on
grammar points in need of revision, to
listening to audio books in the car
during a 45-minute commute. Reading ranged from Harry Potter to specialist journals on security and the environment. University websites of
similar organizations in both English
and non-English speaking countries
proved relevant and motivating.
The learning plans tended to be overambitious at the outset, but after revision became an integral part of the
participants’ lives. English almost became a hobby for two of the class
members, who spent time in their holidays working on it.The plans were reviewed at the beginning of each lesson
for a while and then just from time to
time.They played an important role in
the gradual, but considerable, progress
that was achieved during the 18
months of lessons.
Assessment and Evaluation
In the staff course, there was no formal
assessment, although regular mini-tests
and exercises were given in class. Feedback on the course was positive, notably concerning the development of
confidence and autonomy in using
English for work. For the students, the
oral assessment was a presentation of
what they had learnt from their
interviews. The written examination
was in the form of a report. For a
‘mock’ test the students wrote a report
to the teacher on the project. This required diplomacy in putting forward
suggestions for improvement, whilst
also emphasizing the strengths of the
course. It gave valuable insights to the
teacher, for example, many students
initially failed to see the value of the
project, and suggestions included
clearer instructions, an overview of the
process at the outset, and examples of
outcomes. Still, all students felt they
had learnt a lot from the projects, e.g.
the value of writing and analyzing authentic e-mails and thus developing
their own individual styles and sensitivity towards the reader. The final
written test was a proposal nominating
two lecturers or professors for an
award for excellence in teaching. This
was a topic they could all relate to and
realistic in their context.
Conclusions and further
applications
Finally, the process outlined here underlines the importance of identifying
learners’ real needs, both in terms of
language development and in relation
to how they need or will need to use
the language in authentic workplace
contexts. In current times of change,
curriculum development or renewal is
an on-going process. Indeed, at the
time of writing, the results of a major
needs analysis at the University of Zurich and ETHZ Language Center are
currently being analysed. This wideranging study included working with
the HR Departments of both institutions regarding the needs of administrative and technical staff for workplace communication.
In conclusion, curriculum development, syllabus and course design is an
area where practice can and should
meet theory, without teaching staff
feeling burdened by distant theorists,
yet where all can benefit.
References
Crystal, D. (ed.) (1997). The Cambridge Encyclopedia of Language (2nd ed.). New York: Cambridge University Press.
Crossling, G. & Ward, I. (2002). Oral communication: the workplace needs and uses of
business graduate employees. English for Specific Purposes, 21, 41-57.
Nation, I. & Macalister, J. (2010). Language
Curriculum Design. New York and Oxford:
Routledge.
Richards, J. (2001). Curriculum Development
in Language Teaching. Cambridge: Cambridge
University Press.
Patricia Pullin
Patricia Pullin’s background is in TESOL and
she has a PhD in Applied Linguistics from the
University of Birmingham. She is a discourse
analyst and the focus of her research is interaction and politeness in workplace contexts.
Until the end of 2012 she was Head of English at the Language Center of the University
of Zurich and ETH Zurich, and is now Head
of English and Co-ordinator for International Relations at the School of Business and
Engineering Vaud, University of Applied Sciences Western Switzerland. She also works as
a consultant in companies and jointly teaches
a course on Teaching in English in non-English speaking environments for the University
of Zurich Center for University Teaching
and Learning.
Eugène Atget, Chiffonier, 1899.
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Tema
Berufsbildung: Mehrwert durch Austausch
Tibor Bauder | Solothurn
Pendant longtemps, la place de l’échange dans la formation professionnelle a été fonction des besoins de quelques professions. La
situation a changé au cours de ces dernières années: l’échange est à
présent considéré comme un facteur important de gestion ciblée de la
capacité concurrentielle de la formation professionnelle et de l’économie. Depuis 2011, la mise en œuvre des échanges dans la formation
professionnelle est partie intégrante de la mission de la Fondation ch
pour la collaboration confédérale. Conjointement avec les partenaires
de la formation professionnelle, la Fondation ch veille à ce que les
apprentis soient en prise directe avec la réalité pratique dans une autre
langue. L’intérêt ne cesse d’augmenter, au même titre que le nombre
de projets gérés par la Fondation ch, en Suisse et à l’étranger. Les
formateurs adoptent, quant à eux, une certaine retenue lorsqu’il s’agit
de réalisation concrète: ils souhaitent en effet connaître l’utilité réelle
de l’échange, tant pour eux que pour les entreprises. Pour promouvoir
l’échange dans la formation professionnelle, il est indispensable de se
pencher sur ces questions. L’article suivant montre comment la Fondation ch et ses partenaires y travaillent. La Fondation ch informe sur des
projets d’échange réalisés; des formateurs expérimentés montrent la
plus-value des échanges; informations pratiques à l’appui, p. ex. sur
l’organisation de l’échange (forme, période, durée), la Fondation ch
apporte un soutien plus poussé à la promotion des échanges.
Plus d’articles sur ce thème:
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Archives thématiques > Fiches 13 et 15
1. Auf zum Austausch
„Mir war es wichtig, dass unser Lernender eine
Chance nutzt und seine fachlichen Kompetenzen, Sprach- und Menschenkenntnisse erweitert.
Ich möchte durch die Austauschförderung von
Lernenden das Berufsbild Fahrradmechaniker/
in sowie unseren Ausbildungsbetrieb attraktiver
machen“1. Dieses Statement eines Berufsbildners
enthält die zentralen Motive, die auch Verbundpartner2 der Berufsbildung auf interkantonaler
und Bundesebene für die Unterstützung von
Austausch3 nennen: Lernende sollen – auf freiwilliger Basis – ihre beruflichen, sprachlichen
und kulturellen Kompetenzen während der beruflichen Grundbildung erweitern können.
Lehrbetriebe, Berufe und die Berufsbildung ins-
gesamt gewinnen mit Austauschangeboten an
Attraktivität bei der Rekrutierung und Ausbildung des beruflichen Nachwuchses.
Austausch soll allen Lernenden offenstehen und
mit verschiedenen Zielen verbunden sein, wie
z.B. Talentförderung, Motivationssteigerung für
eine Fremdsprache sowie Belohnung für besonders engagierte Lernende.
1.1 Austausch in neuem Fokus
Austausch in der Berufsbildung ist nicht neu.
Aufenthalte in anderen Betrieben und Sprachgebieten sind in einigen Bildungsverordnungen
verankert. Neu ist hingegen, dass Austausch in
der Berufsbildung
r CSFJUEJTLVUJFSUVOEBVGLBOUPOBMFSJOUFSLBOUPnaler und Bundesebene gefördert wird, basierend auf der eidgenössischen Berufsbildungsund Sprachengesetzgebung.
r BMT XJDIUJHFS 'BLUPS HFOBOOU XJSE NJU EFN
sich gezielt auf die Wettbewerbsfähigkeit der
Berufsbildung und der Schweizer Wirtschaft
hinarbeiten lässt. Berufsleute mit guten
Sprachkenntnissen und Sensibilität für andere
Kulturen sind gefragt.
r (FTJDIUFS CFLPNNU ¾CFS &SGBISVOHFO WPO
Lernenden und Berufsbildnern mit Austausch
berichten Print- und Onlinemedien. Die Erlebnisberichte lenken die Aufmerksamkeit aufs
Thema und unterstützen die Planung und
Umsetzung von Austauschprojekten.
Den Impuls gesetzt für diese Entwicklungen haben zwei parallele aber eng verzahnte Ereignisse
im Jahr 2011:
r 4FJUƇƅƆƆCFTUFIUEBT"OHFCPUEFSCJOOFOTUBBUlichen4 und europäischen Bildungs-, Berufsbildungs- und Jugendprogramme. Deren Umsetzung gehört zu den Aufgaben der ch Stiftung
für eidgenössische Zusammenarbeit5. Für die
Berufsbildung können die Angebote und
37
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Dienstleistungen der Programme Piaget6 (Austausch innerhalb der Schweiz) und Leonardo
da Vinci (Austausch in Europa) genutzt werden.
r %JF7FSCVOEQBSUOFSEFS#FSVGTCJMEVOHIBCFO
sich anlässlich der Lehrstellenkonferenz 20117
darauf geeinigt, Austausch und Mobilität in
der Berufsbildung zu fördern. Die Resultate
von zwei Studien zum europäischen und binnenstaatlichen Austausch (SBFI 20138) dienten
der Erarbeitung so genannter Stossrichtungen
zur Förderung der Mobilität9. Die darin enthaltenen Massnahmen zur Umsetzung wurden
von der Lehrstellenkonferenz 2012 verabschiedet und an der Verbundpartnertagung 2013 10
ausführlich diskutiert. Die zugrunde liegenden
Leitgedanken sind auf einen langfristigen Prozess ausgerichtet, der eine Mobilitätskultur in
der Berufsbildung befördern soll. Zur konkreten Umsetzung ist beim Bund ein Konzept in
Arbeit.11
Die ch Stiftung bringt sich aktiv in die Förderung von Austausch in der Berufsbildung ein. Als
Botschafterin für Austausch arbeitet sie mit den
Verbundpartnern eng zusammen und ist in unterschiedlichen Gremien präsent. An Veranstaltungen, bei Präsentationen, in Publikationen
usw., wirbt sie für Austausch. Das zeigt Wirkung:
Die Thematik ist bei vielen Akteuren inzwischen
gut bekannt und anerkannt. Die Zahl der Austausche in Europa und innerhalb der Schweiz
nimmt zu. Die Erfahrungen engagierter Berufsbildner und Lernender stossen auf Interesse. Beispiele erfolgreich umgesetzter Austauschprojekte
werden nachgefragt.
1.2 Gemischte Gefühle in der Berfusbildung
Die Ergebnisse der erwähnten Studie zum binnenstaatlichen Austausch bestätigen das Interesse
von 90% der erfassten Berufsbildner an Austausch für Lernende. Die Berfusbildner sind der
Meinung, der Mehrwert des Arbeitsplatzwechsels in eine andere Sprachregion gehe weit über
das Üben einer zweiten Landessprache hinaus.
Gleichzeitig reagieren Berufsbildner zurückhaltend auf die direkte Frage: „Möchten Sie ein
Austaschprojekt unterstützen?“ (SBFI 2013, 6).
Das hat zwei Gründe:
r #FUSJFCMJDIF7PSBVTTFU[VOHFO LÕOOFO FT FSschweren, Lernenden einen Aufenthalt in einer anderen Sprachregion zu ermöglichen
oder Lernende aufzunehmen. Solche Gründe
sind in der Studie des SBFI zum binnenstaatlichen Austausch ausführlich diskutiert.
38
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
r 'FIMFOEF&SGBISVOHNJU"VTUBVTDIMÅTTU#FSVGTCJMEOFS[ÕHFSO%JFT
zeigen Fragen wie etwa:Welche Austauschangebote bestehen? Welche Unterstützung gibt es? Welche Ziele können mit Austausch
verbunden und erreicht werden? Wie ist Austausch mit dem engen
zeitlichen Rahmen der beruflichen Grundbildung vereinbar? Wie
lässt sich Austausch organisieren?
Immer wieder genannt wird eine Frage, die klare Erwartungen signalisiert: In welchem Verhältnis stehen Aufwand und Ertrag für Lernende und Betriebe? Oder: Was hat der Betrieb von seinem Engagement
für Austausch?
Bei genauem Hinsehen muss das Interesse an Austausch zunächst als
Interesse an der Klärung der eben genannten Fragen gelesen werden.
Der Artikel zeigt nachfolgend an drei aktuellen Entwicklungen, wie
Austauschförderung seit 2011 die Information und Unterstützung für
Berufsbildungsverantwortliche verbessert:
r Sensibilisierung und Netzwerk: Das zunehmende Engagement
der Kantone fördert die Sensibilisierung für Austausch nahe an der
Praxis und den Bedürfnissen der Berufsbildner. Austausch wird verstärkt zum Thema der inter- und intrakantonalen Zusammenarbeit.
r Umsetzung und Mehrwert: Aufbereitete Praxisbeispiele belegen
die Umsetzbarkeit von Austausch in der Berufsbildung und zeigen
den Mehrwert für Lernende und Betriebe auf.
r Werkzeugkiste: Der Ausbau einer Sammlung von erfahrungsbasierten Unterlagen unterstützt Berufsbildner und Lernende bei der
Vorbereitung und Umsetzung von Austausch.
Im Fokus der folgenden Ausführungen ist die nachgewiesene grosse
Zahl v.a. von Berufsbildnern in Lehrbetrieben, die über keine eigenen
Erfahrungen mit Austausch in der Berufsbildung verfügen, deren betriebliche Voraussetzungen ein Engagement aber erlauben würden.
Ihnen gegenüber stehen Berufsbildner, die seit Jahren v.a. sprachregional etablierte Angebote nutzen (z.B. xchange), auf die in diesem Beitrag nicht eingegangen werden kann. Lehrpersonen an Berufsfachschulen haben eine wichtige Rolle bei der Information von Lernenden und bei der Unterstützung von Austauschprojekten.
Der Artikel stützt sich auf Austauschbeispiele aus der Schweiz und
orientiert sich in erster Linie an den Unterstützungsbedürfnissen für
die Umsetzung von Austausch zwischen den Sprachregionen im Lande. Je nach Destination kann die Bewertung der Frage von Aufwand
und Nutzen unterschiedlich ausfallen, zumal die Vorbereitung bzw.
das Antragsverfahren für Austauschprojekte mit europäischen Partnern spezifischen Support erfordern. Abgesehen davon können die
folgenden Überlegungen auch Berufsbildungsverantwortliche ansprechen, die an Austauschprojekten ausserhalb des Landes interessiert
sind. Der Kasten im Anschluss an diesen Artikel geht speziell auf die
Möglichkeiten für Austausch in Europa ein.
2. Sensibilisierung und Netzwerk: Ausrichtung auf die
Bedürfnisse in der Praxis
Die Entwicklungen auf interkantonaler und nationaler Ebene sowie
die zunehmende Austauschdynamik in der Berufsbildungspraxis ver-
Was hat der Betrieb von seinem
Engagement für Austausch?
anlasst Kantone zu unterschiedlichen
Massnahmen: Einige Kantone (z.B.
Luzern, Zürich) arbeiten an entsprechenden Konzepten. Andere Kantone
haben die Zuständigkeit für das Austauschdossier von den Bildungsdepartementen an die für Berufsbildung zuständigen Ämter delegiert. Damit soll
den spezifischen Bedürfnissen der Bildungsstufen Rechnung getragen werden. Wenige Kantone profitieren von
eigenen Fachstellen für Austausch. Als
interkantonale Organisation unterstützt die ch Stiftung die Kantone aktiv, denn sie nehmen bei der Förderung von Austausch in der Berufsbildung aus verschiedenen Gründen eine
Schlüsselrolle ein:
r %JF,BOUPOFMFOLFOEJF"VGNFSLsamkeit der Berufsbildungsverantwortlichen auf das Austauschthema.
r %JF4FOTJCJMJTJFSVOHEFS#FSVGTCJMEner und Lehrpersonen ist wichtig:
Berufsbildungsverantwortliche informieren den beruflichen Nachwuchs über Angebote. Sie motivieren die Lernenden. Sie unterstützen
die Vorbereitung und Umsetzung
von Austauschprojekten.
r %JF "VTUBVTDIGÕSEFSVOH JO EFO
Kantonen verlagert den Fokus von
strategischen Überlegungen auf die
konkrete Umsetzung. Abgestimmt
auf kantonale Gegebenheiten und
lokale Bedürfnisse können Schwerpunkte gesetzt werden. In den Zuständigen Ämtern sind Ansprechpersonen benannt, die die Anliegen
der Berufsbildungsverantwortlichen
vor Ort kennen.
r *OGPSNBUJPOVOE#FSBUVOHLÕOOFO
dezentral über eingespielte Netzwerke und vertraute Kommunikationskanäle erfolgen. Dies ist für die
Unterstützung von Austauschprojekten in der Schweiz und in Europa zentral.
r /JDIU[VMFU[UFOUTUFIUEVSDILBOUPnale und lokale Vernetzung wichtiges
Knowhow rund um Austausch. Erfahrene und interessierte Berufsbildner sowie Lernende können in Kontakt treten, über sprachliche, kantonale und Landesgrenzen hinweg.
3. Umsetzung und Mehrwert:
Austausch bringt Nutzen
Werden Berufsbildner zum ersten Mal
mit der Frage konfrontiert, ob sie einen
Lernenden aus einer anderen Sprachregion in ihrem Betrieb aufnehmen, ist
die Reaktion meistens zurückhaltend.
Dass Lernende im Austausch ihre fachlichen und sprachlichen Kompetenzen
erweitern und Selbständigkeit entwickeln, ist weitgehend unbestritten. Jedoch besteht v.a. Zweifel am Mehrwert
für den Betrieb: Was bleibt dem Betrieb, wenn der Gast wieder abgereist
ist? Zudem fehlt vielen Berufsbildnern
der gesicherte Nachweis der Umsetzbarkeit. Die Zurückhaltung der Berufsbildner ist teilweise auch persönlich begründet. Eine Berufsbildnerin, die aufgrund ihrer Fremdsprachenkenntnisse
unsicher ist, ob sie die Lernende aus der
Romandie betreuen kann, ist erleichtert, dass die Kommunikation in
Deutsch möglich ist.
Berufsbildner, die das Experiment
zum ersten Mal wagten, einen Lernenden in ihrem Betrieb aufzunehmen und zu betreuen, ziehen am Ende
mehrheitlich eine positive Bilanz. Mit
anderen Worten: Der Mehrwert stellt
sich mit der Umsetzung ein, rechtfertigt den Aufwand und schmälert die
Skepsis.
Was benennen Berufsbildner bei der
Auswertung von Austauschprojekten
konkret als Mehrwert für den Betrieb?
Sie begrüssen die Abwechslung von
der Routine, die der Aufenthalt eines
Gastes mit sich bringt. Die eigenen
Lernenden und Mitarbeitenden interessieren sich für den Gast, stellen Unterschiede zwischen der Herkunftsund Gastregion fest und bauen Vorurteile ab. Die daraus entstehende
Dynamik in der Belegschaft stärkt die
Motivation und den betrieblichen
Zusammenhalt. Berufsbildner interessieren sich insbesondere für die betrieblichen Unterschiede und vergleichen Ausbildungsinhalte und -organisation. Dies regt zu Reflexionen und
allenfalls Anpassung des eigenen Vorgehens an. Reaktionen von Kunden
und Geschäftspartnern die das Engagement anerkennen, fördern das
Image und tragen zum positiven Fazit
bei. Lernende kehrend aus dem Austausch motiviert in ihren Lehrbetrieb
zurück, ihre Leistungsbereitschaft
steigt, sie sind persönlich gereift und
können flexibler eingestzt werden, z.B.
bei Kontakten mit fremdsprachigen
Geschäftspartnern oder Kunden. Die
Diskussion zum Mehrwert liesse sich
anhand weiterer betriebsbezogener
Statements fortsetzen. Deutlich wird
aus den Beispielen: Betriebe profitieren von Austausch. Ob Austausch aus
Imagegründen zu unterstützen oder
damit die Attraktivität des Betriebs für
leistungsfähigen beruflichen Nachwuchs (Stichwort Talentförderung) zu
steigern, zum Erfolg führt, wird sich in
Zukunft zeigen.
4. Werkzeugkiste:
Erfahrungsbasierte
Unterstützung für Projekte
In der Diskussion mit Verbundpartnern und Berufsbildungsverantwortlichen wird oft der Wunsch nach unterstützenden Dokumenten geäussert.
Gemeint ist eine Art „Werkzeugkiste“, die Instrumente enthält, um Projekte zu zimmern. Exemplarisch wird
nachfolgend auf zwei Instrumente
eingegangen: Praxisbeispiele und Austauschmodelle.
4.1 Praxisbeispiele: Umgesetzte
Projekte verbreiten
Praxisnahe Umsetzungsbeispiele in
aufbereiteter Form – beispielsweise
bebilderte Berichte über umgesetzte
Austauschprojekte mit eingearbeiteten Statements der Beteiligten (z.B.
Lernende, Berufsbildner im Lehr- und
Gastbetrieb, allenfalls Gasteltern) –
werden als nützliche Unterstützung
geschätzt. Sie finden vor allem dann
Beachtung, wenn sie berufsspezifisch
glaubhaft machen, dass Austausch in
der beruflichen Grundbildung praktikabel ist. Zu einzelnen umgesetzten
Projekten innerhalb der Schweiz ste-
39
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
hen Praxisbeispiele online12 zur Verfügung. Lernende sowie Berufsbildner aus Lehr- und Gastbetrieben berichten über ihre Ziele und
Erfahrungen mit Austausch, schildern Schwierigkeiten und zeigen
den Mehrwert auf. Künftig könnten in den Projekten erprobte Hilfsmittel von Lernenden und Berufsbildnern sowie Projektprodukte
(z.B. Zielvorgaben für Lernende,Vereinbarungen zwischen Lehr- und
Gastbetrieben, Reportings von Lernenden und Arbeitsaufträge und
-ergebnisse) die Erlebnisberichte ergänzen.
Klar ist: Gute Praxisbeispiele entstehen nur durch Umsetzung von
Austausch. Eindeutig ist ebenso, dass der Informationsgehalt publizierter Austauschbeispiele begrenzt ist. Sie können Aufmerksamkeit
wecken, zu Projekten anregen, Ziele aufzeigen und den Mehrwert
verdeutlichen. Es kann aber auch sein, dass Beispiele mehr Fragen aufwerfen als klären, v.a. bezüglich der konkreten Organisation.
4.2 Austauschmodelle
Die ch Stiftung erarbeitet derzeit – mit Unterstützung von Berufsbildnern und Lehrpersonen – so genannte Austauschmodelle. Es handelt sich um schriftliche Unterlagen, die Interessierten in Zukunft
helfen sollen, Projekte zu planen, umzusetzen und auszuwerten. Die
Arbeit basiert auf Gesprächen mit Austauschinteressierten und -erfahrenen. Konkret enthalten die Modelle Basisinformationen zur Organisation von Austausch (Form, Zeitraum, Dauer), zu Zielen und
Mehrwert für Lernende und Berufsbildner bzw. Betriebe sowie zum
Aufwand für die Beteiligten. Auf dieser Grundlage sollen die Modelle
nach betrieblichen, beruflichen und individuellen Voraussetzungen
angepasst und erweitert werden können. In einem nächsten Schritt
wird im Rahmen von Projekten die Praxistauglichkeit der Modelle
geprüft.
5. Fazit und Ausblick
Das Ziel der Verbundpartner, Austausch in der Berufsbildung zu fördern, schliesst die Entwicklung einer Austauschkultur (BBT 201213) in
der Berufsbildung ein. Ist mit Austauschkultur gemeint, dass Austausch umgesetzt und weiterentwickelt wird, so zeigt dieser Artikel,
dass wichtige Etappen zum Kulturaufbau erreicht sind: Rahmenbedingungen werden geschaffen, Informationen zu Angeboten und
Dienstleistungen verbreitet, Umsetzungsbeispiele zugänglich gemacht
und Support zusammen mit Berufsbildungsverantwortlichen erarbeitet. Der Mehrwert für Lernende ist unbestritten und die Verbindung
zur Wettbewerbsfähigkeit von Berufsbildung und Wirtschaft einleuchtend.
Die Frage nach dem Mehrwert für Betriebe muss weiter diskutiert
werden. Unter welchen Voraussetzungen profitieren Betriebe? Wie
kann Austausch Betrieben einen nachhaltigen Mehrwert bringen?
Zentrale Schritte zu Antworten auf diese und andere drängende Fragen sind nicht getan. Zwei Beispiele:
r %JFXFJUFSPCFOFSXÅIOUF4UVEJFEFT4#'*[VNCJOOFOTUBBUMJDIFO
Austausch geht jährlich von 300 bis 1200 Lernenden aus, die einen
Austausch absolvieren (SBFI 201314: 24). Die grosse Spanne zwischen den Werten verweist auf eine grobe Schätzung. Eine systema40
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
tische quantitative und qualitative Erfassung
von Austausch in der Berufsbildung gibt es
bisher nicht. Ein breiteres Wissen über Ziele,
Organisation und Ergebnisse käme dem Support von Austausch zugute.
r *N 6OUFSTDIJFE [VS PCMJHBUPSJTDIFO 4DIVMF
sind Vernetzungsmöglichkeiten zum Austauschthema in der Berufsbildung kaum gegeben. Es existiert keine Begegnungsplattform,
die es ermöglicht, Erfahrungen zu diskutieren,
Anregungen entgegenzunehmen, Impulse zu
geben und Partner für Austauschprojekte zu
finden.
Der Schlüssel zu wichtigen Erkenntnissen für die
Förderung von Austausch sind Umsetzungsbeispiele. Das Einstiegszitat zu diesem Artikel steht
für den Mut dem beruflichen Nachwuchs neue
Anreize zu bieten, Austausch zu erproben und
die Erfahrungen zu teilen. Auf zum Austausch!
Anmerkungen
Das Zitat stammt aus der Nachbereitung eines Austauschprojekts, das mit Unterstützung der ch Stiftung zustande kam. Die ch Stiftung hat den Gastbetrieb und die
Unterkunft vermittelt. Zu den Erfahrungen der Verantwortlichen im Lehr- und im Gastbetriebs sind unter dem
Titel „Berufsbildung:Yverdon–Zürich“ Interviews nachzulesen, unter www.ch-go.ch/nc (Suchbegriff:Yverdon).
2
Zur Erklärung des Begriffs „Verbundpartner“ siehe:
www.lex.dbk.ch (Suchbegriff: Verbundpartnerschaft)
und: Staatssekretariat für Bildung, Forschung und Innovation (2013): Fakten und Zahlen. Berufsbildung in der
Schweiz 2013. Bern: SBFI, S. 6f., Quelle: http://www.berufsbildung.ch/dyn/2777 (Stand: 27.6.13).
3
In diesem Artikel meint der Begriff „Austausch“ den
zeitlich beschränkten Aufenthalt von Lernenden der beruflichen Grundbildung in einem Ausbildungsbetrieb einer anderen Sprachregion im In- oder Ausland. Zur Zeit
ist Austausch kein klar umrissener Begriff. Oft wird Austausch zusammen mit Mobilität als Begriffspaar verwendet und sein Mehrwert in Zusammenhang mit Sprachenlernen betont. In diesem Artikel wird v.a. der Begriff
„Austausch“ verwendet, weil er im Unterschied zu Mobilität die persönliche Auseinandersetzung von Lernenden mit anderen Betrieben, Sprachen und Umgebungen
am Austauschort betont.
4
Der binnenstaatliche Austausch kennzeichnet den Austausch zwischen den Sprachregionen der Schweiz.
5
Als interkantonale Organisation aller 26 Kantone 1967
zum Zweck der Zusammenarbeit und Verständigung
zwischen den Sprachgemeinschaften gegründet, fördert
und unterstützt die ch Stiftung seit 1976 den binnenstaatlichen und internationalen (Jugend-)Austausch.
1
Leonardo da Vinci – das europäische
Berufsbildungsprogramm
Die ch Stiftung bietet für den Austausch in der Schweiz
die Programme „Piaget – Lehrstellentausch“ und „Piaget
– Offene Stellen“ an. Letzteres richtet sich an Lehr- und
Hochschulabgänger, die arbeitslos gemeldet sind. Sie absolvieren während maximal sechs Monaten ein Berufspraktikum in einer anderen Sprachregion der Schweiz
(siehe www.ch-go.ch/piaget-offenestellen).
7
Konkrete Massnahmen zur Förderung der beruflichen
Mobilität, siehe: www.sbfi.admin.ch/aktuell/medien/00483/00594/index.html?lang=de&msg-id=42373
(Stand: 27.6.13).
8
Staatssekretariat für Bildung, Forschung und Innovation
(2013): Binnenstaatliche Sprachaustausche und Mobilität
in der beruflichen Grundbildung. Bericht über die Bestandsaufnahme. Bern: SBFI, Quelle: http://www.sbfi.admin.ch/berufsbildung/01501/01503/index.html?lang=de
(Stand: 27.6.13).
9
Bundesamt für Berufsbildung und Technologie (2012):
Stossrichtungen zur Förderung der Mobilitätsaktivitäten
und des schulischen Fremdsprachenerwerbs in der Berufsbildung. Bern: BBT, Quelle: www.sbfi.admin.ch/berufsbildung/01511/01773/index.html?lang=de (Stand:
27.6.13).
10
Siehe Fussnote 7.
11
Siehe dazu den Beitrag von Bettina Bichsel in diesem
Heft.
12
Beispiele unter: www.ch-go.ch/nc (Suchbegriff: Piaget) (Stand: 27.6.13).
13
Bundesamt für Berufsbildung und Technologie (2012):
Stossrichtungen zur Förderung der Mobilitätsaktivitäten
und des schulischen Fremdsprachenerwerbs in der Berufsbildung. Bern: BBT, S. 7, Quelle: www.sbfi.admin.ch/
berufsbildung/01511/01773/index.html?lang=de (Stand:
27.6.13).
14
Siehe Fussnote 7.
6
Tibor Bauder
Lic. phil. Tibor Bauder ist seit 2011 Programmleiter Berufsbildung bei der ch Stiftung für eidgenössische Zusammenarbeit. Nach der Ausbildung zum Primarlehrer
hat er Erziehungswissenschaft, Geschichte und Politik
studiert. Als Assistent am Institut für Erziehungswissenschaft der Universität Bern und im Forschungsteam am
Leading House «Professional Mind» (Zentrums für Berufsbildungsforschung an der Universität Freiburg, CH)
hat er zu Fragen der Geschichte und Qualität der Berufsbildung geforscht.
In einer globalisierten Arbeitswelt werden Sprachkenntnisse
zunehmend wichtiger. Erste Berufsschulen, z.B. in Zürich und Luzern,
konnten in den letzten zehn Jahren Erfahrungen sammeln und bieten
vereinzelt zweisprachige Ausbildungsgänge an.
Mit dem europäischen Berufsbildungsprogramm Leonardo da Vinci,
an welchem die Schweiz seit 2011 teilnimmt, bestehen neue
Möglichkeiten zur Sprachenförderung. Das Programm bietet
sämtlichen Einrichtungen der Berufsbildung die Möglichkeit,
Mobilitäts- und Kooperationsprojekte durchzuführen und für deren
Umsetzung Fördergelder zu beantragen. Gerade Mobilitätsprojekte
sind ideal, um das Sprachniveau der Lernenden anzuheben und sie
neu zu motivieren.
Dieses Angebot wurde und wird von einigen Berufsbildungseinrichtungen genutzt – mit ausnehmend guten Erfahrungen. Um die
Arbeitsmarktfähigkeit der jungen Tessiner/-innen dauerhaft zu
steigern, hat der Kanton bereits in den 90er Jahren die Fachstelle
Lingue e stage all’estero geschaffen. Diese organisiert in Zusammenarbeit mit verschiedenen Tessiner Berufsschulen 4-26wöchige
Auslandaufenthalte im Rahmen des Programms Leonardo da Vinci.
Die Aufenthalte bestehen jeweils aus einem Sprachkurs vor Ort
sowie einem Praktikum. Im Falle der Langzeitaufenthalte handelt es
sich um Pflichtpraktika im Rahmen der zweisprachigen Berufsmatura, ohne die die Ausbildung keine Gültigkeit hat. Auch der Kanton
Jura engagiert sich mit diversen Projekten für die Mobilität und gute
Fremdsprachenkenntnisse. Um ihnen den Einstieg ins Arbeitsleben
zu vereinfachen, vermittelt der Service de la Coopération beispielsweise stellensuchenden KV-Abgängern/-innen Praktikumsstellen in
Deutschland oder England. Dank dieser zusätzlichen Arbeitserfahrung und der verbesserten Sprachkenntnisse fällt die Stellensuche in
der Schweiz deutlich einfacher aus.
Der Aufbau und die Durchführung von Mobilitätsprojekten für
Lernende in der Berufsbildung sind zweifellos anspruchsvoll. Damit
die Teilnehmenden optimal von ihren Aufenthalten profitieren
können, ist eine gute Vorbereitung unabdingbar. In sprachlicher und
kultureller Hinsicht steht mit VOCAL (Vocationally Oriented Culture
and Language) ein äusserst hilfreiches Gratisinstrument zur
Verfügung: Auf der Webseite können Lernende anhand von neun
Schlüsselthemen ihren Auslandaufenthalt vorbereiten, virtuelle
Reisen vornehmen und dank interaktiven Quiz ihren Wissenstand
überprüfen.
Für weitere Informationen zu Mobilitätsprojekten mit sprachlichem Fokus:
Henriette Graf, Projektkoordinatorin Leonardo da Vinci
[email protected], 032 346 18 71.
www.chstiftung.ch
www.ch-go.ch
Zum VOCAL Projekt: www.vocalproject.eu
41
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Das Interview: P.G. und T.F., zwei
moderne Lehrlinge auf
Wanderschaft (ein Zeitdokument)
Das nahe Elsass gehört zur Grossagglomeration Basels und ist für
deutschsprachige Lehrlinge aus der Schweiz oder Deutschland
gleich um die Ecke. Deshalb bietet es sich ihnen problemlos für Stages im benachbarten Land an. P. G und T. F. sind Lehrlinge, die die
Gelegenheit zu einer solchen Erfahrung ergriffen haben. Sie erzählen wie sie das Praktikum und die sich ihnen eröffnende Sprachenwelt erlebten. Die Interviews wurden im Rahmen des Projekts
Dylan (vgl. dazu den Beitrag von G. Lüdi in diesem Heft) aufgenommen. Um die Authentizität und alle Finessen zu wahren, veröffentlichen wir Ausschnitte davon in der transkribierten Originalform auf Basler Deutsch (die Originale sind online verfügbar). Der
Text wird den LeserInnen einiges abfordern, aber die Mühe lohnt
sich allemal, denn man erhält einen Einblick in eine zwar nicht repräsentative aber dennoch typische Vorstellung der Sprachen, wie sie
in der Denkwelt von Jugendlichen sehr verbreitet sein dürfte.
Deutsch, Englisch und Französisch treffen sich an der Kreuzung von
Arbeitsplatz, Schule und Alltag auf äusserst spannende Weise.
Das Interview mit P.G.
Interviewer I: Stelle Sie sich doch ganz churz emol vor, was für en Usbildig Sie mache, wär Sie sin.
PG: Ich bi de Philipp Geiser, chum jetz denn ins vierte Lehrjohr als
Elektroniker. I schaff jetz in ere Abteilig. Mer baue Teschtg’rät für
uns’ri Mässg’rät, wo mer härstelle in de Produktion, eifach so Zwüscheteschts mache.
(...)
Interviewer I: Ok. Wie gseht’s us mit de Sproche? Was für Sproche händ
Sie g’lehrt? In dr Schuel oder sunscht nöime?
PG: Jo, halt Schwizerdütsch und Hochdütsch, ((do)) han i immer
Problem g’ha in dr Schuel, aber s’goht au guet, und Änglisch han i
sehr Int’rässe dra. Und denn au in Frankrich han i Änglisch g’lehrt.
Statt Französisch. ((lachen)) mit Französisch chan i gar nüt afo.
Interviewer I: Händ Sie das emol g’lehrt g’ha aber au i dr Schuel?
PG: Jo, au in dr Schu- in de Schuel hämmer ebe Französisch un Ä-
und Änglisch g’ha. Aber denn isch ähm isch’s Wahlfach worde. Me
cha eifach eins uswähle. Han i Änglisch g’noh.
PG: Jo. ((rire fort))
Interviewer I: Wie isch das gsi, isch das
obligatorisch gsi für Sie, das Praktikum in
Huningue z’machen? Oder händ Sie do sich
chönne sälber dezue entscheide, dass Sie das
möchte?
PG: Jo, eigentlich isch’s jo bi uns, aso, mir DÖr-
fe das mache. Und ich bi au gärn gange. Trotzdäm halt wäge de Sproch z’erscht het’s mi e chli
ag’schisse. Und nochher han i g’merkt, dass es
wü- mit em Änglisch cha drii goh.+ ((rire))
Und au d’Lüt sin nätt gsi., nachene het’s mr
g’falle. Aber so z’erscht wäge de Sproch han i
scho chli Schiss g’ha. Was söll i döt in Frankrich? Cha kä Wort Französisch. Alles verlehrt,
won i e bitzli g’lernt ha. Jo, de erschti Tag isch e
chli, jo s’schlimmschte gsi. ((rire)) Jo z’erscht,
die händ gar nid g’wüsst, dass ich gar kä Französisch cha. Nochene het’s emol son e Präsentation händ sie z’erscht welle mache. Und dänn
händ sie g’merkt, ich cha gar kä Französisch. S›
isch non e and’re döt gsi. Het er eifach mit däm
d’Präsentation g’macht. E Franzos. Nachene
bin i zum ene and’re gange, han i müesse warte,
und ha sind ä chli überefo- überforderet gsi,
wül i d’Sproch nid beherrscht ha.
Interviewer I: Mmh. Händ Sie’s denn probiert
döt mit Französisch mol, wo Sie döt ane cho sin?
PG: jo bonjour, sunscht ich cha nid vil.
Interviewer I: Und wie isch denn das witer gange,
händ Sie’s uf Änglisch probiert? Oder uf Dütsch]?
Oder
PG: Jo, uf Änglisch und, jo, Dütsch het händ sie
au e bitzli chönne, e paar. Hän’s au bitzli im
Griff.
Interviewer II: Bevor Sie det ane gange sind,
händ Sie nid wenigschtens eso, di- ebe, die
Begrüessigsformle no einisch ag’lueget? Aso
Sie händ sich überhaupt nöd vorbereitet?
PG: Nei, überhaupt nid ((sourire)).
(...)
Interviewer I: Mmh. Mit was für Lüt händ Sie
denn döt Kontakt g’ha?
PG: Mit ding, mit Servicetechniker, wo d’G’rät
Interviewer I: Ok. Und mit Hochdütsch goht’s jetzt besser?
PG: Jo, tiptop eigentlech jetz. Aber friehner extremi Schwierigkeite.
Interviewer II: Händ Sie das bewusst usg’wählt, Änglisch statt
Französisch? Was isch do de Grund gsi?
PG: Jo, mir g’fallt die Sproch eifach nid, Französisch. Und au die gan-
repariere. Es paar.
ze aigus und so; und ich weiss nid, was ich mit dere Sproch söll. Mit
Änglisch cha me do international au im Internet und so. Und Französisch chasch nie bruche.
um, und mit däm han i immer ä chli Änglisch
g’redet. Und denn het er ä chli Dütsch. Denn
het er mängisch paar Wörter verdrüllt in
Dütsch. Aso ich ha’s denn äh in Änglisch versu-
Interviewer II: Usser, wänn Sie uf Huningue gönd, oder?
42
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Interviewer I: Und mit dene händ Sie
hauptsächlech ebe Änglisch kommuniziert?
Oder au no Dütsch?
