il segreto di marmo - Gallery Electa Web

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il segreto di marmo - Gallery Electa Web
comunicato stampa
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
DIREZIONE GENERALE PER LE ANTICHITÀ
SOPRINTENDENZA SPECIALE PER I BENI ARCHEOLOGICI DI ROMA
IL SEGRETO DI MARMO
I MARMI POLICROMI DI ASCOLI SATRIANO
MUSEO NAZIONALE ROMANO
IN PALAZZO MASSIMO
16 dicembre 2009 – 18 aprile 2010
La Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma espone fino al 18 aprile 2010
uno straordinario complesso di 11 marmi dipinti: un unicum nel panorama dell’archeologia della Magna Grecia di età tardo-classica.
Provenienti dal territorio dell’antica Ausculum, l’odierna Ascoli Satriano in provincia di Foggia, le
preziose opere in marmo pario arrivano al Museo Nazionale Romano in Palazzo Massimo
dopo l’esposizione nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze, dove erano state accostate alle pitture policrome che decorano il Sarcofago delle Amazzoni.
L’eccezionalità di questa serie di manufatti ha più ragioni: l’alta qualità del marmo, quello
cristallino e trasparente scavato in galleria nell’isola di Paro che i Greci riservavano ai capolavori
della scultura; la presenza della decorazione pittorica, così rara nei marmi giunti sino a noi e,
soprattutto, la storia del ritrovamento di questi pezzi, per la prima volta riuniti in una mostra a Roma.
Nel maggio del 2006 il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale rintracciò un
gruppo di oggetti nei locali del Museo Civico di Foggia e, quindi, lo trasferì a Roma a disposizione della Magistratura, nel quadro del procedimento penale relativo al commercio internazionale clandestino di reperti di scavo.
L’interesse degli investigatori era stato sollecitato dal fatto che, nel corso di indagini sviluppatesi
durante gli anni precedenti, un cittadino italiano aveva ammesso di essere stato a suo tempo partecipe di un fruttuosissimo scavo clandestino svoltosi nel territorio dell’antica Ausculum, l’odierna Ascoli Satriano, nel quale era stato ritrovato sia un gruppo raffigurante due Grifi che dilaniano
un cerbiatto, venduto poi ad un museo americano, sia una serie di altri oggetti, sequestrati invece dalla Guardia di Finanza di Foggia.
Di qui, dapprima la ripresa del fascicolo processuale aperto nel 1978 a carico del responsabile
e, poco dopo, la vera e propria riscoperta dei marmi, prelevati dagli stessi militari dell’Arma il 5
maggio e depositati infine, per gli indispensabili interventi conservativi, presso il laboratorio di restauro romano della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma.
La conferma dello straordinario interesse dei pezzi rimasti a Foggia e la palese corrispondenza
fra la descrizione di ciò che era stato invece trafugato e venduto e quanto era conservato sulle
coste occidentali degli Stati Uniti spingeva infine ad organizzare un sopralluogo nelle campagne
di Ascoli Satriano.
Due tra i pezzi più eccezionali, il sostegno di mensa decorato con Grifi e il podanipter (grande bacino con supporto), furono acquistati dal J.-P. Getty Museum di Malibu che li ha restituiti all’Italia nel 2007.
Le indagini condotte dopo la restituzione hanno permesso, quindi, di ricollegare tutti i pezzi, in totale undici più o meno completi, facendone ipotizzare un’unica provenienza da un contesto funerario daunio della seconda metà del IV secolo a.C.: questi elementi marmorei sono infatti accomunati sia dalla particolare tecnica di lavorazione, la tornitura, sia dalla presenza
della decorazione policroma; le analisi di laboratorio hanno poi confermato la pressoché medesima varietà di marmo, proveniente dalle cave greche più prestigiose.
Tutti i manufatti sembrano rappresentare una versione particolarmente monumentale e finora del
tutto sconosciuta di un ‘servizio’ funebre le cui forme richiamano molto da vicino la raffinata ceramica italiota di IV secolo a.C. ed esemplari in bronzo. In particolare, il grande cratere marmoreo
non solo conserva tracce di policromia, ma anche l’impronta in negativo di una decorazione in oro
che è stata riconosciuta come un motivo vegetale a foglie d’edera; il supporto da mensa è unico
nel suo genere e la sua iconografia – due Grifi che uccidono un cervide – si rifà sicuramente a modelli orientali. Infine, il podanipter, tipico bacile per uso cerimoniale, mostra ancora al suo interno la splendida scena del trasporto delle armi di Achille da parte delle Nereidi che cavalcano mostri marini: un’iconografia coerente con la sua destinazione d’uso. Proprio il podanipter presenta interessanti elementi di affinità, per forme e cromia, con le pitture del Sarcofago
delle Amazzoni, uno dei più alti esempi della pittura magno-greca del IV secolo a.C.
Tutto ciò a testimoniare la qualità dei manufatti che componevano questo complesso funebre,
destinato con tutta probabilità a un membro dell’élite daunia.
In occasione della mostra Electa pubblica una monografia, a cura di Angelo Bottini ed Elisabetta Setari, che, grazie al contributo di diversi specialisti, ricostruisce il contesto di provenienza e il
significato dei marmi dipinti di Ausculum, la loro storia dalla scoperta all’esposizione con un inquadramento storico-artistico e una catalogazione scientifica di tutti i singoli manufatti. Chiude il volume una sezione sul restauro delle opere, corredata dei risultati delle analisi petrografiche e geochimiche dei marmi e delle indagini analitiche sui pigmenti che gettano luce sulla tecnica pittorica.
informazioni tecniche
Titolo
IL SEGRETO DI MARMO
I MARMI DIPINTI DI ASCOLI SATRIANO
Date di apertura
al pubblico
16 dicembre 2009 – 18 aprile 2010
Sede
Roma, Museo Nazionale Romano in Palazzo Massimo
Largo di Villa Peretti 1
http://archeoroma.beniculturali.it/
Mostra promossa da
Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma
in collaborazione con
Electa
Curatori della mostra
Angelo Bottini, Elisabetta Setari
Orari di apertura
dalle 9 alle 19.45.
La biglietteria chiude un’ora prima.
Il museo è chiuso il lunedì, il 25 dicembre e il 1° gennaio.
Il biglietto consente l’accesso a tutte le sedi
del Museo Nazionale Romano ed è valido per 3 giorni
Biglietti
Intero 7 euro, ridotto 3,50 euro
Informazioni
e visite guidate
Pierreci
tel. +39 06 39967700
www.pierreci.it
Catalogo
Electa
Ufficio stampa
Gabriella Gatto
tel. +39 06 42029206
[email protected]
Enrica Steffenini
tel. +39.02.21563433
[email protected]
colophon
Il segreto di marmo
Museo Nazionale Romano
in Palazzo Massimo alle Terme
16 dicembre 2009 - 18 aprile 2010
Mostra promossa da
Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
Direzione Generale per le Antichità
e Soprintendenza Speciale per i Beni
Archeologici di Roma
in collaborazione con
Electa
Soprintendente archeologo di Roma
Angelo Bottini
Direzione amministrativa
Wanda Vaccaro
Direzione del Museo Nazionale
Romano in Palazzo Massimo
Rita Paris
Direzione tecnica del Museo Nazionale
Romano in Palazzo Massimo
Mauro Petrecca
Comitato scientifico
Giovanna Bandini
Angelo Bottini
Rita Paris
Elisabetta Setari
Comitato organizzativo
Maria Teresa Di Sarcina, Valeria Intini,
Rita Paris, Miria Roghi, Carlotta Schwartz
Progetto espositivo e grafico
Stefano Cacciapaglia
Carlo Celia
Monica Cola
Testi in mostra a cura di
Elisabetta Setari
Traduzione dei testi in mostra
Elizabeth Hill
Restauri
Adriano Casagrande
con la collaborazione di
Debora Papetti
Annunziata D’Elia
Chiara Miceli
Documentazione fotografica
Simona Sansonetti
con
Giorgio Cargnel
Luigi Colasanti
Romano D’Agostini
Documentazione infrarossi
Luciano Mandato
Ufficio Consegnatario Museo Nazionale
Romano in Palazzo Massimo
Miria Roghi
Segreteria
Daniela Donninelli, Anna Redigolo,
Agnese Tomei, Alfredo Turla, Angela Vivolo
Si ringraziano
Claudia Scardazza e Annamaria Dolciotti,
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Antonio Gerardo Paolino Rolla, Sindaco
di Ascoli Satriano
Comando Carabinieri Tutela Patrimonio
Culturale - Reparto operativo - Sezione
archeologia
Guardia di Finanza di Foggia
Testi in catalogo
Giovanna Bandini
Ugo Bartolucci
Angelo Bottini
Maria Perla Colombini
Ilaria Degano
Gianna Giachi
Roberto Goffredo
Claudio Imperatori
Maria Luisa Marchi
Francesca Modugno
Pietro Moioli
Pasquino Pallecchi
Claudio Seccaroni
Elisabetta Setari
Disegni
Francesca Sabbatini
Ricostruzione grafica
Esmeralda Remotti
Giorgio Montinari
Ricostruzione virtuale
Antonella Cirillo
Fotografie
Simona Sansonetti
con
Giorgio Cargnel e Romano D’Agostini,
Soprintendenza Speciale per i Beni
Archeologici di Roma
Antonino Sentineri, Soprintendenza
per i Beni Archeologici della Toscana
Per Electa la mostra è stata curata da
Anna Grandi
Marta Chiara Guerrieri
Ufficio stampa e comunicazione
Gabriella Gatto, Enrica Steffenini
Immagine coordinata
Di Maio Iorio
Realizzazione dell’allestimento
Meloni Fabrizio srl
con la collaborazione di
Enrico Vandelli
Trasporti
Borghi International spa
Assicurazioni
Progress Insurance Broker
testo istituzionale
È un vero piacere per me presentare questa mostra, che, pur piccola nelle sue dimensioni,
è tuttavia di grande importanza sia sul piano scientifico sia su quello simbolico.
