Una Casa delle Religioni
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Una Casa delle Religioni
Una Casa delle Religioni Proposta di edificio multifede per la città di Torino Studio elaborato da: Committente: In collaborazione con il Comitato Interfedi della Città di Torino Una Casa delle Religioni Proposta di edificio multifede per la città di Torino Studio realizzato da : Matteo Robiglio: Maria Chiara Giorda: Architetto e professore ordinario presso il Politecnico di Torino. Project sponsorship Storica delle religioni e docente presso l’Università di Torino e di Bologna. Direzione scientifica. Marco Tabbia: Sara Hejazi: Esperto in project management in ambito sociale. Direzione operativa. Antropologa. Attività di ascolto e mediazione. Daniele Campobenedetto: Architetto, PhD. Ricerca e coordinamento scientifico. In collaborazione con il Comitato Interfedi della città di Torino Studio commissionato e finanziato da: Torino, luglio 2016 INDICE La città come “spazio multi fede” per il culto.............................................................7 1.1. Modelli di interazione tra religioni: campagna e città.....................................7 1.2. Diversi modelli urbani...................................................................................10 1.3. Città e religioni oggi.....................................................................................17 1.4. Il caso di San Salvario.................................................................................19 La Casa delle Religioni come “spazio multifede” per la cultura............................31 2.1. Esiste una cultura multifede?.......................................................................31 2.2 Tipologie antropologiche e architettoniche di luoghi multifede ....................34 2.3 Luoghi potenziali a Torino.............................................................................46 Il Comitato Interfedi come garante della presenza dei culti nel tessuto urbano....51 3.1. Uno spazio multifede a Torino? Alcune risposte o alcune domande.....................................................................51 3.2. Il parere degli stakeholders..........................................................................52 3.3. Un sondaggio-campione: la risposta degli studenti universitari...................................................................53 3.4. Il Comitato Interfedi: discussione e dialoghi.................................................55 Il Comitato Interfedi è (voce del verbo essere) Casa delle Religioni.......................59 La città come “spazio multi fede” per il culto 1.1 - Modelli di interazione tra religioni: campagna e città Da sempre le religioni stanno sui territori, convivono, si scontrano e tracciano confini su porzioni di spazio più o meno grandi: si potrebbe dire che da una scala globale a quella micro di una sala esistono innumerevoli esempi di pluralismo religioso. Il tema della diffusione spaziale delle religioni ha una dimensione storica, col suo correlato di conflitti e di influenze su tutti i vari ambiti della vita umana, ma appare rinforzato dai processi della globalizzazione contemporanea, che accelerano e accrescono non solo la mobilità umana, e quindi la deterritorializzazione delle persone, ma anche delle idee e delle credenze. Proprio perché hanno legami identitari molto forti con precisi luoghi di origine o di culto, le religioni tendono a riproporre dinamiche territorializzanti, che facilmente possono generare conflitti con sistemi culturali locali storicamente consolidati (oggi più deboli che in passato) o con luoghi dove la secolarizzazione ha progressivamente marginalizzato il ruolo della religione nella strutturazione del territorio. Sembrano emergere schemi di vario tipo, spesso ancora da sottoporre a indagini e riflessioni accurate, che possano cogliere i meccanismi Proposta di edificio multifede per la città di Torino 7 1. D. Massey, P. Jess, Luoghi e culture in un mondo diseguale, in D. Massey, P. Jess (eds.), Luoghi, culture e globalizzazione, Torino, Utet libreria, 2001, pp. 187-214. di reazione/adattamento delle religioni ai processi messi in atto dalla globalizzazione contemporanea. Questi processi si muovono su due linee distinte e a prima vista contrastanti, che riguardano insieme la dimensione politica e quella sociale. La prima è quella dell’aumento dei conflitti interreligiosi e conflitti etnici legate a religioni e correnti religiose; quello che potremmo definire un cambio di scala e di estensione, rispetto al passato. La seconda è quella della resilienza o dell’adattamento di tradizioni religiose che nei secoli hanno impregnato i territori di segni, pratiche e culture e che oggi vedono il “proprio” spazio (e le comunità che lo abitano) trasformato, spesso de-territorializzato, secolarizzato e al contempo reso multiculturale e multireligioso da flussi materiali e immateriali (informazioni, persone, merci)1. In questo cambiamento entrano in gioco processi di localizzazione, diffusione, movimento, relazione, trasformazione e adattamento, grazie ai quali possiamo indagare il ruolo delle religioni nelle vicende storiche, sociali e culturali, e chiederci quale ruolo svolgano nella costruzione delle identità territoriali e nella definizione del senso dei luoghi. Uno degli effetti più visibili – in particolare nell’area mediterranea – è l’esistenza di spazi sacri condivisi che per secoli sono stati e sono quotidianamente praticati da persone provenienti da culture religiose differenti. Questo accade, in particolare, in contesti non urbani2: per esempio vi sono i santuari condivisi da cristiani e da musulmani in Macedonia3 e più generalmente nel bacino del Mediterraneo4 o quelli a disposizione di musulmani ed ebrei in Marocco5. È interessante notare che in questi casi il processo di condivisione dei luoghi è prodotto dalla gente comune in ricerca di luoghi sacri, dove sia possibile ricevere grazia o protezione da parte di un santo o di figure religiose che avvicinano la loro propria esperienza a Dio. Queste dinamiche nascono dalle esigenze dei fedeli e solo di rado sono accompagnate e sostenute dalle istituzioni o da posizioni ufficiali delle varie chiese. Sono esperienze il più delle volte locali (con un importante dislivello tra piano nazionale e piano locale), marginali e debolmente collegate alle autorità/istituzioni. Per descrivere queste pratiche è utile una categoria non priva di ambiguità: il concetto di sincretismo6, liberato dal senso peggiorativo di cui è stato connotato nel corso dei secoli. La prima attestazione del termine si trova in Plutarco, nel Perì philadelphias, uno dei 78 trattati in Moralia, in riferimento alle pratiche dei cretesi che perfino se in conflitto o in guerra si riconciliavano e alleavano in caso di attacco 2. D. Albera, Lieux Saints partagés, Marseille, Actes Sud 2015. D. Albera, M. Couroucli (eds.), I Luoghi Sacri Comuni ai Monoteismi. Tra cristianesimo, ebraismo e islam, Brescia, Morcelliana, 2013. 3. G. Bowman, Processi identitari intorno ad alcuni santuari condivisi in Palestina e Macedonia, in D. Albera, M. Couroucli (eds.), I Luoghi Sacri Comuni ai Monoteismi, cit., pp. 15-34. 4. Per alcuni esempi di condivisione cristiana e musulmana si rimanda a D. Albera, M. Couroucli (eds.), I Luoghi Sacri Comuni ai Monoteismi, cit. 5. H. Driessen, Un santuario ebreo e musulmano nel nord del Marocco. Echi di un passato ambiguo, in D. Albera, M. Couroucli (eds.), I Luoghi Sacri Comuni ai Monoteismi, cit., pp. 153-160. 6. C. Stewart, R. Shaw, (eds.), Syncretism / Anti-Syncretism. The Politics of Religious Synthesis, London, Routledge, 2013. 8 Una Casa delle Religioni da parte di un nemico comune. Nell’Oxford English Dictionary nel 7. R. Hayden, Antagonistic Tolerance: Competitive Sharing of Religious Sites in XIX secolo con “sincretismo” si fa invece riferimento al tentativo South Asia and the Balkans, in «Current di unione o di riconciliazione di insiemi di dottrine e pratiche Anthropology» 43:2, April 2002, pp. 205231. diverse, opposte o accompagnate da una mancanza di autenticità o dalla contaminazione/infiltrazione di una tradizione presunta 8. G. Bowman, Processi identitari pura, di simboli e significati che appartengono a tradizioni diverse e intorno ad alcuni santuari condivisi in Palestina e Macedonia, in D. Albera, M. incompatibili. Tale uso peggiorativo appare a partire dal XVI secolo, Couroucli (eds.), I Luoghi Sacri Comuni per bollare i tentativi di conciliare luterani, riformati e cattolici e ai Monoteismi, cit., pp. 15-34. fomentare così un movimento anti-sincretista in difesa della propria identità religiosa. A parte qualche parentesi come quella del 1941 in the Myth of the Negro Past, dove si legge una difesa del sincretismo, il concetto porta con sé un senso negativo: durante l’epoca del colonialismo e fino alle più recenti formulazioni che lo hanno identificato come uno strumento per rafforzare identità e competizione e creare barriere. È quanto propone Robert Hayden7 affermando che esperienze sincretiche come la condivisione di siti sono permesse da un bilanciamento di poteri che possono collassare facilmente a causa di uno sfasamento delle forze in gioco. Un equilibrio di questo tipo si basa su una reciproca tolleranza che Hayden distingue in due tipologie: una passiva, che ha il significato di non interferenza tra gli attori e una di attiva coesistenza e interazione con l’altro. In entrambi i casi vi è un senso più o meno esplicito di antagonismo e competenza. Nel saggio di Glenn Bowman contenuto nel libro di Albera e Couroucli, l’autrice conduce, ad esempio, una ricerca sul campo in santuari condivisi in Palestina e Macedonia8, e mette in luce come la mescolanza e la condivisione rischino di essere progressivamente sostituiti dalla separazione e dall’antagonismo in quanto sottoposte ▲Schema dell’uso consueto degli edifici religiosi: ogni edificio è dedicato ad un a una tendenza promossa da posizioni nazionaliste che ridefiniscono culto, senza alcun sovrapposizione. le attività interreligiose come non ortodosse o addirittura blasfeme. In conclusione, i luoghi sacri emergenti alle frontiere dei grandi complessi confessionali sono oggi siti in cui i processi di sincretismo vanno di pari passo con quelli di chiusura e di costruzione delle frontiere; hanno, insomma, una natura fluttuante e ambigua. Per studiare la possibilità di creazione di uno spazio in qualche modo “sincretico” all’interno di contesti urbani europei è quindi essenziale studiare il funzionamento di questi luoghi di incontro tra religioni in modo da renderli comparabili sotto l’aspetto tipologico Per questa ragione possiamo utilizzare almeno quattro categorie di analisi: Proposta di edificio multifede per la città di Torino 9 9. J. Preston, Spiritual Magnetism: An Organizing Principle for the Study of Pilgrimage. in Sacred Journeys, in A. Morinis (ed.) Westport, CT, Greenwood Press., 1992, pp. 31-46. 1. Parole: narrazioni, dibattiti, concetti fondamentali, formule, rituali 2. Oggetti: infrastruttura della religione e topografia dello spazio divino 3. Gesti: pratiche religiose, riti, posture, manipolazioni del corpo 4. Poteri: forme di giustificazione e trasmissione dell’autorità religiosa E modelli di forme di interazione tra le religioni nei luoghi: 1. “ospitare”: riferito a casi in cui la mancanza di un luogo impedisce lo svolgimento normale dei culti. 2. “prendersi cura” (in assenza di): riferito ai casi in cui templi o santuari o chiese abbandonate sono tutelate e prese in carico da altri. 3. “condividere”: comprende santuari che attirano diverse fedi soprattutto in caso di presenza di un sacro (luogo o persona) forte che attrae9, i casi di “sacro debole” che permette la condivisione, i casi di condivisione a seguito di una decisione razionale di diverse confessioni per organizzarsi in un unico spazio. Con una precisazione. Se queste dinamiche e queste categorie sono riconoscibili in contesti non urbani, esse vengono accentuate all’interno della spazio negoziale della città, che porta esperienze religiose diverse a condividere lo stesso spazio. Ecco allora che nei paesaggi multiculturali delle città possiamo individuare i segni di una contesa sotterranea per la visibilità dei diversi gruppi etnicoreligiosi, nella quale la diversità diventa ambiguamente un marcatore territoriale identitario e il segno di un’alterità del territorio, un possibile strumento di integrazione come un possibile segno di divisione. 1. 2 - Diversi modelli urbani È in contesti urbani che si può leggere il modo più interessante di interazione tra religioni e spazio di gestione della convivenza da parte di comunità religiose differenti che spesso hanno portato e tuttora portano a conflitti e che, soprattutto in contesti contemporanei, sono risolti con una negoziazione top-down (le istituzioni prevengono o intervengono per mediare) e, ancora più raramente, bottom-up. Se i modelli dell’ospitare, del prendersi cura e del condividere caratterizzano l’interazione tra religioni nei luoghi possiamo anche avanzare l’ipotesi di modelli di interazione delle religioni con lo 10 Una Casa delle Religioni spazio e nello spazio urbano che trovano la loro concretezza sia alla scala dell’edificio sia alla scala della città. Nelle città nella maggior parte dei casi si tratta di religioni che condividono o, al massimo sono ospitate /ospitano come è accaduto soprattutto agli inizi delle grandi immigrazioni dall’est Europa per gli ortodossi ospitati in chiese cattoliche o come tuttora accade per la comunità presbiteriana coreana ospitata al tempio Valdese di Milano dal 2002. Tutte le domeniche hanno a disposizione per celebrare il culto la sala principale del tempio dove si riuniscono in una settantina di fedeli, spesso con un momento conviviale successivo alla celebrazione.10 Il primo è il modello della sostituzione. Secondo tale modello i luoghi religiosi e gli edifici sono demoliti e ricostruiti (o adattati) a seconda di esigenze di culto diverse da quelle precedenti: dalla Roma paleocristiana, alla Reconquista spagnola, attraverso lo snodo cruciale della storia di una città come Costantinopoli, le implicazioni simboliche in termini di vincitore/vinto hanno reso tale modello paradigmatico e di successo. Santa Sophia e la Grande Moschea/Cattedrale di Cordova sono Proposta di edificio multifede per la città di Torino 11 ▲Un esempio della dinamica di Sostituzione: Istanbul - Santa Sofia. 