Una Casa delle Religioni

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Una Casa delle Religioni
Una Casa delle Religioni
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
Studio elaborato da:
Committente:
In collaborazione con il Comitato Interfedi della Città di Torino
Una Casa delle Religioni
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
Studio realizzato da :
Matteo Robiglio: Maria Chiara Giorda: Architetto e professore ordinario presso il Politecnico di Torino.
Project sponsorship
Storica delle religioni e docente presso
l’Università di Torino e di Bologna.
Direzione scientifica.
Marco Tabbia: Sara Hejazi: Esperto in project management in ambito
sociale.
Direzione operativa.
Antropologa.
Attività di ascolto e mediazione.
Daniele Campobenedetto: Architetto, PhD.
Ricerca e coordinamento scientifico.
In collaborazione con il Comitato Interfedi della città di Torino
Studio commissionato e finanziato da:
Torino, luglio 2016
INDICE
La città come “spazio multi fede” per il culto.............................................................7
1.1. Modelli di interazione tra religioni: campagna e città.....................................7
1.2. Diversi modelli urbani...................................................................................10
1.3. Città e religioni oggi.....................................................................................17
1.4. Il caso di San Salvario.................................................................................19
La Casa delle Religioni come “spazio multifede” per la cultura............................31
2.1. Esiste una cultura multifede?.......................................................................31
2.2 Tipologie antropologiche e architettoniche di luoghi multifede ....................34
2.3 Luoghi potenziali a Torino.............................................................................46
Il Comitato Interfedi come garante della presenza dei culti nel tessuto urbano....51
3.1. Uno spazio multifede a Torino?
Alcune risposte o alcune domande.....................................................................51
3.2. Il parere degli stakeholders..........................................................................52
3.3. Un sondaggio-campione:
la risposta degli studenti universitari...................................................................53
3.4. Il Comitato Interfedi: discussione e dialoghi.................................................55
Il Comitato Interfedi è (voce del verbo essere) Casa delle Religioni.......................59
La città come “spazio multi fede”
per il culto
1.1 - Modelli di interazione tra religioni: campagna e città
Da sempre le religioni stanno sui territori, convivono, si scontrano e
tracciano confini su porzioni di spazio più o meno grandi: si potrebbe
dire che da una scala globale a quella micro di una sala esistono
innumerevoli esempi di pluralismo religioso. Il tema della diffusione
spaziale delle religioni ha una dimensione storica, col suo correlato
di conflitti e di influenze su tutti i vari ambiti della vita umana, ma
appare rinforzato dai processi della globalizzazione contemporanea,
che accelerano e accrescono non solo la mobilità umana, e quindi
la deterritorializzazione delle persone, ma anche delle idee e delle
credenze. Proprio perché hanno legami identitari molto forti con
precisi luoghi di origine o di culto, le religioni tendono a riproporre
dinamiche territorializzanti, che facilmente possono generare
conflitti con sistemi culturali locali storicamente consolidati (oggi
più deboli che in passato) o con luoghi dove la secolarizzazione
ha progressivamente marginalizzato il ruolo della religione nella
strutturazione del territorio.
Sembrano emergere schemi di vario tipo, spesso ancora da sottoporre
a indagini e riflessioni accurate, che possano cogliere i meccanismi
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
7
1. D. Massey, P. Jess, Luoghi e culture
in un mondo diseguale, in D. Massey,
P. Jess (eds.), Luoghi, culture e
globalizzazione, Torino, Utet libreria,
2001, pp. 187-214.
di reazione/adattamento delle religioni ai processi messi in atto dalla
globalizzazione contemporanea. Questi processi si muovono su due
linee distinte e a prima vista contrastanti, che riguardano insieme la
dimensione politica e quella sociale. La prima è quella dell’aumento
dei conflitti interreligiosi e conflitti etnici legate a religioni e correnti
religiose; quello che potremmo definire un cambio di scala e di
estensione, rispetto al passato. La seconda è quella della resilienza
o dell’adattamento di tradizioni religiose che nei secoli hanno
impregnato i territori di segni, pratiche e culture e che oggi vedono
il “proprio” spazio (e le comunità che lo abitano) trasformato, spesso
de-territorializzato, secolarizzato e al contempo reso multiculturale
e multireligioso da flussi materiali e immateriali (informazioni,
persone, merci)1.
In questo cambiamento entrano in gioco processi di localizzazione,
diffusione, movimento, relazione, trasformazione e adattamento,
grazie ai quali possiamo indagare il ruolo delle religioni nelle vicende
storiche, sociali e culturali, e chiederci quale ruolo svolgano nella
costruzione delle identità territoriali e nella definizione del senso
dei luoghi. Uno degli effetti più visibili – in particolare nell’area
mediterranea – è l’esistenza di spazi sacri condivisi che per secoli
sono stati e sono quotidianamente praticati da persone provenienti da
culture religiose differenti. Questo accade, in particolare, in contesti
non urbani2: per esempio vi sono i santuari condivisi da cristiani e
da musulmani in Macedonia3 e più generalmente nel bacino del
Mediterraneo4 o quelli a disposizione di musulmani ed ebrei in
Marocco5. È interessante notare che in questi casi il processo di
condivisione dei luoghi è prodotto dalla gente comune in ricerca di
luoghi sacri, dove sia possibile ricevere grazia o protezione da parte di
un santo o di figure religiose che avvicinano la loro propria esperienza
a Dio. Queste dinamiche nascono dalle esigenze dei fedeli e solo di
rado sono accompagnate e sostenute dalle istituzioni o da posizioni
ufficiali delle varie chiese. Sono esperienze il più delle volte locali (con
un importante dislivello tra piano nazionale e piano locale), marginali
e debolmente collegate alle autorità/istituzioni.
Per descrivere queste pratiche è utile una categoria non priva di
ambiguità: il concetto di sincretismo6, liberato dal senso peggiorativo
di cui è stato connotato nel corso dei secoli. La prima attestazione del
termine si trova in Plutarco, nel Perì philadelphias, uno dei 78 trattati
in Moralia, in riferimento alle pratiche dei cretesi che perfino se in
conflitto o in guerra si riconciliavano e alleavano in caso di attacco
2. D. Albera, Lieux Saints partagés,
Marseille, Actes Sud 2015. D. Albera, M.
Couroucli (eds.), I Luoghi Sacri Comuni
ai Monoteismi. Tra cristianesimo,
ebraismo e islam, Brescia, Morcelliana,
2013.
3. G. Bowman, Processi identitari
intorno ad alcuni santuari condivisi in
Palestina e Macedonia, in D. Albera, M.
Couroucli (eds.), I Luoghi Sacri Comuni
ai Monoteismi, cit., pp. 15-34.
4. Per alcuni esempi di condivisione
cristiana e musulmana si rimanda a D.
Albera, M. Couroucli (eds.), I Luoghi
Sacri Comuni ai Monoteismi, cit.
5. H. Driessen, Un santuario ebreo e
musulmano nel nord del Marocco. Echi
di un passato ambiguo, in D. Albera, M.
Couroucli (eds.), I Luoghi Sacri Comuni
ai Monoteismi, cit., pp. 153-160.
6. C. Stewart, R. Shaw, (eds.),
Syncretism / Anti-Syncretism. The
Politics of Religious Synthesis, London,
Routledge, 2013.
8
Una Casa delle Religioni
da parte di un nemico comune. Nell’Oxford English Dictionary nel 7. R. Hayden, Antagonistic Tolerance:
Competitive Sharing of Religious Sites in
XIX secolo con “sincretismo” si fa invece riferimento al tentativo South Asia and the Balkans, in «Current
di unione o di riconciliazione di insiemi di dottrine e pratiche Anthropology» 43:2, April 2002, pp. 205231.
diverse, opposte o accompagnate da una mancanza di autenticità
o dalla contaminazione/infiltrazione di una tradizione presunta 8. G. Bowman, Processi identitari
pura, di simboli e significati che appartengono a tradizioni diverse e intorno ad alcuni santuari condivisi in
Palestina e Macedonia, in D. Albera, M.
incompatibili. Tale uso peggiorativo appare a partire dal XVI secolo, Couroucli (eds.), I Luoghi Sacri Comuni
per bollare i tentativi di conciliare luterani, riformati e cattolici e ai Monoteismi, cit., pp. 15-34.
fomentare così un movimento anti-sincretista in difesa della propria
identità religiosa.
A parte qualche parentesi come quella del 1941 in the Myth of the
Negro Past, dove si legge una difesa del sincretismo, il concetto
porta con sé un senso negativo: durante l’epoca del colonialismo e
fino alle più recenti formulazioni che lo hanno identificato come
uno strumento per rafforzare identità e competizione e creare
barriere. È quanto propone Robert Hayden7 affermando che
esperienze sincretiche come la condivisione di siti sono permesse
da un bilanciamento di poteri che possono collassare facilmente a
causa di uno sfasamento delle forze in gioco. Un equilibrio di questo
tipo si basa su una reciproca tolleranza che Hayden distingue in due
tipologie: una passiva, che ha il significato di non interferenza tra gli
attori e una di attiva coesistenza e interazione con l’altro. In entrambi
i casi vi è un senso più o meno esplicito di antagonismo e competenza.
Nel saggio di Glenn Bowman contenuto nel libro di Albera e
Couroucli, l’autrice conduce, ad esempio, una ricerca sul campo in
santuari condivisi in Palestina e Macedonia8, e mette in luce come
la mescolanza e la condivisione rischino di essere progressivamente
sostituiti dalla separazione e dall’antagonismo in quanto sottoposte ▲Schema dell’uso consueto degli edifici
religiosi: ogni edificio è dedicato ad un
a una tendenza promossa da posizioni nazionaliste che ridefiniscono culto, senza alcun sovrapposizione.
le attività interreligiose come non ortodosse o addirittura blasfeme.
In conclusione, i luoghi sacri emergenti alle frontiere dei grandi
complessi confessionali sono oggi siti in cui i processi di sincretismo
vanno di pari passo con quelli di chiusura e di costruzione delle
frontiere; hanno, insomma, una natura fluttuante e ambigua.
Per studiare la possibilità di creazione di uno spazio in qualche modo
“sincretico” all’interno di contesti urbani europei è quindi essenziale
studiare il funzionamento di questi luoghi di incontro tra religioni in
modo da renderli comparabili sotto l’aspetto tipologico
Per questa ragione possiamo utilizzare almeno quattro categorie di
analisi:
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
9
9. J. Preston, Spiritual Magnetism:
An Organizing Principle for the Study
of Pilgrimage. in Sacred Journeys, in A.
Morinis (ed.) Westport, CT, Greenwood
Press., 1992, pp. 31-46.
1. Parole: narrazioni, dibattiti, concetti fondamentali, formule, rituali
2. Oggetti: infrastruttura della religione e topografia dello spazio
divino
3. Gesti: pratiche religiose, riti, posture, manipolazioni del corpo
4. Poteri: forme di giustificazione e trasmissione dell’autorità religiosa
E modelli di forme di interazione tra le religioni nei luoghi:
1. “ospitare”: riferito a casi in cui la mancanza di un luogo impedisce
lo svolgimento normale dei culti.
2. “prendersi cura” (in assenza di): riferito ai casi in cui templi o
santuari o chiese abbandonate sono tutelate e prese in carico da altri.
3. “condividere”: comprende santuari che attirano diverse fedi
soprattutto in caso di presenza di un sacro (luogo o persona) forte
che attrae9, i casi di “sacro debole” che permette la condivisione, i
casi di condivisione a seguito di una decisione razionale di diverse
confessioni per organizzarsi in un unico spazio.
Con una precisazione. Se queste dinamiche e queste categorie
sono riconoscibili in contesti non urbani, esse vengono accentuate
all’interno della spazio negoziale della città, che porta esperienze
religiose diverse a condividere lo stesso spazio. Ecco allora che nei
paesaggi multiculturali delle città possiamo individuare i segni di
una contesa sotterranea per la visibilità dei diversi gruppi etnicoreligiosi, nella quale la diversità diventa ambiguamente un marcatore
territoriale identitario e il segno di un’alterità del territorio, un
possibile strumento di integrazione come un possibile segno di
divisione.
1. 2 - Diversi modelli urbani
È in contesti urbani che si può leggere il modo più interessante di
interazione tra religioni e spazio di gestione della convivenza da parte
di comunità religiose differenti che spesso hanno portato e tuttora
portano a conflitti e che, soprattutto in contesti contemporanei, sono
risolti con una negoziazione top-down (le istituzioni prevengono o
intervengono per mediare) e, ancora più raramente, bottom-up.
Se i modelli dell’ospitare, del prendersi cura e del condividere
caratterizzano l’interazione tra religioni nei luoghi possiamo anche
avanzare l’ipotesi di modelli di interazione delle religioni con lo
10
Una Casa delle Religioni
spazio e nello spazio urbano che trovano la loro concretezza sia alla
scala dell’edificio sia alla scala della città.
Nelle città nella maggior parte dei casi si tratta di religioni che
condividono o, al massimo sono ospitate /ospitano come è accaduto
soprattutto agli inizi delle grandi immigrazioni dall’est Europa per
gli ortodossi ospitati in chiese cattoliche o come tuttora accade
per la comunità presbiteriana coreana ospitata al tempio Valdese
di Milano dal 2002. Tutte le domeniche hanno a disposizione per
celebrare il culto la sala principale del tempio dove si riuniscono in
una settantina di fedeli, spesso con un momento conviviale successivo
alla celebrazione.10
Il primo è il modello della sostituzione. Secondo tale modello i
luoghi religiosi e gli edifici sono demoliti e ricostruiti (o adattati)
a seconda di esigenze di culto diverse da quelle precedenti: dalla
Roma paleocristiana, alla Reconquista spagnola, attraverso lo snodo
cruciale della storia di una città come Costantinopoli, le implicazioni
simboliche in termini di vincitore/vinto hanno reso tale modello
paradigmatico e di successo.
Santa Sophia e la Grande Moschea/Cattedrale di Cordova sono
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
11
▲Un esempio della dinamica di Sostituzione: Istanbul - Santa Sofia.