Dal punto di vista della scienza perché viene ricostruito, per quanto possibile a distanza
di decenni, dopo uno scavo clandestino e l’esportazione illegale di alcuni oggetti, un contesto
assolutamente unico e della massima importanza per la storia della cultura artistica della Magna
Grecia. Le tombe degli aristocratici delle città indigene del territorio apulo hanno spesso
restituito importanti complessi, architettonici e di materiali mobili, ma anche nei casi più
significativi non era mai stato rinvenuto un tale straordinario corredo, di vasi e arredi marmorei,
alcuni eccezionalmente dipinti e certamente da mano greca, come in questa tomba. Il che rende
tanto più grave la perdita dei dati scientifici provocata dallo scavo clandestino, solo in minima
parte recuperata dagli studi, pur di grande rilievo, che accompagnano la mostra attuale.
Oltre che sul piano scientifico, l’esposizione è tuttavia altrettanto importante dal punto di vista
simbolico perché precede, e soprattutto prepara, l’allestimento definitivo del complesso
funerario nella sede del Museo Civico di Ascoli Satriano (Foggia), l’antica Ausculum, città alla cui
amministrazione va il merito di aver voluto e realizzato un museo per la valorizzazione del proprio
patrimonio culturale ben prima che si profilasse la possibilità di ricevere capolavori come
i “grifi che assalgono la cerva” o il bacino dipinto. Lo spirito che ha informato e tuttora
caratterizza la politica delle restituzioni chieste e ottenute all’estero è quello, enunciato fin
dalle Lettres à Miranda, della pertinenza dell’opera al suo contesto territoriale; e ciò soprattutto
quando questo, come nel caso presente, sembra prometterne la più efficace valorizzazione,
intesa come promozione della cultura del territorio. Il nostos di questi marmi ad Ascoli Satriano
procurerà alla causa dell’archeologia, intesa come momento e strumento culturale della storia
del territorio, ben più consensi e ben più convinti di qualsiasi mostra scintillante in una sede
alla moda. E forse taglierà agli scavatori clandestini una parte di quella rete di omertà
o di disinteresse senza la quale non potrebbero operare come purtroppo hanno fatto e fanno
tuttora in terra di Puglia, e in altre regioni d’Italia. Benvenuto dunque a questa mostra romana,
viatico per il definitivo ritorno a casa dei grifi e grazie a tutti quanti – Soprintendente, Direttore
e operatori del Museo Nazionale di Palazzo Massimo, Università di Foggia – hanno collaborato
alla sua realizzazione.
Stefano De Caro
Direttore generale per le Antichità
testo dal catalogo
UN TESORO
RITROVATO
Angelo Bottini
Dalla scoperta all’esposizione
Nel catalogo della recente mostra mantovana “La forza del bello. L’arte greca conquista l’Italia”,
le schede di cinque opere in marmo sono precedute, a differenza dalle altre, da un breve testo
introduttivo che da un lato ne dichiara la comune origine e dall’altro ne spiega l’inserimento nell’ultima sezione, intitolata “Dispersione e recuperi”.
In quella sede, infatti, il sostegno plastico di mensa, formato da due grifi che dilaniano un cerbiatto e il podanipter decorato all’interno da pitture raffiguranti il trasporto delle armi destinate ad
Achille, emigrati illegalmente dal nostro paese per approdare infine al J. Paul Getty Museum ed
essere infine restituiti nel 2007, erano stati posti per la prima volta accanto a tre vasi a decorazione policroma (un cratere a calice su sostegno, una oinochoe a bocca rotonda, una epichysis)
ricomposti da un complesso di elementi separati e frammenti, rimasti praticamente dimenticati
nei depositi per quasi trent’anni.
La singolarità del complesso che, va detto subito, rappresenta un vero e proprio unicum nel panorama dell’archeologia del mondo indigeno della Magna Graecia di età tardoclassica, così come l’eccezionalità anche sotto il profilo formale di almeno una parte dei manufatti, impongono di
riprendere l’argomento nel momento in cui, completate le attività di restauro, documentazione e
analisi compiute presso i laboratori sia della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di
Roma sia di quella della Toscana, è stato possibile redigere il catalogo di tutti gli elementi sopravvissuti alle vicissitudini del loro rinvenimento non controllato e proporne quindi un inquadramento complessivo, in vista del loro definitivo ritorno nel museo di Ascoli Satriano.
Iniziamo dalla complicatissima vicenda moderna, quale è stato possibile ricostruire dopo il maggio 2006, quando, presso il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, chi scrive ebbe
modo di prendere visione di un gruppo di oggetti da poco rintracciati nei locali del Museo Civico
di Foggia e quindi trasportato a Roma a disposizione della Magistratura, nel quadro del procedimento penale relativo appunto al commercio internazionale clandestino di reperti di scavo.
L’interesse degli investigatori era stato sollecitato dal fatto che – come spiega una nota riassuntiva dello stesso Comando – nel corso di indagini sviluppatesi durante gli anni precedenti,
un cittadino italiano (morto nel 2002) aveva ammesso di essere stato a suo tempo partecipe di
un fruttuosissimo scavo clandestino svoltosi nel territorio dell’antica Ausculum, l’odierna Ascoli Satriano in provincia di Foggia, nel quale era stato ritrovato sia un gruppo raffigurante appunto due grifi che dilaniano un cerbiatto, venduto poi a un museo americano, sia una serie di altri oggetti, sequestrati invece dalla Guardia di Finanza del capoluogo daunio.
Di qui, dapprima la ripresa del fascicolo processuale aperto nel 1978 a carico del responsabile
e, poco dopo, la vera e propria riscoperta dei marmi, che venivano prelevati dagli stessi militari
dell’Arma il 5 maggio e depositati infine, per gli indispensabili interventi conservativi, presso il laboratorio di restauro romano.
La conferma dello straordinario interesse dei pezzi rimasti a Foggia e la palese corrispondenza
fra la descrizione di ciò che era stato invece trafugato e venduto e quanto era conservato sulle
coste occidentali degli Stati Uniti spingeva infine a organizzare un sopralluogo nelle campagne di
Ascoli Satriano.
Grazie anche alla collaborazione dei familiari dello scavatore, il 14 giugno dello stesso anno i militari giungevano così a individuare se non il luogo preciso (cosa ovviamente del tutto impossibile a distanza di circa un ventennio dai fatti), quantomeno la zona in cui sarebbero stati rinvenuti;
vi torneremo fra breve.
Che i “marmi Getty” potessero avere a che fare con l’Apulia traspariva peraltro anche dallo studio a essi dedicato dal Vermeule. D’altra parte, un documento riservato pubblicato dal “Los Angeles Times” faceva riferimento a una provenienza estremamente più significativa ai fini della ricostruzione della vicenda, riportandola all’ambito daunio: supporto di mensa e podanipter avrebbero fatto parte del corredo funerario di una tomba dalla zona di Herdonea (nel territorio dell’attuale Orta Nova, sempre in provincia di Foggia) saccheggiata prima del 1976-1977, dove sarebbero stati associati a ceramiche apule a figure rosse attribuibili al Pittore di Dario.
Com’è facile osservare, le date coincidono sostanzialmente: il rinvenimento dovrebbe essere avvenuto proprio negli anni fra il 1976 e il 1978; per quanto riguarda invece il sito, non vi è alcun
valido motivo per mettere in dubbio la testimonianza raccolta dai Carabinieri, anche in considerazione del fatto che Ausculum è un centro archeologico ancor oggi assai meno noto (in lettera-
tura e non solo) della vicina Herdonea: applicando i criteri della filologia testuale, la provenienza
da quest’ultima si presenta come una tipica lectio facilior, probabilmente volta anche ad accreditare dei reperti tanto inconsueti sul mercato clandestino.
D’altra parte, prendendo per buona la provenienza dichiarata, sarebbe necessario postulare che
in due diversi siti della medesima area culturale siano stati quasi contemporaneamente allestiti altrettanti complessi (che l’ottimo stato di conservazione fa ritenere, come si vedrà, di natura funeraria), includenti oggetti in marmo unici o quantomeno estremamente rari.
Ipotesi sulla collocazione e la natura del complesso
Come osservato nelle pagine che precedono, fra i nuclei insediativi finora individuati nell’area di
Ascoli Satriano una rilevanza particolare sembra contraddistinguere l’altura del Serpente, oggetto di numerose campagne di scavo da parte di istituzioni italiane e straniere.
Vi emerge, come elemento di specifico interesse, la presenza di apprestamenti cultuali sia stabili
sia di carattere più precario direttamente connessi con sepolture di personaggi di rilievo collocate in tombe “a pozzo” (già di per sé espressione di una condizione di privilegio sociale), che ricevono la loro sistemazione finale nel corso della seconda metà del IV secolo, prima della distruzione, databile ai primi del successivo.
