Intervento A. Di Lorenzo

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Intervento A. Di Lorenzo
Vicende collezionistiche, oblio e fortuna del Ritratto di giovane donna di Piero del Pollaiolo del Museo
Poldi Pezzoli, fra Otto e Novecento
Il Ritratto di giovane donna di Piero del Pollaiolo del Museo Poldi Pezzoli, intorno al quale è stata
ideata questa mostra, ha conosciuto una notevolissima fama a partire dalla fine degli anni settanta
dell’Ottocento, quando viene acquisito da Gian Giacomo Poldi Pezzoli, della cui collezione diventa ben
presto una delle opere più apprezzate e rinomate 1. Già allo scadere del XIX secolo, per spontanea
elezione della critica specialistica e dei visitatori, assurge al ruolo di vera e propria icona del Museo
Poldi Pezzoli, aperto al pubblico nel 1881. È a partire da questi anni che il dipinto assume una valenza
emblematica, che mantiene ancora oggi, quale simbolo ideale del fascino esercitato dal Rinascimento
fiorentino. Fino all’ottavo decennio dell’Ottocento era però, abbastanza sorprendentemente, quasi del
tutto sconosciuto, e si fa una certa fatica a rintracciarne delle menzioni, ancorché fugaci, nelle fonti
manoscritte e a stampa.
Nei decenni centrali dell’Ottocento il dipinto era già custodito a Milano, nella collezione
Borromeo, come attesta Giovanni Battista Cavalcaselle: lo studioso lo raffigura, insieme ad alcune al tre
opere della collezione di Giberto VI (1815-1885), che evidentemente lo avevano colpito e che egli
riteneva particolarmente rilevanti, in uno dei suoi tipici schizzi di riproduzione eseguiti a penna, che
reca in calce la dicitura “Casa Borromeo / Milano”: nel foglio, non datato, sono appuntate dallo
studioso, come d’abitudine, alcune osservazioni: il ritratto è “rilevato”; i “capelli”, su cui compaiono
delle “perle”, sono “rilevati ad asfalto”; la veste, dal “panneggio naturale”, è di colore “verde”, com e il
fondo del quadro; la manica è di colore “rosso” e decorata con “fiori”; il dipinto, in cui anche il
“fondo” è “rilevato”, è eseguito con uno “smalto denso” e secondo Cavalcaselle “sente del Pietro [ della
Francesca] ma è più duro” 2. La tavola era verosimilmente pervenuta a Giberto VI nel 1830, con il
legato della cospicua raccolta di opere d’arte antica costituita nei primi decenni dell’Ottocento da
Giovanni Battista Monti, il segretario amministrativo dei Borromeo 3: dopo l’acquisizione del lascito la
collezione, denominata “Pinacoteca Borromeo-Monti” (come si desume dai grandi cartellini a stampa
apposti sul retro dei dipinti al momento della loro inventariazione, che recano al centro lo stemma
Borromeo), fu allestita nel palazzo della casata a Milano, mentre le opere appartenenti alla raccolta di
famiglia furono trasferite in blocco nel palazzo dell’Isola Bella; non è inoltre noto che Giberto VI
Borromeo abbia acquistato altri pezzi da aggiungere agli oltre quattrocento che aveva ricevuto da
Monti4. Il dipinto, tuttavia, non compare nelle descrizioni delle opere più importanti della raccolta
Borromeo di Milano redatte da Otto Mündler e Charles Lock Eastlake, nei loro taccuini manoscritti,
negli anni cinquanta e sessanta 5. Sembra davvero strano che al travelling agent e al direttore della
National Gallery di Londra – i quali, fra i più abili ed esperti connoisseurs del XIX secolo, battevano
indefessamente l’Italia e l’Europa per scovare nelle raccolte private i dipinti antichi che potessero, per
l’elevata qualità e l’impeccabile stato di conservazione, essere “eligible” per la pinacoteca nazionale
inglese – sia potuta sfuggire un’opera di questa importanza. Nemmeno Cesare Cantù nel 1844,
Giovanni Morelli nel 1861 e Gaetano Gualandi nel 1862 menzionano fra i dipinti della collezione
Borromeo di Milano il ritratto oggi al Museo Poldi Pezzoli 6. È probabile dunque che quest’ultimo fosse
custodito da Giberto VI Borromeo non nella galleria della sua dimora, insieme alle altre opere della
raccolta, ma in un ambiente privato, a cui pochi erano ammessi; non si può però neanche escludere del
tutto che l’opera in realtà non fosse fra quelle pervenutegli con il legato Monti, e che egli l’abbia
acquisita soltanto dopo l’ultima visita di Eastlake alla sua collezione, avven uta nel 1863.