10.Circa una settantina di fedeli
celebrano ogni domenica il culto nel
salone centrale del tempio valdese,
nell’impossibilità di avere un centro
autonomo. http://www.milanovaldese.it/
▲ Un esempio delle dinamica di Suddivisione: la basilica del Santo Sepolcro a
Gerusalemme.
l’icona del passaggio di popolazioni di fedi differenti all’interno della
città.
Altri modi di occupazione dello spazio si mettono in atto quando le
pratiche religiose si affiancano all’interno dello stesso spazio. Quello
della suddivisione è un modello che si riconosce spesso in riferimento
al singolo edificio: il medesimo spazio è usato da credenti di
confessioni cristiane differenti che lo dividono e se ne prendono cura.
Il caso del Santo Sepolcro, in cui differenti denominazioni cristiane
convivono e condividono porzioni di spazi con modalità non esenti
da conflitti, è divenuto emblematico dopo gli scontri tra le differenti
confessione nel 2008.11
Un ulteriore modello, quello della condivisione, trova nello spazio
urbano il terreno di applicazione naturale. Gerusalemme può essere
considerata la città modello in questo senso: è allo stesso tempo sia
una collezione di modelli di coesistenza sia anche un esempio di
spazio urbano condiviso che può generare conflitti.
Scambi, relazioni e mescolamenti si trovano con grande frequenza,
come si è già accennato, anche nella città di Istanbul, dove i musulmani
frequentano la chiesa cristiana san Antonio da Padova.
11. Si veda il conflitto del 10
ottobre, 2008 tra Armeni e monaci
ortodossi:
https://www.youtube.com/
watch?v=WaolkgrlAto, ultimo accesso
27 giugno 2016.
12
Una Casa delle Religioni
La frequentazione interreligiosa di questa chiesa, situata in uno
dei quartieri più animati della città, si focalizza in particolare il
martedì, giorno associato alla venerazione del santo e occasione
di incontri devozionali tra cristiani e musulmani. Come mostrano
gli studi architettonici, la facilità di accesso alla chiesa costituisce,
probabilmente, un moltiplicatore della frequentazione eterogenea:
negoziati, compromessi e incontri permettono circolazioni
composite.12
Un caso particolare di condivisione è quello della sovrapposizione,
nella quale non solo i confini spaziali tra religioni sono labili, ma lo
stesso spazio è utilizzato stabilmente e a volte contemporaneamente
da più confessioni o religioni. Un esempio è costituito dalla chiesa per
protestanti e cattolici di Friburgo o dall’edificio – in progettazionedella House of One di Berlino, che ospiterà sotto lo stesso tetto
musulmani, cristiani e ebrei e sarà fornita di uno spazio in comune13.
Questi diversi modelli di relazione con lo spazio nascono da strategie
diversificate, spesso messe in atto da istituzioni pubbliche e religiose.
Gli Stati contemporanei hanno tentato di governare la coesistenza tra
religioni attraverso strategie che potremmo riassumere in due macro-
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
13
▲ Une esempio della dinamica di Sovrapposizione: la chiesa di Maria Maddalena a Friburgo, Germania.
12. D. Albera, B. Fliche, Le pratiche
devozioni dei musulmani nei santuari
cristiani. Il caso di Istanbul, in D.
Albera, M. Couroucli (eds.), I Luoghi
Sacri Comuni ai Monoteismi, cit.,pp.
101-126.
13. Si veda Maria-Magdalena-Kirche,
Freiburg, 2004 and http://house-of-one.
org/en, ultimo ccesso 27 giugno 2016.
14. A. Crompton, The architecture of
multi-faith spaces: God leaves the
building, «The Journal of Architecture»,
2013, 18:4, pp. 474-496. F. Díez de
Velasco, Multi-belief/Multi-faith Spaces:
Theoretical Proposals for a Neutral and
Operational Design, RECODE Working
Paper Series, Online Paper n. 26, 2014.
approcci. Il primo approccio è quello “illuminista” o “repubblicano” in
cui lo Stato garantisce un sistema inclusivo e secolarizzato che punta
alla riduzione dell’impatto della religione escludendo i simboli dallo
spazio pubblico. Questo approccio, adottato dallo Stato francese ad
esempio, consolida la sostanziale specializzazione di luoghi di culto.
Una strategia differente è offerta dalla prospettiva del “common law”
– definita così per richiamarne le origini anglosassoni - che invece
permette l’esternazione in pubblico e nello spazio comune urbano
di simboli, pratiche e gesti: è il caso complicato di Barcellona, dove
vecchie e nuove comunità religiose hanno trovato spazi di espressione
grazie all’intervento del “Ufficio centrale per gli affari religiosi”, che
ha funzionato da ponte a livello infrastrutturale e urbanistico tra spazi
pubblici e luoghi religiosi.
Nonostante la sostanziale differenza tra questi approcci, la tipologia
di spazio sincretico di maggior successo, quando gestita attraverso
15. C. Hewson, Multi-faith Spaces:
Symptoms and Agents of Religious and
Social Change. University of Manchester.
Retrieved September 14, 2012.
strategie top-down, è analoga: la stanza di preghiera multifede, priva
di simboli connotanti.
Nate in “fully secured spaces”, come ospedali e aereoporti, per
incontrare una domanda di spiritualità in situazioni logistiche
particolari14, questo tipo di stanze presentano ambienti neutri e
iconoclasti, che permettono l’espressione di una dimensione religiosa
personale e silenziosa. Una sorta di modello illuminista perfetto in
miniatura. Da questi ambienti infatti sono spesso escluse anche le
forme di culto che come immediata conseguenza attribuirebbero allo
spazio valori e significati difficilmente negoziabili per ulteriori e futuri
occupanti.
Simbolo del modello sono le numerose sale multifede che addensano
e concentrano in pochi metri quadri la molteplicità religiosa: è il caso
delle sale di preghiera o del silenzio che si trovano in ospedali, aereoporti,
università. Un progetto recente dell’Università di Manchester, UK,
ha definito queste sale come uno spazio intenzionale, disegnato per
ospitare una pluralità di pratiche religiose e per indirizzarsi a una
molteplicità di scopi pragmatici15. Per citarne alcune, basterebbe
entrare nella sala di preghiera di un aereoporto come Heathrow o
Vienna, o nella Manchester Royal Infirmary, nel suo New Multifaith
Centre o ancora nella multifaith prayer room dell’Università di
Londra, sono spazi aperti a fedeli di ogni credo e tradizione.
Une esempio recente è costituito dall’ “espace de recueillement”
dell’università di Friburgo, aperto a tutti nell’orario di apertura
dell’università.
14
Una Casa delle Religioni
◄ Torino, Stanza del Silenzio, Ospedale
Molinette, 2012.
Fly
5,4 m²
Ufficio
G.d.F.
26 m²
Accesso ufficio
coordinamento voli
Edicola Tabacchi GIUNTI
DISEGNO N.
SCALA
120
270
DATA
PROGETTO



Sala
Silenzio
Loc.tecnico
24 m²

Locale
24,3 m²
90
210
Cavedio
impianti
DATA
ESENTE GRAFICO SENZA LA PREVENTIVA AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELLA SAGAT S.p.A.


loc. supp.
AZ 8 m²

loc. supp.
AZ 7 m²
CED+
Loc.tecnico
ELABORAZIONE
SELLE T.se (TO) ITALIA Tel. 39+(0)11/5676325


Sala Preghiera
Islamica
33,6 m²

5 m²
Loc.tecnico
CTA

loc. supp.
AZ 7 m²


loc. supp.
AZ 8 m²


Ufficio S.H.
AF
9 m²

Ufficio S.H.
Cappella
Ecumenica
35 m²
◄ Torino, Aereoporto Sandro Pertini,
progetto di sala multireligiosa.

Q.E.
Gli ideatori della sala hanno progettato lo spazio con i differenti
gruppi religiosi (le cinque religioni universali) al fine di trovare una
soluzione per tutti soddisfacente riguardo gli aspetti architettonici e
organizzativi.
A tal proposito, a Torino, oltre alla recente apertura della sala di
preghiera musulmana, è da ricordare la costruzione di una sala del
silenzio nell’aeroporto di Caselle.
Sempre a Torino, in seno al progetto “Le cure dello Spirito” nel 2012
era stata creata la Stanza del Silenzio, uno spazio dedicato all’utenza
dell’ospedale AUO San Giovanni Battista - Le Molinette, sia essa
costituita da credenti oppure da non credenti, per pensare, raccogliersi
e pregare16.
Presupposto di partenza per la costruzione della Stanza del Silenzio
è stato quello di creare uno spazio accessibile ai fedeli di ogni
religione. L’idea originaria era quella di creare una Stanza Interfedi,
luogo utilizzabile a orari diversi dai fedeli di qualunque culto.
L’ufficio Qualità e Servizi dell’ospedale scelse di chiedere agli stessi
rappresentanti religiosi partecipanti al progetto di cui sopra di fornire
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
15
16. Si vedano le pagine
www.progettoreligioni.it, e
http://www.progettoreligioni.it/stanza_
silenzio_3.html, 10 giugno 2016.
▲ La stanza multifede è contenitore di
pratiche religiose diverse purchè queste
non interferiscano con simboli o strutture permanenti che possano disturbare le
pratiche successive.
▲▲ La sala di raccoglimento dell’università di Friburgo contiene i testi sacri
delle principali religioni,il necessario per
preparare il thé, la possibilità di praticare
riti woodou, dei tappeti per la meditazione, cuscini, banchi, coperte e tappetini
per lo yoga.
17. Per ulteriori informazioni si veda
Label: religioni in ospedale, Quaderno
di Benvenuti In Italia, 2014, a cura di
Mariachiara Giorda, scaricabile su www.
benvenutiinitalia.it, 20 giugno 2016.
16
indicazioni su come costruirla. Fu dunque stilato un questionario
relativo al colore che avrebbero dovuto avere i muri, piuttosto che
alla possibile presenza di un tavolo o di un mobile contenete i libri
sacri di ogni religione. Nel 2013 l’ospedale Mauriziano di Torino ha
aperto una stanza analoga, nuovamente coinvolgendo il Comitato
Interfedi.17
Questo tipo di spazio è forse oggi il modello di maggior successo per
quanto riguarda la coesistenza religiosa, un successo che è determinato
dall’esclusione di quegli elementi che possono generare conflitti
attorno ad esso.
Al di là di questa e di poche altre interessanti eccezioni, il modello
neo-illuminista, pur fornendo strumenti che permettono passi
enormi nella coesistenza religiosa in contesto urbano rispetto
allo stato dell’arte, sembra basarsi sull’eliminazione dei fattori da
mediare, piuttosto che sullo stesso processo di mediazione. E anche
quando riesce a produrre iniziative come House of One, non riesce a
prescindere da una logica fortemente top-down.
Riprendendo la nostra ipotesi iniziale, una prospettiva diversa può
essere trovata proprio nella dimensione della città, sia come unità
fisica che amministrativa. In un contesto urbano, tutti i luoghi
condividono il medesimo spazio e la città crea di continuo conflitti
e relazioni.
Quest’ultima prospettiva si sviluppa all’interno di una dimensione
politica comunale. Anche se spesso l’incipit dei movimenti riformisti
incomincia dallo Stato, le policies che determina la città sono più
influenti sulla vita del cittadino. Esempi in questo senso, almeno nel
Una Casa delle Religioni
contesto italiano, possono essere ritrovati fin dagli albori dell’unità
nazionale, che affida alla municipalità il compito di organizzare
attraverso strutture e personale quella scuola elementare pubblica e
gratuita decretata dalla legge Casati. Lo stesso accadrà al tramonto del
Regno con la legge urbanistica del 1942 che sancisce l’obbligatorietà
dei piani regolatori.
I Comuni dell’Italia post unitaria si trovano così ad essere gli
innovatori delle nuove domande di servizio (scuola, casa, sanità).18
Una dimensione importante che precede quella dei servizi alla
persona riguarda proprio la libertà religiosa. La dimensione comunale
è quella in cui si materializzano gli effetti dello Statuto Albertino
con la costruzione di Sinagoghe nelle maggiori città italiane entro la
fine del secolo e un accesso alla politica di non cattolici che avviene
proprio nella stessa dimensione comunale.
Queste caratteristiche fanno del modello di coesistenza “urbano” un
terreno interessante per indagare le strategie di negoziazione piuttosto
che di eliminazione della stessa, utili per comprendere i conflitti oggi
in atto.
1.3 - Città e religioni oggi.
La maggior parte degli studiosi di urbanistica, degli antropologi e
dei filosofi che hanno indagato lo sviluppo dei centri urbani in epoca
recente è concorde nel sostenere che sia impossibile identificare
un’univoca teoria sull’organizzazione delle città. Tuttavia, si può
identificare un tratto comune nel fatto che lo spazio costituisca una
struttura relativamente stabile, e sono le modalità del suo utilizzo ad
evolvere, ovvero le pratiche attraverso le quali una società lo occupa.
Un insieme di queste pratiche si articola nella dimensione religiosa.
A seguito dell’intensificarsi dei fenomeni migratori, la relazione tra
città e regione ha iniziato a divenire sempre più stretta, inglobando
territori estesi che non coincidono né con lo spazio compreso entro i
confini della città, né con quello nazionale19. Negli ultimi trent’anni,
le forme religiose di appartenenza, pratica, credenza sono infatti
diventate sempre più variegate rendendo la diversità religiosa uno
degli assi dominanti del pluralismo nelle città europee e italiane20.
Situare i fenomeni religiosi nello spazio urbano significa pertanto
poter prendere in considerazione le modalità con cui uomini e donne
abitano gli spazi, trasformandoli in luoghi dinamici con i loro corpi,
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
17
18.J. Borja, Z. Muxí, El espacio público,
ciudad y ciudadanía, Barcelona, Electa,
2000.
19. P. Perulli, Visioni di città. Le forme
del mondo spaziale, Torino, Einaudi,
2009.
20. P. Hopkins, L. Kong, E. Olson,
Religion and place: landscape, politics
and piety, New York, Springer Press,
2012.
21. A. L. Molendjik, J. Beaumont, C.
Jedan, Exploring the Postsecular. The
religious, the political and the Urban,
Leiden-Boston, Brill, 2010.