Per usare le parole di M. Osanna, “l’area sacra, destinata ad ospitare pratiche rituali in cui il sacrificio ed il banchetto dovevano svolgere un ruolo significativo, poteva essere stata dunque destinata alla celebrazione di cerimonie commemorative di defunti di rango, cui doveva essere stato attribuito, in qualche modo uno statuto ‘eroico’”.
Secondo le informazioni raccolte dai Carabinieri, la zona di rinvenimento dei materiali studiati in questo lavoro si colloca a monte della Strada Provinciale 99, alla base del pendio sottostante la collina
in questione; almeno dal punto di vista teorico, nulla impedisce dunque di ipotizzare che ne rappresenti una prosecuzione, contrassegnata da una ancor più marcata monumentalità.
La mancanza di ogni informazione sulle condizioni di rinvenimento fa sì che nulla possa essere
affermato con certezza a proposito tanto della natura e della collocazione originaria che del grado di completezza del complesso pervenutoci; del resto, anche le prime indagini promosse dalla Soprintendenza in località Giarnera Piccola non hanno portato a risultati significativi da questo
punto di vista, pur confermando l’interesse archeologico del sito.
Alla luce di quanto precede, le risposte ai principali interrogativi suscitati da questo insieme sono destinate a restare largamente ipotetiche.
Per quanto riguarda natura e collocazione del complesso, una destinazione votiva, suggerita anche dal richiamo ai dona del santuario di Diana Nemorensis su cui si tornerà più avanti, appare
così meno probabile rispetto all’appartenenza al corredo di una tomba a camera, realizzata nelle forme e dimensioni tipiche del costume funerario proprio delle comunità apule nel corso del IV
secolo a.C. Ciò, per una serie di motivi che vanno dal buono stato di conservazione (si confrontino al contrario l’esiguità e la frammentarietà dei resti dell’area sacra di Ausculum appena ricordata, in buona misura determinate anche dalla debolezza strutturale delle relative costruzioni, in
cui è escluso l’impiego della pietra da taglio) alla presenza delle mensole (cat. 11), alla stessa logica associativa che lega i manufatti fra loro. D’altra parte, la presenza di un set di recipienti marmorei, seppure di dimensioni e funzione del tutto diverse, nel corredo dell’ipogeo della Medusa
di Arpi conferma l’esistenza in ambito daunio di un uso anche funerario di manufatti litici.
Riguardo poi alla completezza, la mancanza di molte parti degli stessi recipienti induce a una valutazione molto pessimistica, accentuata dal fatto che, pur accettando l’integrale sostituzione del
marmo alla ceramica e ai metalli nel campo dei contenitori (in effetti non priva di qualche precedente), appare invece inspiegabile la mancanza assoluta di elementi della panoplia difensiva ovvero, in alternativa, di elementi specifici relativi alla sfera femminile.
D’altra parte, il complesso di recipienti di forma chiusa (due oinochoai, quattro epichyseis, una
loutrophoros), di cui si vedrà il rapporto con ceramiche tipiche della produzione magno-greca di
V e IV secolo, sembra rappresentare (in tutto o in parte, dal momento che la lacunosità di alcuni fa immaginare la possibile perdita anche di interi esemplari), la versione particolarmente monumentale e finora sconosciuta nella sua natura marmorea di uno o più “servizi” tipici dei grandi
corredi italici di IV secolo, composti di solito da vasi di altissima qualità, appartenenti soprattutto
alla ceramografia italiota a figure rosse, spesso deliberatamente privati della capacità di contene-
re; non deve sfuggire che al loro interno occupa un posto determinante una forma aperta di grandi dimensioni, quale in effetti è il podanipter, in cui è peraltro la presenza stessa della fragilissima
decorazione pittorica all’interno della vasca a segnalare una funzionalità assai ridotta.
Un eccellente confronto è rappresentato da questo punto di vista dai grandi corredi “emergenti”
tornati in luce nel 1985-1986 a Lavello, culminanti nella seconda deposizione della tomba a camera 669, fortunatamente rinvenuta intatta e quindi priva di tutte le incertezze ricostruttive che gravano sugli analoghi complessi canosini, in cui ricorrono tuttavia le medesime forme vascolari.
Come osservato da M.P. Fresa in sede di commento alla sua edizione, “al suo interno si riconoscono agevolmente due nuclei: uno formato dai vasi a figure rosse (fra cui spiccano quelli di grandi dimensioni: un podanipter, quattro oinochoai, quattro kantharoi), l’altro costituito dai vasi a decorazione policroma e plastica: due loutrophoroi, quattro pseudo-oinochoai a testa femminile, un
askos, una pisside cilindrica. Il primo rimanda a un sistema del tutto analogo a quello delle due
tt. 655 e 686 … Ancora una volta, appare prevalente la grande forma aperta, rinvenuta significativamente al centro della cella sepolcrale”.
Riflettendo sui numeri che danno vita a questi set, viene spontaneo ipotizzare la perdita di almeno una seconda loutrophoros, con cui comporre un complesso minimo formato da due oinochoai, due loutrophoroi, quattro epichyseis, gravitanti sull’unico podanipter.
Sfugge a questo sistema il solo cratere, che spicca dal punto di vista qualitativo ed era decorato, come si vedrà meglio in seguito, da una corona aurea applicata alla vasca; sebbene la scarsa profondità dell’incavo praticato nella parte superiore faccia ritenere poco probabile che sia
stato usato come cinerario (al pari dell’analogo esemplare in bronzo da Sevaste, che conteneva
anche i resti di una corona d’oro bruciata col defunto) non sembra tuttavia da escludere un intento se non propriamente “eroizzante”, paragonabile a quello che traspare dagli elmi cui sono
stati aggiunti elementi analoghi, quantomeno distintivo del personaggio cui è stato attribuito.
Un ultimo indizio a favore dell’ipotesi di una funzione funeraria del complesso viene anche dalla
presenza stessa della mensa retta in origine dal sostegno configurato, probabilmente paragonabile alla – perduta – “grande tavola di marmo con cornice” rinvenuta nel monumentale ipogeo Lagrasta I di Canosa, al cui interno potrebbe aver svolto la funzione di sostegno per offerte, come
lascia intendere la “descrizione” di M. Ruggiero riportata da R. Cassano ovvero quella di kylikeion, come ci mostrano talune pitture etrusche e campane.
In ogni caso, è quest’ultimo un paragone che spinge a prendere a riferimento anche taluni altri corredi funerari relativi a personaggi di altissimo livello e dalla composizione altrettanto eccezionale,
ospitati in tombe a camera (o a più camere), come nel caso della tomba lucana tornata in luce nell’estate del 1814 ad Armento, nella Basilicata meridionale, che conteneva fra l’altro la statua in
bronzo di Satiro inginocchiato oggi a Monaco (in realtà il sostegno di un grande vaso o di un altro
manufatto metallico: un particolare non privo d’interesse anche per questa analisi), o di quella, probabilmente apula, che ospitava il gruppo di statue fittili a 2/3 del vero raffiguranti Orfeo e due sirene, oggi allo stesso J. Paul Getty Museum. Possiamo immaginarla non molto diversa da alcuni altri sepolcri monumentali di Canosa che contenevano i gruppi, sempre fittili, di figure oranti.
Sulla scorta di questi precedenti e tenendo conto del fatto che lo stesso ipogeo della Medusa di
Arpi è dotato di tre celle, oltre il vestibolo, che assommano a circa 20 metri quadrati di superficie,
di cui solo sei occupati dai due letti funebri, non appare in definitiva impossibile proporre per il complesso di Ausculum la collocazione in una camera ipogea paragonabile per dimensioni ad altre della medesima area daunia, e capace dunque di contenere l’intera serie di recipienti marmorei.
In questa prospettiva può trovare infine una spiegazione anche la coppia di mensole a voluta ionica che, considerando la frequente presenza di quel tipo di elementi ornamentali sui sostegni di
klinai e seggi quali il trono della “tomba di Euridice” ad Aigai e la kline di Potidea, potrebbe essere riferita a un apprestamento relativo a un letto funebre (di per sé non incompatibile nemmeno
con l’adozione del rituale incineratorio); nella notissima tomba monumentale tracia di Sveshtari, si
può ad esempio notare la presenza di una mensola a sbalzo accanto alla kline di fondo.
In generale, si potrebbe così ipotizzare che almeno una parte degli pseudocontenitori sia stata
posta sulla mensa retta dal sostegno configurato, riservando al cratere sull’alto hypokrateridion
e recante una corona in lamina d’oro, una posizione eminente; il centro della camera (com’è appunto nel caso della tomba 669 di Lavello appena richiamata) poteva essere occupato infine dal
podanipter, forse ricolmo d’acqua per il rituale.
percorso mostra
IL SEGRETO
DI MARMO
THE SECRET
OF MARBLE
FUNZIONE
DEGLI OGGETTI
THE OBJECTS’
USE
I marmi di Ausculum rappresentano, nel loro insieme,
un esempio unico di oggetti da mensa i cui significati
non sono completamente spiegati, un segreto che la
storia della scoperta e del recupero ha solo in parte
svelato.
