La non violenza come strumento di libertà

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La non violenza come strumento di libertà
Seminario Autunnale
27 - 30 Ottobre 2011
Reg. Num. 6188 – A
VILLA
NAZARETH
QUESTIONI DI BIOETICA: LA VITA
TRA LE POSSIBILITÀ DELLA SCIENZA
ED IL SENTIRE DELL’UOMO
Villa Nazareth – Fondazione “Comunità Domenico Tardini” ONLUS
Via D. Tardini 33-35, 00167 Roma – Tel. 06-666971, Fax. 06-6621754
siti web: www.villanazareth.org, www.vnstudenti.org, www.vnservizi.it
e-mail: [email protected], [email protected], [email protected]
Programma
Giovedì 27 Ottobre
In giornata
Arrivo a Villa Nazareth ed accoglienza
Ore 20:00
Cena e saluto del card. Achille Silvestrini, di mons. Claudio
Maria Celli, della prof.ssa Angela Groppelli, del prof. Carlo
Felice Casula, del dott. Marco Catarci, del dott. Massimo
Gargiulo, di don Giuseppe Bonfrate, della dott.ssa Maria
Cristina Girardi
Ore 20:30
Presentazione del Seminario a cura degli Studenti della
Commissione Cultura
Venerdì 28 Ottobre
Ore 8:00
Colazione
Ore 8:30
Partenza da Villa Nazareth per le visite guidate alle mostre:
“Filippino Lippi e Sandro Botticelli nella Firenze del '400”,
presso le Scuderie del Quirinale
“Piet Mondrian: l'Armonia perfetta”, presso il Complesso del
Vittoriano
Ore 13:00
Pranzo
Ore 16:00
Conferenza: “Il quadro normativo italiano ed
internazionale in materia di Bioetica”
Relatore: prof. Stefano Canestrari, ordinario di Diritto
Penale all'Università di Bologna
Moderatore: Patroclo Olivieri
Ore 19:00
Celebrazione eucaristica
Ore 20:00
Cena
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Sabato 29 Ottobre
Ore 8:30
ColazioneQuestioni di Bioita tra le possiblità della scienza
ed il sentire dell'uomo
Ore 9:00
Incontro dei Gruppi Regionali
Ore 11:00
Laboratorio degli Studenti
Ore 13:00
Pranzo
Ore 16:00
Conferenza: “Ai confini dell'esistenza: possibilità e limiti
per l'uomo nel suo intervento sulla vita”
Relatori: prof. Stefano Semplici, docente di Etica sociale
all‟Università di Roma “Tor Vergata”;
prof. Piergiorgio Donatelli, docente di Bioetica
all'Università di Roma “Sapienza”
Moderatrice: Dott.ssa Roberta Rampazzo
Ore 19:00
Celebrazione eucaristica
Ore 20:00
Cena
Ore 21:00
Concerto di musica da camera a cura delle ragazze e dei
ragazzi di Villa Nazareth: “Viaggio nella musica da
camera fra Romanticismo e contemporaneità”
Domenica 30 Ottobre
Ore 12:00
Santa Messa
Ore 13:00
Pranzo e conclusione del Seminario. Saluti e partenze
Coma Reading
“Questo è un anti testamento cioè non è quello che lascio se non torno ma
quello che voglio quando torno…
Quando torno voglio cambiare vita così posso mettermi pantaloni di una taglia
più piccola. Voglio un letto a due piazze ed un monumento: il mio. Voglio un
aereo con due enormi orecchie al posto delle ali: praticamente un Dumbojet.
Voglio un fratello sole e una sorella luna, per divertirmi giorno e notte come San
Francesco che parlava agli uccelli, stava zitto con i pesci e ripeteva tutto con i
pappagalli. E a proposito voglio anche un pappagallo che dica Loreto e anche un
altro pappagallo che dica Assisi. Quando torno voglio un motoscafo guidato da
un idraulico per andare a trovare mia moglie quando le si rompono le acque.
Voglio costruire un ospedale dove ci và chi non si è mai fatto niente e lo voglio
chiamare “Ospedale Grandi Illesi”. Poi ne voglio costruire un altro dove ci và
soltanto chi crede di essere amato e lo è stato; chi crede di essere il migliore e
non lo è; di avere un sacco di soldi e non li ha: l’ “Ospedale Grandi Illusi”.
Quando torno voglio un cane da punta che disegni con me ma soprattutto che
mi temperi le matite. Voglio un bel paio di sì nuovi per annuire anche sulla neve.
Voglio diventare a tutti i costi amico di Alvaro per andare all’inaugurazione di
una nave e poter dire, così tanto per dire,: “Sono stato al varo con Alvaro…” così
per il gusto di fare. Voglio conoscere meglio i Sumeri e già che ci sono gli
Stranz, gl Ignurant, i Sfighè. Voglio mettermi una benda sugli occhi e poter
comprare e vedere tutte le cassette pirata che voglio. Voglio fare l’autostop con
il medio senza risultare volgare. Voglio un pacemaker senza fili per telefonare
tra me e me a chi mi sta veramente a cuore. Voglio fare piangere il mare calmo
fino a farlo diventare un mare commosso. Voglio sporcare il coro delle voci
bianche. Ma soprattutto permettetemi dal coma voglio ricavare dei
comandamenti come dice la parola stessa:
1 - Forse è meglio non fidarsi solo di quelli che non si sono svegliati.
2 - Forse è meglio considerare il proprio caso come se fosse il primo, come se
fosse l’ultimo o almeno come se fosse il più speciale.
3 - Forse è meglio non fare un fascio di tutta un’erba medica.
4 - Forse è meglio non obbedire, è meglio credere, l’importante è combattere.
5 - Forse il coma è un’ouverture, al massimo un intermezzo, forse non deve
essere mai considerato un finale andante.
6 - Forse il tuo caso non è mai un caso, quindi è meglio non lasciare mai niente
al caso.
7 - Forse il coma è come un come: un modo per capire.
8 - L’unica cosa che deve morire nel coma forse è il coma.
9 - Credere che chi è in coma sia morto sarebbe come credere che chi dorme sia
svenuto.
10 - Se entri in coma appena puoi fatti vivo.”
Alessandro Bergonzoni, Inedito presentato in occasione della chiusura
della Giornata dei Risvegli, 7 Ottobre 2001
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Indice del materiale a disposizione
Biografie relatori .......................................................................................... 6
Stefano Canestrari ............................................................................................................................ 6
Stefano Semplici ................................................................................................................................ 6
Piergiorgio Donatelli ......................................................................................................................... 7
Articolo n. 1 – Marina Gennaro, “La legge 40 nuovamente al vaglio della Corte
Costituzionale - Quid iuris sulla fecondazione assistita?” – da www.leggioggi.it, 14
Febbraio 2011 ................................................................................................ 8
Articolo n. 2 - La legge 194 sull‟Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) – da
it.wikipedia.org ............................................................................................. 10
Articolo n. 3 – Oriana Fallaci, da “Lettera a un bambino mai nato”....................... 14
Articolo n. 4 - Dalla Relazione della Commissione di studio sull’utilizzo di cellule
staminali per finalità terapeutiche – 28 Dicembre 2000 - Sintesi della relazione ....... 20
Articolo n. 5 – Andrea Porcarelli, “Quale qualità della vita?” – da
www.portaledibioetica.it ................................................................................. 26
Articolo n. 6 – Andrea Porcarelli – “L‟eutanasia nella storia” – da
www.portaledibioetica.it ................................................................................. 31
Articolo n. 7 - Enzo Bianchi, “Bioetica e scontro politico: i giorni cattivi del caso
Englaro” - da La Stampa, 15 Febbraio 2009....................................................... 37
Articolo n. 8 - Testamento biologico, ecco la legge - Non vincolante e solo se il
cervello è spento – da www.repubblica.it, 12 Luglio 2011 .................................... 42
Bibliografia ................................................................................................ 44
Filmografia ................................................................................................ 46
Webgrafia .................................................................................................. 48
Playlist....................................................................................................... 48
Appendice .................................................................................................. 49
Biografie relatori
Stefano Canestrari
Stefano Canestrari, nato a Bologna il 3 gennaio 1958, è Professore ordinario di
Diritto penale nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Alma Mater Studiorum Università di Bologna.
Già Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna (dal 1°
novembre 2004 al 31 ottobre 2010); già Presidente del Consiglio di Corso di
laurea in Scienze giuridiche; già Vice Preside; già Direttore del Corso di
Preparazione alla Funzione Giudiziaria dell'Università di Bologna; già Presidente
della Commissione per la Revisione dello Statuto Generale d'Ateneo.
Membro del Comitato Nazionale per la Bioetica.
Accademico corrispondente dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna
(Sezione di Scienze Giuridiche). Componente del Consiglio Scientifico della Scuola
Superiore di Politiche per la Salute dell'Università di Bologna. Componente del
Collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in Bioetica (sede amministrativa.
Università di Bologna) e di alcuni Master dell'Università di Bologna (in “Diritto
sanitario” e in “Programmazione, gestione e valutazione dei servizi sanitari”).
Componente del Comitato direttivo della rivista "Criminalia" e del Comitato
scientifico di alcune riviste giuridiche, tra cui “L'Indice Penale”; condirettore della
rivista "Ius 17. Studi e materiali di diritto penale". Condirettore del Trattato di
diritto penale (ed. Utet Giuridica) e del Trattato “I reati contro la persona” (I
Grandi Temi, ed. Utet Giuridica).
Presidente del Comitato di Bioetica dell'Alma Mater Studiorum - Università di
Bologna e membro di alcuni Comitati Etici, tra cui il CE dell'Ausl di Bologna
(istituito ai sensi del D.M. 18 marzo 1998) e il Comitato di Bioetica dell'Ordine dei
Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Bologna.
Nel corso della sua carriera, il Prof. Canestrari ha svolto lunghi periodi di studio e
ricerca presso il Max Planck Institut für ausländisches und internationales
Strafrecht di Freiburg i. Br. (Germania); ha frequentato, durante la permanenza a
Freiburg, anche l'Istituto di criminologia e diritto penale dell'economia (diretto dal
Prof. K. Tiedemann) della Albert-Ludwigs-Universität e ha trascorso in seguito
alcuni periodi di studio presso l'Harvard University di Boston.
Stefano Semplici
Stefano Semplici (Arezzo 1961) è dal 2006 professore straordinario di Etica sociale
all‟Università di Roma «Tor Vergata», dove è entrato nel 1986 dopo la laurea e il
perfezionamento presso la Facoltà di Lettere e quella di Magistero dell‟Università
«La Sapienza», sotto la guida rispettivamente di Marco Maria Olivetti e Valerio
Verra. La sua attività di ricerca si è articolata su due fondamentali direttrici:
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l'interesse per la filosofia contemporanea (il nichilismo, la ripresa dell'istanza
trascendentale “a valle” del linguistic turn, il “nuovo pensiero”) e quello per la
filosofia “classica” tedesca e la vicenda storico-culturale nella quale nasce e si
consolida la “filosofia della religione” (l‟illuminismo, Kant, Hegel). Negli ultimi anni,
parallelamente ai nuovi impegni didattici, è cresciuta l‟attenzione per le tematiche
connesse all‟etica pubblica e “applicata”, con particolare riferimento alla bioetica,
ai processi di comunicazione interculturale e all‟«etica degli affari».
È membro del Comitato internazionale di Bioetica dell'Unesco e direttore della
rivista «Archivio di filosofia». Fa parte della «Internationale Hegel-Vereinigung»,
della Direzione scientifica della Collana di Filosofia morale e del Comitato
scientifico dell‟Annuario di Etica editi da Vita e Pensiero e del Comitato scientifico
della Fondazione «Nova Spes». È direttore editoriale della Collana di Studi e
Ricerche «Dario Mazzi» (il Mulino) e direttore scientifico del Collegio universitario
«Lamaro-Pozzani» della Federazione nazionale dei Cavalieri del lavoro. Tra le sue
pricipali pubblicazioni: “Un filosofo "all'ombra del nichilismo" (W. Weischedel,
Roma, Armando, 1984), “Socrate e Gesù. Hegel dall'ideale della grecità al
problema dell'Uomo-Dio” (Padova, CEDAM, 1987), “Dalla teodicea al male
radicale. Kant e la dottrina illumini¬sta della "giustizia di Dio" (Padova, CEDAM,
1990), “La logica e il tempo. Il "nuovo pensiero" e Hegel” (Genova, Marietti,
1992), “Il soggetto dell‟ironia” (Padova, CEDAM, 2002), “Bioetica. Le domande, i
conflitti, le leggi” (Brescia, Morcelliana, 2007), “Il diritto di morire bene” (Bologna,
il Mulino, 2002).
Piergiorgio Donatelli
Piergiorgio Donatelli è professore associato di Filosofia morale presso la facoltà di
Filosofia, lettere, scienze umanistiche e studi orientali della Sapienza Università di
Roma dove è anche direttore del Master in Etica pratica e bioetica. È stato
professore a contratto presso la Facoltà di Scienze politiche della LUISS Guido
Carli e Visiting Professor presso il Department of Philosophy della University of
Chicago. È membro del Dottorato in Filosofia, Sapienza Università di Roma, e del
Dottorato in Teoria politica, LUISS Guido Carli. Ha tenuto lezioni e conferenze in
numerose università in Italia e all'estero. Dirige la rivista «Iride. Filosofia e
discussione pubblica» (Il Mulino). È membro del comitato di redazione di «Iris.
European Journal of Philosophy and Public Debate» e fa parte del comitato
scientifico di «Bioetica. Rivista interdisciplinare» e di «Etica & Politica / Ethics &
Politics». Tra le sue pubblicazioni: Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni (con
E. Lecaldano, LED, 1996); Wittgenstein e l'etica (Laterza, 1998); La filosofia
morale (Laterza, 2001); Introduzione a Mill (Laterza, 2007). Ha curato i volumi:
L'immaginazione e la vita morale di C. Diamond (Carocci, 2006), il Dizionario di
bioetica di E. Lecaldano (Laterza, II ed. 2007), Il senso della virtù (con E. Spinelli,
Carocci, 2009), Rileggere Wittgenstein di J. Conant e C. Diamond (Carocci, 2010),
Eugenio Lecaldano. L'etica, la storia della filosofia e l'impegno civile (con M. Mori,
Le Lettere, 2010).
QUESTIONI DI BIOETICA: LA VITA TRA LE POSSIBILITÀ
DELLA SCIENZA ED IL SENTIRE DELL’UOMO
27 - 30
Ottobre
Articolo n. 1
Marina Gennaro, “La legge 40 nuovamente al vaglio della Corte
Costituzionale - Quid iuris sulla fecondazione assistita?”
da www.leggioggi.it, 14 Febbraio 2011
E‟ di pochi giorni fa la notizia di un nuovo rinvio della legge 40 alla Corte
Costituzionale, questa volta ad opera della prima sezione civile del Tribunale di Milano.
Si tratta dell‟ennesimo intervento, effettuato dall‟autorità giudiziaria, sul testo della
controversa legge che dal 2004 regolamenta in Italia la fecondazione assistita.
E‟ difficile non ricordare che la promulgazione della legge è stata preceduta da un
acceso dibattito che ha coinvolto non solo le forze politiche impegnate in Parlamento
ma l‟intera società civile, divisa tra uno schieramento favorevole ad una
regolamentazione più restrittiva e uno schieramento “laico” che, invece, auspicava
una legge di più ampio respiro, svincolata da condizionamenti etici e religiosi.
L‟approvazione della legge n. 40, con l‟introduzione di numerosi divieti, ha in parte
disatteso le speranze di quest‟ultimo schieramento ed è stata salutata come la legge
più restrittiva (in materia) d‟Europa e lesiva dei diritti della persona.
Così, dal giorno della sua entrata in vigore ad oggi, la legge 40 è stata bersaglio di
una sorta di “class action” messa in atto da associazioni e da gruppi di pazienti affetti
da serie patologie, che hanno presentato ricorsi in diverse città d‟Italia per vedersi
riconosciuto il diritto di diventare genitori.
E‟ lungo l‟elenco delle sentenze che – dal 2005 – si sono susseguite determinando, di
fatto, lo sgretolamento del testo della legge anche in riferimento a principi cardine
della stessa.
Solo per citarne alcune tra le più rilevanti: è del settembre del 2007 la pronuncia del
Tribunale di Cagliari che consentì di effettuare la diagnosi preimpianto, facendo leva
su di una interpretazione costituzionalmente orientata della legge 40, ed ancora,
dell‟aprile del 2009 la pronuncia della Consulta che dichiarò l‟illegittimità dell‟art. 14,
c.2 sulla restrizione del numero degli embrioni da impiantare e l‟assenza di una
espressa previsione che stabilisca che il trasferimento dell‟embrione debba essere
effettuato senza pregiudizio per la salute della donna.
Si è trattato, allora, d‟importanti traguardi raggiunti dalle numerosissime coppie che
ogni anno decidono di intraprendere questo difficile percorso e che si scontrano non
soltanto con le difficoltà insite nella natura stessa della tecnica dell‟inseminazione
medicalmente assistita ma anche con una legislazione fortemente restrittiva che pone
importanti limiti all‟utilizzo della stessa.
Oggi, per tutte quelle coppie, sembra più vicino anche un ulteriore traguardo, forse il
più importante da raggiungere ovvero l‟abrogazione dell‟art. 4 della legge che vieta la
fecondazione eterologa, quella cioè che utilizza materiale genetico proveniente da un
donatore terzo.
Divieto che, senza dubbio, è il principio più controverso e criticato dell‟intera legge.
Contro tale divieto sono stati, infatti, presentati numerosi ricorsi in seguito ai quali si
sono espressi – tutti con ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale – il
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QUESTIONI DI BIOETICA: LA VITA TRA LE POSSIBILITÀ
DELLA SCIENZA ED IL SENTIRE DELL’UOMO
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Tribunale di Firenze, quello di Catania (nell‟ottobre del 2010) e recentemente quello di
Milano; a breve dovrebbe pronunciarsi anche il Tribunale di Bologna.