22. L. Mumford, What is a City?, in R.
L. Le Gates, F. Stout (eds). The City
Reader, London, Routledge, 2000, pp.
82-96.
S. Sassen, A sociology of Globalization,
New York, W. W. Norton and Company,
2007.
23. M. Burchardt, M. Wohlrab-Sahr,
M. Middell (eds.), Multiple Secularities
Beyond the West. Religion and
Modernity in the Global Age, Berlin, De
Gruyter, 2015.
18
le loro relazioni, le loro emozioni, i loro legami sociali, i loro oggetti.
In sostanza, attribuendo significati e valori ad uno spazio che viene
costantemente negoziato.
Questo processo di appropriazione e nascita di conflitti avviene anche
in contesti che storicamente hanno visto un monopolio da parte di
una tradizione religiosa e che oggi stanno assistendo a cambiamenti
dovuti alla diffusione di nuove forme di culto. Cambiamenti che dalla
dimensione culturale sono presto passati ad incidere sulla dimensione
fisica della città, manifestandosi attraverso processi di organizzazione
e pianificazione urbana, come anche nella realizzazione e modifica di
architetture.
Studi interdisciplinari recenti hanno sottolineato la relazione tra
lo spazio urbano e le tradizioni religiose e culturali che animano
le città21. La prima ipotesi che vogliamo avanzare è pertanto che la
dimensione religiosa possa essere considerata una lente per l’analisi
storica e sociale del contesto urbano22.
A queste considerazioni di ordine generale se ne aggiunge un’altra di
carattere politico. Se si considera il contesto italiano, il nomos vigente
nello Stato-Nazione su un determinato territorio, non può essere
considerato come l’unica struttura che influisce sul suo governo. La
città non è cioè solo la dimensione in cui incontro e negoziazione tra
diverse religioni avviene in maniera evidente, ma sembra diventare
sempre di più il terreno su cui e da cui agiscono le azioni politiche che
puntano ad affermare diritti e facilitare convivenze.
L’etichetta di post-secolare usata di recente in differenti discipline
per descrivere il contesto religioso delle città contemporanee, non
è sufficiente a fotografarne la complessità e le identità, per le quali
sembra più corretta la definizione di multi-secolari23.
Il concetto di “secular” veicola alcuni comportamenti, conoscenze e
sensibilità della vita moderna, ma non è né stabile, né definitivo, ed è in
tensione continua con il “religious”. Esso si esplicita nella permanente
negoziazione di spazi e confini di competenza e influenza. A fronte
di quanto considerato, è possibile sostenere come le modificazioni
urbane così come quelle religiose sono spesso conseguenza dei
conflitti politici e sociali concernenti la secolarizzazione e la diversità
religiosa. All’interno delle città, in ragione di fattori che possono
essere associati al genere, età, religione, etnicità, cultura o lingua, si
costruiscono limiti e confini che sono esperiti e messi in atto attraverso
le forme di interazione proprie delle società globali.
I processi di secolarizzazione e di globalizzazione hanno quindi
Una Casa delle Religioni
influito sulle modalità attraverso cui le religioni si rappresentano
nello spazio urbano e lo occupano. Tali processi, tuttavia, non
sono storicamente lineari: dal XVII e fino XIX secolo, in Europa
i processi di secolarizzazione sono sempre stati accompagnati da
innovazioni religiose. Ad esempio le chiese si sono adattate ai processi
di urbanizzazione attraverso la messa in atto di specifiche strategie
di evangelizzazione volte a raggiungere le nuove classi lavorative
e sociali. Altre innovazioni hanno puntato al miglioramento
dell’autosufficienza economica di un gruppo, attraverso una
“brandizzazione”24 e ad una strategia specifica di marketing dei siti
religiosi, in accordo con le logiche dell’industria del turismo, che può
a sua volta divenire causa della secolarizzazione di tali siti.
Al contrario, i gruppi religiosi emergenti costruiscono la propria
sede in luoghi specifici per poi espandersi all’interno di nuovi spazi
urbani, come è avvenuto per il Christian Youth Group International
Fellowship che, nato a Zurigo, inizia ora a rivolgersi ad altre città
europee25.
Questi processi di appropriazione dello spazio urbano non si risolvono
solamente in progressivi adattamenti al contesto, ma sfociano
apertamente in un conflitto che coinvolge tutta la città sul piano
dei significati. L’espandersi di una religione come l’islam in contesti
di diaspora ha creato conflitti, dibattiti e sollecitato le riflessioni di
studiosi, ma anche delle istituzioni26: quasi in ogni contesto dove si è
cercato di costruire un luogo di culto legato alla religione musulmana,
sia in Europa che altrove, il dibattito è sfociato in una questione di
spazi e pratiche27. Attraverso simili modalità di affermazione e di
visibilità, chiese, comunità e gruppi intendono trarre vantaggio, ma
anche essere parte delle trasformazioni urbanistiche dello spazio e
delle modalità in cui se ne costruiscono i processi di utilizzo. Così,
religione e spazio urbano si trasformano vicendevolmente all’interno
degli attuali processi sociali e la religione è sempre di più ridisegnata
e spazializzata28.
1.4 - Il caso di San Salvario
Un caso studio particolarmente interessante, in cui è possibile
osservare processi di convivenza è il quartiere di San Salvario a Torino.
Tra aumenti e contrazioni del numero di abitanti, tra i nuovi torinesi
figurano nei primi anni del nuovo millennio, decine di migliaia di
immigrati provenienti dall’estero, soprattutto Romania, Marocco,
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
19
24. M.Einstein, Brands of Faith:
Marketing Religion in a Commercial
Age: London, Routledge, 2007.
J.-C. Usunier, J. Stolz, Religions
As Brands. New Perspectives On
The Marketization Of Religion And
Spirituality. Farnham, Ashgate, 2014.
25. Si veda: http://www.icf-movement.
org/locations/, ultimo accesso 27 giugno
2016.
26. C. Saint-Blancat, Spatial and
Symbolic Patterns of Migrant Settlement:
The Case of Muslim Diasporas in
Europe, in Immigration and Integration
in Urban Communities. Renegotiating
the City, L. M. Hanley, B. A. Ruble, A. M.
Garland (eds.), Washington, Woodrow
Wilson International Center for Scholars,
vol. 1, 2008, pp. 97-12.
27.Il dibattito non è stato particolarmente
vivo solo riguardo alle emergenze
architettoniche delle moschee, ma
anche ai suoni prodotti dalle pratiche di
preghiera dell’islam. “in such situations,
the boundaries between public and
private are being negotiated in various
ways, significantly raising questions of
how much visibility a group wish for or
may achieve” (David, 2012: 449).
28. J. . Beckford, Re-thinking religious
pluralism, in G. Giordan, E. Pace (eds.),
Religious Pluralism. Framing Religious
Diversity in the Contemporary World,
New York, Springer, 2014, pp. 15. See
http://globalprayers.info/ ultimo accesso
27 giugno 2016 Cf. www.berlinprojekt.
com, ultimo accesso 27 giugno 2016.
29. M. Giorda, I luoghi religiosi a
Torino. Le religioni nei contesti urbani
contemporanei, «Quaderni di Diritto e
Politica Ecclesiastica», 2015, pp. 337356.
30. Si veda: www.pluralismoreligioso.it,ultimo
accesso il 27 giugno 2016.
31. Per una pionieristica mappatura,
si veda: L. Berzano (a cura di), Forme
del pluralismo religioso. Rassegna di
gruppi e movimenti a Torino, Torino, il
Segnalibro, 1997.
32. Un campione di tre scuole primarie
è il bacino di riferimento per un primo
tentativo di mappare il pluralismo
religioso a scuola; per i dati delle
comunità religiose di appartenenza delle
famiglie si veda: https://benvenutiinitalia.
it/pensiero/food-relgion-2014/report2014-ita/
33. Per i primi risultati si veda: il sito
www.reparty.it. E I. Becci, M. Burchardt,
M. Giorda, Religious Super-Diversity
and Spatial Strategies in Two European
Cities, in «Current Sociology», 2016,
pp. 78-96.
20
Perù, Cina, Egitto, Senegal, Nigeria, Albania, Filippine e Brasile:
circa 220.000 persone (dati prefettura 2013). La loro presenza ha
mosso la società pacificata degli anni Ottanta e ha cambiato il volto di
zone come S. Salvario e Porta Palazzo, due tra i più noti quartieri della
gentrificazione di Torino. La sfida di Torino, impegnata a diventare
polo d’attrazione culturale, turistico e del terziario, è l’integrazione
dei suoi nuovi abitanti, diversi per lingua e cultura, nuova fonte di
ricchezza e di scambio. Ed è una sfida che la prima capitale d’Italia,
crocevia di strade e di persone, intende vincere in questo suo terzo
millennio di storia, superando la sua mono-identità industriale
di “one company town” e investendo sul suo profilo di laboratorio
permanente29.
Per quanto riguarda il panorama religioso, negli ultimi decenni
le confessioni registrate sono passate da120 a più di 200. Come
spesso ha fatto notare Luigi Berzano, direttore dell’Osservatorio
sul pluralismo religioso piemontese30, a Torino si prega ovunque,
nelle chiese, nei cortili, nei garage e nelle palestre; chiese strutturate
e forme di aggregazione temporanea sono mescolate a pratiche di
vita e filosofie del benessere31. Tuttavia, per Torino, come per altre
città d’Italia, mancano dati qualitativi e quantitativi più precisi sulla
diversità religiosa da un punto di vista numerico, se non ricostruiti da
stime a partire dalla presenza di migranti32.
In questo contesto cangiante e sfaccettato, il progetto di mappatura
dei luoghi di culto, iniziato nel 2011 e non ancora concluso33, ha
permesso di studiare la presenza delle religioni sul territorio, in
termini di riconoscimento, di visibilità, di integrazione sociale
e culturale, inclusione/esclusione sia dall’interno (le comunità
religiose) sia dall’esterno (le istituzioni pubbliche e i cittadini). Al
contempo, la città ha da tempo avviato politiche e progettualità che
riconoscono il pluralismo religioso come elemento di dialogo, mutuo
riconoscimento, rispetto e relazione tra le diverse comunità religiose
presenti in città ed esse hanno contribuito alla istituzionalizzazione
di molti di questi luoghi. Le minoranze religiose autoctone più
tradizionali (in particolare valdese e protestante, la comunità ebraica
e quella degli italiani di fede islamica), così come la religione cattolica
maggioritaria, le comunità della diaspora e i nuovi movimenti religiosi
sono infatti impegnate nel promuovere dialogo e iniziative comuni
e in molti casi sono e sono state capaci di accompagnare processi di
crescita di altre comunità religiose.
Fatte queste premesse, occorre in primis ricordare che l’indole
Una Casa delle Religioni
innovativa della religiosità torinese non è un fatto recente: fu a Torino
che la concessione dei diritti civili e religiosi a ebrei e valdesi nel 1848
tramite lo Statuto Albertino segnò un’apertura prima e unica in
Italia. In questa carta si trovano diversi elementi interessanti per la
storia dei luoghi religiosi e più in generale del pluralismo religioso:
anzitutto riguardò il contesto religioso non soltanto cristiano ma
ebraico-cristiano ed ebbe ricadute immediate sull’edificazione di
luoghi di culto che cambiarono l’architettura della città. Prima del
1848 le religioni differenti da quella cristiana cattolica presenti nel
territorio non avevano mai avuto il diritto di edificare un loro luogo
di culto; nel ghetto ebraico vi era una stanza per la preghiera, ma
normalmente si pregava nelle case. Con lo Statuto Albertino edifici
di altri culti furono ammessi e l’area di San Salvario, che era al centro
della nuova pianificazione urbana, come uno degli assi principali di
espansione della città – con il piano del 1850-1852-, divenne anche la
zona di costruzione dei nuovi edifici religiosi34. La prima costruzione
fu il tempio valdese, terminato nel 185335; il primo progetto per la
sinagoga fu presentato nel 1859, ma abbandonato nel 188036, mentre
un altro fu portato avanti in una zona più periferica e meno costosa
della città: il quartiere di San Salvario, e il tempio inaugurato nel 1883.
In entrambi i casi vi fu una discussione all’interno delle comunità
poiché non tutti i fedeli erano d’accordo sulla possibilità della propria
visibilità e in entrambi icasi si procedette alla costruzione, non solo
con l’appoggio ma anche con un sostegno favorevole delle Istituzioni
regie e municipali.
Per quanto concerne il tempio valdese, il dibattito acceso all’interno
della comunità fu dovuto anche al fatto che le condizioni della
costruzione furono chiaramente imposte dalla municipalità di
Torino37. Nel luglio 1849 la Congregazione evangelica di Torino
entrò a far parte della chiesa valdese e la questione della necessità di un
luogo di culto adeguato alle esigenze della Chiesa si pose subito dopo.
Nel 1850 si avviarono le pratiche burocratiche per la costruzione di
un tempio e sotto la direzione del pastore Beckwith fu individuato
un terreno lungo il viale del Re (oggi corso Vittorio Emanuele II):
il tempio doveva diventare un santuario che imponesse rispetto agli
avversari e agli indifferenti e che fosse per gli evangelici una vera
casa di preghiera, e, oltre a ciò, un monumento della vita cristiana di
valore artistico non inferiore agli edifici più grandiosi che si stavano
costruendo nella capitale. L’amministrazione torinese cercò di
rimandare la decisione se accordare o no il permesso e il 17 gennaio
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
21
34. D. Campobenedetto, M. Giorda,
M. Robiglio, The temples and the city.
Models of religious coexistence in
contemporary urban space. The case
of Turin, in «Historia Religionum» 18,
2016, pp. 45-69.
35. P. Cozzo, F. De Pieri, A. Merlotti
(eds.), Valdesi e protestanti a Torino
(XVIII-XX secolo). Convegno per i
150 anni del Tempio Valdese, Torino,
Zamorani, 2003.
36. Tale progetto fu poi terminato e
divenne la Mole Antonelliana, simbolo
della città.