Alla preziosità del marmo utilizzato, pario e di Afrodisia, si aggiunge il valore della decorazione dipinta ancora ben conservata. Si tratta di oggetti depositati
nella tomba di un personaggio di alto rango, come testimonianza del lusso e della cultura che lo avevano
distinto in vita e ostentazione di uno status symbol
che lo accompagnava anche nell’aldilà.
Tra i numerosi corredi funebri con servizi da banchetto questo si distingue per l’aspetto monumentale delle forme dei vasi deliberatamente privati della capacità di contenere e quindi con funzione prettamente
simbolica.
Le indagini condotte dal Comando Carabinieri Tutela
Patrimonio Culturale (2006) hanno permesso di ricollegare al sostegno di mensa configurato con due grifi che azzannano un cerbiatto ed al bacino podanipter dipinto, conservati già al Getty Museum di Los Angeles, altri 19 elementi di marmo sequestrati nel 1978
dalla Guardia di Finanza. L’intero complesso era stato riportato alla luce da scavatori clandestini nel territorio dell’antica Ausculum (oggi Ascoli Satriano in provincia di Foggia), centro daunio noto per la battaglia
tra Pirro e i Romani nel 279 a.C.
The Ausculum marbles are a unique collection of
tableware objects the significance of which has not
been completely explained; the story of its discovery
and recovery has only partially revealed its secret.
The precious, rare marble used for this type of artifacts, pario and Afrodisia, is enhanced by the wellpreserved painted decoration.
These objects were included in the tomb of a highranking personag to bear witness to the wealth and
intellectual development he enjoyed during his life,
and as a status symbol which accompanied him into
the afterlife.
Of many funeral furnishings with table settings, this
set is outstanding for its monumental vases which
were deliberately created not as containers; they
therefore had a purely symbolic function.
Investigations carried out by the Comando Carabinieri
Tutela Patrimonio Culturale (2006) led to the discovery
of a link between the sculpted base for a table representing two gryphons mauling a fawn, the painted
podanipter basin in the Getty Museum of Los Angeles, and another 19 marble artifacts seized by the
Guardia di Finanza in 1978.
The entire complex was brought to light in the territory of the ancient Ausculum (now called Ascoli Satriano, in the province of Foggia), a Daunian centre
known for the battle between Pirro and the Romans
in 279 BC.
In assenza di dati sul rinvenimento nulla di certo può
essere affermato a proposito della collocazione originaria di questo eccezionale insieme. L’ipotesi più probabile è che si tratti del corredo di una tomba a camera databile nella seconda metà del IV sec.a.C.
In questo contesto il podanipter, nel quale la delicata
decorazione pittorica indica una funzionalità assai ridotta, potrebbe essere stato utilizzato per la sola cerimonia funebre, come contenitore dell’acqua lustrale.
L’incavo praticato nella parte superiore del cratere fa
pensare che potrebbe essere stato usato come cinerario.
Questa ipotesi è rafforzata dalla presenza della corona aurea applicata alla vasca con l’intento di esprimer
l’eroizzazione del defunto. L’appartenenza a una sepoltura monumentale spiegherebbe anche la presenza delle due mensole, riferibili a un letto funebre, come testimoniano in ambito greco analoghi elementi
ornamentali su sostegni di klinai e seggi.
Given the lack of data on the discovery, nothing can
be stated with certainty about the original site of this
exceptional collection.
The most likely theory is that it constituted the furnishings of a chamber tomb datable to the second half of
the IV century B C.
In this context the podanipter, with its delicate painted decoration, suggests very little practical use; it may
have been used solely as a container for lake water
during funeral ceremonies.
The cavity inserted in the top part of the crater seems
to indicate that it may have been used as a cinerarium. This hypothesis is supported by the presence of
the golden crown attached to the basin for the purpose of portraying the deceased as a hero. The fact
that it comes from a monumental burial area would also explain the presence of the two consoles, which
were part of a funeral bed; there are similar ornamental elements on Grecian bases for klinai and seats.
I MARMI
E I COLORI
THE MARBLE
AND ITS
COLOURS
Le indagini petrografiche e geochimiche hanno consentito di identificare i marmi con cui sono realizzati
gli oggetti. Si è infatti evidenziato che la maggior parte dei manufatti è di marmo proveniente dalle cave di
Stephani dell’isola di Paros, le mensole dalle cave di
Lefkes, sempre dell’isola di Paros, mentre il sostegno con grifi risulta essere di marmo di Afrodisia.
I marmi e i colori I marmi sono decorati con una variegata gamma di colori: il rosso, il rosso-violaceo,
l’azzurro, il rosa, il bianco, il beige il giallo, il verde, il
marrone. La decorazione del podanipter fornisce indicazioni sul procedimento pittorico: le figure sono
state realizzate attraverso un disegno preparatorio
con una linea di contorno diversa nello spessore e
nel tono, evidente nel corpo degli animali e nel volto
e nella veste della Nereide meglio conservata.
Le indagini specialistiche hanno permesso di identificare i pigmenti utilizzati per dipingere i reperti di Ausculum.
All’infuori della jarosite e della natrojarosite (giallo
chiaro) compaiono tutti i colori documentati nella pittura del bacino del Mediterraneo: la cuprorivaite (blu
egiziano o azzurro pompeiano) negli azzurri, il cinabro e l’ematite nei rossi, la cerussite e il caolino nel
bianco, la malachite nel verde, mentre il giallo nella
tonalità dorata è prodotto con la goethite. Il violetto è
dato da una lacca composta da un colorante di origine vegetale, la robbia, probabilmente estratta dalle
radici della Rubia tinctorum, assorbita su calcite. I
colori sono utilizzati per lo più puri, la tonalità dipende dal grado di macinazione. Le sovradipinture sono
presenti essenzialmente nel podanipter (nero su blu,
bianco su rosso) dove vanno a delimitare bordi o effetti di chiaroscuro.
L’utilizzo del cinabro, della cerussite e della malachite è segno di una decorazione pregiata. Anche la
scelta del legante pittorico accomuna buona parte
dei marmi di Ascoli Satriano: colla animale e caseina
sono utilizzati nella pittura del cratere a calice, del sostegno e delle mensole. In tutti i manufatti la pellicola pittorica risulta applicata in un unico strato, direttamente sulla superficie del marmo variamente levigata e lucidata.
Petrographic and geochemical studies have identified the type of marble used to make the objects. Studies have shown that most of the artifacts are of
marble taken from the Stephani quarries on the island of Paros, while the consoles are from the Lefkes
quarries on the island of Paros and the base with
gryphons appears to be of Afrodisia marble.
The marble is decorated with many shades of color:
red, purplish-red, sky-blue, pink, white, beige, yellow,
green, and brown. The decoration on the podanipter
provides information about the process used in
painting: the figures were first sketched in different
widths and shades for the outlines, which are evident
on the bodies of the animals and the face and dress
of the Nereid in the best state of preservation.
Specialistic research identified the pigments employed to paint the Ausculum relics. Except for
jarosite and natrojarosite (light yellow), all the colors
in use in the Mediterranean area to paint with are
present: cuprorivaite (Egyptian blue or Pompei blue)
for blues, cinnabar and haematite for reds, cerussite and kaolin for white, malachite for green, while
golden yellow was made with goethite. Violet came
from a lacquer made with madder, a color of vegetable origin which was probably extracted from the
roots of Rubia tinctorum, absorbed on calcite. Most
of the colors used are pure and the shades depend
on how finely they were ground. It is mainly the podanipter that was painted over (black over blue,
white over red) to define borders or create
chiaroscuro effects. The use of cinnabar, cerussite
and malachite show that this is a high-quality decoration. The binder used for painting is the same for
most of the Ascoli Satriano marble: animal glue and
casein were used to paint the chalice crater, the
base, and the consoles. A single layer of paint was
applied to all the artefacts, directly on the surface of
marble that had been sanded down and polished.
LE FORME
SHAPES
IL BACINO
PODANIPTER
CON NEREIDI
THE
PODANIPTER
BASIN AND
THE NEREIDS
Gli oggetti sequestrati, depositati per studio e restauro nei laboratori della Soprintendenza Speciale per i
Beni Archeologici di Roma, hanno permesso di ricomporre otto forme di vasi costituiti dalla sovrapposizione, per semplice incastro, di elementi separati,
realizzati con la tecnica della tornitura e dipinti. I vasi
non presentano alcuna cavità interna, tranne il cratere, e imitano recipienti da mensa utilizzati per versare
liquidi (oinochoai e epichyseis), allo stato attuale senza confronti nella produzione in marmo ma corrispondenti a esemplari di ceramica largamente diffusi nella
produzione ellenistica dell’Italia Meridionale.
Appartengono a forme note anche in marmo il recipiente per acqua (loutrophoros) che rimanda a vasi funerari attici del V-IV sec. a.C. e il cratere per il vino.
The objects which were seized and deposited in the
Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di
Roma laboratories to be studied and restored, were
reassembled into 8 vase shapes that had bee created by overlaying and joining separate layers created
on a lathe and then painting them. With the exception
of the crater the vases are not hollow, and are reproductions of tableware vessels that were used to pour
liquid (oinochoai and epichyseis), of which currently
none exist made of marble; they resemble ceramic
vases that were widely produced in southern Italy during the Hellenistic period. On the other hand the water pitcher and the crater (for wine) are the same as
shapes that have been found made from marble
(loutrophoros), which are reminiscent of Attic funeral
urns from the V-IV century BC.