Secondo i giudici milanesi l‟attuale normativa, laddove prevede delle sanzioni
pecuniarie a carico delle strutture che operano tale tipologia di fecondazione, “non
garantisce alle coppie cui viene diagnosticato un quadro clinico di sterilità irreversibile
il diritto fondamentale alla piena realizzazione della vita privata familiare”.
Il divieto di fecondazione eterologa lede principalmente il principio di uguaglianza
sancito dall‟articolo 3 della Costituzione: si viene a creare, infatti, una disparità di
trattamento tra le coppie infertili che tuttavia producono ovuli e spermatozoi (e sono
ammesse alle cure) e quelle che invece non ne producono perché colpite da una forma
di sterilità più severa, escluse così dal ricorso a tale tipo di cura pur essendone
(paradossalmente!) maggiormente bisognose e costrette a recarsi all‟estero nelle
numerose cliniche specializzate presenti in molti Paesi d‟Europa.
Si parla di “turismo procreativo” e di viaggi della speranza, naturalmente accessibili
solo alle coppie economicamente in grado di affrontare gli alti costi del viaggio e
dell‟intervento; un‟ulteriore forma di discriminazione, questa volta di natura
economica.
Ma in ballo, oltre al principio d‟uguaglianza, c‟è anche il diritto alla salute.
Alla luce dell‟enorme mole di ricorsi presentati e delle conseguenti pronunce dei giudici
(che ne hanno parzialmente sgretolato l‟impianto originario) sorge spontaneo
chiedersi se che questa legge abbia effettivamente colto le istanze delle migliaia di
coppie infertili, soddisfacendone le legittime aspettative e fornendo loro gli strumenti
per raggiungere il risultato sperato, o se invece sia stata promulgata spinta dalla
pressante necessità di disciplinare il fenomeno sempre più dilagante del ricorso alla
fecondazione assistita (già regolamentata nel resto dei Paesi europei) accogliendo
tuttavia suggerimenti e prescrizioni di carattere etico-religioso, presenti nel nostro
Paese.
La pronuncia della Consulta è attesa per la prossima primavera.
E‟ ragionevole, oggi, porsi una domanda: cosa succederà se la Corte Costituzionale
dovesse pronunciarsi accogliendo l‟eccezione di incostituzionalità dell‟articolo 4 della
legge 40?
La soluzione più ragionevole imporrebbe una nuova regolamentazione della materia,
attuata di concerto con tutte le forze politiche e tenendo conto delle importanti
modifiche apportate dalle recenti pronunce dell‟autorità giudiziaria.
Non resta che aspettare e sperare che le scelte future vengano, finalmente, adottate
nel pieno rispetto dei principi costituzionali e dei diritti della persona.
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QUESTIONI DI BIOETICA: LA VITA TRA LE POSSIBILITÀ
DELLA SCIENZA ED IL SENTIRE DELL’UOMO
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Ottobre
Articolo n. 2
La legge 194 sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG)
da it.wikipedia.org
L'aborto e la legge: ammissibilità
L'ammissibilità morale dell'aborto, o interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è
soggetta in gran parte alle convinzioni etiche, agli orientamenti religiosi, all'idea che
una certa cultura abbia di concetti quali l'anima, la vita, eccetera.
A partire dagli ultimi decenni del XX secolo, l'IVG è una pratica autorizzata per legge
in buona parte del mondo, soprattutto in quello occidentale, a discrezione della donna
nei primi mesi della gestazione.
Le motivazioni oggi ammesse sono diverse. In primo luogo i casi di salute della
madre, di gravi malformazioni del feto, di violenza carnale subita. Queste motivazioni
sono ammesse anche nei paesi a dominanza maschile e di stampo conservatore, come
l'Iran.
In numerose nazioni si tiene tuttavia conto anche di istanze psicologiche e di sociali,
garantendo alla madre la possibilità di ottenere l'IVG in sicurezza ricorrendo a
strutture mediche competenti.
Le motivazioni ammesse sono, oltre a quelle qui sopra, il solo giudizio della donna
sulla propria impossibilità di diventare madre ad esempio per giovane età, per rapporti
preesistenti al di fuori dei quali è stato concepito il bambino, per timore delle reazioni
del proprio nucleo famigliare (o della società in genere) nei confronti di una
gravidanza avvenuta fuori da quanto si percepisca come lecito. In diversi paesi, tra cui
l'Italia, l'aborto è garantito anche alle minorenni, cui, in assenza dei genitori, viene
affiancato un tutore del tribunale minorile.
In altre nazioni ancora, l'aborto è imposto alla donna o fortemente raccomandato
quando il nascituro non abbia le caratteristiche volute dalla famiglia, prima fra tutte il
sesso. Questa condizione sociale privilegia i maschi rispetto alle femmine che
vengono, in alcuni stati, sistematicamente abortite.
Questa situazione è oggi nota per essere endemica in ampie zone dell'India e della
Cina in quest'ultima il numero degli uomini ha superato quello delle donne per oltre 40
milioni di individui.
Tempistiche: entro quando si può richiedere la IVG
Negli stati in cui la IVG è legale, può venire richiesta su solo giudizio della donna entro
un dato periodo di tempo. Scaduto questo viene concessa solo in casi rari, a
discrezione del medico e in presenza di gravi malformazioni del feto o di rischio per la
salute della donna. Il termine varia anche considerevolmente a seconda della legge
dello stato in cui ci si trova. In Italia, come in molti altri, il termine è la 12ª settimana
di gestazione, in Inghilterra la 24ª.
L'IVG nella legislazione italiana
Legislazione precedente al 1978
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QUESTIONI DI BIOETICA: LA VITA TRA LE POSSIBILITÀ
DELLA SCIENZA ED IL SENTIRE DELL’UOMO
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Ottobre
Prima del 1978, l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma,
era considerata dal codice penale italiano un reato (art. 545 e segg. cod. pen.,
abrogati nel 1978). In particolare:
causare l'aborto di una donna non consenziente (o consenziente, ma minore di
quattordici anni) era punito con la reclusione da sette a dodici anni (art. 545),
causare l'aborto di una donna consenziente era punito con la reclusione da due
a cinque anni, comminati sia all'esecutore dell'aborto che alla donna stessa (art.
546),
procurarsi l'aborto era invece punito con la reclusione da uno a quattro anni
(art. 547).
istigare all'aborto, o fornire i mezzi per procedere ad esso era punito con la
reclusione da sei mesi a due anni (art. 548).
In caso di lesioni o morte della donna le pene erano ovviamente inasprite (art. 549 e
550), ma, nel caso "... alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 545, 546, 547, 548 549
e 550 è stato commesso per salvare l'onore proprio o quello di un prossimo congiunto,
le pene ivi stabilite sono diminuite dalla metà ai due terzi." (art. 551).
La regolamentazione dell'IVG del 1978
Le premesse storiche
Nel 1975 il tema della regolamentazione dell'aborto riceveva l'attenzione dei mezzi di
comunicazione, in particolare dopo l'arresto del segretario del Partito Radicale
Gianfranco Spadaccia, della segretaria del Centro d'Informazione sulla Sterilizzazione
e sull'Aborto (CISA) Adele Faccio e della militante radicale Emma Bonino, per aver
praticato aborti, dopo essersi autodenunciati alle autorità di polizia (azione
nonviolenta dei radicali).
Il CISA era un organismo fondato da Adele Faccio che con molte altre donne si
proponeva di combattere la piaga dell'aborto clandestino, creando i primi consultori in
Italia e organizzando dei «viaggi della speranza» verso le cliniche inglesi e olandesi,
dove grazie a voli charter e a convenzioni contrattate dal CISA, era possibile per le
donne avere interventi medici a prezzi contenuti e con i mezzi tecnologicamente più
evoluti. Nel 1975 dopo un incontro prima con Marco Pannella e poi con Gianfranco
Spadaccia il CISA si federava con il Partito radicale, e in poche settimane entrava in
funzione l'ambulatorio di Firenze presso la sede del partito.
Il 5 febbraio una delegazione comprendente Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore
de L'espresso, presentava alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum
abrogativo degli articoli nn. 546, 547, 548, 549 2º Comma, 550, 551, 552, 553, 554,
555 del codice penale, riguardanti i reati d'aborto su donna consenziente, di
istigazione all‟aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta, di sterilizzazione, di
incitamento a pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia.
Cominciava in questo modo la raccolta firme. Il referendum era patrocinato dalla Lega
XIII maggio e da L‟Espresso, che lo promossero unitamente al Partito Radicale e al
Movimento di liberazione della donna. Tra le forze aderenti figuravano Lotta continua,
Avanguardia operaia e PdUP-Manifesto.
Dopo aver raccolto oltre 700.000 firme, il 15 aprile del 1976 con un Decreto del
Presidente della Repubblica veniva fissato il giorno per la consultazione referendaria,
ma lo stesso Presidente Leone il primo maggio fu costretto a ricorrere per la seconda
volta allo scioglimento delle Camere. Erano forti i timori dei partiti per le divisioni che
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QUESTIONI DI BIOETICA: LA VITA TRA LE POSSIBILITÀ
DELLA SCIENZA ED IL SENTIRE DELL’UOMO
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poteva provocare una nuova consultazione popolare dopo l‟esperienza del referendum
sul divorzio dell'anno precedente.
Il bisogno di adeguare la normativa si è presentato al legislatore anche in seguito alla
sentenza n.27 del 18 febbraio 1975 della Corte Costituzionale. Con questa sentenza la
Suprema Corte, pur ritendendo che la tutela del concepito ha fondamento
costituzionale, consentiva il ricorso alla IVG per motivi molto gravi.
La legge 194
La legge italiana sulla IVG è la Legge n.194 del 22 maggio 1978 (detta anche più
semplicemente "la 194") con la quale sono venuti a cadere i reati previsti dal titolo X
del libro II del codice penale con l'abrogazione degli articoli dal 545 al 555, oltre alle
norme di cui alle lettere b) ed f) dell'articolo 103 del T.U. delle leggi sanitarie.
La 194 consente alla donna, nei casi previsti dalla legge (vedi sotto), di poter ricorrere
alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la
Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto
mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.
Il prologo della legge (art. 1), recita:
“Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il
valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L'interruzione
volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo
delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e
competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative
necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.“
L'art. 2 tratta dei consultori e della loro funzione in relazione alla materia della legge,
indicando il dovere che hanno della donna in stato di gravidanza:
informarla sui diritti garantitigli dalla legge e sui servizi di cui può usufruire;
informarla sui diritti delle gestanti in materia laborale;
suggerire agli enti locali soluzioni a maternità che creino problemi;
contribuire a far superare le cause che possono portare all'interruzione della
gravidanza.
Nei primi novanta giorni di gravidanza il ricorso alla IVG è permesso alla donna
“che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la
maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in
relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o
familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di
anomalie o malformazioni del concepito (art. 4).”
Come risulta dalle amplissime formule usate dalla legge, le possibilità di accedere alla
IVG nei primi novanta giorni sono praticamente illimitate. Dunque, la legislazione
italiana permette alla donna piena libertà di accedere alla IVG durante il primo
trimestre di gravidanza.
La IVG è permessa dalla legge anche dopo i primi novanta giorni di gravidanza (art.
6):
quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della
donna;
quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti
anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per
la salute fisica o psichica della donna.
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QUESTIONI DI BIOETICA: LA VITA TRA LE POSSIBILITÀ
DELLA SCIENZA ED IL SENTIRE DELL’UOMO
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Le minori e le donne interdette devono ricevere l'autorizzazione del tutore o del
tribunale dei minori per poter effettuare la IVG. Ma, al fine di tutelare situazioni
particolarmente delicate, la legge 194 prevede che (art.12)
“nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la
consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste,
interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio
o la struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di
cui all'articolo 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del
proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera. Il giudice tutelare, entro
cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che
adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto
a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza.“
La legge stabilisce che le generalità della donna rimangano anonime.
La legge prevede inoltre che "il medico che esegue l'interruzione della gravidanza è
tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle
nascite" (art. 14).
Il ginecologo può esercitare l'obiezione di coscienza. Tuttavia il personale sanitario
non può sollevare obiezione di coscienza allorquando l'intervento sia "indispensabile
per salvare la vita della donna in imminente pericolo" (art. 9, comma 5).
La donna ha anche il diritto a lasciare il bambino in affido all'ospedale per una
successiva adozione, e a restare anonima.
Questa legge è stata confermata dagli elettori con una consultazione referendaria il 17
maggio 1981.
Testi normativi di riferimento
Legge n.194 del 22 maggio 1978
Sentenza n.27 del 18 febbraio 1975
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Articolo n. 3
Oriana Fallaci, da “Lettera a un bambino mai nato”
Nello studio del medico c'era una fila di donne con la pancia gonfia. Quando la
segretaria mi ha pregato di attendere, mi sono irritata. Non mi piaceva allinearmi con
le donne dalla pancia gonfia: non avevo nulla in comune con loro. Nemmeno la
pancia. La mia é scarsa, si vede e no.
Finalmente sono entrata, mi sono spogliata, mi sono distesa sul lettuccio. Il medico ti
ha tormentato col dito, pigiando, frugando, poi se l'è tolto il guanto di gomma e con
voce di gelo mi ha chiesto: Ma lei vuole davvero questo figlio? . Non credevo ai miei
orecchi. Naturalmente. Perché‚? gli ho risposto. Perché‚ molte dicono di volerlo e poi,
nel subcosciente, non lo vogliono affatto. Senza realizzarlo magari, fanno di tutto
perché‚ non nasca. Mi sono indignata. Non ero lì per subire processi alla mia
buonafede e nemmeno per discutere di psicanalisi, ho detto, ero lì per sapere come
stavi tu. Ha cambiato tono, si é spiegato con garbo.
V'erano cose che non capiva in questa gravidanza. Riteneva che l'uovo fosse inserito
bene, in sede normale. Riteneva che la crescita del feto avvenisse bene, in modo
regolare. E tuttavia qualcosa non funzionava. Ad esempio l'utero era troppo sensibile,
si contraeva con eccessiva facilità: ciò alimentava il sospetto che il sangue non
affluisse perfettamente alla placenta. Ero stata immobile come mi aveva ordinato? Ho
risposto sì. Avevo evitato di bere alcool, avevo fumato meno come s'era
raccomandato? Ho risposto sì. Non avevo mai compiuto sforzi, strapazzi? Ho risposto
no. Avevo avuto rapporti sessuali? Di nuovo ho risposto no ed era vero, lo sai: non gli
ho permesso di avvicinarsi, l'altra notte sebbene lui ripetesse che era una crudeltà.
Allora il medico é apparso perplesso: Ha preoccupazioni? . Gli ho risposto sì. Ha avuto
qualche trauma psicologico, che so un dispiacere? Gli ho risposto sì. Mi ha fissato
senza chiedere che specie di trauma, che specie di dispiacere, poi mi ha esposto la
sua tesi. A volte le preoccupazioni, le ansie, gli shock sono più pericolosi delle fatiche
fisiche perché‚ causano spasmi, contrazioni uterine, e minacciano seriamente la vita
dell'embrione o del feto. Non dimenticassi che l'utero é in relazione con l'ipofisi, che
ogni stimolo si trasmette subito agli organi genitali. Una sorpresa violenta, un dolore,
una collera, possono provocare il distacco parziale dell'uovo. Lo può addirittura un
nervosismo costante, un perpetuo stato d'angoscia. Al limite, e lungi da lui l'intenzione
di sconfinare nella fantascienza o nella fantapsicologia, si poteva parlare di un
pensiero che uccide. Al livello inconscio, s'intende, e per questo dovevo assolutamente
impormi d'esser tranquilla. Dovevo rigorosamente evitare ogni emozione, ogni
pensiero nero. Serenità, placidità erano le parole d'ordine. Dottore, ho risposto, é lo
stesso che chiedermi di cambiare il colore degli occhi: come faccio ad essere placida
se la mia natura non lo é? Mi ha squadrato di nuovo con freddezza: Questo é affar
suo. Si arrangi. Ingrassi . Poi mi ha prescritto antispastici e altre medicine. Se per
caso appare una goccia di sangue, corra da lui.
Sono impaurita. Ed anche adirata con te. Cosa credi che sia: un contenitore, un
barattolo dove si mette un oggetto da custodire? Sono una donna, perDio, sono una
persona. Non posso svitarmi il cervello e proibirgli di pensare. Non posso annullare i
miei sentimenti o proibirgli di manifestarsi. Non posso ignorare una rabbia, una gioia,
un dolore. Ho le mie reazioni, io, i miei stupori, i miei scoramenti. Anche se potessi,
non vorrei disfarmene per ridurmi allo stato di un vegetale o di una macchina
fisiologica che serve a procreare e basta! Quanto sei esigente, bambino. Prima
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pretendi di controllare il mio corpo e privarlo del suo più elementare diritto: muoversi.
Dopo pretendi addirittura di controllare la mia mente e il mio cuore: atrofizzandoli,
neutralizzandoli, derubandoli della loro capacità di sentire, pensare, vivere! Accusi
perfino il mio inconscio. Questo é eccessivo, é inaccettabile. Se vogliamo restare
insieme, bambino, dobbiamo scendere a patti. Eccoli. Ti faccio una concessione:
ingrasso, ti regalo il mio corpo. Ma la mia mente no. Le mie reazioni no. Me le tengo.
E con quelle pretendo una mancia: i miei piaceri spiccioli. Infatti ora bevo un
abbondantissimo whisky, e fumo un pacchetto di sigarette, una dopo l'altra, e
riprendo a lavorare, ad esistere come persona e non come barattolo, e piango,
piango, piango: senza chiederti se ti fa male. Perché‚ sono stufa di te!
***
Perdonami. Dovevo essere ubriaca, impazzita. Guarda quante cicche, e guarda questo
fazzoletto. E ancora bagnato. Che crisi di furore imbecille, che scena disgustosa.
