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Adolescenza e impulsività funzionale e disfunzionale
Adolescence and functional and dysfunctional impulsivity
Francesca Di Niccola1
Riassunto
L’adolescenza rappresenta quella fase del ciclo di vita dell’individuo caratterizzata
dalla scoperta, segnata da numerosi cambiamenti somatici, emotivi, cognitivi, sociali. I
compiti evolutivi cui l’adolescente deve far fronte, implicano un faticoso processo di
riorganizzazione, caratterizzato dall’acquisizione di nuove abilità e schemi di funzionamento e dall’integrazione di questi con ciò che è stato appreso e maturato durante
l’infanzia. La famiglia e la scuola sono le prime istituzioni con cui il bambino si trova a
sperimentare e modulare i propri comportamenti in risposta all'ambiente: egli impara,
attraverso i rapporti con gli altri significativi, ad assumere comportamenti appropriati
per garantirsi i benefici che l'ambiente offre, nonché ad adattare i propri comportamenti alle richieste dell'ambiente; più forte sarà la sua appartenenza alla comunità di riferimento maggiori saranno le possibilità che egli si adatti positivamente anche nelle età
successive dello sviluppo. Per compiere la sua dinamica evolutiva, l’adolescente necessita di punti di riferimento e di sostegni (contesti e relazioni con i genitori, con i pari e
con gli adulti in generale) efficaci e positivi. Lo sviluppo dell’individuo, inoltre, non si
può decontestualizzare e non lo si può pensare indipendentemente dalla cultura di riferimento. A tutto ciò fa da sfondo la personalità del ragazzo, ed in particolare i tratti
d’impulsività che si possono palesare in vari atteggiamenti ed azioni con conseguenze
positive e produttive o, al contrario, negative e problematiche. Fenomeni come la ricerca delle sensazioni forti, il prendersi dei rischi, la tendenza all’azione, se da una parte
fanno emergere una serie infinita di problematiche allarmanti tra i giovani adulti (droga, alcool, comportamenti sessuali a rischio, incidenti stradali, ecc.), dall’altra rappresentano comportamenti ed esperienze che inducono il ragazzo ad un adattamento con e
tra il suo mondo interno in continuo e dinamico divenire ed il mondo esterno, del quale
vuole farne parte e trovare la sua giusta collocazione sociale. Il presente lavoro intende
esplorare il concetto di impulsività funzionale e disfunzionale nella vita dell’individuo
ed in particolare nell’adolescente, considerando aspetti biologici, genetici, sociali, ambientali.
Parole chiave
Adolescenza, impulsività funzionale e disfunzionale, fattori biologici, genetici, sociali,
ambientali, comportamento, personalità
Abstract
Adolescence is that phase of life's cycle characterized by the discovery of the individual
marked by several somatic, emotional, cognitive, social changes. The developmental
tasks that the adolescent has to face, involve a laborious process of reorganization,
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characterized by the acquisition of new skills and patterns of operation and the integration of these with what has been learned and matured during childhood. The family and
the school are the first institutions with which the child experiences and adapts its behavior in response to the environment: he learns, through relationships with significant
others, to adopt appropriate behaviors to secure the benefits that the environment offers, and to adjust their behavior to the demands of the environment; the stronger is his
membership in the community of reference greater the chances that he will fit positively
in later development. To accomplish its dynamic evolution, the teenager needs landmarks and supports (contexts and relati onships with parents, with peers and with
adults in general) effective and positive. The development of the individual, also, you
cannot contextualize and you cannot think independently from the reference culture. To
this backdrop the teenager's personality, and in particular the features of impulsiveness
that can manifest in various poses-minds and actions with positive and productive consequences or, conversely, negative and problematic.Phenomena such as the research of
strong sensations, take the risks, the tendency to action, on the one hand bring out an
endless series of alarming problems among young adults (drugs, alcohol, risky sexual
behavior, traffic accidents, etc. ), on the other hand they also represent behaviors and
experiences that induce the teen to an adaptation with and between his inner world in a
continuous and dynamic becoming and the outside world, which wants to be part of it
and find its rightful place in society. This work will explore the concept of functional
and dysfunctional impulsivity in the life of the individual and particularly adolescents,
considering biological, genetic, social, environmental factors.