Qualche tempo dopo avere ammirato il profilo femminile presso i Borromeo e averlo
riprodotto nel suo disegno, Cavalcaselle aggiunge a matita sullo stesso foglio di averlo “veduto nel
1875 da Poldi”, implicando quindi che Gian Giacomo Poldi Pezzoli ne era entrato nel frattempo in
possesso. La presenza del dipinto nella collezione Borromeo e il suo successivo passaggio in casa
Poldi Pezzoli sono menzionati da Cavalcaselle, allo scadere del secolo, anche nell’ottavo volume
dell’edizione italiana della Storia della pittura in Italia da lui firmata insieme a Joseph Archer
Crowe, al termine del capitolo su Piero della Francesca. Vale la pena riportare integralmente
questo brano, in cui lo studioso riutilizza le note che aveva appuntato sul disegno pi ù di vent’anni
prima 7 , poiché si tratta di una delle prime descrizioni dettagliate del quadro pubblicate nella
letteratura critica: “In casa Borromeo a Milano vi si trova un busto, dipinto su tavola, di una donna
vestita signorilmente con perle intrecciate fra i capelli raccolti attorno alla testa, e con catenella
ornata di un gioiello al collo. Il farsetto è verde, e la manica della sottoveste è rossa tessuta a
fiorami. Stacca sul fondo verde, ed è di poco inferiore alla grandezza naturale. In questo ritra tto si
scorge molto smalto di colore unito a una certa durezza, che per il solito non si trova nei dipinti di
Piero. Anche il disegno e le forme hanno caratteri diversi da quelli soliti del nostro pittore, ma non
sappiamo dire chi possa aver dipinto questo ritratto. Il quale dal palazzo Borromeo passò a far
parte della galleria Poldi-Pezzoli, pure in Milano; e, come opera di Piero della Francesca, è
indicato col n. 21. Il catalogo dice che da un lato, sul rovescio della tavola, eravi l’iscrizione:
Uxor Ioannes De Bardi” 8 . La tavola non compare fra le trentuno opere della collezione Poldi
Pezzoli, scelte fra quelle di maggior rilievo, presentate nella sala VI della prestigiosa mostra delle
opere d’arte antica appartenenti alle principali raccolte private mila nesi, tenutasi tra l’agosto e
l’ottobre del 1872 nel palazzo di Brera a Milano 9 . Con ogni probabilità fu acquistata dal
collezionista milanese dopo quella data – ma in ogni caso entro il 1875, come abbiamo visto –
dato che sembrerebbe da escludere che un’opera di questa importanza non fosse stata selezionata
per essere esposta al pubblico. È ricordata presso Gian Giacomo Poldi Pezzoli anche nel catalogo
manoscritto delle opere delle collezioni private milanesi compilato fra l’estate del 1874 e il
febbraio del 1878, forse insieme a Giovanni Morelli, da Gustavo Frizzoni, che ne sposta
l’attribuzione da Piero della Francesca a Filippo Lippi e ne fornisce una stima venale
estremamente elevata: “Profilo di giovane Signora, busto, senza mani, attribuito a Piero de lla
Francesca, cui non appartiene, manifestando invece il fare di Fra Filippo Lippi. Buona
conservazione. Valore £ 20 mila” 10 . Un’iscrizione presente sul retro della tavola al momento della
sua acquisizione da parte di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, ben prest o eliminata in quanto ritenuta
apocrifa, è trascritta nei primi cataloghi del Museo Poldi Pezzoli con l’errata lezione “Uxor
Joannes De Bardi” 11 – riferita anche da Cavalcaselle nell’edizione italiana della Storia della
pittura in Italia, come abbiamo visto – che ha indotto a ricerche infruttuose per cercare di
identificare il consorte della fanciulla effigiata in uno dei membri della cospicua e ramificata
famiglia fiorentina dei Bardi 12 . L’iscrizione, fortunatamente registrata più fedelmente prima della
sua cancellazione nel citato disegno di Cavalcaselle 13 e in un foglietto conservato presso
l’Archivio della Fondazione Brivio Sforza di Milano 14 , in realtà recitava: “uxor iohannis cunii
barbiani comitis” e individuava nell’effigiata la sposa non di Giovanni Bardi, bensì di Giovanni da
Barbiano, conte di Cunio, appartenente dunque alla famiglia Barbiano di Belgioioso 15 . Inoltre,
come riferiscono alcune fonti, all’inizio del Novecento presso la Biblioteca Trivulziana, all’epoca
ancora custodita presso la famiglia Trivulzio, erano conservati alcuni ritratti eseguiti a penna su
carta, databili verso la fine del Settecento, che raffiguravano personaggi femminili di casa
Barbiano di Belgioioso: uno di essi era una copia fedele della fanciulla oggi al Museo Poldi
Pezzoli ed era accompagnato da una scritta che lo identificava appunto con l’effigie della moglie
di Giovanni II Barbiano di Belgioioso 16 . Le ricerche svolte presso l’Archivio Primogeniale
Belgioioso di Merate e l’Archivio della Fondazione Brivio Sforza di M ilano, per le quali ringrazio
sentitamente Alessandro Brivio Sforza e Alessandra Squizzato, hanno permesso di verificare che il
dipinto oggi al Poldi Pezzoli nei primi anni del XIX secolo era effettivamente custodito nella
collezione Barbiano di Belgioioso a Milano, recava un riferimento a Bramante ed era ritenuto
l’effigie della sposa di Giovanni II Barbiano di Belgioioso. Come tale è menzionato in un
inventario, databile fra il 1803 e il 1813, dei quadri di proprietà di Alberico XII Barbiano di
Belgioioso d’Este (1725-1813) 17 nella seconda galleria del palazzo di Milano: “14. In piedi di
palmi 6, e diti 9 – con cornice intagliata dorata in tavola rappresentante un Ritratto antico della
moglie di Giovanni Conte di Cunio di Barbiano del Bramante” 18 . Il documento gli accostava, a
costituire un pendant, il ritratto, dalle stesse misure, di un personaggio maschile: “In piedi, di
palmi 6, e diti 9 – con cornice intagliata dorata in tavola rappresentante il Ritratto di Giovanni
Conte di Cunio di Barbiano di Belgioioso del Bramante” 19 . I due dipinti sono citati, nella Stanza
gialla del palazzo Belgioioso di Milano, anche nell’inventario dei quadri redatto nel 1814, dopo la
morte di Alberico XII, con stime e attribuzioni di Giuseppe Bossi: “805 –22. Quadretto in tavola
rappresentante il ritratto di Galeazzo Maria figlio di Francesco I Sforza. Del fratello di Ambrogio
Fossani £ 12 – N.B. Vi è stato scritto male a proposito il nome di Giovanni di Cunio”; “805 –27.