Egoista. Come stai, bambino? Meglio di me, spero. Io sono esausta. Sono così stanca
che vorrei resistere altri sei mesi, il tempo di portarti alla luce, e poi morire. Tu
prenderesti il mio posto nel mondo e io mi riposerei. Non sarebbe neanche troppo
presto: mi sembra d'avere ormai visto tutto ciò che v'era da vedere, d'avere ormai
capito tutto ciò che v'era da capire. E comunque, una volta uscito dal mio corpo, non
avrai più bisogno di me. Qualsiasi donna capace di amarti sarà un'ottima madre per
te: la voce del sangue non esiste, é un'invenzione. La mamma non é colei che ti porta
nel ventre, é colei che ti cresce. O colui che ti cresce. Potrei regalarti a tuo padre. Tuo
padre é tornato poco fa e mi ha portato una rosa blu. Ha detto che il blu é il colore del
maschio. Ora pensa anche al colore. Ovviamente desidera che tu sia maschio: nascere
maschio per lui é un merito maggiore, un segno di superiorità. Poveretto. Non é colpa
sua, hanno raccontato anche a lui che Dio é un vecchio con la barba bianca, che Maria
era un'incubatrice, che senza Giuseppe non avrebbe trovato nemmeno una stalla, che
ad accendere il fuoco fu Prometeo. Io non lo disprezzo per questo. Tuttavia dico che
non ho, non abbiamo necessità di lui. non della sua rosa blu. Gli ho ordinato di
andarsene, di lasciarci in pace. Ha barcollato come per una legnata, s'é avviato verso
la porta, se non'é andato senza rispondere. Tra poco ce ne andiamo anche noi: a
lavorare. Il commendatore mi ha ricordato la sua comprensione però ha aggiunto che
bisogna rispettare gli impegni: una donna incinta può lasciare l'impiego solo al sesto
mese. Mi ha ricordato anche il viaggio: minacciando con perfido garbo di trasferire
l'incarico a un uomo perché‚ a-un-uomo-non-accadonocerti-incidenti. Ho frenato a
stento la tentazione di aggredirlo, e mi son messa a tergiversare. I prossimi dieci
giorni saranno duri, devo guadagnare il tempo perduto. Ma ti dirò: L'idea di riprendere
le mie attività mi scuote da questo torpore, da questa rassegnazione che mi fa
sognare la morte. Menomale che é già incominciato l'inverno: sotto il cappotto il
ventre gonfio non si noterà. E, d'ora innanzi, crescerà parecchio. Stamani ad esempio
é più gonfio. Il vestito mi tira. A quattordici settimane, sai quanto sei lungo? Almeno
dieci centimetri. Perfino la placenta, ormai troppo piccola per avviluppare il sacco
amniotico, sta tirandosi da parte. E tu stai invadendomi senza pietà.
Non sono una persona che si spaventa alla vista del sangue. Ed essere donne é una
scuola di sangue: tutti i mesi offriamo a noi stesse il suo spettacolo odioso. Ma quando
ho visto quella minuscola macchia sopra il cuscino, i miei occhi si sono annebbiati e le
mie gambe si sono piegate. M'ha invaso il panico, poi la disperazione, e mi son
maledetta. Mi sono accusata di ogni colpa verso di te che non potevi proteggerti, non
potevi ribellarti, così piccino e indifeso e alla mercé di ogni mio capriccio, ogni mia
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irresponsabilità. Non era nemmeno rossa, la macchia. Era rosa, d'un pallido rosa. E
tuttavia era più che sufficiente a trasmettermi il messaggio, ad annunciarmi che stavi
forse finendo. Ho agguantato il cuscino e son corsa. Il medico é stato
inaspettatamente gentile. Mi ha ricevuto sebbene fosse sera, mi ha detto di calmarmi:
non stavi morendo, non t'eri staccato, avevi sofferto e basta, si trattava di una
minaccia e basta, il riposo assoluto avrebbe sistemato ogni cosa, purché fosse
assoluto, purché‚ non scendessi dal letto nemmeno per andare nel bagno, e per
questo era meglio che mi ricoverassi in ospedale. Siamo all'ospedale. Una camera
triste di questo mondo triste. Ci siamo da una settimana che ho trascorso quasi
sempre dormendo, obnubilata dai sedativi. Ora li hanno sospesi ma é peggio: non so
come impiegare il tempo che gocciola vuoto. Ho chiesto i giornali e non me li hanno
portati. Ho chiesto una televisione e me l'hanno negata. Ho chiesto un telefono e non
funziona. La mia amica non viene. Tuo padre nemmeno. Il silenzio mi abbrutisce e mi
schiaccia. Prigioniera d'una belva vestita di bianco che ogni tanto arriva con
un'iniezione di luteina e mi buca con scherno, non riesco nemmeno a tentar di
trasmetterti un po' di tenerezza.
Ma riflessioni a lungo sopite, invano soffocate, salgono alla superficie della mia
coscienza e gridano cose che non sapevo di sapere. Queste. Perché‚ dovrei sopportare
una tale agonia? In nome di cosa? Di un reato commesso abbracciando un uomo? Di
una cellula scissa in due cellule e poi in quattro cellule e poi in otto cellule, all'infinito,
senza che io lo volessi, senza che io lo ordinassi? Oppure in nome della vita? E va
bene, la vita. Ma cos'é questa vita per cui tu, che esisti non ancora fatto, conti più di
me che esisto già fatta? Cos'é questo rispetto per te che toglie rispetto a me?
Cos'é questo tuo diritto ad esistere che non tiene conto del mio diritto ad esistere?
Non c'è umanità in te. Umanità! Ma sei un essere umano, tu? Bastano davvero una
bollicina d'uovo e uno spermio di cinque micron a fare un essere umano? Essere
umano son io che penso e parlo e rido e piango e agisco in un mondo che agisce per
costruire cose ed idee. Tu non sei che un bambolottino di carne che non pensa, non
parla, non ride, non piange, e agisce solo per costruire se stesso. Ciò che vedo in te
non sei te: sono io! Ti ho attribuito una coscienza, ho dialogato con te, ma la tua
coscienza era la mia coscienza e il nostro dialogo era un monologo: il mio ! Basta con
questa commedia, con questo delirio. Non si é umani per diritto naturale, prima di
nascere. Umani lo si diventa dopo, quando si é nati, perché‚ si sta con gli altri, perché‚
ci aiutano gli altri, perché‚ una madre o una donna o un uomo o non importa chi ci
insegna a mangiare, a camminare, a parlare, a pensare, a comportarsi da umani.
L'unica cosa che ci unisce, mio caro, é un cordone ombelicale. E non siamo una
coppia. Siamo un persecutore e un perseguitato. Tu al posto del persecutore e io al
posto del perseguitato. Ti insinuasti in me come un ladro, e mi rapinasti il ventre, il
sangue, il respiro. Ora vorresti rapinarmi l'esistenza intera. Non te lo permetterò. E
giacché sono arrivata a dirti queste verità sacrosante, sai cosa concludo? Non vedo
perché‚ dovrei avere un bambino. Non mi sono mai trovata a mio agio, io, coi
bambini. Non sono mai riuscita a trattare con loro. Quando mi avvicino con un sorriso,
strillano come se li picchiassi.
Il mestiere di mamma non mi si addice. Io ho altri doveri verso la vita. Ho un lavoro
che mi piace e intendo farlo. Ho un futuro che mi aspetta e non intendo abbandonarlo.
Chi assolve una donna povera che non vuole altri figli, chi assolve una ragazza
violentata che non vuole quel figlio, deve assolvere anche me. Essere povere, essere
violentate, non costituisce la sola giustificazione. Lascio questo ospedale e parto per il
mio viaggio. Poi sarà quel che sarà. Se riuscirai a nascere, nascerai. Se non ci
riuscirai, morirai. Io non ti ammazzo, sia chiaro: semplicemente, mi rifiuto di aiutarti
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ad esercitar fino in fondo la tua tirannia. Questo non era il nostro patto, me ne rendo
conto. Ma un patto é un accordo dove ciascuno dà per ricevere, e quando lo
firmammo ignoravo che avresti preteso tutto per darmi nulla. Del resto tu non lo
firmasti per niente, lo firmai soltanto io. Ciò ne incrina la validità. Non lo firmasti e da
te non mi giunse mai un assenso: il tuo unico messaggio é stato una goccia rosa di
sangue. Ch'io sia maledetta davvero, e per sempre, che la mia vita diventi un
rimpianto perpetuo, al di là della morte, se stavolta cambio la mia decisione. Mi ha
definito assassina.
Chiuso dentro il suo camice bianco, non più medico ma giudice, ha tuonato che vengo
meno ai doveri più fondamentali di madre e di donna e di cittadina. Ha gridato che
lasciar l'ospedale sarebbe già un misfatto, scendere dal letto già un crimine, ma
intraprendere un viaggio é omicidio premeditato e la legge dovrebbe punirmi come
punisce un qualsiasi assassino. Poi s'é fatto supplice, ha tentato di convincermi con la
tua fotografia. Che ti osservassi bene se avevo un minimo di cuore: eri ormai un
bambino in tutto e per tutto. La tua bocca non era più l'idea di una bocca: ma una
bocca. Il tuo naso non era più l'idea di un naso: ma un naso. Il tuo viso non era più
l'abbozzo di un viso: ma un viso. E lo stesso il tuo corpo, le tue mani, i tuoi piedi dove
le unghie erano evidenti. Era evidente anche un principio di capelli sulla testolina ben
formata. Che mi rendessi conto, al tempo stesso, della tua fragilità. Che studiassi la
tua pelle: così delicata, così diafana che attraverso di essa traspariva ogni vena, ogni
capillare, ogni nervo. Non eri neanche più minuscolo: misuravi almeno sedici
centimetri e pesavi due etti. Se avessi voluto abortirti non avrei potuto: sarebbe stato
tardi. Eppure mi accingevo a fare qualcosa che era peggio di un aborto. L'ho ascoltato
senza battere ciglio. Dopo ho firmato un foglio con cui egli declinava ogni
responsabilità per la tua vita e la mia, ed io me le assumevo al suo posto. L'ho
guardato uscire dalla camera in preda a un furore che lo rendeva paonazzo. E, quasi
in quel momento, tu ti sei mosso. Hai fatto ciò che avevo aspettato, agognato, per
mesi. Ti sei allungato, forse hai sbadigliato, e mi hai tirato un colpetto. Un piccolo
calcio. Il tuo primo calcio. Come quello che tirai a mia madre per dirle di non buttarmi
via. Le mie gambe son diventate marmo. E per qualche secondo son rimasta con il
fiato mozzo, le tempie che mi pulsavano. Ho sentito anche un bruciore alla gola, una
lacrima che mi accecava. Poi la lacrima é ruzzolata giù, é caduta sul lenzuolo facendo:
paf! Ma sono scesa ugualmente dal letto. Ho preparato ugualmente la valigia. Domani
si parte, ho detto. In aereo.
Era proprio il caso di pigliarsela tanto? Stiamo benissimo nel paese in cui siamo
venuti. Siamo stati
benissimo durante l'intero viaggio e all'arrivo e dopo. Mai uno spasmo, un dolore, una
nausea. Non è successo nulla di ciò che il medico aveva annunciato: ho la conferma
della dottoressa che mi ha visitato ieri. Simpatica. Dopo averti palpato ha concluso
che non vede ragioni per allarmarsi, il suo collega eccedeva in pessimismo e
prudenza, una goccia di sangue cos'é? Vi sono donne che perdono sangue per l'intera
durata della gravidanza e poi mettono al mondo figli sanissimi. Secondo lei stare a
letto é contro natura, ed anche eccedere nelle precauzioni. Una sua cliente, ad
esempio, ballerina di professione, aveva continuato a esibirsi nel pas à deux fino a
dopo il quinto mese. Di me la meravigliava soltanto lo scarso gonfiore del ventre, però
anche la ballerina aveva un ventre pressoché piatto. Che continuassi pure coi
medicamenti prescritti dal collega, se desideravo, ma soprattutto lasciassi la natura
provvedere da sé. Unico consiglio, non guidare troppo l'automobile. Le ho spiegato
che in automobile dovevo fare un viaggio di dieci giorni almeno. Ha alzato il
sopracciglio un po' incerta, e mi ha chiesto se fosse proprio necessario. Le ho risposto
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QUESTIONI DI BIOETICA: LA VITA TRA LE POSSIBILITÀ
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di sì. E‟ rimasta zitta per qualche minuto e poi ha concluso pazienza, le strade di
questo paese sono comode e lisce, le macchine di questo paese sono ben molleggiate.
L'importante é non strapazzarsi e concedersi ogni due o tre ore un riposo. Mi ascolti?
Sto dicendo che ho fatto la pace con te, siamo amici alla fine ! Sto dicendo che mi
dispiace averti maltrattato, sfidato, e ancora di più mi dispiace se resti offeso e non mi
tiri colpetti. Non me ne hai tirati più, dopo l'ospedale. A volte, pensandoci, aggrotto la
fronte. Dura poco però. Subito dopo ritrovo la tranquillità. Intuisci quanto sono
cambiata? Dacché ho ripreso la vita di sempre, mi sembra d'essere un'altra: un
gabbiano che vola. Davvero ci fu un momento in cui desideravo la morte? Pazza. E
così bella la vita, la luce. Sono così belli gli alberi e la terra e il mare. C'é molto mare
qui: te ne arriva il profumo, il fragore? E bello anche lavorare se dentro di te guizza
una gioia: mentivo a sostenere che in ogni caso il lavoro stanca e umilia.
Devi scusarmi: la collera, L'ansia, mi facevano veder tutto buio. E a proposito del
buio: é sorta di nuovo in me l'impazienza di tirartene fuori. Con essa, il timore di
averti scoraggiato attraverso le chiacchiere sulla libertà che non esiste, sulla solitudine
che é l'unica condizione possibile. Dimentica quelle sciocchezze: stare gomito a
gomito serve. La vita é una comunità per darci la mano, consolarci, aiutarci. Anche le
piante fioriscono meglio una accanto all'altra, e gli uccelli migrano a gruppi, i pesci
nuotano a branchi. Che faremmo soli? Ci sentiremmo come astronauti sulla Luna,
soffocati dalla paura e dalla fretta di tornare indietro. Sbrigati, trascorri alla svelta i
mesi che ti rimangono, affacciati senza timore di vedere il sole. Lì per lì ti abbaglierà,
ti spaventerà, ma presto diverrà un'allegria di cui non potrai fare a meno. Mi pento
d'averti fornito sempre gli esempi più brutti, di non averti mai raccontato lo splendore
di un'alba, la dolcezza di un bacio, il profumo di un cibo. Mi pento di non averti fatto
ridere mai. Se tu mi giudicassi dalle fiabe che narravo, saresti autorizzato a
concludere che io sono una specie di Elettra sempre vestita di nero. D'ora innanzi devi
immaginarmi come un Peter Pan sempre vestito di giallo di verde di rosso e sempre
intento a stendere nastri di fiori sui tetti, sui campanili, sulle nuvole che non diventano
pioggia. Saremo felici insieme perché, in fondo, sono un bambino anch'io. Lo sai che
mi diverto a giocare? Stanotte rientrando in albergo ho scambiato tutte le scarpe
messe fuori delle camere ed anche le richieste delle colazioni. Al mattino é scoppiato il
subbuglio. Una signora aveva trovato un paio di mocassini da uomo e reclamava i suoi
sandali col tacco, un uomo aveva trovato due scarpette da tennis e reclamava i suoi
stivali, un tale protestava che gli avevano portato soltanto il caffè e cercava le uova al
prosciutto che aveva ordinato, un altro si rammaricava perché‚ non aveva chiesto un
pranzo di Natale ma un tè col limone. L'orecchio appoggiato alla porta, ascoltavo e
ridevo in modo così divertito che mi sembrava d'esser tornata alla fanciullezza,
quand'ero felice perché‚ ogni gesto era un gioco.
***
Ti ho comprato una culla. Dopo averla comprata m'é venuto in mente che, secondo
alcuni, possedere una culla prima che il bambino nasca porta disgrazia come i fiori sul
letto. Ma le superstizioni non mi toccano più. E una culla indiana, di quelle che si
portano a zaino dietro le spalle. E gialla e verde e rossa come Peter Pan. Ti caricherò
sulle spalle, ti porterò ovunque così, e la gente sorriderà dicendo: guarda quei due
fanciulli matti. Ti ho comprato anche un guardaroba: magliette, tutine, e un bel
carillon. Suona un valzer tutto festoso. Quando l'ho detto alla mia amica, per telefono,
ha commentato che manco di qualsiasi equilibrio. Però aveva una voce contenta,
lavata dell'inquietudine che la serrava il giorno in cui partimmo: e-se-loperdi-in-aereo?
Lei che mi consigliava di eliminarti all'inizio ! E davvero una brava donna. Infatti non
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sono mai riuscita a rimproverarla per avermi mandato tuo padre. E quanto a lui, sai
che dico? Un uomo che accetta di farsi cacciare come lo cacciai io non é un uomo da
buttar via. Mi ha scritto una lettera, dopo. Mi ha commosso. Sono un vigliacco,
ammette, perché‚ sono un uomo; però devo essere assolto perché‚ sono un uomo. Un
atavico istinto, suppongo, lo induce ormai a desiderarti. Vedremo cosa fare di lui: a
volte un mobile di cui non si ha bisogno finisce col dimostrarsi utile ed é certo che non
ho più voglia di essergli nemica. In questo armistizio col formicaio c'entrano tutti: lui, i
medici, il commendatore. Se tu avessi visto il commendatore mentre gli annunciavo la
nostra partenza. Ripeteva: Ecco una buona notizia. Brava, non se ne pentirà! Non me
ne pentirò. E‟ solo rispettando se stessi che si può esigere il rispetto degli altri, é solo
credendo in se stessi che si può essere creduti dagli altri. Buonanotte, bambino.