10.Circa una settantina di fedeli celebrano ogni domenica il culto nel salone centrale del tempio valdese, nell’impossibilità di avere un centro autonomo. http://www.milanovaldese.it/ ▲ Un esempio delle dinamica di Suddivisione: la basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. l’icona del passaggio di popolazioni di fedi differenti all’interno della città. Altri modi di occupazione dello spazio si mettono in atto quando le pratiche religiose si affiancano all’interno dello stesso spazio. Quello della suddivisione è un modello che si riconosce spesso in riferimento al singolo edificio: il medesimo spazio è usato da credenti di confessioni cristiane differenti che lo dividono e se ne prendono cura. Il caso del Santo Sepolcro, in cui differenti denominazioni cristiane convivono e condividono porzioni di spazi con modalità non esenti da conflitti, è divenuto emblematico dopo gli scontri tra le differenti confessione nel 2008.11 Un ulteriore modello, quello della condivisione, trova nello spazio urbano il terreno di applicazione naturale. Gerusalemme può essere considerata la città modello in questo senso: è allo stesso tempo sia una collezione di modelli di coesistenza sia anche un esempio di spazio urbano condiviso che può generare conflitti. Scambi, relazioni e mescolamenti si trovano con grande frequenza, come si è già accennato, anche nella città di Istanbul, dove i musulmani frequentano la chiesa cristiana san Antonio da Padova. 11. Si veda il conflitto del 10 ottobre, 2008 tra Armeni e monaci ortodossi: https://www.youtube.com/ watch?v=WaolkgrlAto, ultimo accesso 27 giugno 2016. 12 Una Casa delle Religioni La frequentazione interreligiosa di questa chiesa, situata in uno dei quartieri più animati della città, si focalizza in particolare il martedì, giorno associato alla venerazione del santo e occasione di incontri devozionali tra cristiani e musulmani. Come mostrano gli studi architettonici, la facilità di accesso alla chiesa costituisce, probabilmente, un moltiplicatore della frequentazione eterogenea: negoziati, compromessi e incontri permettono circolazioni composite.12 Un caso particolare di condivisione è quello della sovrapposizione, nella quale non solo i confini spaziali tra religioni sono labili, ma lo stesso spazio è utilizzato stabilmente e a volte contemporaneamente da più confessioni o religioni. Un esempio è costituito dalla chiesa per protestanti e cattolici di Friburgo o dall’edificio – in progettazionedella House of One di Berlino, che ospiterà sotto lo stesso tetto musulmani, cristiani e ebrei e sarà fornita di uno spazio in comune13. Questi diversi modelli di relazione con lo spazio nascono da strategie diversificate, spesso messe in atto da istituzioni pubbliche e religiose. Gli Stati contemporanei hanno tentato di governare la coesistenza tra religioni attraverso strategie che potremmo riassumere in due macro- Proposta di edificio multifede per la città di Torino 13 ▲ Une esempio della dinamica di Sovrapposizione: la chiesa di Maria Maddalena a Friburgo, Germania. 12. D. Albera, B. Fliche, Le pratiche devozioni dei musulmani nei santuari cristiani. Il caso di Istanbul, in D. Albera, M. Couroucli (eds.), I Luoghi Sacri Comuni ai Monoteismi, cit.,pp. 101-126. 13. Si veda Maria-Magdalena-Kirche, Freiburg, 2004 and http://house-of-one. org/en, ultimo ccesso 27 giugno 2016. 14. A. Crompton, The architecture of multi-faith spaces: God leaves the building, «The Journal of Architecture», 2013, 18:4, pp. 474-496. F. Díez de Velasco, Multi-belief/Multi-faith Spaces: Theoretical Proposals for a Neutral and Operational Design, RECODE Working Paper Series, Online Paper n. 26, 2014. approcci. Il primo approccio è quello “illuminista” o “repubblicano” in cui lo Stato garantisce un sistema inclusivo e secolarizzato che punta alla riduzione dell’impatto della religione escludendo i simboli dallo spazio pubblico. Questo approccio, adottato dallo Stato francese ad esempio, consolida la sostanziale specializzazione di luoghi di culto. Una strategia differente è offerta dalla prospettiva del “common law” – definita così per richiamarne le origini anglosassoni - che invece permette l’esternazione in pubblico e nello spazio comune urbano di simboli, pratiche e gesti: è il caso complicato di Barcellona, dove vecchie e nuove comunità religiose hanno trovato spazi di espressione grazie all’intervento del “Ufficio centrale per gli affari religiosi”, che ha funzionato da ponte a livello infrastrutturale e urbanistico tra spazi pubblici e luoghi religiosi. Nonostante la sostanziale differenza tra questi approcci, la tipologia di spazio sincretico di maggior successo, quando gestita attraverso 15. C. Hewson, Multi-faith Spaces: Symptoms and Agents of Religious and Social Change. University of Manchester. Retrieved September 14, 2012. strategie top-down, è analoga: la stanza di preghiera multifede, priva di simboli connotanti. Nate in “fully secured spaces”, come ospedali e aereoporti, per incontrare una domanda di spiritualità in situazioni logistiche particolari14, questo tipo di stanze presentano ambienti neutri e iconoclasti, che permettono l’espressione di una dimensione religiosa personale e silenziosa. Una sorta di modello illuminista perfetto in miniatura. Da questi ambienti infatti sono spesso escluse anche le forme di culto che come immediata conseguenza attribuirebbero allo spazio valori e significati difficilmente negoziabili per ulteriori e futuri occupanti. Simbolo del modello sono le numerose sale multifede che addensano e concentrano in pochi metri quadri la molteplicità religiosa: è il caso delle sale di preghiera o del silenzio che si trovano in ospedali, aereoporti, università. Un progetto recente dell’Università di Manchester, UK, ha definito queste sale come uno spazio intenzionale, disegnato per ospitare una pluralità di pratiche religiose e per indirizzarsi a una molteplicità di scopi pragmatici15. Per citarne alcune, basterebbe entrare nella sala di preghiera di un aereoporto come Heathrow o Vienna, o nella Manchester Royal Infirmary, nel suo New Multifaith Centre o ancora nella multifaith prayer room dell’Università di Londra, sono spazi aperti a fedeli di ogni credo e tradizione. Une esempio recente è costituito dall’ “espace de recueillement” dell’università di Friburgo, aperto a tutti nell’orario di apertura dell’università. 14 Una Casa delle Religioni ◄ Torino, Stanza del Silenzio, Ospedale Molinette, 2012. Fly 5,4 m² Ufficio G.d.F. 26 m² Accesso ufficio coordinamento voli Edicola Tabacchi GIUNTI DISEGNO N. SCALA 120 270 DATA PROGETTO Sala Silenzio Loc.tecnico 24 m² Locale 24,3 m² 90 210 Cavedio impianti DATA ESENTE GRAFICO SENZA LA PREVENTIVA AUTORIZZAZIONE SCRITTA DELLA SAGAT S.p.A. loc. supp. AZ 8 m² loc. supp. AZ 7 m² CED+ Loc.tecnico ELABORAZIONE SELLE T.se (TO) ITALIA Tel. 39+(0)11/5676325 Sala Preghiera Islamica 33,6 m² 5 m² Loc.tecnico CTA loc. supp. AZ 7 m² loc. supp. AZ 8 m² Ufficio S.H. AF 9 m² Ufficio S.H. Cappella Ecumenica 35 m² ◄ Torino, Aereoporto Sandro Pertini, progetto di sala multireligiosa. Q.E. Gli ideatori della sala hanno progettato lo spazio con i differenti gruppi religiosi (le cinque religioni universali) al fine di trovare una soluzione per tutti soddisfacente riguardo gli aspetti architettonici e organizzativi. A tal proposito, a Torino, oltre alla recente apertura della sala di preghiera musulmana, è da ricordare la costruzione di una sala del silenzio nell’aeroporto di Caselle. Sempre a Torino, in seno al progetto “Le cure dello Spirito” nel 2012 era stata creata la Stanza del Silenzio, uno spazio dedicato all’utenza dell’ospedale AUO San Giovanni Battista - Le Molinette, sia essa costituita da credenti oppure da non credenti, per pensare, raccogliersi e pregare16. Presupposto di partenza per la costruzione della Stanza del Silenzio è stato quello di creare uno spazio accessibile ai fedeli di ogni religione. L’idea originaria era quella di creare una Stanza Interfedi, luogo utilizzabile a orari diversi dai fedeli di qualunque culto. L’ufficio Qualità e Servizi dell’ospedale scelse di chiedere agli stessi rappresentanti religiosi partecipanti al progetto di cui sopra di fornire Proposta di edificio multifede per la città di Torino 15 16. Si vedano le pagine www.progettoreligioni.it, e http://www.progettoreligioni.it/stanza_ silenzio_3.html, 10 giugno 2016. ▲ La stanza multifede è contenitore di pratiche religiose diverse purchè queste non interferiscano con simboli o strutture permanenti che possano disturbare le pratiche successive. ▲▲ La sala di raccoglimento dell’università di Friburgo contiene i testi sacri delle principali religioni,il necessario per preparare il thé, la possibilità di praticare riti woodou, dei tappeti per la meditazione, cuscini, banchi, coperte e tappetini per lo yoga. 17. Per ulteriori informazioni si veda Label: religioni in ospedale, Quaderno di Benvenuti In Italia, 2014, a cura di Mariachiara Giorda, scaricabile su www. benvenutiinitalia.it, 20 giugno 2016. 16 indicazioni su come costruirla. Fu dunque stilato un questionario relativo al colore che avrebbero dovuto avere i muri, piuttosto che alla possibile presenza di un tavolo o di un mobile contenete i libri sacri di ogni religione. Nel 2013 l’ospedale Mauriziano di Torino ha aperto una stanza analoga, nuovamente coinvolgendo il Comitato Interfedi.17 Questo tipo di spazio è forse oggi il modello di maggior successo per quanto riguarda la coesistenza religiosa, un successo che è determinato dall’esclusione di quegli elementi che possono generare conflitti attorno ad esso. Al di là di questa e di poche altre interessanti eccezioni, il modello neo-illuminista, pur fornendo strumenti che permettono passi enormi nella coesistenza religiosa in contesto urbano rispetto allo stato dell’arte, sembra basarsi sull’eliminazione dei fattori da mediare, piuttosto che sullo stesso processo di mediazione. E anche quando riesce a produrre iniziative come House of One, non riesce a prescindere da una logica fortemente top-down. Riprendendo la nostra ipotesi iniziale, una prospettiva diversa può essere trovata proprio nella dimensione della città, sia come unità fisica che amministrativa. In un contesto urbano, tutti i luoghi condividono il medesimo spazio e la città crea di continuo conflitti e relazioni. Quest’ultima prospettiva si sviluppa all’interno di una dimensione politica comunale. Anche se spesso l’incipit dei movimenti riformisti incomincia dallo Stato, le policies che determina la città sono più influenti sulla vita del cittadino. Esempi in questo senso, almeno nel Una Casa delle Religioni contesto italiano, possono essere ritrovati fin dagli albori dell’unità nazionale, che affida alla municipalità il compito di organizzare attraverso strutture e personale quella scuola elementare pubblica e gratuita decretata dalla legge Casati. Lo stesso accadrà al tramonto del Regno con la legge urbanistica del 1942 che sancisce l’obbligatorietà dei piani regolatori. I Comuni dell’Italia post unitaria si trovano così ad essere gli innovatori delle nuove domande di servizio (scuola, casa, sanità).18 Una dimensione importante che precede quella dei servizi alla persona riguarda proprio la libertà religiosa. La dimensione comunale è quella in cui si materializzano gli effetti dello Statuto Albertino con la costruzione di Sinagoghe nelle maggiori città italiane entro la fine del secolo e un accesso alla politica di non cattolici che avviene proprio nella stessa dimensione comunale. Queste caratteristiche fanno del modello di coesistenza “urbano” un terreno interessante per indagare le strategie di negoziazione piuttosto che di eliminazione della stessa, utili per comprendere i conflitti oggi in atto. 1.3 - Città e religioni oggi. La maggior parte degli studiosi di urbanistica, degli antropologi e dei filosofi che hanno indagato lo sviluppo dei centri urbani in epoca recente è concorde nel sostenere che sia impossibile identificare un’univoca teoria sull’organizzazione delle città. Tuttavia, si può identificare un tratto comune nel fatto che lo spazio costituisca una struttura relativamente stabile, e sono le modalità del suo utilizzo ad evolvere, ovvero le pratiche attraverso le quali una società lo occupa. Un insieme di queste pratiche si articola nella dimensione religiosa. A seguito dell’intensificarsi dei fenomeni migratori, la relazione tra città e regione ha iniziato a divenire sempre più stretta, inglobando territori estesi che non coincidono né con lo spazio compreso entro i confini della città, né con quello nazionale19. Negli ultimi trent’anni, le forme religiose di appartenenza, pratica, credenza sono infatti diventate sempre più variegate rendendo la diversità religiosa uno degli assi dominanti del pluralismo nelle città europee e italiane20. Situare i fenomeni religiosi nello spazio urbano significa pertanto poter prendere in considerazione le modalità con cui uomini e donne abitano gli spazi, trasformandoli in luoghi dinamici con i loro corpi, Proposta di edificio multifede per la città di Torino 17 18.J. Borja, Z. Muxí, El espacio público, ciudad y ciudadanía, Barcelona, Electa, 2000. 19. P. Perulli, Visioni di città. Le forme del mondo spaziale, Torino, Einaudi, 2009. 