37. T. J. Pons, Actes de synodes des
églises vaudoises 1692-1854, Torre
Pellice, s. d., p. 246. P. Cozzo, F. De Pieri,
A. Merlotti (eds.), Valdesi e Protestanti
a Torino, cit., p. 78.
38. A. Pascal, G. Bertin, P. Bosio,
L’evangelo a Torino all’epoca della
Riforma alla dedicazione del Tempio,
Torino, Chiesa Valdese editore, 1953,
p. 78.
▲ Il tempio valdese di San Salvario. ©
Luca Bossi.
22
1851 fu il Re in persona ad autorizzare il Ministero dell’Interno a dare
le disposizioni opportune per acquistare il terreno. Nonostante alcuni
tentativi di fermare il processo e le dissuasioni del clero cattolico,38 il
Consiglio delegato della città di Torino ribadì nell’agosto dello stesso
anno che il Municipio non doveva avere alcuna ulteriore ingerenza
sulla costruzione. Il 26 ottobre 1851 fu posta la prima pietra e il 15
dicembre 1853 il nuovo tempio fu inaugurato con una cerimonia
solenne. Cinque anni dopo fu costruita anche la casa parrocchiale
per accogliervi una sala per riunioni, l’ospedale, i locali scolastici e
gli alloggi pastorali; la contemporanea formazione del borgo San
Salvario fece in modo che il tempio e la Casa valdese che inizialmente
sembravano collocarsi ai margini della città, si trovassero al centro di
uno dei più affollati quartieri di Torino, costituendo un elemento di
richiamo, di apertura, di dialogo e anche di accoglienza nei confronti
del resto della città. In quegli anni la comunità valdese crebbe e
nuovi aderenti provenienti dalla città e numerosi profughi esuli
da altre regioni del paese si accostarono al gruppo. Un segno della
vivacità culturale valdese di quei decenni fu nel 1894 l’apertura della
casa editrice Claudiana, la “voce italiana del protestantesimo”. Uno
spazio multi funzionale, quindi, più che un luogo religioso, in cui si
intrecciano attività differenti aperte ai non-valdesi.
Una Casa delle Religioni
Per quanto riguarda la sinagoga, la decisione di costruirla a Torino fu
presa nel 1859, quando all’indomani dell’emancipazione si innescò un
processo di assimilazione e insieme di riconoscibilità delle comunità
ebraica che influenzò anche il modo di intendere l’architettura e la
visibilità della sinagoga. La sinagoga di Torino, centro di ricordi,
ideali, luogo di unificazione della vita sociale e religiosa ebraica,
fu concepita come un tempio, sul modello delle chiese cristiane
dell’epoca e il modello che fu preso come punto di riferimento
fu la sinagoga di Lipsia che era stata progettata nel 1855 da Otto
Simonson, in uno stile esotico che era destinato ad avere fortuna in
Italia, come mostrano gli edifici in stile moresco di Vercelli e Firenze,
oltre che di Torino. La storia dell’attuale Tempio non può essere
slegata dalla storia della Mole Antonelliana, inizialmente progettata
dall’architetto Alessandro Antonelli, finanziata dall’università
israelitica e lasciata incompiuta, poi acquistata dal Municipio come
sede del Museo dell’Indipendenza italiana. Il 1° marzo 1859 il
Consiglio d’amministrazione della Comunità ebraica di Torino aveva
deliberato di erigere un nuovo Tempio, per il quale aveva poi deciso
di imporre una cifra annuale ai residenti ebrei di Torino. Dopo che il
progetto fu accettato da un decreto regio nel 1860, con la condizione
che il disegno fosse sottoposto al sovrano per una sua accettazione,
il 3 luglio del 1860 fu acquistato il terreno per 33.948 lire e nel
1862 fu indetto il concorso artistico pubblico. La prima pietra fu
collocata nell’aprile del 1863 e negli anni successivi le spese non
fecero che crescere: alla fine del 1869 il Consiglio d’Amministrazione
dell’Università israelitica di Torino, ripercorrendo le tappe progettuali,
arrivò a ipotizzare, a causa di un ritardo dei lavori, degli aumenti dei
prezzi delle aree fabbricabili, di nuovi calcoli, una cifra di circa un
milione di lire. Dopo altri anni di discussioni, accuse incrociate, nel
1872 l’assemblea dei contribuenti respinse la proposta di conservare
l’edificio, destinandolo ad altro uso e deliberò di stanziare 270 mila
lire per completare l’opera, cercando di coinvolgere nelle spese il
Municipio. Nonostante le spese si dimezzassero negli anni successivi,
nel 1875 il Consiglio d’amministrazione pubblicò un opuscolo in
cui si proponeva di vendere la Mole al Municipio per comprare una
nuova area dove erigere un tempio di più modeste proporzioni: dopo
vari tentennamenti e cambiamenti di posizioni, nel 1876 l’assemblea
dei contribuenti decise di completare l’opera riducendone una parte
e verificando la presenza dei fondi necessari. Nel 1877, anno della
morte del Rabbino Olper, il Municipio si offrì di acquistare la Mole
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
23
▲La sinagoga di San Salvario. © Luca
Bossi.
24
senza porre condizione alcuna rispetto alla destinazione dell’edificio,
mentre l’assemblea dei contribuenti fu invitata a votare. Si decise allora,
sulla base di una maggioranza censuaria, di vendere la Mole a 150 mila
lire e di individuare ed acquistare un nuovo terreno per il Tempio che
fosse più modesto, ma visibile e di cui tutti, ormai, sentivano l’esigenza.
Soltanto nel 1879 la comunità ebraica acquistò una nuova area che
si trovava in via sant’Anselmo e Goldoni, sulla stessa direttrice che
attraversa il centro cittadino nel punto mediano segnato dal vecchio
ghetto, agli antipodi del progetto della Mole dell’allora via Cannon
d’oro. Tra nove progetti presentati all’Università israelitica di Torino
fu scelto quello dell’ingegnere Enrico Petiti che si atteneva ai criteri
stilistici invalsi nell’architettura delle sinagoghe del tempo, pur con
accenti personali. I lavori furono svolti con grande rapidità e nell’aprile
del 1883 gli uffici amministrativi della comunità furono trasferiti nei
locali attigui del nuovo edificio. L’inaugurazione del Tempio avvenne
il 15 febbraio 1884, alle nove e trenta del mattino, quando si svolse
la funzione sacra, cui assistettero più di 2000 persone, tra cui anche
cattolici interessati e curiosi. Il Tempio fu frequentato da allora senza
cali di affluenza, se non nel periodo successivo al bombardamento del
1942, quando decorazioni e arredi interni andarono distrutti per essere
poi ricostruiti nel 1949.
Una Casa delle Religioni
Entrambi i templi hanno un ruolo prominente all’interno del
contesto urbano: sovrastano la strada con un ruolo visivo forte e una
sorta di competizione per la loro altezza e struttura; inoltre il loro
stile architettonico è chiaramente riconoscibile per la forma. Le loro
funzioni si sono concentrate in una serie di iniziative che stabiliscono
una forte connessione con la società come una scuola nel caso della
sinagoga, spazi sociali e di incontro, una libreria legata alla casa
editrice per i valdesi. Tali attività si diffondono al di là dell’isolato
confessionale: nel caso dei valdesi un ospedale fu costruito a pochi
isolati di distanza, e divenne punto di riferimento per tutta la città;
anche gli ebrei hanno un centro sociale per attività per giovani ebrei e
non, dirigono una delle scuole primarie più rinomate della città39, per
circa due anni hanno gestito un ristorante kosher di fronte al tempio40
e partecipano alle attività culturali del quartiere.
Nel 1882 la chiesa cattolica di S. Giovanni Evangelista fu costruita
nella stessa area: il giudaismo e il cristianesimo divennero molto vicini.
Ma quale cristianesimo? La chiesa valdese, appunto e il cattolicesimo
legato all’esperienza dei santi sociali della città, tra cui don Bosco che
pochi anni prima aera stato marginalizzato dalle istituzioni per poi
diventare una delle figure più rivoluzionarie della pratica cristiana.
Don Bosco fu uno dei grandi personaggi del cattolicesimo sociale
che nella seconda metà dell’Ottocento vissero la carità e la solidarietà
cristiane, traducendole concretamente nei servizi ai malati e agli
indigenti, inaugurando una tradizione torinese destinata ad avere
successo fino ad oggi. A causa di ciò, prima di essere accettati e anzi
diventare il simbolo del cattolicesimo torinese, furono considerati
dissidenti per la loro proposta sociale e ciò contribuì ulteriormente
a frammentare e conferire un’identità multipla e sempre in divenire
del cristianesimo. In decenni di conversione industriale di Torino,la
popolazione crebbe grazie alle prime ondate migratorie dal meridione
e si sviluppò, una politica di costruire oratori per ospitare giovani e
proporre loro differenti attività, dai compiti della scuola, allo sport,
al divertimento. Attività per riempire i quartieri, mentre le parrocchie
iniziavano a svuotarsi.
La relazione tra Valdesi e cattolici di Giovanni Bosco fu sempre molto
complicata e difficile41; in un primo momento don Bosco si limitò
a difendere le dottrine cattoliche ed attaccare quelle protestanti,
cercando di fornire un antidoto ai giovani per combattere il veleno.
In una seconda fase divenne più organizzato per contrastare l’errore
protestante, il cui successo fu segnato anche dall’occupazione di
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
25
39. http://www.scuola-ebraica-torino.it/,
visitato il 27 giugno 2016.
40.
Il ristorante Alef è stato attivo dal
2012 al 2014: http://www.lastampa.
i t / 2 0 1 2 / 11 / 1 0 / c r o n a c a / c o s t u m e /
torino-ha-il-suo-ristorante-kashertKn8Pbxc9QGdnZczHqUYyH/pagina.
html, visitato il 27 giugno 2016.
41. Si veda il brillante volumetto di M.
L. Straniero, Don Bosco e i Valdesi.
Documenti di una polemica trentennale
1853-1883, Claudiana, 1988.
42.Vita di San Giovanni Bosco, Torino,
rist. 1987, vol. I, p. 455.
▲Celebrazione della Pasqua 2014
presso la comunità cattolica filippina nella chiesa di S. Giovanni Evangelista. ©
Angelo Morelli.
un territorio fisico della città: l’obiettivo sarebbe stato quello di
convertire il tempio in una Chiesa dedicata a Maria Immacolata,
come si legge nella biografia redatta da don Lemonye42. D’altra parte,
Giovanni Bosco fu oggetto di diversi attacchi dai quali si salvò grazie
o all’intervento delle sue “guardie del corpo” (i suoi giovani), perché
il prete salesiano con le sue celebri Letture Cattoliche, con le sue
conferenze e con i suoi oratori, che di anno in anno crescevano di
numero, era considerato un acerrimo nemico da contrastare. Vi era
dunque un rapporto di competizione molto forte. La costruzione
della chiesa di San Giovannino a Torino prova questa rivalità: fu
edificata proprio accanto al tempio valdese per fargli concorrenza.
Ciò che è molto interessante oggi è che qui si ritrova, dal 1998, la
numerosa ed attiva comunità filippina torinese, nella Cappellania
Filippina, per ascoltare la liturgia in lingua tagalog. In questa, come
in altre chiese “etniche”, è importante il legame con la madrepatria
che si esprime nell’associazionismo filippino volto a conservare
e promuovere la cultura e la tradizione filippina. Tutti questi casi
risultano in centri di servizi: si tratta di un edificio strettamente legato
ad un tessuto che sostanzialmente è sovralocale.
Senza dubbio, la comunità religiosa in continua espansione è quella
islamica, composta da persone provenienti da Marocco, Egitto,
26
Una Casa delle Religioni
Albania, Tunisia, Nigeria, Senegal, Costa d’Avorio, Somalia, per un
totale di circa 35.000 fedeli. Volendo tenere in considerazione il volto
plurale dell’islam, che per il 98% a Torino è sunnita, non si può non
dire quanto il panorama sia complesso e stratificato, sin dalla fine
degli anni Settanta. Tra i differenti “luoghi dell’islam”, vi sono le sedici
sale di preghiera presenti a Torino (Islam a Torino 2015)43. Anziché
di moschee, a Torino – e così nel resto d’Italia – è più opportuno
parlare infatti di sale di preghiera, fondate e gestite da associazioni
o centri culturali che svolgono apertamente attività cultuali. Le sale
di preghiera islamiche torinesi – come molte in Italia e in Europa –
sono frutto non tanto di un’edificazione ex novo quanto di interventi
di recupero, ristrutturazione e riadattamento di locali in edifici
preesistenti. L’edilizia di culto è regolata in prevalenza da leggi statali,
pattizie e soprattutto regionali assai eterogenee tra loro, che fissano
gli standard urbanistici, in aggiunta ai valori minimi fissati dal d.m.ll.
pp. n. 1444 del 1968, e determinano in ogni aspetto le modalità di
finanziamento dell’edilizia di culto e di assegnazione delle aree44.
A San Salvario fu aperta la prima sala di preghiera islamica nel 1987;
oggi una delle più frequentate e attive di Torino è la sala Omar Ibn
Al-Khattab, Associazione Culturale Islamica San Salvario inaugurata
negli anni Novanta. Il luogo è poco visibile perché affaccia nel cortile
di un palazzo. Medio orientali – Libano, Siria, Giordania, Palestina
–, egiziani, marocchini e africani –e pakistani frequentano la sala
che contiene circa 100-150 persone, è formata da due sale distinte
per gli uomini e per le donne e il venerdì, dalle 13,30, i musulmani si
trovano insieme per la preghiera che viene recitata metà in italiano e
metà in arabo. A volte, per i grandi numeri, i fedeli si devono riversare
nel cortile all’aperto, come durante il ramadan, quando i passaggi
aumentano al momento del tramonto: tutti gli abitanti del quartiere
conoscono chi la frequenta e viceversa, le attività culturali sono aperte.
Vi sono anche diversi tipi di servizi educativi per bambini e giovani,
attività formative e ricreative, ma anche attività per adulti, soprattutto
per le donne: programmi di alfabetizzazione e di inserimento (dalle
visite e i percorsi di conoscenza del territorio, a incontri e dibattiti,
ad una sensibilizzazione sanitaria e relativa ai problemi sociali più
diffusi). Corsi di italiano, corsi per imparare a conoscere e saper
usufruire delle opportunità che offre la città, ma anche riunioni
incentrate sulla discussione e il confronto relativi al modo di tenere
la casa ed educare i bambini trovano spazio ogni settimana nella sala
della moschea.