Ritratto in tavola rappresentante una donna in profilo. Si dice la moglie di Giovanni di Cunio £
18” 20 . Bossi attribuisce dunque il ritratto maschile a Bernardino Bergognone, fratello minore del
più noto Ambrogio, e ne identifica il personaggio effigiato in Galeazzo Maria Sforza; non si può
non ricordare a questo proposito che il più rilevante ritratto pittorico di Galeazzo Maria Sforza che
ci sia pervenuto, oggi conservato agli Uffizi e un tempo nella collezione di Lorenzo de’ Medici nel
palazzo di via Larga 21 – modello per la replica di Cristoforo dell’Altissimo appartenente alla serie
gioviana degli Uffizi, in cui è inscritta la legenda “galeacius maria Sfortia mediolani dux” – è
dovuto alla mano di Piero del Pollaiolo 22 : non è escluso che il dipinto su tavola un tempo in casa
Barbiano di Belgioioso ne costituisse a sua volta una derivazione. L’esiguo valore venale –
soltanto 18 lire – assegnato da Bossi a un dipinto di straordinaria qualità quale il ritratto di Piero
del Pollaiolo oggi al Museo Poldi Pezzoli è un chiaro segnale della scarsa considerazione che le
opere d’arte antica, a parte rare eccezioni, godevano presso i collezionisti e gli amatori all’inizio
dell’Ottocento. Nello stesso inventario sono descritte anche altre opere degne di interesse:
“805–21. Quadretto in tavola rappresentante un ritratto in p rofilo di Ambrogio Fossani detto il
Bergognone – £ 50”, che ci piacerebbe poter rintracciare, e la Susanna e i vecchioni di Bernardino
Luini oggi all’Isola Bella, già nella collezione Borromeo di Milano, proveniente dal legato di
Giovanni Battista Monti: “805–8. Piccolo quadro in tavola rappresentante mezza figura di donna
quasi ignuda, ed in qualche distanza vedesi una testa di vecchio. Sembra stato diminuito
lateralmente, e forse rappresentava la Storia di Susanna. Opera pregevole di Bernardino Luino £
300” 23 . Nel corso della grande vendita degli effetti mobiliari di Alberico XII effettuata dai suoi
eredi fra il primo agosto e il 14 ottobre 1814, in seguito alla quale il palazzo Belgioioso di Milano
venne praticamente svuotato di tutti i suoi arredi, fu al ienata anche la Susanna di Luini: “n. 805
sub 8. Un piccolo quadro in tavola rappresentante una mezza figura di donna quasi ignuda – opera
del signor Bernardino Luini aggiudicato al suddetto signor Ravetta per lire trecento – £ 300
centesimi 00” 24 . In una pagina precedente del documento, quando cade la prima occorrenza del suo
nome, si scopre che il “sig. Ravetta” si chiamava Carlo e risultava abitare nella parrocchia di
Santa Maria della Rosa a Milano 25 . Anche i due ritratti su cui ci siamo soffermati vengono venduti
in questa occasione, uno dei quali allo stesso Carlo Ravetta, come attesta il documento: “Un
quadro in tavola rappresentante il ritratto di Galeazzo Mario [ sic] figlio di Francesco primo Sforza
del fratello di Ambrogio Fossani aggiudicato al suddetto Ravetta per lire diciotto e centesimi 50 –
£ 18 centesimi 50” 26 ; “Ritratto in tavola rappresentante una Donna in profilo si dice di mano di
Giovanni Cuneo [sic] aggiudicato al suddetto signor Bassano per lire sessantotto – £ 68 centesimi
00” 27 . Evidentemente i compilatori di questo inventario, in cui il ruolo di perito era svolto da
Giulio Galletti, avevano male interpretato l’iscrizione in latino apposta sul retro e avevano pensato
che Giovanni Cunio fosse l’autore del dipinto; non conosciamo purtro ppo il nome di battesimo di
questo “sig. Bassano”, che in un altro punto del documento è dichiarato “di Gorla” 28 . Ravetta fu
l’acquirente anche del presunto ritratto di Bergognone: “805 sub 21. Un quadretto in tavola
rappresentante il ritratto di Ambrogio Fossani detto il Borgognone aggiudicato al detto signor
Ravetta per lire centoundici – £ 111 centesimi 00”. Con ogni probabilità poco dopo questa data il
ritratto femminile di Pollaiolo oggi al Museo Poldi Pezzoli e la Susanna di Luini della collezione
Borromeo furono acquistati da Giovanni Battista Monti; è anche possibile, dato che Carlo Ravetta
e Bassano risultano del tutto sconosciuti agli studi di storia del collezionismo, che questi ultimi
fossero dei suoi prestanome, incaricati di effettuare gli acqu isti per suo conto. Fra i quadri antichi
provenienti dalla collezione di Alberico XII Barbiano di Belgioioso d’Este possono essere
ricordati – oltre alla celebre Madonna Litta di Giovanni Antonio Boltraffio oggi all’Ermitage,
venduta ad Alberico XII da Giuseppe Ro nel 1784 e acquisita per via ereditaria da Antonio Litta
nel 1813, alla morte del marchese d’Este, grazie al suo matrimonio con la figlia di quest’ultimo,
Barbara 29 – la Madonna con il Bambino di Bernardino Ferrari conservata al Museo di
Castelvecchio a Verona (inv. 1580-1B161) e l’Allegoria celebrativa di Jacopo Menochio e
Margherita Candiani di Nunzio e Fede Galizia di proprietà dell’antiquario londinese Jean -Luc
Baroni; entrambi recano sul retro un cartellino a stampa, che doveva essere apposto un tempo
anche sul verso della tavola oggi al Museo Poldi Pezzoli, in cui è inscritto, entro un collare
dell’ordine del Toson d’oro: “del gabinetto di s.a. / alberigo xii d’este / principe di barbiano / e di
belgioioso” 30 .
Non è facile determinare quando, e in quali circostanze, quest’ultima sia entrata a far parte
della collezione Barbiano di Belgioioso. È possibile che effettivamente raffiguri la sposa – che
poteva magari essere una giovane fiorentina, ritratta da Piero del Pollaiolo a Firenze in occasione
delle sue nozze – di Giovanni II da Barbiano, conte di Cunio; si tratta però di un’informazione
impossibile da verificare, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, poiché su que st’ultimo
personaggio le notizie sono estremamente labili e finanche contraddittorie: in un albero
genealogico dei Barbiano di Belgioioso egli risulta documentato fra la fine degli anni dieci e
l’inizio degli anni trenta del Quattrocento 31 , in date troppo precoci per poter figurare come marito
di una fanciulla effigiata ancora giovanissima nel primo lustro dell’ottavo decennio; un’altra
genealogia ne indica invece l’appartenenza all’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di
Gerusalemme, o di Rodi (in seguito denominato Ordine dei Cavalieri di Malta, dall’isola del
Mediterraneo in cui fu trasferita la sede dell’ordine nel 1530), e il fatto che sarebbe scomparso nel
corso dell’assedio di Rodi 32 , alludendo probabilmente a quello che ebbe luogo nel 1480 33 . Nessuna
fonte, inoltre, ricorda che egli abbia mai preso moglie. Dato che all’inizio dell’Ottocento
nell’inventario dei quadri di Alberico XII il ritratto di Piero del Pollaiolo oggi al Museo Poldi
Pezzoli era ritenuto l’effigie di un’antenata, è probabile che ap partenesse alla famiglia Barbiano di
Belgioioso, se non dall’origine, almeno da alcune generazioni. Si può infine proporre di
identificarlo con uno dei “Quadri piccioli de ritratti vecchi” menzionati nell’inventario dei beni
mobili redatto nel 1621, alla morte di Alberico X 34 , senza però alcuna certezza. La pista della
provenienza della tavola dalla collezione Barbiano di Belgioioso, almeno per il momento, si
interrompe qui. È in ogni caso necessario sottolineare l’assoluta eccezionalità della presenza di
un’opera rinascimentale fiorentina a Milano almeno dal XVIII secolo, in un’epoca in cui non si era
ancora risvegliato l’interesse dei collezionisti lombardi per questa tipologia di opere d’arte, che a
partire dalla metà dell’Ottocento diverrà invece intensi ssimo 35 .