PG: Jo, eine isch am Dütsch lerne no, so Studi-
echt, denn han i’s vilicht nid grad s- g’schafft,
denn han i’s Dütsch versuecht. Denn het är’s
aber ä chli falsch verstande, will är d’Wörter
verdrüllt het. Das isch immer witzig gsi.
(...)
Interviewer I: Was isch für Sie so dr persönlichi
G’wünn vo däm Praktikum?
PG: Mmh,+ d’Steigerig vom Änglisch. Und, jo,
s’isch halt ä scho mol toll, dass me öppis ander
g’seh het. Und au tolli Lüt kenneg’lernt.
(...)
Interviewer II: Sie händ g’seit g’ha, eine vo
de Vorteil sig, oder eine vo de G’wünn sig gsi,
dass Sie besser Änglisch chönned jetzte. Spilt
Änglisch dänn do in Rinach e Rollen i Ihrem
Arbetsalltag?
PG: Mmh, do jetz nid würklech. Nei. Usser jetz
vilicht ganz e bitzli, jetzt (wän) sie alli PCs uf
Änglisch installiere neuerdings. Eifach so international. Un äh halt d’Grundbegriff isch halt
scho guet, wemme die im Griff het.
KH: Und das wird jetzt au durch s’Änglisch an dr Schuel no vertieft?
TF: Jo, wobi das isch eher technischs Änglisch, Fachbegriff.
KH: Und wo wärde Sie Ihres Praktikum absolviere?
TF: Ich wird, also ab nägst Wuche :bin ich z’Frankrich.
KH: Hän Sie sich jetzt irgendwie speziell vorbereitet uf dä [Ufenthalt?]
TF:
[Nei.]
((sourire)) Nei.
KH: Het me Ihne gseit gha, dass Sie müend e Bricht zum Bispiel schribe während em Praktikum, wo Sie nochär müend abgä, oder?
TF: E Bricht weissi grad nit. Aber ich glaub nit, also ich ha no nüt
ghört vomene Bricht wo ich müsst mache. Was ich aber ghört ha
und was au ufem Plan stoht isch, dass me am Änd vo dere Arbeit dört
mues me uf Französisch e Präsentation mache über die Arbeit, was
me dört gmacht het und das eifach vorstelle.
KH: Traue Sie sich das zue?
TF: Äh i dänk scho.
MG: Also uf was freue Sie sich oder uf was ebe eher nit? °Also.°
TF: Ähm (1) Schwierig. Also irgendwie bini gspannt, was uf mi zue
chunnt eso, uf die ander Art ((sourire)) e kli Französisch lerne und
so, also Französisch rede bini no unsicher °und so jo eifach, wird
scho irgendwie go.°
Interviewer I: Mmh. Aber mündlich bruche Sie’s
nid?
PG: +Mmh,+ nä.
MG: Isch e chli e Herusforderig, he?
TF: jä
KH: Ok. Wie isch es so allgemein jetzt bi Ihrem aktuelle Arbeitsplatz,
bruche Sie do Fremdsproche bi dr Arbeit?
TF: Ähm Änglisch bruch ich, also. Dört wo ich jetzt bi isch Änglisch
Interview mit T.F. – Einige Tage vor dem Stage
eigentlich Standardsproch.
(...)
TF: Ä:h ich heisse Tim Fink und mach e Elektronikerlehr. Do im Baselland, bi im dritte
Lehrjohr.
KH: Vor was hän Sie am meiste Angst oder was hän Sie s’Gfühl isch die
grösti Herusforderig, wenn Sie jetzt nägst Wuche in Frankrich sin?
TF: Ähm (3) Die grösst Herusforderig dänk ich wird d’Sproch si.
KH: Ok. Und ehm was für Sproche chönne Sie?
Wo hän Sie die glernt?
TF:Ich ka vo dr Schuel här chli Französisch, han
Also vor allem zum Bispiel wenn me öppis sage wot oder so oder
öpper erklärt einem öppis und me verstoht’s zum Bispiel irgendwie
nit, will’s halt eifach so ze- vil Fremdwörter het, wo me nit kennt,
wo me halt eifach vom Sinn här nit verstoht. °Das (isch’s so)° und
ähm oder me probiert’s irgendwie z’sage und nochär fallt eim grad
s’Wort nit i ((sourire)) und weiss nit wie witer jo.
ich glaub drei, vier Johr ka (1), glaub vier Johr,
und Änglisch han ich au drei Johr ka und im
Momänt in dr Schuel.
KH: An dr Gwärbschuel?
TF: Jä.
MG: Also beidi Sproche nomol oder numme no
Änglisch jetzt an Sch-?
TF: Nume no Änglisch jetzt.
KH: Wie schätze Sie so Ihri Fähigkeite i in däne
beide Sproche?
TF: Ä:hm s’goh:t.
Alle ((rires))
TF: Nit so gross. Ähm Französisch kan I e bitze-
Drei Wochen später, während des Stages
KH: °So° wie gfallt’s Ihne (...)?
TF: Ehm jo eigentlich guet °do tolls Projäktli [ebe° ]
KH: Ok. Und wie isch so s’Arbeitsklima do in dr Firma? Wie wärde Sie
integriert? ((sourire))
TF: Jä das isch eigentlich rächt guet do, °mmh jo.°
KH: Hän Sie viel Kontakt mit de Kollege?
TF: Äh jo zum Teil. Also mit dene do °scho.°
li, halt eifach so s’Wichtigste.
KH: Also so in de Ferie cha me sich unterhalte?
So in däm Stil?
TF: Jä, also knapp.Halt eifach s’Wichtigste kani
uf Französisch und Änglisch kani au nit allzu vil
aber do kani scho kli meh, also würdi jetzt sage.
(... )
Der vollständige Text der zwei Interviews ist auf unserer Homepage
verfügbar:
www. babylonia.ch/de/archiv/2013/nummer-2/ Das Interview
43
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Tema
Il plurilinguismo nel calcio come lavoro
Quando fare l’allenatore significa code-switching
Stefano A. Losa | Genève
Whilst they occupy an institutional position of authority, sports
coaches permanently need to confirm their leadership on the players
by acting in a specific expected and valued way. Within a multilingual
as well as multicultural team in which language competences are
not equally distributed amongst participants, language use strongly
interferes in the construction of such legitimacy. Manifest language
hesitation as well as unease could contradict the endorsement of
an authoritarian role and its related expected conducts. This paper
focuses on the coach-players tutoring relationship during training
interactions observed in a multilingual Swiss national football team. It
aims to shed light on how language use and code-switching are massively involved within trainer activities. Through some examples it is
stressed that rather than setting obstacles to face-to-face communication, code-switching and bilingual speech tend to be used by the coach
as resources for establishing a legitimate interactional position in front
of the players. These resources aim at making situated roles salient,
and contribute to avoid linguistic unease in specific interactional tasks.
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In Svizzera, le situazioni di contatto linguistico
avvengono principalmente all’interno di contesti
istituzionali quali l’esercito, le sessioni parlamentari a Palazzo federale, i molteplici incontri professionali o ancora durante le attività sportive che
si svolgono a livello nazionale. Tali situazioni di
contatto portano gli individui a comunicare tra
di loro e ad oltrepassare, in un modo o nell’altro,
la propria diversità linguistica e culturale. Essi
sono spesso tenuti a svolgere le mansioni lavorative in modo congiunto in funzione delle risorse
e competenze di ognuno. Ciò comporta l’assunzione di ruoli e posizioni complementari e spesso asimmetrici tra loro (esperto/debuttante, maestro/allievo, superiore/subalterno, etc.). A quali
risorse linguistiche gli attori possono dunque attingere in modo da assumere pienamente il ruolo
che sono tenuti a svolgere? Quale uso delle lingue viene fatto per interagire e riuscire a coordinarsi in vista delle mansioni da espletare? Le interazioni plurilingui in un contesto istituzionale
rappresentano un momento privilegiato per
44
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
capire il ruolo del plurilinguismo nella costruzione della relazione con l’altro.
Il presente articolo tratta degli usi linguistici osservati nel contesto di più campi d’allenamento
di una selezione nazionale di calcio (le “speranze”)1. L’accento è posto sulla comunicazione plurilingue cioè la comunicazione tra persone di
estrazione linguistica diversa e parlanti una o più
lingue secondo il proprio livello di padronanza. Il
plurilinguismo (o bilinguismo) viene definito in
termini funzionali come la capacità di una persona “di passare da una lingua ad un’altra in svariate situazioni a seconda delle possibilità o necessità, anche con una competenza significativamente
asimmetrica” (Lüdi & Py, 2003: 131, tradotto dal
francese). Nel caso di situazioni plurilingui, tali
cambiamenti di lingua sono generalmente conosciuti mediante il termine inglese code-switching
(alternanza di codice o di lingua). Diversi e diversificati tra loro (diverse ricerche hanno proposto classificazioni tipologiche e funzionali dei
cambi di lingua), tali fenomeni di alternanza linguistica sono vettori di senso e significato che
possono fortemente variare a seconda della situazione d’utilizzo. Partendo dal parlare plurilingue
dell’allenatore, ed in particolare l’alternanza tra le
diverse lingue nazionali, l’articolo intende evidenziare come l’uso delle lingue s’inserisce nello
svolgimento delle attivià d’istruzione sportiva e
contribuisce pertanto alla legittimità dell’allenatore nel suo ruolo di fronte ai giocatori.
Allenatore di una squadra plurilingue e
multiculturale
Nei paesi occidentali, la figura dell’allenatore in
ambito sportivo ha subito, negli ultimi decenni,
una profonda mutazione verso la professionalizzazione. Il ruolo dell’allenatore non si limita più
alla preparazione, produzione e monitoraggio
delle prestazioni strettamente fisiche, tecniche e
tattiche degli atleti. Oltre alla preparazione atletica, l’allenatore è tenuto a
gestire anche il “fattore umano” e ad
assumerne così la natura profondamente comunicativa. Pertanto, la qualità dell’interazione e della relazione
con gli atleti appare come una variabile sempre più determinante della funzione dell’allenamento e della sua efficacia. L’allenatore è dunque chiamato
a svolgere una moltitudine di ruoli, dal
preparatore atletico all’accompagnatore esperto, passando dal mentore (coach) alla guida del collettivo e come risorsa morale per i singoli atleti.
In Svizzera, il processo di professionalizzazione dell’accompagnamento
sportivo si è tradotto nello sviluppo e
rafforzamento della formazione degli
allenatori. Infatti, dal 1995, l’Associazione Svizzera di Football (ASF), l’organizzazione mantello che raggruppa
le associazioni calcistiche a livello regionale e nazionale e di cui fa parte
anche la selezione nazionale delle speranze, ha costituito uno staff di allenatori professionisti incaricati di reclutare giovani calciatori promettenti nelle
diverse regioni linguistiche. Tale professionalizzazione ha l’obiettivo specifico di contribuire in modo significativo alla crescita delle giovani leve sia a
livello fisico e tecnico che sul piano
relazionale e mentale. L’interazione
diretta con i giovani giocatori assume
così un ruolo centrale e fa della comunicazione (sia sul campo che fuori) l’elemento chiave del mestiere d’allenatore.
Nel contesto specifico della selezione
nazionale delle speranze qui considerata, le strategie pedagogiche e di comunicazione adottate all’interno della
squadra, ed in particolare dall’allenatore, assumono un’importanza supplementare se si considera l’elevato grado
di diversità linguistica (e culturale) dei
giocatori. In effetti, sulla ventina di
giocatori titolari, la maggioranza è
germanofona (svizzero tedesco come
prima lingua), 5-6 giocatori sono francofoni mentre 1-3 giocatori sono italofoni2. L’allenantore, francofono, può
esprimersi in tedesco ed in italiano ed
è affiancato da un assistente-allenatore
francofono e germanofono (svizzerotedesco). A tale diversità linguistica si
aggiunge l’asimmetria linguistica dovuta al fatto che il grado di competenza linguistica in una o l’altra delle lingue presenti non è distribuito in modo
omogeneo tra i membri della squadra.
Appare chiaro che in una squadra con
una tale eterogeneità linguistica, l’impiego specifico delle lingue nazionali
risulta centrale per la costruzione della
base relazionale tra allenatore e giocatori così come per la solidità del gruppo.
Comunicazione e legittimità
Allenare una squadra plurilingue e
multiculturale significa quindi prendere in considerazione la diversità linguistica e comunicativa dei giocatori.
Tale adattamento obbliga lo staff tecnico ed in particolare l’allenatore ad
adottare delle modalità di espressione
e di utilizzazione delle lingue che permettano una comunicazione efficace.
Le osservazioni raccolte durante i
campi d’allenamento seguiti permettono di mettere in evidenza l’impressionante lavoro di manipolazione linguistica prodotto dall’allenatore, mediante l’alternanza di codice e la scelta
locale di una lingua piuttosto che
un’altra, a seconda della situazione comunicativa e degli interlocutori presenti.
Tale attività linguistica va inserita e avviene nel contesto istituzionale specifico della squadra nazionale di calcio
speranze. Sotto forma di istruzioni,
spiegazioni, commenti, consigli, ordini
ed incitazioni, il linguaggio si inserisce
in pressoché tutte le attività d’allenamento quali i momenti di teoria, le
riunioni informative, le situazioni di
debriefing, le spiegazioni e le consegne
riguardanti gli esercizi o ancora negli
spogliatoi prima di una partita.
Il linguaggio occupa chiaramente una
parte considerevole del lavoro svolto
dall’allenatore per quel che riguarda la
trasmissione d’informazioni e di conoscenze specifiche. Oltre a ciò, il linguaggio – e specificatamente la
competenza comunicativa di saper
utilizzare le lingue in modo adeguato
alla composizione plurilingue della
squadra – rappresentano i mezzi privilegiati attraverso i quali l’allenatore
può convogliare il riconoscimento e la
legittimità del proprio ruolo. Infatti,
chiamato ad assumere delle posizioni
complementari che oscillano tra l’esercizio dell’autorità, la dimostrazione
di competenza e l’accompagnamento
morale, l’allenatore dovrà fare un uso
consono dell’espressione orale e del
linguaggio in generale, tale da consentire, per esempio, la marcatura della distanza gerarchica con i giocatori o di
persuaderli e motivarli in merito ad
una certa attività. In un ambiente plurilingue, che ruolo svolgono le lingue
ed il linguaggio nella costruzione della
posizione d’allenatore? Come contribuiscono alla legittimità della sua posizione nelle situazioni d’interazione
faccia a faccia?
Esempi di pratiche plurilingui
dell’allenatore
L’uso delle lingue è considerato un indicatore privilegiato di come le identità linguistiche, culturali e sociali sono
messe in gioco e negoziate dagli interlocutori in situazione di interazione.
Per cercare di capire l’azione della comunicazione plurilingue sulla costruzione dell’identità d’allenatore in una
squadra plurilingue, ecco alcuni esempi concreti di uso delle lingue in contesto.
Assumere il ruolo istituzionale
Se la condizione d’allenatore rappresenta una posizione sociale di prestigio
e conferisce potere nell’ambito della
squadra, essa non è pertanto esente da
obblighi. Lavorare in un’istituzione
che opera a livello nazionale in un
paese ufficialmente plurilingue implica il rispetto di una serie di aspettative.
Prima fra tutte, la presa in considerazione della diversità linguistica dei
giocatori e dei susseguenti rapporti di
forza tra regioni linguistiche.
45
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
I dati raccolti sul campo hanno permesso di osservare come il linguaggio e l’uso delle lingue operati dall’allenatore rispondono a tale aspettativa. In primo luogo, egli ha tendenza ad adottare il tedesco come
principale lingua d’uso quando si rivolge collettivamente ai giocatori.
Per un francofono, tale pratica linguistica appare come un forma di allineamento verso il gruppo linguistico maggioritario all’interno della
squadra. Ma in una squadra plurilingue, il tedesco come principale lingua d’uso è accettato a condizione che i gruppi linguistici minoritari
vengano a loro volta presi in considerazione. L’allenatore fa quindi un
uso estremamente frequente dell’alternanza linguistica. Le frasi in tedesco vengono tradotte in francese e a volte anche in italiano. Sebbene
si tratti di una traduzione accorciata (parti conclusive della frase, termini chiave), tale pratica permette di mostrare considerazione verso la
pluralità linguistica dei giocatori in modo conforme alle attese.
La tensione esistente in merito alla legittimità della condizione di
francofono alla guida di una squadra perlopiù germanofona diventa
ulteriormente palese quando l’uso consecutivo delle tre lingue (tedesco, francese, italiano) assume une forma retorica come indicato
nell’esempio seguente.
Esempio 1: Allenatore Giocatori
(...) okay sie schauen die stehende bälle, ist gut?
keine andere fragen?
pas de questions?
tutto è chiaro?
wir schliessen mit die bilder (…)
In tale esempio, l’allenatore ha appena esposto una serie di argomenti
e in conclusione chiede ai giocatori se hanno domande in merito a
quanto è stato loro spiegato. La formulazione giustapposta della questione (avete domande?) nelle tre lingue, unitamente all’assenza di risposta da parte dei giocatori, suggerisce che tale domanda, in realtà,
non è volta a fornire ulteriori informazioni. La frequente e sistematica ripetizione nel corso degli allenamenti, sembra piuttosto corrispondere ad una maniera simbolica di rendere conto della diversa appartenenza linguistica dei giocatori. Tale uso particolare delle lingue
permette di rendere saliente la posizione di allenatore ufficiale di una
squadra nazionale che coinvolge le diverse comunità linguistiche. Il
plurilinguismo appare qui come une risorsa che consente all’allenatore di confermare il suo ruolo istituzionale e di rafforzare la sua legittimità all’interno della squadra. Ciò che contribuisce al riconoscimento della sua autorità.
chiamato ad occultare eventuali suoi imbarazzi
linguistici (esolinguismo) in tedesco. Contemporaneamente, egli deve anche saper anticipare le
possibili difficoltà linguistiche dei giocatori non
germanofoni.
Come nell’esempio che segue (esempio 2), l’alternanza con il francese permette all’allenatore di
aggirare difficoltà ed esitazioni nella produzione
discorsiva in tedesco, potenzialmente imbarazzanti.
Esempio 2: Allenatore Giocatori
(…) welche punkt entscheidet meine leistung wir
sprechen nicht auf drei punkt\ einige wollen
immer siegen\ wir sch-aber besser wir sind
leistungsfähig\ on parle tous de la victoire/ pour
nous c’est des facteurs de performance\ und wir
fixieren auf diese faktor\ on va se fixer sur ces
facteurs de performance (…)
Intento a spiegare ai giocatori la differenza tra
prestazione (leistung) ed il fatto di vincere (siegen),
l’allenatore risulta esitare (wir sch-aber besser…)
proprio nel momento di formulare un aspetto
centrale del suo proposito (la prestazione come
imperativo per la vittoria). La riformulazione di
tale aspetto in francese gli permette di lisciare l’espressione, renderla più fluida ed affinarne il senso.
In altri casi, l’alternanza di codice interviene
come espediente comunicativo volto ad aggirare
il probabile esolinguismo di una parte dei giocatori.
Dimostrare assertività e chiarezza
La scelta del tedesco come lingua principale di comunicazione con la
squadra conduce l’allenatore ad adottare pratiche linguistice particolari che gli consentano di aggirare eventuali difficoltà linguistiche.Tale
necessità interviene soprattutto durante i momenti di spiegazione o
d’istruzione ovvero quando l’allenatore si esprime da una posizione
d’istruttore-esperto. Pertanto, i giocatori si aspettano chiarezza d’espressione. Ciò significa che l’allenatore è in un certo qual modo tenuto a mostrarsi autorevole ed all’altezza del suo ruolo. Egli è dunque
Eugène Atget, Paveur de rues, Paris, 1899.
46
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Esempio 3: Allenatore Giocatori
(…) wir machen eins-eins NICHTS
GEDULD hein/ la patience pazienza
rimaniamo la:: organizzazione
a-apposto\ hein/ jouez si::mple
encore vous voulez beaucoup sie
wollen viel es ist gut/ aber es ist zu
hektisch c’est trop nerveux dans le jeu
wir verlieren zu viele bälle
In tal caso, l’alternanza in francese e in
italiano di termini precisi quali geduld
e hektisch agisce come un’agevolazione indirizzata ai giocatori francofoni
ed italofoni che – secondo l’ipotesi
dell’allenatore – non ne conoscono la
traduzione.
L’analisi dei dati empirici raccolti mostra che è proprio in tali circostanze
che il plurilinguismo rivela tutto il suo
potenziale comunicativo e appare
come una micro risorsa fondamentale
al servizio dell’allenatore per quel che
riguarda la gestione della sua immagine e legittimità presso i giocatori.
Dimostrare empatia e sensibilità
professionale
Un ulteriore aspetto emerso dall’osservazione empirica riguarda il considerevole lavoro di persuasione, responsabilizzazione e motivazione prodotto dall’allenatore nei confronti dei
suoi giocatori. Anche in tal caso, l’alternanza tra le lingue ed il linguaggio
in generale, svolgono un ruolo centrale nel sottolineare propositi importanti e nell’amplificare i risvolti morali
del discorso.
Ecco un esempio, tra tanti, in cui l’alternanza tra tedesco e francese tende
ad assumere una funzione reiterativa
oltre alla sola funzione traduttiva.
Esempio 4: Allenatore Giocatori
(...) sie haben das schlüssel\ vous avez
la clé\ wollen sie entwickeln/ vous
voulez grandir/ sie wollen die beste
karte haben im hand für ihre carrière/
oder okay wir spielen für plauschfussball\ wurst und bier am zehn
uhr am sonntag pour la bière et pour
la saucisse\ hein/ (...)
In questo caso, l’alternanza di codice
permette non solo di attirare l’attenzione dei giocatori ma, tramite il parlare per “slogans” (sie haben das schlüssel, vous avez la clé), enfatizza gli aspetti
concernenti la responsabilizzazione
individuale. Unitamente ad altri aspetti comunicativi, un simile linguaggio
plurilingue constribuisce ad affermare
la posizione d’accompagnatore e di
guida morale che l’allenatore è chiamato ad assumere di fronte a giocatori
in età critica.
Conclusioni
In conclusione, con il presente articolo si è voluto mettere l’accento sulla
complessa realtà rappresentata dalle situazioni di contatto linguistico. La
comprensione di come la comunicazione e i rapporti tra le comunità e le
persone di lingua (e cultura) diversa si
costruiscono non può prescindere dalla comprensione delle situazioni reali e
quotidiane d’interazione. Osservando
da vicino le situazioni d’interazione
plurilingui nell’ambito dell’accompagnamento sportivo di una squadra nazionale di calcio, ci si accorge che la
posizione dell’allenatore è assunta e
mantenuta tramite un lavoro linguistico importante ed incessante. In tal
senso, le pratiche plurilingui ed in particolare l’alternanza di codice appaiono come risorse comunicative fondamentali tramite le quali l’allenatore
agisce sul suo modo di relazionarsi con
in giocatori adattandosi a loro ed alle
loro aspettative. Il plurilinguismo contribuisce pertanto al suo riconoscimento di allenatore e quindi alla sua
legittimità. A partire da tali osservazioni, ci si rende conto che l’incrociarsi
delle lingue e delle varietà linguistiche
corrisponde anche ad un incrociarsi di
posizioni identitarie diverse, messe in
scena in una certa situazione, abbandonate in un’altra e così via. In tal senso, si avverte che la ragione di un uso
particolare delle lingue in contesto
plurilingue non dipende solo e necessariamente dall’origine etnolinguistica
dell’interlocutore. Le frontiere linguistiche sono malleabili, mobili e cambiano in funzione degli individui e
della situazione interattiva nella quale
essi si trovano.
Note
Le osservazioni ed i dati relativi a tale contesto provengono da uno studio sociologico
sugli usi delle lingue in contesti istituzionali
plurilingui svizzeri (un Ufficio dell’Amministrazione federale, una caserma militare ed
una squadra nazionale di calcio giovanile).
Tale studio, condotto da S. Losa e S. Cattacin
e terminatosi nel 2009, s’inserisce nel Programma Nazionale di Ricerca “Diversità delle lingue e competenze linguistiche in Svizzera” (PNR 56) finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica
(FNS).
2
Le considerazioni riprodotte nel presente
articolo valgono per il periodo di tempo limitato durante il quale hanno avuto luogo le
osservazioni. Durante tale periodo, si è potuto costatare che il numero di giocatori può
variare da un campo d’allenamento all’altro
in funzione della disponibilità dei giocatori,
spesso impegnati con la loro squadra di campionato, o in funzione della convocazione. Da
notare che sul totale dei titolari, 6-7 giocatori sono in grado di esprimersi correntemente
in un’altra lingua seconda (italiano, serbo, albanese).
1
Bibliografia
Lüdi, G. & Py, B. (2003). Etre bilingue. Bern:
Peter Lang.
Stefano A. Losa
è titolare di un dottorato in sociologia
nell’ambito delle pratiche plurilingui ed
identitarie in contesti istituzionali. In seno
alla sezione di scienze dell’educazione
dell’Università di Ginevra dal 2010, le sue ricerche portano sulle dinamiche interazionali
dell’apprendimento sul luogo di lavoro ed in
contesti di formazione professionale.
47
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Tema
Situationsdidaktik im Fremdsprachenunterricht
Ein Plädoyer für eine integrierte Sicht von Wissen, Können und Reflexion1
Gianni Ghisla, Luca Bausch, Elena Boldrini | Lugano
Per sua natura e tradizione, la didattica delle lingue straniere ha proposto un insegnamento vicino alle pratiche comunicative reali. In questo
senso ha svolto un’opera pionieristica per una didattica generale intesa a permettere apprendimenti fondati su due pilastri essenziali: da
un lato l’esperienza e i saperi che ne derivano, dall’altro la conoscenza
codificata e sistematizzata nelle discipline. In questo contributo si delineano i fondamenti di una tale didattica, definita didattica per situazioni (DpS). La DpS ha carattere generale (quindi non disciplinare), vuole
essere integrativa rispetto ai diversi saperi, e flessibile nell’uso di
metodologie diverse. Al centro dell’attenzione pone un apprendimento
realizzato nell’ambito di un circolo virtuoso pratica-teorie-pratica, che
si affida ad una doppia trasposizione didattica: di situazioni di vita
reale e di saperi codificati in situazioni didattiche (scenari didattici).
Altri articoli su questo tema:
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Archivio tematico > Schede 13 e 15
Die Vermittlung zwischen den
Fachdidaktiken
Heute gelte es, die bestehende „Zersplitterung“
der Fachdidaktiken durch eine „umfassende begriffliche Arbeit“ zu überwinden. So bringt
Bernard Schneuwly die aktuelle Diskussion zur
Didaktik auf den Begriff (Schneuwly, 2013: 29).
Die Programmatik, vorgetragen am 23. Januar
2013 in Zürich anlässlich einer Fachdidaktiktagung, ist nicht nur für die auf Forschung und
Lehre (v.a. Lehrerausbildung) ausgerichtete akademische Welt von Bedeutung, sondern trifft einen empfindlichen Nerv der alltäglichen Unterrichtspraxis, namentlich auch im Fremdsprachenunterricht.
Einige Präzisierungen sind dazu notwendig.
Wenn von „Überwindung“ die Rede ist, dann
geht es keineswegs um eine denkbare Auflösung
der einzelnen fach- oder bereichsspezifischen
Didaktiken, sondern vielmehr um eine „Konsolidierung des didaktischen Feldes“, so die Ausdrucksweise von Schneuwly, welche aus der
Spannung zwischen „Didaktik im Singular und
Didaktik im Plural“ (ibid: 28) geleistet werden
kann.Was, so kann gefragt werden, ist das Verbin48
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
dende der verschiedenen Didaktiken, worin liegt
der gemeinsame Nenner, der die identitätsstiftende Klammer liefern kann?
Der Definitionen von Didaktik gibt es verständlicherweise viele (vgl. dazu Heitzmann, 2013)
und sie widerspiegeln kulturelle, historische und
soziale Gegebenheiten. So lassen sich unschwer
u.a. eine deutsche, eine französische oder eine
englische Tradition ausmachen, die in ihrer Eigenart bei der Suche nach Antworten auf unsere
Frage durchaus ergiebig sind. Gerade die in der
deutschsprachigen Tradition stark verankerte
Allgemeindidaktik zeugt für einen generellen Diskurs, der lange vor dem Aufkommen der modernen Fachdidaktiken geführt wurde und die Auseinandersetzung mit dem was und dem wie des
Unterrichtens aufzunehmen erlaubt, welche historisch auf Jan Amos Comenius’ Didactica magna
zurückgeht. So kann Comenius auch für die
Fachdidaktiken, die sich seit den 1970er Jahren
immer profilierter herausgebildet haben, Pate
stehen. Dazu gehört auch die Fremdsprachendidaktik, die sich dank eines ergiebigen Marktes
sowie ihrer Fähigkeit, auf den technologischen
Zug aufzuspringen – man denke nur an die
Sprachlabors von damals – sehr schnell und stark
entwickeln konnte.
Heute besteht wohl ein breiter Konsens darüber,
dass die Fachdidaktiken von der Lehr- und Lernszene nicht mehr wegzudenken sind, zumal sie
einerseits für einen Unterricht Garant stehen,
der auf ein strukturiertes und systematisches
Fachwissen zurückgreift und andererseits für
eine professionelle Identität der Lehrkräfte sorgen, die im Zeitalter des grassierenden Coachings
von nicht unbedenklichen Zerfallserscheinungen heimgesucht wird.
Retrouvez cet article en français sur notre site:
http://babylonia.ch/fr/archives/2013/numero-2/
> Didactique par situations dans l’enseignement des langues (secondes)
Ritrovate questo articolo in italiano sul nostro sito:
http://babylonia.ch/it/archivio/2013/numero-2-13/
> Didattica per situazioni nell’insegnamento delle lingue (seconde)
Wissen, Können, Reflexion: vom virtuosen
didaktischen Kreislauf
Die Fremdsprachendidaktik wurde in den letzten Jahrzehnten stark von den Bemühungen geprägt, sich von einem auf grammatikalisches Wissen, auf Vokabellernen und allenfalls auf literarische Unterweisung ausgerichteten Unterricht
zu befreien, um auf die Vermittlung von lebendigen, kommunikationsrelevanten Fähigkeiten setzen zu können. In diesen Bemühungen lässt sich
leicht die didaktische Anstrengung um die Lösung des Theorie-Praxis-Problems erkennen,
und zwar durch eine sinnvolle Verbindung von
Wissen und Können als Merkmal eines handlungsorientierten Unterrichts. Von ihrer Natur
her begünstigt, hat die Fremdsprachendidaktik
diesbezüglich Pionierarbeit geleistet. Ihre Handlungsorientierung steht in einem lebensweltlichen Zusammenhang, der sich didaktisch in
Form von Rollenspielen, Simulationen, Projektunterricht oder realistischen Kommunikationsszenarien umsetzen lässt.
Von einer ähnlichen, kommunikations- und
handlungsorientierten Logik sind auch neuartige
Sprachlernprojekte ausserhalb des traditionellen
schulischen Kontextes geprägt, so z.B. die in der
Schweiz gross angelegte Förderung von grundlegenden Sprachkompetenzen bei Migranten,
die in der letzten Babylonianummer (1/2013)
zum „Lernen in Szenarien“ ausführlich vorgestellt wurde. Was dieses fide-Projekt auszeichnet,
ist die Einübung von sprachlichem Wissen und Können, das auf bedeutsame, wiederkehrende Situationen des Alltags bezogen wird, um
damit die Bedürfnisse der Lernenden aber auch des sozialen Umfeldes
einlösen zu können. Mittels didaktischer Ausgestaltung von Szenarien
kann sich der Unterricht vom Verwendungskontext, von der Praxis
inspirieren und motivieren lassen. Hier einige Beispiele von solchen
Szenarien, die den wirklich gelebten Situationen aus dem normalen
oder beruflichen Alltag nachgebildet werden: „Den ausländischen
Führerschein umschreiben lassen“, „Das Kind vom Hort oder von der
Krippe abholen“, „Einen technischen Apparat am Domizil des Kunden abliefern und installieren“, „Beim Kunden eine Reparatur vornehmen“.2
Realistische – womöglich reelle – Situationen aus dem Lebenszusammenhang wirken nicht nur unmittelbar sinnstiftend für die Lernenden, sondern erlauben auch den Lehr- und Lernprozess reflexionsorientiert und kreativer zu gestalten. Die Lernenden bringen bekanntlich aus der eigenen Erfahrung und Biographie wertvolles
Wissen und Können mit, etwa in Form von gehörten/gesehenen
Wörtern, von Redewendungen in der Ziel- oder in anderen Sprachen
oder aber von Metawissen zur eigenen Sprache. In der Regel entsteht
solches Vorwissen spontan und ist deshalb auch punktuell und rudimentär. Trotzdem kann es als eine unerlässliche Basis für das Lernen
aktiviert und von einem impliziten Status analytisch und systematisch
aufgearbeitet und explizit gemacht werden. Damit werden Brücken
hergestellt, die den Verwendungs- mit dem Lernkontext verbinden.
Anders ausgedrückt:Wenn Lebenssituationen in didaktische Situationen überführt werden können, bilden sie eine wichtige (freilich nicht
die einzige) Basis für ein Lernen, das gleichsam als Aufarbeitung von
Erfahrungen und Einarbeitung von verfügbarem Fachwissen lebendig
Abb. 1: Der virtuose Kreislauf der Didaktik
49
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
und aktiv gestaltet werden kann. In neuen bzw.
anderen Lebenssituationen wird es dann für die
Lernenden relativ leicht, das Gelernte abzuberufen und anzuwenden. Es entsteht ein Kreislauf,
ein didaktischer Kreislauf, den wir virtuos, d.h. tugendhaft nennen wollen, weil man in der Tat erwarten kann, dass darin Theorie und Praxis produktiv und sinnvoll in Verbindung gebracht werden können. Der virtuose didaktische Kreislauf3
entfaltet sich idealerweise im Klassenzimmer
oder, genereller, an den für das Lernen formal
zuständigen Orten und hat eine äussere und eine
innere Seite (vgl. Abb. 1). An der äusseren Seite
stellen wir zwei Zugänge und einen Ausgang
fest: Über die ersteren fliessen die Erfahrung aus
den Lebenssituationen (LS1) und das (Fach)Wissen aus den disziplinären Repertoires ins Unterrichtsgeschehen ein. Über den Ausgang gelangt
man wieder zu neuen Lebenssituationen (LS2-n).
Zweifache „transposition didactique“
Die bisherigen Ausführungen zu einer kommunikations- und handlungsorientierten Fremdsprachendidaktik, die sich in einem didaktischen
Kreislauf konkretisieren lässt, haben uns die enge,
dialektische Beziehung zwischen Wissen und
Können, Theorie und Praxis, Verwendungskontext der Sprache im Alltag und Lernkontext in
schulischer Umgebung vor Augen geführt. Didaktisch schlägt sich diese Beziehung im Vorgang
der analytischen Aufarbeitung nieder, wodurch
bereits vorhandenes, implizites Wissen und Können sozusagen zu einer Lernsynthese, mit dem
einfliessenden Fachwissen geführt wird. Dieser
Vorgang soll als reflexive Verarbeitung bezeichnet
werden4. Die reflexive Verarbeitung schliesst grundsätzlich sämtliche Lehr- und Lernprozesse mit
ein und ist deshalb in Wirklichkeit viel komplexer als unsere schematische Darstellung nahelegt.
Insbesondere lässt sich darin eine zentrale Problematik der Didaktik erkennen. Es geht dabei um
die Frage der transposition didactique, der didaktischen Transposition, welche v.a. in der französischen Tradition intensiv diskutiert wurde (Chevallard, 1991). In ihrer ursprünglichen Form ging
es der transposition didactique vornehmlich um das
Problem der Überführung vom savoir savant, also
vom systematisch in einer Disziplin aufbewahrten Wissen, z.B. in der Mathematik oder in der
50
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Geschichte, in ein savoir à enseigner und in ein savoir enseigné. Damit
verbunden wurde eine breite Auseinandersetzung mit den sogenannten situations didactiques5, mit den didaktischen Unterrichtssituationen,
in denen die Transposition unter besonderen Gestaltungsbedingungen
zum Tragen kommen soll. Aus dieser Perspektive, und metaphorisch
ausgedrückt, ist im Klassenzimmer das savoir savant ein besonders gut
gesehener Gast, der gerne in der Gestalt der Fachdidaktik auftritt. Uns
ist heute aber zunehmend bewusst, dass die Klassenzimmertür, wie es
Schneuwly postuliert (ibid: 22), für einen zweiten Gast offen gehalten
werden soll, nämlich für das Erfahrungswissen (und Können).
Das Postulat ist natürlich nicht von heute, sondern gehört seit langem
zu den wichtigen Ansprüchen der Pädagogik. Wenn wir hier, der gebotenen Kürze verpflichtet, auf eine diesbezügliche pädagogische auctoritas verweisen, so deshalb weil der Begriff der „Situation“ explizit
aufgegriffen werden kann. Es war nämlich John Dewey, der den „Lebenssituationen“ und der damit verbundenen Erfahrung als pädagogisch-didaktische Kategorie eine grosse Bedeutung zugeschrieben
hat. In „Demokratie und Erziehung“ diskutiert Dewey vorerst die
nicht aufkündbare Beziehung zwischen Erfahrung und Denken, wobei das Denken in Lebenssituationen stattfindet und „im gegebenen
Augenblick und Zustand unvollkommen und unvollendet ist.“ (Dewey 1993/1916: 196). Danach geht Dewey auf „die Notwendigkeit einer gegebenen Wirklichkeit als erste Stufe des Denkens“ ein, das es
primär anzuregen gelte, zumal es nicht um die Aneignung von „blossen Worten“ gehe (ibid: 205 f). Schliesslich präzisiert er die Beziehung
zwischen Erfahrung, Situation und Methoden:
„Wenn wir uns klarmachen wollen, was eine wirkliche Erfahrung, eine lebendige Situation ist, so müssen wir uns an diejenigen Situationen erinnern, die sich ausserhalb der Schule darbieten, die im gewöhnlichen Leben
Interesse erwecken und zur Betätigung anregen. Eine sorgfältige Untersuchung derjenigen Methoden, die sich überall im eigentlichen Unterricht
– im Rechnen und Lesen, in der Naturlehre, der Erdkunde oder den
Fremdsprachen – als dauernd erfolgreich erweisen, zeigt nämlich, dass ihre
Wirksamkeit gerade auf der Tatsache beruht, dass sie auf diejenige Art von
Situationen zurückgreifen, die im gewöhnlichen, ausserschulischen Leben
zum Nachdenken veranlassen.“ (ibid: 206)
Also doch nichts Neues unter der westlichen Schulsonne? Doch,
denn die heutige Herausforderung besteht darin, die zwei Gäste ins
Klassenzimmer einzuführen und sinnvoll aufeinander ein- und abzustimmen6. Dies ist durchaus zweckmässig und machbar, vorab in der
Berufsbildung, die für den „Erfahrungsgast“ sehr privilegierte Voraussetzungen bietet. Es geht in anderen Worten darum, eine doppelte, integrierte Transposition zu leisten, die didaktisch das Fachwissen und
das Erfahrungswissen im virtuosen Kreislauf zur Konvergenz bringen
kann. Der Unterricht soll sich von den Lebenssituationen inspirieren
und motivieren und vom etablierten Fachwissen bereichern lassen.