20. P. Hopkins, L. Kong, E. Olson, Religion and place: landscape, politics and piety, New York, Springer Press, 2012. 21. A. L. Molendjik, J. Beaumont, C. Jedan, Exploring the Postsecular. The religious, the political and the Urban, Leiden-Boston, Brill, 2010. 22. L. Mumford, What is a City?, in R. L. Le Gates, F. Stout (eds). The City Reader, London, Routledge, 2000, pp. 82-96. S. Sassen, A sociology of Globalization, New York, W. W. Norton and Company, 2007. 23. M. Burchardt, M. Wohlrab-Sahr, M. Middell (eds.), Multiple Secularities Beyond the West. Religion and Modernity in the Global Age, Berlin, De Gruyter, 2015. 18 le loro relazioni, le loro emozioni, i loro legami sociali, i loro oggetti. In sostanza, attribuendo significati e valori ad uno spazio che viene costantemente negoziato. Questo processo di appropriazione e nascita di conflitti avviene anche in contesti che storicamente hanno visto un monopolio da parte di una tradizione religiosa e che oggi stanno assistendo a cambiamenti dovuti alla diffusione di nuove forme di culto. Cambiamenti che dalla dimensione culturale sono presto passati ad incidere sulla dimensione fisica della città, manifestandosi attraverso processi di organizzazione e pianificazione urbana, come anche nella realizzazione e modifica di architetture. Studi interdisciplinari recenti hanno sottolineato la relazione tra lo spazio urbano e le tradizioni religiose e culturali che animano le città21. La prima ipotesi che vogliamo avanzare è pertanto che la dimensione religiosa possa essere considerata una lente per l’analisi storica e sociale del contesto urbano22. A queste considerazioni di ordine generale se ne aggiunge un’altra di carattere politico. Se si considera il contesto italiano, il nomos vigente nello Stato-Nazione su un determinato territorio, non può essere considerato come l’unica struttura che influisce sul suo governo. La città non è cioè solo la dimensione in cui incontro e negoziazione tra diverse religioni avviene in maniera evidente, ma sembra diventare sempre di più il terreno su cui e da cui agiscono le azioni politiche che puntano ad affermare diritti e facilitare convivenze. L’etichetta di post-secolare usata di recente in differenti discipline per descrivere il contesto religioso delle città contemporanee, non è sufficiente a fotografarne la complessità e le identità, per le quali sembra più corretta la definizione di multi-secolari23. Il concetto di “secular” veicola alcuni comportamenti, conoscenze e sensibilità della vita moderna, ma non è né stabile, né definitivo, ed è in tensione continua con il “religious”. Esso si esplicita nella permanente negoziazione di spazi e confini di competenza e influenza. A fronte di quanto considerato, è possibile sostenere come le modificazioni urbane così come quelle religiose sono spesso conseguenza dei conflitti politici e sociali concernenti la secolarizzazione e la diversità religiosa. All’interno delle città, in ragione di fattori che possono essere associati al genere, età, religione, etnicità, cultura o lingua, si costruiscono limiti e confini che sono esperiti e messi in atto attraverso le forme di interazione proprie delle società globali. I processi di secolarizzazione e di globalizzazione hanno quindi Una Casa delle Religioni influito sulle modalità attraverso cui le religioni si rappresentano nello spazio urbano e lo occupano. Tali processi, tuttavia, non sono storicamente lineari: dal XVII e fino XIX secolo, in Europa i processi di secolarizzazione sono sempre stati accompagnati da innovazioni religiose. Ad esempio le chiese si sono adattate ai processi di urbanizzazione attraverso la messa in atto di specifiche strategie di evangelizzazione volte a raggiungere le nuove classi lavorative e sociali. Altre innovazioni hanno puntato al miglioramento dell’autosufficienza economica di un gruppo, attraverso una “brandizzazione”24 e ad una strategia specifica di marketing dei siti religiosi, in accordo con le logiche dell’industria del turismo, che può a sua volta divenire causa della secolarizzazione di tali siti. Al contrario, i gruppi religiosi emergenti costruiscono la propria sede in luoghi specifici per poi espandersi all’interno di nuovi spazi urbani, come è avvenuto per il Christian Youth Group International Fellowship che, nato a Zurigo, inizia ora a rivolgersi ad altre città europee25. Questi processi di appropriazione dello spazio urbano non si risolvono solamente in progressivi adattamenti al contesto, ma sfociano apertamente in un conflitto che coinvolge tutta la città sul piano dei significati. L’espandersi di una religione come l’islam in contesti di diaspora ha creato conflitti, dibattiti e sollecitato le riflessioni di studiosi, ma anche delle istituzioni26: quasi in ogni contesto dove si è cercato di costruire un luogo di culto legato alla religione musulmana, sia in Europa che altrove, il dibattito è sfociato in una questione di spazi e pratiche27. Attraverso simili modalità di affermazione e di visibilità, chiese, comunità e gruppi intendono trarre vantaggio, ma anche essere parte delle trasformazioni urbanistiche dello spazio e delle modalità in cui se ne costruiscono i processi di utilizzo. Così, religione e spazio urbano si trasformano vicendevolmente all’interno degli attuali processi sociali e la religione è sempre di più ridisegnata e spazializzata28. 1.4 - Il caso di San Salvario Un caso studio particolarmente interessante, in cui è possibile osservare processi di convivenza è il quartiere di San Salvario a Torino. Tra aumenti e contrazioni del numero di abitanti, tra i nuovi torinesi figurano nei primi anni del nuovo millennio, decine di migliaia di immigrati provenienti dall’estero, soprattutto Romania, Marocco, Proposta di edificio multifede per la città di Torino 19 24. M.Einstein, Brands of Faith: Marketing Religion in a Commercial Age: London, Routledge, 2007. J.-C. Usunier, J. Stolz, Religions As Brands. New Perspectives On The Marketization Of Religion And Spirituality. Farnham, Ashgate, 2014. 25. Si veda: http://www.icf-movement. org/locations/, ultimo accesso 27 giugno 2016. 26. C. Saint-Blancat, Spatial and Symbolic Patterns of Migrant Settlement: The Case of Muslim Diasporas in Europe, in Immigration and Integration in Urban Communities. Renegotiating the City, L. M. Hanley, B. A. Ruble, A. M. Garland (eds.), Washington, Woodrow Wilson International Center for Scholars, vol. 1, 2008, pp. 97-12. 27.Il dibattito non è stato particolarmente vivo solo riguardo alle emergenze architettoniche delle moschee, ma anche ai suoni prodotti dalle pratiche di preghiera dell’islam. “in such situations, the boundaries between public and private are being negotiated in various ways, significantly raising questions of how much visibility a group wish for or may achieve” (David, 2012: 449). 28. J. . Beckford, Re-thinking religious pluralism, in G. Giordan, E. Pace (eds.), Religious Pluralism. Framing Religious Diversity in the Contemporary World, New York, Springer, 2014, pp. 15. See http://globalprayers.info/ ultimo accesso 27 giugno 2016 Cf. www.berlinprojekt. com, ultimo accesso 27 giugno 2016. 29. M. Giorda, I luoghi religiosi a Torino. Le religioni nei contesti urbani contemporanei, «Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica», 2015, pp. 337356. 30. Si veda: www.pluralismoreligioso.it,ultimo accesso il 27 giugno 2016. 31. Per una pionieristica mappatura, si veda: L. Berzano (a cura di), Forme del pluralismo religioso. Rassegna di gruppi e movimenti a Torino, Torino, il Segnalibro, 1997. 32. Un campione di tre scuole primarie è il bacino di riferimento per un primo tentativo di mappare il pluralismo religioso a scuola; per i dati delle comunità religiose di appartenenza delle famiglie si veda: https://benvenutiinitalia. it/pensiero/food-relgion-2014/report2014-ita/ 33. Per i primi risultati si veda: il sito www.reparty.it. E I. Becci, M. Burchardt, M. Giorda, Religious Super-Diversity and Spatial Strategies in Two European Cities, in «Current Sociology», 2016, pp. 78-96. 20 Perù, Cina, Egitto, Senegal, Nigeria, Albania, Filippine e Brasile: circa 220.000 persone (dati prefettura 2013). La loro presenza ha mosso la società pacificata degli anni Ottanta e ha cambiato il volto di zone come S. Salvario e Porta Palazzo, due tra i più noti quartieri della gentrificazione di Torino. La sfida di Torino, impegnata a diventare polo d’attrazione culturale, turistico e del terziario, è l’integrazione dei suoi nuovi abitanti, diversi per lingua e cultura, nuova fonte di ricchezza e di scambio. Ed è una sfida che la prima capitale d’Italia, crocevia di strade e di persone, intende vincere in questo suo terzo millennio di storia, superando la sua mono-identità industriale di “one company town” e investendo sul suo profilo di laboratorio permanente29. Per quanto riguarda il panorama religioso, negli ultimi decenni le confessioni registrate sono passate da120 a più di 200. Come spesso ha fatto notare Luigi Berzano, direttore dell’Osservatorio sul pluralismo religioso piemontese30, a Torino si prega ovunque, nelle chiese, nei cortili, nei garage e nelle palestre; chiese strutturate e forme di aggregazione temporanea sono mescolate a pratiche di vita e filosofie del benessere31. Tuttavia, per Torino, come per altre città d’Italia, mancano dati qualitativi e quantitativi più precisi sulla diversità religiosa da un punto di vista numerico, se non ricostruiti da stime a partire dalla presenza di migranti32. In questo contesto cangiante e sfaccettato, il progetto di mappatura dei luoghi di culto, iniziato nel 2011 e non ancora concluso33, ha permesso di studiare la presenza delle religioni sul territorio, in termini di riconoscimento, di visibilità, di integrazione sociale e culturale, inclusione/esclusione sia dall’interno (le comunità religiose) sia dall’esterno (le istituzioni pubbliche e i cittadini). Al contempo, la città ha da tempo avviato politiche e progettualità che riconoscono il pluralismo religioso come elemento di dialogo, mutuo riconoscimento, rispetto e relazione tra le diverse comunità religiose presenti in città ed esse hanno contribuito alla istituzionalizzazione di molti di questi luoghi. Le minoranze religiose autoctone più tradizionali (in particolare valdese e protestante, la comunità ebraica e quella degli italiani di fede islamica), così come la religione cattolica maggioritaria, le comunità della diaspora e i nuovi movimenti religiosi sono infatti impegnate nel promuovere dialogo e iniziative comuni e in molti casi sono e sono state capaci di accompagnare processi di crescita di altre comunità religiose. Fatte queste premesse, occorre in primis ricordare che l’indole Una Casa delle Religioni innovativa della religiosità torinese non è un fatto recente: fu a Torino che la concessione dei diritti civili e religiosi a ebrei e valdesi nel 1848 tramite lo Statuto Albertino segnò un’apertura prima e unica in Italia. In questa carta si trovano diversi elementi interessanti per la storia dei luoghi religiosi e più in generale del pluralismo religioso: anzitutto riguardò il contesto religioso non soltanto cristiano ma ebraico-cristiano ed ebbe ricadute immediate sull’edificazione di luoghi di culto che cambiarono l’architettura della città. Prima del 1848 le religioni differenti da quella cristiana cattolica presenti nel territorio non avevano mai avuto il diritto di edificare un loro luogo di culto; nel ghetto ebraico vi era una stanza per la preghiera, ma normalmente si pregava nelle case. Con lo Statuto Albertino edifici di altri culti furono ammessi e l’area di San Salvario, che era al centro della nuova pianificazione urbana, come uno degli assi principali di espansione della città – con il piano del 1850-1852-, divenne anche la zona di costruzione dei nuovi edifici religiosi34. La prima costruzione fu il tempio valdese, terminato nel 185335; il primo progetto per la sinagoga fu presentato nel 1859, ma abbandonato nel 188036, mentre un altro fu portato avanti in una zona più periferica e meno costosa della città: il quartiere di San Salvario, e il tempio inaugurato nel 1883. In entrambi i casi vi fu una discussione all’interno delle comunità poiché non tutti i fedeli erano d’accordo sulla possibilità della propria visibilità e in entrambi icasi si procedette alla costruzione, non solo con l’appoggio ma anche con un sostegno favorevole delle Istituzioni regie e municipali. Per quanto concerne il tempio valdese, il dibattito acceso all’interno della comunità fu dovuto anche al fatto che le condizioni della costruzione furono chiaramente imposte dalla municipalità di Torino37. Nel luglio 1849 la Congregazione evangelica di Torino entrò a far parte della chiesa valdese e la questione della necessità di un luogo di culto adeguato alle esigenze della Chiesa si pose subito dopo. Nel 1850 si avviarono le pratiche burocratiche per la costruzione di un tempio e sotto la direzione del pastore Beckwith fu individuato un terreno lungo il viale del Re (oggi corso Vittorio Emanuele II): il tempio doveva diventare un santuario che imponesse rispetto agli avversari e agli indifferenti e che fosse per gli evangelici una vera casa di preghiera, e, oltre a ciò, un monumento della vita cristiana di valore artistico non inferiore agli edifici più grandiosi che si stavano costruendo nella capitale. L’amministrazione torinese cercò di rimandare la decisione se accordare o no il permesso e il 17 gennaio Proposta di edificio multifede per la città di Torino 21 34. D. Campobenedetto, M. Giorda, M. Robiglio, The temples and the city. Models of religious coexistence in contemporary urban space. The case of Turin, in «Historia Religionum» 18, 2016, pp. 45-69. 35. P. Cozzo, F. De Pieri, A. Merlotti (eds.), Valdesi e protestanti a Torino (XVIII-XX secolo). Convegno per i 150 anni del Tempio Valdese, Torino, Zamorani, 2003. 36. Tale progetto fu poi terminato e divenne la Mole Antonelliana, simbolo della città. 