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
27
43. A maggio 2015 l’éqiupe coordinata da
Luca Bossi ha contato a Torino 16 sale
di preghiera islamiche, diversamente
disseminate sul territorio: 6 di queste si
trovano nella Circoscrizione VII (AuroraVanchiglia-Sassi-Madonna del Pilone),
concentrate nel quartiere Aurora; altre
3 si trovano nella Circoscrizione VI
(Barriera di Milano, Barca, Bertolla,
Falchera,
Rebaudengo,
Villaretto),
concentrate soprattutto nel quartiere
Barriera di Milano, al confine con Aurora;
sul territorio della Circoscrizione V
(Borgo Vittoria, Madonna di Campagna,
Lucento, Vallette) se ne incontrano 2,
e altrettante ne ospita la Circoscrizione
VIII (San Salvario, Cavoretto, Borgo Po),
entrambe concentrate nel quartiere San
Salvario; altre 3 sale, infine, si trovano
rispettivamente nella Circoscrizione II
(Santa Rita, Mirafiori nord), IX (Nizza
Millefonti, Lingotto, Filadelfia), sul confine
con i comuni di Moncalieri e Nichelino, e X
(Mirafiori sud).
44. D. Persano (ed.), Gli edifici di culto
tra Stato e confessioni religiose, Milano,
Vita e Pensiero, 2008; A. Roccella, Gli
edifici di culto nella legislazione regionale,
in D. Persano (ed.), Gli edifici di culto tra
Stato e confessioni religiose. Milano, Vita
e Pensiero, 2008. N. Marchei, La legge
regionale sull’edilizia di culto alla prova
della giurisprudenza amministrativa, in:
www.statoechiese.it. 2014 (21/01/2016);
S. Ferrari, Le moschee in Italia tra
ordine pubblico e libertà religiosa, in:
Quattordicesimo rapporto sulle migrazioni.
Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 219236. S. Ferrari, R. Mazzola, Campanili e
minareti. I luoghi di culto tra norme civili e
interessi religiosi, «Fascicolo monografico
di Quaderni di Diritto e Politica
Ecclesiastica», XVIII/1, 2010, pp. 3-256.
nformazioni sin qui acquisite, fra quelli
esistenti uno dei primi luoghi per data
di fondazione è la Moschea della Pace
di Corso Giulio Cesare: fondata intorno
al 1995, si trova nel quartiere Aurora, a
pochi passi da piazza della Repubblica e
dal mercato di Porta Palazzo. Nell’area
tutt’attorno alla Moschea della Pace
sono sorte, negli anni, tre nuove sale: il
Centro Assunnah, l’Associazione ItaloMarocchina La Pace e il Centro Ad-Darus
Salam; poco più in là, il Centro Taiba,
fondato nel 2006. Si veda il Quaderno di
Benvenuti in Italia: Islam a Torino, 2016:
www.benvenutiinitalia.it, ultimo accesso l’
27 giugno 2016.
▲Ingresso della sala di preghiera islamica di San Salvario. © Luca Bossi.
45. Si veda: http://www.islamtorino.it/firma-delpatto-di-condivisione-tra-citta-di-torinoe-centri-islamici/, ultimo accesso 27
giugno 2016.
28
Il capoluogo piemontese si pone come vero e proprio laboratorio
per l’integrazione dell’Islam e delle comunità islamiche italiane o di
immigrati nel tessuto politico e socio-culturale italiano, e rappresenta
un modello di sinergia tra le varie Comunità Islamiche, garantendo
interlocutori affidabili nel mantenimento delle differenza e delle
specificità . Tale impegno comune ha permesso di siglare a Torino
il patto di Condivisione tra la Città con un tavolo di responsabili
dell’islam di Torino45. D’altra parte, negli ultimi anni si sono avviati
tavoli di coordinamento e di confronto tra la maggior parte dei Centri
Islamici cittadini, che hanno promosso alcune iniziative comuni
volte a far conoscere ai cittadini torinesi la realtà islamica. Si sono
organizzati corsi di formazione, seminari sulla Costituzione italiana,
attività in collaborazione con il tessuto associativo cittadino. A fronte
di una presenza diffusa sul territorio, occorre sottolineare che a una
visibilità locale (“tutti in quartiere sanno dove è la sala di preghiera e
chi la frequenta” – ha dichiarato in un’intervista il referente dell’islam
torinese che siede nel Comitato interfedi del Comune di Torino), si
oppone un’invisibilità istituzionale: la mancanza di un’intesa tra la
religione islamica e lo stato italiano e l’assenza di un regolamento
in fatto di costruzione di edifici di culto ha fatto sì che l’utilizzo
o la costruzione di una sala di preghiera che avvenga senza alcuna
Una Casa delle Religioni
▲Celebrazione in una chiesa pentecoparticolare caratterizzazione.
stale a Torino. © Angelo Morelli.
Perché la moschea non può stabilire un dialogo sociale attraverso
una forma architettonica riconoscibile in uno spazio pubblico? 46. N. De Giorgis, Hidden Islam.
Perché ciò accade anche se vi è un riconoscimento formale e giuridico Islamic makeshift places of workship in
North East Italy, 2009-2013, Bolzano
della religione islamica? Da un punto di vista urbanistico possiamo Rorhof, 2013; S. Allievi, La guerra delle
ipotizzare che l’immaginario occidentale della moschea è quello moschee, Venezia, Marsilio, 2010; A.
Angelucci, M. Bombardieri, D. Tacchini
sviluppatosi sotto il califfato e non quello più sincretico di edifici come (eds.), Islam e Integrazione in Italia,
quelli di Sarajevo o di Beirut. Il carattere anti-urbano della moschea Venezia, Marsilio, 2014.
e la difficoltà ad accettarne i simboli, come mostra il dibattito sui
minareti in differenti città europee, crea un senso di disagio diffuso.
Il primo risultato è l’espulsione dell’architettura islamica dai codici
di trasmissione dell’architettura urbana, nonostante la loro presenza
attiva, la loro apertura alla città e i loro tentativi di collaborazione e
creazione di rete.
In alcuni casi infatti, proprio per questa tensione tra integrazione,
attività culturali e sociali e non riconoscimento ufficiale, impossibilità
di costruire una vera e propria moschea, gli spazi sono insufficienti,
non adatti ad ospitare un grande numero di persone, poco dignitosi
per chi li frequenta per la promiscuità con altre attività limitrofe (bassi
fabbricati in mezzo ai cortili, appartamenti, esercizi commerciali
vuoti etc.). Si parla di “moschee-garages”46, quando anche la loro
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
29
vita interna risente di una certa improvvisazione sia dal punto di
vista teologico sia da quello della conoscenza dell’ordinamento
civile e associativo. L’inadeguatezza si avverte ancor di più durante
le due grandi feste religiose islamiche che vedono radunarsi decine di
migliaia di fedeli in un parco cittadino della città: nel grande spazio
sotto le volte dell’ex stabilimento delle Ferriere, a Parco Dora, segno
di riutilizzo di uno degli spazi industriali della Torino novecentesca,
i musulmani torinesi pregano da alcuni anni e festeggiano la fine del
Ramadan.
I gruppi che meglio rappresentano la mobilità, l’invisibilità (a volte
ricercata) e la transitorietà sono però quelli che definiamo religioni
“di minoranza numerica”, di derivazione orientale o di innovazione
occidentale che dagli anni Settanta si sono diffuse in modo capillare:
a Torino esistono decine di centri buddisti, centri per la meditazione,
servizi buddisti, centri studi, centri di informazione e di formazione;
un mondo che si richiama generalmente alla spiritualità orientale e in
particolare al buddismo, unendo pratiche spirituali e pratiche fisiche.
Si tratta spesso di centri yoga, centri di benessere fisico, in un caso vi è
un ristorante vegano aperto al pubblico: spazi piccolissimi, camuffati
in palazzi della città, segnalati da targhe pressoché invisibili.
Interessante e rappresentato ovunque, anche in San Salvario, è il
caso dei pentecostali, gruppi cristiani carismatici che hanno forti
componenti profetiche, emozionali e curative. Con la sua componente
popolare, il pentecostalismo si sviluppa tra i gruppi di immigrati più
poveri e attraverso la conversione i suoi membri si sentono uniti da
legami d’amore, di fiducia, condivisione.
Il caso di San Salvario offre la possibilità di riflettere su come le
città e le religioni si conformano e plasmano le une con le altre e
tale reciproca influenza sia un fatto storico. Ciò che risulta è una
spazializzazione delle comunità e delle pratiche religiose, ma anche
una manifestazione pubblica delle esigenze religiose che si tramuta in
risposta e strategia da parte delle istituzioni pubbliche che ne devono
tener conto nella pianificazione. I luoghi religiosi nelle città italiane
e europee sono il segno della superdiversità, della stratificazione di
rituali e estetiche religiose che provengono dal basso; le istituzioni
cittadine da sempre contribuiscono a promuovere, facilitare alcune
di queste comunità (e dei loro luoghi) e a marginalizzarne altre. In
ogni caso architetture e spazializzazioni di diverso genere modellano
lo spazio urbano dando forma a nuove visibilità (e invisibilità).
30
Una Casa delle Religioni
La Casa delle Religioni come “spazio
multifede” per la cultura.
2.1 Esiste una cultura multifede?
La Casa delle Religioni - essendo destinata ad essere uno spazio
multifede- è uno spazio di liminalità, per dirla con Van Gennep
e Turner, in quanto gli individui che vivono e praticano lo spazio
sincretico formano, a loro volta, una communitas ponendosi fuori dalla
società, in cui le regole della vita quotidiana sono in qualche modo
sospese. In questo senso, la prima e più importante caratteristica dello
spazio multifede è proprio il suo essere sospeso dalla vita quotidiana.
In particolare, uno spazio multifede progettato top-down, come
quello che è l’oggetto di questo studio, non può che proporsi come
spazio per una cultura innovativa, che non solo è dunque “liminale”,
ma che pratica una vera e propria rottura sia con il passato religioso
del territorio, sia, probabilmente, con le pratiche e le organizzazioni
esistenti nel presente delle oltre 200 fedi religiose che animano la
città di Torino; in altre parole, la Casa delle Religioni pensata e
realizzata nel contesto torinese non può che negoziare elementi di
rottura e di continuità creando una breaking culture, cioè una cultura
di innovazione in rottura sincronica (con la contemporaneità) e
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
31
47.P. Brodeur, E. Patel (eds), Building
the Interfaith Youth Movement: Beyond
Dialogue to Action, Oxford, , Littlefield
Publisher, 2006.
diacronica (da una prospettiva storica) con il contesto circostante,
pur generandosi e integrandosi in esso.
Quali sono dunque gli elementi culturali caratterizzanti uno spazio
multifede? A quale cultura fa riferimento lo spazio multifede, e
quale cultura, a sua volta, genera o genererebbe la sua presenza nello
specifico contesto urbano?
Il nome “multifede” indica solitamente le relazioni tra diverse
confessioni e gruppi religiosi, esattamente come il termine
“interreligioso”, usato però maggiormente in ambito cattolico, o il
termine “interreligioso”, in voga a sua volta nei circoli protestanti
anglosassoni.47 Quest’ultimo termine, “interreligioso” è stato
utilizzato per indicare in particolare i rapporti tra due fedi religiose
specifiche, come Cristiani ed Ebrei, o Cristiani e Musulmani e si è
diffuso soprattutto negli Stati Uniti, mentre il termine “multifaith”
è diventato più comune in Gran Bretagna e, subito dopo, nel resto
dell’Europa, a partire dal ventesimo secolo. E’ interessante notare
come “multifede” abbia progressivamente assunto un’accezione
positiva, nel senso che con quel termine la diversità di credo religioso
veniva indicata come una forma di arricchimento sociale, persino
qualcosa a cui la comunità doveva auspicare, allo stesso modo in cui
il termine “multiculturalismo” era venuto a indicare, nel tempo, la
positività della diversità culturale nello stesso territorio.48
La cornice culturale di nascita del “movimento multifaith”49 a partire
dal ventunesimo secolo, è dunque quella di società profondamente
segnate dalla dicotomia quasi schizofrenica che combina da una
parte la cultura dell’incertezza e del rischio, sul cui fuoco ha soffiato
la politica del terrore che permea le cosiddette “società occidentali”;
dall’altra invece, la nascita di un sincero interesse per soluzioni
collaborative e cosmopolite, per il multiculturalismo e la differenza,
per religioni altre e lontane anche come punto di forza per risolvere
problemi globali come l’inquinamento, il terrorismo e il cambiamento
climatico.
Così islamofobia, migrantofobia, e varie forme di discriminazione si
sono accompagnate a una crescente disponibilità dei gruppi religiosi
a collaborare gli uni con gli altri, dando vita a percorsi educativi
multifede, e a varie attività incrociate, fino a giungere alla creazione di
luoghi multifede sempre più comuni e che sempre più assomigliano
a un generico invito a non abbandonare una generica idea di fede,
piuttosto che incentivare il culto religioso che un individuo ha per
nascita o appartenenza.
48.J. Beckford, S. Gilliat, Religion
in Prison: Equal Rites in a MultiFaith Society, Cambridge, Cambridge
University Press, 1998.
49.A. Halafoff, The multifaith Movement.
Global Risks and Cosmopolitan
Solutions, Dordrecht, Springer, 2013.
32
Una Casa delle Religioni
Nel paragrafo precedente si è fatto cenno agli spazi multifede bottomup, come San Antonio da Padova a Istanbul, frequentato da cristiani
e musulmani. Tuttavia, nei contesti urbani delle società occidentali,
il modello prevalente per la creazione di questi luoghi è quello topdown.
Le università che in Gran Bretagna hanno messo a disposizione di
studenti e personale accademico le prayer rooms, invitavano tutti a
“staccare un pò” dalla frenesia e dal rumore di tutti i giorni (Come away
in a quiet place) ed entrare dunque in uno spazio di raccoglimento.