Die Kunst der Didaktik im Singular ist es demnach, das Erfahrungswissen und das disziplinäre Fachwissen im Klassenzimmer zu einem
produktiven Bildungsprozess zu vereinigen. Die
Kunst der Fachdidaktiken ist es, diesen Prozess
für das je spezifische Wissen wie in der Fremdsprache, in der Mathematik oder in der Geschichte zu leisten. Freilich muss im Rahmen der
Berufsbildung dieses Fachwissen auch auf die
Bedingungen der spezifischen Berufssituationen
abgestimmt werden.
Lebenssituationen – didaktische
Situationen
Die Abgrenzung zwischen einer Lebenssituation
und einer didaktischen Situation ist klar hervorzuheben7, denn die Unterschiede sind nur auf
den ersten Blick naheliegend und der Übergang
von der einen zur anderen durchaus fliessend.
Man bedenke, dass auch eine didaktische Situation durchaus als Lebenssituation bezeichnet werden kann. In Lebenssituationen, wie wir sie verstehen wollen, ist die Person als Aktor in authentischer Absicht involviert: So wird die
kaufmännische Lehrperson in Lugano am Telefon beim Lieferanten in Zürich Waren zur Aufstockung des Lagers auf Deutsch – allenfalls
Schwytzerdütsch – bestellen. Im didaktischen
Kontext wird diese Situation nachgestellt, inszeniert. Ähnliches gilt für den Tourist aus Basel, der
sich in Locarno eine Pizza und ein Bier wünscht,
um nur zwei Situationen aus zwei unterschiedlichen Lebensbereichen
zu zitieren. Wenn in der didaktischen Situation die authentische Lebenssituation ins Szene gesetzt wird, kann der Bezug direkt oder indirekt sein, wobei dieser Unterscheidung grosse didaktische Bedeutung
zukommt. Direkt besagt nämlich, dass der/die Lernende die Lebenssituation persönlich erfahren konnte und sie inszenieren bzw. davon
in irgend einer Form berichten kann. Indirekt besagt hingegen, dass
die Lebenssituation von keinem Lernenden erfahren worden ist, und
deshalb mit Hilfe von Medien (Beschreibung, Photos, Videos, usw.)
vermittelt werden muss. Natürlich sind persönliche Erfahrungen und
Erlebnisse didaktisch von Vorteil, jedoch wissen Lehrerinnen und
Lehrer, wie beide Formen des Bezugs für das Lernen äusserst sinnvoll
und zweckmässig sind.
Grundsätzlich können wir davon ausgehen, dass Lernen spontan im
normalen Lebenskontext genauso wie absichtlich in speziell dafür
vorgesehenen schulischen Situationen stattfindet (vgl. Abb. 2). Die Situationsdidaktik postuliert, dass, wenn immer möglich und sinnvoll, in
der Schule ein direkter oder indirekter Bezug zu den Lebenssituationen hergestellt werden soll. Damit bleibt die Situationsdidaktik zwar
im Singular, d.h. sie bewahrt einen allgemeinen, übergreifenden Charakter, erhebt aber zugleich den Anspruch, auf die Fachdidaktiken
sinn- und identitätsstiftend zu wirken.Voraussetzung dazu ist eigentlich nur, dass sie ein genügendes Mass an Flexibilität aufweist und den
Fachdidaktiken den nötigen Freiraum lässt.
Die didaktische Benutzung von Erfahrungen aus den Lebenssituationen – vom Beruf wie vom übrigen Alltag – stellt eine wirkliche Herausforderung dar, v.a. wenn der Anspruch auf eine lernproduktive Integration von spontanem Erfahrungswissen und etabliertem Fachwis-
Abb. 2: Vom Lernen nach einer Situationsdidaktik
51
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Abb. 3 Die Hauptphasen einer Situationsdidaktik
sen besteht. Die Gefahr der Banalisierung liegt
auf der Hand. Deshalb macht es Sinn, in einer
Situationsdidaktik drei Hauptmomente zu unterscheiden: I. die Vorbereitung, II. die analytische
Verarbeitung und III. die synthetische Verarbeitung
(vgl. Abb. 3 auf der nächste Seite), die von der
Umsetzung her allerlei Fragen aufkommen lassen. Wir wollen zwei davon kurz diskutieren.
Wie lassen sich Lebenssituationen sinnvoll
abgrenzen und definieren und ins Klassenzimmer
„bringen“?
Ein wichtiger Aspekt der Vorbereitung hat mit der
Identifizierung, Definition und Auswahl von bedeutsamen Lebenssituationen zu tun. In unserem
Alltag führen Situationen ein buntes Leben, sie
kommen sich in die Quere, überlappen und
durchmischen sich, was deren Beschreibung für
didaktische Zwecke zu einer anspruchsvollen
Aufgabe macht. So kann man mit Freunden ins
Restaurant gehen und, siehe da, die Situationen
„Bestellung der Pizza“ und „Pflege der Beziehung zu den Freunden“ gleiten nebeneinander
daher. Gleiches passiert im Büro, wo sich Gleichzeitigkeit zwischen dem Telefongespräch zur Bestellung von Waren und der Zusammenarbeit mit
den KollegInnen einstellt. Und dennoch lassen
sich die Situationen einfangen, wobei sie im beruflichen Umfeld in der Regel viel leichter abzugrenzen sind als im übrigen Alltag. Es gilt dabei u.a. auf bedeutsame und repräsentative, allenfalls beispielhafte Situationen zu achten.
In den letzten Jahren sind bereits zahlreiche
Lehrpläne auf dieser Basis entstanden (siehe dazu
den nächsten Abschnitt). Den Lehrkräften erleichtern sie nicht nur die Arbeit, sie liefern ihnen auch einen wichtigen Legitimationsrahmen,
dies v.a. in der Berufsbildung, oder aber auch in
Projekten wie das erwähnte fide-Projekt. Wer
nicht auf solche Lehrpläne zurückgreifen kann,
kann selbst mit Phantasie und System Lebenssituationen identifizieren, um sie dann auf bestehende, meistens lernziel- bzw. kompetenzorientierte Lehrpläne abzustimmen. Häufig werden
aber Lehrkräfte auch in die Erarbeitung von
Schullehrplänen involviert, was ihnen Gelegenheit gibt, die notwendigen Bezugssituationen zu
identifizieren und zu beschreiben. Zur Illustration einer solchen Vorbereitungsarbeit sei auf das
Beispiel von zwei KollegInnen verwiesen, die
dies für den Fremdsprachenunterricht in
Deutsch und Englisch an einer Höheren Fachschule für Technik geleistet haben (vgl. Box S.
57-58).
Wenn Lebenssituationen in
didaktische Situationen überführt
werden, bilden sie eine wichtige Basis
für ein Lernen, das lebendig und aktiv
gestaltet werden kann.
Ist einmal ein Set solcher Situationen vorhanden, kann der eigentliche
kreative, fachdidaktische Teil der konkreten Gestaltung eines Szenarios in Angriff genommen werden. Man tritt damit in die zweite Phase
der Situationsdidaktik ein (vgl. Abb. 3) und wird mit folgender Frage
konfrontiert:Wie sollen Lebenssituationen in didaktische Situationen
überführt und inszeniert werden? Konkreter: Wer, wie und wann soll
eine (erlebte) Lebenssituation im Unterricht vorstellen? Die Antworten können natürlich sehr vielfältig ausfallen, und hängen vom Fach,
von den Lernenden, von den verfügbaren Medien, usw. ab. Ein Beispiel hierzu wird in der didaktischen Beilage illustriert.
Wie lässt sich die Erfahrung aus den Lebenssituationen analytisch
bzw. synthetisch verarbeiten?
Die vermutlich wichtigsten Lernprozesse spielen sich in den Phasen
der reflexiven Verarbeitung des Erfahrungs- und des Fachwissens ab.
Die Phasen 2 (Präsentation), 3 (Strukturierung) und 4 (Identifizierung II) greifen dabei ineinander: Man beginnt mit der Präsentation
einer Situation, die einer analytischen Strukturierung unterzogen
werden muss. Sobald die Situation angemessen beschrieben worden
ist kann die zentrale Frage gestellt werden: Welche Ressourcen, d.h.
welche Kenntnisse, welche Fähigkeiten und welche Haltungen sind
notwendig, um in der Situation angemessen und erfolgreich handeln
zu können? Betrachten wir dies kurz an einem Beispiel. Die Englischlehrkraft an der höheren Fachschule lässt eine Studentin, die ein Praktikum in einer Pharmazeutikfirma absolviert, über die Sicherheitspraktiken im Labor berichten (Siehe Box, Situation 3.1). Ihre Erzählung wird mit schriftlichen Unterlagen und einigen Photos bereichert.
Die Berichterstattung wird im Unterricht analysiert: Handlungen,
Ziele, Akteure, Bedingungen usw. werden festgehalten. Daraufhin
wird die Frage nach den zur Bewältigung der Situation notwendigen
sprachlichen Ressourcen gestellt. Die Ergebnisse der Diskussion werden mit denen im Schullehrplan vorgegebenen Beschreibungen verglichen (vgl. Box).
Die folgenden zwei abschliessenden Phasen 5 und 6 können je nach
Situation die anspruchsvollsten und intensivsten sein, denn sie müssen
den Lernprozess zu Ende führen. Die Lehrkraft wird hier aus dem
Vollen schöpfen können und dabei je nach Bedürfnis und Interesse
auf Textanalyse, Grammatiklektionen, Simulationen, Übungen usw.
zurückgreifen.
Situationsorientierte Lehrpläne
Wie steht es mit den heutigen Lehrplänen? Ermöglichen oder begünstigen sie die Verwirklichung einer Situationsdidaktik im Unterricht?
Seit den 1970er Jahren wurden traditionelle, auf die Definition der
Unterrichtsinhalte ausgerichtete Lehrpläne systematisch von sogenannten lernzielorientierten Curricula ersetzt, die Lernen in Form
von möglichst beobachtbarem Verhalten beschreiben. Diese soge53
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Cheminots du Paris-Lyon-Méditerranée, 1912.
nannte Lernzielwende der Pädagogik
war seit je weniger den didaktischen
Anliegen nach einer sinnvollen Gestaltung des Unterrichts, als vielmehr
den gesellschaftlichen Anforderungen
nach Kontrolle und Rechenschaftsablegung8 verpflichtet und bleibt bis
heute das vorherrschende Paradigma.
Allerdings hat in den letzten zwei Dekaden die Aufmerksamkeit für den
konkreten Verwendungskontext des
Wissens stark zugenommen und sich
als Kompetenzorientierung etabliert.
Damit wurde dem Wunsch nach vermehrter Handlungsnähe und unmittelbarer, marktorientierter Verwertbarkeit der Lernergebnisse Rechnung getragen, ohne dabei des gesellschaftlichen
Anspruchs nach Kontrolle verlustig zu
gehen. Es mag banal erscheinen, aber
die Resultante aus dieser Kreuzung
besteht einfach darin, dass Kompetenzen in heutigen Lehrplänen in der
Regel einfach als beobachtbare Lern-
54
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ziele alter Manier definiert werden.
Dies trifft auch für die Fremdsprachen
zu, wo mit dem Gemeinsamen Europäischen Referenzrahmen9, u.a. zur
Begünstigung der internationalen
Lesbarkeit und Anerkennung, Referenzniveaus mit sogenannten „KannBeschreibungen“ angegeben werden.
Generell kann jedoch gesagt werden,
dass sich eine solche Handlungs- und
Kompetenzausrichtung sehr gut mit
der Situationsdidaktik vereinbaren lässt.
Auch in der Berufsbildung sind Lernziel- und Kompetenzorientierung
tonangebend. Dank einer breit angelegten Reform ist in den letzten 10
Jahren aus den meisten Lehrplänen
(Berufsreglemente) ein doppeltes Instrument geworden, das sich aus einer
Verordnung und einem dazu gehörenden Bildungsplan zusammensetzt. Die
Vorgaben des SBFI (früher BBT) erlaubten es allerdings, neben strikten
lernzielorientierten auch situationsorientierte Lehrpläne zu konzipie-
ren10, sofern diese eine adäquate Beschreibung der angestrebten Handlungskompetenzen beinhalten. So sind
zahlreiche Bildungsverordnungen
nach dem CoRe-Modell (Kompetenzen-Ressourcen-Modell) entstanden11, ein Verfahren zur Entwicklung
von Curricula, das von der Analyse
von beruflichen und Lebenssituationen ausgeht und die Ressourcen bzw.
Kompetenzen definiert, welche zu deren Bewältigung notwendig sind 12.
Wer solche Bildungspläne zur Verfügung hat, kann leicht auf ein Set von
bedeutsamen, repräsentativen Situationen zurückgreifen und sie als Ausgangspunkt für die didaktische Gestaltung des Unterrichts verwenden. Sind
solche Lehrpläne nicht verfügbar,
können Situationen identifiziert werden und in der Regel ohne grosse
Probleme mit den Kompetenzanforderungen der üblichen Lehrpläne abgestimmt werden.
Die Hauptphasen einer
Situationsdidaktik
In Abb. 3 werden die sechs Hauptphasen einer Situationsdidaktik zusammenfassend dargestellt, wobei in aller
Knappheit für jede Phase auf die didaktische Fragestellung, die didaktischen Optionen und das zu erwartende Resultat eingegangen wird. Es ist
äusserst wichtig festzuhalten, dass die
Reihenfolge der Phasen idealtypischen Charakter hat und keinesfalls als
rigide betrachtet werden muss. Im
Gegenteil: Es steht der Lehrkraft frei,
die Sequenzen je nach Bedürfnissen
und Kontext zu variieren. Ebenso hat
die Lehrkraft völlige Freiheit in der
Auswahl der jeweiligen methodischen
Optionen, denn eine Situationsdidaktik
ist nicht mit didaktischen Methoden
gleichzusetzen, sondern ist solchen
Methoden übergeordnet.
Von diesen Prämissen ausgehend lassen sich zwei entscheidende Prinzipien hervorstreichen. Eine Situationsdidaktik soll integrierend wirken und flexibel sein. Integration ist dabei doppelt
zu verstehen und bezieht sich gleichsam auf die systematische Herstellung
des Bezugs zwischen Lebens- und didaktischen Situationen und auf die
Zusammenführung von Erfahrungsund Fachwissen. Zusammenführung
bedeutet u.a., dass Fachwissen nicht
einfach aus dem Erfahrungswissen induktiv rekonstruiert werden kann,
sondern als Input autonom in den
Lernprozess eingegeben werden muss.
Flexibilität heisst, dass Situationsdidaktik den Rahmen hergibt, der auf
fachspezifischer Ebene je nach Inhalten und methodischen Opportunitäten konkretisiert werden muss. In diesem Sinne steht eine Situationsdidaktik
für pädagogische und methodische
Vielfalt, für eine möglichst kreative, lebendige wenn auch rigorose Inszenierung des fachlich bestimmten Unterrichts, die von den in ihrer Rolle aufgewerteten Lehrpersonen geleistet
werden muss. Alle denkbaren methodischen Hegemonieansprüche sind
aus ihrem Horizont verbannt.
Die Metapher liesse sich insofern weiter
ausführen, als die zwei Gäste, die in der Philosophie und Epistemologie mit dem Empirismus und dem Rationalismus eng verwandt
sind, seit je etwas zerstritten und nicht immer
gut aufeinander zu sprechen sind.Wir wollen
hier jedenfalls mit Immanuel Kant die „Vernunft ins Gericht zitieren“ und in didaktischer Absicht den kritischen Weg der Versöhnung, ja der gegenseitigen – auch im Sinne
des ‚kognitiven Konflikts’ – Fruchtbarmachung gehen.
7
Wir definieren Situation als eine strukturierte zeitliche und räumliche Einheit (Entität) worin eine oder mehrere Personen zielgerichtete Handlungen vollführen, welche in
übergeordnete, sinnstiftende Tätigkeiten
(Praxis) eingebettet sind. Eine Situation unterliegt objektiven (materiellen und sozialen)
und subjektiven Bedingungen und bestimmten Normen. Deshalb wird die Struktur einer
Situation mindestens von folgenden Elementen bestimmt: die Akteure (Handlungssubjekte), die Handlungen, die Kontextbedingungen, die Normen.
8
Damit verbunden ist eine radikale Veränderung der administrativ-politischen Steuerung
der Schule in Richtung Kontrolle der Resultate bzw. Rechenschaftsablegung einher gegangen: Man spricht heute von einer sogenannten Output- gegenüber der früheren Input-Kontrolle.
9
Vgl. dazu die ausführliche Dokumentation
im thematischen Archiv von Babylonia:
http://babylonia.ch/fileadmin/user_upload/
documents/FICHES_PDF/10_GER.pdf
10
Vgl. Dazu das Handbuch zur Entwicklung
von Bildungsverordnungen der beruflichen
Grundbildung, SBFI/BBT, abrufbar unter:
http://www.sbfi.admin.ch/ber ufsbild u n g / 0 15 8 7 / 0 15 9 5 / 0 15 9 6 / i n d e x .
html?lang=de
11
Das CoRe-Modell wird im erwähnten
Handbuch kurz dargelegt und in Ghisla et al.
2008 ausführlich beschrieben. Ein Kurzportrait ist abrufbar unter: http://idea-ti.ch/de/
documenti-e-pubblicazioni/documenti-dibase/
12
Solche Bildungspläne sind etwa für verschiedene Berufe erstellt worden, so etwa im
sozialen Bereich, bei den sogenannten
MEM-Berufen (Maschinen-, Elektro- und
6
Anmerkungen
Dieser Beitrag ist das Resultat einer langjährigen Arbeit in der Curriculumentwicklung in zahlreichen Fächern und in der didaktischen Ausbildung von LehrerInnen und
Lehrern, v.a. in der Berufsbildung. Die didaktischen Konzepte werden hier für die Fremdsprachendidaktik diskutiert, sie haben aber
grundsätzlich eine allgemeine Geltung. Den
vielen KollegInnen, v.a. Monica Lupi, die an
der Erprobung und Diskussion der Konzepte
beteiligt waren geht gilt unser ausdrücklicher
Dank.
2
Siehe zu solchen ausführlich besprochenen
Beispielen die Beiträge von Margrit Hagenow und Gé Stoks in Babylonia 1/2013. Solche Szenarien sind systematisch für wichtige
Lebensbereiche wie Wohnungsumgebung,
Kinder, Arbeitssuche, Verkehr, usw. erarbeitet
worden. Sämtliche Unterlagen sind auf dem
Fideportal verfügbar. (www.fide-info.ch)
3
Der so definierte virtuose Kreislauf versteht
sich streng didaktisch und nicht als möglicher
Lernkreislauf. Damit soll auch etwa der Unterschied zum Kreislauf von Kolb (1984)
markiert werden.
4
Den theoretischen Hintergrund zu dieser
Konzeption des Lernens und der Didaktik
liefern zahlreiche Autoren. Es sei insbesondere auf folgende verwiesen: Gilbert Ryle
(1949), der Entscheidendes zur Klärung der
Unterscheidung von deklarativem (knowing
that) und prozeduralem (knowing how) Wissen geleistet hat, Michel Polany (1966) mit
seinem bahnbrechenden Beitrag zum impliziten und expliziten Wissen, Georg Hans
Neuweg (2001, 2000), der die Begriffe von
Polany im Hinblick aufs Lernen und die Didaktik aufgearbeitet hat, Donald Schön
(1987) mit seinen unerlässlichen Arbeiten
zum Reflexionsbegriff, David Kolb (1984)
der die Bedeutung des Erfahrungslernens
neu aufgerollt hat und I. Nonaka & H.Takeuchi (1995), die die Entstehungsprozesse des
Wissens in der Arbeit beleuchtet haben.
5
Vgl. dazu z.B. die Nummer 139/199-2 der
Zeitschrift Education permanente, die dem
Thema «Apprendre des situations» gewidmet
ist, aber auch G. Brousseau, der eine «théorie
des situations didactiques» vorgelegt hat.
1
55
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Metallindustrie), bei den Pharmaassistentinnen und weiteren Berufen sowie auch in der
höheren Berufsbildung (alle Bildungsverordnungen und -pläne auf der SEFRIHomepage abrufbar). Situationsorientierte
Materialien sind aber auch z.B. zum Berufsrechnen für verschiedene Berufe im Entstehen (Kaiser, 2013).
Bibliografie
Broussau, G. (o.J.). La théorie des situations didactiques. Abrufbar unter: http://eroditi.free.
fr/Enseignement/DDML3S1_08-09/
DDML30809S1_C5_TSDb.pdf (8.7.2013)
Chevallard, Y. (1991). La transposition didactique du savoir savant au savoir enseigné. Grenoble: La Pensée Sauvage.
Dewey, J. (1993/1916). Demokratie und Erziehung. Weinheim und Basel: Beltz. (Hrsg. Jürgen Oelkers)
Comenius, J. A. (1992/1638). Grosse Didaktik. Stuttgart: Klett-Cotta.
Ghisla, G., Bausch, L., & Boldrini, E.
(2008). CoRe – Kompetenzen-Ressourcen:
Ein Modell der Curriculumentwicklung für
die Berufsbildung. Zeitschrift für Berufs- und
Wirtschaftspädagogik, 3/2008, 431–466.
Hagenow-Caprez, M. (2013). Unterrichten
mit Szenarien: “Aus der Praxis”. Babylonia,
1/2013, 47-50.
Heitzmann, A. (2013). Entwicklung und
Etablierung der Fachdidaktik in der schweizerischen Lehrerinnen- und Lehrerbildung.
Beiträge zur Lehrerbildung, 1/2013, 5-17.
Kaiser H. (2013). Ansätze für eine berufsbildungsspezifische Didaktik des Fachrechnens.
In: bwp@ Berufs- und Wirtschaftspädagogik –
online, Ausgabe 24, 1-21. Online: http://
www.bwpat.de/ausgabe24/kaiser_bwpat24.
pdf (8.7.2013)
Kolb, D. A. (1984). Experiential Learning: Experience as the Source of Learning and Development.
New York: Englewood Cliffs, Prentice Hall.
Neuweg, G. H. (2000). Wissen Können Reflexion. Innsbruck: STUDIENVerlag.
Neuwg, G. H. (2004). Könnerschaft und implizites Wissen. Münster: Waxmann.
Nonaka, I. & Takeuchi, H. (1995). The
Knowledge-Creating Company. Oxford/New
York: Oxford University Press.
Polanyi, M. (1966). The Tacit Dimension.
Gloucester, MA: Peter Smith.
Ryle, G. (1949). The Concept of Mind. London: Hitchinson & Co.
Schön, D. A. (1987). Educating the Reflective
Practitioner. San Francisco: Jossey-Bass.
Schneuwly, B. (2013). Didaktik: Aufbau eines
disziplinären Feldes – Eine frankofone Perspektive. Beiträge zur Lehrerbildung, 1/2013, 1830.
Stoks, G. (2013). L’approccio per scenari
anche per altri ambiti formativi? Babylonia,
1/2013, 39-42.
Gianni Ghisla
PhD, ist Mitglied der Redaktion von Babylonia. Seit Jahren ist er in der Lehrerausbildung
tätig und beschäftigt sich mit Fragen der Didaktik und der Schulinnovation.
Luca Bausch
lic. phil. In Politikwissenschaften, ist Projektverantwortlicher und Dozent am Eidgenössischen Hoschulinstitut für Berufsbildung
(EHB) in Lugano. Nebe der Didaktik, konzentrieren sich seine Forschungsinteressen
auf die Fragen der LehrerInnenidentität, die
Entwicklung von Curricula und die Analyse
von Berufspraktiken.
Elena Boldrini
PhD, ist Senior Researcher und Dozentin am
Eidgenössischen Hochschulinstitut für Berufsbildung (EHB) in Lugano. Ihre Forschungsinteressen betreffen v.a. die didaktische Anwendung von Technologien in der
Berufsbildung, die Fragen der LehrerInnendentität, die Entwicklung von Curricula und
die Analyse von Berufspraktiken.
Eugène Atget, Marchand d’abat-jours dans les rues de Paris, 1899.
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Damiano Cioldi und Giorgia Franzini | Bellinzona
Sprachlich bedeutsame Situationen im Beruf
Den Fremdsprachenlehrkräften an einer Höheren Fachschule (HF) stellt
sich eine wichtige Frage: Wie sollen die relativ offenen Vorgaben des
Rahmenlehrplans für Technik (2.8.2010) in den Unterricht bedürfnisorientiert und fachgerecht umgesetzt werden? Der Lehrplan verlangt eigentlich nur, dass diplomierte TechnikerInnen einer HF „sich im Alltag
der beruflichen Tätigkeit in einer Fremdsprache verständigen können“,
wobei das minimale Niveau auf der Stufe A2 des europäischen Sprachenportfolios angesetzt ist. Die Schulen können sich auf der Basis dieser offenen Voraussetzungen recht frei bewegen und ihren Fremdsprachenunterricht in Inhalt und Form auch frei gestalten. Dies geschieht in
der Regel mit einem Schullehrplan, der von den beteiligte Lehrkräften
mitkonzipiert wird.
Wir unterrichten an zwei Schulen, in Bellinzona und Trevano, die diplomierte Systemtechniker ausbilden und zwar für die Elektrotechnik, Metallkonstruktion sowie Chemie und Pharmazeutik, entweder in einem
vollschulischen oder in einem berufsbegleitenden Curriculum. Der Unterricht erfolgt in den Sprachen Deutsch und Englisch und hat für das
Vollzeitcurriculum 146 Unterrichtsstunden zur Verfügung, verteilt auf
zwei Jahre, während im berufsbegleitenden, dreijährigen Kurs 216 Unterrichtsstunden verfügbar sind. An den Abschlussprüfungen werden
Sprachkompetenzen sowohl genereller als auch fachspezifischer Natur
verlangt.
Im Folgenden soll knapp und am Beispiel des Lehrplans für den Bereich
Chemie und Pharmazeutik aufgezeigt werden, wie wir bei der Identifikation der für den beruflichen Alltag in fremdsprachlicher Hinsicht bedeutsamen und repräsentativen Situationen vorgegangen sind und wie das
vorläufige Resultat aussieht.
KOMPETENZBEREICH
1. Arbeitssuche
2. IT-Ressourcen
3. Laboraktivitäten
4. Administration und
Fortbildung
Wichtig ist festzuhalten, dass man bei einer derartigen Lehrplanarbeit immer die zwei zentralen Perspektiven möglichst präsent haben sollte: Einerseits die didaktische Situation, worin sich das Lehren und Lernen hauptsächlich abspielen wird,
andererseits die berufliche Tätigkeit, worin das
Gelernte zur Anwendung kommt. Nur wenn es gelingt, eine genügende Kontinuität zwischen den
zwei Kontexten zu erzielen wird das Lernen tatsächlich erfolgreich sein.
Da wir von der Ausbildung her Sprachfachleute
sind, haben wir uns entschieden, um diesen zwei
Anforderungen genügen zu können, Erfahrungen
am Arbeitsplatz zu sammeln. So hat einer von uns
im letzten Sommer zwei Wochen bei einer Pharmazeutikfirma verbracht, Einsicht in beinahe alle
Arbeitsprozesse haben können und v.a. die Verwendung der englischen Sprache unter die Lupe
genommen.
Auf dieser Basis haben wir uns vorerst überlegt,
welche Berufsaktivitäten fremdsprachlich relevant sind und wir haben vier Kompetenzbereiche
bestimmt: Arbeitssuche, IT-Ressourcen, Laboraktivitäten, administrative Arbeiten und Fortbildung.
Die verschiedenen möglichen Handlungssituationen wurden dann gruppiert und sozusagen in die
Vernehmlassung geschickt. Einige berufstätige
Systemtechniker haben sie kritisch begutachtet.
Das Resultat mit 18 gruppierten Situationen, das
noch weiter evaluiert werden soll, sieht vorläufig
wie folgt aus:
SITUATION
1.1
Redaktion eines Curriculum Vitae
1.2
Stellensuche in den einschlägigen Medien
1.3
Verfassung von schriftlichen Bewerbungen
1.4
Persönliche Vorstellung am Telefon oder in Präsenz
2.1
Benutzung der elektronischen Post und der verschiedenen social networks
2.2
Suche nach Informationen und Wissen zum Beruf im Internet
2.3
Benutzung von beruflich relevanten Softwares
3.1
Anwendung von bereits vorhandenen Prozeduren und Statements (z.B. hazard statements, precautionary statements)
3.2
Redaktion von neuen, firmeninternen Prozeduren
3.3
Anwendung von Richtlinien und vorgegebenen Normen (z.B.:GMP – Good Manufacturing
Practice)
3.5
Anwendung von mündlichen oder schriflichen Instruktionen zu neuen Instrumenten und Anlagen
3.6
Technische Informationen zur Lösung von Laborproblemen einholen
3.7
Labormaterial bestellen
3.8
Laborberichte redigieren
4.1
Beteiligung an Sitzungen der Unternehmungsführung in Präsenz oder online
4.2
Präsentationen vorbereiten und halten
4.3
Fotbildungsaktivitäten (Kurse, persönliche Recherchen, usw.)
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Gleichzeitig wurde die Arbeit an der Verfeinerung, d.h. Strukturierung
und Beschreibung einer jeden Situation aufgenommen. Neben der Beschreibung der Aktivität, die sich in Situationen abspielt ist diesbezüglich eine Frage zentral: Welche sprachlichen Ressourcen (Kenntnisse, Fähigkeiten und Haltungen) sind notwendig, um die Arbeitssituation kompetent bewältigen zu können?
In diesem Falle illustrieren wir das vorläufige Ergebnis am Beispiel einer
Handlungssituation im Labor, wo Sicherheitsvorschriften sehr streng
gehandhabt werden müssen.
Da solche Vorschriften häufig auf Englisch verfasst und da an den Laborteams häufig englischsprechende MitarbeiterInnen tätig sind, ist
des verlangte Niveau mit B1-B2 deutlich höher angesetzt als bei den Minimalanforderungen des
Rahmenlehrplans.
Situation 3.1
Anwendung von bereits vorhandenen Prozeduren und Statements
(z.B. hazard statements, precautionary statements)
Akteure
Systemtechniker, Mitarbeiterinnen
Aktivität
Der chemisch-pharmazeutische Systemtechniker führt und überwacht sämtliche Arbeiten im chemischen und
biologischen Labor. Er muss dabei für die Einhaltung von Prozeduren und Statements sorgen, die entweder standardisiert oder experimentell sein können. Standardprozeduren und Statement sind in internationalen Anleitungen enthalten, die entweder schriflich oder online in englischer Sprache verfügbar sind. Bei diesen Aktivitäten
muss der Systemtechniker häufig mit MitarbeiterInnen in der eigenen oder mit VertreterInnen anderer Firmen
effizient und sicher kommunizieren können.
Normen
Internationale und firmenspezifische Normen
Ressourcen
Kenntnisse
Sprachlich (Italienisch/Englisch):
r-FYJLBMJTDIF,FOOUOJTTFFJOTDIMÅHJHFT7PLBCVMBS[V4VCTUBO[FO4JDIFSIFJUTWPSLFISVOHFO/PSNFO)BOEMVOgen, usw.)
r5ZQJTDIF5FYUTUSVLUVSFO
Fachspezifisch:
r4VCTUBO[FO*OTUSVNFOUFVOE1SP[FEVSFOEJFJN-BCPS[VS"OXFOEVOHLPNNFO.BUFSJBMJFONJUJISFOFJOschlägigen Charakteristika (einschliesslich Gefahren)
Fähigkeiten
Sprachlich (Italienisch/Englisch):
r4JDIFSFTTDISJGUMJDIFTVOENÛOEMJDIFT7FSTUFIFOWPOFJOTDIMÅHJHFO*OGPSNBUJPOFO[VTÅNUMJDIFOSFMFWBOUFO-Bboraktivitäten (Niveau B1-B2)
r4JDIFSF7FSTDISJGUMJDIVOHWPO4UBOEBSEJOGPSNBUJPOFO/JWFBV#Ɔ#Ƈ
r7FSGBTTFOWPOFJOGBDIFO5FYUFOVOE1SÅTFOUBUJPOFO/JWFBV#Ɔ
r4JDIFSFNÛOEMJDIF.JUUFJMVOHWPO4UBOEBSEJOGPSNBUJPOFO/JWFBV#Ƈ#Ƈ
r.ÛOEMJDIF1SÅTFOUBUJPOWPOFJOGBDIFO*OGPSNBUJPOFO/JWFBV#Ƈ
Fachspezifisch:
r&JOTDIMÅHJHF'ÅIJHLFJUFO[VEFOWFSTDIJFEFOFO-BCPSBLUJWJUÅUFO
Haltungen
Verantwortungssinn, Genauigkeit, Disziplin, Flexibilität, Sinn für Zusammenarbeit
Damit verfügen wir über eine zuverlässige situationsbasierte Beschreibung der fremdsprachlichen Anforderungen des beruflichen Alltag und können uns, ausgehend von der Frage „Wie lassen sich diese
Alltagssituationen am besten in die Unterrichtsrealität hinein bringen?“, an die didaktische Gestaltung der Szenarien machen.
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Damiano Cioldi
Englischlehrer an den Höheren Fachschulen im Tessin.
Giorgia Franzini
unterrichtet Deutsch an den Höheren Fachschulen im
Tessin.
Tema
Zweisprachiger Unterricht
an Berufsfachschulen? Aber sicher!
Mary Miltschev | Zürich
L’insegnamento bilingue nelle scuole specializzate per le professioni è
stato introdotto per la prima volta nel 1999 a Zurigo e in alcuni cantoni
della Svizzera tedesca nella combinazione tedesco/inglese. In due progetti zurighesi (denominati bili ) in totale 40 insegnanti hanno tenuto le
loro lezioni bilingui in 10 scuole professionali. Nel 2010 i progetti sono
stati sottoposti ad una valutazione esterna ad opera dell’Università
di Friborgo. I risultati hanno mostrato che le competenze specifiche
degli allievi delle classi bilingui sono altrettanto buone che quelle
degli allievi delle altre classi. Inoltre, essi evidenziano chiaramente
migliori conoscenze linguistiche rispetto agli allievi delle altre classi.
Di conseguenza, l’insegnamento bilingue è possibile in tutte le scuole
professionali del canton Zurigo. Il Consiglio di Stato ha messo a disposizione 1.6 milioni di franchi per la fase preparatoria di questa introduzione (2011-2015). Ciò consente il sostegno finanziario dei nuovi
docenti che devono formarsi tanto dal punto di vista linguistico quanto
da quello didattico per poter tenere lezioni bilingui. Da allora sono
più di 30 i nuovi insegnanti operanti nell’insegnamento bilingue nel
canton Zurigo. Il bili è particolarmente adatto per le classi di maturità
professionale, in cui l’insegnamento bilingue è praticato piuttosto in
modo immersivo. Sia nelle scuole specializzate per le professioni che
a livello di maturità professionale sono stati effettuati con successo
esami finali bilingui. L’esame bilingue in una materia viene registrato
nella pagella finale e visibile ai futuri datori di lavoro. In altri cantoni
l’insegnamento bilingue ha luogo in singole scuole. Il canton Lucerna
sta per far sì che a partire dal prossimo anno scolastico ci sia almeno
una classe bilingue in ogni scuola professionale. A livello federale
sono state approvate misure di sostegno nel campo dell’insegnamento
bilingue. Non resta che sperare che questa moderna forma di insegnamento si consolidi a lungo termine in tutta la Svizzera.
Altri articoli su questo tema:
www.babylonia.ch >
Archivio tematico > Schede 11 e 15
Ein Blick zurück
Wer würde heute der Behauptung glauben, dass
der bilinguale Unterricht zuerst an Berufsfachschulen erprobt wurde, bevor auch die Mittelschulen sich dazu entschlossen, mit Immersion
anzufangen? Schliesslich ist der zweisprachige
Unterricht fast schon zu einem Markenzeichen
der Gymnasien geworden, der auch bei den Jugendlichen sehr beliebt ist. Und doch stimmt die
Aussage. Werfen wir einen kurzen Blick zurück:
In den 90er Jahren entdecken ein paar wissens-
gierige Berufschullehrpersonen die Forschungsergebnisse aus Kanada, wo der Fachunterricht in
einer Fremdsprache bereits in den 60er Jahren
eingeführt wurde. Die Kinder wurden dort ausschliesslich in der gewählten Fremdsprache unterrichtet und dies von der ersten Klasse an. Die
Resultate waren erstaunlich, vor allem, weil bei
dieser Methode die Kinder nicht nur die Fremdsprache sehr schnell lernten, sondern auch Fortschritte in der Muttersprache, die nicht unterrichtet wurde, erzielten. Nun, damals – wie auch
heute – waren die Fremdsprachen in der Berufsbildung nicht sehr stark vertreten: In den meisten
Berufen, in denen die Jugendlichen ausgebildet
wurden, gab es nach der Volksschule keinen
Fremdsprachenunterricht mehr.
Der Anfang
Das war der Hauptgrund, warum sich einige Enthusiasten entschlossen, ihre Lernenden in einem
Fach zweisprachig (in der Kombination
Deutsch/Englisch) zu unterrichten.Sie tauften
das Projekt bi.li.1 (für bilingualen Unterricht)
und reichten ein Gesuch für finanzielle Unterstützung beim Kanton Zürich ein.Vertreten waren Lehrpersonen aus elf Berufsfachschulen im
Kanton Zürich und einzelne Lehrpersonen aus
anderen Deutschschweizer Kantonen. Die grosse
Aufbauarbeit begann. Da dies ein „bottom up“
Projekt war, galt es zuerst alle Beteiligten – Lernende, Schulleiter und Betriebe – vom Nutzen
dieser Unterrichtsform zu überzeugen. Das war
keine leichte Aufgabe. Besonders wenn man bedenkt, dass sogar heute die gleichen Vorurteile in
den Köpfen der meisten nicht direkt Beteiligten
herrschen, nämlich: die Lernenden müssen im
Beruf, nicht in Sprachen, ausgebildet werden.
Oder: sie müssen zuerst Deutsch lernen, erst
dann die Fremdsprache. Den Erkenntnissen aus
der Forschung, dass das eine das andere nicht
ausschliesst, sondern sogar unterstützt, wurde
immer wieder mit Skepsis begegnet.
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Der zweisprachige Unterricht an Berufsfachschulen wurde zum
ersten Mal 1999 in Zürich und in einigen Deutschschweizer Kantonen
in der Kombination Deutsch/Englisch eingeführt. Innerhalb von zwei
Zürcher Projekten (unter dem Namen bili) unterrichteten insgesamt
40 Lehrpersonen an 10 Berufsfachschulen ihre Fächer bilingual. 2010
wurden die Projekte durch die Universität Freiburg extern evaluiert.