Domani incomincia il viaggio in automobile. Vorrei scriverti una poesia che narrasse il
mio sollievo, la fiducia ritrovata, questa voglia di tendere nastri di fiori sui tetti, Sui
campanili, sulle nuvole, questa sensazione di volare come un gabbiano dentro
l'azzurro, lontano dalle sporcizie, dalle malinconie, su un mare che dall'alto sembra
sempre pulito. In fondo il coraggio é ottimismo. Io non ero ottimista perché‚ non ero
coraggiosa. Le strade di questo paese sono comode e lisce, le automobili di questo
paese sono ben molleggiate: dottoressa, anche lei mente. Ed io non sono un
gabbiano. Cosa faccio, bambino? Vado avanti, torno indietro? Se torno indietro é
peggio: devo rifare lo stesso tratto impossibile. Se vado avanti, invece, ho speranza
che migliori. Avendo il coraggio della retorica, potrei dire che sto guidando lungo una
strada uguale alla mia vita: tutta buche e sassi, difficoltà.
Una volta conobbi uno scrittore che sosteneva: ciascuno ha la vita che si merita.
Come sostenere che un povero merita d'essere povera, che un cieco merita d'essere
cieco. Era un uomo stupido, sebbene fosse uno scrittore intelligente. Anche il filo che
divide l'intelligenza dalla stupidaggine é un filo talmente sottile, te ne accorgerai.
Infatti, quando si rompe, le due cose si fondono insieme come l'amore e l'odio, la vita
e la morte, che tu sia uomo o donna. Sono tornata a chiedermi se sei un uomo o una
donna ed ormai vorrei che tu fossi un uomo. Così non avresti la scuola mensile di
sangue, un giorno non ti giudicheresti colpevole di guidare lungo una strada sconvolta
dalle buche e dai sassi. Non ti sentiresti male come in questo momento mi sento io e
potresti librarti su nell'azzurro molto più seriamente di quanto faccia io: i miei sforzi
per volare non vanno mai oltre il balzo di un tacchino. Le donne che bruciano il
reggiseno hanno ragione. Hanno ragione? Nessuna di loro ha scoperto un sistema
perché‚ il mondo non finisca se non fai bambini. E i bambini nascono dalle donne.
Conosco un racconto di fantascienza che Si svolge su un pianeta dove per procreare
bisogna essere in sette. Ma é molto difficile trovarsi in sette ed é ancor più difficile
mettersi d'accordo in sette perché‚ la gravidanza, non solo il concepimento, coinvolge
tutti e sette. Perciò la razza si estingue e il pianeta si vuota. Conosco un altro racconto
dove al protagonista basta una soluzione alcalina, o un bicchiere d'acqua col sale. Ci
salta dentro e paf ! Diventano due. Si tratta di una normale scissione cellulare e,
nell'attimo in cui il protagonista si scinde, cessa d'esser se stesso: compie una specie
di suicidio del suo io. Però non muore e non soffre nove mesi d'inferno. D'inferno? Per
alcune, sono nove mesi di gloria. La soluzione migliore resta quella che ti dissi in
principio. Si toglie l‟embrione dal ventre della madre, lo si mette nel ventre di un'altra
disposta ad ospitarlo, una più paziente di me, più generosa di me. Credo d'avere la
febbre. Gli spasmi sono ricominciati. Devo ignorarli. Ma come? Pensando a tutt'altre
cose, suppongo.
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Articolo n. 4
Dalla Relazione della Commissione di studio sull’utilizzo di cellule
staminali per finalità terapeutiche – 28 Dicembre 2000
Sintesi della relazione
Il Ministro della Sanità, professor Umberto Veronesi, il 7 settembre scorso, nominò la
Commissione di studio sull‟utilizzo di cellule staminali per finalità terapeutiche”
presieduta dal Premio Nobel, professor Renato Dulbecco, con il compito di indicare
sulla base del Rapporto Donaldson (il primo studio organico sulle potenzialità
terapeutiche delle cellule staminali), quali ricerche in quel campo si possono
intraprendere anche in Italia. In particolare il Ministro Veronesi ha posto ai 25 saggi
alcune domande di cui qui esponiamo una sintesi di ordine scientifico ed etico. In
corsivo sono riportate le risposte della Commissione.
1) Fino a che punto è realistica l‟ipotesi che cellule staminali, opportunamente
stimolate, possano differenziarsi a seconda delle necessità per poi essere utilizzate a
scopo terapeutico per curare malattie cronico-degenerative, finora inguaribili?
L’applicazione terapeutica della ricerca sulle cellule staminali è di notevole interesse e
potrebbe condurre a una vera e propria rivoluzione in medicina, superiore persino a
quella rappresentata dagli antibiotici. Dei 30 milioni di malati cronici stimati nel nostro
Paese, 10 milioni (se si comprendono anche quelli con patologie cardiovascolari)
potrebbero essere curati con le cellule staminali. C’è ormai una sufficiente mole di dati
per sostenere che grazie a tali ricerche i sistemi sanitari potranno offrire ai cittadini
nuovi ed efficaci trattamenti per una notevole serie di patologie degenerative. Le
cellule staminali, siano esse embrionali, fetali, da sangue del cordone ombelicale, o
adulte, rappresentano un’importante alternativa ai trapianti di organo. La possibilità di
espandere in vitro queste cellule fino a quantità elevatissime, se non proprio illimitate,
potranno risolvere i due limiti fondamentali dell’attuale tecnologia dei trapianti: la
scarsità di organi e la necessità dell’immunosoppressione cronica. Da ciò derivano due
importanti condizioni per l’uso clinico routinario delle cellule staminali: la quantità di
esse e la loro compatibilità col ricevente. Quanto al problema della compatibilità con il
sistema immune del ricevente, soltanto cellule staminali derivate dal paziente stesso
risolverebbero completamente questo problema.
2) Con quali probabilità e quali tempi?
A questa domanda la Commissione non è in grado di fare una previsione
sufficientemente certa, e fa suo il criterio di massima cautela, presente nei documenti
nazionali e internazionali in materia, circa il tempo in cui questi trattamenti potranno
entrare nella pratica clinica.
3) Quali saranno le principali patologie curabili con le cellule staminali?
Dalla letteratura scientifica internazionale emerge la grande potenzialità per lo
sviluppo di terapie utili al trattamento di un ampio ventaglio di patologie. Alcune di
esse vengono già utilizzate nella pratica clinica. Vedi “Appendice A” e “Appendice B”.
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4) Quale tra le cinque sorgenti classiche (da feti abortiti, da cordone ombelicale, da
midollo osseo, da cellule adulte riprogrammate, da embrioni) può avere più possibilità
di successo in termini di ricerca a fini terapeutici? Quale tecnica è accettabile
eticamente?
La Commissione ha analizzato tutte queste sorgenti, esprimendo su ciascuna di esse
un parere sia scientifico sia etico. Eccole in breve sintesi.
STAMINALI FETALI
PARERE SCIENTIFICO
Sono derivate da aborti (spontanei o volontari). Si tratta pertanto di materiale
cadaverico ed il suo utilizzo equivale a quello di organi da cadaveri. Dal punto di vista
biologico, le cellule staminali fetali possiedono caratteristiche intermedie tra quelle
embrionali e quelle adulte: sono generalmente pluripotenti e deputate
all‟accrescimento peri-natale dei tessuti. I pochi studi disponibili non permettono di
trarre conclusione definitive sulle loro capacità di crescita, differenziamento ed
integrazione funzionale nei vari tessuti.
PARERE ETICO
La ricerca sulle cellule staminali da feti abortiti non solleva problemi morali purché si
escluda un rapporto di causalità tra prelievo di cellule ed aborto.
DA CORDONE OMBELICALE
PARERE SCIENTIFICO
Suscitano grande interesse, soprattutto perché sarebbe in teoria possibile creare una
banca di cellule autologhe per ogni neonato all‟atto della nascita e utilizzabili anche
dopo anni. Si tratta al momento di una ipotesi futuribile. Ad oggi le cellule staminali
ombelicali sono state considerate capaci di dare origine soltanto a cellule del sangue
ma non di altri tessuti.
PARERE ETICO
La ricerca sulle cellule staminali prelevate da sangue di cordone ombelicale non
solleva problemi morali insormontabili. Su questo punto c‟è consenso unanime
all‟interno della Commissione.
STAMINALI ADULTE
PARERE SCIENTIFICO
Provvedono al mantenimento dei tessuti in condizioni fisiologiche ed alla loro
riparazione in seguito ad un danno; questa capacità però non è illimitata. Ad oggi, il
loro isolamento e la loro coltivazione estensiva, eccezion fatta per le cellule staminali
cutanee e mesenchimali, sono al momento limitate ai roditori. L‟utilizzo clinico di tali
cellule è strettamente legato alla possibilità pratica di espanderle in vitro in modo
efficiente. Ad oggi questo è estremamente difficile e, in concomitanza con possibili
fenomeni di senescenza, potrebbe rappresentare un limite all‟effettiva fattibilità di
questo approccio. Sperimentazioni terapeutiche con cellule staminali adulte hanno in
alcuni casi ottenuto risultati modesti dal punto di vista dell‟efficacia clinica.
PARERE ETICO
La ricerca sulle cellule staminali adulte non solleva problemi morali insormontabili. Su
questo punto c‟è consenso unanime all‟interno della Commissione.
EMBRIONALI ETEROLOGHE
PARERE SCIENTIFICO
Derivano dalla regione interna dell‟embrione prima del suo impianto nell‟utero. Dotate
di elevata capacità proliferativa, sono in grado di dare origine a tutti i tipi cellulari
presenti nell‟organismo risultando ideali per la terapia delle patologie umane. Alcune
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sperimentazioni hanno permesso di dire che, isolate da blastocisti e cresciute in vitro,
queste cellule mantengono inalterate le proprietà di plasticità e totipotenza per alcuni
anni. Ciò consente, a partire da poche decine di cellule, di ottenerne centinaia di
milioni con le stesse caratteristiche e potenzialità. Cellule staminali embrionali
possono essere isolate da embrioni congelati, prodotti in eccesso rispetto alle
necessità della fecondazione in vitro. In linea di principio ognuno di questi embrioni
potrebbe dare origine ad un nuovo individuo. In pratica, però, questo non è possibile,
non fosse altro che per la proporzione tra l‟abbondanza di embrioni congelati e il
numero di donne interessate ad averli impiantati nel proprio utero. Ne consegue che
questi embrioni non hanno la possibilità concreta di divenire individui.
Importantissimo e inesplorato è l‟aspetto riguardante la “scadenza”, per usare un
termine brutale, di questi embrioni.
PARERE ETICO - PREMESSA
Oggi un programma di ricerca che contempli la sperimentazione sulle cellule staminali
derivate da embrioni umani appare a molti necessario. Sulla liceità morale della
sperimentazione sugli embrioni umani esistono tre posizioni e ciascuna trova il suo
fondamento in differenti concezioni etiche, filosoficamente e/o religiosamente fondate,
ad ognuna delle quali questa Commissione riconosce piena legittimità. La soluzione
della controversia sulla sperimentazione degli embrioni umani varia a seconda della
posizione assunta sulla questione dell‟embrione. Alcuni affermano che l‟embrione è un
essere umano a partire dal momento della fecondazione; altri che nelle prime fasi
dello sviluppo l‟embrione non sia una persona; altri ancora che non è possibile
risolvere la controversia in materia ma ritengono che l‟embrione umano non sia una
mera “cosa” utilizzabile a piacimento e che meriti una tutela crescente proporzionata
al suo sviluppo. La Commissione è ben consapevole che il semplice fatto che una data
soluzione raccolga un vasto consenso, non la rende “più giusta” rispetto alle altre, né
equivale ad una delegittimazione delle altre posizioni. La Commissione, infatti, prende
atto che esiste un valore unanimemente condiviso da tutte le posizioni sopra
accennate: il rispetto dovuto alla vita umana. Anche se poi ci si può dividere sui modi
concreti di manifestare tale rispetto nelle circostanze reali della vita.
PARERE ETICO MINORITARIO
Espresso da sette membri della Commissione (Cardinale Ersilio Tonini, Adriano
Bompiani, Bruno Dallapiccola, Domenico Di Virgilio, Enrico Garaci, Luigi Lorenzetti,
Girolamo Sirchia). L‟embrione è un essere umano con potenzialità di sviluppo (non un
essere umano potenziale), pertanto, come ogni altro essere umano, ha diritto alla
vita. Le diverse argomentazioni a favore della sperimentazione degli embrioni
cosiddetti sovrannumerari (“il sacrificio di questi embrioni è proporzionato ai vantaggi
sperati”; “un male minore rispetto a quello peggiore della loro distruzione”; “una
giusta soluzione del conflitto tra diritto alla vita di questo embrione e il diritto del
malato a essere curato”), si fondano su una visione strumentale dell‟embrione umano,
al quale non si riconosce ancora il titolo di soggetto. Inoltre, il dilemma “l‟embrione o
viene usato o viene distrutto” corrisponde ad accettare, in etica, l‟insostenibile
equiparazione tra “uccidere” e “lasciar morire”. Le argomentazioni che proibiscono
moralmente di creare embrioni per la sperimentazione, valgono anche per la
proibizione di quelli già esistenti.
PARERE ETICO MAGGIORITARIO
Di tutti gli altri membri della Commissione, diciotto su venticinque. In Italia, nei vari
laboratori che attuano la fecondazione in vitro, esiste un elevato numero di embrioni
sovrannumerari che, per varie ragioni, non sono più destinati all‟impianto. Mettere a
disposizione questi embrioni per ricerche dalle quali possono derivare notevole
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benefici per l‟umanità non rappresenta una concezione strumentale dell‟embrione, né
un atto di mancanza di rispetto nei confronti della vita umana, specialmente se si
considera che l‟alternativa è di lasciare che questi embrioni periscano. A fronte
dell‟inevitabile destino riservato a una parte degli embrioni crioconservati e non più
impiantabili, la Commissione ritiene che la bilancia penda a favore della destinazione
di tali embrioni agli scopi di una ricerca suscettibile di salvare la vita di milioni di
esseri umani. Tale soluzione si ispira al principio di beneficialità, che, sia pure con
differenti accentuazioni, è un tratto comune alle principali dottrine morali ed è fonte
dei doveri di responsabilità che noi abbiamo nei confronti delle persone che soffrono.
TRASFERIMENTO NUCLEARE PER LA PRODUZIONE DI CELLULE STAMINALI
AUTOLOGHE (TNSA)
PARERE SCIENTIFICO
La produzione in vitro di cellule staminali del malato stesso (autologhe) può essere
ottenuta con la riprogrammazione del nucleo di cellule somatiche (mature) prelevate
dal paziente e trasferite all‟interno di una cellula uovo precedentemente enucleata,
cioè svuotata del suo nucleo (Metodo TNSA).
Il processo per cui il nucleo di una cellula già formata, una volta posto nel citoplasma
(il liquido in cui si trova il nucleo di una cellula) dell‟ovocita riacquista le capacità di
cellula staminale, riproducendone altre uguali, non è molto diverso da quello usato nel
caso in cui cellule sane prelevate dal corpo di un paziente adulto vengono indotte a
moltiplicarsi in vitro, stimolate da “fattori di crescita”. Conoscendo i meccanismi del
processo di riprogrammazione del nucleo di una cellula matura non si dovrà ricorrere
agli ovociti di donna. Un ovocita ricostituito con il nucleo di una cellula adulta, ma
privo del suo nucleo, non è assolutamente uno zigote (ossia una cellula formata
dall‟unione di due gameti, quello maschile e quello femminile) da cui può avere origine
un embrione. Quella che si forma è, invece, una cellula comunque in grado di
generare cellule staminali con la qualità, per giunta, di avere le stesse caratteristiche
genetiche del paziente, il che non le farebbe rigettare qualora venissero impiantate in
un suo organo. Esse infatti posseggono lo stesso genoma nucleare del donatore della
cellula somatica e sono immunologicamente compatibili per autotrapianto. Nel caso di
malattie genetiche, queste cellule potrebbero essere „curate‟ in vitro prima del
trapianto.
PARERE ETICO
La Commissione è concorde sulla tecnica del trasferimento nucleare (TNSA).
CONCLUSIONI DEL “RAPPORTO DULBECCO”
Delle diverse sorgenti di cellule staminali la Commissione indica nel “Rapporto
Dulbecco” la via innovativa e del tutto originale del trasferimento cellulare (TNSA)
quale metodo che garantisce efficacia scientifica e liceità etica. Ecco in sintesi il parere
sulle tre principali sorgenti di cellule staminali.
TRASFERIMENTO CELLULARE (TNSA)
La novità del Rapporto Dulbecco, che supera brillantemente le questioni etiche
sollevate dal Rapporto Donaldson (adottato dalla Gran Bretagna), consiste nell‟utilizzo
della tecnica di trasferimento nucleare (TNSA: inserimento di un nucleo di cellula
adulta prelevata dal paziente in un ovocita privato del proprio nucleo) al fine di
ottenere, escludendo la formazione dell‟embrione, cellule staminali da differenziare,
fin dall‟inizio, verso le linee cellulari e tissutali desiderate. Per l‟immediato futuro si
prevede di essere in grado di utilizzare, al posto degli ovociti di donna, citoplasmi
artificiali e/o animali. È questa la proposta davvero innovativa che esce dalla
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Commissione e quella che si può definire fin d‟ora “Progetto Dulbecco per le cellule
staminali”.
CELLULE EMBRIONALI
Rispetto ai dati scientifici attualmente disponibili si può sostenere che la condizione
della “quantità” è certamente soddisfatta dalle cellule staminali di provenienza
embrionale (pressoché illimitata capacità di autorigenerazione). Questo stesso tipo di
linee cellulari soddisfarebbe anche la condizione della “compatibilità”, a patto di
utilizzare la tecnica del trasferimento nucleare da cellula somatica del ricevente.
CELLULE ADULTE
Le cellule staminali di origine adulta non soddisfano il criterio della “quantità” nella
misura delle embrionali, mentre possono soddisfare quello della “compatibilità”
qualora vengano utilizzate quelle del paziente stesso. Ma qui si pongono problemi,
anche temporali, che rendono difficilmente perseguibile tale processo sul piano clinico
per tutte le patologie.