Il messaggio di “invito alla spiritualità” era tradotto in un linguaggio
simile a quelli utilizzati in pubblicità, specie per sponsorizzare luoghi
esotici o di villeggiatura. Ciò che è breaking di una cultura che crea e
“sponsorizza” uno spazio multifede è l’aspetto innovativo di percepire
elementi come il credo religioso, la fede, il raccoglimento e il silenzio
come elementi universalmente necessari al benessere generale della
persona, che si tratti di buddhisti, musulmani o mormoni etc, così
come potrebbero esserlo una dieta alimentare equilibrata, il riposo,
l’accesso ai servizi per il cittadino etc.
Un altro aspetto breaking di una cultura che promuove spazi multifede
top- down è la fine della difesa di una fede in particolare, legata a tratti
identitari culturali nazionali, etnici, tradizionali precisi, a favore della
difesa di una fede tout court.
Nel 2010, per esempio, si era ipotizzato di incoronare il principe Carlo
con una cerimonia multifede perchè, come ha spiegato il Canonico
John Hall alla testata Christian Today nell’autunno di quell’anno,
la cerimonia di passaggio avrebbe dovuto giocoforza rispecchiare i
profondi cambiamenti avvenuti nella società contemporanea inglese,
in cui la Corona “non potrà (né vorrà) più difendere la fede cristiana,
ma dovrà difendere la fede e basta”. La “fede e basta” è un enunciato
emblematico: gli eventi storici che hanno visto il dibattito sulla
secolarizzazione come protagonista assoluto di un nuovo modo di
percepire il rapporto tra esseri umani e comunità sociali, emergono dal
dibattito dopo aver indebolito l’importanza delle religioni storiche e
aver rafforzato un’idea generica, globalizzabile e universale di “fede”,
che per essere messa in pratica sembra avere più bisogno di santuari
che di chiese, ama il turismo religioso ed esperienziale piuttosto che la
liturgia o i rituali di passaggio tradizionali, ed è determinato sempre
più dalla scelta religiosa compiuta in età adulta, incluso le conversioni
a fedi differenti, le ibridazioni o i sincretismi, piuttosto che da una
fede determinata dalla nascita e dall’appartenenza per tradizione.
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
33
50. G. Bravo, Italiani. Racconto
etnografico, Bologna, Meltemi, 1999.
Il risultato è che la necessità di creare luoghi multifede non è, il
più delle volte, sentita da comunità immigrate che chiedono alle
istituzioni di veder riconosciuto uno spazio di culto; nè da comunità
religiose specifiche, già radicate sul territorio. Piuttosto, la richiesta e
la promozione dei luoghi multifede ha a che fare con la pendolarità
delle identità50, cioè con la ricerca, in una società complessa e
stratificata, di uno spazio e di un tempo protetto entro cui reinventare
e coltivare antiche e nuove radici, come è il caso della House of Prayer
and Learning di Berlino, ma che abbiano il denominatore comune
della fede religiosa, senza ulteriore specificazione.
Gli spazi multifede paiono essere dunque una nuova risorsa
culturale opportuna per la fede tout court di autorappresentarsi
attivamente sul teatro della vita, al fine di non morire dimenticata,
sopravvivendo a qualche giro di stagione, come direbbe Cesare
Pavese. Nella complessità della società e nella varietà delle situazioni
che essa presenta, nell’alternarsi spesso febbrile di stimoli diversi o
contrastanti, lo spazio multifede si pone come momento di stabilità
e di orientamento spirituale; si ricostituiscono linguaggi comuni, con
nuove sequenze simboliche, e si riconoscono valori universali.
In questo clima culturale sorgono dunque i luoghi multifede, che,
a loro volta, promuovono culture in “rottura”, che hanno la fede
come imperativo, ma che desiderano scegliere, e soprattutto rendere
essenziali, le modalità di esternazione e pratica di questo imperativo.
2.2 - Tipologie antropologiche e architettoniche di luoghi
multifede Se storicamente il modello della sostituzione è il prevalente e oggi
quello della condivisione degli spazi all’interno di una stanza
multifede priva di simboli la tipologia più diffusa, questa ricerca ha
individuato alcune tipologie alternative di condivisione dello spazio
della preghiera che non eliminano la conflittualità portata da simboli
e pratiche, ma ne propongono una mediazione tramite l’articolazione
degli spazi.
34
Una Casa delle Religioni
2.2.1 Stanza Multifede - Articolazione di ambienti dedicati
Un tipo particolare di stanza multifede è quella suddivisa in ambienti
dedicati a culti differenti: in questo caso più che di condivisione, si
tratta di spartizione di sotto-ambienti all’interno dello stesso luogo
chiuso che può essere una stanza, un salone, una sala. I gesti, gli
oggetti e le parole sono separate e anzi isolate (non è previsto alcun
luogo comune) e non si devono sovrapporre e confondere.
Un esempio è la Royal Infirmary di Manchester: un ovale che ospita
differenti aree per cristiani (cattolici, anglicani e free Church),
ebrei e musulmani (uomini e donne separate) e delle strutture per
le abluzioni. Si tratta del complesso multifede che ha sostituito la
cappella di Edward inaugurata nel 1908 e abbandonata nel 1990: nel
giro di un centinaio di anni, la vecchia stanza della Cappella, struttura
unica per i cristiani è stata sostituita da un cluster di stanze separate
che separano al loro interno gesti, parole e oggetti di culto (secondo
la brochure informativa, “artefatti” e “sculture”), gestiti da un team di
volontari.51
Si deve specificare che questa sala è inserita in un sistema di servizio
spirituale del Manchester Royal Infirmary che prevede la sala multi
fede, due sale multi fede nel reparto pediatrico, una cappella e una sala
semplice multifede presso un centro commerciale dove accorgimenti
meccanici e teatrali esprimono la convivenza possibile tra fedeli
consumatori.
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
35
▲Manchester, Royal Infirmary, New
Multifaith Centre, 2008.
51. Si veda: http://www.cmft.nhs.
uk/media/1532070/chaplaincy%20
leaflet%202015%2018.pdf.
Ultimo accesso 27 giugno 2016.
2.2.1 - Stanza Multifede – Fulcri intercambiabili
▲Cambridge - Massachusetts cappella
del MIT, 1955.
36
Un altro esempio riferibile al modello della stanza multifede è quella a
fulcri intercambiabili: la condivisione diventa spartizione di spazi e di
tempi; quello che in un determinato periodo o momento è destinato a
un culto, può essere adibito a un altro culto e così l’oggetto condiviso
(nel caso specifico l’altare – contenitore della Torah) è al contempo
l’oggetto sacro confessionale (la Torah nascosta).
La cappella circolare del MIT costruita da Eero Saarinen nel 1955
fu inaugurata come uno spazio cristiano-ebraico. L’aula rimane
sempre visibile e accessibile, mentre quanto vi è di particolare per la
fede ebraica è nascosto ed è estraibile all’occorrenza. In questo caso
i materiali usati e le luci creano lo spazio e il senso del sacro, mentre
l’armadio della Torah può sorgere all’occasione dietro all’altare grazie
ad un sistema idraulico.
Una Casa delle Religioni
2.2.3 - Stanza Multifede – Distribuzione su livelli
Altro esempio ancora di condivisione all’interno di uno stesso spazio ▲Cambridge - Massachusetts Harvard
chapel.
è la sala multifede gestita su piani differenti: i gesti, gli oggetti e le
parole sono separate ma non isolati ed è previsto un luogo comune;
in questo caso la possibilità di non sovrapporsi e confondersi è più
delicata.
A Cambridge, la Massachussets Harvard Chapel, in origine cristiana,
offre una sorta di mix pittoresco di fedi: una sala multifede è aperta e
disponibile per fedeli di ogni provenienza. Sono disponibili la Bibbia
ebraica e cristiana, testi hindu e il Corano e lo spazio del coro è stato
liberato affinché i fedeli musulmani abbiano un loro spazio dedicato.
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
37
2.2.4 Edificio Multifede - Condivisione flessibile
▲Friburgo, Chiesa di Maria Maddalena,
2004.
Si tratta della tipologia che prevede la spartizione di uno spazio da
parte di realtà religiose differenti, ciascuna delle quali ha a disposizione
una sua porzione di spazio autonoma e, al contempo, una porzione
condivisa da tutti. All’occasione le barriere possono essere abbattute
e lo spazio divenire unico, occupato da una singola comunità
oppure condivisibile tra le comunità presenti. Per il carattere non
conflittuale della flessibilità della spartizione, si tratta di un modello
di condivisione di gesti rituali e oggetti del culto.
Un esempio è la chiesa di Maria Maddalena a Friburgo, dove trovano
posto i culti della comunità cristiana cattolica e evangelica: progettata
nel 1995 e portata a termine nel 2004, essa prevede tre spazi di cui
quello centrale comune e condiviso, sede della fonte battesimale.
Le porzioni laterali sono destinate a cattolici e evangelici e separate
da pareti mobili che all’occorrenza possono scorrere, trasformando
l’aula tripartita in uno spazio unico.
38
Una Casa delle Religioni
2.2.5 Edificio Multifede – condivisione normata
È il tipo di condivisione top-down che si esprime nella convivenza
all’interno di uno stesso edificio di diversi spazi/luoghi/aree religiose.
Il luogo, tendenzialmente al coperto, è spartito in modo equale tra
due o più religioni o confessioni religiose che in un sistema di poteri
da gestire hanno attribuiti spazi bilanciati. Gli spazi di ogni religione
sono esclusivi e riconoscibili, ma sono distribuiti tramite spazi comuni
nei quali dove generalmente non si volge il culto.
Il progetto House of One (http://house-of-one.org/en/idea) è un
caso emblematico di questa tipologia: le tre religioni abramitiche,
ebraismo, cristianesimo, islam saranno ospitate in un unico tempio
che dovrebbe sorgere a Berlino, una volta portata a termine la prima
fase di costruzione finanziata attraverso una capillare operazione di
fundraising (i sostenitori acquistano i mattoni dell’House of One).
Tre sezioni separate saranno unite da una stanza comune al centro
dell’edificio, dove sarà possibile condividere parole e gesti della
preghiera e della meditazione. Questo servirà come un luogo comune
dove fedeli e membri possono incontrarsi e dialogare.
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
39
▲Berlino, Progetto per House of One,
2012 (in corso di finanziamento).
http://house-of-one.org/en Ultimo accesso 27 giugno 2016.
2.2.6 - Edificio Multifede - Spazio condiviso e suddiviso
▲Gerusalemme Santuario del Santo
Sepolcro, XI sec.
40
Si tratta di uno spazio, chiuso, che prevede la coesistenza di comunità
religiose ciascuna delle quali ha un suo locale o una sua porzione di
spazio ma che prevede la possibilità di uno spazio condiviso e comune
per tutti. Una mediazione iniziale e poi continua tra i poteri è la
peculiarità dello spazio che necessità una gestione organizzata. La
differenza con esperienze come quella di House of One sta nel fatto
che lo spazio condiviso è pienamente parte dello spazio liturgico e non
solo un luogo di incontro fuori dagli spazi sacri delle varie confessioni
o religioni.
A Gerusalemme, il Santo Sepolcro rappresenta una mediazione
(complicata) tra i poteri che ha come conseguenza la spartizione di
locali tra differenti confessioni cristiane che hanno necessità di oggetti
e tempi del culto appropriati ciascuno alle sue esigenze, ma che prevede
un ampio spazio condiviso per il passaggio, la sosta e la celebrazione
di liturgie condivise. Nel 1852 il sultano ottomano per porre fine
alle frequenti violenze tra le varie comunità che amministravano
il luogo stabilì che armeni, greci ortodossi, latini cattolici, siriaci,
copti ed etiopi avessero i propri spazi, gestiti autonomamente,
all’interno della basilica, con l’obbligo però di non poter cambiare
nulla senza l’approvazione delle altre confessioni. Il decreto assegnò
la Basilica quasi interamente ai greci ortodossi, il cui Patriarca vi ha
infatti la cattedra ed il katholikon, regolando altresì tempi e luoghi
di adorazione e celebrazione per ogni Chiesa. Dal XII secolo due
famiglie palestinesi musulmane, incaricate dal Saladino in quanto
neutrali, sono custodi della chiave dell’unico portone di ingresso, sul
quale nessuna Chiesa ha diritto.
Una Casa delle Religioni
2.2.7 - Negoziazione urbana
La tipologia della negoziazione urbana è il caso di quartieri, strade, ▲ Torino, quartiere San Salvario.
aree ad altra concentrazione di luoghi (edifici o aree all’aperto) di
culto. La stratificazione storica è tratto peculiare della progettazione
e costruzione dei differenti luoghi che occupano lo spazio gestendolo
in termini di spartizione e competizioni tra poteri religiosi e politici.
Il caso di San Salvario ampiamente illustrato nel report è un caso tipico
di questa tipologia di condivisione che proviene dalla commistione
di processi bottom-up e politiche top down di accompagnamento e
promozione.
Nella città di Singapore in alcuni quartieri vi è una concentrazione di
luoghi religiosi quasi unica anche per le dinamiche bottom up che le
hanno generate: un caso è quello di Chinatown, dove sorge in poche
centinaia di metri troviamo: lo Sri Mariamman Temple, il tempio
indù più antico della città, costruito nel 1827 e, al suo fianco, la Jamae
Mosque, una delle moschee più vecchie di Singapore, in stile Tamil
e Indiano, costruita nel 1826 la sua presenza ha dato il nome alla via
retrostante: la Mosque Street. Inoltre il Thian Hock Keng, tempio
cinese, costruito nel 1839 e dedicato alla dea Mazu protettrice del
mare e dei marinai; la chiesa metodista Fairfield costituita come
Local Church nel 1948. Dal 2007 il Buddha Tooth Relic Temple
& Museum, situato nel cuore del quartiere. Questo tempio deve il
suo nome alla reliquia custodita al suo interno che, si dice, conservi
il dente di Buddha. Il tempio è la culla della spiritualità del quartiere
e conserva importanti collezione di manufatti di grande pregio
provenienti da tutta l’Asia.