Keywords
Adolescence, functional and dysfunctional impulsivity, biological, genetic, social and
environmental factors, behavior, personality
Adolescenza come fase del ciclo di vita ed evoluzione di abilità e competenze
L’adolescenza è l’età del cambiamento (come la stessa etimologia della parola implica,
adolescere significa in latino crescere) che si manifesta nella specie umana generalmente tra i 12 e i 19 anni. Si tratta di un passaggio e come sottolineano Marcelli e Braconnier (2006), riprendendo le parole di E. Kestemberg, “si dice spesso a torto che
l’adolescente è allo stesso tempo un bambino e un adulto: in realtà egli non è più un
bambino e non è ancora un adulto”. Infatti si parla di un ponte fra l’infanzia e l’età
adulta, attraverso il quale l’individuo impara ciò che gli è utile per conseguire un ruolo
nella società (Arnett, 1992). Una definizione che risulta complessa in quanto risente della presenza contemporanea di diversi fattori (psicologici, biologici, sociali e comportamentali), l’emergere dei quali viene interpretato come un indice del livello di sviluppo
del soggetto, che presenta tuttavia un’elevata variabilità interindividuale. Facendo eccezione dell’infanzia, questo è il periodo della vita in cui il corpo va incontro a cambiamenti notevoli, aumentano le responsabilità e la famiglia non è più l’unico punto di riferimento (Bryant, Schulenberg, O’Malley, Bachman e Johnston, 2003). Durante questo
periodo, l’adolescente ricerca la propria identità, i suoi comportamenti e le sue opinioni
cambiano e si plasma la personalità che lo accompagnerà nell’età adulta. Da un punto di
vista psicologico le caratteristiche più comuni del comportamento adolescenziale sono:
instabilità dell’umore, senso di disagio, enormi preoccupazioni per l’aspetto fisico e per
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problemi familiari o sentimentali, ma è possibile anche che i ragazzi si sentano nervosi,
depressi e diventino terribilmente introversi e sfiduciati. In generale l’adolescenza comporta una moltitudine di nuove sfide, e proprio per questo è stata in passato concepita
come un periodo tumultuoso: oggi tuttavia sappiamo che la maggior parte dei ragazzi lo
supera senza turbamenti e conflitti eccessivi (Bandura, 1997). Vi è dunque il riconoscimento di una serie di sfide normative o quasi normative di tale periodo del ciclo di vita
(Hendry, Kloep, 2003): pubertà e cambiamenti fisici; sviluppo dei rapporti sentimentali;
espansione e creazione di nuovi microsistemi; aumento dell’indipendenza dai genitori e
scelta di andare a vivere da soli; aumento dei diritti legali; scelta della carriera scolastica
e lavorativa; esplorazione dei percorsi che conducono alla formazione dell’identità.
Avere a che fare con tali sfide significa per l’adolescente (ed in generale per l’essere
umano) far fronte alle esigenze della vita, incontrare o cercare alcune forme di compiti/crisi/stimoli che costringono ad agire, e il successo derivante dalla risoluzione di questi compiti provoca un rafforzamento delle proprie risorse, indice dello sviluppo e
dell’evoluzione dell’individuo. In tale ottica il concetto di crescita è legato alla capacità
di adattamento: uno sviluppo riuscito viene dunque definito come “il massimo aumento
di acquisizioni e il minimo di perdite” (Baltes, Lindenberger, Staudinger, 1997). Già da
neonati, gli individui si differenziano tra loro nella quantità e nella qualità di risorse che
hanno a disposizione, e tali differenze potranno ampliarsi o diminuire a seconda delle
esperienze di vita. Tra le risorse potenziali, citiamo: le disposizioni biologiche; le risorse sociali (disponibilità di una rete di rapporti sociali e le abilità sociali individuali); le
abilità in ambiti diversi (tipo le abilità psicomotorie, la lettura-scrittura, la gestione del
denaro, il rispetto delle regole di igiene; problem solving, decision making, ecc..); la
self efficacy (autoefficacia che si lega strettamente alla motivazione e all’autostima); le
risorse strutturali (materiali, di status personale o pubblico, genere, razza, ecc..).
In breve, vivere (e vivere bene) richiede il possesso non solo di un ampio patrimonio di
informazioni e conoscenze, ma anche una serie di abilità pratiche, a diversi livelli di
complessità. All’interno di tali competenze, l’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS,1996) ne ha individuate alcune che, per la loro importanza nel processo di sviluppo individuale e l’adattamento nell’arco di tutta la vita, sono state denominate Life
Skills (LS). Dopo uno studio transculturale, basato sulla ricognizione dei programmi di
educazione alle LS condotti in vari paesi, l’OMS (1993) ha individuato dieci abilità psicosociali: decision making, problem solving, creatività, senso critico, comunicazione efficace, capacità di relazionarsi agli altri, autoconsapevolezza, empatia, gestione delle
emozioni, gestione dello stress. Il collegamento tra tali abilità e il mantenimento della
salute è abbastanza intuitivo. Tanto per fare un esempio, nelle situazioni quotidiane in
cui un adolescente potrebbe trovarsi di fronte alla tentazione di usare una droga (o avere
un rapporto sessuale non protetto, o guidare in stato di ebbrezza, ecc.) avere la capacità
di prendere le sue decisioni in base ad adeguate informazioni sulle conseguenze dei suoi
atti, saper pensare in modo critico/creativo e indipendente dal “branco”, essere in grado
di difendere le sue idee esprimendosi in modo chiaro ed efficace, potrebbe incidere profondamente e positivamente sulla sua condotta.
Personalità e comportamento adattivo e disadattivo in adolescenza
Lo sviluppo si intreccia sempre tra dotazione innata e ambiente, tra fattori di rischio e
fattori protettivi, ma nel soggetto in età evolutiva l’interazione è assai più dinamica,
complessa e multifattoriale di quanto sia per l’adulto.