Die Ergebnisse zeigten, dass die Fachkompetenzen der Lernenden in
den bili-Klassen mindestens so gut wie diejenigen der Lernenden in
den Kontrollklassen waren. Zudem wiesen sie klar bessere Sprachkenntnisse aus als die Lernenden in den Kontrollklassen. Darauf
wurde der bilinguale Unterricht im Kanton Zürich für alle Berufsschulen möglich. Der Regierungsrat bewilligte 1,6 Millionen Franken für
die Aufbauphase der Einführung (2011-2015). Dies ermöglicht die
finanzielle Unterstützung der neueinsteigenden Lehrpersonen, die
sich sprachlich und didaktisch weiterbilden müssen, um bilingual zu
unterrichten.
Seitdem sind über 30 Lehrpersonen in den bilingualen Unterricht im
Kanton Zürich eingestiegen. Besonders geeignet ist bili für Berufsmaturitätsklassen, wo der zweisprachige Unterricht eher immersiv
als bilingual geführt wird. Sowohl an den Berufsfachschulen als auch
auf Berufsmaturitätsstufe wurden zweisprachige Abschlussprüfungen erfolgreich durchgeführt. Der zweisprachige Abschluss in einem
Fach wird in den Schlusszeugnissen vermerkt und somit auch für die
künftigen Arbeitgeber sichtbar.
Im Rahmen dieses Projekts wurden zwei Bücher herausgegeben (Jansen O’Dywer & Nabholz, 2004, Jansen O’Dywer, 2007) zudem eine
Informationsbroschüre und ein Kurzvideo. Parallel dazu, und beinahe
unbemerkt von der Öffentlichkeit, wurden Woche für Woche verschiedene Fächer auf Englisch unterrichtet, zweisprachige Übungsblätter wurden kreiert, Materialien wurden gesammelt und man traf
sich regelmässig, um Erfahrungen auszutauschen.
Mittlerweile waren auch die Mittelschulen neugierig geworden – warum nicht gleich selbst ausprobieren, wenn es schon in den Berufsfachschulen geht? Es wurde nach einem neuen Namen gesucht und
schliesslich, im Jahr 2001, wurde die Immersion, das Eintauchen im
Sprachbad, geboren.
Die Entwicklung und der Erfolg des zweisprachigen Unterrichts an
den Mittelschulen ist nicht das Thema dieses Artikels. Es zeigt nur, was
man erreichen kann, wenn die Beteiligten – in diesem Fall die Schülerinnen und Schüler, die Eltern, die Lehrpersonen und nicht zuletzt
die Schulleitungen – voll hinter einem Projekt, besser gesagt, hinter
einer innovativen Unterrichtsform stehen.
Die Fortsetzung
Zurück zur Berufsbildung: Nach Ablauf des ersten Projekts stellte sich
die Frage nach der didaktisch-methodischen Ausbildung der Fachlehrpersonen, die bilingual unterrichteten. Es wurde mittlerweile klar,
dass es nicht reicht, in der Stunde ein wenig Englisch zu sprechen
oder einfach etwas auszuprobieren. Auch beim zweisprachigen Un60
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
terricht ist das Erlernen des Fachs, und nicht der
Sprache, im Vordergrund. Dies erfordert das Beherrschen spezifischer methodisch-didaktischer
Kompetenzen, die dabei helfen, die Lernenden
weder im Fach noch in der Sprache zu überfordern. Darum lag der Schwerpunkt des Umsetzungsprojekts bili bei der Ausbildung der Lehrpersonen. In diesem Projekt 2 verschwand der
Punkt vom bi.li, und es wurden die Rahmenbedingungen für den erfolgreichen zweisprachigen
Unterricht genauer definiert. Die Lehrpersonen
wurden in einem Didaktikkurs ausgebildet sowie sprachlich und finanziell durch das Mittelschul- und Berufsbildungsamt Zürich unterstützt. Die Fachstelle Fremdsprachen übernahm
die Koordination und Beratung im bilingualen
Bereich, der methodisch-didaktische bili-Lehrgang wurde am Zürcher Hochschulinstitut für
Schulpädagogik und Fachdidaktik angesiedelt.
Zudem wurden mit einzelnen Klassen die zweisprachigen Lehrabschlussprüfungen erfolgreich
erprobt. Die bili-Familie im Kanton Zürich
wuchs.
Die Evaluation
Mittlerweile war das Thema Mehrsprachigkeit in
allen Bildungsbelangen wichtig geworden. Sowohl in Europa als auch in der Schweiz3 wurden
dem Erlernen von Fremdsprachen und den damit
verbundenen interkulturellen Kompetenzen zentrale Bedeutung zugemessen. Die Fremdsprachen
als Fach in der Berufsbildung waren noch immer
nur bei den Kaufleuten, den Detailhandelsangestellten und bei einigen wenigen anderen Berufen vertreten. Die restlichen fast fünfzig Prozent
der Zürcher Jugendlichen, die mittlerweile dank dem HarmoS-Konkordat - mit acht Jahren
Englisch und fünf Jahren Französisch aus der
Volksschule kommen, haben an den Berufsfachschulen keinen Deutsch- oder Fremdsprachenunterricht mehr. Bili ist für sie immer noch die
einzige Möglichkeit, ihre vorhandenen Fremdsprachenkenntnisse mindestens zu erhalten.
Nur, ist bili wirklich nützlich?
Antworten dazu lieferte die im 2010 von der
Universität Freiburg durchgeführte Evaluation
der beiden Zürcher Projekte (Brohy & Gurtner,
2011). Die wichtigsten Erkenntnisse daraus wa-
ren, dass die bili-Lernenden bessere Sprachkenntnisse und mindestens
gleich gute Fachkompetenzen im Vergleich zu den Lernenden in den
Kontrollklassen ohne bili-Unterricht aufwiesen.Wirklich erstaunt darüber waren nur die Skeptiker. Die Resultate waren eine grosse Anerkennung der Arbeit der bili-Lehrpersonen, die oft auch an der eigenen Berufsfachschule einen schweren Stand hatten und manchmal
weder von Schulleitungen noch von Kolleginnen und Kollegen unterstützt wurden.
Interessant waren einige Ergebnisse, die ans Licht kamen, z.B. dies: die
bili-Lernenden räumen intuitiv und ohne didaktische Fachkenntnisse
mit einigen Vorurteilen gegenüber bili auf, die sich in der Bildungslandschaft immer noch hartnäckig halten.
Wie aus Abb. 1 ersichtlich wird, findet die Aussage „Ich werde im
Fach Deutsch einen geringeren Fachwortschatz haben als die Lernenden in den einsprachigen Klassen“ bei den befragten bili-Lernenden
die kleinste Zustimmung. Die höchste Zustimmung trifft auf die Aussage zu: „Es ist nicht nötig, Fremdsprachen fehlerlos zu sprechen und
zu schreiben, die Kommunikation ist wichtig.“
Abb. 1: Aussage Lernenden (Quelle: Brohy et. al., 2011)
Spannend ist auch ein kleines Detail aus der Statistik betreffend biliLehrpersonen: diese haben Kenntnisse von durchschnittlich drei
Fremdsprachen, die sie jedoch nicht unterrichten. Vielleicht ist es
doch diese Offenheit und Neugier anderen Kulturen gegenüber, die
die erfolgreichen bili- Lehrpersonen ausmachen und vorantreiben.
Schliesslich ist die Eigenmotivation und Freude an der Arbeit besonders wichtig, wenn der Mehraufwand bei der Vorbereitung der Lektionen so hoch ist.
Bili heute
Die Ergebnisse der Evaluation öffneten den Weg für bili an weitere
Zürcher Berufsfachschulen. Der Bildungsrat sprach sich im Frühjahr
2011 für die generelle Einführung des zweisprachigen Unterrichts an
allen Berufsfachschulen aus. Angeregt wurde zudem die Einführung
eines bili-Angebots Deutsch/Französisch. Der Zürcher Regierungsrat bewilligte im August 20114 die nötige finanzielle Unerstützung für
die Aufbauphase des zweisprachigen Unterrichts.
Mittlerweile hat sich gezeigt, dass die unterstützenden Massnahmen greifen: Über 30 neue
Lehrpersonen befinden sich in Ausbildung und
unterrichten gleichzeitig bilingual. Mit dem
Einstieg der KV Zürich Business School mit einer Berufsmaturitätsklasse im Schuljahr 2011/12,
die in allen Fächern, ausser den sprachlichen, auf
Englisch unterrichtet wird, hat sich bili vor allem
auf Berufsmaturitätsstufe etabliert. Ab Schuljahr
2013/14 werden Lernende sowohl an der Berufsmaturitätsschule Zürich als auch an fünf von insgesamt sieben Berufsmaturitätsabteilungen bilingual in der Kombination Deutsch/Englisch unterrichtet. Auch in den Eidgenössisches
Fähigkeitszeugnis (EFZ)-Ausbildungen breitet
sich bili langsam aus. Fünf Berufsfachschulen haben schon grössere bili-Teams mit einer Fachgruppenleitung gebildet, andere führen bilinguale Klassen mit nur einer oder zwei Lehrpersonen. Einige bili-Lehrpersonen der ersten
Generation sind schon pensioniert. Nun gilt es,
ihre Aufbauarbeit weiterzuführen und neue biliLehrpersonen auszubilden. Seit zwei Jahren bietet die Pädagogische Hochschule Zürich einen
einjährigen CAS-Kurs für zweisprachige Didaktik an, die ersten Absolventinnen und Absolventen nahmen ihre Diplome im Januar 2013 entgegen.
Die Fachstelle Fremdsprachen des Mittelschulund Berufsbildungsamts Zürich bietet Beratung
und finanzielle Unterstützung für die Lehrpersonen, die zweisprachig unterrichten. Zudem
verfasst sie einmal jährlich einen Newsletter zum
Thema und organisiert, in Zusammenarbeit mit
der Pädagogischen Hochschule Zürich, ein jährliches Erfahrungsaustauschtreffen für angehende
und schon ausgebildete bili-Lehrpersonen.
Eine überarbeitete Version der Broschüre „Fit for
Life“ bietet Informationen zu bili für Schulleitungen, Betriebe und Jugendliche5. Nützliche
Links und Materialien sowie Informationen zum
zweisprachigen Unterricht befinden sich auf der
Plattform „2. Sprache in der beruflichen Grundbildung“. Innerhalb des darin integrierten Forums können sich Lehrpersonen informell austauschen.6
An einigen Berufsschulen wurden in den letzten
drei Jahren zweisprachige Lehrabschlussprüfungen erfolgreich durchgeführt. Beim Bestehen erhalten die Jugendlichen neben der Fachnote ei-
61
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Seit mehreren Jahren wird an
Berufsfachschulen bilingual
unterrichtet. Obwohl in der
Öffentlichkeit fast unbekannt, ist
diese Unterrichtsform ein
Erfolgsrezept.
nen Eintrag „zweisprachig geprüft“ im Zeugnis.
Auch in den Semesterzeugnissen wird der bilinguale Unterricht mit „zweisprachig besucht“
vermerkt. Künftige Arbeitgeber tun gut daran,
nach solchen Einträgen Ausschau zu halten, denn
sie bezeugen nicht nur bessere Sprachkenntnisse
und Durchhaltevermögen, sondern auch Motivation, Offenheit und Freude am Lernen.
Da bili an den meisten Berufsfachschulen freiwillig ist, ist es sehr wichtig, die Jugendlichen mit
dem Angebot rechtzeitig zu erreichen, so dass bili-Klassen gebildet werden können, was stundenplantechnisch nicht immer einfach ist. Hier wäre
die Unterstützung der ausbildenden Betriebe
enorm wichtig. Im Kanton Zürich als Sitz vieler
internationaler Firmen sollte man keine Mühe
haben, genug Betriebe zu finden, die den Fremdsprachenerwerb unterstützen würden.
Obwohl im Kanton Zürich Französisch als zweite Landessprache gefördert werden sollte, ist bisher wenig erreicht worden. Die Jugendlichen
müssen vermehrt dazu motiviert werden, die
Kombination Französisch/Deutsch zu wählen.
Zudem ist es nicht immer einfach, geeignete
Lehrpersonen zu finden, die über genügende
Sprachkenntnisse in Französisch verfügen.Trotzdem kann man davon ausgehen, dass auch dieses
Angebot an den Berufsfachschulen aufgebaut
werden kann, wenn es von der Wirtschaft verlangt wird.
Bili in anderen Kantonen
Dank der Evaluation und der ergriffenen Massnahmen verwandelte sich bili von einem Projekt
zu einem zwar kleinen aber festen Bestandteil
der Zürcher Berufschullandschaft.
Währenddessen ist bili auch in der übrigen
Schweiz an einigen Berufsfachschulen angekommen. Ein Projekt zum zweisprachigen Unterricht, das auch erfolgreich evaluiert wurde,
gibt es im Kanton Luzern. Im Aargau wird an
kaufmännischen und gewerblichen Schulen bilingual unterrichtet, allerdings ohne Koordination oder Unterstützung vom Kanton. Im Thurgau wurde der mehrsprachige Unterricht aus der
Not eingeführt, für eine Kleinklasse für Musikinstrumentenbauer, die aus der ganzen Schweiz
kommen und z.T. auf Deutsch, Englisch oder
Französisch unterrichtet werden.Vereinzelt wird
in Graubünden und im Tessin bilingual unterrichtet.
Allumeur de réverbères, Buenos Aires, 1931.
62
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Die Schweizerische Berufsbildungsämter-Konferenz (SBBK) veröffentlichte schon im Jahr 2003 eine Empfehlung zum zweisprachigen Unterricht, in der es heisst7:
„Die SBBK stellt fest, dass von Seiten
der Wirtschaft klare Forderungen nach
Sprachen und interkulturellen Kompetenzen bestehen. Diese Mehrsprachigkeit muss generell gefördert werden,
auch wenn der Bedarf nicht in jedem
Berufsfeld identisch ist. Eine Möglichkeit zur Förderung der Kompetenzen in
einer andern Sprache ist der zweisprachige Unterricht. Die bisher gewonnen
Erfahrungen sind positiv und sollen deshalb… umgesetzt werden… .“
Es sollten 10 Jahre vergehen, bevor
sich einige Kantone dazu entschlossen,
den bilingualen Unterricht zu fördern. Schon erwähnt wurde der Kanton Luzern, der mit dem Konzept
„Mobilingua“ ab Schuljahr 2013/14
alle Berufsschulen dazu auffordert, ein
bilinguales Angebot zu führen und als
Unterstützung auch eine Koordinationsperson zur Verfügung stellt. Ab
nächstem Schuljahr führt eine Schule
im Kanton Bern (Wirtschaftschule
Thun) den zweisprachigen Unterricht
auf Berufsmaturitätsstufe ein. Es bleibt
zu hoffen, dass auch andere bald folgen werden.
Die Zukunft
In einer Aktennotiz der SBBK über
Sprachkompetenz stellt die Kommission im Jahr 2011 erneut fest:
„Die Wichtigkeit des Sprachenlernens
auf der Sekundarstufe II im Bereich Berufsbildung ist noch nicht genügend erkannt worden. Es herrscht die Meinung,
dass es auf dieser Stufe schwergewichtig
berufsspezifische Kompetenzen zu er-
lernen gilt. Folglich werden in vielen
Berufen nicht nur die Fremdsprachen,
sondern auch die erste Landessprache zu
wenig gepflegt… . Wenn die Politik besondere Anstrengungen unternimmt, allen Jugendlichen in der Schweiz lebenslange Weiterbildungsmöglichkeiten zu
bieten, muss auch die Sprachpolitik an
den Berufsschulen neu definiert werden.“
Auch beim Bund – zuerst im Rahmen
der Lehrstellenkonferenz 2011, wurde
wieder über Massnahmen zur Erhöhung der beruflichen Mobilität diskutiert, allerdings ohne dabei den Fremdsprachen besondere Beachtung zu
schenken.
Schliesslich wurde anlässlich der Lehrstellenkonferenz 2012 das Papier
„Stossrichtungen zur Förderung der
Mobilitätsaktivitäten und des schulischen Fremdsprachenerwerbs in der
Berufsbildung“ verfasst. Zwei der insgesamt zehn unterstützenden Massnahmen betreffen den bilingualen
Unterricht. Somit wird auf Bundesebene die Anstrengung unternommen, koordinierte Unterstützung im
Bereich Sprachen, wenn auch nur in
Form von bilingualem Unterricht, zu
bieten. Bleibt zu hoffen, dass die Massnahmen nachhaltig greifen. Denn
ohne gute Sprachkenntnisse bleibt für
rund die Hälfte der Jugendlichen den
Weg zur Weiterbildung und Höheren
Bildung via Berufsmaturität verschlossen.
Dies mindert die Chancengleichheit
der Jugendlichen in der Schweiz, weshalb in diesem Bereich weiterhin ein
grosses Engagement gefragt ist.
So join us, go for bili!
Anmerkungen
Pilotprojekt bi.li – Zweisprachiges Lernen an
Berufsschulen (1999-2004)
2
Umsetzungsprojekt bili – zweisprachiger Unterricht an Berufsfachschulen (2006 – 2011)
3
Verordnung über die Landessprachen und
die Verständigung zwischen den Sprachgemeinschaften, Juni 2010
4
Beschluss 972. Zweisprachiger Fachunterricht
an Berufsfachschulen (Aufbauphase 2011-2015),
August 2011
5
Weitere Informationen dazu auf: http://
www.mba.zh.ch/internet/bildungsdirektion/mba/de/schulen_ber ufsbildung/
berufsfachschulen/unterrichtsthemen/bilingualer_unterricht.html
6
http://www.2sprachen.ch
7
Zweisprachiger Unterricht, Empfehlungen der
Schweizerischen Berufsbildungskonferenz,
November 2003
1
Referenzliste
Brohy, C. & Gurtner, J.-L. (2011). Evaluation
des bilingualen Unterrichts (bili) an Berufsfachschulen des Kantons Zürich. http://www.mba.
zh.ch/internet/bildungsdirektion/mba/de/
Jansen O’Dwyer, E. & Nabholz, W. (2004).
Die Lehre zur Sprache bringen. Handbuch für die
Einführung von zweisprachigem Unterricht an
Berufsschulen. Bern: h.e.p.- Verlag.
Jansen O’Dwyer, E. (2007). Two for One. Die
Sache mit der Sprache. Didaktik des zweisprachigen Unterrichts. Bern: h.e.p.- Verlag.
Mary Miltschev
ist Anglistin mit langjähriger Erfahrung als
Berufsschullehrerin im kaufmännischen Bereich. Als Beauftragte Fremdsprachen des
Mittelschul- und Berufsbildungsamts Zürich
ist sie u.a. für den bilingualen Unterricht an
Berufsfachschulen verantwortlich.
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Tema
Fachunterricht in der Fremdsprache: Das Beispiel
der neuen Grundbildung Koch/Köchin EFZ
Ein Gespräch mit Oscar Eberli, Alexander Wilhelm und Kathrin Jonas Lambert
Kathrin Jonas Lambert | Zollikofen
Afin de permettre aux apprenants cuisiniers de ne pas perdre les
connaissances de langue étrangère acquises pendant l’école obligatoire, les cuisiniers ont décidé de formaliser l’obligation d’enseigner la
deuxième langue. A la différence de beaucoup d’autres formations de
base, ils ont rendu l’enseignement de la deuxième langue obligatoire
en l’ancrant dans l’ordonnance de formation. Les enseignant-e-s de
branche se voient ainsi depuis 2 ans obligés d’intégrer la deuxième
langue dans leur cours. Pour bon nombre d’entre eux, cela représente
un grand défi qui a demandé des efforts considérables en termes de
formation pour mettre à jour leurs compétences langagières.
Pour en savoir un peu plus de ce projet audacieux, nous avons parlé
avec Alexander Wilhelm (Allgemeine Berufsschule Zürich), Oscar Eberli
(école professionnelle artisanale et industrielle Fribourg) et Kathrin
Jonas Lambert (responsable de domaine langue EHB IFFP IUFFP).
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Archives thématiques > Fiches 11 et 15
Hotel & Gastro Union, GastroSuisse und der
Schw. Kochverband haben sich darüber geeinigt,
mit der neuen Bildungsverordnung 2010 wieder
eine Fremdsprache in die berufliche Grundbildung der Köche aufzunehmen1. Damit unterrichten die Kochfachlehrpersonen ihr Fach seit
nunmehr 2 Jahren auch in einer Fremdsprache.
Um etwas mehr über den Verlauf dieses beispielhaften Projekts zu erfahren, haben wir mit Alexander Wilhelm (Allgemeine Berufsschule Zürich), Oscar Eberli (école professionelle artisanale et industrielle Fribourg) und Kahrin Jonas
Lambert (Bereichsleiterin Sprachen EHB) gesprochen. Oscar Eberli und Alexander Wilhelm
sind Kochfachlehrpersonen und waren an der
Redaktion eines fremdsprachigen Fachlehrmittels zur Unterstützung der Lehrpersonen beteiligt. Geleitet wurde das Projekt von Kathrin Jonas Lambert. Vorerst wird aber der Rahmen des
Fremdsprachenunterrichts bei den Köchen EFZ
aufgezeigt.
64
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Nicht auf festem Boden:
Fremdsprachenunterricht
in der Schweizerischen
Berufsbildungslandschaft
Ein Obligatorium für Fremdsprachenunterricht
(FSU) in der beruflichen Grundbildung wurde im
Jahr 2000 vom Parlament knapp abgelehnt, wesentlich aufgrund der absehbaren Kosten und
der voraussichtlichen Abwesenheit der Lernenden im Betrieb. Die Reglung des FSU wird den
einzelnen „Bildungsverordnungen“ überlassen
(vgl. Beitrag Bichsel in dieser Nummer). Im Berufsbildungsgesetz heisst es, die 2. Sprache
„wird nach den Bedürfnissen der jeweiligen
Grundbildung geregelt“. Für die berufliche
Grundbildung im gewerblich-industriellen Bereich bedeutet das konkret, dass rund 4/5 der
Lernenden nicht die Möglichkeit haben, die in
der Volksschule erworbenen Fremdsprachenkenntnisse weiter zu pflegen.
Lost & Found: Platz der Fremdsprache in
der Grundbildung Koch/Köchin EFZ
Vor über 100 Jahren erwachte in den Industrienationen der Tourismus. Mit ihm erhielten die
jungen Köche und Köchinnen Gelegenheit, in
guten Hotels und Restaurants in Europa und
Übersee zu arbeiten. Die dafür notwendigen
Fremdsprachenkenntnisse eigneten sie sich an
Ort und Stelle an. Auf diesem Weg gelangten
viele Fachausdrücke und Formulierungen, aus
der damals vorwiegend französischen Küchensprache, in die Schweiz. Die Schweizerische
Fachkommission für das Gastgewerbe (SFG),
die 1926 gegründet wurde, nahm die Fachsprache Französisch dann auch bald ins Ausbildungsreglement für Köche auf, wo sie bis vor 40
Jahren einen festen Bestandteil bildete. Aber
die Zeiten änderten sich. Eine Umfrage Anfang der 70er Jahre ergab,
dass in der Deutschschweiz kaum mehr Speisen in der französischen
Sprache angeboten wurden. Auch als Küchensprache hatte Französisch massiv an Bedeutung verloren. Dies hatte zur Konsequenz, dass
die Fremdsprache 1974 aus dem Reglement verschwand.
Schon im Rahmen der ersten Vorarbeiten für die neue Grundbildung
Köchin/Koch EFZ wurde 2006 der verlorene Faden wieder aufgenommen. Dabei zeigten die drei Trägerverbände von Hotel & Gastroformation unterschiedliches Interesse an den Fremdsprachen. Während von
Seiten der Köche (Schweizer Kochverband) die Bedeutung des Englischen betont wurde, erachteten die Gastwirte die Fremdsprachen
zwar als wünschbar, aber angesichts des engen Zeitplans am einzelnen Schultag als nicht prioritär. Der Verband hotelleriesuisse wies auf
die vielen ausländischen Gäste und Mitarbeitenden hin und wünschte
eine umfangreiche Fremdsprachenausbildung. Diese unterschiedlichen Positionen verzögerten den Abschluss der Arbeiten an der neuen
Verordnung um fast ein Jahr. Erst in letzter Minute kam ein „freundeidgenössischer Kompromiss“ unter Berücksichtigung der Interessen der
Kantone zustande. Er umfasst folgende Eckdaten:
• Einbau der Fremdsprache/kochtechnischen Fachsprache im ersten
und wichtigsten Leitziel des Bildungsplanes bzw. Schaffung eines
Richtzieles mit Leistungszielen für alle drei Lernorte.
• In der Lektionentafel des Bildungsplanes für die Berufsfachschule
erfolgte die Präzisierung für den Unterricht: „Der Unterricht in der
Fremdsprache/Kochtechnischen Fachsprache (…) wird im 2. und 3.
Lehrjahr einerseits in einer integrierten Form erteilt und anderseits
in entsprechenden Unterrichtsstunden. Insgesamt umfasst die
Fremdsprache ca. ein Viertel der Lektionen des Bereichs Herstellung/Zubereitung/Präsentation von Speisen und Gerichten/Fremdsprache pro Lehrjahr.“
Dies bedeutet eine grosse Herausforderung für Lehrpersonen und Lernende zugleich: Die Fremdsprache wurde wieder Bestandteil der
Grundbildung Koch/Köchin EFZ; zudem sollte sie anhand eines eigens
geschaffenen Lehrwerks eingeführt werden.
Zweisprachiger Unterricht
Da keine zusätzlichen Lektionen zur Verfügung
standen, hat man sich bei der Einführung der
Fremdsprache für einen zweisprachigen Fachunterricht entschieden. Die grosse Schwierigkeit
dabei waren und sind die fehlenden Sprachkenntnisse der Kochfachlehrperson. Um dem
Problem nachzuhelfen, haben viele Schulen die
Lehrpersonen durch Sprachkurse unterstützt.
Auch ist das Eidgenössische Hochschulinstitut
für Berufsbildung (EHB) mandatiert worden,
den Unterrichtsstoff des Kochfachunterrichts in
Form eines Lehrmittels so zu didaktisieren, dass
es im Unterricht direkt einsetzbar ist und auch
sprachliche Lücken seitens der Lehrpersonen
überbrücken hilft2. Folgende Kriterien waren für
die Entwicklung des lehrplanorientierten
Sprachmittels massgebend:
• Direkte Umsetzbarkeit im Berufskunde-Unterricht.
• Handlungsorientierte Arbeitsaufträge: die
Lernenden müssen etwas in der Sprache machen und so die Sprache lernen.
• Verzicht auf Lernprogression – das fremdsprachliche Niveau der Volksschule soll nicht
überschritten werden, sondern kochspezifisch erweitert werden Da es sich nicht um
Fremdsprachenunterricht, sondern um bilingualen Sachfachunterricht handelt, wird auch
auf Grammatik verzichtet.
Louis-Robert Carrier-Belleuse, Les livreurs de farine, 1885.
65
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Interview
Babylonia: Im Gegensatz zu vielen
anderen Grundbildungen im
gewerblich-industriellen Bereich,
haben sich die Köche dafür
entschieden, die Fremdsprache in der
Bildungsverordnung zu verankern.
Können Sie uns etwas mehr dazu
sagen?
Alexander Wilhelm: Der neue Bildungsplan verlangt eine Fremdsprache. Die Kantone entscheiden welche.
Von den zuständigen Organisationen
der Arbeitswelt (OdA) ist der zweisprachige Ansatz (Bili) vorgegeben.
Konkret soll ab dem 2. Lehrjahr 20%
der Berufskunde-Unterrichts in der
Fremdsprache stattfinden. Das deklarierte Ziel ist, das Niveau der Sekundarstufe I zu halten und mit Fachwortschatz anzureichern. Die Prüfung
der Fremdsprache erfolgt in einem
vorstrukturierten, 10-minütigen Gespräch während der praktischen Prüfung. Die Lernenden können sich zu
grossen Teilen darauf vorbereiten. Oscar Eberli: Ich gehe davon aus, dass
immer mehr neue Bildungspläne, auch
im gewerblich-industriellen Bereich,
die Fremdsprache integrieren werden.
Die Strategie und das Ziel sind meiner
Meinung nach, Jugendliche, die in der
Grundschule eine Fremdsprache erlernt haben, zu motivieren, diese weiterhin zu brauchen, damit sie anschliessend im Berufsleben, z.B. bei
der Arbeit mit Touristen, oder während eines Auslandaufenthaltes weitergebraucht werden kann und nicht vergessen wird.
Babylonia: Um den Lehrpersonen bei
der Umsetzung dieser schwierigen
Aufgabe zu helfen – schliesslich
handelt es sich um Berufskundler
und nicht um Sprachlehrpersonen –,
ist ein Lehrmittel entwickelt worden,
bei dessen Redaktion Sie mitgewirkt
haben.
Alexander Wilhelm: Ja, die OdA hat
diesbezüglich das EHB mandatiert.
66
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Eine Arbeitsgruppe hat sich während
eines Jahres ungefähr einmal im Monat getroffen und die verschiedenen
Module unter Berücksichtigung des
Lehrplans ausgearbeitet. Das Lehrmittel ist für Deutsch erstellt worden und
dann auf Französisch und Englisch
übersetzt worden. Dabei haben wir
uns explizit an die Zielgruppe gerichtet, nämlich Fachlehrpersonen und
nicht Sprachlehrpersonen.
heisst, ob sie ein Modul ganz oder nur
teilweise mit den Lernenden behandeln will. Dieser Umstand trägt sicher
dazu bei, einen gewissen Stoffdruck
von den Lehrkräften wegzunehmen,
denn das Werk versteht sich ganz klar
als eine Zusammenstellung von didaktischen Vorschlägen und nicht als ein
Sprachlehrbuch, welches von der ersten bis zur letzten Seite „durchgeackert“ werden muss.
Oscar Eberli: Es ging vor allem darum,
nicht ein Wörterbuch mit berufstechnischen Ausdrücken zusammenzustellen, sondern den Gebrauch der
Fremdsprache zu leben und so zu gestalten, dass gleichzeitig die Kommunikation gefördert wird. Das war uns
ein besonderes Anliegen: Kommunizieren in der Fremdsprache. Um dieses
Ziel umzusetzen haben wir voll und
ganz auf das Unterrichten von Grammatik verzichtet.
Babylonia: Frau Jonas, Sie waren
von Seiten des EHB für die
Lehrmittelentwicklung verantwortlich.
Worin bestand die wichtigste
Herausforderung für Sie ?
Babylonia: Ein solches Lehrmittel
kann offensichtlich ein grosse
Hilfe darstellen. Trotzdem sind die
Erwartungen an die Fachlehrpersonen
enorm. Können Sie etwas zur
Umsetzung dieses Projekts sagen?
Alexander Wilhelm: Das Projekt
brauchte grosse Überzeugungsarbeit,
um die Fachlehrpersonen zu gewinnen, wobei das Lehrmittel für alle
Schulen von der OdA gratis zur Verfügung gestellt wurde. Zum Teil war es
auch in Lernunterlagen integriert. Informationen wurden auf Fachlehrertagungen mit allerdings sehr kleinem
Diskussionsspielraum ausgetauscht.
Zudem hat das EHB verschiedene
spezifische Weiterbildungstage angeboten. Natürlich war die Teilnahme
freiwillig, hat den Lehrpersonen aber
trotzdem viele Ängste nehmen und
auch Motivation geben können.
Oscar Eberli: Wie gesagt, das Werk
wurde den Schulen von der OdA kostenlos elektronisch zugestellt. Es ist
nun jeder Lehrkraft selbst überlassen,
welche Übungen sie drucken, das
Kathrin Jonas: Ja, ich war bei dem Pro-
jektstart gerade einmal seit ein paar
Monaten in meiner Funktion als Projektverantwortliche Sprachen beim
EHB tätig und habe mich mit grosser
Begeisterung an die Arbeit gemacht.
Ich selbst unterrichte seit langem
Deutsch als Fremdsprache und habe
somit recht viel Erfahrung bei der Didaktisierung von Lehrmaterialien. Da
spielte es für mich auch keine grosse
Rolle, dass das zu didaktisierende
Lehrmaterial aus dem Kochfachbereich kommt. Wichtig war vielmehr,
dass wir die Basis gut geklärt hatten.
Zu allererst haben wir genau die Leistungsanforderungen bestimmt. Dabei
sollte das Sprachniveau nach der obligatorischen Schule, das sich bei Kochlernenden auf dem Niveau A2 befindet, nicht überschritten werden. Weiterhin haben wir vollkommen auf
Grammatik verzichtet. Dementsprechend kommt der Lehrperson auch
nicht die Aufgabe der Fehlerkorrektur
im klassischen Sinn zu. Auf diesem
Weg konnten wir der Lehrperson die
Arbeit erleichtern, da sie „nur“ Bili
unterrichten muss, also ihr Fach teilweise in der Fremdsprache und nicht
die Fremdsprache selbst. Der Lehrperson soll mit Hilfe des Lehrmittels die
Aufgabe erleichtert werden, die
Fremdsprache fachlich relevant in den
Unterricht einzubeziehen. Dies ist
auch die Hauptaufgabe des Lehrmit-
tels, nämlich die teilweise fehlenden Fremdsprachenkompetenzen der Lehrpersonen überbrücken zu helfen.
Babylonia: Ein wichtiger Punkt bei der
Umsetzung ist neben der Zweisprachendidaktik
natürlich auch die (Fremd)sprachenkompetenz
der Lehrpersonen, die von Frau Jonas gerade
angesprochen wurde. Wie ist das in Ihren
Kantonen gehandhabt worden?
Alexander Wilhelm: Einzelne Schulen schickten
ihre Lehrpersonen zu Sprachaufenthalten oder
in Sprachkurse. Zum Teil wurde es aber den
Lehrpersonen überlassen, wie sie sich darauf vorbereiten wollten. Das Lehrmittel wurde so konzipiert, dass die Fremdsprachendidaktik darin
berücksichtigt ist und die Übungen dem Bildungsplan angepasst sind. Spezielle Ausbildungen gab es nur wenige (z.B. beim Bili Studiengang in Zürich) oder diese wurde den Lehrpersonen überlassen. Allerdings sind hier nicht alle
Ansätze bekannt. Eine Schwierigkeit in der Umsetzung war auch der Niveau-Unterschied der
Lehrpersonen. Einige hatten die Fremdsprachenkenntnisse von Jobs im Ausland und andere
hatten bis auf den Fremdsprachenunterricht in
der Schule keine weiteren Kenntnisse.
Oscar Eberli: Da ich in einem zweisprachigen
Kanton unterrichte, sind auch unsere Lehrkräfte
zweisprachig, also stellte sich das Problem der
Fähigkeiten nicht. Die Übungen in dem Werk
selbst sind klar definiert, an didaktischen Hinweisen fehlt es nicht und der Bildungsplan wurde eingehalten, somit stellten sich für mich die
oben gestellten Fragen nicht.
Babylonia: Wie ist diese Art des
Fremdsprachunterrichts von den Kollegen
aufgenommen worden?
Alexander Wilhelm: Unterschiedlich.Von begeis-
tert bis ablehnend. Zum Teil waren grosse Ängste
vorhanden. Bei der Umsetzung liessen sich aber
viele positiv überraschen, da die Lernenden
meist wenig Widerstand gegen die Fremdsprache
zeigten. Im Gegenteil, viele begrüssten diesen
Rhythmuswechsel. Da es Bestandteil des Bildungsplans ist, war die Sachlage immer klar. Das
Lehrmittel gab zudem Sicherheit.
Un remouleur dans les rues de Paris.
anbelangt. Anders als von Alex erwähnt, war es durch das unterschiedliche Niveau der Lernenden manchmal schwierig, einen Rhythmus
zu finden.Widerstand hatten wir an unserer Schule aber eigentlich gar
keinen.
Babylonia: Welchen Stellenwert hat die Fremdsprache gegenüber den
anderen Fächern?
Alexander Wilhelm: Meist wird der Stellenwert aus dem Prüfungsgewicht abgeleitet. Das bedeutet hier, dass er sehr tief ist. Wird der Stellenwert aber als erweiterte Kompetenz für die Zukunft betrachtet,
sieht es anders aus. Zudem wird das Prüfungsgewicht von den Lernenden nicht als so tief wahrgenommen.
Oscar Eberli: Die Fremdsprache bringt Auflockerung in den Unter-
richt, und die Lernenden merken immer mehr, wie wichtig die
Fremdsprachen sind. Einige von ihnen waren nach einem Jahr recht
stolz, ein Rezept in einfachen Worten, wenn auch oberflächlich, erklären zu können.
Babylonia: Wie würden Sie eine gelungene Stunde beschreiben?
Alexander Wilhelm: Alles in der Zielsprache, für mich Englisch. Lernende erstellen ein Frühstücksbuffet mittels Skizzen oder Begriffskarten. Diskussion zu den einzelnen Komponenten oder verschiedenen
Buffet-Arten. Dialoge rund ums Buffet mit Hilfe des Vokabulars im
Lehrmittel. Einer spielt den Gast, einer den Koch hinter dem Buffet.
Oscar Eberli: Die Lernenden mussten in Form eines Rollenspiels te-
Oscar Eberli: Meine Kollegen haben es eher po-
sitiv aufgenommen, stiessen aber an ihre Grenzen, was die Menge des Stoffs und der Übungen
lefonisch eine Bestellung ausführen, oder wie von Alex erwähnt, ein
Buffet aufbauen, das heisst, sie müssen einen Brunch auf dem Papier
planen.
67
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Babylonia: Wie wird die Fremdsprache
seitens der Lernenden aufgenommen?
Oscar Eberli: Eher positiv, jedoch hat
dies sicher mit der Zweisprachigkeit
unseres Kantons zu tun. Es gab/gibt
aber auch Lernende, die „leiden“. Es
sind Jugendliche, welche nicht in der
Schweiz in die Schule gegangen sind,
also während ihrer Schulzeit in ihrem
Heimatland eine andere oder keine FS
lernten. Diese bekamen an unserer
Schule durch das Online-Sprachprogramm „Tell me more“ Unterstützung.
Babylonia: Wie würde ein generelles
Feedback ausfallen? Und wie sehen
Sie die Zukunft des Projekts?
Alexander Wilhelm: Grundsätzlich
ganz klar ein tolles Projekt, das mit
viel Enthusiasmus umgesetzt wurde.
Auch wenn es von einzelnen Lehrpersonen als Zwang empfunden wurde, .
In meiner Wahrnehmung wird noch
zu viel Fremdsprachenunterricht gemacht anstatt Fachunterricht in
Fremdsprache. Aber natürlich sind wir
noch in der Anfangsphase. Für mich ist
es eine echte Chance und ein wirklicher Mehrwert für die Ausbildung.