Giunto, come abbiamo visto, entro il 1875 nelle mani di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, il
dipinto è descritto nella seconda sala della galleria del suo appartamento nell’inventario redatto
nel 1879, dopo la morte del collezionista: “Pier della France sca – Ritratto di donna in profilo –
Dipinto su tavola a cornice intagliata e dorata – Valore lire settemila – 7.000” 36 . Nell’enorme
differenza fra questa valutazione (per non parlare delle 20.000 lire proposte da Frizzoni) e quella
di 18 lire avanzata nel 1814 da Giuseppe Bossi è possibile percepire la crescita dell’interesse di
collezionisti e amatori d’arte nei confronti delle opere del Rinascimento nel corso dell’Ottocento.
La stima di 7000 lire doveva corrispondere, grosso modo, alla somma sborsata poc hi anni prima
per l’acquisto dell’opera, acquisto che potrebbe coincidere con quello registrato nel libro dei conti
di Gian Giacomo Poldi Pezzoli in data 3 gennaio 1874, quando furono versate 6500 lire
all’antiquario Giuseppe Baslini per la vendita di opere d’arte non specificate 37 . L’attribuzione a
Piero della Francesca del dipinto, che permane anche nei primi cataloghi del museo 38 , si basava
sul confronto, in verità assai più iconografico che stilistico, con il celebre Ritratto di Battista
Sforza del Dittico Montefeltro conservato agli Uffizi 39 .
Nella prima pubblicazione a stampa dell’opera nella quarta edizione, da lui curata, del
Cicerone di Jacob Burckhardt (1879), Wilhelm Bode la accosta al più giovane dei fratelli
Pollaiolo: “Dem Piero [Pollajuolo] nahe verwandt scheinen mir eine Reihe im Colorit sehr blass
gehaltener Profilköpfe junger Frauen, stets dem P[iero] della Francesca zugeschrieben, von denen
in Italien noch ein schönes Beispiel in der Sammlung Poldi zu Mailand erhalten ist” 40 . Alcuni anni
più tardi, nella quinta edizione del Cicerone, lo studioso ne celebra con enfasi l’altissima qualità e
lo straordinario fascino, giudicandolo uno dei più bei ritratti del Quattrocento, mentre
l’attribuzione del dipinto inizia a virare in direzione di Domenic o Veneziano, nome per il quale
alla fine Bode propenderà con decisione: “Einem Florentiner Maler aus den sechziger und
siebziger Jahren, der dem Dom[enico] Veneziano und dem Piero Pollajuolo nahe verwandt ist,
scheint eine Reihe im Colorit sehr blass gehaltener Profilköpfe junger Frauen anzugehören, stets
dem P[iero] della Francesca zugeschrieben. In Italien noch ein gutes Beispiel in den Uffizien (Nr.
1204, sehr übermalt), ein zweites im Pal. Pitti (Nr. 37[1] 41 ), ein drittes in der Sammlung Poldi zu
Mailand; letzteres eins der herrlichsten Bildnisse des Quattrocento überhaupt” 42 . Inizia con questo
straordinariamente lusinghiero apprezzamento del grande connoisseur tedesco, direttore della
Gemäldegalerie e della Skulpturenabteilung di Berlino, in un’opera di larghissima diffusione – ben
presto disponibile anche in lingua francese 43 – a crescere con grande rapidità la fortuna del dipinto
a livello internazionale, come attestano anche la lunga descrizione e la riproduzione tramite
incisione all’acquaforte che gli dedica Émile Molinier in un articolo monografico sul Museo Poldi
Pezzoli uscito in due puntate sulla “Gazette des Beaux -Arts” nel 1889-1890 44 . Nel 1893-1894 il
ritratto femminile di profilo oggi a Berlino (qui esposto, cat. 24) viene presentato per la p rima
volta al pubblico, attribuito a Piero della Francesca, dall’allora proprietario, il conte Ashburnham,
in un’importante esposizione presso la New Gallery a Londra dedicata alle opere d’arte italiana
dal XIV al XVI secolo appartenenti alle collezioni private inglesi, suscitando grande ammirazione.
Gli studiosi più avvertiti si rendono subito conto che si tratta di un dipinto eseguito dallo stesso
artista cui si deve il ritratto del Museo Poldi Pezzoli, e che per entrambi il riferimento critico a
Piero della Francesca non è plausibile 45 . Nel 1896 il ritratto femminile del Museo Poldi Pezzoli
campeggia, a rappresentare emblematicamente il contenuto dell’intero volume, sul frontespizio
della prima edizione dei Florentine Painters of the Renaissance di Bernard Berenson, un libro che
ha avuto un enorme influsso sugli studiosi e appassionati d’arte, specialmente anglosassoni 46 .
Sebbene il suo riferimento a Piero della Francesca fosse ormai messo seriamente in discussione
dalla critica, nel 1901 la tavola viene scelta per illustrare anche il frontespizio della monografia
dedicata al maestro di Borgo San Sepolcro da William G. Waters, in cui le sono riservate lodi
sperticate: “The portrait at Milan is an exquisite work. In conception and in execution as well it
reaches a point of excellence paralleled by scarcely any other work of its period”, nonostante i
dubbi espressi sulla sua autografia: “There is no extant evidence which connects its authorship
with Piero; but if it is not from his hand it must be the work of some gifted painter of the same
school whose name has perished” 47 . La fama del ritratto di profilo del Museo Poldi Pezzoli giunge
qui al paradosso: lo si sceglie per illustrare il frontespizio di una monografia dedicata a Piero della
Francesca, nonostante l’autore ne metta in dubbio l’attribuzione all’artista. Anche i cataloghi del
Poldi Pezzoli registrano in questi anni la travolgente crescita d’interesse nei confronti di quello
che sta divenendo il simbolo stesso del museo: la copertina del catalogo del 1902 è illustrata da
un’incisione a colori che lo riproduce, mentre all’interno del volume è riferito che “quest’opera di
celebrità mondiale ha formato argomento di discussione di molti critici e studiosi” 48 . In quello del
1905 il dipinto è raffigurato sul frontespizio, a imitazione dei Florentine Painters di Berenson. Nei
primi anni del Novecento viene riprodotto perfino sul biglietto d’ingresso, a sancire l’ormai
avvenuta identificazione fra il ritratto e il museo in cui è custodito.