Negli ultimi anni si è assistito ad un cambiamento significativo nel modo di concettualizzare i rapporti tra natura e cultura, di affrontare lo studio delle determinanti biologi
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che e sociali, di indagare i processi di sviluppo. Negli anni passati, in ambito psicoanalitico, si enfatizzava il ruolo delle precoci relazioni affettive e gli effetti difficilmente reversibili della separazione e delle frustrazioni precoci (Bowlby, 1951; Freud, 1965;
Klein, 1952; Spitz, 1958; Winnicott, 1957). Oggi si ha motivo di ritenere che le persone
cambiano in buona misura nel corso dello sviluppo e che l’impatto delle precoci esperienze può avere effetti a lungo termine assai diversi in relazione alla natura delle successive esperienze di vita. Con ciò non si intende sottovalutare o sminuire l’impatto delle prime esperienze, quanto piuttosto richiamare l’attenzione da un lato sulla grande variabilità interindividuale e dall’altro sulle grandi potenzialità di recupero che contraddistinguono la specie umana. Nella nuova concezione della personalità, che si è fatta strada all’insegna dell’interazionismo dinamico (ambiente e organismo come sistemi aperti
in relazione di stretta reciprocità), tutte le fasi dello sviluppo riflettono un complesso di
continuità e discontinuità, come un flusso di transizioni e di possibilità (Gennaro, Scagliarini, 2006).
In anni recenti si è iniziato ad usare il termine di resilienza per indicare la capacità di
superare positivamente esperienze stressanti e avversità. Il termine, già utilizzato in altri
ambiti, è oggi ampiamente adoperato nel dibattito scientifico sulla salute mentale e soprattutto sui metodi per sostenerla (Rutter, 2006). La resilienza non coincide con la
“competenza sociale”, non è un tratto psicologico osservabile né una singola qualità, è
essenzialmente un concetto interattivo che deriva dalla combinazione di esperienze di
rischio con una riuscita psicologica relativamente positiva a dispetto di tali esperienze,
deriva da un’interazione dinamica tra fattori di rischio e fattori protettivi appartenenti a
diversi livelli: biologico (genetico, endocrinologico, ecc.), individuale (cognitivo, emotivo, di personalità, ecc.), sociale (familiare, amicale, ecc.) e ambientale (politico, economico, ecc.). Si tratta di “un processo dinamico che porta ad un adattamento positivo
nel contesto di avversità significative”(Luthar et al., 2000).Una grande quantità di studi
ha tentato di determinare l’esistenza di fattori significativi che potessero spiegare il generale stato di adattamento nella vita quotidiana dell’adolescente e tra le caratteristiche
più studiate vi sono: fattori immutabili come l’età, il genere e l’intelligenza e fattori
malleabili come le competenze sociali e le abilità di problem solving. Fonagy (2000) ritiene che lo sviluppo di un funzionamento adeguato nell’adolescente si fondi su tre elementi: 1) il sentimento di una base sicura interna (Bowlby, 1969) che si collega al sentimento di appartenenza alla rete sociale e relazionale (famiglia, scuola, comunità); 2)
stima di sé: il sentimento positivo di autostima si fonda sull’espressione da parte
dell’individuo delle proprie competenze e sul raggiungimento dei propri meriti, ponendo un necessario confronto tra quello che l’individuo vuole essere e quello che è realmente; 3) sentimento di efficacia personale o autoefficacia. In generale si riscontra una
multifattorialità, ossia un concatenarsi di fattori individuali e fattori relazionali e contestuali, come caratteristica fondamentale nella formazione e nel comportamento adattivo
dell’uomo.
Per compiere la sua dinamica evolutiva, l’adolescente necessita di punti di riferimento e
di aiuti, vivendo un periodo particolarmente vulnerabile poiché il conflitto tra dipendenza-indipendenza dal mondo adulto spiega in parte l’assunzione di comportamenti rischiosi, ambivalenti e potenzialmente dannosi, oltre all’insicurezza ed il bisogno di
emulare i pari. Si tratta di elementi psicosociali che possono determinare comportamenti
disadattavi e capaci di stabilizzarsi nell’età adulta. La ricerca di stati di eccitazione capaci di rendere più intensi e soddisfacenti i rapporti con gli altri e di consentire diversificati processi di identificazione con i coetanei, di incrementare aspetti salienti del sé,
rende più stimolanti le attività del tempo libero e riduce la quota di disagio che si associa al superamento dei compiti di sviluppo (Campos, Frankel e Camras, 2004).
Si possono considerare due costrutti fondamentali che cercano di spiegare la tendenza
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adolescenziale a sperimentare comportamenti disadattivi o a rischio (Guarino, 2007):
Risk taking e Sensation seeking.