Anche il bacino su supporto è realizzato a mano libera senza l’uso del tornio. Richiama un tipo di bacile in
bronzo che caratterizza i più sontuosi complessi tombali dell’Italia meridionale, utilizzato sia nei banchetti
che nelle cerimonie sacrificali. L’interno è dipinto con
la scena del trasporto da parte delle Nereidi delle armi di Achille, forgiate da Efesto su richiesta di Teti,
madre dell’eroe. Delle tre figure in groppa a mostri
marini, separati da altrettanti delfini che inseguono pesci più piccoli, è ben leggibile solo quella che reca lo
scudo; le altre portavano rispettivamente l’ elmo e la
spada.
La rappresentazione del trasporto delle armi da parte
di figure femminili è ampiamente diffusa nella decorazione della ceramica, soprattutto apula, a partire dai
primi decenni del IV secolo anche perché prefigura un
momento importante nell’ideologia delle élites italiche:
l’armamento del guerriero da parte di una donna, forse la moglie.
La decorazione del podanipter manifesta un chiaro legame con le pitture, probabilmente di origine tarantina, del sarcofago delle Amazzoni (IV sec. a. C.) conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
The crater with a support was also made by hand
without using a lathe. It is reminiscent of a type of
bronze basin common to the more sumptuous burial
grounds in southern Italy which was used both for
banquets and ceremonial sacrifices.
The inside of the basin is painted with the scene of the
Nereids carrying Achilles’ weapons, forged by Hephaestus at the request of Hera, the hero’s mother.
Of the three figures astride sea monsters, separated
by three dolphins following smaller fish, only the figure
with a shield is distinguishable; of the other two, one
wore a helmet and one carried a sword. Female figures carrying weapons are widely portrayed in ceramic decoration, especially those from Apula, as of the
early IV century, and foreshadow an important period
in the idealogy of the Italic élite: a woman, perhaps a
wife, arming a warrior.
The decoration on the podanipter shows a clear connection with the paintings, probably from Taranto, on
the Amazons’ sarcophagus (c. IV BC), in the Museo
Archeologico Nazionale di Firenze.
IL SUPPORTO
DA MENSA
CON I GRIFI
BASE FOR
A TABLE WITH
GRYPHONS
IL CRATERE
E LA CORONA
D’ORO
THE CRATER
AND THE GOLD
CROWN
Il sostegno di mensa, realizzato in marmo di Afrodisia,
raffigura una coppia di Grifi nell’atto di dilaniare un
cerbiatto. Le grandi ali mascherano gli elementi di sostegno della mensa non conservata.
Il motivo ripropone su grande scala uno schema iconografico noto a partire dalla tradizione figurativa
orientale attraverso classi di materiali diversi, in particolare su oggetti di arredo.
Nella vivacità cromatica spicca l’ampio uso del giallo,
sugli animali. Il verde, di cui restano tracce sulla base,
evoca il contesto naturale della scena, mentre la tonalità tenue del rosa sottolinea le narici del cervo e l’attacco delle piume al corpo dei grifi.
The table base in Afrodisia marble portrays two
gryphons in the act of mauling a fawn. Their great
wings conceal the supporting elements of the table,
which is no longer in existence.
The design reintroduces on a grand scale an iconographic model traceable to the oriental figurative tradition that employed many different types of materials, particularly to make objects used in furnishings.
The lively colour scheme favors the use of yellow on
animals. The traces of green, visible on the base,
evoke a natural environment, while soft pink hues
trace the outlines of the fawn’s nostrils and the base
of the feathers where they are attached to the
gryphons’ bodies.
Il cratere è stato realizzato a mano libera, senza l’uso
del tornio. La vasca era decorata con una corona aurea con foglie e bacche d’edera, applicata a parte,
della quale sono rimaste tracce sul marmo, riapparse
dopo una laboriosa opera di restauro che ne ha consentito la ricostruzione virtuale.
La base ed il sostegno del cratere conservano evident
tracce della decorazione dipinta a motivi geometrici.
The crater was made by hand without the use of a
lathe. The basin was decorated with a golden crown
with ivy leaves and berrie attached separately of
which traces remain on the marble, having reappeared during painstaking restaurations to reconstruct it virtualy.
The crater’s base and support show evident traces of
a painted geometric pattern of decoration.
comunicato stampa
IL NUOVO PROGETTO DI COMUNICAZIONE
DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO
Il nuovo progetto di comunicazione del Museo Nazionale Romano è finalizzato a migliorare la visibilità delle sue quattro sedi, evidenziandone al tempo stesso i contenuti, per promuovere la conoscenza delle collezioni presso un pubblico ampio. Attraverso il logo si propone, inoltre, di esprimere l’identità coerente di un museo unico ma composto, dal carattere moderno e internazionale, che si presenta in modo dinamico, come un continuo evento, risorsa inesauribile e vitale di
cultura, spazio aperto per incontri.
La campagna è volta a sensibilizzare un pubblico diversificato, dagli appassionati di arte antica,
a chi non frequenta abitualmente i musei, con particolare riguardo ai giovani: attraverso stendardi e teloni apposti sulle facciate dei musei e posizionati in alcuni punti nevralgici della città, le opere d’arte escono idealmente dalle sale per diventare parte del paesaggio urbano. Ossia l’arte va
in strada per poi riportare la strada nel museo.
La comunicazione è affidata al potere delle immagini: sono le opere stesse a parlare, attraverso
fotografie che ne valorizzano l’espressività. Alla vitalità dell’arte classica, tema della campagna,
allude infatti una selezione di soggetti, in prevalenza scultorei, presentati come se fossero i protagonisti di pellicole cinematografiche. Una comunicazione ”cinematografica” dei contenuti del
museo è sembrata particolarmente adatta a rappresentare l’auspicio espresso di Salvatore Settis nel libro Futuro del “classico”: “Saper guardare al classico come qualcosa di sorprendente da
riconquistare ogni giorno”.
Nelle immagini il fondo nero rappresenta l’oscurità da cui la vita delle opere riemerge, illuminata
dal nostro sguardo.
“Per bellezza [le opere dell’arte greca] furono subito, già allora, antiche, ma oggi esse ci appaiono fresche, come fossero state appena ultimate. Ne sgorga come una perenne giovinezza che
le conserva immuni dall’assalto del tempo, quasi fossero intrise di uno spirito che fiorisce in perpetuo e di un’anima incapace di invecchiare” testimoniava già in antico lo scrittore Plutarco. Conquistati dalla bellezza, i Romani divennero eredi della cultura greca, contribuendo a diffonderne
la tradizione in Europa e nel mondo.
La bellezza nella civiltà greco-romana non era concepita in senso astratto, ma rifletteva valori etici, culturali e sociali; rammentandoci che non siamo fatti per vivere come bruti e promuovendo
la virtù e la conoscenza, incoraggiando creatività e ingegno nella soluzione dei problemi. Una soluzione all’attuale situazione critica può dunque nascere dall’impegno di una società che riconosca nella cultura un vero e proprio motore dello sviluppo economico. Determinante può essere
per questo la prerogativa del Museo di svolgere la sua reale funzione: quella cioè - come si augurava Giulio Carlo Argan - di rappresentare “un potente mezzo di educazione collettiva, un
centro vivo di cultura”.
Ciascuna sede museale è identificata da un claim: Once were Romans per Palazzo Massimo
e le Terme di Diocleziano, The eternal collections per Palazzo Altemps e The urban discovery per la Crypta Balbi. Mentre gli ultimi due fanno diretto riferimento ai contenuti delle rispettive
sedi, Once were Romans si propone di suscitare tramite lo slittamento temporale il desiderio di
conoscere quel mondo lontano millenni.
Le opere sono presentate con un titolo: giochi di parole che, con un linguaggio fresco e incisivo, tra l’ironia e l’emozione, hanno l’intento di incuriosire e coinvolgere il pubblico, evitando il ricorso a parole come “arte”, “capolavori” e tutto quanto concerne il mondo dell’arte, spesso vissuto come una sorta di club elitario e che rischia di generare indifferenza.
L’arte è in grado di riqualificare l’esperienza umana, dandole senso, a patto però che venga proposta in maniera avvincente. Per un target non user l’arte deve comunicare la vita e non solo l’arte stessa.
Senza la pretesa di esprimere i contenuti e il valore dei musei questo progetto mira a sfatare i
pregiudizi per i quali il museo è un luogo riservato agli specialisti, comunicando con immediatezza le ragioni per cui valga la pena varcare la soglia di quel portone.
ROMANI. NON ANTICHI L’effigie di Augusto, prototipo di un’immagine di potere ancora attuale.
HA SFIDATO ANCHE IL TEMPO: la statua del Pugile, con il volto segnato dai combattimenti dai
quali è uscito vincitore, sopravvissuta ai millenni;
ROMA. ANNO 2010 DOPO CRISTO: attualità di un personaggio romano, il c.d. Generale di Tivoli,
NON SIAMO FATTI DI MARMO: la sensualità di Ermafrodito;
SI COMBATTE ANCORA: La drammatica contemporaneità della scena di battaglia raffigurata sul
sarcofago di Portonaccio, valorizzata dal recente, scenografico riallestimento.