RACCOMANDAZIONI
La Commissione, fermo restando il quesito etico che permane per alcune delle
modalità di ottenimento delle cellule staminali embrionali umane (e che si auspica
possa venire superato con il progredire delle scoperte e la messa a punto di tecnologie
più avanzate), è dell‟opinione che sia necessario effettuare sempre maggiori ricerche
su tutte le sorgenti di cellule staminali per poter comprendere quali di esse possano
dare le risposte più efficaci alle esigenze terapeutiche per le diverse patologie.
APPENDICE A
TERAPIE POSSIBILI IN FUTURO CON CELLULE STAMINALI
Grande è il potenziale terapeutico delle cellule staminali, tanto che dei 30 milioni di
malati cronici stimati nel nostro Paese, 10 milioni (se si comprendono anche quelli con
patologie cardiovascolari) potrebbero essere curati con le staminali. Sarebbe possibile
usarle, infatti, per:
– ricostruire il midollo spinale danneggiato da traumi fisici, dando così una speranza ai
paraplegici di riacquistare le facoltà motorie perse;
– le malattie degenerative del sistema nervoso quali l‟Alzheimer, il morbo di
Parkinson, la malattia di Huntington e la sclerosi laterale amiotrofica;
– le malattie muscolo scheletriche (displasia ossea, malattie progressive delle
giunzioni ossee, osteogenesi imperfetta e miopatie primitive);
– le malattie infiammatorie di natura sistemica attraverso la sostituzione delle cellule
delle ghiandole salivari non più funzionanti dei malati;
– le malattie degenerative della retina, della cornea e dell‟apparato uditivo, i cui
tessuti sono stati danneggiati per cause genetiche e traumatiche;
– ricostruire il tessuto cardiaco danneggiato da un infarto acuto del miocardio;
– riparare i vasi sanguigni distrutti da patologie progressive quali l‟arteriosclerosi e
l‟ipertensione;
– terapia cellulare sostitutiva contro malattie metaboliche tipo lisosomiali, dovute
all‟accumulo nei lisosomi (particelle cellulari) di sostanze non degradate.
Le cellule staminali sono in grado, inoltre, di accettare e tollerare, molto meglio delle
cellule mature, geni introdotti dall‟esterno con tecniche d‟ingegneria genetica mirate a
sostituire geni difettosi o mutati. Potrebbero, quindi, essere usate come vettori
cellulari per la terapia genica, rappresentando, in questo ambito, la soluzione ottimale.
Un singolo trasferimento di gene, infatti, renderebbe disponibili cellule “corrette” del
sangue, della pelle, del fegato e, perfino, del cervello, in quantità molto rilevanti.
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APPENDICE B
TERAPIE GIÀ IN USO CON CELLULE STAMINALI
La ricerca sulle cellule staminali ad uso terapeutico ha già dimostrato una grande
potenzialità terapeutica. Ecco alcuni esempi:
– CELLULE STAMINALI PRESENTI NEL SANGUE DEL CORDONE OMBELICALE
Sono in grado di dare origine solo a cellule del sangue e per questo utilizzate, nei
bambini, per la cura delle leucemie. I trapianti allogenici (la cui componente genetica
è diversa da quella del paziente) di cellule staminali ematopoietiche prelevate dal
sangue di cordone ombelicale donato da un estraneo, fino al 1998, sono stati 17.800.
Questo trapianto è alternativo a quello di midollo osseo o a quello delle cellule
staminali prelevate da sangue periferico. Le sue indicazioni cliniche sono
sovrapponibili a quelle previste per il trapianto di cellule staminali di altre sorgenti.
– CELLULE STAMINALI DA MIDOLLO OSSEO (EMATOPOIETICHE)
L‟autotrapianto di cellule staminali ematopoietiche (cioè da midollo osseo) è in grado
di far riprendere la formazione delle varie componenti del sangue distrutte a seguito
della
somministrazione, ad alte dosi, di chemioterapia e radioterapia. È usato contro vari
tumori tra cui quello alla mammella, il neuroblastoma, il microcitoma, il carcinoma
ovarico, oltre ai linfomi di Hodgkin e non-Hodgkin, diversi tipi di leucemie (linfatica e
mieloide, acuta e cronica) e la talassemia.
– CELLULE STAMINALI CUTANEE
Coltivate ed espanse in vitro, vengono usate per coprire permanentemente lesioni
estese della cute e della mucosa. Tali lesioni possono essere dovute per lo più a
bruciature e fistole diabetiche o all‟epidermolisi bollosa. È auspicabile l‟impiego di
queste cellule anche per altri tipi di patologie cutanee, quale terapia genica, per
esempio, contro le neoplasie e le infezioni cutanee.
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Articolo n. 5
Andrea Porcarelli, “Quale qualità della vita?”
da www.portaledibioetica.it
Il concetto di qualità della vita occupa una posizione centrale nel dibattito bioetico
contemporaneo, sia a motivo dell‟attualità del problema, sia perché esso funge da
linea di crinale tra diverse impostazioni teoriche e contribuisce a determinare
diversamente la soluzione di una molteplicità di questioni pratiche. Si tratta, però, di
un concetto che non è privo di margini di ambiguità, soprattutto a motivo delle diverse
chiavi di lettura che vengono utilizzate.
La riflessione sulle tematiche della qualità della vita si consolida a partire dalla
seconda metà del XX secolo, quando si vengono a creare condizioni generali di vita
[1] per cui la maggior parte delle persone (nel mondo sviluppato) può considerarsi
sollevata dalle necessità più impellenti e ci si pone il problema di un miglioramento
complessivo dello stato di benessere da molti punti di vista. Il contestuale sviluppo
delle conoscenze dal punto di vista scientifico, specialmente in campo biomedico, oltre
a porre interrogativi che porteranno al sorgere della stessa bioetica come disciplina
specifica, rende possibili cure e interventi un tempo impensabili. Le società complessivamente - si riorganizzano con l‟obiettivo di garantire ai propri membri un
sempre maggiore “benessere”, tanto che si parla di “welfare state” e di “welfare
society”, ed criterio per individuare gli spazi di benessere (e quelli di miglioramento) è
proprio quello di “qualità della vita”, che si precisa nei vari settori.
Ampiezza del concetto
Quando si parla di “qualità della vita”, senza ulteriori precisazioni si intende
abbracciare la totalità dei fattori che contribuiscono a determinarla, ma per agire
direttamente sulla qualità della vita, anche al fine di cercare di migliorarla è
importante fare riferimento ad una serie di “indicatori” che si riferiscono ai diversi
ambiti la cui “qualità” può migliorare o peggiorare; ne indichiamo alcuni a titolo
esemplificativo:
popolazione: densità sul territorio, natalità, indice di vecchiaia, carico sociale o indice
di dipendenza (dato dal rapporto tra le classi in età non lavorativa - giovanissimi e
anziani - e quelle in età lavorativa), saldo migratorio interno, ecc.;
sanità: vita media o speranza di vita, quoziente di mortalità, natimortalità (nati morti
per 1000 nati), mortalità perinatale (nati morti + morti nella prima settimana di vita
per 1000 nati), mortalità infantile, suicidi, assistenza medica, livello di alimentazione,
ecc.;
istruzione: grado di analfabetismo, di scolarità, spesa per l‟istruzione (in rapporto al
PIL);
lavoro: livello di occupazione (forza lavoro per 1000 abitanti), tassi di disoccupazione,
pensionamenti, ecc.;
giustizia: litigiosità, amministrazione della giustizia (durata media dei procedimenti in
giorni), livello di criminalità, delinquenza minorile, ecc.;
tenore di vita: ricchezza (prodotto interno lordo pro-capite), propensione ai consumi,
propensione al risparmio, abitazione (numero delle stanze, grado di affollamento),
ecc.;
ambiente: stato di degrado, politiche di tutela, ecc.
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Ambiguità del concetto
Al di là dell‟ampiezza di ambiti di applicazione vi è anche un‟ambiguità di questo
concetto che dipende dalle diverse prospettive teoriche (etico-filosofiche) alla luce
delle quali viene inteso. Limitandoci all‟ambito strettamente bioetico, possiamo
individuare innanzitutto una prospettiva di matrice utilitarista (Engelhardt, Mori,
Lecaldano, ecc.) la preoccupazione principale è quella di opporre a questo concetto
variamente inteso l‟idea di una “sacralità della vita” per prenderne con decisione le
distanze: per loro una vita ha valore solo se possiede un certo grado di “qualità”,
anche se diventa problematico il modo in cui tale grado può essere definito e si pone
anche la domanda circa il soggetto che abbia l‟autorità di definirlo, soprattutto in
situazioni in cui questo comporta scelte irreversibili (come nel caso della richiesta di
eutanasia per un malato più o meno “terminale”). Tale orizzonte di pensiero dà vita a
quella che può essere identificata come una “etica della qualità della vita”, le cui
caratteristiche fondamentali sono:
la dipendenza da un‟etica di tipo consequenziali sta;
l‟assegnare un valore relativo alle vite umane, differenziandole tra loro sulla
base dei diversi livelli di “qualità” che queste sembrano avere alla luce di
determinati parametri;
assumere la norma per cui la tutela della vita umana non comporta un obbligo
superiore, indipendente dalla valutazione della sua “qualità”.
Salta immediatamente agli occhi come il punto nodale di tale orizzonte di pensiero sia
quello dei criteri per determinare un grado di qualità della vita che possa essere
considerato “accettabile” e quindi generare una sorta di diritto alla tutela della
persona. Ma quali possono essere tali criteri? Fletcher [2] enumera i seguenti: minimo
intellettivo (Q.I. superiore a 20-40), autocoscienza, autocontrollo, senso del tempo
(presente, passato, futuro), capacità di relazione, interesse per gli altri, capacità
comunicativa, controllo dell‟esistenza, curiosità, capacità di cambiare, equilibrio tra
ragione e sentimento, funzioni neocorticali. Naturalmente anche altri autori si sono
misurati con il problema ed hanno compilato altre “liste” di caratteristiche ed
indicatori, ciascuna delle quali - a sentir loro - consentirebbe di individuare una sorta
di “soglia” del grado di accettabilità della vita umana. Ci sembra interessante un testo
di Lecaldano che esplicitamente si pone questo tipo di problematica: “Un‟etica che
afferma la centralità della nozione di qualità della vita per le scelte private e pubbliche
sulle questioni relative all‟inizio della vita, alla sua fine e alla cura riconosce la
possibilità di dare diverso valore alle vite degli individui (o alle varie possibilità di vita
di un singolo individuo). A quest‟assunzione che presiede alla nozione di qualità della
vita è spesso opposta la concezione della sacralità della vita, la quale afferma che
tutte le vite (in genere solamente vite umane) hanno un uguale valore assoluto e
sacro. (…) Dal punto di vista teorico, la questione centrale relativamente alla nozione
di qualità della vita riguarda la natura del metro di valutazione della qualità della vita.
In proposito, si possono distinguere tre principali approcci teorici: le teorie
edonistiche, le teorie della preferenza e le teorie perfezioniste. Le teorie edonistiche
definiscono la qualità della vita in funzione della presenza di stati mentali piacevoli e
dell‟assenza di stati mentali spiacevoli o dolorosi. In questi termini, la promozione
della qualità della vita consiste nella produzione di stati mentali piacevoli e nella
rimozione di quelli spiacevoli. (…) La teoria della preferenza ha l‟indubbio merito di
mettere al centro della nozione di qualità della vita il ruolo della scelta autonoma degli
individui nel guidare le proprie scelte. Anche tale teoria, tuttavia, non è immune dai
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problemi. Il ricorso diretto alle preferenze che un individuo esprime può non essere
risolutivo. Spesso, infatti, le preferenze sono il risultato di un processo di adattamento
alle circostanze. (…) Le possibilità di vita che sembrano sfuggire a chi esprime
preferenze frutto dell‟adattamento sono invece al centro delle teorie perfezioniste. Tali
teorie, infatti, identificano la promozione della qualità della vita con l‟esercizio di
alcune capacità propriamente umane. (…) Ciò che è essenziale per la promozione della
qualità della vita sarebbe la presenza di un‟effettiva capacità di sviluppo in ambiti che
appartengono propriamente e universalmente agli esseri umani, come le relazioni
affettive, la riflessività, la creatività, e così via. (…) Una teoria convincente della
qualità della vita, quindi, dovrebbe essere in grado di combinare elementi della teoria
della preferenza e di quella perfezionista, salvaguardando l‟idea che è la pluralità degli
stili di vita e delle scelte autonome a determinare la lista delle capacità umane da
promuovere” [3].
Per gli autori che si rifanno ad una concezione di matrice personalista il fondamento
della riflessione è l‟idea che la dignità della persona (che le appartiene di diritto e non
per cortese attribuzione dall‟esterno) sia il fondamento del dovere di
rispettare/favorire anche la qualità della sua vita, e non viceversa. Se la persona
umana è meritevole di tutela, lo è in forza di quello che è e non in forza di quello che
ha, fa o può fare. Se è pur vero che in un‟ottica di tipo teologico si potrebbe dire che
la vita umana è “sacra” (in quanto immagine e somiglianza della vita divina e oggetto
di un particolare amore da parte del Creatore), in termini strettamente filosofici
sembra più corretto affermare che essa rappresenta un bene “non disponibile”, in
forza della dignità intrinseca della persona umana. Tale dignità deve essere
“riconosciuta” e non “attribuita”, né pertanto ha senso assumere una qualsiasi
“valutazione” della qualità della sua vita come criterio di attribuzione di tale dignità:
“La contrapposizione tra un‟etica della qualità della vita e un‟etica della sacralità della
vita perde di consistenza se i due termini sono assunti in modo formale, cioè
prescindendo da determinazioni contenutistiche più precise. Infatti la “sacralità” è
propriamente una “qualità” della vita e, nello stesso tempo, nessuna visione sacrale
può trascurare il significato quantitativo, empirico, materiale, presente nel concetto di
qualità. Ma, così dicendo, si trascura ciò che è invece lo specifico di questa
contrapposizione, e la si svuota del suo potere dialettico. La sacralità della vita, che
per l‟occidente ebraico-cristiano è però riconducibile alla specificazione “vita umana”,
ha ragione d‟essere pensata come contraddittoria rispetto alla “qualità della vita”
soltanto se quest‟ultima espressione indica la radicale negazione di qualsiasi
significato e valore dell‟esistenza umana che non sia in qualche modo empiricamente
equiparabile alle condizioni della vita di un adulto sano e consapevole. Tutte le
situazioni marginali e di marginalizzazione, dalla vita prenatale alle condizioni di
malattia, assumono, indubbiamente, un significato differente se il parametro di
valutazione è esclusivamente empirico. Il problema consiste nel sapere se le variazioni
delle condizioni di vita di un uomo (fisiologiche, biologiche, psicologiche, sociali), che
ne determinano la “qualità”, siano un criterio sufficiente per stabilire il “valore”
dell‟uomo stesso. Ora, se si assumesse questa prospettiva, lungi dall‟introdurre una
nuova etica si ritornerebbe, con la mediazione della scienza, a quell‟impostazione che
ha dominato tutte le culture che non hanno riconosciuto l‟eguaglianza ontologica tra
tutti gli uomini. Indubbiamente la tesi dell‟eguaglianza tra gli uomini, e quindi quella
del loro valore intrinseco, è storicamente debitrice sia della filosofia stoica sia della
religione ebraico-cristiana, ma queste origini non impediscono che si possa accedere
ad un riconoscimento della “dignità” dell‟uomo che non passi attraverso queste
fondazioni” [4].
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Interessante anche la “diagnosi culturale” della situazione contemporanea prodotta da
un testo dei vescovi italiani, nel tentativo di darsi ragione di un‟evoluzione culturale
che - letta alla luce del Vangelo - presenta i tratti di uno scivolamento verso una
mentalità sempre meno attenta al valore della vita: “Anche nel nostro paese, nel
quale il rispetto e l'amore verso la vita sono stati alla base di una cultura millenaria, la
mentalità e il costume dominanti sono complessi, notevolmente diversificati e talvolta
persino contraddittori. Sembrano contrapporsi una cultura della vita e una cultura
della morte o, più in profondità, una vera cultura della vita e una presunta cultura
della qualità della vita. (…) La cultura dominante considera la "qualità della vita" come
valore primo e assoluto e la interpreta prevalen-temente o esclusivamente in termini
di efficienza eco-nomica, di godibilità consumistica, di bellezza e vivi-bilità della vita
fisica, separata dalle dimensioni re-lazionali, spirituali e religiose dell'esistenza. Una
simile cultura conduce, come a suo esito ul-ti-mo, alla eliminazione di tutte le vite
umane che ap-pa-iono insopportabili, perché prive di quella pretesa qua-lità della vita.