Nei primi decenni del XX secolo anche alcuni falsi attestano la fama e il gradimento ottenuti dal
dipinto: in uno di essi sono combinati, a costituire un curioso ibrido (tipico però delle falsificazioni fra
Otto e Novecento, in cui per meglio confondere le acque venivano d’abitudine rifusi elementi desunti
da più modelli illustri), il grazioso volto della dama Poldi Pezzoli con l’acconciatura, l’abito e i gioielli
del Ritratto di donna di Piero del Pollaiolo della Galleria degli Uffizi; in un secondo, con procedimento
analogo, al delicato profilo della fanciulla milanese sono associati la capigliatura e i monili raffigurati
nel Ritratto femminile riferibile a un anonimo artista attivo nell’ultimo quarto del XV secolo, pervenuto
al Bargello con la collezione Carrand (inv. 2030 C) 49. Nello stesso periodo anche il profilo femminile di
Piero del Pollaiolo conservato presso la Gemäldegalerie di Berlino viene assunto come modello per
realizzare un interessante falso, in cui la fanciulla effigiata si staglia contro un paesaggio i cui elementi
sono desunti dalla Maddalena di Jan van Scorel conservata al Rijksmuseum di Amsterdam 50.
Mentre in questi anni continua il dibattito critico sull’ autografia del dipinto, disputato fra i
nomi di Domenico Veneziano, Verrocchio, Antonio e Piero del Pollaiolo – essendo ormai
definitivamente tramontato il riferimento a Piero della Francesca – la fama del ritratto femminile
di profilo del Museo Poldi Pezzoli conosce ulteriori e definitive consacrazioni, venendo scelto per
comparire sul manifesto promozionale delle due grandi mostre sull’arte italiana svoltesi a Londra
e Parigi rispettivamente nel 1930 e nel 1935, fortemente volute, a fini propagandistic i, da Benito
Mussolini 51 . A proposito dell’esposizione londinese Francis Haskell ricorda che “Mussolini was
informed by the Prefect of Milan that the Poldi-Pezzoli refused to lend Antonio del Pollaiuolo’s
Profile portrait of a lady because its prominent locat ion had turned it into a symbol of the
collection as a whole. Mussolini replied that the English had wanted this picture more than any
other in the museum and he trusted therefore that the director would change his mind, as he
quickly did, with the result that the picture retained its prestige by being used to adorn the poster
of the London Exhibition” 52 . In tutte – o quasi – le rare occasioni espositive in cui è stato
presentato all’estero, il ritratto femminile del Museo Poldi Pezzoli ha avuto in effetti l’onore,
anche in tempi più recenti, di venire scelto per comparire sul manifesto promozionale e sulla
copertina del catalogo, come nella recente rassegna berlinese dedicata al ritratto italiano nel
Quattrocento, in cui era pure affiancato da capolavori di eccezionale qualità e importanza 53 . Il
fascino emanato da quest’immagine, in cui una fanciulla vissuta nella seconda metà del
Quattrocento si presenta a noi in maniera straordinariamente viva, è ancora irresistibile.
Andrea di Lorenzo - curatore della mostra
Saggio tratto dal catalogo della mostra
Antonio e Piero del Pollaiolo. “Nell’argento e nell’oro, in pittura e nel bronzo …”
1
Per le vicende critiche concernenti il dipinto e la sua attribuzione a Piero del Pollaiolo si rimanda alla scheda qui pubblicata (ca t. 24), di cui queste
pagine intendono costituire un’appendice e un approfondimento.
2 Il disegno, conservato alla Biblioteca Marciana di Venezia (Cavalcaselle ms. 1860-1874 circa, f. 40v), è stato reso noto da Mauro Natale (2011, pp. 66 fig. 13, 68, 82 nota
152). I dipinti, tuttora appartenenti alla raccolta Borromeo e oggi custoditi nel Palazzo Borromeo dell’Isola Bella, riprodotti nello stesso disegno sono: il Ritratto di Leonardo
Baiardi di Filippo Mazzola (su cui cfr. C. Cavalca in Capolavori da scoprire 2006, pp. 138-145 cat. 10), la Madonna in trono allattante il Bambino e il Salvator Mundi di
Ambrogio Bergognone provenienti dal polittico eseguito per il settimo altare di sinistra della Certosa di Pavia (A. Di Lorenzo in Capolavori da scoprire 2006, pp. 108,
109-110 fig. 1-2) e un ritratto maschile di profilo che Cavalcaselle inizialmente riferisce dubitativamente a Bernardino Butinone e quindi, dopo qualche tempo, con sicurezza
a Bernardo Zenale, che si identifica con un ritratto di ambito butinoniano databile alla fine del Quattrocento (come mi conferma cortesemente Mauro Natale), e coincide
verosimilmente con l’“Uomo imberbe; ritratto di profilo”, riferito a “Incognito”, esposto nella sala dedicata alle opere della raccolta Borromeo nella mostra delle opere di arte
antica delle collezioni private milanesi allestita nel palazzo di Brera nel 1872 (Catalogo 1872, p. 27 n. 179), e con il “Ritratto di uomo con berretta rossa e abito rosso, zazzera
nera, profilo molto preciso e piatto, bocca un po’ grossolanamente dipinta – autore discreto detto Bartolomeo [sic] di Treviglio – caldo nei coloriti (?)” visto nella collezione
Borromeo di Milano da Giovanni Morelli nel 1861 (Anderson 2000, p. 92, che identifica però l’opera, a mio avviso erroneamente, con il ritratto di profilo riferito
dubitativamente a Bernardino de’ Conti da Gustavo Frizzoni 1890, pp. 349-350). Sul foglio Cavalcaselle ha inoltre trascritto l’iscrizione recante la firma e la data dell’Andata
al Calvario di Pinturicchio, anch’essa oggi all’Isola Bella (su cui cfr. P. Zambrano in Capolavori da scoprire 2006, pp. 154-161 cat. 13). Secondo Susy Marcon, conservatore
della Biblioteca Marciana di Venezia, che ringrazio per il suo parere, la datazione di questo foglio di Cavalcaselle è incerta. Non può però trattarsi del 1857, come proposto da
Mauro Natale (2011, p. 82 nota 152), perché negli anni cinquanta dell’Ottocento la collezione Borromeo di Milano era stata trasferita in palazzo Durazzo a Genova (cfr. infra,
nota 5).