QUEI VOLTI CHE TI RESTANO SCOLPITI: il volto fascinoso di Antino, amato da Adriano, che
l’imperatore fece scolpire innumerevoli volte;
OGGI AFFRONTA ESERCITI DI TURISTI: la statua del c.d. Principe Ellenistico è immaginata come in attesa di uno sguardo non frettoloso, che sappia leggerne l’autentica storia.
ANCHE LORO ERANO TESSERE DI UN MOSAICO: personaggi impegnati in un combattimento
senza fine, protagonisti immortali, tessere di una rappresentazione che comprende anche i visitatori del museo, nel gigantesco mosaico della storia.
LA MORTE HA UNO SGUARDO INNOCENTE: la morte, rappresentata dal sarcofago, non fa
paura; l’attenzione è rivolta al candore dello sguardo del protagonista.
LE EMOZIONI SONO INVISIBILI: un’armatura vuota nella quale siamo noi a immaginare un corpo, e a ricostruirne il contesto e la storia;
I MITI NON SONO MORTI E SEPOLTI: l’idolo siriaco del Gianicolo, che ci trasmette il mistero degli antichi culti;
QUI I ROMANI FANNO ANCORA BAGNI DI EMOZIONE: il monumento-museo delle Terme di
Diocleziano. Dove regnava il potere e la forza, ora regna il silenzio e la pace.
DOVE PASSARONO I ROMANI CRESCE ANCORA L’ERBA: il giardino storico del Chiostro Michelangiolesco nel complesso delle Terme di Diocleziano.
IL PARADISO E’ ANCORA QUI: la rappresentazione dei Campi Elisi dipinta sulla parete di una
tomba
IL PASSATO E’ UN VULCANO MAI SPENTO: non si descrive l’opera, una corona di marmo con
iscrizione, ma l’opera stessa diviene un pretesto per evocare diverse suggestioni.
GLI IMMORTALI ESISTONO: il Galata suicida, paradossalmente immortalato nel suo commovente gesto;
LA BELLEZZA CI SALVERÀ, il valore dell’amore spirituale rappresentato dal gruppo statuario di
Eros e Psiche;
LA CITTA’ SVELA I SUOI SEGRETI: le opere e gli scavi nel complesso archeologico museale della Cripta Balbi
Il progetto è stato realizzato per Electa da Tonino Di Maio e Francesco Iorio
in collaborazione con la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e con le direzioni dei Musei.
comunicato stampa
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
SOPRINTENDENZA SPECIALE PER I BENI ARCHEOLOGICI DI ROMA
I COLORI DELL’ARCHEOLOGIA
LA DOCUMENTAZIONE ARCHEOLOGICA
PRIMA DELL’INTRODUZIONE DELLA FOTOGRAFIA A COLORI
(1703-1948)
TERME DI DIOCLEZIANO, aula X
Inaugurazione 17 dicembre ore 17.30
La mostra I Colori dell’Archeologia racconta, attraverso più di cento disegni e acquerelli, la
storia della formazione della documentazione dei ritrovamenti archeologici dell’Urbe a partire dal
1703 fino al 1948.
L’esposizione, aperta dal 18 dicembre 2009 al 28 febbraio 2010, è curata dall’Archivio Storico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (hppt:// archeoroma.beniculturali.it/ada/) che si è avvalsa di prestiti e di collaborazioni scientifiche dell’Archivio di
Stato di Roma, del Deutsches Archäologisches Institut in Rom e dalla Soprintendenza per
i Beni Archeologici del Lazio.
La registrazione del dato archeologico al momento della sua scoperta e la sua successiva elaborazione costituiscono una fase fondamentale per la conoscenza dei resti antichi: il disegno e,
attraverso di esso, la ricomposizione e la comprensione del manufatto antico, in un periodo
nel quale non vi era altro mezzo per documentare “i colori dell’archeologia”, è protagonista assoluto nella trasmissione della conoscenza. Spesso quel foglio di cartoncino disegnato e acquerellato resterà l’unica testimonianza di un patrimonio archeologico destinato a perdersi.
Molti dei disegni a colori esposti erano portati dagli studiosi alle riunioni scientifiche e accademiche per illustrare e confrontare i ritrovamenti, quali antesignani degli odierni Power Point. A quel
tempo, poi, gli stessi viaggiatori amavano fissare in schizzi, spesso anche in acquerelli, i paesaggi e le rovine, come oggi noi facciamo con le fotografie.
La formazione di questi disegnatori appartiene a due filoni fondamentali: l’uno tecnico,
espresso da architetti/ingegneri o da agrimensori che applicavano codici rappresentativi propri di
altri ambiti disciplinari; l’altro accademico, composto da disegnatori di ornato e acquerellisti che
mutuavano nell’archeologia tecniche appartenenti agli ambiti artistici e decorativi, che si fonderanno fino alla formazione di una prassi autonoma del disegno archeologico.
La mostra illustra le fasi della nascita del documento grafico a colori come parte integrante dell’atto pubblico presso l’amministrazione pontificia; valga per tutti citare il documento più antico,
prezioso prestito dell’Archivio di Stato di Roma, denso di significato per questo anno segnato
dalla tragedia de L’Aquila, costituito dal rilievo dei danni subiti dai resti di un ninfeo romano all’indomani dell’ennesima scossa di terremoto la mattina dell’ 8 maggio del 1703.
È nel corso della seconda metà del ‘700 che si diffonde in Europa, sviluppandosi a grande velocità, l’interesse per l’autenticità del rilievo archeologico come copia della realtà, ad
esempio in Italia attraverso l’operato dei pensionnaires dell’Accademia di Francia a Roma nell’ambito delle grandi scoperte pompeiane, del Piranesi, soprattutto per i monumenti romani, con
l’attività della Society of “Dilettanti” in Grecia o, infine, con le esperienze in ambito protostorico
nei paesi scandinavi. Il colore diventa parte dell’esigenza di autenticità in un discorso che
è scientifico, ma nello stesso tempo strumento per la rappresentazione della realtà, una sorta
di mediazione che, infine, aiuta la visione naturale delle cose.
Centro della mostra risulta anche il fervore delle attività che presiedono alla vita di Roma dal 1870
ai primi decenni del ‘900, con l’esposizione della documentazione dell’immenso patrimonio archeologico che emergeva in quel periodo, ad esempio con la costruzione dei muraglioni del Tevere fino alla creazione della nuova Stazione Termini, negli anni quaranta del Novecento.
Lontana dalla fretta degli scavi urbani risulta, invece, l’esperienza di inizio Novecento degli scavi
nell’area archeologica del Foro romano. Una foto in bianco e nero di una tomba infantile con corredo risalente al VII sec. a.C. venne ritoccata con acquerello in una scrupolosa ricerca dell’aderenza alla realtà, ciò che ritroviamo anche per una fotografia di un corredo funerario protostorico
o per una bellissima veduta del foro verso il Campidoglio. Si esperimenta in archeologia ciò che
avveniva in quel periodo per i ritratti e i paesaggi.
La mostra si conclude con una riflessione sul rapporto tra il rilievo moderno informatizzato e quello manuale tradizionale, con l’auspicio che si trovi un punto di equilibrio tra i due mezzi. Ci si interroga, infatti, sul perché il rilievo CAD di un manufatto archeologico contenga in sé
una rigidità che non può soddisfare la qualità della documentazione. Trattandosi spesso di un
soggetto incompleto (un pezzo di muratura, la parte di una pittura), solo quella mediazione verso una visione naturalistica, nella quale grande parte ha il colore, può condurre alla sua comprensione, così come viene documentato all’inizio di questo percorso intorno al tema del rilievo archeologico a colori.
Paradigmatico il confronto, presente in mostra, tra differenti elaborazioni del volto e dell’acconciatura di Aebutia, fanciulla di cui si è ritrovata la sepoltura a Grottaferrata, eseguite oggi da una
disegnatrice della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio.
La mostra racconta, dunque, un aspetto della storia dell’archeologia romana attraverso i suoi documenti d’archivio e riflette sulla formazione di una cultura scientifica, interessandosi anche alla
vita di coloro che ne furono protagonisti, quei rilevatori, architetti, ingegneri, pittori che lavorarono accanto agli archeologi.
La mostra è allestita nel complesso monumentale delle Terme di Diocleziano di Roma, una
delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano, e ne occupa l’Aula X di recente restaurata e riaperta al pubblico. Si tratta di un grandioso ambiente antico appartenente alle terme romane all’interno del quale si trovano esposti alcuni sepolcri ritrovati nel territorio della città, essi stessi testimonianza diretta del patrimonio archeologico e pittorico in particolare, rappresentato dai
disegni esposti in mostra.
informazioni tecniche
Ingresso
Museo Nazionale Romano delle Terme di Diocleziano
Roma, via Enrico De Nicola 79
Biglietti
Intero 7 euro, ridotto 3,50 euro
Il costo del biglietto può subire variazioni in caso di esposizioni temporanee.