Così, di fronte al rischio di dare alla luce una creatura malformata o malata, le
diagnosi prenatali diventano una facile premessa per l'aborto. Di qui anche i tentativi
di emarginazione degli an-zia-ni, delle persone non autosufficienti, di malati gravi e di
quelli terminali, sino alle forme più o meno lar-va-te di eutanasia, per la quale non
manca chi invoca u-na legittimazione giuridica, facendo leva sui cosid-det-ti "casi
pietosi", come già è accaduto per l'aborto. Co-sì si sopprime la vita, perché la si
pretende per­fet­ta!” [5]
Uno spunto di riflessione filosofica
Per Aristotele la qualità è uno dei modi di essere dell‟ente e - precisamente - una delle
categorie accidentali che determinano la sostanza. In altri termini si può dire che chi
esiste propriamente, chi esercita l‟atto di essere, è l‟ente in quanto sostanza
ontologicamente costituita (un uomo, un albero, un animale, ecc.), ma questo ente è
soggetto a modificazioni che non lo annientano, ma ne modificano alcuni aspetti (sono
queste quelle che Aristotele chiama proprietà “accidentali”). Le qualità rappresentano
l‟insieme principale e più significativo delle proprietà accidentali (altre sono la
quantità, la relazione, ecc.), ma - in quanto categoria accidentale - non possono
contribuire a modificare la natura intima della persona umana, conferirle o toglierle
una dignità che le compete in quanto tale. Il contributo di Aristotele - pertanto - offre
una chiave di lettura metafisicamente avvertita della prospettiva personalista. In una
cultura dominata dalla categoria dell‟avere possiamo ritrovare la dicotomia tra essere
e avere anche nella riflessione sui fondamenti della bioetica e sui criteri di azione in
campo biomedico. Soprattutto nelle situazioni “di frontiera” vi è la tentazione di
applicare in modo assoluto la categoria dell‟avere, subordinando il riconoscimento del
valore di una persona a ciò che essa ha (in termini di “qualità della vita”), fa, o può
fare. A tale mentalità si oppone una logica centrata sull‟essere, in cui la persona ha
valore e dignità in forza di quello che è e non di quello che ha. Il bivio concettuale e
culturale è netto e profondo e ci sembra difficile individuare, di fronte a tale bivio,
soluzioni intermedie che possano salvare entrambe le posizioni.
Come Ercole, giunto al famoso “bivio”, ciascuno è chiamato a fare la propria scelta.
-------------------------------------------------------------------------------[1] Le grandi guerre mondiali, la diffusione di malattie infettive di proporzioni
epidemiche (come la terribile “spagnola”), l‟alta mortalità infantile, la bassa durata
media della vita caratterizzano ancora le condizioni di vita della prima metà del XX
secolo e si modificano radicalmente nella seconda metà, in cui si avvia - peraltro quel processo di risanamento economico che porterà al “boom” degli anni ‟60.
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DELLA SCIENZA ED IL SENTIRE DELL’UOMO
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[2] Cfr. J. Fletcher, Four Indicators of Humanhood, in “Hastings Center Report”, 4,
1975; cit. da S. Leone, La riflessione bioetica sulla qualità della vita, in: G. Russo (et
alii), Bioetica fondamentale e generale, SEI, Torino 1995.
[3] Simone Pollo, Qualità della vita, in Eugenio Lecaldano (cur.) “Dizionario di
Bioetica”, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 245-247 passim.
[4] Adriano Pessina, Bioetica. L‟uomo sperimentale, Bruno Mondadori, Milano 1999, p.
74.
[5] CEI, Evangelizzazione e cultura della vita umana, Roma, 1989, nn. 4 e 6.
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QUESTIONI DI BIOETICA: LA VITA TRA LE POSSIBILITÀ
DELLA SCIENZA ED IL SENTIRE DELL’UOMO
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Articolo n. 6
Andrea Porcarelli, “L’eutanasia nella storia”
da www.portaledibioetica.it
Premettiamo che una ricognizione storica significativa dovrebbe allargarsi soprattutto
all‟evoluzione dell‟idea della morte e del morire, soprattutto sul piano esistenziale, sia
in rapporto all‟esistenza che la persona ha vissuto, sia in rapporto alle aspettative di
una vita ultraterrena. Nel mondo greco, per esempio, erano presenti diverse
concezioni della vita ultraterrena, ma l‟espressione “buona morte” veniva utilizzata
prevalentemente in riferimento alle modalità con cui si concludeva l‟esperienza di una
vita: per un guerriero la buona morte è l‟eroica morte in battaglia (si pensi ad Ettore),
per un artigiano o un mercante potrebbe essere la morte serena, circondati dall‟affetto
dei propri cari. Nella cultura cristiana il concetto di “buona morte” è assorbito in quello
di “morte santa” e si riferisce alle modalità con cui ciascuno ha vissuto il proprio
rapporto con Dio nella vita terrena e si appresta (nel momento supremo) a viverlo
nella vita eterna: tanto è vero che la festa di coloro che sono stati proclamati santi si
celebra nel giorno della loro morte (quando questo è noto), in quanto “dies natalis”
della vita eterna. Anche in una cultura “laica” si può parlare di “buona morte”, sul
piano esistenziale, soprattutto in riferimento agli obiettivi che ci si era prefissi nella
propria vita, all‟eredità di affetti e di idee che si lascia alle generazioni che verranno,
al modo in cui ciascuno potrà sopravvivere nel ricordo dei propri simili. La disamina di
tali problematiche può essere utile complemento di un percorso didattico articolato,
ma ci porterebbe - in questa sede - troppo lontano.
Assumendo il termine eutanasia nel suo significato più ristretto, potremmo tentare di
farne una sorta di “storia” attraverso i secoli, individuando alcuni comportamenti che
presentano significative affinità con la pratica eutanasica odierna.
Nel mondo antico era già presente quella che potremmo chiamare eutanasia sociale,
nel senso che la società sopprimeva o abbandonava alla propria sorte persone che
potessero risultare un peso per essa. Tale pratica è attestata a Sparta, nel mondo
romano, ma anche in culture più arcaiche (come ad esempio tra le popolazioni
cannibali dell‟isola di Sumatra) e si può agevolmente supporre che i popoli primitivi
uccidessero o abbandonassero alla propria sorte tutti coloro che - in condizioni di vita
durissime - non apparivano in grado di resistere nella lotta per la sopravvivenza.
Ritornando al mondo greco possiamo ricordare un testo di Platone che, nel porre a
confronto le arti mediche con quelle giuridiche, scrive: “Allora, insieme con tale arte
giudiziaria, codificherai tu nel nostro stato anche la medicina nella forma da noi detta?
Così, tra i tuoi cittadini, esse cureranno quelli che siano naturalmente sani di corpo e
d‟anima. Quanto a quelli che non lo siano, i medici lasceranno morire chi è fisicamente
malato, i giudici faranno uccidere chi ha l‟anima naturalmente cattiva e inguaribile.”
[1]
D‟altro canto il medesimo autore si esprime in termini chiari contro il suicidio, anche
se sembra ammettere qualche eccezione; citiamo tra i diversi testi significativi quello
in cui Platone dichiara, di colui che si toglie la vita: “privandosi violentemente della
sorte assegnatagli dal destino, e che, senza che lo stato abbia ordinato per punizione
la sua morte, né che sia costretto da qualche acerba e inevitabile sciagura capitatagli,
né che sia colpito da qualche ignominia irreparabile e tale da rendere insopportabile la
vita, ma per dappocaggine e per ignavia, prodotta da debolezza di spirito, infligge a se
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DELLA SCIENZA ED IL SENTIRE DELL’UOMO
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stesso una pena ingiusta. (…) le tombe di coloro, che si sono distrutti in tal modo,
siano, in primo luogo, a solo e non in comune con gli altri, in secondo luogo siano essi
sepolti senza onori alle estremità delle dodici parti del paese, in luoghi incolti e senza
nome; né vi siano cippi o iscrizioni a indicare le loro tombe.” [2]
Aristotele, nell‟etica nicomachea, presenta il suicida come persona che commette
un‟ingiustizia nei confronti della città [3] ed affronta specificamente anche il caso dei
malati o in genere di chi è sottoposto a situazioni di particolare disagio, citandoli come
esempio mentre parla della virtù del coraggio: “Invece il morire per fuggire la povertà
o la passione amorosa o qualcosa di doloroso non è di un uomo coraggioso, ma
piuttosto di un vile: è infatti debolezza lo sfuggire ai travagli e chi s‟uccide agisce non
per affrontare una prova decorosa, bensì per fuggire un male.” [4]
Quanto al ruolo del medico in eventuali casi di “suicidio assistito” possiamo dire che da
un lato la prassi comune non escludeva questo tipo di azione, ma dall‟altro lato il
Giuramento di Ippocrate la esclude in modo categorico: “Non darò a nessuno farmaci
mortali, neppure se richiesto, né mai suggerirò di prenderne”.
Sul suicidio in generale vi sono diverse posizioni, da quella degli stoici che lo additano
come via d‟uscita non tanto rispetto ai mali della vita (questo sarebbe una viltà), ma
alla prospettiva di essere costretti a venir meno ai propri doveri di uomini virtuosi, a
Cicerone che, nel "Somnium Scipionis" (III, 7) così scrive: "Tu, o Publio, e tutte le
persone rette, dovete conservare la vostra vita e non dovete allontanarvi da essa
senza il comando di colui che ve l‟ha data, affinché non sembriate sottrarvi all‟ufficio
umano che Dio vi ha stabilito".
In età medievale la riflessione sulle virtù etiche del medico si evolve nella linea
segnata da Ippocrate e Galeno ed arricchendosi delle suggestioni che provengono
dalla cultura ebraico-cristiana. Anche il tema del suicidio viene affrontato in tale ottica
e, fin dai Padri della Chiesa, sono numerose le prese di posizione di quanti ne
sottolineano l‟assoluta inconciliabilità con la morale cristiana: l‟uomo non è padrone
della propria vita e non ne può disporre da arbitro assoluto. Tommaso d‟Aquino
esprime in modo lapidario le tre motivazioni per cui il suicidio è un atto moralmente
illecito, sia nell‟ottica della legge morale naturale, sia in quella della legge divina
positiva: „Il suicidio è assolutamente illecito per tre motivi. Primo, perché per natura
ogni essere ama se stesso; e ciò implica la tendenza innata a conservare se stessi e a
resistere per quanto è possibile a quanto potrebbe distruggerci. (…) Secondo, perché
la parte è essenzialmente qualche cosa del tutto; ora, ciascun uomo è parte della
società; e quindi è essenzialmente della collettività. Perciò uccidendosi fa un torto alla
società, come insegna il Filosofo. Terzo, la vita è un dono divino, che rimane in potere
di colui il quale “fa vivere e fa morire”. Perciò chi priva se stesso della vita pecca
contro Dio (…). Infatti a Dio soltanto appartiene il giudizio di vita e di morte, secondo
le parole della Scrittura: “Sono io a far morire e a far vivere.‟“[5]
L‟età moderna si presenta con diversi volti e non è possibile ricondurla univocamente
ad un unico filone di pensiero. Da un lato prosegue la linea di pensiero che vede nel
suicidio un atto immorale e contrario al bene comune della società, dall‟altro lato vi
sono alcuni pensatori che sviluppano posizioni differenti, come ad esempio David
Hume [6]. Posizione nettamente contraria al suicidio è espressa da Immanuel Kant,
sulla base di argomentazioni “laiche” [7] che si fondano sulla necessità di rispettare
quell‟ordine morale su cui si fondano tutti i doveri dell‟uomo.
Sul versante che più ci interessa, dell‟eutanasia in senso stretto, compare anche il
termine in modo esplicito ed il suo uso sembra certo che risalga ad uno scritto di
Francesco Bacone del 1605: “Dirò inoltre, insistendo su questo argomento, che il
compito del medico non è solo quello di ristabilire la salute, ma anche quello di
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calmare i dolori e le sofferenze legate alle malattie; e questo non solo perché questo
alleviamento del dolore, considerato un sintomo pericoloso, contribuisce alla
guarigione e conduce alla convalescenza, ma inoltre per poter procurare al malato,
quando non c‟è più speranza, una morte dolce e tranquilla; questa eutanasia è una
parte non trascurabile della felicità (…). Ma nel nostro tempo sembra che i medici
ritengano loro dovere abbandonare i malati al momento della fine; contrariamente alla
mia opinione, se essi fossero zelanti nell‟adempiere il proprio dovere e di conseguenza
rispettassero i propri doveri nonché le esigenze della propria professione, non
risparmierebbero nessuna cura per aiutare gli agonizzanti ad uscire da questo mondo
con maggior dolcezza e facilità. Ora, questa ricerca la qualifichiamo ricerca
sull‟eutanasia esteriore, che distinguiamo da quell‟altra eutanasia che si riferisce alla
preparazione dell‟anima e che poniamo fra le nostre raccomandazioni.” [8]
Va osservato come anche in questo testo, pur tenendo conto dell‟evoluzione del
dibattito sul suicidio a cui abbiamo sommariamente accennato, il termine “eutanasia”
viene utilizzato in riferimento ad un‟idea di “buona morte” che nulla ha a che vedere
con le odierne proposte di legalizzazione della medesima, ma si collega ancora all‟idea
di un accompagnamento del morente nel momento supremo della sua esistenza.
In età contemporanea, soprattutto nel XX secolo, cresce in genere la domanda
eutanasica e l‟eutanasia sociale viene praticata in modo più massiccio. Nel 1906 il
parlamento dell‟Ohio presentò il testo di una legge sull‟eutanasia su richiesta (che fu
respinto dal Consiglio Superiore), analoga proposta fu presentata nel 1936 a Londra
da “Vesper” (Società per l‟eutanasia volontaria, nata nel 1935 ad opera di Lord
Moynihan e del Dr Killick Millard), ma il progetto fu respinto dalla Camera dei Lords.
Nel 1938 nasce la Società Americana per l‟eutanasia volontaria, a New York, ad opera
del rev.do Charles Potter.
Alla domanda sociale di eutanasia, portata avanti da alcuni gruppi di pressione, fa
riscontro un riemergere di quella che possiamo chiamare eutanasia sociale, già
presente nel mondo antico e che assume in età contemporanea forme nuove, anche
sul piano giuridico.
Per affrontare tale tema, possiamo sviluppare in modo più analitico l‟esempio
paradigmatico della Germania [9], anche prima dell‟avvento del regime nazista. Già
durante la Grande Guerra si assiste - come in molti altri Paesi - ad un‟impennata delle
morti dei malati cronici presenti negli ospedali, anche a motivo della scarsità di cibo
che rendeva oneroso nutrire tante “bocche inutili”. Nel 1920 viene pubblicato un libro,
di Alfred Hoche e Karl Binding, dal titolo „L'autorizzazione all'eliminazione delle vite
non più degne di essere vissute‟, che - secondo gli autori - sono in se stesse luogo di
sofferenza e provocano sofferenza ai parenti e danno economico allo stato che, quale
arbitro della distribuzione delle ricchezze, avrebbe dovuto autorizzarne l‟uccisione. La
motivazione economica, portata all‟interno del dibattito tra gli scienziati, non fu
certamente sufficiente a motivare un‟azione effettiva e sistematica, che invece venne
con il progetto eugenetico nazista che collegava la necessità di eutanasia sociale nei
confronti di alcune categorie di persone con quella di preservare la purezza della razza
ariana. Il primo passo verso l'attuazione del piano eugenetico si ebbe nel 1933 con
l'emanazione della "Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da
malattie ereditarie". La legge venne discussa il 14 luglio. Poiché il 20 luglio si sarebbe
dovuto firmare il Concordato tra Chiesa Cattolica e Stato Nazista si ritenne
politicamente più opportuno promulgarla ufficialmente il 25 luglio successivo. L'8
ottobre 1935 venne emanata una seconda legge per "La salvaguardia della salute
ereditaria del popolo tedesco". Con essa si autorizzava l'aborto nel caso in cui uno dei
genitori fosse affetto da malattie ereditarie. Parallelamente venne varata un‟intensa
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campagna di propaganda mirante a convincere il popolo tedesco dell‟opportunità
sociale e dell‟intrinseca bontà delle pratiche eugenetiche (sterilizzazione ed
eutanasia), venne anche creata la "Commissione del Reich per la salute del popolo"
che si dedicò all'organizzazione della propaganda nelle scuole, negli uffici pubblici e
nel Partito Nazista. La Direzione Sanitaria del Reich creò in tutta la Germania circa 500
"Centri di consulenza per la protezione del patrimonio genetico e della razza". I medici
che li dirigevano furono incaricati di raccogliere tutti i dati necessari per stimare quale
parte della popolazione dovesse essere sterilizzata e controllare le nascite di bambini
deformi o psichicamente disabili. Si giunge così alla preparazione prossima dei
provvedimenti direttamente eutanasici nei confronti di quei bambini che il
“monitoraggio” aveva individuato. A dare inizio al processo di eutanasia fu un ordine
scritto di Adolf Hitler retro-datato al 1° settembre 1939 (in realtà emanato in ottobre)
su carta intestata della Cancelleria. Il testo recitava:
"Il Reichsleiter Bouhler e il dottor Brandt sono incaricati, sotto la propria
responsabilità, di estendere le competenze di alcuni medici da loro nominati,
autorizzandoli a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo
l'umano giudizio, previa valutazione critica del loro stato di malattia." [10]
In tal modo la pratica di eliminazione fisica dei malati gravi e dei minorati psichici
trovava la sua “copertura giuridica”, pur essendo già iniziata in modo strisciante da
alcuni mesi, nei centri sopra citati. Venne subito creato un centro di coordinamento
dell‟intera operazione che trovò la sua sede in un villino espropriato ad un ebreo, a
Berlino in Tiergartenstrasse n. 4 (di qui il nome in codice dell‟intera operazione:
“Aktion T4”). La procedura può essere riassunta in alcuni passaggi essenziali:
invio, a tutti i responsabili di ospedali psichiatrici, di generici questionari,
apparentemente miranti a censire la capacità lavorativa dei soggetti inabili;
sulla base dell‟analisi di tali questionari (senza visitare il malato) una
commissione di esperti decideva quali dovessero essere soppressi;
tali persone venivano poi prelevate dagli ospedali, trasportate (con pullman dai
finestrini oscurati) nei centri di eliminazione (di cui non si comunicava la
destinazione e scelti in genere lontani dal luogo di cura, per depistare i parenti
delle vittime), dove erano state predisposte delle camere a gas mascherate da
docce e si procedeva all‟uccisione;
ai parenti veniva inviata una lettera standard che annunciava la morte per una
causa qualsiasi. Si avvertiva che per ragioni sanitarie il cadavere era stato
cremato e si avvertiva che l'urna con le ceneri era a disposizione.