Con la dicitura anglosassone risk-taking, letteralmente “prendersi il rischio”, si definisce un particolare assetto mentale che predispone l’individuo ad agire comportamenti
rischiosi e potenzialmente dannosi. Naturalmente lungo il percorso di sviluppo
dell’intero arco di vita l’essere umano continuamente si prende carico di possibili rischi
poiché è l’unico modo per poter affrontare cambiamenti e sviluppare competenze. Dal
momento che il risk-taking soddisfa anche alcuni bisogni di sviluppo personale, durante
il periodo adolescenziale, che per definizione è considerato un periodo di enormi cambiamenti fisici e psicosociale, facilmente il giovane corre il rischio di non saper gestire
questa dimensione. I comportamenti caratterizzati dal risk taking sono stati teorizzati da
Richard Jessor (1991, 1998), il quale ha evidenziato che in adolescenza i comportamenti
legati alla salute non si presentano in modo isolato ma costituiscono delle "costellazioni" rilevanti per il benessere della persona; tali comportamenti sono "sostenuti" dai cosiddetti fattori di rischio e fattori protettivi, che sono in interazione dinamica tra di loro,
ed agiscono a livello sociale, individuale, comportamentale e psico-sociale. In questa
cornice teorica il comportamento problematico viene analizzato alla luce delle "funzioni" adattive a cui questo assolverebbe (Bonino, Cattelino, Ciairano, 2007). Il risk-taking
per l’adolescente rappresenta dunque una condizione normale e favorente lo sviluppo e
la crescita personale nonché di misura della propria autostima, anche se talvolta (quando
si sviluppa sulla base di un qualche disagio psicologico), è collegato a comportamenti
distruttivi, quali ad esempio l’utilizzo di sostanze stupefacenti o pratiche sessuali non
protette, che possono alimentare, in una sorta di circolo vizioso, problematiche psicologiche.
Sensation seeking, letteralmente “ricerca di sensazioni”, è da intendere come ricerca di
sensazioni intense, inedite, complesse e variegate, correlate alla possibilità di affrontare
rischi a livello fisico, sociale ed economico. La valutazione che una persona fa della situazione è accompagnata dalla sensazione che assimila dentro la valutazione della situazione stessa, ciò che viene percepito in quel momento, a livello viscerale e muscolare
(Campos et al., 2004). La sensazione così generata viene registrata in modo potente nella coscienza e ciò che viene impresso viene utilizzato come importante funzione di monitoraggio dell’ambiente circostante. La sensazione non è la causa o l’attributo definitivo dell’emozione, ma è il colore dell’emozione, che si manifesta attraverso il sentire
“qualcosa” ed è pensata come un tratto di personalità che si esprime come arousal fisiologico (Campos et al., 2004; Stephenson, Hoyle, Palmgreen e Slater, 2003). Gli esseri
umani hanno un livello individuale nella soddisfazione dei bisogni e usano l’attenzione
come funzione primaria per selezionare individualmente le stimolazioni provenienti dalle risorse ambientali ricercando quelle sensazioni che soddisfano tali bisogni (Donohew,
Zimmerman, Cupp, Novak, Colon e Abell, 2000). Ricercare nuove sensazioni può essere una strada che conduce all’adattamento quando porta al ritrovamento di nuove risorse
per la sopravvivenza o al miglioramento delle condizioni di vita, ma può condurre anche a comportamenti disadattivi e dannosi per la salute. Ci sono differenze individuali
biologiche, ambientali, genetiche e di personalità legate alla ricerca di sensazioni (Bardo
et al., 1996; Hoyle, Fejfar e Miller, 2000; Smith e Heckert, 1998).
Bardo et al. (1996) in una loro ricerca hanno trovato differenze individuali a livello delle Monoamminossidasi (MAO), a livello del sistema Mesolimbico Dopaminergico e nel
livello dei Corticosteroidi nella ricerca di sensazioni che portava all’uso di alcool e di
droghe. Gli individui più inclini ad accettare le novità, in questa ricerca, mostravano differenze a livello delle MAO: a bassi livelli di MAO c’era una maggior propensione nella ricerca di stati di sensazioni e un maggior uso di alcolici e di sostanze illegali. Gli effetti dell’ambiente, invece, sono difficilmente determinabili ma l’individuo attraverso le
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sue prime esperienze costruisce una rappresentazione mentale degli stimoli ambientali
(Bardo et al., 1996; Campos et al., 2004). I giovani sembrerebbero andare, nel corso
della loro vita, alla ricerca di stimolazioni simili o di poco differenti a quelle che, attinte
dall’ambiente familiare, sono servite alla costruzione della loro mappa individuale e
personale di stimolazioni. Gli stimoli nuovi, che si presentano nel corso dello sviluppo,
vengono confrontati con quelli inseriti nella mappa mentale costruita da stimoli familiari e, se da questo confronto derivano piccole discrepanze tra lo stimolo familiare e quello nuovo, si produce un basso livello di arousal e una successiva accettazione della nuova situazione (Bardo et al., 1996).