37. T. J. Pons, Actes de synodes des églises vaudoises 1692-1854, Torre Pellice, s. d., p. 246. P. Cozzo, F. De Pieri, A. Merlotti (eds.), Valdesi e Protestanti a Torino, cit., p. 78. 38. A. Pascal, G. Bertin, P. Bosio, L’evangelo a Torino all’epoca della Riforma alla dedicazione del Tempio, Torino, Chiesa Valdese editore, 1953, p. 78. ▲ Il tempio valdese di San Salvario. © Luca Bossi. 22 1851 fu il Re in persona ad autorizzare il Ministero dell’Interno a dare le disposizioni opportune per acquistare il terreno. Nonostante alcuni tentativi di fermare il processo e le dissuasioni del clero cattolico,38 il Consiglio delegato della città di Torino ribadì nell’agosto dello stesso anno che il Municipio non doveva avere alcuna ulteriore ingerenza sulla costruzione. Il 26 ottobre 1851 fu posta la prima pietra e il 15 dicembre 1853 il nuovo tempio fu inaugurato con una cerimonia solenne. Cinque anni dopo fu costruita anche la casa parrocchiale per accogliervi una sala per riunioni, l’ospedale, i locali scolastici e gli alloggi pastorali; la contemporanea formazione del borgo San Salvario fece in modo che il tempio e la Casa valdese che inizialmente sembravano collocarsi ai margini della città, si trovassero al centro di uno dei più affollati quartieri di Torino, costituendo un elemento di richiamo, di apertura, di dialogo e anche di accoglienza nei confronti del resto della città. In quegli anni la comunità valdese crebbe e nuovi aderenti provenienti dalla città e numerosi profughi esuli da altre regioni del paese si accostarono al gruppo. Un segno della vivacità culturale valdese di quei decenni fu nel 1894 l’apertura della casa editrice Claudiana, la “voce italiana del protestantesimo”. Uno spazio multi funzionale, quindi, più che un luogo religioso, in cui si intrecciano attività differenti aperte ai non-valdesi. Una Casa delle Religioni Per quanto riguarda la sinagoga, la decisione di costruirla a Torino fu presa nel 1859, quando all’indomani dell’emancipazione si innescò un processo di assimilazione e insieme di riconoscibilità delle comunità ebraica che influenzò anche il modo di intendere l’architettura e la visibilità della sinagoga. La sinagoga di Torino, centro di ricordi, ideali, luogo di unificazione della vita sociale e religiosa ebraica, fu concepita come un tempio, sul modello delle chiese cristiane dell’epoca e il modello che fu preso come punto di riferimento fu la sinagoga di Lipsia che era stata progettata nel 1855 da Otto Simonson, in uno stile esotico che era destinato ad avere fortuna in Italia, come mostrano gli edifici in stile moresco di Vercelli e Firenze, oltre che di Torino. La storia dell’attuale Tempio non può essere slegata dalla storia della Mole Antonelliana, inizialmente progettata dall’architetto Alessandro Antonelli, finanziata dall’università israelitica e lasciata incompiuta, poi acquistata dal Municipio come sede del Museo dell’Indipendenza italiana. Il 1° marzo 1859 il Consiglio d’amministrazione della Comunità ebraica di Torino aveva deliberato di erigere un nuovo Tempio, per il quale aveva poi deciso di imporre una cifra annuale ai residenti ebrei di Torino. Dopo che il progetto fu accettato da un decreto regio nel 1860, con la condizione che il disegno fosse sottoposto al sovrano per una sua accettazione, il 3 luglio del 1860 fu acquistato il terreno per 33.948 lire e nel 1862 fu indetto il concorso artistico pubblico. La prima pietra fu collocata nell’aprile del 1863 e negli anni successivi le spese non fecero che crescere: alla fine del 1869 il Consiglio d’Amministrazione dell’Università israelitica di Torino, ripercorrendo le tappe progettuali, arrivò a ipotizzare, a causa di un ritardo dei lavori, degli aumenti dei prezzi delle aree fabbricabili, di nuovi calcoli, una cifra di circa un milione di lire. Dopo altri anni di discussioni, accuse incrociate, nel 1872 l’assemblea dei contribuenti respinse la proposta di conservare l’edificio, destinandolo ad altro uso e deliberò di stanziare 270 mila lire per completare l’opera, cercando di coinvolgere nelle spese il Municipio. Nonostante le spese si dimezzassero negli anni successivi, nel 1875 il Consiglio d’amministrazione pubblicò un opuscolo in cui si proponeva di vendere la Mole al Municipio per comprare una nuova area dove erigere un tempio di più modeste proporzioni: dopo vari tentennamenti e cambiamenti di posizioni, nel 1876 l’assemblea dei contribuenti decise di completare l’opera riducendone una parte e verificando la presenza dei fondi necessari. Nel 1877, anno della morte del Rabbino Olper, il Municipio si offrì di acquistare la Mole Proposta di edificio multifede per la città di Torino 23 ▲La sinagoga di San Salvario. © Luca Bossi. 24 senza porre condizione alcuna rispetto alla destinazione dell’edificio, mentre l’assemblea dei contribuenti fu invitata a votare. Si decise allora, sulla base di una maggioranza censuaria, di vendere la Mole a 150 mila lire e di individuare ed acquistare un nuovo terreno per il Tempio che fosse più modesto, ma visibile e di cui tutti, ormai, sentivano l’esigenza. Soltanto nel 1879 la comunità ebraica acquistò una nuova area che si trovava in via sant’Anselmo e Goldoni, sulla stessa direttrice che attraversa il centro cittadino nel punto mediano segnato dal vecchio ghetto, agli antipodi del progetto della Mole dell’allora via Cannon d’oro. Tra nove progetti presentati all’Università israelitica di Torino fu scelto quello dell’ingegnere Enrico Petiti che si atteneva ai criteri stilistici invalsi nell’architettura delle sinagoghe del tempo, pur con accenti personali. I lavori furono svolti con grande rapidità e nell’aprile del 1883 gli uffici amministrativi della comunità furono trasferiti nei locali attigui del nuovo edificio. L’inaugurazione del Tempio avvenne il 15 febbraio 1884, alle nove e trenta del mattino, quando si svolse la funzione sacra, cui assistettero più di 2000 persone, tra cui anche cattolici interessati e curiosi. Il Tempio fu frequentato da allora senza cali di affluenza, se non nel periodo successivo al bombardamento del 1942, quando decorazioni e arredi interni andarono distrutti per essere poi ricostruiti nel 1949. Una Casa delle Religioni Entrambi i templi hanno un ruolo prominente all’interno del contesto urbano: sovrastano la strada con un ruolo visivo forte e una sorta di competizione per la loro altezza e struttura; inoltre il loro stile architettonico è chiaramente riconoscibile per la forma. Le loro funzioni si sono concentrate in una serie di iniziative che stabiliscono una forte connessione con la società come una scuola nel caso della sinagoga, spazi sociali e di incontro, una libreria legata alla casa editrice per i valdesi. Tali attività si diffondono al di là dell’isolato confessionale: nel caso dei valdesi un ospedale fu costruito a pochi isolati di distanza, e divenne punto di riferimento per tutta la città; anche gli ebrei hanno un centro sociale per attività per giovani ebrei e non, dirigono una delle scuole primarie più rinomate della città39, per circa due anni hanno gestito un ristorante kosher di fronte al tempio40 e partecipano alle attività culturali del quartiere. Nel 1882 la chiesa cattolica di S. Giovanni Evangelista fu costruita nella stessa area: il giudaismo e il cristianesimo divennero molto vicini. Ma quale cristianesimo? La chiesa valdese, appunto e il cattolicesimo legato all’esperienza dei santi sociali della città, tra cui don Bosco che pochi anni prima aera stato marginalizzato dalle istituzioni per poi diventare una delle figure più rivoluzionarie della pratica cristiana. Don Bosco fu uno dei grandi personaggi del cattolicesimo sociale che nella seconda metà dell’Ottocento vissero la carità e la solidarietà cristiane, traducendole concretamente nei servizi ai malati e agli indigenti, inaugurando una tradizione torinese destinata ad avere successo fino ad oggi. A causa di ciò, prima di essere accettati e anzi diventare il simbolo del cattolicesimo torinese, furono considerati dissidenti per la loro proposta sociale e ciò contribuì ulteriormente a frammentare e conferire un’identità multipla e sempre in divenire del cristianesimo. In decenni di conversione industriale di Torino,la popolazione crebbe grazie alle prime ondate migratorie dal meridione e si sviluppò, una politica di costruire oratori per ospitare giovani e proporre loro differenti attività, dai compiti della scuola, allo sport, al divertimento. Attività per riempire i quartieri, mentre le parrocchie iniziavano a svuotarsi. La relazione tra Valdesi e cattolici di Giovanni Bosco fu sempre molto complicata e difficile41; in un primo momento don Bosco si limitò a difendere le dottrine cattoliche ed attaccare quelle protestanti, cercando di fornire un antidoto ai giovani per combattere il veleno. In una seconda fase divenne più organizzato per contrastare l’errore protestante, il cui successo fu segnato anche dall’occupazione di Proposta di edificio multifede per la città di Torino 25 39. http://www.scuola-ebraica-torino.it/, visitato il 27 giugno 2016. 40. Il ristorante Alef è stato attivo dal 2012 al 2014: http://www.lastampa. i t / 2 0 1 2 / 11 / 1 0 / c r o n a c a / c o s t u m e / torino-ha-il-suo-ristorante-kashertKn8Pbxc9QGdnZczHqUYyH/pagina. html, visitato il 27 giugno 2016. 41. Si veda il brillante volumetto di M. L. Straniero, Don Bosco e i Valdesi. Documenti di una polemica trentennale 1853-1883, Claudiana, 1988. 42.Vita di San Giovanni Bosco, Torino, rist. 1987, vol. I, p. 455. ▲Celebrazione della Pasqua 2014 presso la comunità cattolica filippina nella chiesa di S. Giovanni Evangelista. © Angelo Morelli. un territorio fisico della città: l’obiettivo sarebbe stato quello di convertire il tempio in una Chiesa dedicata a Maria Immacolata, come si legge nella biografia redatta da don Lemonye42. D’altra parte, Giovanni Bosco fu oggetto di diversi attacchi dai quali si salvò grazie o all’intervento delle sue “guardie del corpo” (i suoi giovani), perché il prete salesiano con le sue celebri Letture Cattoliche, con le sue conferenze e con i suoi oratori, che di anno in anno crescevano di numero, era considerato un acerrimo nemico da contrastare. Vi era dunque un rapporto di competizione molto forte. La costruzione della chiesa di San Giovannino a Torino prova questa rivalità: fu edificata proprio accanto al tempio valdese per fargli concorrenza. Ciò che è molto interessante oggi è che qui si ritrova, dal 1998, la numerosa ed attiva comunità filippina torinese, nella Cappellania Filippina, per ascoltare la liturgia in lingua tagalog. In questa, come in altre chiese “etniche”, è importante il legame con la madrepatria che si esprime nell’associazionismo filippino volto a conservare e promuovere la cultura e la tradizione filippina. Tutti questi casi risultano in centri di servizi: si tratta di un edificio strettamente legato ad un tessuto che sostanzialmente è sovralocale. Senza dubbio, la comunità religiosa in continua espansione è quella islamica, composta da persone provenienti da Marocco, Egitto, 26 Una Casa delle Religioni Albania, Tunisia, Nigeria, Senegal, Costa d’Avorio, Somalia, per un totale di circa 35.000 fedeli. Volendo tenere in considerazione il volto plurale dell’islam, che per il 98% a Torino è sunnita, non si può non dire quanto il panorama sia complesso e stratificato, sin dalla fine degli anni Settanta. Tra i differenti “luoghi dell’islam”, vi sono le sedici sale di preghiera presenti a Torino (Islam a Torino 2015)43. Anziché di moschee, a Torino – e così nel resto d’Italia – è più opportuno parlare infatti di sale di preghiera, fondate e gestite da associazioni o centri culturali che svolgono apertamente attività cultuali. Le sale di preghiera islamiche torinesi – come molte in Italia e in Europa – sono frutto non tanto di un’edificazione ex novo quanto di interventi di recupero, ristrutturazione e riadattamento di locali in edifici preesistenti. L’edilizia di culto è regolata in prevalenza da leggi statali, pattizie e soprattutto regionali assai eterogenee tra loro, che fissano gli standard urbanistici, in aggiunta ai valori minimi fissati dal d.m.ll. pp. n. 1444 del 1968, e determinano in ogni aspetto le modalità di finanziamento dell’edilizia di culto e di assegnazione delle aree44. A San Salvario fu aperta la prima sala di preghiera islamica nel 1987; oggi una delle più frequentate e attive di Torino è la sala Omar Ibn Al-Khattab, Associazione Culturale Islamica San Salvario inaugurata negli anni Novanta. Il luogo è poco visibile perché affaccia nel cortile di un palazzo. Medio orientali – Libano, Siria, Giordania, Palestina –, egiziani, marocchini e africani –e pakistani frequentano la sala che contiene circa 100-150 persone, è formata da due sale distinte per gli uomini e per le donne e il venerdì, dalle 13,30, i musulmani si trovano insieme per la preghiera che viene recitata metà in italiano e metà in arabo. A volte, per i grandi numeri, i fedeli si devono riversare nel cortile all’aperto, come durante il ramadan, quando i passaggi aumentano al momento del tramonto: tutti gli abitanti del quartiere conoscono chi la frequenta e viceversa, le attività culturali sono aperte. Vi sono anche diversi tipi di servizi educativi per bambini e giovani, attività formative e ricreative, ma anche attività per adulti, soprattutto per le donne: programmi di alfabetizzazione e di inserimento (dalle visite e i percorsi di conoscenza del territorio, a incontri e dibattiti, ad una sensibilizzazione sanitaria e relativa ai problemi sociali più diffusi). Corsi di italiano, corsi per imparare a conoscere e saper usufruire delle opportunità che offre la città, ma anche riunioni incentrate sulla discussione e il confronto relativi al modo di tenere la casa ed educare i bambini trovano spazio ogni settimana nella sala della moschea. Proposta di edificio multifede per la città di Torino 27 43. A maggio 2015 l’éqiupe coordinata da Luca Bossi ha contato a Torino 16 sale di preghiera islamiche, diversamente disseminate sul territorio: 6 di queste si trovano nella Circoscrizione VII (AuroraVanchiglia-Sassi-Madonna del Pilone), concentrate nel quartiere Aurora; altre 3 si trovano nella Circoscrizione VI (Barriera di Milano, Barca, Bertolla, Falchera, Rebaudengo, Villaretto), concentrate soprattutto nel quartiere Barriera di Milano, al confine con Aurora; sul territorio della Circoscrizione V (Borgo Vittoria, Madonna di Campagna, Lucento, Vallette) se ne incontrano 2, e altrettante ne ospita la Circoscrizione VIII (San Salvario, Cavoretto, Borgo Po), entrambe concentrate nel quartiere San Salvario; altre 3 sale, infine, si trovano rispettivamente nella Circoscrizione II (Santa Rita, Mirafiori nord), IX (Nizza Millefonti, Lingotto, Filadelfia), sul confine con i comuni di Moncalieri e Nichelino, e X (Mirafiori sud). 