Tra il 1940 e il 1941 furono eliminati in questo modo più di 70.000 malati psichici nei
cinque centri di eliminazione, prima che Hitler - a motivo del montare delle proteste
dopo che la cosa iniziò ad emergere alla luce del sole - non la sospese nel 1941. In
realtà l‟azione non fu realmente sospesa, ma semplicemente trasformata in altra
azione (Aktion 14F13) condotta direttamente dalle SS (da Himmler) in collegamento
con le azioni che si svolgevano nei campi di concentramento che nel frattempo erano
stati istituiti ed in cui - assieme alle persone afflitte da varie forme di malattia vennero soppresse anche persone divenute nel frattempo inabili al lavoro o persone
sane di cui si decise la soppressione. Si può osservare come l‟operazione T4 abbia
avuto anche il ruolo di fornire una “palestra” in cui sperimentare metodiche di
uccisione di massa di persone adulte che vennero immediatamente impiegate per
realizzare la “soluzione finale”, senza soluzione di continuità: il personale che era stato
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impiegato nell‟azione T4 venne in genere trasferito dai centri di soppressione dei
malati psichici ai campi di sterminio.
Nell‟immediato secondo dopoguerra, essendo venuti alla luce - grazie al processo di
Norimberga - i fatti di cui si è detto sopra, si è assistito ad un periodo di relativa
cautela nel portare avanti le istanze eutanasiche, anche perché il collegamento con le
stragi naziste risultava molto immediato. Il dibattito sull‟eutanasia volontaria, in ogni
caso, non si interrompe ma prosegue con tanto maggiore intensità quanto più i
progressi della medicina consentono la sopravvivenza (talora in condizioni fisiche
piuttosto precarie) di persone che in altre epoche non sarebbero riuscite a
sopravvivere. Soprattutto negli anni 1955-1960 si sviluppano tecniche di rianimazione
tali da mettere in discussione anche le precedenti metodiche per l‟accertamento della
morte, così come si pone il problema dello status dei pazienti in “stato vegetativo
persistente” [11]. Di fronte a tali nuove sfide riprende slancio l‟attività dei movimenti
pro-eutanasia [12], che si sono fatti promotori di iniziative miranti sia a far accettare
tale pratica a livello di costume, sia - soprattutto - a legalizzarla. Segnaliamo alcuni
punti di riferimento che possono essere utili:
1967 - Luis Kutner conia l‟espressione “Living will” per designare il rifiuto di
alcune forme di terapie, da allora inizia una forte campagna di diffusione di
questi “testamenti biologici” (così viene abitualmente tradotta l‟espressione in
lingua italiana) che in molti casi si configurano come vere e proprie richieste di
“eutanasia passiva”;
1973 - nascono in Olanda società per l‟eutanasia volontaria;
1976 - analoghe società vengono costituite in Germania e Giappone; si tiene a Tokyo - il primo incontro internazionale delle società per l‟eutanasia
volontaria;
1980 - nasce la World Federation of Right-to-Die Societies, costituta ad Oxford
(Inghilterra) a partire da 27 gruppi appartenenti a 18 nazioni;
1980 (5 maggio) - viene resa pubblica la “Dichiarazione sull‟eutanasia” della
Sacra Congregazione per la dottrina della fede (Chiesa Cattolica) che esprime
una netta condanna di tale pratica;
1983 - viene resa pubblica la “Dichiarazione sulla fase finale della malattia”
dell‟Associazione Medica Mondiale, che ancora ribadisce la necessità di curare le
persone sofferenti senza sopprimerle;
1984 - la Suprema corte olandese approva la pratica dell‟eutanasia, a
determinate condizioni;
1991 - il Congresso degli Stati Uniti approva il "Patient Self-Determination Act",
che impone agli ospedali il rispetto dei “living wills”; l‟anno successivo è
l‟Associazione Medica britannica a dichiarare il proprio supporto ai living wills;
1996 - il governo del Territorio dell‟Australia del Nord approva la prima legge
che consente l‟eutanasia attiva volontaria, che viene però soppressa nel 1997
dal Parlamento Federale australiano;
1998 - in Cina il governo ha autorizzato la soppressione dei malati terminali;
2001 (10 aprile) - viene approvata la legge che legalizza l‟eutanasia in Olanda;
2002 (23 settembre) - entra in vigore la legge che legalizza l‟eutanasia in
Belgio.
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La situazione attuale è quindi piuttosto dinamica, con un dibattito teorico
sull‟eutanasia che appassiona gli esperti di bioetica e rimbalza sovente sui massmedia, ma anche con azioni di tipo politico e culturale che pongono principi o
modificano la situazione dal punto di vista legislativo. Si fa particolarmente urgente la
necessità di tenere vigile il proprio spirito critico.
-------------------------------------------------------------------------------[1] Platone, Repubblica, 409e - 410a.
[2] Platone, Leggi, IX, 873 c-d.
[3] Cfr. Libro V, 1138 a.
[4] Aristotele, Etica nicomachea, III, 116 a.
[5] Tommaso D‟Aquino, Summa Theologiae, II-II, qu. 64, art. 5, c.
[6] In un saggio Sul suicidio, pubblicato postumo nel 1777, offre una sua libera
interpretazione del concetto di Provvidenza, obiettando alle argomentazioni teologiche
di condanna del suicidio con l‟argomento (del tutto lontano dalla prospettiva cristiana)
per cui se la Provvidenza governa molte cause, tra di esse potrebbe esserci anche
l‟atto di un suicida.
[7] Cfr. Metafisica dei costumi, tr. it. Laterza, Roma-Bari 1991, III ed., p. 279.
[8]
Cit. da Patrick Verspieren, Eutanasia? Dall‟accanimento terapeutico
all‟accompagnamento dei morenti, Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1985, pp. 137138.
[9]
Cfr.
il
percorso
didattico
che
si
trova
all‟URL
http://www.olokaustos.org/argomenti/eutanasia/eutanasia1.htm,
nel
sito
dell‟associazione “Olokaustos”, interamente dedicato a ricerche, banche dati e percorsi
didattici sul tema evocato dal nome stesso dell‟associazione.
[10] Cit. in: http://www.olokaustos.org/argomenti/eutanasia/eutanasia5.htm, dove si
trova anche copia fotografica del documento originale in tedesco.
[11] Già l‟uso di questa terminologia sottintende un implicito giudizio di valore - di
segno negativo - sulla dignità della persona che si trova in tale condizione e di cui
talora si dice, non senza una buona dose di brutalità, che si trova a vivere “come un
vegetale”, quasi per giustificare l‟invocazione della “uccisione pietosa”.
[12] Cfr. http://www.euthanasia.org, sito internazionale dell‟associazione “Exit”, che
rappresenta il nome assunto nel 2000 dalla VESS (Società per l‟eutanasia volontaria
della Scozia), da cui desumiamo anche alcuni dati circa le tappe storiche del dibattito.
Cfr. anche http://www.finalexit.org (sito dell‟organizzazione ERGO, americana).
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Articolo n. 7
Enzo Bianchi,
Englaro”
“Bioetica e scontro politico: i giorni cattivi del caso
da La Stampa, 15 Febbraio 2009
Guida alla lettura
Enzo Bianchi ha scritto questo articolo pochi giorni dopo la morte di Eluana Englaro,
avvenuta lo scorso 9 febbraio. Con la franchezza che lo contraddistingue, e che –
come monaco – gli deriva dall‟adesione al solo Vangelo, e a nessun‟altra delle “verità”
del mondo, Bianchi traccia un quadro impietoso dello «scontro incivile, una gazzarra
indegna dello stile cristiano» che ha accompagnato gli ultimi mesi dell‟infelice donna.
E sottolinea come i cristiani, pur credendo che la vita non possa essere spenta da
nessuno, debbano operare con rispetto e semplicità con quanti non condividono la loro
fede «affinché la società ritrovi un‟etica condivisa e ciascuno possa vivere e morire
nell‟amore e nella libertà».
Come noto, il dibattito sulla sorte di Eluana Englaro ha riguardato la sospensione
dell‟alimentazione e dell‟idratazione, e in particolare se considerarle una forma di
terapia o un sostentamento vitale di base.
Nell‟ipotesi in cui la nutrizione artificiale venga considerata una terapia (e quindi,
potenzialmente, degenerabile in accanimento terapeutico), la possibilità legale della
sospensione troverebbe riscontro nell‟articolo 32 della Costituzione Italiana («Nessuno
può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione
di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana») e nell‟articolo 51 (“Rifiuto consapevole di nutrirsi”) del Codice di
Deontologia Medica della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e
degli Odontoiatri, che afferma: «Quando una persona, sana di mente, rifiuta
volontariamente e consapevolmente di nutrirsi, il medico ha il dovere di informarla
sulle conseguenze che tale decisione può comportare sulle sue condizioni di salute. Se
la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico
non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di
nutrizione artificiale, ma deve continuare ad assisterla».
In assenza di una esplicita manifestazione della volontà del paziente, l‟articolo 34
(“Autonomia del cittadino”) del medesimo Codice afferma che il medico «se il paziente
non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non
può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso», e ciò in
aderenza all‟articolo 9 della “Convenzione per la protezione dei diritti dell‟uomo e della
dignità dell‟essere umano nei confronti dell‟applicazioni della biologia e della medicina”
(nota anche come Convenzione Europea di Bioetica), promulgata dal Consiglio
d‟Europa il 4 aprile 1997 e ratificata dal Parlamento Italiano con la legge n. 145 del 28
marzo 2001.
Tale orientamento (nutrizione artificiale come terapia) è quello che, nello caso
specifico della signora Englaro, ha indotto la Corte d‟Appello ad autorizzare la
sospensione del trattamento.
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Se invece si considera la nutrizione artificiale alla stregua di un sostentamento vitale,
la sua sospensione si configurerebbe come una forma di eutanasia, poiché il paziente
non morirebbe per le conseguenze dirette della patologia, come accade per
l‟interruzione di una cura, ma per l‟omissione di una forma di sostegno.
A livello internazionale, l‟interpretazione prevalente è quella di considerare
l‟alimentazione e l‟idratazione forzata, anche nel caso di persone in stato vegetativo
persistente (SVP), come un trattamento medico liberamente rifiutabile dal paziente o
dal suo rappresentante legale: si veda, ad esempio, la sentenza emessa dalla Corte
Suprema statunitense nel caso di Terri Schiavo.
In Italia il Comitato Nazionale per la Bioetica si esprime invece in modo più articolato.
L‟articolo 9 del documento “L‟alimentazione e l‟idratazione dei pazienti in stato
vegetativo persistente”, approvato il 30 settembre 2005, afferma in sintesi che:
- la vita umana va considerata un valore indisponibile, indipendentemente dal livello di
salute, di percezione della qualità della vita, di autonomia o di capacità di intendere e
di volere;
- l‟idratazione e la nutrizione di pazienti in stato vegetativo persistente vanno
ordinariamente considerate alla stregua di un sostentamento vitale di base;
- la loro sospensione è da considerarsi lecita sulla base di parametri obiettivi e quando
realizzi l‟ipotesi di un autentico accanimento terapeutico; è invece da considerarsi
illecita tutte le volte che venga effettuata, non sulla base delle effettive esigenze della
persona interessata, bensì sulla base della percezione che altri hanno della qualità
della vita del paziente.
Anche la discussione politica italiana sul cosiddetto “testamento biologico” si è
prevalentemente concentrata, per effetto della vicenda di Eluana Englaro, sulla
questione della nutrizione artificiale e sulla possibilità etica e legale di interrompere
tale trattamento. Il progetto di legge formulato dalla maggioranza parlamentare,
considerando l‟idratazione e l‟alimentazione come un sostegno vitale, sembra
escludere ogni possibilità di richiederne o deciderne l‟interruzione; per contro, le forze
di opposizione le considerano forme di terapia e, come tali, riconducibili all‟ambito di
autodeterminazione del paziente.
Le informazioni tecnico-legali contenute in questo commento sono state tratte e
rielaborate il 17 giugno 2009 da: Wikipedia, l‟enciclopedia libera - Eluana Englaro
“C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”, ammoniva Qohelet, così come “c’è
un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per uccidere e un tempo per
guarire...”. Veniamo da settimane in cui questa antica sapienza umana – prima ancora
che biblica – è parsa dimenticata: anche tra i pochi che parlavano per invocare il
silenzio v’era chi sembrava mosso più che altro dal desiderio di far tacere quanti la
pensavano diversamente da lui. Soprattutto si è avuto l’impressione che l’insieme
della nostra società non avesse certezze condivise sulla scansione dei diversi “tempi” e
sul significato dei diversi verbi usati da Qohelet a indicare lo scorrere dell’esistenza
umana: quando è “tempo” per questo o per quell’altro? E cosa significa parlare,
morire, uccidere, guarire? Uno smarrimento di senso condiviso che ha coinvolto anche
parole forti attinenti ai principi fondamentali dell’etica: dignità, libertà, volontà,
rispetto, carità, vita...
Le settimane appena trascorse saranno sicuramente ricordate come “giorni cattivi” da
molti cristiani, ma anche da molti uomini e donne non cristiani che tentano ogni
giorno di rinnovare la loro ricerca di senso, soprattutto attraverso la faticosa lotta
dell’amare in verità e dal lasciarsi amare da quanti sono loro accanto. “Giorni cattivi” è
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un’espressione biblica che indica tempi privi di una parola da parte di Dio, da parte dei
suoi profeti e quindi anche privi di parole umane sincere, vere, autentiche: tempi in
cui si fa silenzio per non aumentare il rumore, la rissa, l’aggressione nella comunità
umana e per evitare che parole sensate vengano triturate insieme alle insensate e non
si riesca poi più a recuperarle per giorni migliori. Per questo molti hanno preferito il
silenzio. Da parte mia, ho preferito fare silenzio anzi, soffrire in silenzio aspettando
l’ora in cui fosse forse possibile – ma non è certo – dire una parola udibile.
Attorno all’agonia lunga diciassette anni di una donna, attorno al dramma di una
famiglia nella sofferenza, si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna
dello stile cristiano: giorno dopo giorno, nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e
dalla mia fedeltà alla terra e all’umanità di cui sono parte, constatavo una violenza
verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede cristiana. Non potevo
ascoltare quelle grida – “assassini”, “boia”, “lasciatela a noi”... – senza pensare a
Gesù di Nazaret che, quando gli hanno portato una donna gridando “adultera”, ha
fatto silenzio a lungo, per poterle dire a un certo punto: “Donna (e non “adultera”),
neppure io ti condanno: va’ e non peccare più”; non riuscivo ad ascoltare quelle urla
minacciose senza pensare a Gesù che in croce non urla “ladro, assassino!” al brigante
non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di colpevole e
il supplizio. Che senso ha per un cristiano recitare rosari e insultare? O pregare
ostentatamente in piazza con uno stile da manifestazione politica o sindacale?
Ma accanto a queste contraddizioni laceranti, come non soffrire per la
strumentalizzazione politica dell’agonia di questa donna? Una politica che arriva in
ritardo nello svolgere il ruolo che le è proprio – offrire un quadro legislativo adeguato
e condiviso per tematiche così sensibili – e che brutalmente invade lo spazio più
intimo e personale al solo fine del potere; una politica che si finge al servizio di
un’etica superiore, l’etica cristiana, e che cerca, con il compiacimento anche di
cattolici, di trasformare il cristianesimo in religione civile. L’abbiamo detto e scritto più
volte: se mai la fede cristiana venisse declinata come religione civile, non solo
perderebbe la sua capacità profetica, ma sarebbe ridotta a cappellania del potente di
turno, diverrebbe sale senza più sapore secondo le parole di Gesù, incapace di stare
nel mondo facendo memoria del suo Signore.
E’ avvenuto quanto più volte avevo intravisto e temuto: lo scontro di civiltà
preconizzato da Huntington non si è consumato come scontro di religioni ma come
scontro di etiche, con gli effetti devastanti di una maggiore divisione e
contrapposizione nella polis e, va detto, anche nella chiesa. Da questi “giorni cattivi”
usciamo più divisi e non certo per quella separazione in nome di Cristo che, con il
comandamento nuovo dell’amore da estendersi fino ai nemici, può provocare divisione
anche tra genitori e figli, all’interno della famiglia o della “casa” di appartenenza.
Abbiamo invece conosciuto divisione in nome di quel male che affligge l’umanità e che
trasforma la diversità in demonizzazione dell’altro, muta l’avversario in nemico,
interrompe o nega il confronto e il dialogo, dando origine a posizioni ideologiche
capaci di violenza prima verbale, poi fisica e sociale. Da un lato il fondamentalismo
religioso che cresce, dall’altro un nichilismo che rigetta ogni etica condivisa fanno sì
che cessi l’ascolto reciproco e la società sia sempre più segnata dalla barbarie.
Per chi come me ha pensato di dedicare tutte le fatiche alla ricerca del dialogo, del
confronto, del faticoso cammino verso la comunione, innanzitutto nello spazio
cristiano e poi tra gli uomini, e in questo sforzo sentiva di poter rendere conto della
speranza cristiana che lo abita e di annunciare il vangelo che lo anima, questi giorni
sono davvero cattivi...
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Sì, ci sono state anche voci di compassione, ma nel clamore generale sono passate
quasi inascoltate... Molti mass media in realtà sono apparsi ostaggio di una battaglia
frontale in cui nessuno dei contendenti si è risparmiato mezzi ingiustificabili dal fine.
Eppure, di vita e di morte si trattava, realtà intimamente unite e pertanto non
attribuibili in esclusiva a un campo o all’altro, a una cultura o a un’altra. La morte
resta un enigma per tutti, diviene mistero per i credenti: un evento che non deve
essere rimosso, ma che dà alla nostra vita il suo limite e fornisce le ragioni della
responsabilità personale e sociale; un evento che tutti ci minaccia e tutti ci attende
come esito finale della vita e, quindi, parte della vita stessa, un evento da viversi
perciò soprattutto nell’amore: amore per chi resta e accettazione dell’amore che si
riceve. Sì, questa è la sola verità che dovremmo cercare di vivere nella morte e
accanto a chi muore, anche quando questo risulta difficile e faticoso. Infatti la morte
non è sempre quella di un uomo o una donna che, sazi di giorni, si spengono quasi
naturalmente come candela, circondati dagli affetti più cari. No, a volte è “agonia”,
lotta dolorosa, perfino abbrutente a causa della sofferenza fisica; oggi è sempre più
spesso consegnata alla scienza medica, alla tecnica, alle strutture e ai macchinari...