La ricerca di sensazioni e le decisioni impulsive sono considerate come complementari
nel processo di presa di decisioni per Donohew et al. (2000). Questi autori hanno riscontrato che un’alta ricerca di sensazioni unita ad una presa di decisione eseguita in
modo impulsivo portavano al comportamento sessuale a rischio, come la gravidanza
non desiderata e la probabilità di contrarre infezioni come l’HIV. In questo studio
un’alta ricerca di sensazioni è stata trovata significativamente correlata all’uso di marijuana e di alcool prima di avere comportamenti sessuali. Anche Hoyle et al. (2000) hanno rilevato che un’alta ricerca di sensazioni correlata ad impulsività e gradevolezza portava ad avere un comportamento sessuale scorretto, a rischio di gravidanze non desiderate e di malattie infettive più o meno gravi. L’indagine di Stephenson et al. (2003) ha
messo in luce che la ricerca di sensazioni è correlata negativamente con i fattori di protezione e positivamente ai fattori di rischio, come la bassa appartenenza scolastica, religiosa e familiare ed infine è positivamente correlata ad un atteggiamento favorevole
verso l’uso di sostanze dannose come il tabacco, l’alcool e la marijuana, compreso il
credere che queste sostanze dannose abbiano effetti positivi e non negativi per la salute.
In tutto ciò non si devono dimenticare gli effetti complessivi dell’ambiente
sull’adolescente, sulla sua salute e sulla scelta dei suoi comportamenti, che in realtà sono difficili da determinare. Anche i mass media concorrono a influenzarlo nella ricerca
delle novità offrendo informazioni ad alta intensità di sensazioni, creando atteggiamenti
favorevoli verso i comportamenti a rischio (Anderson, Berkowitz, Donnerstein, Huesmann, Johnson, Linz, Malamuth e Wartella, 2003; Bardo et al., 1996).
Nel complesso è possibile affermare che, chi va alla ricerca di sensazioni non percepisce
il rischio per se stesso e non ha bisogno di investire in sforzi mentali per attuare il suo
comportamento preferito (Heino et al.,1996). Il rapporto tra il rischio stimato e la ricerca di sensazioni è particolarmente complesso e le persone che praticano comportamenti
a rischio valutano queste attività poco rischiose (Hoyle et al., 2000). Chi cerca nuove
sensazioni, sebbene possa abbracciare comportamenti autodistruttivi come fumare, bere
oppure alimentarsi in modo scorretto, spesso non crede di rischiare la propria salute e di
autodistruggersi (Smith et al., 1998).
Accanto ai due costrutti appena menzionati, vi è un ulteriore concetto correntemente legato all’adolescenza: la tendenza all’acting. La tendenza ad agire (acting-out e actingin) può rappresentare una modalità della mente per elaborare una realtà interna ricca di
continui cambiamenti, instabile e, talvolta, inquietante (Cerutti, Manca, 2008). Tali
condotte possono raffigurare, da una parte, l’espressione di una potenziale messa alla
prova della costruzione dell’identità e, dall’altra, una manifestazione di profonda vulnerabilità e conflittualità (Laufer&Laufer, 1986). Anche per Blos (1971), la tendenza
all’acting, all’opposizione, alla ribellione, alla sperimentazione e al mettersi alla prova
attraverso gli eccessi, sono espressioni utili per lo sviluppo dell’autodefinizione.
Accardo e Whitman, (2007), definiscono i comportamenti disadattavi come modelli di
comportamento ricorrenti, spesso abituali, che impediscono ad un individuo, una famiglia o un'organizzazione di raggiungere la meta desiderata o di soddisfare le richieste
dell'ambiente. Non sono necessariamente i comportamenti in sé, ma l'intensità e la fre
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quenza dei comportamenti che li rendono disadattivi. Anche un determinato tratto di
personalità può non essere patologico di per sé, ma lo diventa a seconda dell’intensità e
del modo in cui si esprime. Ad esempio, un pilota che corre a 300 km/h sulla pista o la
controfigura che compie voli e tuffi spettacolari sono persone con tratti sicuramente da
sensation seeker, che però hanno scelto una via socialmente accettabile per soddisfare il
loro bisogno. Riuscendo, in altri termini, a sviluppare un modello comportamentale
adattivo a partire da un tratto potenzialmente disadattivo del temperamento. Chi invece
guida ubriaco, correndo altamente il rischio di mettere in pericolo la propria ed altrui vita, parte da un tratto disadattivo e lo manifesta in modo altrettanto disadattivo.
Gli autori impegnati nella comprensione della psicopatologia dello sviluppo si sono trovati in accordo sulla questione che la propensione al rischio ed ai comportamenti disadattivi è riconducibile alla peculiare fase dell’adolescenza che comporta per il giovane
adulto un adattamento che attraversa varie esperienze. Quest’ultime possono a volte essere anche favorevoli per lo sviluppo, ma che a seconda della situazione, possono implicare disagi transitori con problematiche di natura psicologica (Di Sauro e Manca, 2006).
Impulsività funzionale e disfunzionale
Il concetto di impulsività è complesso e non ha ricevuto finora una definizione univoca.