Was die Zukunft anbelangt, so kann
ich mir gut vorstellen, dass andere Berufe die gleiche Problematik haben
und sich von unserem Lösungsansatz
auch aus ökonomischen Gründen
überzeugen lassen. Ich fände es aber
gut, wenn die Lehrpersonen in BiliKursen darauf vorbereitet werden
könnten, wo auch Chancen und Gefahren dieses Unterrichtens aufgezeigt
werden. Ich glaube, dass das die Motivation der Lehrpersonen positiv beeinflussen würde.
Oscar Eberli: Ich bin ein Verfechter
von Fremdsprachen und bin überzeugt, dass diese für die Jugendlichen
von Morgen eine enorme Bedeutung
erhalten. Die verschiedenen Module
sind „nahe am Herd“ und so umge-
68
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
setzt, dass die Lernenden allein, im
Klassenverband oder mit der Lehrperson in Form des Lehrervortrags arbeiten können. Ich nehme die Fremdsprachen gerne in die Hand und auch
von den Lernenden kommt selten ein
Murren zurück, wenn es auf dem „Tagesmenu“ steht. Natürlich muss der
Unterrichtseinsatz der Fremdsprache
gezielt bleiben. Nach zwei Jahren bilingualem Unterricht steht für mich
auch heute noch das Ziel im Vordergrund, die Fremdsprache, welche in
der Grundschule gelernt wurde, nicht
„schlafen“ und somit nicht in Vergessenheit geraten zu lassen. Es wäre eine
Illusion zu glauben, die Lernenden innert dieser kurzen Zeit auf ein höher
liegendes Niveau laut GER zu bringen. Um auf ein höheres Niveau zu
kommen, kann der Lernende auf anderen Wegen, zum Beispiel mit einem
Auslandsaufenthalt, effizienter vorwärts kommen. Mein Wunsch an die
Lehrpersonen ist, das Spielerische und
die Kommunikation bei dieser Methode weiterhin im Mittelpunkt zu
belassen und den Lernenden vor allem
zum Sprechen zu motivieren.
Babylonia: Frau Jonas, Ihnen gehört
das letzte Wort.
Kathrin Jonas: Ich habe mich sehr für
dieses Projekt eingesetzt und tue dies
auch immer noch. Ich habe gesehen,
wie hervorragend es den Kochfachlehrpersonen gelungen ist, sich nicht
von Hürden, wie die der Fremdsprachenkompetenz, abschrecken zu lassen. Auch habe ich bei einigen Lehrpersonen hospitieren dürfen und gemerkt, dass die Lernenden Spass
hatten, die Sprache in konkreten Situationen zu benutzen. Und das ist
schliesslich das Ziel einer Fremdsprache, Fehler hin oder her. Wir machen
uns auch an eine Evaluation des Projektes, welche sowohl Lernende als
auch Lehrpersonen miteinbezieht.
Erste Rückmeldungen haben hier gezeigt, dass die Mehrzahl der Lernenden die Sprachprüfung gut bestanden
hat. Zudem haben an einer Schule
rund 50% der Prüflinge Interesse an
einem Sprachaufenthalt geäussert, um
die erworbenen Kenntnisse nicht zu
verlieren.Dabei besteht die Hoffnung,
dass mit diesen Ergebnissen auch andere Branchen davon überzeugt werden können, den Bili-Weg einzuschlagen. Auch wenn die Lehrpersonen einiges investieren müssen, ist dieser
Weg insofern auch sehr effizient als
weder Neueinstellungen noch Zusatzlektionen notwendig sind. Und die
Fremdsprachen sind im Interesse der
Lernenden; egal, ob in beruflicher,
akademischer oder persönlicher Hinsicht.
Anmerkungen
Vgl. dazu den Beitrag von K. Jonas Lambert
in Babylonia 1/2012, S. 44-47
2
Dazu wurde eine Arbeitsgruppe Umsetzung der Fremdsprache in der neuen Grundbildung Köchin/Koch EFZ gebildet, unter
der Leitung von Kathrin Jonas Lambert, Bereichsleiterin „Sprachen“ am EHB. Die Arbeitsgruppe setzte sich zusammen aus: Heinz
Berger (Hotel&Gastroformation), Alexander
Wilhelm (Allgemeine Berufsschule Zürich),
Oscar Eberli (école professionelle artisanale
et industrielle Fribourg), Stéphane Vaucher
(école professionelle de Montreux)
1
Kathrin Jonas Lambert
ist Bereichsleiterin „Sprachen“ am Eidgenössisches Hochschulinstitut für Berufsbildung (EHB), Zollikofen.
Alexander Wilhelm
ist von Beruf Koch und diplomierte Berufsschullehrperson an der Allgemeinen Berufsschule Zürich. Er arbeitete bei der Umsetzung des Rahmenlehrplans mit.
Oscar Eberli
ist von Beruf Koch und diplomierte Berufsschullehrperson an der Gewerblichen und
industriellen Berufsfachschule (EPAI-GIBS)
in Fribourg. Er arbeitete ebenfalls an der
Umsetzung des Rahmenlehrplans mit.
Tema
Didaktik des bilingualen Fachunterrichts
in der beruflichen Grundbildung
Adelheid Joller-Voss | Uster
In questo contributo vengono introdotti alcuni concetti basilari dell’insegnamento bilingue (bili) che permette di apprendere al tempo stesso
una materia specifica e una lingua seconda. L’accento è posto sulla
materia insegnata, mentre la L2 viene utilizzata come lingua d’insegnamento e quindi costituisce oggetto di apprendimento indiretto. Con
riferimento alle proprie esperienze in una scuola artiganale industriale
ove insegna cultura genereale, e sulla base di un esempio didattico
concreto, l’autrice delinea diversi aspetti metodologici e didattici
come ad es. la ridondanza, la comprensione del testo, l’atteggiamento
correttivo, la valutazione. Conclude sottolineando che l’insegnamento
bilingue, se applicato correttamente, possa dare risultati sorprendenti
a livello di materia insegnata, nella L2, ma anche nella lingua materna.
Altri articoli su questo tema:
www.babylonia.ch >
Archivio tematico > Schede 11 e 15
Durch die Globalisierung ist der Anteil der ausländischen Wohnbevölkerung angestiegen, in der
Stadt Zürich betrug sie im Jahr 2012 zum Beispiel 31.2%. Da Berufslernende deshalb bei ihrer
beruflichen Tätigkeit zunehmend auf Situationen treffen, in denen sie in einer Fremdsprache
kommunizieren müssen, ist es geboten, ihnen die
dazu notwendigen kommunikativen Fähigkeiten
zu vermitteln. An den gewerblich-industriellen
Berufsschulen stehen jedoch in der Regel für
den Fremdsprachenunterricht keine Stunden zur
Verfügung. Dank dem bilingualen Sachunterricht (Bili) können daher, ohne das Wochenstundenpensum zu erhöhen, die notwendigen fachbezogenen kommunikativen Fähigkeiten in zwei
Sprachen vermittelt werden. Bili ist eine gute Ergänzung zum herkömmlichen Sprachunterricht,
der eher auf die Alltagskommunikation und auf
literarische Themen ausgerichtet ist und weniger
auf die Kommunikationssituationen im beruflichen Umfeld vorbereitet.
Was ist bilingualer Fachunterricht?
Die Sprache ist im Bili jedoch nur indirekt Lerngegenstand und dient als Kommunikationsmedi-
um für die Vermittlung von fachlichen Inhalten.
Der Unterrichtsschwerpunkt liegt also auf der
inhaltlichen Sachebene. Es werden zum Beispiel
Fachbegriffe in beiden Sprachen der Ausgangssprache (L1) und der Zielsprache (L2) erarbeitet.
L2 wird phasenweise als Arbeitssprache gebraucht. In jedem Fall sind aber die Lernziele des
Lehrplans im betreffenden Sachfach verbindlich
zu erreichen. Die Lehrkräfte sind oftmals keine
Sprachlehrer, sondern engagierte Fachlehrer mit
einer Zusatzausbildung.
Voraussetzungen für Bili
Beim Eintritt in die Berufsschule verfügen die
Lernenden in der Regel über Fremdsprachenkenntnisse auf dem Niveau A1 bis A2 nach dem
ESP. Durch den bilingualen Unterricht soll dieses Niveau mindestens gehalten werden. Bekanntermassen geht Wissen, falls es nicht weiter
genutzt wird, schnell verloren. Auf diesen Minimalkenntnissen kann der bilinguale Unterricht
aufbauen und fachsprachliche Kompetenzen zu
erarbeitet.
Von Kritikern des bilingualen Unterrichts hört
man immer wieder: „Die Lernenden sollen erst
einmal richtig Deutsch lernen“. In der Tat sind,
wohl auch bedingt durch die Diglossie, im Bereich Deutsch teilweise Defizite anzutreffen. Die
Schulen bieten jedoch, falls notwendig, den Lernenden gezielte Förderprogramme an. Mittlerweile weiss man jedoch, dass das Lernen einer
neuen Sprache L2 im Lernalter unserer Lehrlinge nicht auf Kosten der Erstsprache L1 geschieht,
da die beiden Sprachen L1 und L2 in unterschiedlichen Gehirnarealen verarbeitet und gespeichert werden. Durch die Vernetzung der
Sachinhalte in beiden Sprachen werden diese
nachweislich effektiver im Gedächtnis verankert.
Lerntechniken, wie z. B. Leseverstehen oder Bedeutungserschliessung, die im bilingualen Unterricht vermittelt und/oder angewendet wer-
69
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
den, benutzen die Lernenden, sobald
sie einmal gelernt wurden, auch für
die Erschliessung muttersprachlicher
bzw. deutscher Texte. Bilingualer Unterricht fördert nicht nur die Kenntnisse in der Zweitsprache, sondern
wirkt sich auch positiv auf die L1Sprache aus.
Die Motivation der Lernenden für die
Teilnahme am bilingualen Unterricht
ist hoch, da sie sich freiwillig für diese
Unterrichtsform entscheiden. Sie geben an, dass im bilingualen Unterricht
sprachliche Fertigkeiten vermittelt
werden, die für sie im Beruf nützlich
sind. Durch die erfolgreiche Anwendung des Gelernten werden die neu
erworbenen Fertigkeiten gefestigt und
im besten Fall sogar automatisiert.
Es gibt drei bilinguale Unterrichtsprofile, die je nach Leistungsfähigkeit der
Lehrlinge zur Anwendung kommen:
Bili basic: In einem Pflicht- oder
Freifach wird mindestens in 80 Wochenlektionen während zwei aufeinanderfolgenden Semestern bilingualer
Unterricht erteilt.
Bili standard: In zwei Fächern wird
für die dreijährigen Lehren während
drei bis vier Semestern in 120 Lektionen und für die vierjährigen Lehren in
160 Lektionen bilingualer Unterricht
erteilt.
Bili advanced: In zwei Lehrabschlussprüfungsfächern wird während sechs
Semestern in 200 Lektionen für die
dreijährigen Lehren und während acht
Semestern in 280 Lektionen für die
vierjährigen Lehren bilingualer Unterricht erteilt.
Der Besuch des zweisprachigen Unterrichts wird im Semester- sowie im
Abschlusszeugnis vermerkt. Die Profile standard und advanced berechtigen
auch zur Teilnahme an 2-sprachigen
Qualifikationsverfahren.
Methoden
Im bilingualen Unterricht wird nach
Möglichkeit mit aktuellen authentischen Texten gearbeitet (vgl. das Unterrichtsbeispiel in der Box). Eine Recherche im Internet bringt meist
schnell brauchbare Ergebnisse. In der
Regel haben diese Texte ein etwas hö-
Atelier de couture Worth, Paris, début du XXème siècle.
70
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
heres Sprachniveau als der augenblickliche L2-Stand der Klasse. Sie sind deswegen aber nicht unbrauchbar, denn
im bilingualen Unterricht wird normalerweise nicht übersetzt, sondern
der Inhalt wird zum Beispiel durch
eine gezielte Vorentlastung, Aktivierung des Vorwissens, passenden Visualisierungen und eine passende Lesetechnik (z.B. selektives Lesen) abschnittsweise Schritt für Schritt
erschlossen. Die Lehrperson sollte den
Text bis auf das Wesentliche kürzen
und womöglich etwas vereinfachen.
Zusätzlich kann man Glossare anbieten. Die Arbeitsaufträge können auch
auf Deutsch erteilt werden, wichtig ist,
dass sie richtig verstanden werden; damit die Schüler genau wissen, was ihr
Arbeitsauftrag ist und nicht gleich zu
Beginn ein Missverständnis einem gutem Arbeitsergebnis im Wege steht.
Redundanz
Da im Unterrichtsbeispiel die vorgeschriebenen Vertragspunkte als Fachbegriffe in beiden Sprachen sicher zur
Verfügung stehen sollen, werden Sie
redundant erarbeitet. Redundanz bedeutet im bilingualen Unterricht
nicht einfach Wiederholung, sondern auch Variation, Weiterführung
des Themas, Wechsel der Aspekte oder unterschiedliche Sichtweisen
des gewählten Themas zu erarbeiten. Diese Redundanz ist wichtig,
um das Gelernte sicher im Gedächtnis zu verankern.
Texterschliessung
Im bilingualen Unterricht baut man bei den rezeptiven Fertigkeiten
stark auf passives Verständnis der Textinhalte, das durch die Aktivierung von Welt- und Vorwissens sowie durch geeignete Erschliessungstechniken gewonnen werden soll. In Fachtexten sind Fachausdrücke in den verschiedenen Sprachen oft sehr ähnlich, man spricht
von Internationalismen, wie zum Beispiel Demokratie - democracy
oder Ökonomie - economy. Es lohnt sich, diese Wörter aus einem
Text heraussuchen zu lassen. Zusätzlich hat es sich bewährt, auch Lernende mit einer anderen Muttersprache aufzufordern, diese Fachbegriffe in ihrer Muttersprache nachzuschlagen. Nachdem die Lernenden die Ähnlichkeit der Wörter entdeckt und den mehrfachen Nutzen der Fachausdrücke erkannt haben, gelingt es ihnen, sie auch aktiv
zu verwendet. Diese Technik wird dann ebenfalls auf die Erschliessung von Texten in der L1 übertragen. Der Auftrag, zunächst einmal
alles in einem Text zu markieren, was man schon versteht und dies danach zusammenzufassen, verhilft meistens zu einem Globalverständnis des Textes, worauf man auch unbekannte Wörter aus dem Kontext
erschliessen kann. Dieses Textverstehen ist in den meisten Fällen ausreichend, um die Aufträge zum Text lösen zu können oder in angemessener Frist auf einen sprachlichen Input zu reagieren. Im bilingualen Unterricht haben Übersetzungen selten einen Platz, höchstens einmal bei einzelnen Ausdrücken.
Code-Switching und Korrektur
Bei den produktiven Fertigkeiten, wie Sprechen und Schreiben, gibt
es für viele Lernende zunächst erst einmal eine Hemmschwelle. Sie
schätzen oft ihre Fähigkeiten als nicht ausreichend genug ein, um den
gestellten Auftrag zu erfüllen. Sie befürchten, dass zum Beispiel ihre
Wortkenntnisse nicht ausreichen. In solchen Situationen hilft CodeSwitching weiter. Der Ausdruck, den man in der L2 nicht beherrscht,
wird einfach in der L1 eingefügt aber sonst fährt man einfach in der
L2 fort. Die Lehrperson kann an dieser Stelle z. B. kurz bestätigend
nicken und einwerfen: „O, yes, …“ Dabei nennt sie das betreffende
Wort. Meistens wird das dann aufgenommen und im Weiteren verwendet. Zusätzlich ist ein der Situation angemessenes Korrekturverhalten der Lehrperson unabdingbar. Es sei daran erinnert, dass nicht die
Sprache in erster Linie Unterrichtsgegenstand ist, sondern mit Hilfe
der Sprache die Inhalte des betreffenden Fachs vermittelt werden sollen. Die Leistung im Sachfach wird bewertet. Grammatik- und andere
Fehler werden im Allgemeinen ignoriert und nicht korrigiert, es sei denn, es
handelt sich um Fehler, die zu Missverständnissen führen würden. Die
Korrekturen werden umgehend während des Gesprächsverlaufs eingebracht und stören daher den normalen Ablauf kaum. Ein fragender
Blick oder ein leichtes Räuspern gibt zunächst erst einmal die Möglichkeit zur Selbstkorrektur, man kann zum Beispiel einwerfen: „Sorry, I didn’t understand that. Could you explain?“. Falls keine Selbstkorrektur erfolgt, kann man den fehlerhaften Satz zum Beispiel in
Form einer positiven Echokorrektur wiederholen: „You mean (kor-
rekter Ausdruck)…?“ Nur bei groben Missverständnissen oder aber auch bei „false friends“
wird man den Fehler kurz besprechen, dass geschieht dann oft in der L1, um schnell Klarheit zu
schaffen. Sinngemäss verfährt man bei schriftlichen Texten. Um den Sprechanteil der einzelnen
Lernenden pro Stunde zu erhöhen, sollten für
die Gruppenarbeit mehrere Sprechaufträge erteilt werden. Ergebnisse können zusätzlich in
Stichpunkten festgehalten und dann im Plenum
präsentiert werden.
Leistungsbeurteilung
Bei Tests dürfen sprachliche Fehler nicht die
Note im Sachfach beeinflussen. Die Lernenden
dürfen auch in der L1 antworten. Es hat sich allerdings bewährt, für Antworten in der L2 Zusatzpunkte zu vergeben. Dies motiviert die Lernenden, die L2 zu benutzen.
Bilingualer Unterricht ist nicht zuletzt ein grossartiges Instrument für interkulturelles Lernen.
Die authentischen Texte aus der L2 vermitteln
eine andere Sichtweise, die zur Reflexion der eigenen Standpunkte Anlass geben.
Bilingualer Fachunterricht bereitet effektiv auf
die Erfordernisse der globalisierten Berufswelt
vor. Er erweitert die Sichtweise sowie die Kommunikationsfähigkeit sowohl in der L1 als auch
in der L2, vermittelt Lerntechniken und sorgt für
eine bessere Verankerung des Lernstoffs im Gedächtnis. Er ist in jedem Fall eine Gewinn bringende Unterrichtsform.
Bili-Unterrichtsbeispiel
Allgemeinbildender Unterricht (ABU).
Thema: Geld und Konsum
Leistungsziel: Die Lernenden kennen die
gesetzlich vorgeschriebenen Vertragspunkte
eines Leasingvertrages
a. Vorentlastung
Sie haben gerade die Fahrprüfung bestanden
und können es kaum abwarten, ein eigenes
Auto zu besitzen. Leider haben Sie aber nur
CHF 10 000.- auf Ihrem Sparkonto. Da lesen Sie
die folgende Anzeige. Diskutieren Sie mit Ihrem
Banknachbarn, ob Leasing für Sie in Frage
kommt. Notieren Sie einen Grund für Ihre
Entscheidung in deutscher oder englischer
Sprache.
71
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Spezialangebot Autoleasing
Prämien + Leasing 3.9%
JETZT PROFITIEREN Leasingrate pro Monat ab CHF 97.-
b. Glossar
Contract
Vertrag
contractual
?
arrangement
Vereinbarung
asset
Leasing-Gegenstand
lessee
?
lessor
?
c. Basistexte
(A) Definition of Leasing
“Financial leasing can be defined as a contractual arrangement that allows one party (the lessee) to use an asset owned by
the leasing company (the lessor) in exchange for specified periodic payments.”
(B) Vehicle Leasing for Private Use
The vehicle leasing contract for private use is intended for individual employees 18 years and above. It enables the
immediate use of a vehicle without prior investment.
The leasing contract is similar to a leasing agreement. It provides for the payment of a particular rent according to the price
of the vehicle, the duration of the contract and the annual number of kilometres run. This last point will determine the
residual value (price at which the customer can buy the vehicle on the expiration of the contract.) http://www.bcge.ch/
index.php?label_x=leasing_usage_prive&lang=en
(C) Leasing contracts must be concluded in writing. The contract must include the following information:
• Description of lease and its cash payment price at the time of contract conclusion;
• the number and amount of installments and payment dates;
• amount of a possible deposit;
• actual yearly interest.
(D) Arbeitsanweisungen
1. Read the definition of “Leasing” (text A). Who ist he owner of the asset?
2. Lesen Sie den Titel des Textes (B). Für welche Personengruppe gelten die Leasingbedingungen? Kreuzen Sie die zutreffende Bezeichnung an.
• Firmen
• Privatpersonen
3. Markieren Sie im gleichen Text die Bedingungen für Leasing.
4. Welche Angaben muss ein Leasingvertrag nach schweizerischem Recht enthalten? Notieren Sie diese Vertragspunkte.
5. Vergleichen Sie Ihre Lösung mit den Inhalten im Lehrbuch.
6. Schreiben Sie die unterstrichenen Fachbegriffe heraus und schreiben Sie jeweils den entsprechenden deutschen
Fachbegriff daneben.
7. Welcher der Punkte in Text (C) ist für Sie besonders wichtig? Warum? Berichten Sie im Plenum auf Englisch.
Adelheid Joller- Voss
hat einen Abschluss als Diplombiologin (Ruhruniversität Bochum), SVEB-Diplom Stufe 2 des Lehrgangs Deutsch als Fremdsprache, Ausbildnerin mit eidgenössischem Fachausweis, Höheres Lehramt an Berufsschulen für allgemein bildenden
Unterricht im Kanton Zürich, Zertifikat des Lehrgangs Bilingualer Sachunterricht
an Berufsschulen Praktische Erfahrungen in Firmenkursen erwarb sie als
Headteacher für DaF bei den Flying Teachers, Zürich und ist derzeit Lehrerin an
der Baugewerblichen Berufsschule in Zürich. Sie unterrichtet dort seit 2005 ABU
auch bilingual.
72
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Tema
Quand la leçon doit être multilingue:
essayer de transformer un problème en chance
Luca Bausch | Lugano
Il numero ridotto di apprendisti costringe le piccole professioni a
trovare soluzioni praticabili per garantire una continuità alla formazione professionale. La difficoltà di reperire formatrici e formatori
qualificate/i e ragioni finanziarie hanno portato diverse associazioni
professionali a concentrare la formazione in centri che, nel caso della
Comunità di interessi dei costruttori di strumenti musicale (CEFIM),
coprono l’intero territorio della Confederazione. Questi poli nazionali
di competenza, che assumono la formazione scolastica e quella dei
corsi interaziendali, pongono questioni nuove che necessitano di
soluzioni specifiche. Il progetto “Plurilinguisme, de problème à chance”, sostenuto dalla Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e
l’innovazione (SEFRI), si propone di elaborare e verificare sul territorio
strumenti didattici per l’insegnamento in classi plurilingue e soluzioni
di sistema con l’obiettivo dichiarato di mettere a punto un modello
applicabile ad altre professioni che si trovassero in situazioni simili.
Altri articoli su questo tema:
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Archivio tematico > Schede 11 e 15
Le contexte
Comment les professions avec un nombre limité
d’apprentis peuvent-elles garantir une formation
professionnelle de base de qualité à des coûts
supportables pour les professions elles-mêmes et
pour la collectivité? Et encore, est-il nécessaire
de former dans un cadre formel?
Une étude1 montre que les chances de survie des
petits métiers2 artisanaux sont strictement liées à
la possibilité d’offrir une formation de qualité
afin de garantir la relève.
La discussion autour des critères définissant ce
qu’est une «formation de qualité» ne rentre pas
dans les objectifs de cet article: il nous semble
toutefois important de mentionner l’importance
de former non seulement à la tradition, mais aussi aux compétences nécessaires à l’évolution des
professions concernées, et cela dans le sens des
technologies de production mais aussi de la compétitivité sur le marché. L’étude souligne aussi
que parmi les critères de qualité d’une formation, la reconnaissance formelle par un diplôme
joue un rôle important.
On peut donc répondre affirmativement à la
deuxième des questions posées plus haut: reste
celle de l’organisation de la formation et de son
financement. Et là, le fait d’être un petit métier,
autrement dit «à faibles effectifs», rend la tâche
plus compliquée que pour les grandes professions
dotées de structures organisationnelles établies.
On se limitera ici à citer quelques complications
qui ont exercé une influence sur le projet dont il
est question dans cet article: en premier lieu pose
problème le manque répandu et chronique de
personnes professionnellement compétentes disposées à s’engager dans la formation, ce qui implique un risque réel de surmenage pour celles
qui se mettent à disposition. De plus, les organisations professionnelles ne disposent normalement pas de grandes ressources financières et ont
souvent du mal à couvrir les frais engendrés par
l’entrée en vigueur d’une nouvelle ordonnance
sur la formation professionnelle initiale3.
Les pistes institutionnelles entreprises pour rationnaliser les ressources de personnes et financières peuvent être reconduites à une intégration
de professions similaires – ou du moins qui présentent des traits communs significatifs – dans
une seule ordonnance ainsi qu’à la création de
centres de compétence nationaux où sont centralisés la formation scolaire et des cours interentreprises (CiE).
La Communauté d’intérêt des facteurs d’instruments de musique4 (CEFIM) a suivi ces deux
pistes en intégrant cinq professions dans un seul
Certificat Fédéral de Capacité (CFC)5 et en
créant un centre de compétence unique à Arenenberg, dans le canton de Turgovie6.
Avec l’entrée en vigueur du nouveau plan de
formation en 2008, il a vite été évident que les
mesures de mise en œuvre normalement prévues
ne suffisaient pas à trouver des solutions à tous les
problèmes liés à la centralisation de la formation:
problèmes institutionnels, certes, mais aussi di-
73
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
dactiques, dûs à la nécessité d’accueillir des apprentis7 provenant des
quatre coins de la Suisse, et donc s’exprimant dans des langues différentes8. Pour essayer de trouver des solutions, un projet de développement a été mis en place avec le financement de l’OFFT (aujourd’hui
SEFRI). Les objectifs du projet, répondant à des attentes précises de
l’institution, étaient clairement définis:
rÊMBCPSFS VO NPEÍMF TUSVDUVSFT PSHBOJTBUJPO DPÚUT DPOEJUJPOT
cadres nécessaires, …) de mise en œuvre pouvant s’adapter à d’autres
professions se trouvant dans des situations similaires,
r ÊMBCPSFSVOQBSDPVSTEFGPSNBUJPODPOUJOVFmMVJBVTTJUSBOTGÊSBCMF
le cas échéant, à d’autres contextes – pour les enseignants et les formateurs concernés, et
r ÊMBCPSFSEFTTPMVUJPOTEJEBDUJRVFTQPVSMFOTFJHOFNFOUFUMBQQSFOtissage plurilingue.
Nous exposerons ci-dessous quelques caractéristiques du projet, le but
étant d’en mettre en évidence les particularités et de donner un aperçu des mesures que le groupe de projet est en train d’expérimenter. Il
est trop tôt pour tirer des conclusions, c’est pourquoi nous nous limiterons à esquisser quelques tendances liées surtout aux aspects didactiques.
Construction d'un clavier.
74
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Le projet9: le plurilinguisme entre
problème et chance à saisir
Le titre du projet n’est pas dû au hasard. La perception des acteurs principaux était en effet plutôt orientée vers une interprétation «problématique» de la situation: l’obligation de centraliser
la formation impliquait la nécessité de recourir
au plurilinguisme, perçue comme aspect négatif.
Il faut avouer que les difficultés objectives ne
manquaient pas: tout d’abord, les enseignants et
les formateurs devaient construire un groupe et
apprendre à travailler à un objectif commun et,
pour la plupart d’entre eux, nouveau, à savoir
mettre en place une formation intégrant cinq
professions qui présentent bien entendu un dénominateur commun (les instruments de musique), mais qui sont issues de traditions différentes et dotées d’identités professionnelles bien
établies. Pour atteindre cet objectif, les moyens didactiques, notamment, étaient à réinventer: presque rien n’existait en deux langues (sinon le matériel préparé par les acteurs eux-mêmes) et le marché n’offrait pas (et n’offre toujours pas) de produits adaptés prêts à l’emploi.
Le contexte institutionnel était à découvrir: un centre de compétence
pour la construction d’instruments de musique accueilli dans un
centre de formation ayant une solide tradition dans le domaine de
l’agriculture, décentralisé par rapport aux frontières linguistiques
suisses: le pari n’était pas gagné d’avance. Et, last but not least, les compétences linguistiques des enseignants et formateurs en langue seconde (L2) n’étaient pas, pour certains d’entre eux, suffisantes pour
enseigner sans problèmes dans une classe. Sans parler des compétences
en L2 des apprentis!
Il semble évident que l’objectif principal du projet (élaborer des stratégies de «didactique plurilingue») ne pouvait pas être atteint sans tenir compte de ce contexte. La discussion avec les enseignants et les
formateurs avait mis en évidence que la perception des difficultés liées
à l’enseignement plurilingue concernait deux aspects: les matériaux
didactiques en plusieurs langues d’une part, et, d’autre part, le manque
de temps pour couvrir le programme, étant donné que les leçons alternaient des séquences en une langue et des séquences où les mêmes
contenus étaient traités dans la deuxième langue. À cela s’ajoutait, toujours dans la perception des acteurs concernés, un problème de discipline en classe: comment faire en sorte qu’un groupe reste tranquille
pendant que l’enseignant explique un concept à l’autre (et dans une
autre langue)?
Partant de ces considérations, le projet a été conçu en prévoyant deux
axes principaux d’intervention: un premier dit «de système» et un
deuxième centré sur la didactique.
Axe de système
Cet axe vise à la définition d’un modèle pouvant être appliqué à
d’autres contextes professionnels. Il s’agit dans ce projet d’identifier
les éléments du système (institutionnels, rôles, personnes, …), les facteurs et les dynamiques jouant un rôle dans le contexte d’un centre de
compétence centralisé (par définition plurilingue) et d’expérimenter
des mesures qui en favorisent la mise en œuvre10.
Axe didactique
Les considérations évoquées plus haut quant au contexte dans lequel
le projet a débuté nous ayant convaincus de la nécessité d’une approche allant au-delà de la didactique plurilingue stricto sensu, nous
avions ainsi prévu quatre pistes d’intervention.
1. Élaboration de documentation didactique plurilingue (y compris
pour l’évaluation et la qualification).
2. Soutien aux apprentis, qui se concentre principalement sur la mise
en place d’ateliers linguistiques dans le cadre de la formation scolaire
ainsi que de séjours professionnels dans une entreprise située dans
une autre région linguistique que celle de l’entreprise formatrice.
a) Ateliers linguistiques et d’apprentissage11: une
heure hebdomadaire où l’apprenti peut
bénéficier d’un soutien linguistique (compétences de base et langage technique),
avec une approche qui intègre l’analyse de
situations et le soutien à l’apprentissage.
Les ateliers sont animés en deux, voire
trois langues.
b) Séjours linguistiques: la durée minimale est
fixée à 3 semaines (6 semaines sont conseillées) et doit permettre une «immersion»
linguistique dans le domaine professionnel
de l’apprenti mais aussi dans le contexte de
la vie quotidienne.
3. Soutien aux formateurs des Cours inter-entreprises (CiE) et aux enseignants de l’école
professionnelle dans plusieurs domaines:
a) Compétences en L2 (voire L3).
b) Didactique (gestion d’ateliers, approche
par compétences, …) et didactique plurilingue.
4. Soutien aux entreprises formatrices, surtout
lors des stages linguistiques (mise à disposition
de documentation didactique, personne de
contact, …).
Mise en œuvre des mesures, obstacles et
premiers résultats
Dès le début, les acteurs sur le terrain et les spécialistes en didactique des langues secondes se
sont rendu compte qu’il s’agissait d’une forme de
plurilinguisme peu connue, qualitativement différente des nombreuses expériences d’enseignement bilingue. La littérature12 est abondante mais
difficilement applicable aux contextes des centres
de compétence professionnels centralisés. Certes,
certains principes sont bien sûr transposables
mais le contexte est significativement différent:
l’accès à la formation plurilingue n’est pas fait sur
une base volontaire (contrairement à la plupart
des expériences d’enseignement bilingue); il est
très difficile de choisir les enseignants et formateurs en fonction de leurs compétences linguistiques, les compétences professionnelles demeurant, bien évidemment, prioritaires. Dans la pratique didactique, les leçons se font en deux
langues13 presque en contemporain; et on touche
là au cœur des aspects didactiques. Les traits
communs peuvent par contre être identifiés dans
75
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
l’ordre de priorité des objectifs: en
premier lieu demeure, dans les deux
cas, l’acquisition de compétences professionnelles et en second lieu celle
des compétences linguistiques en L2.
Dans le cas du projet CIFIM, ce deuxième objectif s’est révélé in itinere,
lors du développement du projet, dans
la mesure où les doutes des acteurs
(enseignants et formateurs mais aussi
institution scolaire et, en partie, les apprentis) ont créé quelques obstacles à
une réinterprétation de l’enseignement plurilingue en tant que chance
et occasion de croissance professionnelle (des apprentis, bien sûr, mais aussi des enseignants et formateurs). À cet
effet, l’adhésion sans conditions, même
si parfois critique - dans le sens
constructif du terme - de quelques acteurs clés (enseignants de l’école professionnelle) a été, et est toujours, déterminante. La formation et le soutien
pédagogique qui a accompagné et accompagne toujours les expérimentations sur le terrain ont permis un partage qui a créé, sinon un enthousiasme,
au moins une participation active14.
En guise de conclusion, et dans l’attente de disposer de l’ensemble des
données des évaluations en cours et
prévues, il nous semble pouvoir esquisser ci-dessous quelques résultats.
L’un des objectifs indirects du projet
est évidemment l’amélioration des
compétences en L2 des apprentis en
premier lieu, mais aussi des formateurs.
Des analyses de compétences selon le
CECR ont été menées avec tous les
apprentis commençant leur parcours
en 2010, 2011 et 2012: il faudra attendre les analyses de fin de parcours
formatif mais les premières indications
montrent que l’on ne peut pas s’attendre à une amélioration significative
des compétences liées à la production
linguistique. D’autre part, les taux de
réussite lors de la première session
d’examens n’ont pas montré de ten-
76
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
dances négatives: l’apprentissage des
apprentis des classes bilingues n’a pas
souffert, ce qui laisse espérer une évolution des compétences passives.
L’atelier linguistique et d’apprentissage, après le problème initial dû à la
difficulté de lui trouver une place
stable dans la grille horaire, semble apporter une plus-value non négligeable
en termes d’approche à l’apprentissage. Reste à évaluer son impact sur
l’acquisition des compétences linguitiques. Les stages aussi ont souffert de
problèmes organisationnels mais ceux
qui ont été réalisés jusqu’à présent ont
pleinement satisfait les apprentis
concernés15.
Quelques conditions sine qua non
semblent aussi émerger de ce début de
projet, et, en premier lieu, la question
des compétences linguistiques des enseignants et des formateurs. On ne demande pas qu’ils soient parfaitement
bilingues mais il est nécessaire qu’ils
atteignent un niveau B2/C1 du
CECR. Un aspect qui a été soulevé et
que l’on aimerait pouvoir approfondir
concerne les relations entre compétences linguistiques et identité de l’enseignant: il semblerait que les difficultés en L2 déstabilisent ce dernier, mais
il est trop tôt pour en conclure davantage. Une dernière condition est la
possibilité pour les apprentis d’entrer
régulièrement en contact avec la L2
(fréquence hebdomadaire au minimum). L’organisation de la formation
en semaines-bloc ne facilite pas la
tâche: il est donc nécessaire de prévoir
un soutien dans le lieu de domicile ou
de travail de l’apprenti.
Notes
Haefeli, U., Feller-Länzlinger, R., Biebricher, M. & Bucher, N. (2011). Forschungsmandat “traditionelles Handwerk“. Bern: BAKOFFT (Mandat). Le mandat a été mis au concours par l’Office fédéral de la culture et le
Secrétariat d’état à la formation, à la recherche et à l’innovation (SEFRI, ex-OFFT)
1
suite à la ratification de la part de la Confédération de la Convention pour la sauvegarde
du patrimoine culturel immatériel de
l’UNESCO, entrée en vigueur en Suisse le 16
octobre 2008.
2
En allemand, «Kleinstberufe». Le qualificatif
«petit» se réfère au nombre de professionnels
qui pratiquent ce métier, et, dans notre contexte, au nombre de personnes qui suivent la
formation professionnelle de base.
3
Cf. Loi sur la formation professionnelle entrée en vigueur en 2004: http://www.sbfi.adm i n . c h / b e r u f s b i l d u n g / 0155 0 / i n d e x .
html?lang=fr (der nière consultation:
15.07.2013).
4
La CEFIM assume entre autres le rôle
d’OrTra et représente les intérêts des profession de Facteur/-trice d’instruments à vent,
Réparateur/-trice d’instruments à vent,
Facteur/-trice d’orgues/de tuyaux d’orgues,
Facteur/-trice de pianos. L’ordonnance pour
la formation professionnelle initiale prévoit
que le curriculum de formation mène à un
Certificat Fédéral de Capacité (CFC) avec les
spécialisations correspondantes aux métiers
représentés par la CEFIM.Voir aussi:
http://www.musikinstrumentenbauer.ch
(dernière consultation: 15.07.2013).
5
Cf. note précédente. La nouvelle ordonnance de Facteur/-trice d’instruments de
musique est entrée en vigueur en 2007.
6
www.lbbz.tg.ch (dernière consultation:
15.07.2013).
7
Pour faciliter la lecture, la forme masculine
sera utilisée pour désigner les deux genres.
Lors qu’on parlera d’apprentis, de formateurs
ou d’enseignants, on entendra bien sûr les
femmes comme les hommes.
8
Deux tiers environ des personnes en formation sont germanophones, un tiers francophones. Les apprentis de langue maternelle
italienne ou rumantsch sont plus rares.
9
Le projet, dont le titre déposé est «Mehrsprachigkeit im Beruf – vom Problem zur
Chance» se déroule sous la responsabilité du
canton de Turgovie (Amt für Berufsbildung
und Berufsberatung Kanton Thurgau) et de
la CIFIM. La direction opérationnelle est
confiée à l’IFFP. Le financement (60% du
budget) est garanti par l’OFFT (SEFRI). Le
projet a débuté en 2010 et le financement est
prévu jusqu’en juin 2014.
10
Pour de plus amples détails, voir Bausch, L.
et al. (2010). Mehrsprachigkeit im Beruf – vom
Problem zur Chance. Beitraggesuch. Bern: BBT.
Toute la documentation à laquelle cet article
fait référence est disponible auprès du secrétariat IGMIB-CIFIM. [email protected].
11
Bausch, L., Winterberger, H.H. & Haerri, U. (2011). Ateliers linguistiques et
d’apprentissage: Concept. Berne/Lugano:
IFFP-IGMIB/CIFIM.
Bausch, L., Winterberger, H.H. & Haerri,
U. (2011). Stage linguistique: Concept. Berne/
Lugano: IFFP-IGMIB/CIFIM.
Bausch, L., Leist, W. et al. (2013). Mehrsprachigkeit im Beruf – vom Problem zur Chance,
Wirklichkeit und Vision: Dossier Lehrstellenaustausch. Bern: IGMIB/CIFIM.
12
Pour ce qui concerne la Suisse, on cite
l’expérience BILI: Jansen O’Dwyer, E.