Che dire a questo proposito? La vita è un dono e non una preda: nessuno si dà la vita
da se stesso, né può conquistarla con la forza. Nello spazio della fede i credenti,
accanto alla speranza nella vita in Dio oltre la morte, hanno la consapevolezza che
questo dono viene da Dio: ricevuta da lui, a lui va ridata con un atto puntuale di
obbedienza, cercando, a volte anche a fatica, di ringraziare Dio: “Ti ringrazio, mio Dio,
di avermi creato...”. Ma il credente sa che molti cristiani di fronte a quell’incontro
finale con Dio hanno deciso di pronunciare un “sì” che comportava la rinuncia ad
accanirsi per ritardare il momento di quel faccia a faccia temuto e sperato. Quanti
monaci, quante donne e uomini santi, di fronte alla morte hanno chiesto di restare soli
e di cibarsi solo dell’eucarestia, quanti hanno recitato il “Nunc dimittis”, il “Lascia
andare, o Signore, il tuo servo”, come ultima preghiera nell’attesa dell’incontro con
colui che hanno tanto cercato... Negli anni più vicini a noi, pensiamo al patriarca
Athenagoras I e a papa Giovanni Paolo II: due cristiani, due vescovi, due capi di
chiese che hanno voluto e saputo spegnersi acconsentendo alla chiamata di Dio,
facendo della morte l’estremo atto di obbedienza nell’amore al loro Signore.
Testimonianze come queste sono il patrimonio prezioso che la chiesa può offrire anche
a chi non crede, come segno grande di un anticipo della vittoria sull’ultimo nemico del
genere umano, la morte. Voci come queste avremmo voluto che accompagnassero il
silenzio di rispetto e compassione in questi giorni cattivi assordati da un vociare
indegno. La chiesa cattolica e tutte le chiese cristiane sono convinte di dover
affermare pubblicamente e soprattutto di testimoniare con il vissuto che la vita non
può essere tolta o spenta da nessuno e che, dal concepimento alla morte naturale
essa ha un valore che nessun uomo può contraddire o negare; ma i cristiani in questo
impegno non devono mai contraddire quello stile che Gesù ha richiesto ai suoi
discepoli: uno stile che pur nella fermezza deve mostrare misericordia e compassione
senza mai diventare disprezzo e condanna di chi pensa diversamente.
Allora, da una millenaria tradizione di amore per la vita, di accettazione della morte e
di fede nella risurrezione possono nascere parole in grado di rispondere agli inediti
interrogativi che il progresso delle scienze e delle tecniche mediche pongono al
limitare in cui vita e morte si incontrano. Così le riassumeva la lettera pontificale di
Paolo VI indirizzata ai medici cattolici nel 1970: “Il carattere sacro della vita è ciò che
impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con
tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia
obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza
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instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre
la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel
caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece
di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi
condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il
suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore,
attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo.
Anche in questo il medico deve rispettare la vita”.
Ecco, questo è il contributo che con rispetto e semplicità i cristiani possono offrire a
quanti non condividono la loro fede affinché la società ritrovi un’etica condivisa e
ciascuno possa vivere e morire nell’amore e nella libertà.
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Articolo n. 8
Testamento biologico, ecco la legge - Non vincolante e solo se il
cervello è spento
Fine vita, regolamento di otto punti. No all'eutanasia e validità delle Dat solo
in caso di assenza di attività cerebrale, comunque non obbligatorie per
l'azione del medico
da www.repubblica.it, 12 Luglio 2011
ROMA - I punti salienti della legge sul testamento biologico approvata oggi alla
Camera, che per il varo definitivo dovrà tornare al Senato, sono almeno due: le
dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) non sono vincolanti per i medici ed
escludono la possibilità di sospendere nutrizione e idratazione, salvo in casi terminali.
Inoltre, sono applicabili solo se il paziente ha un'accertata assenza di attività
cerebrale.
Otto sezioni. Il testo si compone di otto articoli, inizialmente erano nove, ma l'ottavo
è stato soppresso da un emendamento del pdl su "autorizzazione giudiziaria".
No allo stop alimentazione e idratazione. Il primo "riconosce e tutela la vita
umana, quale diritto inviolabile e indisponibile, garantito anche nella fase terminale
dell'esistenza e nell'ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di
volere, fino alla morte accertata nei modi di legge", e vieta esplicitamente "ogni forma
di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio, considerando l'attività
medica e quella di assistenza alle persone esclusivamente finalizzate alla tutela della
vita e della salute nonchè all'alleviamento della sofferenza".
Il secondo articolo è quello sul 'consenso informato': "Salvo i casi previsti dalla
legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito ed
attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole".
Modalità delle Dat. L'articolo 3, il cuore della legge, definisce i limiti e le modalità
delle dichiarazioni anticipate di trattamento, nelle quali il dichiarante "esprime
orientamenti e informazioni utili per il medico, circa l'attivazione di trattamenti
terapeutici purchè in conformità a quanto prescritto dalla presente legge". E' una delle
modifiche dell'ultim'ora: la legge prevede in sostanza che il paziente possa dichiarare
esplicitamente quali trattamenti ricevere, ma non escludere quelli a cui non desidera
essere sottoposto. In ogni caso il testo ribadisce che alimentazione e idratazione
"devono essere mantenute fino al termine della vita, ad eccezione del caso in cui le
medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari
alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo. Esse non possono formare oggetto di
dichiarazione anticipata di trattamento".
Altra modifica di oggi, tra le polemiche dell'opposizione, la riduzione di fatto della
"platea": l'applicazione dei biotestamento scatta solo per chi è "nell'incapacità
permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue
conseguenze per accertata assenza di attività cerebrale integrativa corticosottocorticale e, pertanto, non può assumere decisioni che lo riguardano". Il quarto
articolo stabilisce che le DAT hanno valore per 5 anni e sono rinnovabili.
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Assistenza agli stati vegetativi. Il quinto articolo prevede che entro 2 mesi dal varo
dela legge vengano istituite dal ministero della Salute "linee guida cui le regioni si
conformano" per "assicurare l'assistenza ospedaliera, residenziale e domiciliare per i
soggetti in stato vegetativo".
Familiari. Il sesto articolo fissa la figura del fiduciario nominato dal dichiarante,
"l'unico soggetto legalmente autorizzato ad interagire con il medico". Se un paziente
non dovesse nominare un fiduciario (che può essere sostituito in qualsiasi momento e,
se nominato, è l'unico legalmente autorizzato a interagire con il medico sulla dat) i
suoi compiti saranno adempiuti dai familiari nell'ordine previsto dal codice civile.
Dat non vincolanti. Il settimo sancisce che il biotestamento non sarà vincolante per
il medico: "Gli orientamenti espressi dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di
trattamento - si legge infatti nel testo - sono presi in considerazione dal medico
curante che, sentito il fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali
ritiene di seguirle o meno". Soppresso invece il collegio dei medici, inizialmente
previsto per dirimere eventuali controversie tra medico e fiduciario.
Registro nazionale. Infine, l'articolo 8 istituisce il registro delle DAT "nell'ambito di
un archivio unico nazionale informatico. Il titolare del trattamento dei dati contenuti
nel predetto archivio è il Ministero della Salute".
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Bibliografia
Libro : Bioetica e famiglia
Autore: Maria Luisa Di Pietro
Editore: Lateran University Press
Anno: 2008
Libro : Eutanasia e diritto.
Confronto tra discipline
Autore: Canestrari S.;
Cimbalo G.; Pappalardo G.
Editore: Giappichelli
Anno: 2003
Libro : La laicità al tempo della bioetica
Autore: Mancina Claudia
Editore: Il mulino
Anno: 2009
Libro : Bioetica
Autore: D‟Agostino Francesco, Palazzani Laura
Editore: La scuola
Anno: 2007
Libro : Aborto & 194. Fenomenologia di una
legge ingiusta
Autore: Palmaro Mario
Editore: SugarCo
Anno: 2008
Libro: Manuale di bioetica
Autore: Mori Maurizio
Editore: Le lettere
Anno: 2010
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Libro: Procreazione assistita e fecondazione artificiale tra
scienza, bioetica e diritto
Autore: Di Pietro M. Luisa, Sgreccia Elio, 1999, La Scuola
Editore: La scuola
Anno: 1999
Libro: Bioetica. Storia, problemi, scenari
Autore: Risio Loreta
Editore: Aracne
Anno: 2009
Libro: Bioetica e laicità. Nuove
dimensioni della persona.
Autore: Rodotà S.; Rimoli F.
Editore: Carocci
Anno: 2009
Libro: Bioetica. Le domande, i conflitti, le leggi
Autore: Semplici S.
Editore: Morcelliana
Anno: 2007
Libro: Laicità debole e laicità forte. Il contributo
della bioetica al dibattito sulla laicità
Autore: Fornero G.
Editore: Mondadori Bruno
Anno: 2008
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Filmografia
Mare Dentro di Alejandro Amenàbar. Spagna, 2004 (125').
La vera storia di Ramón Sampedro, tetraplegico spagnolo, che combattè a
30 anni la campagna in favore dell'eutanasia e per il proprio diritto a
morire.
Risvegli di Penny Marshall. Usa 1990 (121')
C‟è un chiaro confine tra la vita e la morte? E‟ uno stato vegetativo
permanente è, nonostante tutto, una vita degna di essere vissuta? Il film
ripercorre uno dei venti episodi del libro di Oliver Sacks e vede Robert De
Niro nei panni di un paziente che sopravvive ad una grave epidemia
(malattia del sonno).
Il segreto di Vera Drake di Mike Leigh. Gran Bretagna 2004 (125')
Il film ripercorre la storia dell'eclatante caso giudiziario di Vera Drake,
donna della piccola borghesia che procurava aborti clandestini
nell'Inghilterra degli anni '50.
4 mesi, 3 settimane e 2 giorni di Cristian Mungiu. Romania 2007 (113')
Otilia e Gabjta sono due studentesse universitarie che alloggiano nel
dormitorio di una città romena. Siamo negli anni che precedono la caduta
del regime di Ceausescu e Gabjta affitta una stanza d'albergo in un hotel di
bassa categoria. Ha un motivo preciso: con l'assistenza dell'amica ha
deciso di abortire grazie anche all'intervento di un medico che però rischia
l'arresto, essendo l'interruzione procurata della gravidanza un reato. Otilia
resta a fianco dell'amica soffrendo intimamente per quanto sta accadendo
e scoprendo progressivamente la fragilità della sua condizione umana.
Di chi è la mia vita? di John Badham. Usa 1981 (118')
Completamente paralizzato e ridotto a tronco che vegeta in ospedale dopo
un incidente d'auto, un giovane scultore ha un'idea fissa: farla finita.
Incarica un avvocato di querelare l'ospedale perché lo si lasci morire.
Tratto da un dramma di Brian Clarke – sceneggiato dall'autore con
Reginald Rose – questo statico e pesante film affronta senza mezzi termini
il problema dell'eutanasia, lasciando libero lo spettatore di concludere.
L’olio di Lorenzo di George Miller. Usa 1992 (135')
Storia vera di Michaela e Augusto Odone e della loro lotta accanita per
salvare il figlio Lorenzo, colpito dall'ALD (o sindrome di O'Malley
Greenburg), rara forma di distrofia incurabile e mortale.
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La custode di mia sorella di Nick Cassavetes. Usa 2009 (109')
Kate Fitzgerald è un'adolescente innamorata della vita e colpita a pochi
anni da una forma aggressiva di leucemia. La sua famiglia, partecipe e
protettiva, combatte da sempre la sua battaglia. Sara, la madre, ha
abbandonato lavoro e carriera per garantirle cure e sostegno, Brian, il
padre, veglia sulla famiglia e cerca come può di contenere il dolore della
figlia e l'ostinata determinazione della moglie davanti alla malattia, Jesse,
figlio maggiore, è un ragazzo introverso e suo malgrado defilato, Anna,
figlia minore, ha undici anni ed è stata concepita in provetta per "riparare"
la patologia progressiva della sorella maggiore. Provata emotivamente e
sfinita dal disinteresse della madre, sempre troppo concentrata su Kate,
Anna denuncia i genitori e chiede l'emancipazione medica e i diritti sul
proprio corpo. Il processo li dividerà fino a riunirli.
La mia vita senza me di Isabel Coixet. Canada, Spagna 2003 (106')
Ann vive una vita misera, opaca e senza speranza, con una famiglia
disastrata. Tutto cambia dopo un controllo medico che la spinge a
riscoprire il piacere di vivere. La morte come spinta alla vita. Ecco allora
che la protagonista di questo intelligente film al femminile trova una
ragione di vivere proprio negli esiti infausti di alcuni esami. Deve preparare
la sua dipartita lasciando ai suoi cari il meglio.
Le invasioni barbariche di Denis Arcand. Canada, Francia 2003 (105')
Remy è all'ospedale per una malattia terminale. I suoi cinquant'anni li ha
vissuti alla grande, godendo ogni piacere della vita, carnale quanto
intellettuale. Ha un'ex moglie, Louise, che gli è sempre rimasta vicino, e un
figlio, Sébastien, con cui non ha mai condiviso nulla. Quest'ultimo,
spronato dalla madre in pena, organizza al capezzale del padre una
memorabile rimpatriata, tra amici, colleghi, amanti, alunni e tanti altri
personaggi.
Lo scafandro e la farfalla diJulian Schnabel. Francia 2007 (112')
Jean-Dominique Bauby si risveglia dopo un lungo coma in un letto
d'ospedale. È il caporedattore di 'Elle' e ha accusato un malore mentre era
in auto con uno dei figli. Jean-Do scopre ora un'atroce verità: il suo
cervello non ha più alcun collegamento con il sistema nervoso centrale. Il
giornalista è totalmente paralizzato e ha perso l'uso della parola oltre a
quello dell'occhio destro. Gli resta solo il sinistro per poter lentamente
riprendere contatto con il mondo. Dinanzi a domande precise (ivi
compresa la scelta delle lettere dell'alfabeto ordinate secondo un'apposita
sequenza) potrà dire "sì" battendo una volta le ciglia oppure "no"
battendole due volte. Con questo metodo riuscirà a dettare un libro che
uscirà in Francia nel 1997 con il titolo che ora ha il film. Schnabel riesce a
non fare retorica e al contempo a commuovere profondamente liberandosi
dal falso pietismo che spesso accompagna queste storie 'vere'.
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Webgrafia
 www.governo.it/bioetica
 www.portaledibioetica.it
 www.istitutobioetica.org
 www.scienzaevita.org
 www.laquerciamillenaria.org

 www.consultadibioetica.org
 www.ilgiornaledibioetica.com
 www.fondazionegraziottin.org
 www.lucacoscioni.it
 www.exit-italia.it
 www.leggioggi.it
Playlist
 La verità – Povia
 Legato a te – Simone Cristicchi
 In te - Nek
 Atto di fede - Ligabue
 Vivere – Vasco Rossi
 Il cerchio della vita – Ivana Spagna
 Il figlio del dolore – Adriano Celentano
 Piccola storia ignobile – Francesco Guccini
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Appendice
 Scienza e religione non sono in contrasto, ma hanno bisogno una dell‟altra per
completarsi nella mente di un uomo che pensa seriamente. (Max Planck)
 Non sempre ciò che vien dopo è progresso. (Alessandro Manzoni)
 Ho imparato dalla malattia molto di ciò che la vita non sarebbe stata in grado di
insegnarmi in nessun altro modo. (Goethe)
 In democrazia nessun fatto di vita si sottrae alla politica. (Gandhi)
 La tecnologia non tiene lontano l'uomo dai grandi problemi; lo costringe a
studiarli più approfonditamente. (Antoine De Saint Exupery)
 Il segreto dell‟esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel
sapere per che cosa si vive. (Fëdor Dostoevskij)
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 Prima o poi arriva l'ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né
sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla, perchè è giusta.
(M.Luther King)
 La speranza è un rischio che bisogna correre. (Georges Bernanos)
 La sfida è affermare la nostra passione per la ricerca scientifica, che non può
essere una corsa senza regole, e per la vita, che non può soggiacere
all'ipertrofizzazione del desiderio che si trasforma in capriccio. (Carlo Bellieni,
neonatologo)
 Siamo sicuri che a guidare la ricerca siano le umanissime finalità della terapia e
non piuttosto le finalità del profitto internazionalmente collegato? In questo
caso è vera la libertà della ricerca? (Mons. Elio Sgreccia)
 Chi insegnerà all‟uomo a morire, gli insegnerà a vivere. (Micheal De Montaigne)
 Ci sono cose per cui sono disposto a morire, ma non ce ne è nessuna per cui
sarei disposto ad uccidere. (Gandhi)
 A nessuno la vita è stata data in possesso, a tutti in usufrutto. (Lucrezio)
 Anche una vita breve è abbastanza lunga per vivere con virtù e onore.
(Cicerone)
 Anche un pochino di vita ti è cara, quando sei alla fine della vita. (Charles
Bukowski)
 Ci sono persone che non vivono la vita presente, ma si preparano con grande
zelo come se dovessero vivere una qualche altra vita e non quella che vivono: e
intanto il tempo si consuma e fugge via. (Antifonte)
 Colui che non rispetta la vita, non la merita. (Leonardo Da Vinci)
 Esistere significa "poter scegliere"; anzi, essere possibilità. Ma ciò non
costituisce la ricchezza, bensí la miseria dell‟uomo. La sua libertà di scelta non
rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma. Infatti egli si
trova sempre di fronte all‟alternativa di una "possibilità che sí" e di una
"possibilità che no" senza possedere alcun criterio di scelta. E brancola nel buio,
in una posizione instabile, nella permanente indecisione, senza riuscire ad
orientare la propria vita, intenzionalmente, in un senso o nell‟altro. (Sören
Kierkegaard)
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