Tuttavia, Moeller et al. (2001) hanno negli ultimi anni indicato le caratteristiche fondamentali che contraddistinguono questo concetto: una predisposizione, ossia un modello
di comportamento biologicamente predeterminato, che comporta la tendenza del soggetto ad agire rapidamente, senza pianificare la propria condotta e senza avere la possibilità
di procedere ad una valutazione razionale e consapevole delle sue conseguenze. Impulsività come parte di un pattern comportamentale piuttosto di un singolo-unico atto. Negli studi condotti in ambito psicologico si riscontra l’utilizzo di tale termine con diverse
accezioni e, come asseriscono Gerbing e coll. (1987), “si tratta di un costrutto multidimensionale”, che include: l’orientamento al presente, la diminuzione nell’abilità a rimandare la gratificazione, la disinibizione comportamentale, l’assunzione di rischio, la
ricerca di sensazioni, la non tolleranza della noia, la sensibilità alle ricompense, la mancanza di programmazione, l’agire senza pensare e la mancanza dell’impulso di controllo
(Petry, 2000; McCrown, Johnson & Shure, 1993).
In generale, come sottolineano Smillie e Jackson (2006), l’impulsività è un termine comune ad una moltitudine di dimensioni ed è quindi necessario specificare quella particolare che si vuole vagliare:
- Barratt e Patton (1983) hanno individuato tre componenti dell’impulsività: una componente di impulsività motoria (agire senza pensare), una componente di impulsività attentiva (prendere decisioni improvvise) e una impulsività da mancanza di programmazione (assenza assoluta di pensieri sul futuro o “orientamento al presente”);
- Cloninger (1986), suggerisce invece l’esistenza di tre misure “correlate a variazioni
ereditabili nei pattern di risposta a tipi specifici di stimoli ambientali”: ricerca della novità (in cui è inclusa l’impulsività come uno dei suoi aspetti), evitamento del danno e
dipendenza dalla ricompensa;
- Eysenck (1997), dopo aver proposto differenti concettualizzazioni delle diverse forme
di impulsività, ha concluso con l’enunciazione di due tipologie, ossia quella estroversa e
quella psicotica: la prima riguarda il processo di prendere decisioni con un calcolo di rischio, mentre la seconda è il processo di prendere decisioni che non tengono in considerazione i rischi associati e le conseguenze dell'azione.
- Gray (1970) ricerca sul piano neurofisiologico le componenti dell’impulsività (dopo
diverse revisioni della teoria, conclude formulando l’ipotesi dell’esistenza di due sistemi
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all’interno della mente: il sistema di inibizione dei comportamenti BIS che rende ragione delle differenze individuali nel reagire alla presentazione di stimoli eversivi condizionati e il sistema di “avvicinamento” BAS. I due sistemi interagiscono tra loro: il primo corrisponde alla dimensione dell’ansia mentre il secondo a quella dell’impulsività);
- Dickman (1990) che ha proposto una tipologia dell’impulsività distinguendo tra “impulsività disfunzionale” e“impulsività funzionale”, indicando con quest’ultima il comportamento che, portando ad agire senza programmazione e premeditazione, risulta poi
vantaggioso.
La maggior parte delle definizioni in letteratura, attribuiscono valenze negative al termine impulsività, soprattutto in ambito psichiatrico e psicofarmacologico. Si pensi ad
esempio che questo tratto di personalità ha un ruolo centrale all’interno di quella complessa entità clinica e psicopatologica che è rappresentata dal disturbo borderline
(DBP). La dimensione dell’impulsività, infatti, non solo rende conto di alcuni tratti essenziali per la caratterizzazione del disturbo (l’inclinazione a comportamenti potenzialmente dannosi o pericolosi per il soggetto, l’aggressività auto ed eterodiretta, la tendenza a condotte suicidarie, la difficoltà a controllare sentimenti di rabbia eccessiva o immotivata), ma permette di fornire un’interpretazione delle relazioni che intercorrono fra
il DBP e numerosi disturbi psichici di Asse I che si presentano in comorbilità, fra cui il
disturbo dell’umore, l’abuso di sostanze e il disturbo della condotta alimentare (Bellino,
Rocca, Marchiaro, Bogetto, 2003).
Le analisi fattoriali delle scale dell’estroversione lo descrivono come un ampio tratto caratterizzato da diversi tratti strettamente connessi, che includono: l’impulsività, la socievolezza, lo spirito d'avventura, l'entusiasmo, alti livelli di attività e di tendenza alla
noia, inoltre numerose ricerche suggeriscono che l'impulsività è la componente
dell’estroversione più costantemente associata alle differenze individuali nel modo in
cui i processi di base percettivi e mnemonici vengono eseguiti (Anderson, Revelle,
1983; Dickman, 1985; Eysenck & Eysenck, 1985; Eysenck, Levey, 1972; Loo, 1979;
Revelle, Humphreys, Simon, Gilliland, 1980).
Quando Dickman indagò la relazione tra l’impulsività, la velocità di elaborazione delle
informazioni e gli errori commessi, sulla relativa importanza di velocità e accuratezza
delle risposte, scoprì che le conseguenze dell’impulsività non necessariamente risultano
negative ma si dimostrano positive in determinate condizioni: ad esempio quando il
compito sperimentale è molto semplice gli impulsivi, rispondendo rapidamente, registrano un costo minimo di errori (Dickman, 1985); oppure quando il tempo a disposizione per prendere una decisione è estremamente breve, le persone con alti livelli di impulsività rispondono in maniera più accurata rispetto a quelle con bassi livelli (Dickman, Meyer, 1988). Pertanto egli suggerì che l’impulsività è costituita da due dimensioni principali differentemente correlate al funzionamento cognitivo, a differenza delle
maggiori teorie e ricerche precedenti. Si pensi ad esempio all’abbondante letteratura circa le tecniche per ridurne i livelli individuali (Cole & Hartley, 1978; Denny, 1970; Heider, 1971; Kagan, Pearson, e Welch, 1966; Meichenbaum & Goodman, 1971; Nelson &
Birkimer, 1978; Ridberg, Parke, e Hetherington, 1971; Zelniker, Jeffrey, Ault, & Parsons, 1972).