(2007). Two for one. Die Sache mit der Sprache.
Didaktik des zweisprachigen Sachunterrichts.
Bern: Hep-Verlag. Jansen O’Dwyer, E. &
Nabholz, W. (2004). Die Lehre zur Sprache
bringen. Handbuch für die Einführung von zweisprachigem Unterricht an Berufsschulen. Bern:
Hep-Verlag. Voir aussi l’article de Kathrin
Jonas Lambert dans ce numéro.
13
Pour le moment le projet s’est limité à appliquer un plurilinguisme qui en effet est un
bilinguisme allemand-français.
14
L’évaluation intermédiaire prévoit une série d’entretiens aux acteurs-clé du projet (initiateurs du projet, rôles institutionnels, acteurs sur le terrain). Les entretiens sont en
voie de réalisation. Ces quelques considération conclusives sont tirées d’une première
lecture de quelques-uns de ces entretiens et
des rencontres de régulation du groupe de
projet.
15
Voir par exemple le reportage dans Accento
(journal de la CIFIM) no 3 Quartal 2012:
http://www.musikinstrumentenbauer.ch/
multi/index.php?option=com_content&vie
w=article&id=92&Itemid=104&lang=de
Luca Bausch
licencié en Sciences politiques, est actuellement maître d’enseignement et responsable
de projet auprès de l’IFFP à Lugano. Il
s’intéresse aux questions liées à l’élaboration
de curricula de formation, à l’analyse du travail et à la didactique professionnelle. Il a aussi suivi, en tant que consultant pédagogique,
différentes professions dans le cadre de la réforme de la formation professionnelle initiale.
Image du film A Song Is Born, 1948. De gauche à droite: Charlie Barnett, Tommy Dorsey, Benny Goodman, Louis Armstrong, Lionel Hampton.
77
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Il racconto
Gaudium
Leta Semadeni | Lavin
Aus einem Auge
ist beiläufig sauté
un cri de joie
aint in mi’uraglia
Cammino a tempo
tras il di, tras il di
et je rêve la nuit:
Wie die Mähne del vento
sospinge le cri
tras las giassas
Leta Semadeni, 1944 in
Scuol/Engadin geboren, lebt seit 2005 als
freie Autorin in Lavin im
Unterengadin. Publiziert
Prosa und Gedichte,
wobei sie ihre Gedichte
durchgehend auf Rätoromanisch und Deutsch
schreibt.
Ihr lyrisches Werk wurde
2011 mit dem Literaturpreis des Kantons
Graubünden und mit
dem Preis der schweizerischen Schillerstiftung
ausgezeichnet. Zuletzt
erschienen „raz“ (2011),
„Fila, fila! – Spinne,
spinne!“ (2012) und der
zweisprachige Gedichtband „In mia vita da
vuolp – In meinem Leben
als Fuchs“, Chasa editura
rumantscha, Chur 2010.
Robert Delaunay, Joie de vivre, 1930.
78
Babylonia 03/12
02/13 ||babylonia.ch
babylonia.ch
D’un œil
par hasard
un cri de joie
a sauté
dans mon oreille
Je marche en rythme
à travers le jour
et je rêve
la nuit:
Comme la crinière
du vent
pousse
mon cri de joie
à travers les ruelles
Da un occhio
è saltato
per caso
un grido di gioia
nel mio orecchio
Cammino a ritmo
attraverso il giorno
e sogno
di notte:
Come la criniera
del vento
sospinge
il mio grido di gioia
attraverso i vicoli
Aus einem Auge
ist beiläufig sauté
un cri de joie
aint in mi’uraglia
Our dad ün ögl
es sigli in passond
ün güvel
aint in
mi‘uraglia
Eu chamin in tact
tras il di
e m’insömg
da not:
Co cha la chavlüra
dal vent
chatscha
meis güvel
tras las giassas
Cammino a tempo
tras il di, tras il di
et je rêve la nuit:
Aus einem Auge
ist beiläufig
ein Jauchzer
in mein Ohr
gesprungen
Ich laufe im Takt
durch den Tag
und träume
nachts:
Wie die Mähne
des Windes
meinen Jauchzer
durch die Gassen
treibt
Wie die Mähne del
vento
sospinge le cri
tras las giassas
79
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Finestra I
Valorizzare tutte le lingue nella scuola
Convegno sul plurilinguismo ad Ascona
Vincenzo Todisco | Chur
Am 16. und 17. Oktober fand in Ascona eine Tagung zum Thema „ein
Platz für alle Sprachen in der Schule“ statt. Neben den Themen, die
mit dem Sprachlernbewusstsein in Zusammenhang stehen, wurde
auch der schulische Sprachunterricht thematisiert, wobei auf die
didaktischen Konsequenzen der Mehrsprachigkeit als Bildungsziel
eingegangen wurde. Wegen der verschiedenen Faktoren, die dabei
eine Rolle spielen, ist es nicht möglich, eine eindeutige Definition der
Mehrsprachigkeit zu geben. Im schulischen Umfeld ist das Kriterium
der Sprachkompetenz wohl am wichtigsten. Obwohl das Bild der
einsprachig-aufwachsenden Schüler immer noch dominiert, müssen
wir feststellen, dass die Mehrsprachigkeit zum Normalfall geworden
ist und dass wir diese Mehrsprachigkeit in den Klassenzimmern nicht
länger negieren können. Es gibt jedoch noch viel Skepsis hinsichtlich
der Einführung von zwei Fremdsprachen schon auf der Primarstufe.
Um sich den neuen Herausforderungen zu stellen, muss die Schule auf
kommunikative, pragmatische, kontextualisierte und induktive Unterrichtsansätze setzen und versuchen, im Sinne der Mehrsprachigkeitsdidaktik den herkömmlichen Fremdsprachenunterricht zu optimieren
und zu erweitern, zum Beispiel durch interdisziplinäre Ansätze, indem
ELBE/EOLE Ansätze herangezogen werden, Immersionsunterricht, Austauschpädagogik und Sprachenportfolio gefördert werden, um so eine
Annäherung zwischen dem schulischen Sprachunterricht und Möglichkeiten für das ausschulische Sprachenlernen zu ermöglichen.
Mehr Beiträge zu diesem Thema:
www.babylonia.ch >
Thematisches Archiv > Thema 15
Valorizzare tutte le lingue nella scuola, questo il
titolo dato al convegno tenutosi ad Ascona il 16 e
17 ottobre 2012, richiama subito gli approcci didattici realizzabili attraverso i materiali e le attività proposti dai programmi ELBE (Eveil aux
langues – Language awerness – Begegnung mit
Sprachen) e EOLE (Eveil et ouverture aux langues).Tali approcci mirano a svegliare nei discenti l’interesse e la sensibilità per le lingue e le peculiarità linguistiche, a renderli coscienti del pluralismo culturale, a valorizzare, anche attraverso
una riflessione metalinguistica e comparativa, sia
le lingue materne sia quelle straniere, onde suscitare un atteggiamento positivo nei confronti del
plurilinguismo e del multiculturalismo. Tutte
queste iniziative sono encomiabili e assumono
80
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
un ruolo importante nella panoramica della glottodidattica moderna.
Accanto alla mera sensibilizzazione linguistica, la
scuola ha però anche e soprattutto il compito di
porsi come obiettivo quello che potremmo definire un plurilinguismo scolastico. A scuola, infatti, oltre a lavorare sugli atteggiamenti, si tratta di
insegnare le lingue per fare in modo che ogni
singola persona possa sviluppare una coscienza
plurilingue (Hutterli et al., 2008). Nel convegno
di Ascona si è messo quindi l’accento sull’insegnamento scolastico delle lingue, riflettendo sulle implicazioni didattiche del plurilinguismo
come obiettivo educativo.
Definizione del bilinguismo
A questo punto serve fare una distinzione molto
importante, quella tra il bilinguismo acquisito
naturalmente durante l’infanzia e quello che abbiamo definito come bilinguismo scolastico. Per
semplificare le cose ci limiteremo al caso dell’acquisizione o apprendimento di due lingue e
quindi parleremo di bilinguismo.
Cominciamo con il bilinguismo acquisito naturalmente. Quando una persona può essere considerata bilingue? Quando padroneggia molto
bene due lingue, essendo in grado di svolgere
una conversazione sia nell’una sia nell’altra, o
quando capisce una seconda lingua, ma non è
(più) in grado di usarla attivamente? È bilingue
solo chi acquisisce due lingue già durante l‘infanzia? Può essere considerato bilingue chi padroneggia la lingua standard e il dialetto? Ci troviamo insomma di fronte all’intricato problema
della definizione del bilinguismo. Se ci affidiamo
a una concezione minimalista del termine, possiamo dire che ogni essere umano è per lo meno
bilingue. Se invece optiamo per una concezione
massimalista, possiamo considerare bilingue solo
chi padroneggia due lingue in modo equo.
Sino ad oggi gli studiosi non sono riusciti a trovare una definizione univoca del termine. Negli
anni trenta del secolo scorso Bloomfield (1933)
poneva come condizione, per poter considerare
bilingue una persona, la competenza di parlante
nativo nelle due lingue. Negli anni cinquanta
Weinreich (1953) postulava invece la capacità di
usare le due lingue. Secondo questa concezione
sarebbe quindi bilingue chi usa regolarmente
due lingue senza che sia necessario padroneggiarle ambedue a un livello di parlante nativo.
Negli anni settanta Titone (1972) poneva come
condizione il fatto di usare correttamente le due
lingue e quindi, secondo questa concezione, sarebbe da considerare bilingue chi fosse in grado
di separare le due lingue, evitando interferenze
tra un sistema e l’altro. In anni più recenti,
Skutnabb-Kangas (1995) postulava almeno quattro criteri per individuare un parlante bilingue, la
competenza, la funzione (vale a dire i diversi ambiti e contesti in cui vengono usate le due lingue), l’età di acquisizione e l’identificazione. Secondo questa concezione sarebbe quindi da considerare bilingue chi padroneggiasse a un livello
molto alto le due lingue, sapesse usare ambedue
le lingue nei più svariati contesti, avesse imparato
le due lingue sin dalla prima infanzia e quindi in
modo simultaneo e non consecutivo e infine si
identificasse soggettivamente come una persona
bilingue. A tale identificazione interna può ovviamente corrispondere una rispettiva identificazione esterna, vale a dire la persona può essere
percepita come parlante bilingue anche dagli altri. La definizione del plurilinguismo si può via
via allargare, fino ad arrivare a quella di Wiater
(2006), secondo la quale ogni persona è plurilingue, giungendo praticamente a negare l’esistenza
stessa del monolinguismo. Accanto alla lingua
standard e amministrativa di un paese, afferma
Wiater, ci sarebbe infatti sempre stato un grande
numero di varianti regionali, dialetti, gerghi e peculiarità linguistiche individuali o collettive parlati dalla popolazione di una nazione.
Tutti questi diversi punti di vista circa il bilinguismo ci permettono di dire che non esiste una definizione univoca e che il fatto di padroneggiare
o meno una o più lingue non costituisce una di-
mensione statica. Nel corso della vita una persona può attraversare diverse fasi in cui potrà considerarsi bilingue o meno.
Quando parliamo di bilinguismo sono quindi in gioco diversi fattori.
Quello più forte, e il più determinante in ambito scolastico, è ovviamente quello della competenza. A tale proposito Moretti e Antonini
(2000) individuano quattro gradi di competenza: l’ambilinguismo,
vale a dire un bilinguismo in senso strettissimo, per così dire perfetto,
nel quale abbiamo una competenza equa e molto alta nelle due lingue;
il bilinguismo equilibrato, dove abbiamo una competenza molto avanzata nelle due lingue con tracce di una lingua nell’uso dell’altra (le cosiddette interferenze) e dove possiamo parlare di un bilinguismo come
lingua materna; la terza possibilità è costituita dal bilinguismo non
equilibrato, dove la competenza in una delle due lingue è inferiore rispetto a quella di un corrispondente monolingue e quindi dove una
lingua domina sull’altra (è il caso dei figli di immigrati che si trovano
a dover imparare la lingua del posto); e infine il semilinguismo, per il
quale il parlante presenta scarse competenze nelle due lingue e quindi
si trova ad avere due mezze lingue.
Il plurilinguismo è normale
Indipendentemente dalle diverse definizioni e dai diversi fattori in
gioco, oggi, in un mondo globalizzato in cui in seguito alla mobilità
delle persone le lingue e le culture si mescolano, dovremmo dire che
il bilinguismo, rispettivamente il plurilinguismo, è un fatto normale.
Difatti, come affermano Cathomas e Carigiet (2008), la maggior parte delle persone è plurilingue, mentre Petit (2002) ha calcolato che tre
terzi della popolazione infantile del pianeta cresce bi- o plurilingue.
Malgrado tale evidenza, in Europa, e anche nella Svizzera ufficialmente quadrilingue, spesso è ancora predominante l‘immagine dell’individuo che cresce monolingue e altrettanto spesso si ritiene che questa
sia la norma (Hutterli et al. 2008). Per illustrare tale controsenso, Ingrid Gogolin (1994) ha coniato il termine “monolingualer Habitus
der multilingualen Schule”, vale a dire il fatto che troppo spesso a
scuola si fa come se ci si trovasse di fronte a classi linguisticamente
omogenee, mentre in realtà sappiamo bene che è vero il contrario. Se
ci prendiamo la briga di considerare la pluralità linguistica nelle nostre
aule scolastiche, ci accorgiamo che le lingue presenti sono tante e diverse. Per rendere visibile il repertorio linguistico di un bambino,
Hans-Jürgen Krumm (2001) ha sperimentato i cosiddetti ritratti linguistici, attraverso i quali gli stessi bambini possono, colorando una sagoma che rappresenta un bambino o una bambina, illustrare la propria
identità linguistica. Si tratta di un ottimo strumento per dare un’immagine al plurilinguismo vigente all’interno di una classe. Questi due
esempi sono stati raccolti nel 2006 nell’ambito di una settimana di
progetto sul plurilinguismo in una seconda classe ginnasiale di Coira.
81
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Fig. 1
Fig. 2
Certo, la bambina che si identifica con 9 lingue (Fig. 2) è sicuramente
un caso eccezionale, ma bambini o ragazzi che nel loro repertorio linguistico fanno confluire due o tre lingue costituiscono quasi la regola
in quanto vivono in un contesto plurilingue di cui la scuola farebbe
bene a prendere atto.
A questo plurilinguismo individuale si aggiunge un plurilinguismo
sociale, molto significativo per un paese come la Svizzera con le sue
quattro regioni linguistiche e diversi cantoni bilingui (il Canton Grigioni addirittura trilingue).
Eppure, come abbiamo già detto, la scuola spesso non sembra tener
conto di questa realtà, in altre parole non rispecchia né il plurilinguismo individuale né quello sociale. In molti contesti scolastici regna
non poco scetticismo circa il fatto di insegnare, come succede attualmente in Svizzera, due lingue straniere già nella scuola elementare.
C’è chi sostiene che due lingue sono troppe e costituiscono un problema per gran parte dei bambini. Spesso queste paure derivano da
pregiudizi nei confronti di un’educazione scolastica bilingue. Si teme
un carico eccessivo per i bambini e che l’apprendimento contemporaneo di più lingue abbia come conseguenza una scarsa padronanza di
ambedue le lingue con ripercussioni negative sulla lingua scolastica
(che non sempre equivale alla lingua d’origine dei vari bambini). E
questo, secondo tali preoccupazioni, perché una lingua verrebbe appresa a scapito dell’altra. Tutti questi dubbi, spiegano Cathomas e Carigiet (2008), sono infondati, e riconducibili alla falsa immagine che
abbiamo del cervello umano, visto come un contenitore che una volta pieno non avrebbe più spazio per altro, mentre il cervello dispone
di spazio e flessibilità sufficienti per più di una lingua, visto che non si
impara una lingua a scapito dell’altra. Il problema infatti normalmente non è costituito dal numero delle lingue, ma semmai dalle condizioni in cui le diverse lingue vengono acquisite o apprese dal bambino.
Ovviamente vi possono essere casi in cui le lingue in gioco sono troppe, ma questo succede soprattutto quando le due lingue risultano ambedue sottosviluppate, quando la trasmissione delle due lingue non
avviene in modo ordinato e coerente o quando, per ricollegarci
all’ambito scolastico, le lingue vengono insegnate con metodi inappropriati e approcci didattici demotivanti.
82
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Le interferenze non sono un deficit
Un ulteriore pregiudizio che incombe sul bilinguismo o sull’apprendimento di più lingue nella
scuola è quello che considera le interferenze
come un deficit e un segno di scarsa competenza
in ambedue le lingue. Non si tiene conto del fatto che quando un bambino impara due lingue, è
normale che attraversi una fase in cui mescola le
due lingue. È quindi sbagliato considerare i fenomeni di interferenza come degli indizi di scarsa
competenza. Come ha già dimostrato Weinreich
(1953), le interferenze costituiscono invece un
indizio per il fatto che nell’individuo bilingue le
due lingue entrano in contatto tra loro. Oggi si
tende a valutare positivamente le interferenze, in
quanto servono da identificazione all‘interno del
gruppo, fanno da ponte tra due identità culturali
diverse, sopperiscono a lacune lessicali, aumentano l‘effetto che si fa dell‘uso della rispettiva lingua e sono indicatori importanti in quanto forniscono informazioni circa la competenza bilingue del rispettivo parlante. Le interferenze
quindi non vanno intese come un disturbo del
sistema linguistico del parlante, ma come una
strategia efficace per sopperire, in caso di necessità, a delle lacune. In tal caso infatti il parlante
ripiega su strutture dell’altra lingua per evitare
delle interruzioni o delle lacune nella comunicazione.
I vantaggi del plurilinguismo
Se poniamo come obiettivo l’educazione plurilingue a scuola, e quindi un plurilinguismo scolastico, dobbiamo chiederci quali possono essere
i vantaggi che ne conseguono. Come spiegano
ampiamente Cathomas e Carigiet (2008), il bambino plurilingue dispone di più ambiti di esperienza, si ricollega più facilmente a culture diverse tra loro, si pone di fronte a un problema o a un
dato di fatto dall’ottica di due lingue e quindi dispone di una dimensione cognitiva più ampia,
presenta una maggiore consapevolezza linguistica, ciò che gli permette più flessibilità nella comunicazione e più creatività e flessibilità di pensiero. Non bisogna infine dimenticare che il plurilinguismo offre più opportunità nel mondo del
lavoro. Come sostengono diversi autori (Etter,
2011; Andres et al., 2005; Hufeisen, 2011), se
nell’ambito dell’industria privata d’esportazione
l’inglese è indispensabile, per le altre categorie
professionali è altrettanto vantaggioso, e in certi
settori indispensabile, basti pensare al turismo,
all’edilizia, all’amministrazione pubblica, alla
scuola e ai media, padroneggiare anche altre lingue accanto all’inglese, visto che in questi casi
spesso si richiede personale plurilingue.
Malgrado i vantaggi evidenti derivanti dall’apprendimento delle lingue, e senza che l’insegnamento contemporaneo di due lingue sia stato
collaudato e siano state fatte delle esperienze e
raccolti dei dati empirci a lungo termine, si sentono già delle voci contrarie o per lo meno scettiche circa l’insegnamento di più lingue nella
scuola elementare. Questo succede malgrado il
fatto che a partire dal 1959 il Consiglio d‘Europa
si sia espresso a favore del pluralismo linguistico,
ponendo come obiettivo quello di migliorare la
qualità della comunicazione tra la popolazione
europea di diversa lingua e cultura. In tal senso il
plurilinguismo dovrebbe permettere maggiore
mobilità, comprensione reciproca e collaborazione tra la popolazione europea.
In tale ottica nel 2004 la Conferenza svizzera dei
direttori cantonali della pubblica educazione
(CDPE) ha emanato delle strategie atte a potenziare l’insegnamento delle lingue nella scuola
elementare. Orientandosi a un insegnamento
precoce delle lingue, la riforma contiene l’introduzione o l’anticipazione di una prima lingua
straniera (nella maggior parte dei casi una lingua
cantonale o nazionale) a partire dalla 3a classe,
una seconda lingua straniera (quasi sempre l‘inglese) a partire dalla 5a, l’applicazione di nuovi
elementi didattici quali ELBE, l’insegnamento
bilingue e immersivo, gli approcci CLIL, la pedagogia degli scambi e il Portfolio europeo delle
lingue, il tutto all’insegna di una didattica integrata delle lingue per un insegnamento coordinato e possibilmente interdisciplinare.
Scuole bilingui
Per far fronte alle nuove sfide nell’ambito dell’insegnamento delle lingue, la scuola deve avviare
delle innovazioni consistenti e continuare a mettere in atto le strategie della CDPE, così come
proposto dal progetto Passepartout1. Se per le
scuole monolingui i problemi da risolvere sono
complessi, per le scuole bilingui le cose sono più
semplici.
I Grigioni e altri cantoni della Svizzera conoscono da tempo il modello della scuola bilingue. Il
Canton Grigioni ne conta ben 10 (Bivio, Samedan, Coira, Pontresina,Trin, Bever, Maloja, Celerina, La Punt e Ilanz). Gli altri cantoni con delle
scuole o classi bilingui sono il Vallese (Sierre, Sion, Motnhey e Brig),
Berna (Bienne), Friburgo (Morat, Sarine Ouest, La Tour-de-Trême,
Bulle, Châtel-St. Denis), Neuchâtel (singole classi con un insegnamento immersivo) e Giura (insegnamento bilingue nel secondario I),
senza dimenticare ovviamente l’insegnamento bilingue nel secondario II e le numerose scuole bilingui private. In tutte queste scuole si
adotta il metodo dell’immersione. Questo vuol dire che determinate
materie non linguistiche, come per esempio la matematica, la storia o
la geografia, vengono impartite nella L2. In questi casi parliamo di un
insegnamento veicolare che permette di insegnare una L2 in modo
molto efficiente in quanto la lingua non è più oggetto, ma mezzo di
insegnamento. I vantaggi dell’immersione sono molteplici e l‘efficacia
del metodo è dimostrata da numerosi studi scientifici che di regola attestano una competenza dei discenti molta alta nella L2. Si tratta di un
approccio autentico, induttivo, attraverso il quale è possibile focalizzare l’attenzione degli apprendenti in primo luogo sul contenuto della
rispettiva materia e non sulla L2. Di regola non si verifica nessuna
conseguenza negativa sullo sviluppo né della lingua materna né per
quanto riguarda le prestazioni in altre materie scolastiche. È stato ampiamente dimostrato che nell’insegnamento bilingue di regola lo sviluppo cognitivo dei discenti non subisce dei deficit. Eventuali ritardi
iniziali in singole materie vengono recuperati anche senza un sostegno specifico. I discenti che imparano la L2 in modo immersivo raggiungono risultati comparabili e in parte anche superiori rispetto ai
gruppi di controllo delle scuole monolingui.
Scuole monolingui
Nell’ambito dell’insegnamento delle lingue la scuola monolingue
deve partire da premesse completamente diverse. Deve innanzitutto
fare i conti con il problema di una situazione d’apprendimento artificiale in cui le lingue vengono acquisite in modo guidato e non spontaneo e naturale come avviene in famiglia o in parte in un insegnamento bilingue. Spesso in ambito scolastico regna confusione nel definire gli obiettivi legati non solo al bilinguismo, ma
all’apprendimento delle lingue in genere, e questo può portare a delle
false aspettative quasi sempre frustrate. Abbiamo già accennato al fatto
che l’apprendimento scolastico delle lingue si svolge per forza di cose
quasi sempre in un contesto artificiale. Se l’acquisizione della L1, o di
più L1, avviene in modo spontaneo, per la L2 di regola abbiamo un
apprendimento guidato e solo eccezionalmente, per esempio nell’ambito di un soggiorno linguistico, spontaneo. Le diverse modalità di acquisizione, rispettivamente di apprendimento della lingua, possono
essere schematizzate nel modo seguente:
Tab. 1 Acquisizione spontanea e apprendimento guidato della lingua
L1
L2
Acquisizione non guidata,
spontanea, implicita, naturale,
induttiva.
E quando si acquisisce più di
una lingua: plurilinguismo
naturale.
Apprendimento esplicito,
guidato, deduttivo (a scuola).
E quando si impara più di
una lingua a scuola:
plurilinguismo guidato risp.
scolastico.
Acquisizione
spontanea, per
esempio
nell’ambito di un
soggiorno
linguistico.
83
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Il problema infatti di regola non è
costituito dal numero delle lingue, ma
semmai dalle condizioni in cui le
diverse lingue vengono acquisite o
apprese dal bambino.
Una premessa fondamentale per l’apprendimento della lingua è l’uso
che effettivamente se ne può fare in situazioni comunicative possibilmente autentiche. La convenzionale lezione di lingua offre purtroppo
solo un minimo di autenticità. Questo tipo di insegnamento si svolge
infatti prevalentemente in modo frontale (non sempre nella lingua
d’arrivo) e le situazioni comunicative, se ci sono, non sono di carattere autentico. Meno è autentica la situazione di apprendimento, meno
sono alte le opportunità d’uso di una lingua. Una lingua straniera si
impara invece quando l’apprendente ha molteplici occasioni di usarla
in situazioni concrete che in un insegnamento convenzionale scarseggiano o mancano del tutto. Con il metodo convenzionale inoltre il
tempo a disposizione per imparare una lingua è ridotto, si limita a singole lezioni, ciò che impone un insegnamento scarsamente comunicativo e decontestualizzato con risultati spesso poco soddisfacenti. In
più le lingue cantonali o nazionali si trovano in conflitto con l’inglese.
Per rendersi conto di quanto presente sia ancora un approccio convenzionale all’insegnamento delle lingue straniere nelle nostre scuole
basta leggere le biografie linguistiche di molti nostri studenti dell’Alta
scuola pedagogica, in questo caso dei Grigioni, biografie che riportano esperienze d’apprendimento tendenzialmente negative.
Per tutti questi motivi è lecito supporre che con il metodo convenzionale, vale a dire con la classica lezione di lingua, in futuro non sarà possibile far fronte alle nuove sfide che pone l’insegnamento di più lingue
nella scuola. Se le lingue continueranno ad essere insegnate in base a
metodi convenzionali, i risultati non saranno soddisfacenti e alla fine
avranno ragione gli scettici.
E allora cosa deve fare la scuola?
Innanzitutto bisogna assumere un atteggiamento positivo e considerare il bilinguismo scolastico non un problema, ma qualcosa di stimolante, un’opportunità che comporta grossi vantaggi. Qualsiasi apprendimento è condizionato in modo determinante dalle esperienze, dalle
preconoscenze, dalle immagini e opinioni, da quello che riteniamo
importante, dalle supposizioni, aspettative e preferenze delle quali
spesso non ci rendiamo conto (Cathomas & Carigiet, 2008). Se i genitori o gli insegnanti assumono un atteggiamento negativo nei confronti dell’educazione bi- o plurilingue, susciteranno nei bambini sentimenti e premesse che ostacoleranno il loro apprendimento.
Bisogna rendersi conto che non sono solo i bambini cresciuti con due
lingue a trarre vantaggio da un apprendimento di più lingue, ma anche, e a volte soprattutto, i monolingui. Come sostengono giustamente Gage e Berliner, “il plurilinguismo non è soltanto una necessità indispensabile per le minoranze; è soprattutto un‘opportunità formativa
estremamente vantaggiosa per tutti gli allievi” (Ibidem,2008). Studiare
più lingue a scuola significa, anche per i monolingui, allargare il proprio orizzonte culturale. Così, per esempio, i bambini della parte tedesca del Canton Grigioni che imparano l’italiano a partire dalla
quarta elementare, attraverso l’italiano avranno la chiave per accedere
ad altre lingue romanze. In più, iniziando con l’italiano, saranno agevolati nell’apprendimento dell’inglese, basti pensare alla dimensione
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
lessicale con una radice comune di moltissimi
vocaboli che risale al latino.
Ma la condizione forse più importante per creare
le premesse per una buona riuscita dell’insegnamento delle lingue a scuola è l’orientamento
all’obiettivo del plurilinguismo funzionale. Nel
nuovo piano di studi per l’italiano L2 del Canton
Grigioni (2010) si legge che è considerato plurilingue chi è in grado di comunicare in due lingue sapendosi adeguare alle rispettive situazioni.
Il plurilinguismo funzionale è un concetto che ci
permette di evitare false aspettative e di rendere
più plausibile il fatto di insegnare una o più lingue straniere a scuola. Attraverso il plurilinguismo funzionale non si mira più alla padronanza
perfetta della L2, obiettivo del resto poco realistico e spesso motivo di frustrazione sia per l’insegnante che per il discente, ma a un repertorio di
competenze parziali in diverse lingue e sviluppate in modo diverso. In questo modo si pone l’accento sulle capacità comunicative del discente.
Non si tratta quindi più di raggiungere un alto
grado di perfezione nell’uso che si fa delle singole lingue, ma del ruolo che queste possono svolgere nell’affrontare situazioni comunicative diverse. Secondo una tale impostazione, i bambini
sapranno usare le lingue apprese a scuola per scopi e in ambiti comunicativi diversi. Durante la
vita il rapporto di dominanza tra le diverse lingue
potrà mutare, a seconda di quale lingua verrà usata in quale ambito o contesto. L’essenziale è che
la comunicazione riesca, che il bambino impari
ad assumere un atteggiamento disinibito nei
confronti delle lingue e ad abbattere quelle barriere che troppo spesso ci impediscono di comunicare in una lingua straniera.
La scuola farà bene a sfruttare le potenzialità di
un insegnamento precoce delle lingue straniere.
È vero che, rispetto a un bambino, un adulto dispone di maggiori abilità cognitive, di un sapere
maggiore, impara più velocemente, ha abilità
metalinguistiche più avanzate, ma è altrettanto
vero che i bambini, visto che iniziano prima,
hanno più tempo a disposizione, dispongono di
abilità mnemoniche più flessibili, sono più aperti
ad approcci induttivi, hanno maggiori abilità articolatorie, e quindi sono agevolati nella pronuncia, sono esenti da filtri emotivi, sono spinti da
curiosità e di regola sono motivati e disposti a
apprendere altre lingue. I bambini inoltre hanno meno inibizioni e un
atteggiamento più naturale e disinvolto nei confronti delle lingue.
Non sfruttare tali premesse e potenzialità significa rinunciare a importanti opportunità.
Se il metodo cosiddetto tradizionale prevede un approccio deduttivo,
in cui la grammatica è punto di partenza e di arrivo dell’insegnamento, dove l’obiettivo sono le competenze formali è il criterio di valutazione la correttezza formale nella produzione linguistica per mezzo di
materiali linguistici non autentici, l’approccio comunicativo, al quale
si orienta la didattica del plurilinguismo, segue un procedimento induttivo, attraverso il quale la grammatica viene scoperta, gli apprendenti vengono posti al centro del processo di apprendimento con l’obiettivo di suscitare in loro delle competenze comunicative. Lo scopo
principale è quello di indurli a parlare in modo disinibito in situazioni comunicative possibilmente autentiche e per mezzo di materiali didattici anche questi autentici. La scuola deve quindi puntare su degli
approcci di insegnamento comunicativi, pragmatici, contestualizzati e
induttivi, cercando in tal modo di ottimizzare e allargare l’insegnamento convenzionale delle lingue straniere, per esempio attraverso
procedimenti interdisciplinari, il coinvolgimento di elementi ELBE
(coscienza linguistica, confronti tra le lingue, riflessioni sulla lingua,
coinvolgimento delle varie lingue presenti in classe), le sequenze d’insegnamento immersive, gli approcci CLIL, la pedagogia degli scambi
(scambi epistolari, mail, contatti, visite) e il Portfolio delle lingue, avvicinando in tal modo l’apprendimento prettamente scolastico delle
lingue a occasioni di apprendimento extrascolastiche.
La didattica del plurilinguismo
Il potenziamento dell’insegnamento convenzionale delle lingue sotto
il tetto della didattica del plurilinguismo può essere schematizzato nel
modo seguente:
Fig. 3: Didattica del plurilinguismo
Così come postulato nei principi didattici del
progetto Passepartout (Didaktische Grundsätze
2008), dare una tale impostazione all’insegnamento delle lingue implica tener conto della coerenza verticale e orizzontale. Il problema della
coerenza verticale si pone soprattutto al momento della transizione da un grado scolastico all’altro, per esempio dalla scuola elementare al grado
secondario, dove avviene un vero e proprio cambio di paradigma, da un approccio induttivo a un
procedimento deduttivo. Succede troppo spesso
che al momento del passaggio da un grado all’altro si debba presentare la necessità di dover ricominciare da capo.
La coerenza orizzontale si ottiene invece facendo
in modo che le lingue apprese non vengano insegnate separatamente, ma che si possano sfruttare le sinergie tra le singole lingue, che i mezzi didattici tengano conto delle altre lingue apprese
dai bambini e che gli insegnanti collaborino
maggiormente. Imparare una seconda lingua
straniera dopo aver iniziato ad impararne una
prima reca dei vantaggi. Haenni Hoti (2006) ha
dimostrato che le strategie di apprendimento
messe in atto per la prima lingua possono essere
trasportate alla seconda. Difatti, come si legge nel
Quadro europeo comune di riferimento delle
lingue (2001: 17), “[...] Le lingue e culture non
vengono immagazzinate in aree mentali separate
tra loro, ma piuttosto danno vita a una competenza comunicativa, alla quale contribuiscono
tutte le conoscenze e esperienze linguistiche e
attraverso la quale le lingue si pongono in relazione l‘una con l‘altra e interagiscono.”
Ovviamente, per insegnare le lingue in questo
modo, servono insegnanti molto ben preparati sia
da un punto di vista linguistico che didattico. Ci
deve essere la volontà politica per un insegnamento delle lingue così concepito in modo che
possano venire a crearsi le strutture istituzionali,
organizzative e logistiche necessarie. E infine saranno necessarie delle ricerche e dei monitoraggi, si dovranno raccogliere dati empirici per decidere se effettivamente l’apprendimento di più
lingue costituisce un sovraccarico per i bambini
o se, come si spera, la didattica del plurilinguismo
permetterà di sfruttare al meglio le potenzialità
dell’insegnamento contemporaneo di due lingue.
85
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Note
Con il progetto Passepartout si designa
l’iniziativa dei cantoni di Berna, Basilea campagna, Basilea città, Soletta,Vallese e Friburgo
che hanno riorganizzato l’insegnamento
delle lingue straniere nella scuola dell’obbligo
in modo coordinato. A partire dal 2011 i bambini di questi sei cantoni imparano il francese
a partire dalla 3a classe e l’inglese dalla 5a.
L’insegnamento avviene in base ai principi
della didattica del plurilinguismo e si usano
gli stessi mezzi didattici, che sono stati coordinati in base ai piani di studi per le rispettive
lingue. Per ulteriori informazioni si può consultare il sito del progetto: http://www.
passepartout-sprachen.ch/de.html (2.4.2013).
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Vincenzo Todisco
nato nel 1964 a Stans, laureato in letteratura e
linguistica italiana e francese, è docente e collaboratore scientifico presso la trilingue Alta
scuola pedagogica dei Grigioni di Coira,
dove si occupa di didattica delle lingue straniere e del plurilinguismo e conduce delle ricerche e dei progetti nell’ambito del plurilinguismo. Nel 2011 ha ottenuto il dottorato
con una ricerca sul plurilinguismo e la scuola
bilingue di Maloja (Grigioni). È inoltre autore di diversi mezzi didattici per l’insegnamento dell’italiano e ha realizzato un documentario sull’insegnamento dell’italiano L2
nel Canton Grigioni. In qualità di scrittore
ha pubblicato romanzi (il più recente è Rocco
e Marittimo, 2011, per le Edizioni Casagrande)
e libri per ragazzi (Angelo e il gabbiano, 2003).
Robert Delauney, Rythm, 1939.
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Finestra II
Internationalisation, Mobility and
Integration at Higher Education Institutions
Promoting and Researching Pluri- and Multilingualism at Language Centres
Stephan Meyer, Petra Gekeler, Daniela Urank | Basel
Die Förderung der Mehrsprachigkeit spielt eine zentrale Rolle bei der
Internationalisierung von Hochschulen. Sprachenzentren können
dabei einen wichtigen Beitrag leisten. Dies gilt gleichermassen für die
Verbesserung der Mobilität und die Integration von Studierenden, Dozierenden und Forschenden. Wir berichten darüber, wie auf institutioneller Ebene Mehrsprachigkeit verankert werden kann und wie Studierende am Sprachenzentrum der Universität Basel mit ihr umgehen. Wir
stellen dazu ein neu entwickeltes Kursmodul “Kommunikationstraining
im mehrsprachigen Umfeld” vor, in dem die Teilnehmenden lernen und
üben, mehrere Sprachen im gleichen Kontext einzusetzen und den
akademischen und öffentlichen Diskurs dadurch zu bereichern. Zum
Schluss erwähnen wir Fragen, die in weiterführender Forschung zur
Mehrsprachigkeit an Hochschulen Aufmerksamkeit verdienen.
Mehr Beiträge zu diesem Thema:
www.babylonia.ch >
Thematisches Archiv > Themen 14 und 17
The assumption that students at higher education institutions will automatically maintain
and/or acquire communicative competence in
the languages they need for their studies, their
work, and to participate in society is increasingly
viewed with scepticism. Instead, there is growing
acceptance that systematic institutional promotion of these skills is imperative, also on tertiary
level. The need to actively intervene is further
strengthened by the growing internationalisation
of tertiary education institutions and curricula;
the increased mobility of students and academics;
and the mounting need to integrate national and
international students and staff into local contexts. Global and regional social processes – such
as the creation of a European Higher Education
Area as envisaged by the Bologna reforms – inflect with local language practices.The outcomes
are a mixture of bane and boon, which elicits a
range of sometimes paradoxical behaviours.
Language Centres have become one of the established instruments in higher education institutions to promote multi- and plurilingualism. In
Switzerland, the last decade saw the rapid institutionalisation of language courses for students of
other disciplines and, in some cases, the establishment of dedicated Language Centres. Presently
thirteen higher education institutions are affiliated to the Enseignement des Langues dans les
Hautes Ecoles en Suisse (FHS-ELHE), which has
an advisory role to the Conférence des Recteurs des
Universités Suisses (CRUS).
More than a decade into the Bologna process
and with internationalisation high on the agenda, we clearly need to improve our understanding of multilingualism in higher education. We
need to take stock of the status quo and we need
to prepare ourselves for future developments. In
contrast to the more established research, didactic materials, and interventions on the school
level, we still know relatively little about multilingual practices in higher education institutions
in Europe in general and in Switzerland in particular (A selection from the few available studies
includes Morel, 2009; Schaffner, 2012; Studer,
Pelli-Ehrensperger & Kelly, 2009; Veronesi &
Nickenig, 2009). Accordingly, the Language
Centre at the University of Basel undertook a
mixed methods study in 2011 and 2012 to enhance our understanding of students’ attitudes
and behaviours pertaining to pluri- and multilingualism in higher education.