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
41
2.2.8 - La piazza – il recinto
▲Massachusetts - USA, Brandeis University.
42
L’idea di concentrare in uno spazio - con un progetto top-down- alcuni
luoghi di culto è un’operazione politica e culturale che ha visto diversi
esperimenti negli ultimi decenni, in varie parti del mondo. L’idea è
stata quella di creare uno spazio simbolico ad altra concentrazione
di luoghi sacri, legata o slegata dalle esigenze del contesto. Oggetti,
parole e gesti sono distinti e distinguibili nei vari luoghi di culto. La
differenza tra questi casi con i quartieri urbani ad alta concentrazione
di luoghi sacri sta nel processo di formazione: nel primo in parte
spontaneo, nel secondo fortemente guidato dall’alto.
Tra gli esempi di possibile usufrutto dello spazio vi è quello progettato
presso la Brandeis University (Massachussets), la multifaith chaplaincy
dove i cattolici - Bethlehem Chapel-, i protestanti - Harlan Chapele gli ebrei - Berlin Chapel - possono convivere e condividere uno
spazio all’aperto riconoscibile e recintato, un romantico paesaggio
multifede. Inoltre all’interno dell’Usdan Student Center si trova
una sala di preghiera per musulmani. Costruiti nel 1960 dallo stesso
progettista tutti gli edifici condividono materiali e stile architettonico
e la loro vicinanza ha portato anche allo scambio di locali nell’ottica
del prestito o dell’ospitalità.
Un altro esempio è l’“Esplanade des religions et des cultures” nella
cittadina di Seine-et-Marne, Bussy-Saint-George è stata progettata
nel 2009 e promossa dall’UNESCO. Era il 1998 quando per la
prima volta il sindaco della cittadina, mèta di una forte immigrazione
dall’Asia, iniziò a interrogarsi su come accogliere e dare luoghi ai
fedeli di religioni differenti: dal 2012, con inaugurazioni successive
due centri e templi buddisti, un centro culturale islamico, un centro
Una Casa delle Religioni
culturale ebraico e una sinagoga hanno affiancato una chiesa cattolica
pre-esistente, Notre-Dame du Val.52
Caso particolare non realizzato è La “Piazza delle Tre Culture” di
Catania è progettata come un luogo d’incontro di culture differenti
dove ebrei, cristiani e musulmani possono condividere lo stesso
spazio per professare fedi differenti. Un luogo simbolo di pace e di
mediazione di conflitti: ognuno ha il suo luogo per il culto, dove
esprimere gesti e parole e custodire i propri oggetti sacri e ha a
disposizione un ambiente esterno, la piazza, per il dialogo e l’incontro.
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
43
52. Si veda:
http://www.saphirnews.com/BienvenuePlace-des-religions_a13553.html.
Ultimo accesso 27 giugno 2016.
2.2.9 - Il centro culturale
▲New Haven - Connecticut Grace farm,
2015.
44
È la tipologia dello spazio che non è solo cultuale ma culturale: la
condivisione non avviene attraverso parole liturgiche, ma attraverso
il dialogo tra culture. Si tratta di spazi che ospitano attività di
scambio, ascolto, performance artistiche di vario genere nell’ottica di
costruzione di occasioni di incontro tra persone e gruppi organizzati.
A New Haven, il Connecticut Grace Farm è Grace Farms è un luogo
di sosta perfettamente integrato in un paesaggio all’aperto dove le
persone possono fare esperienza di varietà di flora e fauna, osservare
manufatti artistici, dialogare e esplorare forme spirituali.
Si trova a Colonia il museo diocesano Kolumba, uno dei più interessanti
recuperi architettonici firmato dall’architetto svizzero Peter
Zumthor. Formalmente la sua storia comincia nel 1996, ma di fatto
ha origini molto più antiche. L’istituzione infatti sorge sulle rovine di
una chiesa tardo gotica, distrutta durante la seconda guerra mondiale.
Su questi resti, alla fine degli anni ’40, Gottfried Böhm costruisce la
cappella della “Madonna delle macerie”, e nel 1957 la cappella del
Sacramento. Gli ambienti, volutamente essenziali, isolano il visitatore
dal caos esterno della città e lo accolgono in un’atmosfera raccolta e
contemplativa. Grande attenzione è stata data alla luce che illumina i
piani e le torri, e alla scelta dei materiali destinati a pareti e pavimenti.
Una Casa delle Religioni
La collezione del museo, oltre a opere di natura religiosa, comprende
anche molti lasciti con pezzi di arte applicata, oggetti di design e
arte contemporanea. Grazie a questa eterogeneità, la collezione
permanente e le mostre allestite sono sempre caratterizzate da
accostamenti insoliti con soggetti religiosi e lavori di diverso tipo e di
epoche differenti.
Un caso particolare è la “parrocchia-aperta”: già dall’undicesimo
secolo la parrocchia, struttura di base della cristianità, si trova oggi
messa in questione dal radicale cambiamento nel rapporto fra la
Chiesa e la società che negli ultimi decenni ha definitivamente
segnato la fine di un’epoca. In un contesto urbano di lavoro senza
tempi fissi e tempi sempre più accelerati stanno nascendo luoghi
aperti a tutti, descritti come ‘oasi di silenzio’, ‘luoghi di maturazione
della fede’, ‘luoghi di pausa’: spazi di sosta, di raccoglimento e di
incontri per i lavoratori delle città. Sono le Citykirchen, ovvero sia
una Chiesa (non-parrocchiale o deparrocchializzata) allestita in
modo particolare secondo la finalità del progetto o con spazi propri,
sia una costruzione adattata a progetti di incontro, incubazione e
promozione di progetti, ma anche di condivisione e adempimento
di esigenze spirituali e cultuali. In generale, sono luoghi in cui una
comunità di fedeli più o meno stabile vive il ‘tutto per tutti’, non luoghi
per il raduno domenicale ma luoghi della quotidianità settimanale. In
Francia abbiamo l’esempio di Notre Dame de Pentecôte, realizzato
sul spianata della Défense.
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
45
2.3 - Luoghi potenziali a Torino
A fronte delle considerazioni fin qui fatte, si sono individuati sul
territorio della città di Torino, alcune aree con caratteristiche simili
a quelle che hanno permesso ai casi studiati di poter essere attuati.
Queste aree, che differiscono per dimensione, tempistiche della
disponibilità, adattamento alla tipologia prescelta e dai soggetti
coinvolti, potrebbero ospitare una Casa delle Religioni per la città.
2.3.1 - Parco Dora
Si tratta di un’area di gradi dimensioni, nata dalla riconversione
degli stabilimenti Michelin e Teksid, posta in prossimità della
Spina Centrale della città. La copertura della ex Teksid, mantenuta
e restaurata nel progetto di Adreas Kipar, ospita da diversi anni
attività culturali di vario genere tra cui alcune legata al Ramadan.
Inoltre la vicinanza della Cattedrale de Santo Volto conferma per
l’area una vocazione per attività che vanno al di là della dimensione
locale. La presenza di vasti spazi aperti e coperti potrebbe facilitare
momenti di incontro e condivisione, allo stesso tempo, la possibilità
di trasformare alcuni edifici ancora inseriti all’interno del parco (Ex
palazzina Michelin – Museo “A” come Ambiente) possono ospitare
piccoli ambienti chiusi.
La presenza di una forte componente di popolazione immigrata di
prime e seconda generazione che si mescola ad abitanti di precedete
insediamento, costituisce una condizione importante per creare, oltre
alla scala urbana, un interesse su scala locale.
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Una Casa delle Religioni
2.3.2 - Scuola Tecnica Carceri Nuove
Situata all’angolo Ovest del complesso delle Carceri Nuove, questo
basso fabbricato è adiacente alla via Paolo Borsellino, separato dalla
stessa tramite i muri di cinta dell’ex penitenziario. Situato in una zona
della città di facile accesso grazie alla presenza della metropolitana e
della stazione di Porta Susa questo edificio si trova anche in prossimità
del cosiddetto Raddoppio del Politecnico di Torino, la cui popolazione
studentesca negli ultimi anni si è sempre più internazionalizzata. La
possibilità di intercettare un’utenza studentesca e allo stesso tempo
di garantire una dimensione sovra locale ad una futura Casa delle
Religioni, concretizza l’opportunità della costruzione di un centro
culturale oltre che religioso.
Questo edificio è capace di accogliere grazie alle sue dimensioni, alla
sua struttura di carattere industriale, alla protezione verso la strada
e ancora alla presenza di spazi aperti in adiacenza ad esso, attività di
tipo molto diverso a seconda delle pratiche religiose.
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
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2.3.3 - Capannone Via Pisa – Via Perugia
Inutilizzato dopo la cessazione delle attività produttiva, questo
edificio si trova nel cuore del quartiere Aurora che negli ultimi due
anni sta vivendo un percorso di riqualificazione grazie all’istallazione
di attività imprenditoriali innovative ed alternative. La vicinanza
con Borgo Dora e Porta Palazzo, da decenni luoghi di incontro tra
culture, nonché la presenza di giovani che in quest’area trovano
attività ricreative, centri di formazione superiore (si pensi allo IAAD),
possono creare opportunità di incontro e di relazione trasversali non
solo tra religioni diverse ma anche tra diverse fasce sociali.
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Una Casa delle Religioni
2.3.4 - Area Fossata
Al centro della Spina Quattro quest’area, oltre ad essere immersa in
uno dei quartieri più multietnici della città, si trova anche sul percorso
delle futura linea due della metropolitana nonché in prossimità
dell’omonima stazione del Servizio Ferroviario Metropolitano. A
garantire un accesso all’area su scala urbana, l’estensione del terreno
disponibile e oggi non ancora in trasformazione può permettere la
realizzazione di edifici anche di grandi dimensioni o di utilizzare per
attività anche saltuarie una vasta area aperta.
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
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Il Comitato Interfedi come garante
della presenza dei culti nel tessuto
urbano.
3.1 - Uno spazio multi fede a Torino? Alcune risposte o alcune
domande.
In questa prima fase esplorativa di ideazione del progetto, è stato
redatto un questionario da sottoporre sia al Comitato Interfedi, sia
agli Studenti Universitari del corso di Storia delle religioni tenuto
da Maria Chiara Giorda nell’a.a. 2015/2016, sia a eventuali figure
chiave come i membri del Forum “Politiche di Integrazione e Nuovi
Cittadini promosso dalla Circoscrizione 753, sia infine alle autorità
locali o personaggi di spicco del mondo culturale, con il fine di dare
agli “stakeholders” (figure chiave o intervistati-campione, individuati
sul territorio), il modo di esprimere la propria opinione e visione sulla
proposta di creare un luogo multifede nella città di Torino.
I questionari erano formati da 4 temi principali e seguivano una
presentazione o illustrazione del progetto. La prima parte era atta a
sondare l’opinione generica sulla proposta presentata, sulla sua utilità,
e la sua realizzabilità.
La seconda, più specifica, chiedeva di elencare quali fedi religiose
dovessero essere coinvolte nella realizzazione dello spazio e di
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
51
53.
Siringrazianoladott.ssaDiletta
Berardinelli e Francesco Pianelli per
la distribuzione e per l’elaborazione
dei dati dei questionari.
54.
Perragionidiprivacypreferiamo
tutelare l’anonimato degli
intervistati.
motivare il proprio elenco, specificando il perché di alcune inclusioni
ed esclusioni di fedi religiose specifiche.
La terza domanda chiedeva come- secondo l’intervistato- un progetto
di questo tipo avrebbe potuto essere sostenuto economicamente,
con lo scopo di raccogliere idee sugli strumenti e i modi di raccolta
fondi, ma anche su enti, fondazioni, privati e aziende eventualmente
interessate a sponsorizzare una parte del progetto.
L’ultima domanda riguardava l’organizzazione e la struttura che
gli intervistati immaginavano dovesse avere lo spazio, una volta
realizzato: quali attività avrebbero visto e auspicato, quali i rischi o
i limiti prevedibili e dunque evitabili, quali i modi di organizzazione
e di suddivisione del potere decisionale, della partecipazione, della
gestione pratica del multifede.
3.2 - Il parere degli stakeholders
Punto di partenza è stata la discussione – a volte individuale, a volte
in piccoli gruppi, a volte de visu, a volte telefonica o via mail - portata
avanti con alcune figure chiave che sono state individuate all’interno
della rete di rapporti dei membri del team di questo progetto.
Sono stati interpellati personaggi appartenenti al mondo della
politica, del giornalismo, del mondo culturale e religioso, di quello
cattolico (un dialogo strutturato è iniziato in particolare con l’Ufficio
migranti della diocesi di Torino), l’Agha Khan Foundation, alcuni
Assessorati della Città e della Regione, il mondo dell’associazionismo
sociale54.
In generale, la risposta al progetto è stata positiva, anche se più volte è
emerso, nel confronto, la questione chiave della comunità musulmana
che, come già sottolineato, pur avendo una rappresentanza numerica
significativa sul territorio, manca totalmente di un adeguato luogo di
culto. Per alcuni interpellati sembrerebbe più urgente la creazione di
un luogo connotato religiosamente come moschea, piuttosto che un
luogo “universale” e “neutro” per tutte le fedi.
Per altri il potenziale di uno spazio multifede sarebbe di portata
vastissima anche per il mondo cattolico, che potrebbe essere uno degli
interlocutori chiave per la sua realizzazione, anche economica.
Per altri ancora, la creazione di uno spazio multifede realizzato
attraverso un’architettura improntata alla sostenibilità ambientale,
all’impatto zero e all’integrazione dell’edifico nel paesaggio
52
Una Casa delle Religioni
urbano è “emblematico del nuovo corso che il credo religioso sta
intraprendendo”.
Come è emerso soprattutto dal confronto con i membri del Forum
“Politiche di Integrazione e Nuovi Cittadini” promosso dalla
Circoscrizione 7, andrebbe approfondito e regolato il criterio di
entrata e uscita al gruppo della Casa delle Religioni: quali culti e
comunità religiose (e spirituali) sono ammessi? Sulla base di quali
criteri?