44. D. Persano (ed.), Gli edifici di culto tra Stato e confessioni religiose, Milano, Vita e Pensiero, 2008; A. Roccella, Gli edifici di culto nella legislazione regionale, in D. Persano (ed.), Gli edifici di culto tra Stato e confessioni religiose. Milano, Vita e Pensiero, 2008. N. Marchei, La legge regionale sull’edilizia di culto alla prova della giurisprudenza amministrativa, in: www.statoechiese.it. 2014 (21/01/2016); S. Ferrari, Le moschee in Italia tra ordine pubblico e libertà religiosa, in: Quattordicesimo rapporto sulle migrazioni. Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 219236. S. Ferrari, R. Mazzola, Campanili e minareti. I luoghi di culto tra norme civili e interessi religiosi, «Fascicolo monografico di Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica», XVIII/1, 2010, pp. 3-256. nformazioni sin qui acquisite, fra quelli esistenti uno dei primi luoghi per data di fondazione è la Moschea della Pace di Corso Giulio Cesare: fondata intorno al 1995, si trova nel quartiere Aurora, a pochi passi da piazza della Repubblica e dal mercato di Porta Palazzo. Nell’area tutt’attorno alla Moschea della Pace sono sorte, negli anni, tre nuove sale: il Centro Assunnah, l’Associazione ItaloMarocchina La Pace e il Centro Ad-Darus Salam; poco più in là, il Centro Taiba, fondato nel 2006. Si veda il Quaderno di Benvenuti in Italia: Islam a Torino, 2016: www.benvenutiinitalia.it, ultimo accesso l’ 27 giugno 2016. ▲Ingresso della sala di preghiera islamica di San Salvario. © Luca Bossi. 45. Si veda: http://www.islamtorino.it/firma-delpatto-di-condivisione-tra-citta-di-torinoe-centri-islamici/, ultimo accesso 27 giugno 2016. 28 Il capoluogo piemontese si pone come vero e proprio laboratorio per l’integrazione dell’Islam e delle comunità islamiche italiane o di immigrati nel tessuto politico e socio-culturale italiano, e rappresenta un modello di sinergia tra le varie Comunità Islamiche, garantendo interlocutori affidabili nel mantenimento delle differenza e delle specificità . Tale impegno comune ha permesso di siglare a Torino il patto di Condivisione tra la Città con un tavolo di responsabili dell’islam di Torino45. D’altra parte, negli ultimi anni si sono avviati tavoli di coordinamento e di confronto tra la maggior parte dei Centri Islamici cittadini, che hanno promosso alcune iniziative comuni volte a far conoscere ai cittadini torinesi la realtà islamica. Si sono organizzati corsi di formazione, seminari sulla Costituzione italiana, attività in collaborazione con il tessuto associativo cittadino. A fronte di una presenza diffusa sul territorio, occorre sottolineare che a una visibilità locale (“tutti in quartiere sanno dove è la sala di preghiera e chi la frequenta” – ha dichiarato in un’intervista il referente dell’islam torinese che siede nel Comitato interfedi del Comune di Torino), si oppone un’invisibilità istituzionale: la mancanza di un’intesa tra la religione islamica e lo stato italiano e l’assenza di un regolamento in fatto di costruzione di edifici di culto ha fatto sì che l’utilizzo o la costruzione di una sala di preghiera che avvenga senza alcuna Una Casa delle Religioni ▲Celebrazione in una chiesa pentecoparticolare caratterizzazione. stale a Torino. © Angelo Morelli. Perché la moschea non può stabilire un dialogo sociale attraverso una forma architettonica riconoscibile in uno spazio pubblico? 46. N. De Giorgis, Hidden Islam. Perché ciò accade anche se vi è un riconoscimento formale e giuridico Islamic makeshift places of workship in North East Italy, 2009-2013, Bolzano della religione islamica? Da un punto di vista urbanistico possiamo Rorhof, 2013; S. Allievi, La guerra delle ipotizzare che l’immaginario occidentale della moschea è quello moschee, Venezia, Marsilio, 2010; A. Angelucci, M. Bombardieri, D. Tacchini sviluppatosi sotto il califfato e non quello più sincretico di edifici come (eds.), Islam e Integrazione in Italia, quelli di Sarajevo o di Beirut. Il carattere anti-urbano della moschea Venezia, Marsilio, 2014. e la difficoltà ad accettarne i simboli, come mostra il dibattito sui minareti in differenti città europee, crea un senso di disagio diffuso. Il primo risultato è l’espulsione dell’architettura islamica dai codici di trasmissione dell’architettura urbana, nonostante la loro presenza attiva, la loro apertura alla città e i loro tentativi di collaborazione e creazione di rete. In alcuni casi infatti, proprio per questa tensione tra integrazione, attività culturali e sociali e non riconoscimento ufficiale, impossibilità di costruire una vera e propria moschea, gli spazi sono insufficienti, non adatti ad ospitare un grande numero di persone, poco dignitosi per chi li frequenta per la promiscuità con altre attività limitrofe (bassi fabbricati in mezzo ai cortili, appartamenti, esercizi commerciali vuoti etc.). Si parla di “moschee-garages”46, quando anche la loro Proposta di edificio multifede per la città di Torino 29 vita interna risente di una certa improvvisazione sia dal punto di vista teologico sia da quello della conoscenza dell’ordinamento civile e associativo. L’inadeguatezza si avverte ancor di più durante le due grandi feste religiose islamiche che vedono radunarsi decine di migliaia di fedeli in un parco cittadino della città: nel grande spazio sotto le volte dell’ex stabilimento delle Ferriere, a Parco Dora, segno di riutilizzo di uno degli spazi industriali della Torino novecentesca, i musulmani torinesi pregano da alcuni anni e festeggiano la fine del Ramadan. I gruppi che meglio rappresentano la mobilità, l’invisibilità (a volte ricercata) e la transitorietà sono però quelli che definiamo religioni “di minoranza numerica”, di derivazione orientale o di innovazione occidentale che dagli anni Settanta si sono diffuse in modo capillare: a Torino esistono decine di centri buddisti, centri per la meditazione, servizi buddisti, centri studi, centri di informazione e di formazione; un mondo che si richiama generalmente alla spiritualità orientale e in particolare al buddismo, unendo pratiche spirituali e pratiche fisiche. Si tratta spesso di centri yoga, centri di benessere fisico, in un caso vi è un ristorante vegano aperto al pubblico: spazi piccolissimi, camuffati in palazzi della città, segnalati da targhe pressoché invisibili. Interessante e rappresentato ovunque, anche in San Salvario, è il caso dei pentecostali, gruppi cristiani carismatici che hanno forti componenti profetiche, emozionali e curative. Con la sua componente popolare, il pentecostalismo si sviluppa tra i gruppi di immigrati più poveri e attraverso la conversione i suoi membri si sentono uniti da legami d’amore, di fiducia, condivisione. Il caso di San Salvario offre la possibilità di riflettere su come le città e le religioni si conformano e plasmano le une con le altre e tale reciproca influenza sia un fatto storico. Ciò che risulta è una spazializzazione delle comunità e delle pratiche religiose, ma anche una manifestazione pubblica delle esigenze religiose che si tramuta in risposta e strategia da parte delle istituzioni pubbliche che ne devono tener conto nella pianificazione. I luoghi religiosi nelle città italiane e europee sono il segno della superdiversità, della stratificazione di rituali e estetiche religiose che provengono dal basso; le istituzioni cittadine da sempre contribuiscono a promuovere, facilitare alcune di queste comunità (e dei loro luoghi) e a marginalizzarne altre. In ogni caso architetture e spazializzazioni di diverso genere modellano lo spazio urbano dando forma a nuove visibilità (e invisibilità). 30 Una Casa delle Religioni La Casa delle Religioni come “spazio multifede” per la cultura. 2.1 Esiste una cultura multifede? La Casa delle Religioni - essendo destinata ad essere uno spazio multifede- è uno spazio di liminalità, per dirla con Van Gennep e Turner, in quanto gli individui che vivono e praticano lo spazio sincretico formano, a loro volta, una communitas ponendosi fuori dalla società, in cui le regole della vita quotidiana sono in qualche modo sospese. In questo senso, la prima e più importante caratteristica dello spazio multifede è proprio il suo essere sospeso dalla vita quotidiana. In particolare, uno spazio multifede progettato top-down, come quello che è l’oggetto di questo studio, non può che proporsi come spazio per una cultura innovativa, che non solo è dunque “liminale”, ma che pratica una vera e propria rottura sia con il passato religioso del territorio, sia, probabilmente, con le pratiche e le organizzazioni esistenti nel presente delle oltre 200 fedi religiose che animano la città di Torino; in altre parole, la Casa delle Religioni pensata e realizzata nel contesto torinese non può che negoziare elementi di rottura e di continuità creando una breaking culture, cioè una cultura di innovazione in rottura sincronica (con la contemporaneità) e Proposta di edificio multifede per la città di Torino 31 47.P. Brodeur, E. Patel (eds), Building the Interfaith Youth Movement: Beyond Dialogue to Action, Oxford, , Littlefield Publisher, 2006. diacronica (da una prospettiva storica) con il contesto circostante, pur generandosi e integrandosi in esso. Quali sono dunque gli elementi culturali caratterizzanti uno spazio multifede? A quale cultura fa riferimento lo spazio multifede, e quale cultura, a sua volta, genera o genererebbe la sua presenza nello specifico contesto urbano? Il nome “multifede” indica solitamente le relazioni tra diverse confessioni e gruppi religiosi, esattamente come il termine “interreligioso”, usato però maggiormente in ambito cattolico, o il termine “interreligioso”, in voga a sua volta nei circoli protestanti anglosassoni.47 Quest’ultimo termine, “interreligioso” è stato utilizzato per indicare in particolare i rapporti tra due fedi religiose specifiche, come Cristiani ed Ebrei, o Cristiani e Musulmani e si è diffuso soprattutto negli Stati Uniti, mentre il termine “multifaith” è diventato più comune in Gran Bretagna e, subito dopo, nel resto dell’Europa, a partire dal ventesimo secolo. E’ interessante notare come “multifede” abbia progressivamente assunto un’accezione positiva, nel senso che con quel termine la diversità di credo religioso veniva indicata come una forma di arricchimento sociale, persino qualcosa a cui la comunità doveva auspicare, allo stesso modo in cui il termine “multiculturalismo” era venuto a indicare, nel tempo, la positività della diversità culturale nello stesso territorio.48 La cornice culturale di nascita del “movimento multifaith”49 a partire dal ventunesimo secolo, è dunque quella di società profondamente segnate dalla dicotomia quasi schizofrenica che combina da una parte la cultura dell’incertezza e del rischio, sul cui fuoco ha soffiato la politica del terrore che permea le cosiddette “società occidentali”; dall’altra invece, la nascita di un sincero interesse per soluzioni collaborative e cosmopolite, per il multiculturalismo e la differenza, per religioni altre e lontane anche come punto di forza per risolvere problemi globali come l’inquinamento, il terrorismo e il cambiamento climatico. Così islamofobia, migrantofobia, e varie forme di discriminazione si sono accompagnate a una crescente disponibilità dei gruppi religiosi a collaborare gli uni con gli altri, dando vita a percorsi educativi multifede, e a varie attività incrociate, fino a giungere alla creazione di luoghi multifede sempre più comuni e che sempre più assomigliano a un generico invito a non abbandonare una generica idea di fede, piuttosto che incentivare il culto religioso che un individuo ha per nascita o appartenenza. 48.J. Beckford, S. Gilliat, Religion in Prison: Equal Rites in a MultiFaith Society, Cambridge, Cambridge University Press, 1998. 49.A. Halafoff, The multifaith Movement. Global Risks and Cosmopolitan Solutions, Dordrecht, Springer, 2013. 