3 Giovanni Battista Monti custodiva presso la propria abitazione in contrada Santa Maria al Cerchio 2192 a Milano la sua collez ione di opere d’arte,
in cui si segnalavano dipinti di Bernardino Luini e della scuola leonardesca (Bossi 1818, I, p. 286; Caselli 1827, p. 142): cfr. Mottola Molfino 1982,
pp. 246, 249 nota 39.
4 Sulla collezione Borromeo-Monti, di cui non è stato purtroppo finora rinvenuto l’inventario, cfr. Di Lorenzo e Natale 2006; Natale 2011, pp. 52 -60;
S. Bruzzese in Bernardino Luini 2014, p. 160; M. Romeri in Bernardino Luini 2014, pp. 182-183.
5
Rispettivamente i primi di maggio e il 31 agosto del 1857 (Mündler [1855 -1858] 1985, pp. 151-152, 163) e il 31 agosto del 1857, i primi di
settembre e il 17 ottobre del 1862 e nell’ottobre del 1863 (Poretti 2006, pp. 109 -112; Eastlake [1852-1864] 2011, I, pp. 355-356, 613, 653-654).
Negli anni cinquanta dell’Ottocento la collezione Borromeo di Milano era st ata trasferita a Genova, nella residenza di famiglia di Laura Durazzo,
seconda moglie – il matrimonio venne celebrato nel 1851 – di Giberto VI Borromeo, che era stato costretto all’esilio da Milano in seguito al rientro
degli austriaci dopo le Cinque Giorn ate, che lo avevano visto attivo protagonista.
6 Cfr., rispettivamente, Cantù 1844, II, pp. 278 -279; Anderson 2000, pp. 92-93; Giordani ms. 1831-1870, c. 314.
7
Vedi supra, nel testo.
8 Cavalcaselle e Crowe 1898, p. 256; cfr. anche Di Lorenzo 1996, pp. 121 , 128-129 nota 6. Il ritratto non è invece ricordato, nel capitolo dedicato a
Piero della Francesca, nelle precedenti edizioni inglese (Crowe e Cavalcaselle 1864) e tedesca (Crowe e Cavalcaselle 1870) de ll’opera, il che
potrebbe anche indicare che lo studi oso lo vide in casa Borromeo soltanto dopo il 1870.
9 Catalogo 1872, pp. 28-31. La tavola non compare nemmeno nella sala V dell’esposizione, interamente dedicata alle opere più ragguardevoli della
raccolta Borromeo, in cui erano presentati ben cinquantadue pezzi (ivi, pp. 23-28).
10 Rovetta 2006, pp. 223, 225 nota 21, che riferisce anche di una possibile provenienza dell’opera dalla collezione Belgioioso d ’Este, sulla scorta
della testimonianza di Melani 1900, pp. 217 -218 (che in realtà a sua volta si rifac eva a quella di Misovulgo [Noseda] 1900, p. 3: vedi infra, nel testo
e nota 16).
11 A partire da [Bertini] 1886, p. 22; cfr. inoltre Museo artistico 1902, p. 22; Museo artistico 1905, p. 26; Museo artistico 1911, p. 26; Museo
artistico 1914, p. 26.
12
Cfr. Wright 2005, pp. 522-523 cat. 52.
13 Dopo aver rivisto l’opera in casa Poldi Pezzoli nel 1875 Cavalcaselle cassa, barrandola col lapis, la trascrizione, convintos i anch’egli che la scritta
sarebbe stata “falsa”, come scrive, sempre con la matita, lì accanto.
14
Il foglietto è custodito in una busta all’interno di una cartella denominata sulla costa “Biblioteca Trivulzio / Museo e Biblioteca Poldi Pezzoli”, contenente
documenti riguardanti la collezione Poldi Pezzoli (tra cui il prezioso libro dei cont i di Gian Giacomo Poldi Pezzoli che copre gli anni dal 1861 al 1879
recentemente pubblicato da Lavinia Galli Michero e Alessandra Squizzato: Appendice documentaria 2011, pp. 161-172). Su un lato della busta è scritto a matita:
“Questo quadro / fu comperato / da un / Conte Borromeo / quale non si sà [sic] L. T. [Luigi Alberico Trivulzio]”. Sull’altro lato è vergato con la penna, sempre
da Luigi Alberico Trivulzio ma a distanza di qualche tempo, in data 7 agosto 1916: “questa iscrizione si legge / dietro il q uadro del Pier della / Francesca (forse
copiata il / giorno dell’acquisto)”. Nel faldone si conserva anche una fotografia Alinari databile tra la fine del XIX e l’in izio del XX secolo, contrassegnata con il
n. 1477, che riproduce il dipinto, all’epoca riferito a Piero della Francesca, sul retro della quale è stato vergato a penna: “Iohannes da Barbianus uxor”; ringrazio
Alessandro Brivio Sforza e Alessandra Squizzato per queste segnalazioni.
15 I da Barbiano, originari della Romagna, erano conti di Cunio, B arbiano e Lugo. Nel 1431 ottennero per i loro servigi militari dal duca di Milano
Filippo Maria Visconti il castello di Belgiojoso, nei pressi di Pavia, comprendente un vasto feudo; perduti i domini in Romag na, si trasferirono di lì a
poco a Milano, aggiungendo ben presto al proprio cognome la dicitura “di Belgioioso” (Calvi 1875; Giulini 1928 e 1930; Spreti 1935; Alberi
genealogici [XVIII-XIX sec.] 2008, pp. 146-148).
16
Misovulgo [Noseda] 1900, p. 3; Melani 1900, pp. 217 -218. I ritratti a penna delle donn e di casa Belgioioso (la cui esistenza è attestata anche
dall’inventario giudiziale dei beni di Emilio Barbiano di Belgioioso d’Este [1800 -1858] nipote di Alberico XII, redatto nel 1833, in cui sono descritte
due cartelle, denominate “T.B.” e “V.B.”, conte nenti rispettivamente “ritratti della famiglia Belgiojoso” e “ritratti della famiglia Belgiojoso fatti a
penna”: Inventario ms. 1833, c. 319) erano giunti nella biblioteca e museo della Trivulziana in seguito al matrimonio, celebrato nel 1864, fra G ian
Giacomo Trivulzio e Giulia Amalia Barbiano di Belgioioso d’Este, ultima discendente del ramo principale della sua famiglia. Non è stato purtroppo
possibile rintracciarli al Castello Sforzesco di Milano, né nella attuale Biblioteca Trivulziana, acquistata dal Comune di Milano nel 1935, né nella
Civica Raccolta di Stampe “A. Bertarelli” o nel Civico Gabinetto dei Disegni, in cui sono stati successivamente trasferiti ri spettivamente le incisioni
e i disegni rinvenuti nella Trivulziana. Sono grato a Giovanna Mori, Francesca Rossi e Maria Rita D’Amato per avere cortesemente effettuato queste
verifiche.