Il biglietto consente l’accesso a tutte le sedi del Museo Nazionale Romano
(Palazzo Massimo alle Terme - Crypta Balbi – Palazzo Altemps)
ed è valido per 3 giorni
Orari di apertura
Dal 18 dicembre 2009 al 28 febbraio 2010
Orario: ore 9 – 19,45
Chiuso il lunedì, 25 dicembre e 1 gennaio
Informazioni
http://archeoroma.beniculturali.it/luoghi/museo_nazionale_romano/terme_diocleziano/
tel. +39.06.39967700
www.pierreci.it
Catalogo
Edizioni Quasar 36,00 euro
Ufficio stampa
Gabriella Gatto
tel. +39 06 42029206
Via Sicilia 154 – 00187 Roma
[email protected]
Enrica Steffenini
tel. +39.02.21563433
[email protected]
colophon
I COLORI DELL’ARCHEOLOGIA
La documentazione archeologica prima
dell’introduzione della fotografia a colori
(1703-1948)
Museo Nazionale Romano
delle Terme di Diocleziano
Roma, via Enrico De Nicola 79
18 dicembre 2009 – 28 febbraio 2010
La mostra è stata promossa dalla
Soprintendenza Speciale
per i Beni Archeologici di Roma
in collaborazione con
Deutsches Archäologisches Institut
in Rom
Archivio di Stato di Roma
Soprintendenza
per i Beni Archeologici del Lazio
Con il contributo di
Air Dolomiti
Gruppo CAM
Sponsor tecnico
In Più Broker
Cura della mostra e del catalogo
Luigia Attilia e Fedora Filippi
Allestimento a cura di
Marina Magnani Cianetti
Soprintendenza Speciale
per i Beni Archeologici di Roma
Soprintendente
Angelo Bottini
testo dal catalogo
Si aggiunge, con questa esposizione, un nuovo tassello alla riflessione avviata dall’Archivio storico della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, sulla storia dell’Ufficio di tutela, dei suoi protagonisti e sui modi nei quali essi si sono inseriti e hanno contribuito allo sviluppo dell’archeologia romana.
Se il tema centrale della prima esposizione del 2007 – l’opera di Italo Gismondi, un “architetto
per l’archeologia” – indusse a una riflessione sul rapporto tra differenti discipline, il tema di oggi
– la documentazione a colori prima dell’introduzione della fotografia a colori – ci porta nel cuore
della formazione di una attività fondamentale per la registrazione e la comprensione del dato archeologico al momento della sua scoperta: il disegno, e attraverso di esso, la ricomposizione e
la comprensione del manufatto antico, interessandosi a un periodo nel quale non vi era altro mezzo per documentare “i colori dell’archeologia”, spesso nella consapevolezza che quel foglio di
cartoncino disegnato e acquerellato sarebbe rimasto l’unica testimonianza di un patrimonio archeologico destinato a perdersi, come in effetti fu in diverse occasioni.
Emerge con chiarezza, dalla lettura delle carte d’archivio, la consapevolezza diffusa, espressa soprattutto dai tanti architetti, ingegneri e pittori che lavoravano alla documentazione dei grandi scavi
urbani legati alle trasformazioni della città della fine dell’’800, della precarietà dell’oggetto archeologico, della fretta continua alla base del loro agire, caratteri che, dobbiamo ammettere, permangono
tuttora nel nostro lavoro. La formazione di questi disegnatori, organici ai ruoli dell’Amministrazione o
collaboratori occasionali, risulta appartenere, come si coglie nei saggi e leggendo le note biografiche
di circa una ventina di essi, a due filoni fondamentali: l’uno tecnico, espresso da architetti/ingegneri
o da agrimensori che applicavano codici rappresentativi propri di altri ambiti disciplinari; l’altro accademico, composto da disegnatori di ornato e acquerellisti che mutuavano nell’archeologia tecniche
appartenenti agli ambiti artistici e decorativi. Fu in un certo senso dalla fusione tra questi due filoni
che possiamo intravvedere la formazione di una prassi del disegno archeologico, che – riteniamo –
solo molto più tardi sarà assoggettata a metodo e procedure indipendenti.
Questo tema centrale è stato sostenuto e inquadrato nella ricerca da due contributi che ne hanno costituito la premessa storica, il primo, e l’esito contemporaneo, il secondo. I contributi offerti alla mostra dall’Archivio dello Stato di Roma e dall’Istituto Archeologico Germanico di Roma,
permettono di comporre, sebbene solo per accenni, il quadro anteriore alla formazione dello Stato unitario, a partire dall’inizio del ’700. Nel proprio saggio, Daniela Sinisi ricostruisce, su base
documentale, la nascita del documento grafico a colori come parte integrante dell’atto pubblico
presso l’amministrazione pontificia; aspetto che, in modo così denso di significato nei giorni in
cui scriviamo, apre la mostra con il rilievo dei danni subiti dai Trofei di Mario all’indomani dell’ennesima scossa di terremoto la mattina dell’8 maggio del 1703. Non si tratta ancora come vedremo di un rilievo propriamente di interesse archeologico; ciò che interessa è la documentazione
amministrativa dello stato di conservazione di un bene patrimoniale. Ma il riconoscimento dell’importanza del disegno per le Antichità si trova già in un editto del 1704 che prescriveva l’esecuzione della documentazione grafica per “quelle cose che non si potranno conservare”.
È nel corso della seconda metà del ‘700 che si diffonde in Europa, sviluppandosi a grande velocità, l’interesse per l’autenticità del rilievo archeologico come copia della realtà, ad esempio in
Italia attraverso l’operato dei pensionnaires dell’Accademia di Francia a Roma nell’ambito delle
grandi scoperte pompeiane, del Piranesi soprattutto per i monumenti di Roma, con l’attività della Society of “Dilettanti” in Grecia o, infine, con le esperienze in ambito protostorico nei paesi
scandinavi. Il colore diventa parte dell’esigenza di autenticità in un discorso che è scientifico, ma
nello stesso tempo strumento per la rappresentazione della realtà, una sorta di mediazione che,
infine, aiuta la visione naturale delle cose.
Di questo clima internazionale sono esito alcuni disegni a colori risalenti ai primi decenni dell’’800,
legati agli esponenti del periodo francese, come i preziosissimi rilievi degli ipogei del Colosseo di
Luigi Maria Valadier, o quelli commissionati dall’Istituto di Corrispondenza Archeologica di Roma
relativi a rilievi di pavimenti decorati.
Accanto a questo tema centrale, alcuni progetti – mai realizzati – per una città nuova, come quello di un quartiere sulla nuova strada tra via del Corso e il Colosseo di John Olivier York e quello
per la Stazione ferroviaria Roma – Frascati di Antonio Cipolla, illustrano quanto alla metà dell’’800
l’archeologia, anche se talora in secondo piano, fosse parte della struttura urbana, forse più di
quanto non lo sia oggi.
Centro della mostra risulta il fervore delle attività che presiedono la vita di Roma dal 1870 ai primi decenni del ‘900, i cui risvolti storici nell’ambiente accademico e universitario romani sono
esaminati nel saggio di Marina Magnani Cianetti.
Alla documentazione dell’immenso patrimonio archeologico che emergeva dai grandi scavi urbani, come ad esempio quelli collegati alla costruzione dei muraglioni del Tevere, all’apertura dei
nuovi corsi, alla creazione, infine, della nuova Stazione Termini, negli anni quaranta del Novecento, sono dedicate molte pagine del Catalogo, anche nell’intento di illustrare bene quei disegni,
sovente sacrificati nelle pubblicazioni scientifiche.
Vennero alla luce in quel periodo, spesso in condizioni proibitive per uno scavo archeologico, i
più importanti cicli pittorici antichi ritrovati a Roma, dalle pitture del ciclo dell’Odissea rinvenute in
via Graziosa, presso l’attuale Via Cavour, alle decorazioni parietali della villa della Farnesina, lungo il Tevere, alla domus della Stazione Termini e a tanti altri interventi distribuiti sul territorio di Roma. Dalla lettura degli atti d’archivio, dagli appunti manoscritti deriva in noi la consapevolezza di
quanto poco sia rimasto rispetto a quanto fu trovato e l’insegnamento di quanto sia fondamentale il “tempo della documentazione”, l’opportunità non negata. Ciononostante, guardando oggi
quegli acquerelli, spesso destinati alle pubblicazioni, dobbiamo ammetterne la grande qualità
tecnica e artistica, sostenuta dal rigore del rilievo e la cura per la resa esatta del tono del colore
nel caso delle pitture. Anche gli ultimi acquerelli più impressionistici del Cartocci, sono soggetti
alla validazione del Paribeni per quanto riguarda la rappresentazione dei singoli toni di colore, come si rileva dagli appunti a matita presenti sui margini di molti di essi.
Di grande interesse è l’esposizione per la prima volta della ricomposizione delle dieci tavole originali di Pietro Narducci sugli scavi eseguiti per la realizzazione della fognatura in via di San Gregorio per la lunghezza complessiva di 13 metri.
Lontana dalla fretta degli scavi urbani, risulta invece l’esperienza, di inizio Novecento del Boni e
dei suoi rilevatori/fotografi all’interno dell’area archeologica del Foro Romano. Una foto in bianco
e nero di una tomba infantile con corredo risalente al VII sec. a.C. venne ritoccata con acquerello
in una scrupolosa ricerca dell’aderenza alla realtà, ciò che ritroviamo anche per una fotografia di
un corredo funerario protostorico o per una bellissima veduta del foro verso il Campidoglio. Si
esperimenta in archeologia, ciò che avveniva in quel periodo per i ritratti e i paesaggi. Al contrario
una veduta del Niger Lapis realizzata ad acquerello monocromo, sembra ricercare la resa fotografica con l’impiego del colore seppia che ben si adatterà alla pubblicazione in bianco e nero.