La teoria postulata da Dickman sull’impulsività fa riferimento alla tendenza ad agire
con minore premeditazione rispetto a quanto faccia la maggioranza della popolazione
con pari capacità. Quando tale tendenza ha conseguenze negative si parla di Impulsività
Disfunzionale (DI), mentre invece si parla di Impulsività Funzionale (FI) se conduce a
risultati produttivi. Entrambe, dunque, implicano l’inclinazione alla poca riflessione, però ad alti livelli di FI si associano successi, ad alti livelli di DI si legano conseguenze
problematiche e difficoltà. Dickman (1990), inoltre, analizzò il modo in cui FI e DI si
correlano allo stile individuale di elaborazione delle informazioni: FI risulta legata ad
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uno stile rapido ed efficace, mentre DI esplicita un’incapacità di inibizione delle risposte competitive/concorrenti (Brunas-Wagstaff, Bergquist, & Wagstaff, 1994). Registrò
anche (Dickman 1993, 2000) la differenza tra gli individui con alta e bassa DI nella capacità di concentrarsi sulla fonte degli input in vari compiti sperimentali. Da questo
punto di vista, gli impulsivi disfunzionali hanno difficoltà nel focalizzare la loro attenzione sui processi decisionali e, di conseguenza, agiscono con poca lungimiranza.
Adolescenza e impulsività tra fattori neurobiologici, cognitivi, comportamentali e
sociali
È ampiamente riconosciuto tra gli esperti che si occupano di salute e sviluppo degli adolescenti, che le minacce più gravi al benessere dei giovani nelle odierne società industrializzate sono causate da eventi e situazioni prevenibili e spesso auto-procurate, tra
cui incidenti stradali, violenze, uso di droghe e alcool, e rischi legati alla sessualità
(Blum & Nelson-Mmari, 2004; Williams, Holmbeck, e Greenley, 2002). Così, mentre i
notevoli progressi compiuti nella prevenzione e nel trattamento delle malattie (anche
croniche) tra i giovani, simili progressi non si riscontrano per ciò che concerne la riduzione della morbilità e della mortalità dovuti a comportamenti rischiosi e avventati
(Hein, 1988). Tali comportamenti, come ad esempio la guida sotto l’effetto di alcool/droghe o l’avere rapporti sessuali non protetti, rimangono prevalenti ancora oggi,
in tale fascia d’età (Centers for Disease Control & Prevention, 2006). Non vi è dubbio
sul fatto che molte forme di questi comportamenti a rischio si protraggano e siano palesemente osservabili anche nell’età adulta, e proprio per tale ragione molti esperti di salute pubblica concordano nel ridurre il tasso di rischi attuati da parte dei giovani per un
miglioramento sostanziale del generale benessere della popolazione. Un certo numero di
ipotesi cognitive e neurobiologiche sono state postulate per spiegare le scelte sub ottimali o “controproducenti” dei teenagers relative al correre tali rischi. In una recente revisione della letteratura sullo sviluppo del cervello umano, Yurgelun-Todd (2007) suggerisce che lo sviluppo cognitivo durante gli anni dell'adolescenza è associato progressivamente ad una maggiore efficienza delle capacità di controllo, dipesa dalla maturazione della corteccia prefrontale, come dimostrato dall’incremento dell’attività
all’interno delle regioni focali prefrontali (Rubia et al, 2000; Tamm, Menon, e Reiss,
2002; Brown et al, 2005;.. Durston et al, 2006). Dunque lo schema generale di maturazione corticale, sostenuto dagli autori, implica un’evoluzione lineare e progressiva
dall’infanzia all’età adulta. Seguendo tale prospettiva, i bambini dovrebbero effettuare
scelte sbagliate sotto il punto di vista del benessere e dunque mostrare comportamenti
rischiosi simili o addirittura peggiori rispetto a quelli degli adolescenti. Così la funzione
della corteccia prefrontale da sola non può spiegare il fenomeno osservato, al quale è
stato possibile dare una spiegazione più esauriente grazie anche al contributo delle neuroscienze sociali con il nuovo paradigma teorico dei due sistemi (Casey, Getz, & Galvan, 2008; Steinberg, 2008, 2010; Somerville, Jones & Casey, 2010). Tale modello postula uno squilibrio di sviluppo tra due sistemi neurobiologici:
- Sistema sottocorticale socioemozionale (che include lo striato e l’amigdala), sensibile
alle emozioni, alle novità e alla ricompensa;
- Sistema di controllo cognitivo che comprende la corteccia prefrontale e dirige il controllo degli impulsi, la regolazione emozionale e il processo decisionale.