17 Alberico XII Barbiano di Belgioioso, principe del Sacro Romano Impero e di Belgioioso, e dal 1757, grazie al suo matrimonio c on Anna Ricciarda
d’Este, anche marchese d’Este, era fra i personaggi più in vista dell’aristocrazia milanese fra XVIII e XIX secolo; ricoprì diversi incarichi di
rappresentanza di notevole prestigio per conto della corte austriaca. Nel 1790 ebbe il titolo di cavaliere del Toson d’oro e nel 1806, da Eugenio di
Beauharnais, viceré d’Italia, quello di cavaliere della Corona ferrea. Amante delle arti e delle lettere, amico di Ugo Foscol o e di Giuseppe Parini (fu
anche ritenuto dai suoi contemporanei, erroneamente, il prototipo del giovin signore, il protagonista del Giorno), appassionato collezionista e
bibliofilo, fu il primo prefetto dell’Accademia di Belle Arti di Brera nonché un raffinato mecenate: a lui si deve l’edificaz ione dello splendido
palazzo Belgioioso su progetto di Giuseppe Piermarin i, fra i più rappresentativi esempi dello stile neoclassico a Milano (Calvi 1875, tav. V; Giulini
1929; Cirone 1964; Bianchi 2002; Bianchi 2003). Per un importante nucleo di sculture del XIV e del XV secolo acquisito da Alb erico XII per il
castello di famiglia di Belgioioso, recentemente alienato dai suoi eredi al comune di Campione d’Italia, vedi Bianchi 2003; Sculture 2003;
Morandotti 2003, p. 88.
18
Inventario ms. 1803-1813, c. 15; una copia fedele di questo inventario, di mano di Emilio Motta (fino al 1 920 bibliotecario della Trivulziana), con
carte non numerate, è custodita presso l’Archivio della Fondazione Brivio Sforza a Milano, serie Miscellanea. Nel documento è indicato che il
dipinto è “in piedi”, cioè che la misura maggiore è l’altezza, e che que st’ultima corrisponde a 6 palmi e 9 diti, cioè a 69 cm: una dimensione che
potrebbe corrispondere in effetti all’altezza del ritratto oggi custodito nel Museo Poldi Pezzoli (45,5 cm), tenendo conto ch e includeva anche la
cornice. Nella descrizione dell’ope ra nell’inventario è di fatto tradotta fedelmente in italiano l’iscrizione “uxor iohannis cunii barbiani comitis” un
tempo apposta sul retro del quadro. Il palmo e il dito sono unità di misura introdotte a Milano dai francesi nel 1803 (data c he costituisce un
attendibile terminus post quem per la datazione del documento; l’ ante quem è indicato dalla data di morte di Alberico XII): il palmo equivaleva a 10
cm, il dito a 1 cm; cfr. Martini 1883, p. 350.
19 Inventario ms. 1803-1813, c. 15.
20 Inventario ms. 1814. Il prezioso documento è noto al momento solo nella trascrizione di Emilio Motta.
21 Libro d’inventario [1492] 1992, p. 12.
22 Cfr. Rossi 1890, pp. 160 -161; Ettlinger 1978, p. 145 cat. 13, tav. 69; Pons 1994, p. 99 cat. 12; Wright 2005, pp. 131 -136, 521 cat. 50; A. Tartuferi
in La stanza dei Pollaiolo 2007, pp. 98-101 cat. 2.
23 Sul dipinto cfr. C. Quattrini in Capolavori da scoprire 2006, pp. 178-183 cat. 18; M. Romeri in Bernardino Luini 2014, pp. 160-164 cat. 25.
24 Venditorio ms. 1814, cc. 56-57.
25
Ivi, c. 52.
26 Ivi, c. 81.
27 Ivi, c. 93.
28
Ivi, c. 88.
29 Bianchi 2002, p. 396. Si tratta del “più finito sicuro, e conservato dipinto di Lionardo da Vinci, che abbia Milano, rappresentante la Vergine col Bambino in seno di
grandezza un terzo del vero, e in asse” ricordato nel palazzo Belgioioso di Milano, unico dipinto citato esplicitamente, da Carlo Bianconi (1787, p. 423).
30
Cfr. rispettivamente E.M. Dal Pozzolo in Museo di Castelvecchio 2010, pp. 441-442 cat. 346; Morandotti 2004 -2005, pp. 220-221, 223-224 nota
48.
31
Calvi 1875, tav. I.
32 Alberi genealogici [XVIII-XIX sec.] 2008, p. 146.
33 Il più importante assedio della città di Rodi del XV secolo avvenne infatti in quell’anno ad opera di una spedizione turca in viata da Maometto II,
che fu infine respinta.
34 Inventario ms. 1621 (carte non numerate). Su Alberico X Barbiano di Belgioioso cfr. Calvi 1875, tav. IV; Spreti 1935, p. 283.
35 Su questi argomenti cfr. Di Lorenzo 2010.
36
Inventario ms. 1879, n. 4815/64.
37 Appendice documentaria 2011, pp. 168, 172 nota 52. Su Giuseppe Baslini, secondo Wilhelm Bode (1930, I, p. 74) “dem eigentlichen Schöpfer der
Sammlung Poldi-Pezzoli” (l’autentico artefice della collezione Poldi Pezzoli), cfr. Zanni 2000; Di Lorenzo 2002, pp. 37 -38.
38
[Bertini] 1881, p. 20; [Bertini] 1886, p. 22.
39 Eloquente al riguardo Molinier 1889, pp. 311 -312; si veda anche la serie di disegni di costumi antichi raccolti da Frederick Stibbert (1838 -1906),
pubblicata postuma, in cui le effigi di Battista Sforza e d ella fanciulla del Museo Poldi Pezzoli sono riprodotte affrontate ( Abiti e fogge 1914, tav.
LXXIX). La grande fama del Ritratto di Battista Sforza degli Uffizi aveva indotto, per attrazione, ad attribuire a Piero della Francesca nel corso del
XIX secolo una notevole quantità di ritratti femminili di profilo in realtà fra loro differenti dal punto di vista stilistico, che soltant o con il tempo la
connoisseurship più avvertita ha ricondotto ai veri autori: per una panoramica sulla questione cfr. Pagliai 1996.