32 Una Casa delle Religioni Nel paragrafo precedente si è fatto cenno agli spazi multifede bottomup, come San Antonio da Padova a Istanbul, frequentato da cristiani e musulmani. Tuttavia, nei contesti urbani delle società occidentali, il modello prevalente per la creazione di questi luoghi è quello topdown. Le università che in Gran Bretagna hanno messo a disposizione di studenti e personale accademico le prayer rooms, invitavano tutti a “staccare un pò” dalla frenesia e dal rumore di tutti i giorni (Come away in a quiet place) ed entrare dunque in uno spazio di raccoglimento. Il messaggio di “invito alla spiritualità” era tradotto in un linguaggio simile a quelli utilizzati in pubblicità, specie per sponsorizzare luoghi esotici o di villeggiatura. Ciò che è breaking di una cultura che crea e “sponsorizza” uno spazio multifede è l’aspetto innovativo di percepire elementi come il credo religioso, la fede, il raccoglimento e il silenzio come elementi universalmente necessari al benessere generale della persona, che si tratti di buddhisti, musulmani o mormoni etc, così come potrebbero esserlo una dieta alimentare equilibrata, il riposo, l’accesso ai servizi per il cittadino etc. Un altro aspetto breaking di una cultura che promuove spazi multifede top- down è la fine della difesa di una fede in particolare, legata a tratti identitari culturali nazionali, etnici, tradizionali precisi, a favore della difesa di una fede tout court. Nel 2010, per esempio, si era ipotizzato di incoronare il principe Carlo con una cerimonia multifede perchè, come ha spiegato il Canonico John Hall alla testata Christian Today nell’autunno di quell’anno, la cerimonia di passaggio avrebbe dovuto giocoforza rispecchiare i profondi cambiamenti avvenuti nella società contemporanea inglese, in cui la Corona “non potrà (né vorrà) più difendere la fede cristiana, ma dovrà difendere la fede e basta”. La “fede e basta” è un enunciato emblematico: gli eventi storici che hanno visto il dibattito sulla secolarizzazione come protagonista assoluto di un nuovo modo di percepire il rapporto tra esseri umani e comunità sociali, emergono dal dibattito dopo aver indebolito l’importanza delle religioni storiche e aver rafforzato un’idea generica, globalizzabile e universale di “fede”, che per essere messa in pratica sembra avere più bisogno di santuari che di chiese, ama il turismo religioso ed esperienziale piuttosto che la liturgia o i rituali di passaggio tradizionali, ed è determinato sempre più dalla scelta religiosa compiuta in età adulta, incluso le conversioni a fedi differenti, le ibridazioni o i sincretismi, piuttosto che da una fede determinata dalla nascita e dall’appartenenza per tradizione. Proposta di edificio multifede per la città di Torino 33 50. G. Bravo, Italiani. Racconto etnografico, Bologna, Meltemi, 1999. Il risultato è che la necessità di creare luoghi multifede non è, il più delle volte, sentita da comunità immigrate che chiedono alle istituzioni di veder riconosciuto uno spazio di culto; nè da comunità religiose specifiche, già radicate sul territorio. Piuttosto, la richiesta e la promozione dei luoghi multifede ha a che fare con la pendolarità delle identità50, cioè con la ricerca, in una società complessa e stratificata, di uno spazio e di un tempo protetto entro cui reinventare e coltivare antiche e nuove radici, come è il caso della House of Prayer and Learning di Berlino, ma che abbiano il denominatore comune della fede religiosa, senza ulteriore specificazione. Gli spazi multifede paiono essere dunque una nuova risorsa culturale opportuna per la fede tout court di autorappresentarsi attivamente sul teatro della vita, al fine di non morire dimenticata, sopravvivendo a qualche giro di stagione, come direbbe Cesare Pavese. Nella complessità della società e nella varietà delle situazioni che essa presenta, nell’alternarsi spesso febbrile di stimoli diversi o contrastanti, lo spazio multifede si pone come momento di stabilità e di orientamento spirituale; si ricostituiscono linguaggi comuni, con nuove sequenze simboliche, e si riconoscono valori universali. In questo clima culturale sorgono dunque i luoghi multifede, che, a loro volta, promuovono culture in “rottura”, che hanno la fede come imperativo, ma che desiderano scegliere, e soprattutto rendere essenziali, le modalità di esternazione e pratica di questo imperativo. 2.2 - Tipologie antropologiche e architettoniche di luoghi multifede Se storicamente il modello della sostituzione è il prevalente e oggi quello della condivisione degli spazi all’interno di una stanza multifede priva di simboli la tipologia più diffusa, questa ricerca ha individuato alcune tipologie alternative di condivisione dello spazio della preghiera che non eliminano la conflittualità portata da simboli e pratiche, ma ne propongono una mediazione tramite l’articolazione degli spazi. 34 Una Casa delle Religioni 2.2.1 Stanza Multifede - Articolazione di ambienti dedicati Un tipo particolare di stanza multifede è quella suddivisa in ambienti dedicati a culti differenti: in questo caso più che di condivisione, si tratta di spartizione di sotto-ambienti all’interno dello stesso luogo chiuso che può essere una stanza, un salone, una sala. I gesti, gli oggetti e le parole sono separate e anzi isolate (non è previsto alcun luogo comune) e non si devono sovrapporre e confondere. Un esempio è la Royal Infirmary di Manchester: un ovale che ospita differenti aree per cristiani (cattolici, anglicani e free Church), ebrei e musulmani (uomini e donne separate) e delle strutture per le abluzioni. Si tratta del complesso multifede che ha sostituito la cappella di Edward inaugurata nel 1908 e abbandonata nel 1990: nel giro di un centinaio di anni, la vecchia stanza della Cappella, struttura unica per i cristiani è stata sostituita da un cluster di stanze separate che separano al loro interno gesti, parole e oggetti di culto (secondo la brochure informativa, “artefatti” e “sculture”), gestiti da un team di volontari.51 Si deve specificare che questa sala è inserita in un sistema di servizio spirituale del Manchester Royal Infirmary che prevede la sala multi fede, due sale multi fede nel reparto pediatrico, una cappella e una sala semplice multifede presso un centro commerciale dove accorgimenti meccanici e teatrali esprimono la convivenza possibile tra fedeli consumatori. Proposta di edificio multifede per la città di Torino 35 ▲Manchester, Royal Infirmary, New Multifaith Centre, 2008. 51. Si veda: http://www.cmft.nhs. uk/media/1532070/chaplaincy%20 leaflet%202015%2018.pdf. Ultimo accesso 27 giugno 2016. 2.2.1 - Stanza Multifede – Fulcri intercambiabili ▲Cambridge - Massachusetts cappella del MIT, 1955. 36 Un altro esempio riferibile al modello della stanza multifede è quella a fulcri intercambiabili: la condivisione diventa spartizione di spazi e di tempi; quello che in un determinato periodo o momento è destinato a un culto, può essere adibito a un altro culto e così l’oggetto condiviso (nel caso specifico l’altare – contenitore della Torah) è al contempo l’oggetto sacro confessionale (la Torah nascosta). La cappella circolare del MIT costruita da Eero Saarinen nel 1955 fu inaugurata come uno spazio cristiano-ebraico. L’aula rimane sempre visibile e accessibile, mentre quanto vi è di particolare per la fede ebraica è nascosto ed è estraibile all’occorrenza. In questo caso i materiali usati e le luci creano lo spazio e il senso del sacro, mentre l’armadio della Torah può sorgere all’occasione dietro all’altare grazie ad un sistema idraulico. Una Casa delle Religioni 2.2.3 - Stanza Multifede – Distribuzione su livelli Altro esempio ancora di condivisione all’interno di uno stesso spazio ▲Cambridge - Massachusetts Harvard chapel. è la sala multifede gestita su piani differenti: i gesti, gli oggetti e le parole sono separate ma non isolati ed è previsto un luogo comune; in questo caso la possibilità di non sovrapporsi e confondersi è più delicata. A Cambridge, la Massachussets Harvard Chapel, in origine cristiana, offre una sorta di mix pittoresco di fedi: una sala multifede è aperta e disponibile per fedeli di ogni provenienza. Sono disponibili la Bibbia ebraica e cristiana, testi hindu e il Corano e lo spazio del coro è stato liberato affinché i fedeli musulmani abbiano un loro spazio dedicato. Proposta di edificio multifede per la città di Torino 37 2.2.4 Edificio Multifede - Condivisione flessibile ▲Friburgo, Chiesa di Maria Maddalena, 2004. Si tratta della tipologia che prevede la spartizione di uno spazio da parte di realtà religiose differenti, ciascuna delle quali ha a disposizione una sua porzione di spazio autonoma e, al contempo, una porzione condivisa da tutti. All’occasione le barriere possono essere abbattute e lo spazio divenire unico, occupato da una singola comunità oppure condivisibile tra le comunità presenti. Per il carattere non conflittuale della flessibilità della spartizione, si tratta di un modello di condivisione di gesti rituali e oggetti del culto. Un esempio è la chiesa di Maria Maddalena a Friburgo, dove trovano posto i culti della comunità cristiana cattolica e evangelica: progettata nel 1995 e portata a termine nel 2004, essa prevede tre spazi di cui quello centrale comune e condiviso, sede della fonte battesimale. Le porzioni laterali sono destinate a cattolici e evangelici e separate da pareti mobili che all’occorrenza possono scorrere, trasformando l’aula tripartita in uno spazio unico. 38 Una Casa delle Religioni 2.2.5 Edificio Multifede – condivisione normata È il tipo di condivisione top-down che si esprime nella convivenza all’interno di uno stesso edificio di diversi spazi/luoghi/aree religiose. Il luogo, tendenzialmente al coperto, è spartito in modo equale tra due o più religioni o confessioni religiose che in un sistema di poteri da gestire hanno attribuiti spazi bilanciati. Gli spazi di ogni religione sono esclusivi e riconoscibili, ma sono distribuiti tramite spazi comuni nei quali dove generalmente non si volge il culto. Il progetto House of One (http://house-of-one.org/en/idea) è un caso emblematico di questa tipologia: le tre religioni abramitiche, ebraismo, cristianesimo, islam saranno ospitate in un unico tempio che dovrebbe sorgere a Berlino, una volta portata a termine la prima fase di costruzione finanziata attraverso una capillare operazione di fundraising (i sostenitori acquistano i mattoni dell’House of One). Tre sezioni separate saranno unite da una stanza comune al centro dell’edificio, dove sarà possibile condividere parole e gesti della preghiera e della meditazione. Questo servirà come un luogo comune dove fedeli e membri possono incontrarsi e dialogare. Proposta di edificio multifede per la città di Torino 39 ▲Berlino, Progetto per House of One, 2012 (in corso di finanziamento). http://house-of-one.org/en Ultimo accesso 27 giugno 2016. 2.2.6 - Edificio Multifede - Spazio condiviso e suddiviso ▲Gerusalemme Santuario del Santo Sepolcro, XI sec. 40 Si tratta di uno spazio, chiuso, che prevede la coesistenza di comunità religiose ciascuna delle quali ha un suo locale o una sua porzione di spazio ma che prevede la possibilità di uno spazio condiviso e comune per tutti. Una mediazione iniziale e poi continua tra i poteri è la peculiarità dello spazio che necessità una gestione organizzata. La differenza con esperienze come quella di House of One sta nel fatto che lo spazio condiviso è pienamente parte dello spazio liturgico e non solo un luogo di incontro fuori dagli spazi sacri delle varie confessioni o religioni. A Gerusalemme, il Santo Sepolcro rappresenta una mediazione (complicata) tra i poteri che ha come conseguenza la spartizione di locali tra differenti confessioni cristiane che hanno necessità di oggetti e tempi del culto appropriati ciascuno alle sue esigenze, ma che prevede un ampio spazio condiviso per il passaggio, la sosta e la celebrazione di liturgie condivise. Nel 1852 il sultano ottomano per porre fine alle frequenti violenze tra le varie comunità che amministravano il luogo stabilì che armeni, greci ortodossi, latini cattolici, siriaci, copti ed etiopi avessero i propri spazi, gestiti autonomamente, all’interno della basilica, con l’obbligo però di non poter cambiare nulla senza l’approvazione delle altre confessioni. Il decreto assegnò la Basilica quasi interamente ai greci ortodossi, il cui Patriarca vi ha infatti la cattedra ed il katholikon, regolando altresì tempi e luoghi di adorazione e celebrazione per ogni Chiesa. Dal XII secolo due famiglie palestinesi musulmane, incaricate dal Saladino in quanto neutrali, sono custodi della chiave dell’unico portone di ingresso, sul quale nessuna Chiesa ha diritto. Una Casa delle Religioni 2.2.7 - Negoziazione urbana La tipologia della negoziazione urbana è il caso di quartieri, strade, ▲ Torino, quartiere San Salvario. aree ad altra concentrazione di luoghi (edifici o aree all’aperto) di culto. La stratificazione storica è tratto peculiare della progettazione e costruzione dei differenti luoghi che occupano lo spazio gestendolo in termini di spartizione e competizioni tra poteri religiosi e politici. Il caso di San Salvario ampiamente illustrato nel report è un caso tipico di questa tipologia di condivisione che proviene dalla commistione di processi bottom-up e politiche top down di accompagnamento e promozione. Nella città di Singapore in alcuni quartieri vi è una concentrazione di luoghi religiosi quasi unica anche per le dinamiche bottom up che le hanno generate: un caso è quello di Chinatown, dove sorge in poche centinaia di metri troviamo: lo Sri Mariamman Temple, il tempio indù più antico della città, costruito nel 1827 e, al suo fianco, la Jamae Mosque, una delle moschee più vecchie di Singapore, in stile Tamil e Indiano, costruita nel 1826 la sua presenza ha dato il nome alla via retrostante: la Mosque Street. Inoltre il Thian Hock Keng, tempio cinese, costruito nel 1839 e dedicato alla dea Mazu protettrice del mare e dei marinai; la chiesa metodista Fairfield costituita come Local Church nel 1948. Dal 2007 il Buddha Tooth Relic Temple & Museum, situato nel cuore del quartiere. Questo tempio deve il suo nome alla reliquia custodita al suo interno che, si dice, conservi il dente di Buddha. Il tempio è la culla della spiritualità del quartiere e conserva importanti collezione di manufatti di grande pregio provenienti da tutta l’Asia. Proposta di edificio multifede per la città di Torino 41 2.2.8 - La piazza – il recinto ▲Massachusetts - USA, Brandeis University. 