Infine l’oggi, esaminato nel saggio di Sergio Sgalambro, vede al centro dell’interesse il tema del
rapporto tra il rilievo moderno informatizzato e quello manuale tradizionale, fino alla conclusione,
che ci auguriamo possa costituire fonte di approfondimento, sulla necessità di un punto di equilibrio tra i due mezzi. Si interroga giustamente Sgalambro sul perché il rilievo CAD di un manufatto archeologico contenga in sé una rigidità che non può soddisfare la qualità della documentazione. Trattandosi quasi sempre di un soggetto incompleto (un pezzo di muratura, la parte di
una pittura), solo quella mediazione verso una visione naturalistica, nella quale grande parte ha il
colore, può condurre alla sua comprensione, così come era stato esperimentato all’inizio di questo percorso intorno al tema del rilievo archeologico a colori. In tal senso ci sembra paradigmatico il confronto, presente in mostra, tra differenti elaborazioni del volto e della acconciatura di
Aebutia, fanciulla di cui si è ritrovata la sepoltura a Grottaferrata, eseguite oggi da una disegnatrice della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio.
In conclusione, l’ultimo obiettivo della ricerca, ha visto la ricomposizione della storia professionale e delle vicende personali di circa una ventina di disegnatori che nei vari periodi parteciparono
alla storia dell’archeologia romana: ne emerge un quadro di formazione, di aspirazioni, di traversie, di soddisfazioni e di grande impegno, che crediamo costituisca un valore per la storia culturale, ma anche sociale della città e in particolare della Pubblica Amministrazione.
Si ringraziano gli Istituti che hanno concesso i prestiti consentendo un notevole arricchimento dei
contenuti della mostra: per l’Archivio di Stato di Roma, si ringraziano in particolare il Direttore Eugenio Lo Sardo e l’Archivista Daniela Sinisi; per il Deutsches Archäologisches Institut in Rom, il
Direttore Henner von Hesberg e il Direttore dell’Archivio Thomas Fröhlich; per la Soprintendenza
per i Beni Archeologici del Lazio, la Soprintendente Marina Sapelli Ragni e l’Architetto Sergio
Sgalambro. Ringrazio inoltre Rosanna Friggeri, Direttore del Museo Nazionale Romano alle Ter-
me di Diocleziano e Marina Magnani Cianetti, Direttore Tecnico del Monumento per aver accolto
con piena liberalità l’esposizione nella prestigiosa Aula X. Sono grata a Alessandra Capodiferro e
Miriam Taviani per la piena collaborazione accordata relativamente ai disegni riguardanti l’area del
Palatino – Foro Romano. Sono grata a Harald Mielsch per i preziosi consigli. Ringrazio inoltre Luisa Salvatori dell’Archivio di Stato di Roma; Angela De Pace per aver collaborato nelle fasi iniziali
della preparazione della mostra; Luciano Mandato per aver eseguito con perizia le foto del Catalogo; l’Assistente Luca Capannelli per aver risolto molti problemi e Bartolomeo Mazzotta per
aver contribuito alla correzione delle bozze di stampa.
Sono, infine, grata a tutti gli Autori per la piena disponibilità che ha garantito la realizzazione del
lavoro.
Questa mostra non sarebbe stata possibile senza il sostegno e la generosità della Società CAM
che ha consentito la realizzazione di questo volume a colori indispensabile per la valorizzazione
del patrimonio iconografico.
Ottobre 2009
Fedora Filippi
comunicato stampa
ARCHEOLOGIA E NATALE
Passato e memoria incontrano il teatro per una straordinaria rappresentazione scenica.
Tempio di Romolo al Foro Romano e Casa di Livia al Palatino palcoscenico dei natali dell’Impero Romano.
Dal 19 dicembre 2009 al 6 Gennaio 2010.
Leggenda e mistero s’intrecciano da sempre alla storia dei luoghi che hanno visto nascere Roma. In un percorso in cui passato e memoria incontrano il teatro e grazie al teatro vivono di luce
nuova, i visitatori del Foro Romano e del Palatino potranno vivere un’emozionante esperienza nel
cuore della città millenaria.
Durante le prossime festività natalizie la Soprintendenza, in collaborazione con Pierreci ed Electa, propone un ciclo di letture e interpretazioni di testi classici con visite in tema, in luoghi dell’area archeologica centrale particolarmente evocativi, solitamente chiusi al pubblico e che per
l’occasione verranno riaperti.
Giovani attori daranno voce a grandi autori come Marziale e Shakespeare, interpretando parole
e sentimenti senza tempo su due palcoscenici d’eccezione: il tempio di Romolo al Foro e la Casa di Livia al Palatino.
Il natale dell’Impero e il suo protagonista assoluto, Augusto, verranno raccontatati all’interno
della Casa di Livia. In questo luogo, grazie ai testi originali di Shakespeare, si incontreranno Bruto, l’antieroe per eccellenza il difensore di un mondo, quello della Repubblica, ormai tramontato,
e l’eroe per antonomasia: Antonio, colui il quale difese fino all’ultimo Cesare e ne fu il primo vendicatore. Un vincitore solo apparente, che dovrà soggiacere all’arte politica e propagandistica di
Ottaviano.
La visita sarà quindi l’occasione per un viaggio attraverso la storia di Roma, narrata da un archeologo, a partire dalla Roma arcaica delle origini, che trova le sue testimonianze nelle vicinissime capanne romulee, fino alle vicende della Repubblica e della sua fine.
L’origine del Natale, il passaggio dalla cultura classica antica a quella del medioevo sarà l’argomento guida della visita al Tempio di Romolo al Foro Romano. I testi di Marziale e di altri autori
antichi permetteranno di illustrare il passaggio dai Saturnalia romani al Natale in un luogo dove le
strutture del tempio tardo romano, diventate il vestibolo della chiesa dei SS. Cosma e Damiano,
testimoniano lo stesso passaggio dal punto di vista architettonico e funzionale.
Il programma
Dal 19 dicembre al 6 gennaio le rappresentazioni saranno offerte gratuitamente nella fascia oraria mattutina, in italiano e inglese a siti alterni, per la durata di circa un’ora.
In caso di molte richieste l’organizzazione proporrà ulteriori visite nel primo pomeriggio.
Il progetto è curato dagli archeologi di Pierreci e dalla Compagnia del Teatro Reale, già attiva in
progetti simili ad Ostia Antica, per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ostia,
ed a Villa Adriana per la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio.
I costumi sono di Gabriel Mayer di G.P.11 che ha firmato importanti spettacoli televisivi, cinematografici e teatrali e film storici vestendo attrici come Sofia Loren, Rossella Falk, Ursula Andress,
Mariangela Melato, Annamaria Guarnieri, Carla Fracci, Claudia Cardinale, Raffaella Carrà e tanti
altri personaggi.
Per informazioni e prenotazioni telefono 0639967700, www.pierreci.it
Il Tempio di Romolo
Il tempio del Divo Romolo si trova nell’area archeologica del Foro Romano, a Roma, sulla Sacra
via summa, tra il tempio di Antonino e Faustina e la basilica di Massenzio. In origine venne costruito come vestibolo circolare di accesso al Tempio della Pace, ma dopo l’abbandono del complesso imperiale, Massenzio lo riutilizzò come tempio dedicato al figlio, Valerio Romolo, prematuramente scomparso nel 309 e divinizzato. In seguito, quando un’aula del Tempio della Pace
venne trasformata nella basilica dei Santi Cosma e Damiano nel VI secolo, fu utilizzato come vestibolo della chiesa. La porta bronzea di accesso è una delle poche romane sopravvissute, e presenta un meccanismo ancora funzionante. Essa è affiancato da due colonne di porfido rosso con
capitelli corinzi in marmo bianco che sorreggono una trabeazione riccamente decorata di reimpiego, così come la cornice, anch’essa rifinita da dettagli pregiati. All’interno alcuni affreschi risalenti al XIII secolo e al Rinascimento. Dalla vetrata del fornice si possono vedere i mosaici dell’arco trionfale della chiesa dei SS. Cosma e Damiano della fine del VII secolo.
La casa di Livia
La cosiddetta “Casa di Livia” è una delle case repubblicane rimaste sul colle Palatino, scavata
dal 1869. L’attribuzione della casa alla moglie di Augusto è priva di reale fondamento e risale ai
primi scavi condotti da Pietro Rosa su incarico di Napoleone III. Essa è basata solo sulla traccia
del nome generico sulla tubatura e da elementi circostanziali come la vicinanza alla Casa di Augusto. In ogni caso non si tratta della casa dove Livia visse col primo marito Tiberio Nerone, ma
forse di un appartamento ad essa riservato nella casa del marito, che era un agglomerato di numerose case più antiche. L’edificio si trova poco distante dal tempio della Magna Mater, sull’estremità occidentale del colle, su una terrazza più bassa del tempio e su un terreno lievemente in pendenza. Dall’ingresso odierno si accede a un cortile rettangolare con pilastri che dovevano sostenere una tettoia e dei quali oggi restano solo le basi. Il tablino, posto tra altre due stanze che si affacciano sul cortile, doveva essere il passaggio di comunicazione tra le due parti della casa. Qui e nei due ambienti adiacenti si è conservata una famosa decorazione ad affreschi di
secondo stile databili al 30 a.C.
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