40 W. Bode in Burck-hardt 1879, p. 543 nota 1 [Mi sembra strettamente imparentata con Piero [del Pollaiolo] una serie di teste d i profilo di giovani
donne dal colorito molto pallido attribuite da sempre a P[iero] della Francesca, di cui in Italia un buon esempio è conservato nella collezione Poldi a
Milano].
41
Il numero di catalogo del dipinto, indicato erroneamente da Bode come 37, era in realtà 371: Chiavacci 1875, p. 157.
42 W. Bode in Burckhardt 1884, p. 577 nota 1 [A un pittore fiorentino attivo negl i anni sessanta e settanta, strettamente imparentato con Domenico
Veneziano e Piero del Pollaiolo, sembra appartenere una serie di teste di profilo di giovani donne dal colorito molto pallido da sempre attribuite a
Piero della Francesca. In Italia un buon esempio è agli Uffizi (n. 1204, molto ridipinto), un secondo a Palazzo Pitti (n. 37[1]), un terzo nella
collezione Poldi a Milano; quest’ultimo in particolare è uno dei più bei ritratti del Quattrocento]. Gli altri due dipinti me nzionati da Bode sono Il
ritratto di giovane donna degli Uffizi di Piero del Pollaiolo, qui esposto (cat. 27), e il Ritratto di Barbara Pallavicino (?) oggi riferito ad Alessandro
Araldi, trasferito da Palazzo Pitti agli Uffizi nel 1919 (G. Marchini in Gli Uffizi 1980, p. 137 cat. P98). Per i successivi interventi con cui lo studioso
riferisce senza esitazioni il dipinto a Domenico Veneziano cfr. W. Bode in Burckhardt 1893, p. 561; Bode 1897b, pp. 190 -192, fig. 2.
43 Burckhardt 1885-1892. Il brano citato, in cui è menzionato in termini così altamente elogiativi il ritratto del Museo Poldi Pezzoli, è a p. 557 nota 1 del II volume
dell’edizione francese, dedicato all’arte moderna, uscito nel 1892.
44 Cfr. Molinier 1889, pp. 311 -312; l’incisione di Eugène Gaujean che riproduce il dipinto è in Molinier 1890, tav. fra le pp. 34 e 35.
45
Cfr. Ffoulkes 1894, p. 170, che giudica il ritratto oggi a Berlino “incantevole e di alto valore”; Ulmann 1894b, p. 494, seco ndo cui si tratta di
“eines der anmuthigsten Porträts des Quattrocento” [uno dei p iù bei ritratti del Quattrocento], un riconoscimento che ricorda quello di Bode, nella
quinta edizione del Cicerone di Burckhardt, nei confronti del ritratto del Museo Poldi Pezzoli. L’alto apprezzamento per il ritratto femminile oggi a
Berlino e il suo collegamento con quello di Milano sono confermati anche dalla copia del raro catalogo della mostra tenutasi alla New Gallery
appartenente alla Biblioteca Berenson presso Villa I Tatti, in cui Mary Logan Costelloe, compagna, collaboratrice e futura co nsorte del grande
studioso, ha annotato di suo pugno (come mi conferma cortesemente Ilaria Della Monica), accanto alla descrizione dell’opera: “Poldi-Pezzoli /
delicious”.
Cfr. Berenson 1896 (e le successive edizioni, 1900 e 1909), in cui il dipinto è accompagnato da un’attribuzione dubitativa ad Andrea del Verrocchio destinata a scarsa
fortuna.
47 Waters 1901, p. 68; cfr. anche p. 128 in cui, nella lista finale delle opere, il dipinto è accompagnato da un asterisco, segn ale che l’autore non ne
accetta l’attribuzione a Piero della Francesca.
48
Catalogo 1902, p. 22. I critici cui si allude sono “Cavalcaselle e Crowe, Storia della pittura italiana (Firenze, succ. Le Monnier 1898, vol. VIII, p.
156); B. Berenson, The Florentine Painters of the Renaissance (G.P. Putnam’s Sons London e New York, 1896, pagg. 130 -138)” (ibid).
49 Sul dipinto del Bargello cfr. I Carrand 1989, pp. 61-62 cat. 78. Per i falsi citati cfr. De Marchi 2001, pp. 160, figg. 106 -107. Un’altra
falsificazione, in cui la dama Poldi Pezzoli è associata questa volta al ritratto femminile di profilo di Botticelli conservato a Palazzo Pitti, è stata resa
nota da Kurz 1961, fig. 24. Fra le tante copie e derivazioni desunte dal celebre profilo femminile conservato a Milano merita di essere menzionato, se
non altro per la sua singolarità, il bassorilievo in terracotta patinata della Galleria Comunale Rinaldo Carnielo di Firenze, databile alla fine
dell’Ottocento (G. Gentilini in Omaggio a Donatello 1985, pp. 437-438 cat. 20).
50 De Marchi 1991, p. 301.
51 Per la menzione del dipinto nei cataloghi delle due mostre cfr. K. Clark e W.G. Constable in Exhibition 1930, p. 88 cat. 119; F. Gilles de La
Tourette in Exposition 1935, pp. 169-170 cat. 380.
52 Haskell 1999, p. 465 [Mussolini fu informato dal pref etto di Milano che il Poldi Pezzoli si era rifiutato di concedere in prestito il Profilo di donna
di Antonio del Pollaiolo, poiché la sua illustre collocazione ne aveva fatto un simbolo dell’intera raccolta. Mussolini rispo se che gli inglesi volevano
questo dipinto più di ogni altro conservato nel museo, e che confidava nel fatto che il direttore avrebbe cambiato idea; cosa che accadde ben presto,
con il risultato che l’opera, usata per il manifesto dell’esposizione di Londra, mantenne tutto il suo prestigi o]. Il profilo femminile del Museo Poldi
Pezzoli ha figurato da par suo anche nella terza mostra degli anni trenta promossa dal governo italiano fascista, quella sul Ritratto italiano nei secoli
svoltasi a Belgrado nel 1938, nel cui catalogo viene affermat o che “l’ignota del Poldi Pezzoli è meritatamente il più celebre ritratto femminile del
Quattrocento” (M. Brunetti in La mostra 1938, p. 22 cat. 21).
53 Gesichter der Renaissance 2011.
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