42 L’idea di concentrare in uno spazio - con un progetto top-down- alcuni luoghi di culto è un’operazione politica e culturale che ha visto diversi esperimenti negli ultimi decenni, in varie parti del mondo. L’idea è stata quella di creare uno spazio simbolico ad altra concentrazione di luoghi sacri, legata o slegata dalle esigenze del contesto. Oggetti, parole e gesti sono distinti e distinguibili nei vari luoghi di culto. La differenza tra questi casi con i quartieri urbani ad alta concentrazione di luoghi sacri sta nel processo di formazione: nel primo in parte spontaneo, nel secondo fortemente guidato dall’alto. Tra gli esempi di possibile usufrutto dello spazio vi è quello progettato presso la Brandeis University (Massachussets), la multifaith chaplaincy dove i cattolici - Bethlehem Chapel-, i protestanti - Harlan Chapele gli ebrei - Berlin Chapel - possono convivere e condividere uno spazio all’aperto riconoscibile e recintato, un romantico paesaggio multifede. Inoltre all’interno dell’Usdan Student Center si trova una sala di preghiera per musulmani. Costruiti nel 1960 dallo stesso progettista tutti gli edifici condividono materiali e stile architettonico e la loro vicinanza ha portato anche allo scambio di locali nell’ottica del prestito o dell’ospitalità. Un altro esempio è l’“Esplanade des religions et des cultures” nella cittadina di Seine-et-Marne, Bussy-Saint-George è stata progettata nel 2009 e promossa dall’UNESCO. Era il 1998 quando per la prima volta il sindaco della cittadina, mèta di una forte immigrazione dall’Asia, iniziò a interrogarsi su come accogliere e dare luoghi ai fedeli di religioni differenti: dal 2012, con inaugurazioni successive due centri e templi buddisti, un centro culturale islamico, un centro Una Casa delle Religioni culturale ebraico e una sinagoga hanno affiancato una chiesa cattolica pre-esistente, Notre-Dame du Val.52 Caso particolare non realizzato è La “Piazza delle Tre Culture” di Catania è progettata come un luogo d’incontro di culture differenti dove ebrei, cristiani e musulmani possono condividere lo stesso spazio per professare fedi differenti. Un luogo simbolo di pace e di mediazione di conflitti: ognuno ha il suo luogo per il culto, dove esprimere gesti e parole e custodire i propri oggetti sacri e ha a disposizione un ambiente esterno, la piazza, per il dialogo e l’incontro. Proposta di edificio multifede per la città di Torino 43 52. Si veda: http://www.saphirnews.com/BienvenuePlace-des-religions_a13553.html. Ultimo accesso 27 giugno 2016. 2.2.9 - Il centro culturale ▲New Haven - Connecticut Grace farm, 2015. 44 È la tipologia dello spazio che non è solo cultuale ma culturale: la condivisione non avviene attraverso parole liturgiche, ma attraverso il dialogo tra culture. Si tratta di spazi che ospitano attività di scambio, ascolto, performance artistiche di vario genere nell’ottica di costruzione di occasioni di incontro tra persone e gruppi organizzati. A New Haven, il Connecticut Grace Farm è Grace Farms è un luogo di sosta perfettamente integrato in un paesaggio all’aperto dove le persone possono fare esperienza di varietà di flora e fauna, osservare manufatti artistici, dialogare e esplorare forme spirituali. Si trova a Colonia il museo diocesano Kolumba, uno dei più interessanti recuperi architettonici firmato dall’architetto svizzero Peter Zumthor. Formalmente la sua storia comincia nel 1996, ma di fatto ha origini molto più antiche. L’istituzione infatti sorge sulle rovine di una chiesa tardo gotica, distrutta durante la seconda guerra mondiale. Su questi resti, alla fine degli anni ’40, Gottfried Böhm costruisce la cappella della “Madonna delle macerie”, e nel 1957 la cappella del Sacramento. Gli ambienti, volutamente essenziali, isolano il visitatore dal caos esterno della città e lo accolgono in un’atmosfera raccolta e contemplativa. Grande attenzione è stata data alla luce che illumina i piani e le torri, e alla scelta dei materiali destinati a pareti e pavimenti. Una Casa delle Religioni La collezione del museo, oltre a opere di natura religiosa, comprende anche molti lasciti con pezzi di arte applicata, oggetti di design e arte contemporanea. Grazie a questa eterogeneità, la collezione permanente e le mostre allestite sono sempre caratterizzate da accostamenti insoliti con soggetti religiosi e lavori di diverso tipo e di epoche differenti. Un caso particolare è la “parrocchia-aperta”: già dall’undicesimo secolo la parrocchia, struttura di base della cristianità, si trova oggi messa in questione dal radicale cambiamento nel rapporto fra la Chiesa e la società che negli ultimi decenni ha definitivamente segnato la fine di un’epoca. In un contesto urbano di lavoro senza tempi fissi e tempi sempre più accelerati stanno nascendo luoghi aperti a tutti, descritti come ‘oasi di silenzio’, ‘luoghi di maturazione della fede’, ‘luoghi di pausa’: spazi di sosta, di raccoglimento e di incontri per i lavoratori delle città. Sono le Citykirchen, ovvero sia una Chiesa (non-parrocchiale o deparrocchializzata) allestita in modo particolare secondo la finalità del progetto o con spazi propri, sia una costruzione adattata a progetti di incontro, incubazione e promozione di progetti, ma anche di condivisione e adempimento di esigenze spirituali e cultuali. In generale, sono luoghi in cui una comunità di fedeli più o meno stabile vive il ‘tutto per tutti’, non luoghi per il raduno domenicale ma luoghi della quotidianità settimanale. In Francia abbiamo l’esempio di Notre Dame de Pentecôte, realizzato sul spianata della Défense. Proposta di edificio multifede per la città di Torino 45 2.3 - Luoghi potenziali a Torino A fronte delle considerazioni fin qui fatte, si sono individuati sul territorio della città di Torino, alcune aree con caratteristiche simili a quelle che hanno permesso ai casi studiati di poter essere attuati. Queste aree, che differiscono per dimensione, tempistiche della disponibilità, adattamento alla tipologia prescelta e dai soggetti coinvolti, potrebbero ospitare una Casa delle Religioni per la città. 2.3.1 - Parco Dora Si tratta di un’area di gradi dimensioni, nata dalla riconversione degli stabilimenti Michelin e Teksid, posta in prossimità della Spina Centrale della città. La copertura della ex Teksid, mantenuta e restaurata nel progetto di Adreas Kipar, ospita da diversi anni attività culturali di vario genere tra cui alcune legata al Ramadan. Inoltre la vicinanza della Cattedrale de Santo Volto conferma per l’area una vocazione per attività che vanno al di là della dimensione locale. La presenza di vasti spazi aperti e coperti potrebbe facilitare momenti di incontro e condivisione, allo stesso tempo, la possibilità di trasformare alcuni edifici ancora inseriti all’interno del parco (Ex palazzina Michelin – Museo “A” come Ambiente) possono ospitare piccoli ambienti chiusi. La presenza di una forte componente di popolazione immigrata di prime e seconda generazione che si mescola ad abitanti di precedete insediamento, costituisce una condizione importante per creare, oltre alla scala urbana, un interesse su scala locale. 46 Una Casa delle Religioni 2.3.2 - Scuola Tecnica Carceri Nuove Situata all’angolo Ovest del complesso delle Carceri Nuove, questo basso fabbricato è adiacente alla via Paolo Borsellino, separato dalla stessa tramite i muri di cinta dell’ex penitenziario. Situato in una zona della città di facile accesso grazie alla presenza della metropolitana e della stazione di Porta Susa questo edificio si trova anche in prossimità del cosiddetto Raddoppio del Politecnico di Torino, la cui popolazione studentesca negli ultimi anni si è sempre più internazionalizzata. La possibilità di intercettare un’utenza studentesca e allo stesso tempo di garantire una dimensione sovra locale ad una futura Casa delle Religioni, concretizza l’opportunità della costruzione di un centro culturale oltre che religioso. Questo edificio è capace di accogliere grazie alle sue dimensioni, alla sua struttura di carattere industriale, alla protezione verso la strada e ancora alla presenza di spazi aperti in adiacenza ad esso, attività di tipo molto diverso a seconda delle pratiche religiose. Proposta di edificio multifede per la città di Torino 47 2.3.3 - Capannone Via Pisa – Via Perugia Inutilizzato dopo la cessazione delle attività produttiva, questo edificio si trova nel cuore del quartiere Aurora che negli ultimi due anni sta vivendo un percorso di riqualificazione grazie all’istallazione di attività imprenditoriali innovative ed alternative. La vicinanza con Borgo Dora e Porta Palazzo, da decenni luoghi di incontro tra culture, nonché la presenza di giovani che in quest’area trovano attività ricreative, centri di formazione superiore (si pensi allo IAAD), possono creare opportunità di incontro e di relazione trasversali non solo tra religioni diverse ma anche tra diverse fasce sociali. 48 Una Casa delle Religioni 2.3.4 - Area Fossata Al centro della Spina Quattro quest’area, oltre ad essere immersa in uno dei quartieri più multietnici della città, si trova anche sul percorso delle futura linea due della metropolitana nonché in prossimità dell’omonima stazione del Servizio Ferroviario Metropolitano. A garantire un accesso all’area su scala urbana, l’estensione del terreno disponibile e oggi non ancora in trasformazione può permettere la realizzazione di edifici anche di grandi dimensioni o di utilizzare per attività anche saltuarie una vasta area aperta. Proposta di edificio multifede per la città di Torino 49 Il Comitato Interfedi come garante della presenza dei culti nel tessuto urbano. 3.1 - Uno spazio multi fede a Torino? Alcune risposte o alcune domande. In questa prima fase esplorativa di ideazione del progetto, è stato redatto un questionario da sottoporre sia al Comitato Interfedi, sia agli Studenti Universitari del corso di Storia delle religioni tenuto da Maria Chiara Giorda nell’a.a. 2015/2016, sia a eventuali figure chiave come i membri del Forum “Politiche di Integrazione e Nuovi Cittadini promosso dalla Circoscrizione 753, sia infine alle autorità locali o personaggi di spicco del mondo culturale, con il fine di dare agli “stakeholders” (figure chiave o intervistati-campione, individuati sul territorio), il modo di esprimere la propria opinione e visione sulla proposta di creare un luogo multifede nella città di Torino. I questionari erano formati da 4 temi principali e seguivano una presentazione o illustrazione del progetto. La prima parte era atta a sondare l’opinione generica sulla proposta presentata, sulla sua utilità, e la sua realizzabilità. La seconda, più specifica, chiedeva di elencare quali fedi religiose dovessero essere coinvolte nella realizzazione dello spazio e di Proposta di edificio multifede per la città di Torino 51 53. Siringrazianoladott.ssaDiletta Berardinelli e Francesco Pianelli per la distribuzione e per l’elaborazione dei dati dei questionari. 54. Perragionidiprivacypreferiamo tutelare l’anonimato degli intervistati. motivare il proprio elenco, specificando il perché di alcune inclusioni ed esclusioni di fedi religiose specifiche. La terza domanda chiedeva come- secondo l’intervistato- un progetto di questo tipo avrebbe potuto essere sostenuto economicamente, con lo scopo di raccogliere idee sugli strumenti e i modi di raccolta fondi, ma anche su enti, fondazioni, privati e aziende eventualmente interessate a sponsorizzare una parte del progetto. L’ultima domanda riguardava l’organizzazione e la struttura che gli intervistati immaginavano dovesse avere lo spazio, una volta realizzato: quali attività avrebbero visto e auspicato, quali i rischi o i limiti prevedibili e dunque evitabili, quali i modi di organizzazione e di suddivisione del potere decisionale, della partecipazione, della gestione pratica del multifede. 3.2 - Il parere degli stakeholders Punto di partenza è stata la discussione – a volte individuale, a volte in piccoli gruppi, a volte de visu, a volte telefonica o via mail - portata avanti con alcune figure chiave che sono state individuate all’interno della rete di rapporti dei membri del team di questo progetto. Sono stati interpellati personaggi appartenenti al mondo della politica, del giornalismo, del mondo culturale e religioso, di quello cattolico (un dialogo strutturato è iniziato in particolare con l’Ufficio migranti della diocesi di Torino), l’Agha Khan Foundation, alcuni Assessorati della Città e della Regione, il mondo dell’associazionismo sociale54. In generale, la risposta al progetto è stata positiva, anche se più volte è emerso, nel confronto, la questione chiave della comunità musulmana che, come già sottolineato, pur avendo una rappresentanza numerica significativa sul territorio, manca totalmente di un adeguato luogo di culto. Per alcuni interpellati sembrerebbe più urgente la creazione di un luogo connotato religiosamente come moschea, piuttosto che un luogo “universale” e “neutro” per tutte le fedi. Per altri il potenziale di uno spazio multifede sarebbe di portata vastissima anche per il mondo cattolico, che potrebbe essere uno degli interlocutori chiave per la sua realizzazione, anche economica. Per altri ancora, la creazione di uno spazio multifede realizzato attraverso un’architettura improntata alla sostenibilità ambientale, all’impatto zero e all’integrazione dell’edifico nel paesaggio 52 Una Casa delle Religioni urbano è “emblematico del nuovo corso che il credo religioso sta intraprendendo”. Come è emerso soprattutto dal confronto con i membri del Forum “Politiche di Integrazione e Nuovi Cittadini” promosso dalla Circoscrizione 7, andrebbe approfondito e regolato il criterio di entrata e uscita al gruppo della Casa delle Religioni: quali culti e comunità religiose (e spirituali) sono ammessi? Sulla base di quali criteri? Dal punto di vista della possibilità divulgativa e dunque dell’impatto che il progetto potrebbe avere sull’opinione pubblica, non vi è dubbio che in questo primo nucleo di stakeholders è stato individuato un grande potenziale, sia per la diffusione del progetto e la sua promozione, sia per la costruzione di un’opinione pubblica in merito. In particolare i membri del Forum “Politiche di Integrazione e Nuovi Cittadini” promosso dalla Circoscrizione 7 hanno dato la disponibilità a coinvolgere il territorio dove sono maggiormente radicati per continuare la discussione. Per concludere, molti tra gli stakeholders sono disponibili a cogliere l’opportunità che un tale progetto offre. Rimane ancora vago, però, il tema della modalità di finanziamento da adottare per la sua realizzazione. 