Tali sistemi si sviluppano in tempi differenti e dunque raggiungono la maturità strutturale e funzionale in differenti età nell’individuo. Il sistema socio emozionale sembra essere più sensibile durante la prima adolescenza, soprattutto con i cambiamenti della pubertà (Galvan et al., 2006; Hare et al., 2008) mentre il secondo matura più gradualmente
67
fino alla fine della prima età adulta (Casey, Galvan, & Hare, 2005; Giedd et al., 1999).
Un settore importante in cui la prospettiva neurobiologica sull'adolescenza ha contribuito alla ricerca comportamentale è il dominio della personalità, in particolare i tratti di
impulsività e della ricerca di sensazioni (sensation seeking). Infatti si pensa che
l’impulsività derivi da errori nell’esercitare il controllo cognitivo (corteccia prefrontale),
pertanto i ragazzi dimostrerebbero un declino dell’impulsività nel momento in cui
l’inibizione alla risposta e l’autoregolazione migliorano, in quanto funzioni neurologiche in evoluzione. Al contrario la sensation seeking sembra derivare dalla sensibilità
agli stimoli affettivi e motivazionali rilevati dalle strutture sottocorticali (Steinberg,
2007, 2008). Inoltre ricerche longitudinali su tali tratti hanno fatto emergere dei modelli
di cambiamento età-correlati: si riscontra un’associazione negativa tra l’impulsività e
l’età, o comunque un incremento durante l’adolescenza e la prima età adulta (Galvan,
Hare, Voss, Glover, & Casey, 2007; Leshem & Glicksohn, 2007), al contrario la sensation seeking è positivamente correlata all’età (Russo et al., 1991, 1993; Stephenson,
Hoyle, Palmgreen, & Slater, 2003) fino alla fine della prima adolescenza, ma negativamente associata all’età adulta (Giambra, Camp, & Grodsky, 1992; Roth, Schumacher, &
Brahler, 2005; Zuckerman, Eysenck, & Eysenck, 1978).
Altri studi sull’adolescenza, prendono in considerazione la relazione tra personalità ed
intelligenza. E’ stato dimostrato un legame più forte tra alcune dimensioni della personalità e l’intelligenza cristallizzata (GC), rispetto a quella fluida (GF) (Ashton, Lee,
Vernon, & Lang, 2000; Goff & Ackerman, 1992; Jensen, 1998). Una probabile spiegazione viene proposta da Ackermann (Ackerman, 1994; Goff & Ackerman 1992):
l’intelligenza intesa come prestazione tipica (ad esempio quella professionale o accademica) riflette maggiormente la componente cristallizzata, dunque i tratti di personalità
dell’individuo, mentre invece l’intelligenza intesa come massima performance rilevata
ad esempio con la classica valutazione dei test psicometrici, riflette l’altra componente.
In particolare Ackerman e colleghi, trovarono due tratti di personalità positivamente
correlati con l’intelligenza: l’estroversione e l’apertura all’esperienza, a differenza di altri tratti come nevroticismo e psicoticismo negativamente correlati. All’interno di questo
quadro personalità-intelligenza, l’impulsività ha fatto emergere inizialmente risultati
contraddittori: a volte negativi (Lynam, Moffitt, & Stouthamer-Loeber, 1993), altre volte positivi (Phillips & Rabbitt, 1995) ma solo per compiti semplici. Studi sul rendimento
scolastico (successo accademico), hanno fatto emergere una relazione inversa tra impulsività e intelligenza cristallizzata. L’impulsività sembra agire come variabile moderatrice: per esempio, individui con impulsività elevata e buone capacità scolastiche tendono
a mostrare un minor rendimento di quanto non facciano gli individui con buone competenze accademiche e bassa impulsività. Una possibile spiegazione è che gli individui
con scarso rendimento scolastico tendono a mostrare uno stile di problem-solving disattento/impulsivo, che si palesa in compiti dove la risposta non è immediatamente evidente e risulta sfavorevole dare la prima risposta spontanea che si configura nella mente
(Fink & McCown, 1993). Da questo punto di vista, autori come McMurran, Blair, e
Egan (2002) hanno affermato che l'impulsività può essere un ostacolo per l'apprendimento durante i primi anni di sviluppo del bambino.
Conclusioni
Concludendo e riprendendo la frase iniziale citata di di E. Kestemberg, si può affermare
che i ragazzi, in generale, sono individui adulti riguardo a intelligenza ed altre competenze cognitive confronto ai bambini, ma immaturi per impulsività ed emotività (Steinberg et al. 2009). Collettivamente anche se gli adolescenti come gruppo sono considera
68
ti “assuntori di rischi” (Gardener & Steinberg, 2005), solo alcuni di loro saranno più inclini ad avere comportamenti rischiosi (Casey et al. 2008). Pertanto, è importante considerare la variabilità individuale quando si esaminano rapporti complessi tra cervellocomportamento relativi all’elaborazione di ricompense e all’assunzione del rischio nelle
popolazioni in fase di sviluppo.
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