We start with a sketch of the measures that the
Language Centre has undertaken to promote
pluri- and multilingualism on the institutional
level. This is followed by selected findings from
the quantitative and qualitative data that emerged
from the mentioned investigation. In particular,
we emphasise the future importance of subjectspecific courses and the need to complement
conventional monolingual courses with courses
that enhance participants’ ability to integrate different languages within the same setting. We
87
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
offer an outline of a pilot intervention project
that draws on some of the findings from the investigation, namely a semester-long four-language course Kommunikationstraining im mehrsprachigen Umfeld, and conclude with a few questions
for practice and research.
The Language Centre as promoter of
multilingualism
Like the cantons which it primarily serves, German is historically the principal language at the
University of Basel. Other languages are present
by virtue of the plurilingualism of staff and students. Institutionally, multilingualism is evident
in joint courses with other universities that use
different languages of instruction, such as the
Masters in Law, offered in collaboration with the
University of Geneva. In addition to these networks, institutional multilingualism is also evident in the form of marked anglicisation on all
levels. Recently amended University of Basel
regulations regarding the language of instruction
for example stipulate: ‘Die hauptsächlichen Unterrichtssprachen sind Deutsch und Englisch’ (§
14 Studierenden-Ordnung der Universität Basel
2011). It is increasingly assumed that students are
sufficiently proficient in English to consult publications and even follow lectures or submit written work. Depending on the discipline, this may
already happen on the Bachelor’s level. Some
Master’s and PhD courses are mainly or exclusively conducted in English.
88
The Language Centre serves the university community by enhancing
their language competences for academic and professional environments and participation in societal processes. In addition to three of
the national languages Italian, French and German, it offers courses in
major lingua Franca languages such as English and Spanish, so-called
small and medium-sized languages such as Swedish and Dutch, and
languages that are crucial for communication between Europe and
other parts of the world, such as Arabic, Chinese and Swahili. The
courses range from general academic language courses with integrated professional skills (such as Deutsch als Studiersprache), to subject-specific courses (such as Italiano per medicina) and courses that are more or
less loosely integrated into departmental curricula or timetables (such
as English for Scientists in Sports). The Language Centre also prepares
students and staff for commercial language exams, such as the Diplôme
approfondi de langue française (DALF) and Cambridge exams, such as the
International Legal English Certificate. In addition, it offers a tandem
consultation and partnering service. Whilst each of the courses taken
on their own is conceived largely monolingually, participants often
take courses in different languages to enhance their plurilingual repertoires. This contributes to the multilingual profile of the University,
the professional organisations in which students will be employed, and
the social institutions in which they will exercise their citizenship
rights and duties.
The mixed methods study: quantitative and qualitative data
The mixed methods study used a range of quantitative and qualitative
datasets. These combined to give insights into synchronic and diachronic patterns regarding large groups, which are enriched by interviews that offer detailed first person perspectives.
Statistics from a survey with 740 respondents gives the following picture. Most respondents (68.5%) had German (including Swiss German) as a first language, followed by French (5.5%) and Italian (4.5%)
as first languages. Collectively, they reported having knowledge (defined as A1 and higher) of 42 languages, including Catalan, Estonian,
Kurdish,Turkish and Russian. Forty per cent of respondents indicated
that they have knowledge of four languages, the most common of
Matthäus Merian, Topographia Helvetiae, Rhaetiae et Valesiae, 1654.
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
What are the specific contributions
that institutions of higher learning
can make in societies which value the
promotion of pluri- and
multilingualism?
which came from the following group: German, English, French,
Spanish and Italian. More females than males were enrolled, (62%
were women, compared to 55% women students in the University as
a whole). The academic levels of respondents correlated to those in
the University at large: 53.8% were on the Bachelor’s level, followed
by Masters/Licentiate (32.8%) and PhD students (12.7%). Concerning
faculties, the biggest group of students (22.4%) come from the Social
Sciences and Humanities; followed by the Natural Sciences (21.1%).
In terms of course registrations, the most popular languages for the
period first semester 2003 to first semester 2012, were English (with
5180 registrations), Spanish (with 2193 registrations), German as a
Foreign Language (with 1947 registrations), French (with 1888 registrations) and Italian (with 1277 registrations). Over the years there has
been a growth in the number of courses and registrations in the different languages. In the first semester 2003, eight languages were
taught in 17 courses; by the first semester of 2012, the number of languages had more than doubled to 18 and the number of courses had
multiplied more than six times to 114. Likewise, the number of subject-specific courses on offer has also grown.This started with 5 in the
first semester of 2003, attracting 39 students. By the first semester of
2012 this had grown to 14 courses with a total of 136 registrations.
Reflecting the difficulties associated with balancing quality and quantity, 90.8% of respondents reported that they strive for correctness,
while 82.5% prioritised the number of languages spoken irrespective
of the level. In 73.1% of the cases, these were the same respondents
who prioritise both level and number of languages. Asked whether
their competence in the languages they knew had improved or deteriorated while at university, 45% of respondents reported that their
English had rather improved. In contrast, as far as French is concerned,
the biggest group (34%) reported that their competence had rather
deteriorated. The same applied to Italian, with the biggest group
(23%) also reporting that their competence had rather deteriorated.
A first corpus of semi-structured qualitative interviews with Master’s
students concentrated on their experience of pluri- and multilingualism at university and their expectations regarding pluri- and multilingualism after university. Some of the points made by these students
included:
r A*OUIFCVTJOFTTXPSMEMJLFJOOVSTJOHPOFNVTUCFBCMFUPFYQSFTT
oneself, exchange ideas, somehow reach a consensus – that in different languages’
r A'PSNFUIFNPUJWBUJPOJTBDUVBMMZ*XBOUUPLOPXNPSF4P*XBOU
to be able to experience more or speak better with other people
from other countries, other cultures. […] And certainly, employment opportunities are better. […] It is easier to go and work in another country for example. Or to work along in a project where the
project leader only speaks English or only French. Also within Switzerland.’
r A"UTDIPPM*SFBMMZFOKPZFE'SFODIBOEBDUVBMMZ
it annoys me that I’ve quite lost it. […] In Law,
it was necessary to read a Federal ruling in
French maybe once. But this, one rather avoids.
So, one can wriggle out of it extremely well.
[…] I had a job interview with the Federal administration and there […] it is extremely
strongly emphasised that French is so important.’
These and additional utterances not cited here
confirmed that for many interviewees:
r 1MVSJBOENVMUJMJOHVBMJTNBSFIJHIMZSFHBSEFE
r .BTUFSJOH BDBEFNJD MBOHVBHF JT NPSF EFmanding than everyday language, possibly even
including language in many work contexts.
Thus a minimum level of C1 offers a viable
starting point to read academic literature. Initially this may require some word-for-word
translation, but through learning by doing, the
content rather than the language will gradually
become the main focus. A level below C1 is a
considerable obstacle to effective comprehension of academic texts.
r -BOHVBHFTUIBUNBZCFJNQPSUBOUBGUFSTUVEJFT
may not coincide with languages that are important during studies. So, whereas English
tends to have a pivotal position as a language of
research and instruction, other languages that
are neglected in higher education institutions
(such as French or Spanish) may also be important, or even more important, in the workplace.
A second corpus of interviews sought to gain insight into the broader language biographies of a
relatively privileged group of young people who
are extremely plurilingual. These language biographies covered a longer timespan (sometimes
extending to the language portfolios of grandparents) and extended beyond educational institutions and prospective employment. Three
groups were examined, each correlating to one
of the focus areas of linguistic intervention associated with internationalisation, mobility and integration in higher education. The three groups
comprised: local Swiss who have (Swiss) German
as a first language; Swiss from other parts of Switzerland who do not have German as a first language; and international students who do not
have German as a first language. This reflected
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
three of the Language Centre’s target communities: local nationals who are learning non-local
languages to enhance their language portfolios in
view of envisaged future mobility in the form of
study and/or work in other parts of Switzerland
and/or abroad; already mobile Swiss nationals
from other parts of the country who are learning
the local language (German) and for whom improvement of an additional national language is
the major concern; and students from abroad
who have been recruited in terms of the international orientation of the University who are
learning the local language in order to integrate
into local everyday life.
Unsurprisingly, most of the interviewees had
been exposed to a range of languages and/or
multilingual settings at an early age, be that because of family constellations, school, or migration. Whilst they underscored their instrumental
value for study and work, these interviewees
took more than a utilitarian attitude to languages. They also foregrounded the significance of:
r &YQSFTTJOHPOFTFMGJOBEJĄFSFOUTZNCPMJDTZTtem
r 5IFFNPUJPOBMBTTPDJBUJPOTXJUIBOEWBMVFPG
different languages
r&ODPVOUFSTXJUIBOEVOEFSTUBOEJOHBNPOHTU
people
r *OUFHSBUJPO JOUP BOE CFMPOHJOH UP MPDBM OBtional and transnational communities.
they mostly restricted themselves to one or two languages and they
hardly ever sourced knowledge or experience from the many additional languages they know. Also related to this, some respondents reported that they found it difficult to move easily between languages
where such flexibility is required. On the other hand, some interviewees expressed the fear that they slip too easily between languages, that
they are unable to police what they perceive as required borders between languages and that this jeopardises expectations regarding linguistic purity. In view of these concerns, respondents were asked if
they ‘would be interested in a course offering the possibility to use
and learn two or more languages in the same context (for e.g. conferences, meetings)’. To this question 45.7% responded that they would.
These findings became a central consideration in the conceptualisation of the course Kommunikationstraining im mehrsprachigen Umfeld.
A four-language course:Kommunikationstraining im
mehrsprachigen Umfeld
An increasingly common though reductionist notion of
multilingualism in higher education is that this consists of the use
of English as a lingua franca in non-English institutions, i.e. L1 +
English. This narrow view contrasts with the broader approach that
all Europeans should be competent in their first language plus two
additional ones. The broader perception constitutes the background
to the four-language course Kommunikationstraining im mehrsprachigen
Umfeld that was piloted by the Language Centre in 2012. The target
languages are two of the Swiss national languages, namely French and
Italian, in addition to English as a lingua franca. German serves as a
background language, used for some organisational and administrative
purposes. Participants are expected to have a level of at least C1 in at
least one of the languages; at least B2 in a second language; and at
least A2 in the third. It is assumed that they have sufficient knowledge
Some of these views transpire from utterances of German to understand administrative arrangements.
about pluri- and multilingualism such as:
Amongst other things, the course seeks to:
r A8IFOZPVIBWFBOPUIFSMBOHVBHFZPVEPOU r *NNFSTFQBSUJDJQBOUTJOUBTLCBTFEDPNNVOJDBUJPOJONVMUJMJOHVBM
simply have the translation – you have another
settings commonly found in academic, professional, and societal inculture, other ways of expressing. […] So if I’m
teractions
learning another language, it’s as if I’m build- r 'VSUIFSFOIBODFUIFWBMVFQBSUJDJQBOUTBTDSJCFUPNVMUJMJOHVBMJTN
ing another life.’
by giving them various opportunities to experience successful comr 4QBOJTIJTABMTPWFSZJNQPSUBOUUPNFGPSTFOUJmunicative interaction across languages
mental reasons. [… It’s] more about me than a r/VEHFQBSUJDJQBOUTUPTUFQPVUPGUIFJSDPNGPSU[POFTBOEUBLFSJTLT
career or profession.’
in languages in which they feel less confident
r A*GZPVSFBCMFUPDPNNVOJDBUFJOUIFMBOHVBHF r*NQSPWFUIFGBDJMJUZXJUIXIJDITQFBLFSTDPEFTXJUDIXIFSFQPTTJthat the general public knows, you’re in sync.’
ble and helpful
r1SBDUJTFTUJDLJOHUPPOFMBOHVBHFXIFSFUIJTJTOFDFTTBSZ
Overall, different parts of the study confirmed
that students’ attitudes to the degrees of com- The course is offered by a team of multilingual lecturers. Each lecturpartmentalisation amongst different languages er is responsible for one of the course languages that is also a first lanare a critical issue (Meyer et al., 2012). On the guage for him/her. A script consisting of thematically clustered mulone hand, respondents reported that they per- timedia dossiers focusses on the following topics: Felicità/Happiness;
ceive a correlation between language barriers Santé et nutrition/Health and nutrition; Aide humanitaire sans frontières/
and knowledge barriers. Thus in their studies Aiuti umanitari senza frontiere; La visione e la visualizzazione delle idee/
90
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Vision and the visualisation of ideas; and
a simulation of an international EXPO.
Each two-hour workshop of the thirteen-hour course includes activities in
all three of the target languages, with
two of these given priority in each
session on a rotation basis.While some
tasks train students’ ability to remain in
one language, others require that they
source materials in several languages,
discuss them in two languages and
produce written and oral output in
two or three languages.
In each workshop a brief grammar
section introduces the language that
would be used for a task-based, often
collaboratively produced, written
communicative act. For example, in
the Felicità/Happiness workshop, following the viewing of a trailer for a
documentary on happiness (German/
English) and an interview with an academic who researches happiness (Italian), participants’ use of the grammar
of questions in French and Italian is
refreshed. Participants are then divided
into project groups and given the task
of compiling a questionnaire whose
aim it is to raise awareness amongst
potential interviewees regarding the
various dimensions of happiness in
their lives and the significance they ascribe to it. In addition to class-time,
participants have to submit homework
and do self-study as further requirements for receiving credit points. The
series of workshops culminates in an
EXPO Basilea. During this event,
groups of students give an oral presentation in three languages using media
and strategies of their choice to support the understanding of an audience
with different levels of competence in
different languages. In addition, simulating a poster session at a conference,
they display and talk to an academic
poster they have prepared in two languages.
Course evaluation of the first two semesters suggests that the multilingual
course setting fosters collaboration
among participants and lecturers with
divergent levels in different languages,
creates cross-lingual awareness, enhances flexilingualism, and is perceived as an invaluable asset in the regular academic course schedule.
Final comment
Taking the University of Basel as an
example, this survey of ongoing interventions and investigations sought to
enhance the visibility of a variety of
pluri- and multilingualisms at one
higher education institution in a multilingual society. The survey also gives
a taste of the extent to which students
in particular value pluri- and multilingualism. And it gives a flavour of some
of the growing active systematic measures that staff, students and Language
Centres at higher education institutions take to promote pluri- and multilingualism in individuals, institutions,
and society. Foreseen follow-up publications will each focus on a specific
part of the investigation. These will
provide and discuss additional data,
and venture possible explanations for
the findings.
This initial investigation raises many
questions for further inquiry and suggest avenues of possible debate and intervention.This includes issues such as:
r 8IBUBSFUIFTUJMMJOTVąDJFOUMZFYamined assumptions and effects pertaining to language associated with
the promotion of mobility and the
internationalisation of higher education?
r 8IBUBSFUIFTQFDJêDDPOUSJCVUJPOT
that institutions of higher learning
can make in societies which value
the promotion of pluri- and multilingualism?
Finally, the overview also confirms the
contribution that Language Centres at
higher education institutions that take
their mandate seriously can make as
sites of instruction, intervention, and
academic inquiry.
References
Meyer, S., Gekeler, P., Urank, D. (2012).
Plurilingualism, multilingualism and internationalisation in the European Higher Education Area: Challenges and perspectives at a
Swiss University. Language Learning in Higher
Education, 2 (2), 405-425.
Morel, E. (2009). Gestion des langues d’une
université au cœur de l’Europe dans un contexte en
mouvement. Licence Faculté des lettres et sciences humaines Université de Bâle.
Schaffner, S. (Hrsg) (2012). Unsere Mehrsprachigkeit: Eine Sammlung von Mehrsprachigkeitsbiografien: Studierende und Mitarbeitende der
Universität Zürich und der ETH Zürich erzählen. Zürich: vdf Hochschulverlag.
Studer P., Pelli-Ehrensperger A., Kelly P.
(2009). Mehrsprachigkeit an universitären Bildungsinstitutionen: Arbeitssprache Englisch im
Hochschulfachunterricht. Winterthur: ISBB
Working Papers Zürcher Hochschule für
Angewandte Wissenschaften.
Universität Basel (2011). Studierenden-Ordnung der Universität Basel. www.unibas.ch
Veronesi D. & Nickenig C. (2009). Bi- and
Multilingual Universities: European Perspectives
and Beyond Bolzano. Bolzano: University
Press.
Stephan Meyer
co-ordinates the English programme at the
University of Basel Language Centre.
Petra Gekeler
directs the Language Centre at the University
of Basel.
Daniela Urank
is a co-researcher in the multilingual project
team at the University of Basel Language
Centre and Lecturer of English.
91
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Bloc Notes
L’angolo delle recensioni
Basturkmen, H. (2012). Review of
research into the correspondence
between language teachers’ stated
beliefs and practices. System 40(2),
pp. 282-295
In this survey article Helen Basturkmen asks the question as to how foreign language teachers’ beliefs are
concretized in their teaching practice.
The research was carried out because
the author had concluded that the
outcomes of research in this area are
often contradictory. Some studies
show a correspondence between beliefs and teaching practices, whereas
other studies demonstrate that teacher
beliefs do not agree with their teaching practices.
It is generally assumed that foreign
language teachers’ beliefs impact on
their teaching practice (Borg, 2011)1.
This has a double effect: beliefs impact
on actions and experiences impact on
beliefs. However, there are several reasons why beliefs and practices often do
not correspond. There are also methodological considerations according
to Basturkmen, but they will not be
addressed here because they are not
unequivocal.
Context factors can prevent teachers
from putting certain beliefs into practice. A teacher might find it important
to use the target language in his/her
classroom as the language of communication, but not do this, because it is
not common practice in his/her
school. Secondly, the teachers’ learning process itself plays an important
role. It is possible that teachers’ beliefs
do change, but that these changes are
not yet visible in their teaching practice. A third factor may be that a teacher may have different conflicting belief
systems at the same time. Beliefs on
92
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
In questa rubrica proponiamo sia
recensioni che presentazioni di nuovi
libri. Queste ultime sono
contraddistinte da un asterisco.
the use of the target language may
conflict with beliefs about how students learn.
For her survey article Basturkmen restricted her research to studies that appeared between 2000 and 2008. The
studies had to include the term beliefs
and be aimed at beliefs teachers are
able to formulate explicitly, so-called
stated beliefs. At the same time she
wished to find out in how far beliefs
corresponded to, respectively differed
from classroom practices. This resulted
in seventeen studies, six of which
showed clear correspondences between beliefs and practices and eleven
with only a partial correspondence.
The studies show that the following
factors play a significant role when
certain beliefs are put into practice or
are not implemented: context, the
teacher’s experience and lesson planning.
The context can prevent a teacher
from putting his/her ideas into practice. It may be related to the school
culture, the demands of the curriculum and the role of colleagues. Basturkmen points out that, in some cases,
context factors are also used as an excuse for not putting certain beliefs
into practice.
The studies that showed a correspondence between beliefs and teaching
practices attributed this to the teacher’s experience and/or his/her lesson
planning. Exper ienced teachers
showed a higher degree of correspondence between beliefs and teaching practice than less experienced
teachers. Basturkmen gives two explanations for this phenomenon: firstly,
beliefs that a teacher has held for a
longer period of time are more likely
to be put into practice than more recent beliefs. The beliefs of beginning
teachers are of more recent date. Secondly, experience is likely to impact
on beliefs. Beliefs that are formed by
experience during teaching practice
will, for obvious reasons, correspond
with teaching practice. Beginning
teachers have less experience and
therefore, fewer beliefs based on experience.
When lessons were planned, there was
a higher correspondence between beliefs and practices, for instance when
selecting a specific type of instruction,
designing tasks or choosing assignments for the students. A few studies
looked into unplanned events during
the lesson, such as giving grammatical
feedback. These studies showed that
with experienced teachers, beliefs and
practices corresponded, whereas this
was not the case with beginning
teachers.
The survey article concerns a limited
number of studies, the majority of
which shows a limited correspondence between beliefs and practices. It
is hard to draw clear conclusions on
the basis of these studies. A possible
conclusion is that explicit beliefs may
have an impact on certain planned activity in teaching practice and that
these may be useful points of departure for initial and in-service teacher
education.
Borg, S. (2011). The impact of in-service
education on language teachers’ beliefs. System 39 (3), pp. 370-380.
1
Machteld Moonen
This review was originally published in Levende Talen Tijdschrift Dertiende Jaargang,
nummer 4, december 2012 and translated
into English with permission from the author.
Wolfgang Hallet, Frank G. Königs
(Hsg.) (2013). Handbuch Bilingualer
Unterricht – Content and Language
Integrated Learning. Seelze: KlettKallmeyer/Friedrich-Verlag.
Dem Klappentext ist zu entnehmen,
dass das vorliegende Handbuch zum
ersten Mal umfassend über die besondere Didaktik und Methodik des bilingualen Unterrichtes und über die im
deutschen Schulsystem üblichen Organisationsstrukturen informiert. Der
Anspruch, das erste Handbuch zu diesem Thema verfasst zu haben, soll den
Herausgebern keineswegs streitig gemacht werden; was jedoch das Umfassende betrifft, habe ich jedoch Zweifel,
die ich im weiteren Verlauf dieser Besprechung begründen werde. Dennoch soll an dieser Stelle bereits lobend erwähnt werden, dass es Hallet
und Königs mit dieser Publikation
durchaus gelungen ist, die Diskussion
um das so genannte Content and Language Integrated Learning zu fördern
und voranzutreiben. Die unterschiedlichen Beiträge zu den einzelnen Kapiteln des Buches – Entstehung und
Grundlegung, Organisationsformen und
Modelle, Integration von inhaltlichem und
sprachlichem Lernen, Unterrichtsprozesse,
Methodik und Didaktiken und Methodiken bilingualer Fächer – ermöglichen
dem interessierten Leser einen vielseitigen Einblick in den gegenwärtigen
Stand des bilingualen Lernens. Schade
ist nur, dass sich die Mehrzahl der enthaltenen Aufsätze vorrangig auf den
bilingualen Fremdsprachenunterricht
in der Bundesrepublik Deutschland
bezieht, der Deutsch-als-Fremdsprache- bzw. als Zweitspracheunterricht
jedoch nur ansatzweise einbezogen
wird.
Die Historie des bilingualen Unterrichts in der BRD wird anschaulich,
umfassend und von daher gut nachvollziehbar aufgearbeitet. Wenn jedoch – wie im Beitrag von Dieter
Wolff – CLIL als europäisches Konzept
in den Fokus der Betrachtungen gerückt wird, ist es eigentlich unverständlich, dass die Untersuchungen
und Ergebnisse von Kim Haataja zu
diesem Thema, die bereits 2008 und
2009 publiziert wurden, keineswegs
einbezogen werden1. Damit wird die
Chance versäumt, Aspekte des bilingualen DaF-Unterrichts im (außer)
europäischen Raum miteinzubeziehen. Es soll nicht bestritten werden,
dass es den Autoren im ersten Kapitel
z.B. gelingt, die bildungstheoretischen
Grundlagen, die Entwicklungstendenzen und Desiderata sowie die Sprachenpolitik zu veranschaulichen, dennoch fehlen hier wertvolle Hinweise
zu DaF/DaZ.
Dieses Problem wird im zweiten Kapitel teilweise gelöst, denn zu den
Modellen des bilingualen Sachfachunterrichts trägt Josef Leisen mit seinem
Beitrag Deutschsprachiger Fachunterricht
an Auslandsschulen bei. In bewährter
Manier, die er schon in seinen Handbüchern und in zahlreichen anderen
Veröffentlichungen unter Beweis gestellt hat, gelingt es Leisen, das Thema
sehr präzise, knapp und dennoch äußerst informativ darzustellen. Sprachlich ist sein Beitrag so gehalten, dass er
auch von ausländischen (Deutschund Fach-)Lehrerinnen und Lehrern
mühelos rezipiert werden kann. Es ist
begrüßenswert, dass der Bogen der
Modelle bilingualen Unterrichts im
zweiten Kapitel ausgehend vom Kindergarten über Ansätze in den Primarund weiterführenden Schulen schließlich bis hin zur Lehrerausbildung, zu
diversen Abschlüssen und zu fremdsprachigen Studiengängen geschlagen
wird. In dem Beitrag Bilingualer Unterricht an berufsbildenden Schulen von Karin Vogt wäre meines Erachtens jedoch die Berücksichtigung der Publikation zu Sprachtraining und Beruf
eines Autorenteams um Hermann
Funk sinnvoll gewesen, da diese überzeugend nachweist, wie sich die Ziele
des CLIL-Unterrichts im inländischen DaZ-Unterricht (und auf den
ausländischen DaF-Unterricht) übertragen lassen 2.
Besonders lesenswert im Kapitel Integration von inhaltlichem und sprachlichem
Lernen sind die Beiträge von Helmut
Johannes Vollmer, Christiane DaltonPuffer und Josef Leisen. Vollmer zeigt
in seinem Beitrag zum Verhältnis von
Sprach- und Inhaltslernen deutlich
auf, dass im bilingualen Unterricht die
Erlernung der Fremdsprache nicht zu
Lasten des Erwerbs von Sachfachwissen erfolgen kann und darf. Vielmehr
spricht er sich für ein ausgewogenes
Verhältnis von Fach- und Sprachlernen aus, bei dem der Erwerb der Fachsprache als funktional notwendig erachtet wird, aber keineswegs der Unterricht zum Fremdsprachenunterricht
umfunktioniert werden darf. DaltonPuffer hebt die besondere Bedeutung
der Diskursfunktion des bilingualen
Unterrichts hervor, die Schüler erwerben müssen, um sowohl ihre gegenwärtigen als auch zukünftige berufliche Kenntnisse und Kompetenzen im Austausch anwenden zu
können. Leisen zeigt in seinem Aufsatz
93
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
auf, wie wichtig es ist, Darstellungsund Symbolisierungsformen im Bilingualen Unterricht zur Unterstützung
der Arbeit im Sinne eines Scaffolding
zu verwenden.
Dem wichtigen Aspekt der Verwendung geeigneter Lehrwerke für den
bilingualen Fremdsprachenunterricht
widmet sich Corinna Böwing im Kapitel Unterrichtsprozesse. Dabei bezieht
sie sich jedoch weitgehend auf das
Fach Englisch, das einige Verlage bereits entsprechend bedienen. Im Fach
DaF, das keine Erwähnung findet, sieht
es dagegen jedoch schon anders aus,
denn hier fehlen die benötigten Materialien in der Regel.Von daher kommt
dem Beitrag Aufgaben- und Materialentwicklung von Hallet besondere Bedeutung zu, denn häufig sind Lehrerinnen
und Lehrer auf die Adaption vorhandener (muttersprachlicher) Materialien angewiesen. Hier ist es von besonderer Wichtigkeit, motivierende Aufgaben zu finden, die den Schülern die
sachfachliche Auseinandersetzung erleichtern.
Erwartungsgemäß sind die Beiträge
von Eike Thürmann zu Spezifische Methoden für den bilingualen Unterricht und
Scaffolding im Fünften Kapitel Methodik aus meiner Sicht besonders lesenswert. In beiden Artikeln wird deutlich,
dass der Verfasser sich der Wechselwirkung zwischen Theorie und Praxis
bewusst ist und diese in beiden Beiträgen reflektiert. Hier lassen sich wertvolle Hinweise für die Gestaltung des
eigenen Unterrichts finden.
Die Beispiele zu Didaktiken und Methodiken bilingualer Fächer (Kapitel VI)
94
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
sind hilfreich, denn hier berichten die
Beiträgerinnen und Beiträger unter
anderem konkret über die Gestaltung
des Kunst-/Musik-/Physik-(Leisen!),
Chemie und Geschichtsunterrichts.
Schade ist, dass auch hier die Chance
der Berücksichtigung von bereits vorhandenen Publikationen im DaF-Bereich nicht wahrgenommen wurde,
inzwischen liegen z.B. zu den Fächern
Musik und Kunst entsprechende Veröffentlichungen vor 3.
Zusammenfassend kann bestätigt werden, dass die Veröffentlichung dieser
Anthologie sicherlich ein Schritt in
die richtige Richtung ist, denn die zunehmende Einrichtung bilingualer
Programme im inner-, aber auch im
außereuropäischen Raum bedarf dringend einer theoretisch-praktischen
Begleitung, wie sie in diesem Kompendium angelegt ist. Das Handbuch
erfüllt seinen Zweck, denn es kann
Fachkonferenzen und interessierten
Lehrerinnen und Lehrern Hilfestellung bei der Etablierung bilingualer
Unterrichtsformen leisten. Wünschenswert wäre, dass auch die Bereiche des DaF-/DaZ- und DFU-Unterrichts stärker in die Diskussion einbezogen würden. Hier ist ein Desiderat
erkennbar. Weiterhin wäre es denkbar,
dass Beiträge zu einem fächerübergreifenden Fremdsprachenunterricht,
dem eine Art Brückenfunktion bei der
Etablierung bilingualer Unterrichtsformen eingeräumt werden müsste,
ebenfalls einbezogen werden. Damit
könnten die Fremdsprachenlehrer für
die Integrierung von Sach- und
Fachthemen in den Sprachunterricht,
ebenso wie für die Kooperation mit
Fachlehrern, gewonnen werden. Dies
erscheint in Anbetracht der Tatsache
sinnvoll, dass die Lehreraus- und Weiterbildung im Bereich DaF den Anforderungen des CLILiG-Unterrichts
immer noch sehr stark hinterherhinkt.
Für die Verwendung in Zusammenhängen des Auslandsschulwesens sind
die Beiträge Deutschsprachiger Fachunterricht an Auslandsschulen (Leisen), Das
Verhältnis von Sprach- und Inhaltslernen
(Vollmer). Aufgaben- und Materialentwicklung (Hallet), Spezifische Methoden
für den Bilingualen Unterricht und Scaffolding (Thürmann) besonders interessant, denn es wäre vorstellbar, dass die
Lektüre dieser Beiträge z.B. die Arbeit
in den Vorbereitungslehrgängen der
ZfA erheblich entlasten könnte.
Haataja, Kim (Hsg.).(2008). Curriculum
Linguae 2007, Tampere: Juvenes Print. Sowie:
Haataja, Kim & Wicke, Rainer-E. (Hsg.)
(2009). Zweiklang im Einklang – Integriertes Sprachen- und Fachlernen (CLIL),
Fremdsprache Deutsch, 40, München: HueberVerlag.
2
Ohm, U., Kuhn, C. & Funk, H.(2007).
Sprachtraining für Fachunterricht und Beruf. Berlin: Waxmann.
3
Baur, Rupprecht S., Hufeisen, B.(2011).
„Vieles ist sehr ähnlich“, Individuelle und gesellschaftliche Mehrsprachigkeit als bildungspolitische
Aufgabe. Schneider-Verlag Hohengehren,
Baltmannsweiler. Sowie: Wicke, R.E.(2000).
Grenzüberschreitungen. München: iudiciumVerlag.
1
Rainer E. Wicke
Rösler, D., O`Sullivan, E. (2013).
Kinder- und Jugendliteratur
im Fremdsprachenunterricht,
Stauffenburg Einführungen, Band
23.Tübingen: Brigitte Narr-Verlag.
Ein wichtiger, aber ergänzungsbedürftiger Ratgeber
Bedenkt man, dass Bernd Kasts Klassiker Jugendliteratur im kommunikativen
Deutschunterricht bereits 1985 veröffentlicht wurde, so wird deutlich, dass
diese aktuelle Publikation einen wichtigen Stellenwert in der Diskussion
um den Einsatz literarischer Texte im
Fremdsprachenunterricht einnimmt.
Es war an der Zeit, dass viele der von
Kast aufgeworfenen Themen und Fragen (trotz der Tatsache, dass sein Buch
in mancher Hinsicht immer noch relevant ist) Im Hinblick auf den PISASchock und den daraus resultierenden
kompetenzorientierten Ansatz im
Fremdsprachenunterricht erneut diskutiert werden. Den Anspruch, an
Beispielen des Deutschen, Englischen
und Französischen als Fremdsprache
aufzuzeigen, wie die Textrezeption –
und –produktion, Fremdverstehen
und selbstbestimmtes Lernen gefördert werden können, lösen die beiden
Autoren weitgehend ein, allerdings
sind die Ausführungen im Hinblick
auf den fremdsprachigen Deutschunterricht (DaF) teilweise ergänzungsbedürftig, wie im Folgenden aufgezeigt werden wird. Positiv ist an dieser
Stelle bereits hervorzuheben, dass es
den beiden Verfassern gelungen ist, die
Thematik für in der Praxis tätige
Deutsch-als-Fremdsprachelehrerinnen und –lehrer anschaulich, nachvollziehbar und vor allen Dingen auch
konkret und praktisch orientiert zu
präsentieren. Zwar wurden viele der
zitierten Beispiele dem modernen
Fremdsprachenunterricht Englisch
und Französisch entnommen, dennoch sind diese so gehalten, dass der
Transfer auf den DaF-Unterricht
durchaus erkennbar ist. Dazu trägt
auch die klare und verständliche Sprache bei, in der das Buches verfasst
wurde. Diese erleichtert ausländischen
Deutschlehrerinnen und –lehrern die
Lektüre. Bei der Betrachtung des Inhaltsverzeichnisses wird die Strukturierung, nach der die Autoren vorgegangen sind ersichtlich. Ausgehend
von allgemeinen Bemerkungen zum
Lesen in der Fremdsprache und den
Auswirkungen von PISA führen die
Verfasser den Leser über die Definition von Kinder- und Jugendliteratur
zu Fragen wie Warum überhaupt Literatur? Und welche Texte, Original oder didaktische Adaption? Und Ganzschrift
oder Textarbeit mit Ausschnitten? Weiterhin werden das Alter der Lernenden,
hybride Texte im Fremdsprachenunterricht und methodische Überlegungen ebenso berücksichtigt, wie die zu
erwerbenden Fertigkeiten. Auch die
Themen Landeskunde und Literatur
und der Stellenwert literarischer Texte
im Projekt- sowie im fächerübergreifenden Unterricht werden nicht ausgespart. Hier wird bereits erkenntlich,
dass die vorliegende Publikation den
DaF-Fachschaften an den von der
Bundesrepublik geförderten (Deutschen) Schulen bei ihren Bemühungen um Berücksichtigung literarischer
Texte wichtige Argumentationshilfen
liefern kann. Von daher kann die Anschaffung dieses praktischen Ratgebers empfohlen werden. Wenden wir
uns nun den einzelnen Kapiteln zu.
Den Ausführungen in den ersten beiden Kapiteln Lesen und Kinder- und Jugendliteratur kann man voll und ganz
zustimmen, denn hier wird die Notwendigkeit der Beschäftigung mit literarischen Texten nach PISA nachvollziehbar begründet. Die Definitionen
von Kinder- und Jugendliteratur sind
ebenso hilfreich, wie die - keinen Anspruch auf Vollständigkeit erhebenden
– Auflistungen von Büchern, Fachzeitschriften und Institutionen zum
Thema. Ergänzungsbedürftig im Hinblick auf den fremdsprachigen
Deutschunterricht sind meines Erachtens die Ausführungen zum Thema
Warum überhaupt Literatur? Hier werden zwar alle notwendigen Fragen
diskutiert, jedoch fehlen in der Diskussion einige Beiträge unterschiedlicher Autoren, deren Einbezug sich aus
Gründen der Aktualität empfohlen
hätte. Dazu gehören zum Einen Hans
Hunfelds Prinzip der doppelten
Fremdheit fremdsprachiger literarischer Texte ebenso wie seine Einstufung der Literatur als Sprachlehre1.
Auch Cigdem Ünals Forschungsergebnisse wären es wert gewesen, in
diesem Zusammenhang erwähnt zu
werden, da sie sich – analog zu den
Verfassern der vorliegenden Publikation – mit Fragen des Stellenwerts entsprechender Texte im schulischen Unterricht befasst hat 2. Die 2004 erschienene Veröffentlichung Aktiv und
Kreativ Lernen veranschaulicht auch
den Einsatz von Kinder- und Jugendliteratur (KJL) im DaF-Unterricht,
wird jedoch ebenfalls nicht erwähnt 3.
Mit Hilfe dieser Quellen hätten die
Ausführungen zur Altersangemessenheit literarischer Texte, zu deren Brückenfunktion und die Kriterien zur
Auswahl noch deutlicher auf den
DaF-Bereich abgestimmt werden
können. Wie gut überlegt Adaptionen
von Texten vorgenommen werden
müssen, wird im vierten Kapitel deut-
95
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
lich. Hier muss reflektiert werden, ob
die Annäherung des Textes an den Leser oder dessen Annäherung an den
Text vorzuziehen ist. Auch die im
fünften Kapitel enthaltene Diskussion,
ab wann und ob man Ganzschriften
und/oder Textausschnitte einsetzen
kann und soll, halte ich für wertvoll
und informativ. Die Beispiele aus
Koppensteiner 20014 sind nachvollziehbar, allerdings wirft sich hier erneut die Frage auf, – genau wie im
später folgenden Kapitel zu Projekten
–warum keine neueren Beispiele im
DaF-Bereich zitiert werden, die gerade diese Dinge belegen. Den Ausführungen im sechsten Kapitel zum Alter
der Lernenden und der Adressierung
der Texte kann ebenso zugestimmt
werden, wie denen im siebten Kapitel,
in dem es um so genannte hybride
Texte im Fremdsprachenunterricht
geht. Erfreulicherweise belegen die
Autoren, dass Bilderbücher nach dem
Prinzip „Literatur gehört auch in den
Anfangsunterricht“ die Möglichkeit
bieten, den frühen Fremdsprachenunterricht in der Grundschule zu fördern, dass deren Einsatz aber auch in
anderen Zusammenhängen möglich
ist. Auch die Ausführungen zum Einsatz zweisprachiger Texte teile ich
weitgehend, melde aber Bedenken an
gegen die von den Verfassern propagierte Verwendung von „genuinen
zweisprachigen Texten, in denen die
Zweisprachigkeit aus der Handlung,
der Charakterisierung usw. stimmig
hervorgeht“. Das Code-Switching
vom Englischen ins Deutsche und zurück innerhalb eines Textes, auch
wenn dieser sich offensichtlich mit einem Schüleraustausch befasst, erscheint mir doch arg künstlich und
wenig realitätsgetreu. Die Ausführungen des achten Kapitels zu methodischen Überlegungen sind hilfreich für
die Gestaltung der Praxis, die zitierten
Schülerarbeiten überzeugend. Hier
96
Babylonia 02/13 | babylonia.ch
können Hilfen für die Gestaltung des
eigenen Unterrichts ebenso wie im
neunten Kapitel, in dem es um Fertigkeiten geht, entnommen werden. Die
Hinweise zu Aufgaben und Übungen
vor dem, während des und nach dem
Lesen(s) literarischer Texte, die zugestandenermaßen keinen Anspruch auf
Vollständigkeit erheben, hätten im
Sinne einer notwendigen Binnendifferenzierung etwas ausführlicher ausfallen können. Gerade im Anfangsunterricht wird es z.B. notwendig sein,
auch beim Einsatz von KJL verstärkt
Verständnisaufgaben anzubieten. Für
besonders wichtig halte ich das zehnte
Kapitel, in dem es um Landeskunde
und Literatur geht. Positiv hervorzuheben ist, dass in diesem Zusammenhang auch Lothar Bredella zitiert wird,
der sich ausführlich mit diesem Thema
auseinandergesetzt hat. Allerdings wird
seine 2010 erschienene Publikation
Das Verstehen des Anderen, in dem er
dieses Thema ausführlich und umfassend beleuchtet, nicht erwähnt5.Wichtig ist auch das elfte Kapitel, in dem
die Verfasser den projektorientierten
Literaturunterricht konkretisieren
und auch Möglichkeiten des fächerübergreifenden Unterrichts erwähnen. Wenn in diesem Zusammenhang
das Content and Language Integrated
Learning (CLIL) Erwähnung findet,
fehlt hier ein Bezug zur Arbeit von
Haataja im Bereich DaF, der unter anderem auch dessen Einsatz im frühen
Fremdsprachenunterricht favorisiert6.