Dal punto di vista della possibilità divulgativa e dunque dell’impatto
che il progetto potrebbe avere sull’opinione pubblica, non vi è dubbio
che in questo primo nucleo di stakeholders è stato individuato
un grande potenziale, sia per la diffusione del progetto e la sua
promozione, sia per la costruzione di un’opinione pubblica in merito.
In particolare i membri del Forum “Politiche di Integrazione e
Nuovi Cittadini” promosso dalla Circoscrizione 7 hanno dato la
disponibilità a coinvolgere il territorio dove sono maggiormente
radicati per continuare la discussione.
Per concludere, molti tra gli stakeholders sono disponibili a cogliere
l’opportunità che un tale progetto offre. Rimane ancora vago,
però, il tema della modalità di finanziamento da adottare per la sua
realizzazione.
3.3 - Un sondaggio-campione: la risposta degli studenti
universitari
Il questionario somministrato agli studenti universitari differiva
leggermente da quello proposto al Comitato Interfedi e agli
stakeholders individuati. In particolare, agli studenti è stato chiesto
come avrebbero valutato la creazione di uno spazio multifede
all’interno dell’università, e chi, secondo la loro opinione, avrebbe
potuto usufruirne. E’ stato inoltre chiesto loro di suggerire
una nomenclatura appropriata e una proposta di allestimento /
arredamento per tale spazio. Infine, è stato chiesto agli studenti se
uno spazio multifede avrebbe potuto essere utilizzato anche per altre
attività, e, in caso avessero risposto affermativamente, quali attività
in particolare. In totale sono stati somministrati 108 questionari,
composti da 6 domande.
Alla domanda che chiedeva di esprimere un parere generico sulla
creazione di una sala multifede, la maggior parte degli intervistati ha
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
53
risposto in modo positivo. Coloro che invece si sono espressi in modo
negativo hanno addotto come motivazione il fatto che l’università
deve essere e rimanere un’istituzione laica, e, di conseguenza, non
deve prevedere luoghi di culto per nessuna delle fedi religiose al suo
interno.
Collegata a questa prima domanda vi è quella sull’utilità di un luogo
multifede, a cui, come prevedibile, di nuovo la maggior parte degli
intervistati hanno risposto in modo affermativo. Qualcuno tra gli
intervistati (il 10% circa) ha precisato che l’utilità di uno spazio simile
sarebbe limitata agli studenti universitari che professano una fede e
che si autodefiniscono credenti.
Alla successiva domanda che chiedeva agli intervistati chi avrebbe
potuto usufruire di questo spazio, la maggior parte ha risposto che
non vi è una categoria specifica, ma che lo spazio potrebbe essere
praticato da chiunque ne senta la necessità. Il 10% degli intervistati ha
in questa risposta, fatto emergere la questione dei credenti musulmani
e dell’assenza di uno spazio che risponda alle loro necessità religiose.
Uno spazio multifede è dunque visto, da una minoranza degli
studenti, come una possibile soluzione per sopperire alla mancanza di
spazi adeguati di preghiera per gli studenti di religione islamica.
Per quanto riguarda la domanda che chiedeva suggerimenti per
la nomenclatura dello spazio multifede, una buona parte degli
intervistati, 30 su 108, ha proposto nomi che comprendevano le
seguenti combinazioni di parole: sala/luogo/aula di preghiera/
culto/raccoglimento/riflessione/meditazione; la maggior parte degli
intervistati ha, tuttavia, deciso di non esprimersi in merito.
Diversa invece la posizione sull’allestimento e arredamento dello
spazio, più netta e facilmente espressa: per la maggioranza degli
intervistati le caratteristiche dell’arredamento dovrebbero essere le
seguenti: il più neutro possibile e senza alcun simbolo religioso nella
cornice di un arredamento essenziale, semplice e minimalista; una
porzione di intervistati (11%) ha proposto di dividere gli spazi interni
alla saletta, creando sezioni di preghiera differenziate a seconda delle
diverse religioni. Pochi hanno ribadito la necessità di un arredamento
caldo ed accogliente.
Infine, alla domanda se fosse opportuno svolgere anche attività
parallele all’interno di questo spazio, gli studenti (40%) hanno
indicato che, oltre che per la preghiera, la sala potrebbe essere utilizzata
per eventi ed incontri culturali (anche a tema religioso); il 31% si
è invece espresso affermando che la sala dovrebbe essere utilizzata
54
Una Casa delle Religioni
unicamente come luogo di preghiera. Una minoranza ritiene che la
sala potrebbe essere utilizzata anche per funzioni religiose.
Nell’insieme, l’atteggiamento culturale nei confronti di uno spazio
multifede è positivo, nel senso che culturalmente gli studenti
universitari sono immersi in un trend multifede che non è né solo
torinese, né solo italiano, ma che, come detto sopra, interessa la gran
parte delle società cosiddette “occidentali”.
Non sarebbe un problema, dunque, integrare nella quotidianità
degli studenti uno spazio religioso all’interno di una istituzione
tradizionalmente laica.
Affinché questo sia possibile, tuttavia, la laicità dell’istituzione va, in
qualche modo, preservata, e gli studenti trovano a questo fine diversi
escamotage: il mantenimento di una “neutralità” dello spazio in sé, con
il rischio che questo sia asettico, per esempio, ne costituisce il tratto
fondamentale. Lo stesso vale per il modo “neutrale” in cui dovrebbe,
secondo gli studenti, essere chiamato lo spazio, senza riferimenti
a tradizioni religiose specifiche, ma con abbondanti riferimenti ai
centri yoga e di meditazione.
Interessante d’altra parte la consapevolezza generalizzata del fatto
che alcune fedi, in particolare quella islamica, utilizzerebbero di
più questo spazio rispetto ad altre, proprio perché privi di mezzi sul
territorio che permettano loro di espletare uno dei doveri religiosi
principali dell’Islam, cioè la preghiera cinque volte al giorno.
3.4 - Il Comitato Interfedi: discussione e dialoghi
L’esistenza del già citato Comitato Interfedi attivo dal 2006, che ha
una rappresentanza cattolica, valdese, ortodossa, ebrea, buddhista,
induista, musulmana e mormona ha, nel corso degli anni, già
avuto modo di testare forme di collaborazione multireligiosa e di
condivisione degli spazi tra le diverse fedi rappresentate; non solo, nel
tempo è stato possibile al Comitato Interfedi mostrarsi a un pubblico
“laico”, attraendolo e dialogandoci, con lo stesso leitmotiv utilizzato
per invogliare gli studenti a entrare nelle prayer room universitarie
inglesi: quello di staccare un po’ dalla quotidianità, esperire qualcosa
da cui trarre un beneficio, non solo spirituale ma anche in un senso
più ampio e olistico.
E’ il caso degli spettacoli di lettura e musica, cucina e teatro, fatti nel
corso degli anni durante il festival di Torino Spiritualità e promossi
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
55
proprio dal Comitato Interfedi, che è stato abituato dunque a porsi
al “pubblico” come un organo unico- seppur eterogeneo- capace di
svolgere funzioni diverse, o meglio offrire “prodotti culturali” diversi,
con la differente appartenenza religiosa e la fede tout court come
denominatore comune.
Questa breve premessa spiega la scelta di interpellare il
Comitato Interfedi come primissimo interlocutore sul progetto;
nell’immaginare uno spazio multifede il Comitato non ha espresso
concordanza sulla preferenza rispetto ai modelli che gli sono stati
presentati; se per alcuni gli spazi avrebbero potuto essere condivisi
in toto, mantenendo il luogo neutro, universale e inclusivo, per
altri, invece, gli spazi avrebbero dovuto essere ben distinti, come a
rappresentare ciascuno una fede diversa, o ciascuno un ramo distinto
di un unico albero, per dirla con una metafora cara al poeta sufi
Mansur Hallaj.
Questa visione è stata sottolineata in particolar modo dal
rappresentante della religione musulmana del Comitato Interfedi; la
mancanza di una vera e propria moschea sul territorio cittadino (ma
anche in altre parti di Italia, come è stato fatto notare nei paragrafi
precedenti) rende la realizzazione di un luogo multifede secondario,
rispetto all’esigenza di un luogo di culto proprio dei musulmani. Se
nella cornice di un luogo “universale” come il multifede può delinearsi
la possibilità di realizzare uno spazio per il culto islamico, allora
l’auspicio di una separazione fisica specifica dall’ambiente neutro è
comprensibile.
Per altri ancora, un luogo di scambio e condivisione universale
per tutti potrebbe coesistere con luoghi separati, “sacri”, connotati
religiosamente, quindi non necessariamente accessibili a tutti, ma
adiacenti a luoghi invece privi di restrizioni.
Pur non avendo una direzione univoca, il Comitato Interfedi è
comunque consapevole della portata innovatrice di un vero e proprio
spazio multifede, che lo vedrebbe protagonista della breaking culture
generata dalla sua realizzazione.
Lo spazio urbano è infatti il vero luogo della rappresentazione plurale
della multireligiosità piena, e la sua organizzazione rappresenta
l’innesto di inedite forme culturali.
Se l’immaginazione di uno spazio condivisibile è dunque variegato,
per quanto riguarda la risposta alla seconda domanda, che chiedeva
quali fedi dovessero essere coinvolte, il Comitato Interfedi si è
espresso in forma piuttosto inclusivista; fermo restando che l’organo
56
Una Casa delle Religioni
farebbe da garante per “l’autenticità” religiosa del luogo e di chi vi
entra, tutti i partecipanti alla discussione hanno espresso la necessità
di un movimento che non sia solo top-down, ma che contempli anche
il bottom-up, attraverso il coinvolgimento del quartiere interessato
dalla realizzazione dello spazio multifede, così come anche il
coinvolgimento di altri organi intermediari tra la cittadinanza e il
progetto.
Per quanto riguarda alcune rappresentanze religiose che si trovano ad
essere, in questo momento, marginalizzate o escluse, il Comitato ha
espresso la possibilità di fare sì che esse possano utilizzare e praticare lo
spazio “comune” del templio multifede, dunque quella parte neutra,
che non sarebbe connotata specificamente.
Resta inteso ovviamente che “Casa delle Religioni” non è, nè può
essere, una “sostituzione” della legittima aspirazione delle “nuove” fedi
(in particolare quella ortodossa e quella musulmana) di manifestare
la propria piena cittadinanza nello spazio della città, come Torino ha
già saputo fare dopo il 1848. Il progetto può invece essere, come detto
più sopra, l’innesto per un cambiamento culturale delle pratiche
religiose urbane. Per far sì che questo si realizzi, occorre aprire una
discussione pubblica nella Città su un tema - come quello del multi
culto- fondamentale per una metropoli contemporanea; in Europa
vi sono sempre più segnali che vanno in questa direzione, uno dei
quali è l’elezione a sindaco di Londra del musulmanho Sadiq Khan.
Gli spazi e l’organizzazione della città contemporanea si aprono
necessarimente alla super-diversità e le nuove esigenze generate da
questi panorami richiedono gerarchie, spazi, organizzazioni inediti.
Alla domanda come possa essere sostenuto economicamente
il progetto, l’idea di fondo espressa dal Comitato è quella del
coinvolgimento allargato di più comunità interessate, in linea con la
visione inclusivista della risposta alla domanda su chi dovrebbe essere
coinvolto.
Una visione comune e collettiva potrebbe, a parere del Comitato,
fare da base anche per una raccolta fondi che dia vita al progetto.
In parallelo, attività di crowdfunding e di divulgazione potrebbero
essere validi strumenti di sostegno per raccogliere adesioni di tipo
economico.
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
57
Il Comitato Interfedi è (voce del verbo
essere) Casa delle Religioni.
Per concludere, reputiamo che a Torino, uno spazio come la Casa delle
Religioni rispecchi, in qualche modo, l’identità stessa del Comitato
Interfedi, venutasi a creare con le sue specificità nell’ultimo decennio
e ormai ben radicata sul territorio torinese. Il Comitato Interfedi è, in
effetti, capace di promuovere l’incontro e la conoscenza tra le culture
e di farsi garante della libera e piena presenza dei culti nel tessuto
urbano. Il senso di attribuire ad un simile Progetto la stessa identità
del Comitato Interfedi può essere espresso, dal punto di vista dello
spazio, da subito, attraverso tre livelli:
1. La ricerca dimostra che lo spazio urbano è il vero luogo della
rappresentazione plurale della multireligiosità piena e pertanto una
“Casa delle Religioni” non è né può essere una “sostituzione” della
legittima aspirazione delle “nuove” fedi di manifestare la propria
piena e autonoma cittadinanza nello spazio della città, come Torino
ha già saputo accettare e realizzare dopo il 1848: per una metropoli
contemporanea occorre quindi, su impulso e a guida del Comitato
Interfedi, aprire una discussione pubblica nella Città su questo tema
fondamentale.
2. Tenendo conto degli aspetti complessi emersi durante questa prima
Proposta di edificio multifede per la città di Torino
59
fase di ricerca, bisogna poi considerare che si potrebbe procedere con
un progetto dimostrativo alla piccola scala, incardinato in uno dei
luoghi che meglio oggi rappresenta la ricchezza di una Torino globale
e cosmopolita - il Politecnico - ben coscienti che si sta promuovendo
un esperimento rivolto ad un pubblico di élite e di sensibilità
“avanzata”, in nessun modo sostitutivo di altre domande “di base” che
dovranno trovare espressione in realizzazioni di maggiore impegno.
3. In parallelo, temporaneamente, il tema può trovare una sua
manifestazione in uno spazio multifede all’interno di edifici destinati
ad altre funzioni al cui interno sia però previsto il protagonismo e
l’attività di culto con particolare riferimento ai culti minoritari
(quale potrebbe essere il caso dell’edificio ex Incet). Tale spazio,
con il contributo del Comitato Interfedi, potrà diventare un luogo
innovativo dove, a Torino, si incontrino culture e tradizioni religiose,
per attività culturali e non solo cultuali: i soggetti che faranno parte
del Progetto si aiuteranno a vicenda e saranno sostenuti anche dalle
Istituzioni nel trovare e nel poter avere un autonomo spazio adeguato
per il loro proprio culto e contemporaneamente a sviluppare la Casa
delle Religioni nella forma più definitiva, pubblica e visibile.
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Una Casa delle Religioni