3.3 - Un sondaggio-campione: la risposta degli studenti universitari Il questionario somministrato agli studenti universitari differiva leggermente da quello proposto al Comitato Interfedi e agli stakeholders individuati. In particolare, agli studenti è stato chiesto come avrebbero valutato la creazione di uno spazio multifede all’interno dell’università, e chi, secondo la loro opinione, avrebbe potuto usufruirne. E’ stato inoltre chiesto loro di suggerire una nomenclatura appropriata e una proposta di allestimento / arredamento per tale spazio. Infine, è stato chiesto agli studenti se uno spazio multifede avrebbe potuto essere utilizzato anche per altre attività, e, in caso avessero risposto affermativamente, quali attività in particolare. In totale sono stati somministrati 108 questionari, composti da 6 domande. Alla domanda che chiedeva di esprimere un parere generico sulla creazione di una sala multifede, la maggior parte degli intervistati ha Proposta di edificio multifede per la città di Torino 53 risposto in modo positivo. Coloro che invece si sono espressi in modo negativo hanno addotto come motivazione il fatto che l’università deve essere e rimanere un’istituzione laica, e, di conseguenza, non deve prevedere luoghi di culto per nessuna delle fedi religiose al suo interno. Collegata a questa prima domanda vi è quella sull’utilità di un luogo multifede, a cui, come prevedibile, di nuovo la maggior parte degli intervistati hanno risposto in modo affermativo. Qualcuno tra gli intervistati (il 10% circa) ha precisato che l’utilità di uno spazio simile sarebbe limitata agli studenti universitari che professano una fede e che si autodefiniscono credenti. Alla successiva domanda che chiedeva agli intervistati chi avrebbe potuto usufruire di questo spazio, la maggior parte ha risposto che non vi è una categoria specifica, ma che lo spazio potrebbe essere praticato da chiunque ne senta la necessità. Il 10% degli intervistati ha in questa risposta, fatto emergere la questione dei credenti musulmani e dell’assenza di uno spazio che risponda alle loro necessità religiose. Uno spazio multifede è dunque visto, da una minoranza degli studenti, come una possibile soluzione per sopperire alla mancanza di spazi adeguati di preghiera per gli studenti di religione islamica. Per quanto riguarda la domanda che chiedeva suggerimenti per la nomenclatura dello spazio multifede, una buona parte degli intervistati, 30 su 108, ha proposto nomi che comprendevano le seguenti combinazioni di parole: sala/luogo/aula di preghiera/ culto/raccoglimento/riflessione/meditazione; la maggior parte degli intervistati ha, tuttavia, deciso di non esprimersi in merito. Diversa invece la posizione sull’allestimento e arredamento dello spazio, più netta e facilmente espressa: per la maggioranza degli intervistati le caratteristiche dell’arredamento dovrebbero essere le seguenti: il più neutro possibile e senza alcun simbolo religioso nella cornice di un arredamento essenziale, semplice e minimalista; una porzione di intervistati (11%) ha proposto di dividere gli spazi interni alla saletta, creando sezioni di preghiera differenziate a seconda delle diverse religioni. Pochi hanno ribadito la necessità di un arredamento caldo ed accogliente. Infine, alla domanda se fosse opportuno svolgere anche attività parallele all’interno di questo spazio, gli studenti (40%) hanno indicato che, oltre che per la preghiera, la sala potrebbe essere utilizzata per eventi ed incontri culturali (anche a tema religioso); il 31% si è invece espresso affermando che la sala dovrebbe essere utilizzata 54 Una Casa delle Religioni unicamente come luogo di preghiera. Una minoranza ritiene che la sala potrebbe essere utilizzata anche per funzioni religiose. Nell’insieme, l’atteggiamento culturale nei confronti di uno spazio multifede è positivo, nel senso che culturalmente gli studenti universitari sono immersi in un trend multifede che non è né solo torinese, né solo italiano, ma che, come detto sopra, interessa la gran parte delle società cosiddette “occidentali”. Non sarebbe un problema, dunque, integrare nella quotidianità degli studenti uno spazio religioso all’interno di una istituzione tradizionalmente laica. Affinché questo sia possibile, tuttavia, la laicità dell’istituzione va, in qualche modo, preservata, e gli studenti trovano a questo fine diversi escamotage: il mantenimento di una “neutralità” dello spazio in sé, con il rischio che questo sia asettico, per esempio, ne costituisce il tratto fondamentale. Lo stesso vale per il modo “neutrale” in cui dovrebbe, secondo gli studenti, essere chiamato lo spazio, senza riferimenti a tradizioni religiose specifiche, ma con abbondanti riferimenti ai centri yoga e di meditazione. Interessante d’altra parte la consapevolezza generalizzata del fatto che alcune fedi, in particolare quella islamica, utilizzerebbero di più questo spazio rispetto ad altre, proprio perché privi di mezzi sul territorio che permettano loro di espletare uno dei doveri religiosi principali dell’Islam, cioè la preghiera cinque volte al giorno. 3.4 - Il Comitato Interfedi: discussione e dialoghi L’esistenza del già citato Comitato Interfedi attivo dal 2006, che ha una rappresentanza cattolica, valdese, ortodossa, ebrea, buddhista, induista, musulmana e mormona ha, nel corso degli anni, già avuto modo di testare forme di collaborazione multireligiosa e di condivisione degli spazi tra le diverse fedi rappresentate; non solo, nel tempo è stato possibile al Comitato Interfedi mostrarsi a un pubblico “laico”, attraendolo e dialogandoci, con lo stesso leitmotiv utilizzato per invogliare gli studenti a entrare nelle prayer room universitarie inglesi: quello di staccare un po’ dalla quotidianità, esperire qualcosa da cui trarre un beneficio, non solo spirituale ma anche in un senso più ampio e olistico. E’ il caso degli spettacoli di lettura e musica, cucina e teatro, fatti nel corso degli anni durante il festival di Torino Spiritualità e promossi Proposta di edificio multifede per la città di Torino 55 proprio dal Comitato Interfedi, che è stato abituato dunque a porsi al “pubblico” come un organo unico- seppur eterogeneo- capace di svolgere funzioni diverse, o meglio offrire “prodotti culturali” diversi, con la differente appartenenza religiosa e la fede tout court come denominatore comune. Questa breve premessa spiega la scelta di interpellare il Comitato Interfedi come primissimo interlocutore sul progetto; nell’immaginare uno spazio multifede il Comitato non ha espresso concordanza sulla preferenza rispetto ai modelli che gli sono stati presentati; se per alcuni gli spazi avrebbero potuto essere condivisi in toto, mantenendo il luogo neutro, universale e inclusivo, per altri, invece, gli spazi avrebbero dovuto essere ben distinti, come a rappresentare ciascuno una fede diversa, o ciascuno un ramo distinto di un unico albero, per dirla con una metafora cara al poeta sufi Mansur Hallaj. Questa visione è stata sottolineata in particolar modo dal rappresentante della religione musulmana del Comitato Interfedi; la mancanza di una vera e propria moschea sul territorio cittadino (ma anche in altre parti di Italia, come è stato fatto notare nei paragrafi precedenti) rende la realizzazione di un luogo multifede secondario, rispetto all’esigenza di un luogo di culto proprio dei musulmani. Se nella cornice di un luogo “universale” come il multifede può delinearsi la possibilità di realizzare uno spazio per il culto islamico, allora l’auspicio di una separazione fisica specifica dall’ambiente neutro è comprensibile. Per altri ancora, un luogo di scambio e condivisione universale per tutti potrebbe coesistere con luoghi separati, “sacri”, connotati religiosamente, quindi non necessariamente accessibili a tutti, ma adiacenti a luoghi invece privi di restrizioni. Pur non avendo una direzione univoca, il Comitato Interfedi è comunque consapevole della portata innovatrice di un vero e proprio spazio multifede, che lo vedrebbe protagonista della breaking culture generata dalla sua realizzazione. Lo spazio urbano è infatti il vero luogo della rappresentazione plurale della multireligiosità piena, e la sua organizzazione rappresenta l’innesto di inedite forme culturali. Se l’immaginazione di uno spazio condivisibile è dunque variegato, per quanto riguarda la risposta alla seconda domanda, che chiedeva quali fedi dovessero essere coinvolte, il Comitato Interfedi si è espresso in forma piuttosto inclusivista; fermo restando che l’organo 56 Una Casa delle Religioni farebbe da garante per “l’autenticità” religiosa del luogo e di chi vi entra, tutti i partecipanti alla discussione hanno espresso la necessità di un movimento che non sia solo top-down, ma che contempli anche il bottom-up, attraverso il coinvolgimento del quartiere interessato dalla realizzazione dello spazio multifede, così come anche il coinvolgimento di altri organi intermediari tra la cittadinanza e il progetto. Per quanto riguarda alcune rappresentanze religiose che si trovano ad essere, in questo momento, marginalizzate o escluse, il Comitato ha espresso la possibilità di fare sì che esse possano utilizzare e praticare lo spazio “comune” del templio multifede, dunque quella parte neutra, che non sarebbe connotata specificamente. Resta inteso ovviamente che “Casa delle Religioni” non è, nè può essere, una “sostituzione” della legittima aspirazione delle “nuove” fedi (in particolare quella ortodossa e quella musulmana) di manifestare la propria piena cittadinanza nello spazio della città, come Torino ha già saputo fare dopo il 1848. Il progetto può invece essere, come detto più sopra, l’innesto per un cambiamento culturale delle pratiche religiose urbane. Per far sì che questo si realizzi, occorre aprire una discussione pubblica nella Città su un tema - come quello del multi culto- fondamentale per una metropoli contemporanea; in Europa vi sono sempre più segnali che vanno in questa direzione, uno dei quali è l’elezione a sindaco di Londra del musulmanho Sadiq Khan. Gli spazi e l’organizzazione della città contemporanea si aprono necessarimente alla super-diversità e le nuove esigenze generate da questi panorami richiedono gerarchie, spazi, organizzazioni inediti. Alla domanda come possa essere sostenuto economicamente il progetto, l’idea di fondo espressa dal Comitato è quella del coinvolgimento allargato di più comunità interessate, in linea con la visione inclusivista della risposta alla domanda su chi dovrebbe essere coinvolto. Una visione comune e collettiva potrebbe, a parere del Comitato, fare da base anche per una raccolta fondi che dia vita al progetto. In parallelo, attività di crowdfunding e di divulgazione potrebbero essere validi strumenti di sostegno per raccogliere adesioni di tipo economico. Proposta di edificio multifede per la città di Torino 57 Il Comitato Interfedi è (voce del verbo essere) Casa delle Religioni. Per concludere, reputiamo che a Torino, uno spazio come la Casa delle Religioni rispecchi, in qualche modo, l’identità stessa del Comitato Interfedi, venutasi a creare con le sue specificità nell’ultimo decennio e ormai ben radicata sul territorio torinese. Il Comitato Interfedi è, in effetti, capace di promuovere l’incontro e la conoscenza tra le culture e di farsi garante della libera e piena presenza dei culti nel tessuto urbano. Il senso di attribuire ad un simile Progetto la stessa identità del Comitato Interfedi può essere espresso, dal punto di vista dello spazio, da subito, attraverso tre livelli: 1. La ricerca dimostra che lo spazio urbano è il vero luogo della rappresentazione plurale della multireligiosità piena e pertanto una “Casa delle Religioni” non è né può essere una “sostituzione” della legittima aspirazione delle “nuove” fedi di manifestare la propria piena e autonoma cittadinanza nello spazio della città, come Torino ha già saputo accettare e realizzare dopo il 1848: per una metropoli contemporanea occorre quindi, su impulso e a guida del Comitato Interfedi, aprire una discussione pubblica nella Città su questo tema fondamentale. 2. Tenendo conto degli aspetti complessi emersi durante questa prima Proposta di edificio multifede per la città di Torino 59 fase di ricerca, bisogna poi considerare che si potrebbe procedere con un progetto dimostrativo alla piccola scala, incardinato in uno dei luoghi che meglio oggi rappresenta la ricchezza di una Torino globale e cosmopolita - il Politecnico - ben coscienti che si sta promuovendo un esperimento rivolto ad un pubblico di élite e di sensibilità “avanzata”, in nessun modo sostitutivo di altre domande “di base” che dovranno trovare espressione in realizzazioni di maggiore impegno. 3. In parallelo, temporaneamente, il tema può trovare una sua manifestazione in uno spazio multifede all’interno di edifici destinati ad altre funzioni al cui interno sia però previsto il protagonismo e l’attività di culto con particolare riferimento ai culti minoritari (quale potrebbe essere il caso dell’edificio ex Incet). Tale spazio, con il contributo del Comitato Interfedi, potrà diventare un luogo innovativo dove, a Torino, si incontrino culture e tradizioni religiose, per attività culturali e non solo cultuali: i soggetti che faranno parte del Progetto si aiuteranno a vicenda e saranno sostenuti anche dalle Istituzioni nel trovare e nel poter avere un autonomo spazio adeguato per il loro proprio culto e contemporaneamente a sviluppare la Casa delle Religioni nella forma più definitiva, pubblica e visibile. 60 Una Casa delle Religioni