Das zwölfte und letzte Kapitel befasst
sich mit dem Aspekt der Kinder- und
Jugendliteratur in der Lehrerbildung,
einem Thema, das für den Einsatz literarischer Texte sicherlich nicht unerheblich ist und das immer wieder Erwähnung finden muss, wenn die literarische Kompetenz der Schüler von
Anfang an gefördert werden soll.Trotz
der in dieser Besprechung erwähnten
Defizite im Hinblick auf aktuellere
Veröffentlichungen im DaF - Bereich
handelt es sich bei diesem Buch um
einen wichtigen und wertvollen Beitrag zur gegenwärtigen Diskussion um
den Stellenwert literarischer Texte im
kompetenzorientierten Fremdsprachenunterricht. Die Publikation kann
sowohl zur Erstellung eines Gesamtsprachencurriculums als auch zur
Konzeption fachbezogener schulinterner Arbeitspläne den Fachschaften
wichtige Hilfestellung leisten. Fremdsprachenlehrer können es auch als einen praktischen Ratgeber bei der
Konzeption des eigenen Unterrichts
einsetzen. Dabei ist die Lektüre von
Anfang bis Ende nicht unbedingt obligatorisch, obwohl ich zu dieser raten
möchte. Es ist auch durchaus denkbar,
dass einzelne Kapitel – je nach Bedarf
– zu Rate gezogen werden. Für professionelle Lerngemeinschaften mit
dem Ziel der gemeinsamen Unterrichtsentwicklung kann es ebenfalls
Hilfestellung leisten.
Hunfeld, H.(2004). Fremdheit als
Lernimpuls. Meran: alpha beta Verlag.
2
Ünal, C.D.(2010). Die Arbeit mit Literatur im Fach Deutsch als Fremdsprache
– Neue Ansätze mit Unterrichtsentwürfen.
Ankara: Hacettepe-Üniversitesi.
3
Wicke, R.-E. (2004). Aktiv und Kreativ Lernen. Ismaning: Hueber.
4
Koppensteiner, J. (2001). Literatur
im DaF-Unterricht. Wien: öbv.
5
Bredella, L. (2010). Das Verstehen des
Anderen. Tübingen: Narr-Verlag.
6
Haataj, K.(2007). Der Ansatz des integrierten Sprach- und Fachlernens
(CLIL) und die Förderung des schulischen „Mehrsprachenerwerbs“. In:
Goethe-Inst. (Hsg.) Frühes Deutsch,
Bielefeld.
1
Rainer E. Wicke
Viridiana, M. & Wirthner, M. (2013).
Développement d’un modèle
d’évaluation adapté au PER. Rapport
scientifique du projet d’épreuves
romandes communes. Neuchâtel:
IRDP.
En 2007, la Conférence intercantonale
de l’instruction publique de la Suisse
romande et du Tessin (CIIP) attribue
un mandat à l’Institut de recherche
et de documentation pédagogique
(IRDP) pour planifier des épreuves
romandes en référence au Plan
d’études romand (PER), en français et
mathématiques. Un modèle d’évaluation commun a été élaboré pour créer
des épreuves communes, soumises à
environ 120 élèves de plusieurs cantons.
Le PER étant un curriculum envisageant le développement de compétences pour tous les élèves dans différents
domaines et définissant la compétence
comme «la possibilité, pour un individu, de mobiliser un ensemble intégré
de ressources en vue d’exercer efficacement une activité considérée
généralement comme complexe»
(PER), M. Viridiana et M. Wirthner
ont conçu – en groupes de travail – un
modèle d’évaluation structuré en deux
phases: la première est constituée de
tâches spécifiques permettant de vérifier un ensemble de connaissances et
de procédures; la seconde est constituée de tâches complexes permettant
d’analyser comment les apprenants
utilisent cet ensemble de connaissances et de procédures dans une situation
donnée. Les épreuves concernaient les
deux phases de ce modèle.
Dans ce rapport, on présente tout d’abord les situations cantonales en matière d’évaluation ainsi que le cadre du
mandat. Les auteurs se penchent ensuite sur des éléments théoriques permettant d’étayer les choix effectués
dans leurs développements ainsi que
sur le modèle d’évaluation élaboré.
Enfin, ce livre décrit une épreuve-prototype diagnostique (en mathématiques et en français) permettant une
première mise à l’essai du modèle
d’évaluation proposé.
D’après les auteurs, ce modèle rendrait
possible l’évaluation des compétences
des élèves en référence au PER et, de
plus, il pourrait valoir pour toutes les
disciplines.Toutefois, il ne faut pas oublier qu’une uniformisation générale
des épreuves devrait quand même permettre de sauvegarder une certaine
autonomie du point de vue des contenus ainsi que des méthodes propres à
chaque enseignant. Il ne reste qu’à
souligner ce point central: lorsque les
enseignants réfléchissent à leur enseignement, on peut parler de développement de l’enseignement.
Donato Sperduto
* Sperduto, D. (2013). Armonie
lontane. Ariosto, Croce, D’Annunzio,
Pavese, Carlo Levi e Scotellaro. Roma:
Aracne.
La luce che questo libro intende fare
sugli scrittori italiani presi in considerazione dovrebbe indurre i critici
letterari a “superare” finalmente (come
fece Benedetto Croce con Ludovico
Ariosto) obsoleti pregiudizi e schemi
interpretativi impedenti una fruizione
sufficientemente approfondita e completa delle tematiche care a Gabriele
d’Annunzio, Cesare Pavese, Carlo Levi
e Rocco Scotellaro: ad esempio la discesa agli Inferi, il mondo dei Padri, il
confino, la lontananza.
In tal modo, se ne coglierebbe l’unità
nella diversità: pur nella lontananza dei
rispettivi intenti, negli autori analizzati trapela un forte anelito verso l’armonia. Inoltre, questo libro mette l’accento sull’ultimo e molto importante
scritto di Levi: Quaderno a cancelli.
Da segnalare, in particolare il confronto attuato da Sperduto tra i romanzi
del confino di Pavese e Levi: rispettivamente Il carcere e Cristo si è fermato a
Eboli. Il differente modus vivendi dei
protagonisti del Carcere e del Cristo riflette lo stesso differente modus vivendi
degli autori dei due romanzi, del loro
essere al mondo. A Brancaleone Calabro (e per certi versi non soltanto lì),
Pavese si sente un pesce fuor d’acqua.
Ma mentre col suo libro Levi intende
favorire lo sviluppo del Sud, Pavese è
concentrato su se stesso e sull’inutilità
della vita. Levi si immerge attivamente
nel “pantano” lucano. Ne deriva che
l’olimpico Levi si oppone all’amareggiato e sofferente Pavese.
Pertanto, nel caso del Carcere, l’ultima
cosa che ci si può aspettare è una sorta
di inno alla libertà ed allo sviluppo del
Sud. Ma, sottolinea Donato Sperduto,
se la si smette di limitarsi ad accentuare la sola dimensione antropologica
del Carcere e soprattutto del Cristo –
trascurandone la portata letteraria –, si
deve rilevare che entrambi i romanzi
sono il risultato dell’anima libera di un
prigioniero.
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Bloc Notes
Informazioni
Lo scambio come progetto pedagogico
Congresso nazionale sullo scambio 2013 • 14 - 15 novembre 2013, Coira
Il Congresso nazionale sullo scambio è la piattaforma di formazione continua e d’informazione per le questioni relative
agli scambi. Esso si rivolge alle direzioni scolastiche e agli insegnanti che consentono ai propri allievi di partecipare a un
progetto di scambio e desiderano pianificarlo e prepararlo nell’ambito di questo incontro.
Il Congresso, giunto al suo sesto appuntamento, funge innanzitutto da tramite per l’individuazione di partenariati nazionali ed europei e, inoltre, mira a sviluppare le idee di progetto dei contatti già esistenti. Nell’occasione vengono presentati esempi di progetti di successo e proposte di soluzioni a eventuali impedimenti.
Alla vigilia di questo appuntamento, la Fondazione ch è alla ricerca di insegnanti e membri di direzioni scolastiche di tutti i livelli desiderosi di realizzare un progetto di scambio. La Fondazione ch coopera nell’attività d’individuazione di idonei
partner di scambio e offre la possibilità di pianificare e preparare il progetto interessato nell’ambito del Congresso sullo
scambio. In questo contesto, i responsabili di progetto esperti offrono il proprio supporto in veste di tutor e coach.
L’iscrizione è possibile già ora.
Per ulteriori informazioni e iscrizioni:
Fondazione ch per la collaborazione confederale
Tanja Pete, assistente Scambi ch
[email protected]
www.ch-go.ch/veranstaltungen
Colloque annuel de l’APEPS
22-23.11.2013, Université de Neuchâtel
L’instrucziun bilingua: la perspectiva da tgi ch’emprenda
L’insegnamento bilingue dal punto di vista dello studente
L’enseignement bilingue: la perspective des apprenant-e-s
Bilingualer Unterricht aus der Perspektive der Lernenden
L’Association pour la promotion de l’enseignement plurilingue en Suisse (APEPS), créée en 1994, s’engage pour la promotion, la formation, la recherche et le développement en matière d’enseignement bi-plurilingue et de ses variantes: immersion, modules et séquences dans plusieurs langues, échanges, etc. Elle tient compte des langues nationales, des langues
de la migration et de l’anglais, à tous les degrés de la scolarité et de la formation, du préscolaire à la formation continue.
Chaque année, un colloque réunit les membres et toutes les personnes et institutions intéressées autour d’un thème spécifique en lien avec la didactique du plurilinguisme. Cette année, ce sont les apprenant-e-s qui sont au centre de l‘intérêt
de la rencontre qui a lieu à l’Université de Neuchâtel, du 22 au 23 novembre 2013, le 22 étant essentiellement dédié à des
visites de classes pratiquant des formes d’enseignement bilingue et à des échanges entre participant-e-s. À la rentrée 2013,
vous trouverez le programme et la fiche d’inscription sous www.plurilingua.ch.
Cordiale invitation à toutes les personnes intéressées aux différentes facettes de l’enseignement bilingue!
Claudine Brohy, vice-présidente de l’APEPS, Université de Fribourg
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Rätoromanisch – 75 Jahre Nationalsprache
Tiefgreifende gesellschaftliche und wirtschaftliche Veränderungen im
19. Jahrhundert hatten einen negativen Einfluss auf die rätoromanische Sprache und Kultur. Die Öffnung der Alpen, die Entwicklung
des Tourismus, der industrielle Fortschritt und eine stets mobiler werdende Bevölkerung waren die hauptsächlichen Gründe für den einsetzenden Rückgang des Rätoromanischen. Intensive Bestrebungen,
die Sprache vor dem Untergang zu bewahren, setzten ein und führten
im Jahre 1919 zur Gründung der Lia Rumantscha mit dem Ziel, die
zersplitterten regionalen Kräfte zu bündeln und so die Sprache vor
weiteren Einbussen zu schützen. Dieser Schritt war laut Gründungsprotokoll gleichzeitig eine „vigurusa slaffada en pel gneff als dus Chirurgs philologics talians, che han gia daditg declarau muribunds nies
lungatg romontsch“, eine kräftige Ohrfeige für italienische Sprachforscher im Dienste des Faschismus, die behaupteten, die verschiedenen
Ausprägungen des Rätoromanischen seien nichts anderes als italienische Dialekte und das rätoromanische Sprachgebiet gehöre folglich zu
Italien. Der Wille, einen weiteren Rückgang der Sprache zu verhindern sowie eine nationale Abwehrhaltung gegen aussen verhalfen
dem Rätoromanischen langsam, aber endlich zum Status einer Nationalsprache. Einer umfassenden Eingabe des Pitschen Cussagl grischun an den Bundesrat im Jahre 1935 mit der Bitte „da declarer il
rumauntsch sco quarta lingua naziunela“ folgten zwei Jahre später die
Debatte in der Bundesversammlung und am 20. Februar 1938 die erfolgreiche Volksabstimmung mit einem überwältigenden Ja-Stimmenanteil von rund 92%, deren Ergebnis in den Worten von Alt-Bundesrat Philipp Etter, dem damaligen Vorsteher des Eidgenössischen
Departements des Innern, „die enge Verbundenheit Bündens mit dem
Gesamtvaterland kräftigt und nach aussen hin unzweideutig dokumentiert.“ Das Rätoromanische vermochte ein Identitäts- und Gemeinschaftsgefühl zu wecken und trug auf seine Weise zu einer geeinten, viersprachigen Schweiz bei.
En nous contactant, vous pourrez inscrire votre
événement dans le programme général de la
SLFF diffusé à plusieurs milliers d’exemplaires
dans toute la Suisse.
Le thème de la 19ème édition de la SLFF, «langue
en folies» – choisi par le réseau Opale regroupant la France, la Suisse romande, le Québec, la
Communauté française de Belgique et l’Organisation Internationale de la Francophonie – propose de bousculer notre vision du français, souvent perçu comme la langue de la raison, de la
sagesse et de l’argumentation cartésienne. En
2014, la SLFF prendra le contre-pied de cette
image et célébrera la langue française pour sa
formidable inventivité et sa capacité à nourrir les
imaginations les plus fécondes par des mots et
des expressions gorgés de saveurs.
Nous espérons que ce thème inspirera nos partenaires et que vous serez nombreux à vous joindre
à nous pour préparer cette 19ème édition de la
SLFF, où la créativité lexicale et les jeux de mots
les plus fous seront à l’honneur.
Pour en savoir plus sur la Semaine de la Langue
Française et de la Francophonie en Suisse:
www.slff.ch
Contact à l’Ambassade de France en Suisse:
[email protected]
Albert Camus: un uomo giusto
Incontri e spettacoli per il centenario della
nascita di Camus, Bellinzona, novembre 2013
Organizzato da: Città di Bellinzona, AMOPA Ticinese, RSI e Biblioteca Cantonale di Bellinzona.
Daniel Telli, Lia Rumantscha
Appel à projets pour la «Semaine de la Langue
Française et de la Francophonie 2014»
La 19ème Semaine de la Langue Française et de la Francophonie (SLFF)
aura lieu du 14 au 23 mars 2014 dans toute la Suisse, avec le soutien
actif de l’Ambassade de France en Suisse. Cette manifestation est
constituée chaque année d’une centaine d’événements francophones
organisés par plus de cinquante associations et institutions culturelles
sur l’ensemble du territoire helvétique.
Nous invitons l’ensemble de nos partenaires linguistiques et
culturels à participer à cette Semaine en développant un projet pour fêter la langue française et les cultures francophones.
Dal 6 al 26 novembre la Città di Bellinzona ospiterà un ciclo di manifestazioni per ricordare e discutere il filosofo, spiegare l’autore agli studenti,
conoscere l’uomo attraverso conferenze, spettacoli e film che illustrano la sua visione della vita,
del mondo, dell’Altro.
Gli incontri pubblici saranno accompagnati da
percorsi e ateliers per gli studenti, da una formazione per docenti e da una mostra didattica alla
Biblioteca Cantonale. Cinque trasmissioni culturali realizzate dalla Rete2 della RSI andranno in
onda dal 4 al 9 novembre.
Informazioni e programma:
http://www.sbt.ti.ch/bcb/home/manifestazioni/
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Determinanten von Leseaktivitäten
und Leseverständnis
In der einschlägigen Literatur werden zahlreiche
Determinanten von Leseaktivitäten und Leseverständnis beschrieben, jedoch mangelt es eher
an Untersuchungen zur Kombination der verschiedenen Wirkfaktoren. Um das komplexe Bedingungsgefüge von Lesekompetenz bei Erwachsenen und Kindern genauer zu untersuchen, hat Eva Bonerad in ihrer Dissertation drei
Studien durchgeführt. Sie hat dazu kausale Modelle entwickelt, welche Effekte von individuellen Faktoren und von Sozialisationsfaktoren integrieren. Anhand von Strukturgleichungsmodellen hat sie in der Folge die Gültigkeit dieser
Modelle überprüft. Ihre Ergebnisse zeigen sowohl für Erwachsene wie auch für Kinder einen
beträchtlichen Einfluss der freiwilligen Leseaktivitäten auf das Leseverständnis. Dergleichen Aktivitäten werden stark beeinflusst von der intrinsischen Lesemotivation, die wiederum von einem positiven Leseselbstkonzept begünstigt
wird. Dieses wie auch Lesemotivation und freiwillige Leseaktivitäten scheinen unabhängig von
der Intelligenz zu sein. Bei Erwachsenen gehen
mit steigender Ausbildung ein besseres Leseselbstkonzept und ein höherer Berufsstatus einher, die wiederum häufigere Lese- und
Schreibaktivitäten in Arbeit und Freizeit zur Folge haben und das Leseverständnis begünstigen.
All das wirkt sich auch positiv auf die Förderung
ihrer Kinder aus, wiederum unabhängig von deren Intelligenz. Schon in der frühen Kindheit
werden so Unterschiede in der Lesekompetenz
angelegt, die sich im Lauf des Lebens vergrössern
und von Generation zu Generation weitergegeben werden. Die Autorin zeigt auch Wirkungswege auf, aus denen Ansätze für Fördermassnahmen abgeleitet werden können.
Bonerad, Eva-Maria (2012). Einflussfaktoren von
Leseaktivitäten und Leseverständnis: Kausale Modelle
für Erwachsene und Kinder. Diss. Universität Zürich, 166 S.
Kurse zu Kinderliteratur und literaler Förderung
Das Schweizerische Institut für Kinder- und Jugendmedien SIKJM
bietet 2013 verschiedene Weiterbildungskurse zu Kinder- und Jugendliteratur und zu literaler Förderung an. Sie richten sich an Lehrpersonen aller Stufen, Bibliotheksmitarbeitende und andere Interessierte. Ein Teil der Kurse widmet sich verschiedenen Trends und Neuerscheinungen, von Comics über Hörbücher bis zu digitalen Spielen.
Andere Kurse behandeln ein spezifisches Thema der literalen Förderung. Sie gehen beispielsweise der Frage nach, wo es geeignete Lektüre für ungeübte Leserinnen und Leser zu finden gibt, wie Jungen zu
Lesern werden oder vermitteln Ideen für die Zusammenarbeit von
Schulbibliothek und Oberstufe.
Einzelne Kursbeschreibungen und ein Anmeldeformular sind auf der
Homepage abrufbar:
www.sikjm.ch/weiterbildung/kurse/
Nouveau: Bibliographie annuelle de la recherche
suisse sur le plurilinguisme
La première édition (pour l’année 2011) de la Bibliographie annuelle de
la recherche suisse sur le plurilinguisme comprend des articles de revues, chapitres de livres, monographies, volumes collectifs et documents en ligne publiés par des chercheurs et chercheuses d’institutions suisses. La bibliographie recense des publications dans les langues
nationales ainsi qu’en anglais. Elle contient également un index des
auteurs ainsi qu’un index des matières.
Als PDF unter:
Lien vers la version électronique:
www.edudoc.ch/record/107279
www.centre-plurilinguisme.ch > Centre de documentation
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Zugang zum Arbeitsmarkt, Arbeitslosigkeit
und Sprachkompetenzen
Die geeignete Schulweiterbildung online
finden
Der Verein bildungsplattformen.ch lanciert anlässlich seines
10 jährigen Jubiläums die neue Plattform schulweiterbildung.ch. Darauf finden sich umfangreiche Informationen zu
Veranstaltungen bezüglich Weiter- und Fortbildung sowie zu
allgemeinen Dienstleistungsangeboten für Schulen.
Das Angebot auf schulweiterbildung.ch richtet sich an Personen aus dem Bildungsbereich, also an Lehrpersonen aller
Stufen und Fachbereiche, an Schulleitende, an Schulverwaltungsmitarbeitende oder Schulbehörden. Von Kursen
zur Auftrittskompetenz, über Veranstaltungen zur Gewaltprävention bis zu Dienstleistungen wie Schulberatung, Supervision und Coaching findet sich alles, was mit Schulweiterbildung zu tun hat. Die Benutzung der Plattform ist
weitgehend kostenlos. Kommerzielle Dienstleitungen sind
kostenpflichtig. Das Angebot von schulweiterbildung.ch
wird zukünftig laufend ausgebaut und trägt so zum Ziel des
Vereins bildungsplattformen.ch bei, Personen aus dem Bildungswesen einen umfassenden Service bieten zu können.
bildungsplattformen.ch bietet ein aktuelles und umfassendes Netzwerk unterschiedlicher Internet-Plattformen
im Bereich „Schule“ und „Bildung“. Momentan zählen die
Plattformen über 85‘500 registrierte Benutzende.
Für Fragen stehen zur Verfügung:
r%JOBI5SVOJOHFS7FSBOUXPSUMJDIF,PNNVOJLBUJPO
078 768 67 30, [email protected]
r3PNBO"SOPME7FSBOUXPSUMJDIFS.BSLFUJOH
078 600 36 30, [email protected]
Das vom Bund mandatierte Kompetenzzentrum für Mehrsprachigkeit der Universität und Pädagogischen Hochschule Freiburg i.Ue. (Prof. A. Duchêne) führt zusammen mit
der Universität Lausanne (Prof. P. Singy) ein zweijähriges
Forschungsprojekt durch zum Thema „Zugang zum Arbeitsmarkt, Arbeitslosigkeit und Sprachkompetenzen“
(2013–2014).
Im Zentrum steht die Bedeutung von Sprache, Sprachkompetenzen und Sprachzugehörigkeit im Arbeitsvermittlungsprozess. Das Forschungsteam untersucht, welche
sprachbezogenen Konzeptionen und Repräsentationen die
institutionellen Diskurse und Praktiken prägen. Zu diesem
Zweck analysiert es den Diskurs der mit der Arbeitsvermittlung beauftragten Behörden und ihre Wissensproduktion zum Themenbereich Sprache und Arbeitsmarkt. Zusätzlich werden Arbeitslose und Stellensuchende, die in einem Regionalen Arbeitsvermittlungszentrum (RAV)
eingeschrieben sind, bei ihren Beratungsgesprächen und
Arbeitsbemühungen begleitet. Die Studie umfasst statistische Meta-Analysen von Arbeitsmarktstatistiken, eine Online-Umfrage in den rund 130 RAV der Schweiz sowie
eine ethnografische Forschung in drei RAV. Die forschungsleitenden Hauptfragen lauten:
r 8FMDIF3PMMFTQJFMFO4QSBDILPNQFUFO[FOVOETQSBDIMJche Herkunft in den Diskursen und Praktiken der Arbeitsmarktakteure (Behörden, öffentliche Personalberater, Stellensuchende, Arbeitgeber etc.)?
r 8FMDIF 4QSBDILPNQFUFO[FO XFSEFO GÛS EFO ;VHBOH
zum Arbeitsmarkt geltend gemacht?
r .JUXFMDIFO4USBUFHJFOWFSTVDIFOEJFWFSTDIJFEFOFO"Lteure die sprachlichen Ressourcen anzuerkennen und zu
unterstützen?
Das Projekt will dazu beitragen, bestehende Diskurse zum
Zusammenhang zwischen Sprache, Mehrsprachigkeit und
beruflicher Integration differenziert zu hinterfragen und
neue Forschungshypothesen zu formulieren. Die Resultate
sind somit auch für nationale und kantonale Behörden von
Interesse, die sich mit Arbeitsvermittlung und arbeitsmarktlichen Massnahmen (AMM) befassen.
Renata Coray, Kompetenzzentrum für Mehrsprachigkeit,
Freiburg
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
4th International conference Applied Linguistics and Professional Practice (ALAPP 2014)
LEARNING THROUGH AND FOR PROFESSIONAL PRACTICE • University of Geneva, 10-13 September 2014
After Cardiff in 2011, Sydney in 2012 and Kuala Lumpur in 2013, the University of Geneva will host the 4th International
conference on Applied Linguistics and Professional Practice. The conference aims to bring together scholars from different disciplinary backgrounds, especially language and communication research, and professional specialities (e.g., healthcare, social care, therapy, law, mediation, management, business, journalism, education). It encourages research and reflection developing interdisciplinarity, methodological diversity, inter-professional collaboration and explores the relations
between language use and social practices taking place in institutional and organisational contexts. A special emphasis will
be on cross-boundary collaboration and translation of research findings to ensure impact. For this 2014 ALAPP conference,
a special attention will be dedicated to the topic of Learning through and for professional practice.
Individual papers, posters and thematic symposia can be submitted in English and French through the conference website:
http://www.unige.ch/alapp2014
Submission opening: 1st November 2013 • Submission deadline: 31st January 2014
[email protected]
Label per progetti innovativi di insegnamento e apprendimento delle lingue
Il 30 giugno 2013 è scaduto il termine di iscrizione al primo concorso indetto in Svizzera in vista dell’assegnazione del
Label europeo delle lingue. Molti sono i progetti interessanti e originali presentati che verranno ora giudicati da una giuria.
I progetti vincitori verranno resi noti sul nostro sito www.ch-go.ch/sprachensiegel il 26 settembre 2013, in occasione
della Giornata europea delle lingue. La cerimonia di premiazione si terrà il prossimo novembre a Coira nell’ambito del
Congresso nazionale sullo scambio.
La scuola o l’istituzione dei progetti vincitori potrà esibire il Label europeo delle lingue. Il progetto vincitore si aggiudica
inoltre un premio di 10’000 franchi. I vincitori di ogni paese partecipano automaticamente al concorso per l’attribuzione
del label a livello europeo.
In Svizzera il concorso per il Label delle lingue è stato indetto dalla Fondazione ch per la collaborazione confederale con il
sostegno della Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE).
Informazioni:
Fondazione ch per la collaborazione confederale
www.ch-go.ch/sprachensiegel
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Babylonia 02/13 | babylonia.ch
Bloc Notes
Agenda
Octobre
3-4.10.2013
3rd International Conference of Applied Linguistics
‘Languages and People: Space, Time, Identity’
Faculty of Philology Universiteto St. 5 LT-01513 Vilnius Lithuania
Information: http://www.lsk.flf.vu.lt/en/department/applied-linguistics/
10.10.2013
Vortrag Prof. Dr. Ruth Wodak (Universität Wien)
Mother-tongue and Fatherland: re/inventing national identities and the homo/femina nationalis
Institut für Mehrsprachigkeit, Murtengasse 24, 1700 Freiburg
Informationen: http://www.institut-mehrsprachigkeit.ch/de/veranstaltungen1/2013/10.-oktober-2013-vortrag-ruth-wodak
16.10.2013
Vortrag Prof. Dr. Torsten Meireis (Institut für Systematische Theologie, Universität Bern)
Bildungsgerechtigkeit
Hauptgebäude der Universität Bern, Hochschulstrasse 4, 1. Obergeschoss,
Auditorium maximum
*OGPSNBUJPOFOIUUQXXXDPMMFHJVNHFOFSBMFVOJCFDIrDH!DHVOJCFDI
Novembre
6-26.11.2013
Cycle de conférences pour le centenaire de la naissance d'Albert Camus
Bellinzona, Biblioteca Cantonale / RSI
Informations et programme: http://www.sbt.ti.ch/bcb/home/manifestazioni/
7-9.11.2013
2nd Saarbrücken Conference on Foreign Language Teaching
Hochschule für Technik und Wirtschaft des Saarlandes, Campus Rotenbühl, Fakultät für
Wirtschaftswissenschaften, Waldhausweg 14, 66123 DE – Saarbrücken
http://2saarbrueckerfremdsprachentagung.blogspot.tw/search/label/1.1%20Deutsch
[email protected]
14-15.11.2013
Austauschkongress 2013
Austausch als pädagogisches Projekt, ch Stiftung für eidgenössische Zusammenarbeit, Chur
Informationen: www.ch-go.ch/veranstaltungen
15-17.11.2013
EXPOLINGUA Berlin 2013, 26th International Fair for Languages and Cultures
Russisches Haus der Wissenschaft und Kultur, Friedrichstraße 176 – 179, 10117 Berlin-Mitte
Informationen: http://www.expolingua.com
21.11.2013
Vortrag Prof. Dr. Anke Lüdeling (Humboldt-Universität, Berlin)
Syntaktische Analyse von Lernerdaten
Institut für Mehrsprachigkeit, Murtengasse 24, 1700 Freiburg
Informationen: http://www.institut-mehrsprachigkeit.ch/de/veranstaltungen1/2013/21.-november2013-vortrag-anke-ledeling
Décembre
5-7.12.2013
Conference on E-nnovative Learning: Foreign Language Instructional Technology
29 Kallipoleos Avenue, Nicosia,Cyprus
*OGPSNBUJPOIUUQMDXFCVDZBDDZëJUrMDFOUSF!VDZBDDZ
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Vorschau 2013-14 | Programmazione 2013-14
3/2013 Nouvelles technologies de la communication pour l’enseignement des langues: écouter, regarder et échanger
1/2014 Je früher desto besser? Frühes Fremdsprachenlernen
2/2014 La leçon de grammaire revisitée
Indirizzo
Impressum
Editore
Fondazione Lingue e Culture
CP 120, CH-6949 COMANO
Babylonia, Stabile Lanzi, via Cantonale
CH-6594 Contone
Tel.: 0041 91 8401143 - Fax: 0041 91 8401144
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Sito: www.babylonia.ch
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Martina Zimmermann|Institut für
Mehrsprachigkeit, Murtengasse 24
1700 Freiburg (coordinazione)
Jean-François de Pietro|IRDP
Faubourg de l’Hôpital 43, 2002 Neuchâtel
Brigitte Gerber|Université Genève, IUFE,
40, Boulevard du Pont d’Arve, 1211 Genève 4
Gianni Ghisla|Idea, via Cantonale
6594 Contone
Daniela Kappler|DFA-SUPSI
Pza S. Francesco 19, CH-6600 Locarno
Giovanni Mascetti|via Pedotti 1
6500 Bellinzona
Jeanne Pantet|Via Leoncavallo 2
6833 Vacallo
Hannelore Pistorius|ch. Colladon 18
1209 Genève
Sonia Rezgui Giebel|PHBern
Brückenstrasse 73, 3005 Bern
Donato Sperduto|Kantonsschule Sursee,
Moosgasse 11, 6210 Sursee
Käthi Staufer-Zahner|Stettemerstrasse 40
8207 Schaffhausen
Gé Stoks|Idea, via Cantonale, 6594 Contone
Daniel Stotz|PHZH - LAB-F050
Lagerstrasse 2, 8090 Zürich
Ingo Thonhauser|HEP Vaud, UER
didactique des langues et cultures
Av. de Cour 25, 1014 Lausanne
Mireille Venturelli|via Dogana 8
6500 Bellinzona
Werner Carigiet|7164 Dardin
(collaboratore di redazione per il romancio)
Silvia Serena|Via Paravicini 28
I-21100 Varese (collaboratrice per l’Italia)
Segretaria di redazione:
Jeanne Pantet
Organo d’informazione di:
r-&%"'*%4-FLUPSFOVOE-FLUPSJOOFO
Deutsch als Fremdsprache in der Schweiz)
r"1&14"SCFJUTHFNFJOTDIBGU[VS
Förderung des mehrsprachigen Unterrichts
in der Schweiz)
104
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Tiratura di questo numero 2/13: 1150 copie.
Abbonamento annuale: fr. 50.- più costi di
spedizione. Studenti: fr. 35.Costo del numero singolo: fr. 20.-.
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Damiano Cioldi|Via Balzarino 5
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Giorgia Franzini|CAM Bellinzona
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Petra Gekeler|Sprachenzentrum der
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Gabriele Gendotti|Via Nanzenga 30
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Gianni Ghisla|Idea, via Cantonale
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François Grin|Université de Genève, FTI,
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1211 Genève 4, [email protected]
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Kathrin Jonas Lambert|Hochfeldstrasse 19
3012 Bern, [email protected]
Stefano A. Losa|3 rue Cavour
1203 Genève, [email protected]
Georges Lüdi|Uni Basel,Stapfelberg 7-99,
4051 Basel, [email protected]
Stephan Meyer|Sprachenzentrum der
Universität Basel, Kornhausgasse 2
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Mary Miltschev|Mittelschul- und
Berufsbildungsamt, Ausstellungsstrasse 80,
Postfach, 8090 Zürich
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Jeanne Pantet|via Leoncavallo 2
6833 Vacallo, [email protected]
Patricia Pullin|HEIG-VD, Centre St Roch,
Avenue des Sports 20
1401 Yverdon-les-bains
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Kilian Schreiber|Die Schweizerische Post
Viktoriastrasse 21, 3030 Bern
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Leta Semadeni|Pragliver 163, 7543 Lavin
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Donato Sperduto|Kantonsschule Sursee
Moosgasse 11, 6210 Sursee, [email protected]
Vincenzo Todisco|Pädagogische Fachhochschule GR, Scalärastrasse 17
7000 Chur, [email protected]
Daniela Urank|Sprachenzentrum der
Universität Basel, Kornhausgasse 2
4051 Basel, [email protected]
Mireille Venturelli|via Dogana 8
6500 Bellinzona, [email protected]
Immagini
La vignetta a p. 2 è di Andreas Lori
Optingenstrasse 41, 3013 Bern.
Sito: www.babylonia.ch
Il sommario del numero, le sintesi di tutti gli
articoli e una selezione di articoli sono
scaricabili in pdf dal sito internet. Per gli
abbonati, tramite il login, è invece disponibile l’intero archivio dei numeri dal 1994.
Babylonia per scopi didattici
Babylonia può essere richiesto per
l’utilizzazione nell’insegnamento al costo di
fr. 12.- più spese di spedizione, fino ad un
massimo di 15 copie, e fino ad esaurimento.
Con il sostegno di
rUfficio federale della migrazione
r %JQBSUJNFOUP&EVDB[JPOF$VMUVSBF4QPSU
del Canton Ticino
r6ĀDJP'FEFSBMFEFMMB$VMUVSB
r"NCBTTBEFEF'SBODFFO4VJTTF
r'POEB[JPOF0FSUMJ
A nome della redazione
Grazie di cuore!
Due anni sono trascorsi da quando, nel 2011, abbiamo festeggiato con un certo orgoglio i 20 anni di Babylonia.
Nel no. 3/2011 della rivista sono raccolte le testimonianze
di quella per tutti noi arricchente stagione. Tuttavia, in
quel numero, più che guardare al passato, si è cercato di
tracciare un orizzonte futuro, nella consapevolezza che la
squadra redazionale di allora si stava preparando a passare
il testimone. In un’epoca di così profonde trasformazioni
come la nostra occorrono le idee, il coraggio e l’entusiasmo dei giovani per dare una prospettiva alla rivista e per
tenerne alti i valori e gli ideali, soprattutto quelli di una
società aperta e tollerante, dove la diversità linguistica e
culturale non sia un peso, ma l’essenza della convivenza
civile.
Abbiamo la fortuna che questo passaggio di consegne si
sta attuando nel migliore dei modi: una parte di coloro
che hanno segnato le sorti di Babylonia sta rimettendo,
nella certezza di aver dato il meglio di sé, il proprio bagaglio di esperienze nelle mani di chi ne edificherà il futuro.
Fra costoro che, complice anche l’età, stanno aprendo un
nuovo capitolo della propria esistenza c’è Mari Mascetti.
A lei, che per quasi vent’anni è stata molto di più di una
segretaria di redazione, va un plauso particolare e un riconoscimento di noi tutti, membri della redazione, ma
anche dei lettori. Eravamo nel 1996 e avevamo messo in
circolazione un urgente messaggio che suonava più o
meno così: “Conosci qualcuno che abbia voglia, molto
idealismo ed entusiasmo per dedicarsi a Babylonia?” Ed
ecco che Mari venne a trovarsi da un giorno all’altro a
fare la rivista. Mancava l’esperienza? Ma a questo si può
supplire facendola… e questo in condizioni letteralmente
babiloniche, almeno per quanto riguarda la logistica, per
non parlare delle certezze sul futuro. Il segretariato era
per così dire itinerante, non avendo a disposizione un locale stabile e le discussioni sul continuare l’avventura o
meno erano all’ordine del giorno. In queste condizioni
Mari si è rivelata spesso decisiva, dimostrando tutte le sue
qualità… Con tranquillità e pacatezza si è inserita come
elemento stabilizzante e rassicurante nell’attività della redazione, spesso frammentata e poco strutturata, in sintonia con i suoi membri sparsi nei quattro angoli della Svizzera. Con i toni a tratti decisi e soprattutto con le sue
competenze linguistiche e culturali e con la sua passione
per il lavoro ben fatto – magari fino alle due di notte –
non solo ha tappato mille buchi, andando ben oltre le
mansioni di una segretaria di redazione. La stima di tutti
Mari se l’è guadagnata non solo grazie a queste qualità,
ma anche in virtù della sua sensibilità estetica, messa alla
prova numero per numero e tradottasi, ad esempio con
immagini azzeccate, in risposte eleganti e leggere al difficile rapporto tra contenuto e forma. E tutti ora, assieme
ad un segno di riconoscenza, le facciamo gli auguri di rito
per le tante altre cose che si è messa in mente di fare, magari non dimenticando di dare un’occhiata anche a Babylonia che con particolare cura ha rimesso nelle mani di
Jeanne.
Come però abbiamo detto, in questo momento di transizione non è solo Mari ad accomiatarsi. La lista dei membri della redazione in ultima pagina si presenta di parecchio rinnovata. Dal prossimo numero non vi appariranno
più Giovanni Mascetti, Hannelore Pistorius, Käthi
Staufer-Zahner, Mireille Venturelli e Silvia Serena. Alcuni di loro hanno visto nascere e crescere la rivista, altri
l’hanno accompagnata per diversi anni. Ognuno ha dato
una sua impronta particolare, sempre però con una spontanea condivisione e un orizzonte comune mai venuto
meno. Del resto non disperiamo poter contare su di loro
per qualche lavoretto di loro gradimento o, magari, di
particolare urgenza… A tutti indistintamente va perciò
un pensiero di profonda e sentita riconoscenza che esprimiamo a nome dei redattori che restano, del Consiglio di
Fondazione della Fondazione Lingue e Culture, editrice
della rivista, ma anche dei tanti lettori che hanno apprezzato il loro lavoro. (ggh)