Stralcio volume

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VINCOLI DI DESTINAZIONE E PATRIMONIO
DEL SOGGETTO
di GIOVANNI DORIA
SOMMARIO: 1. I ‘patrimoni di destinazione’ e il patrimonio ‘finalizzato’. – 2. Il patrimonio del soggetto, le
esigenze del credito e le ragioni dell’economia. – 3. La «meritevolezza» ‘segregante’. – 4. La circolazione del patrimonio ‘finalizzato’ e il trust.
1. I ‘patrimoni di destinazione’ e il patrimonio ‘finalizzato’
La possibilità, per il soggetto di diritto, di organizzare (in senso dinamico e finalistico) il proprio patrimonio in masse giuridicamente separate (o, se si preferisce, segregate), per l’attuazione di determinati scopi, è, come si sostiene pressoché comunemente, consegnata alle due, diverse, tecniche della creazione di un
autonomo soggetto di diritto, (che diviene) titolare del patrimonio ‘destinato’, o
della costituzione di ‘patrimoni di destinazione’ 1: la prima, come è noto, caratterizzata da una rigida tipizzazione del potere di autonomia privata; la seconda, invece, retta da due logiche normative all’apparenza opposte.
La costituzione di società di capitali unipersonali (artt. 2328, primo comma, e
2463, primo comma, c.c. 2) attraverso cui è data al soggetto la possibilità di ordi1
In tal senso, già SIMONETTO, Responsabilità e garanzia nel diritto delle società, Padova 1959, p.
62 ss.; da ultimo, GAMBARO, Segregazione e unità del patrimonio, in Trusts e attività fiduciarie, 2000,
p. 156. In termini di «equivalenza funzionale tra personalità giuridica e articolazione di un patrimonio in compendi separati» (considerate dal punto di vista dalle «regole» di responsabilità patrimo niale), cfr. SPADA, Persona giuridica e articolazioni del patrimonio: spunti legislativi recenti per un antico dibattito, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 842 ss.; ma, al riguardo, si vedano le notazioni di G UIZZI,
Patrimoni separati e gruppi di società (articolazione dell’impresa e segmentazione del rischio: due tecniche a confronto), in Riv. dir. comm., 2003, I, p. 647 ss. Sottolineano, in particolare, le divergenze
d’ordine lato sensu applicativo (anche sulla scia della Relazione al d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, inRiv.
soc., 2003, p. 112 ss.), Z OPPINI, Autonomia e separazione del patrimonio nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 570 ss.; IAMICELI, Unità e separazione dei patrimoni, Padova 2003, p. 201 ss.; e R. QUADRI, La destinazione patrimoniale. Profili normativi e autonomia privata, Napoli 2004, p. 184 ss.
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Il modello della società di capitali unipersonale (ma, quanto alla correlativa incidenza sulla disciplina delle società di persone, specie alla luce della previsione di cui all’art. 2361, secondo com ma, c.c., cfr. W EIGMANN, Luci ed ombre del nuovo diritto azionario, in Società, 2003, p. 270 ss.), recepito in sede di riforma del diritto societario, pur avendo certamente posto fine ad una peculiare
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Giovanni Doria
nare una parte del proprio patrimonio per il conseguimento di interessi personali d’ordine patrimoniale, è, infatti, espressione classica di un sistema chiuso alla
via delle società atipiche 3; così come, l’istituzione di una fondazione, mediante la
quale il soggetto può dedicare una parte del suo patrimonio alla realizzazione di
finalità non lucrative 4, segue, come è noto, percorsi ispirati a una rigorosa procedimentalizzazione dell’iniziativa negoziale 5.
La creazione di ‘patrimoni di destinazione’ costituenti patrimonio separato del
soggetto, segue, invece, un sentiero che pur conservando i tratti della tipizzazione, risulta sgombero da un giudizio di meritevolezza prefissato ex lege.
Le principali ipotesi, recepite dal nostro codice civile, del «patrimonio fami liare» e, successivamente, del «fondo patrimoniale» (artt. 167 ss. c.c.), dei «fondi
speciali per la previdenza e l’assistenza» (art. 2117 c.c.) – oggetto, nel corso degli
anni novanta, di una complessa e articolata disciplina speciale (d.lg. 21 aprile
1993, n. 124, modificato dal d.lg. 30 dicembre 1993, n. 585 e dalla l. 8 agosto
1995, n. 335; e, ancora, d.lg. 5 dicembre 2005, n. 252) –, e, ora, dei «patrimoni destinati a un specifico affare» (art. 2447 bis c.c.) e dei «finanziamenti destinati a
uno specifico affare» (art. 2447 decies c.c.), pongono in rilievo l’esistenza di un li-
condizione di asimmetria sistematica creatasi a seguito della modifica dell’art. 2475 c.c. operata dal
d.lg. 3 marzo 1993, n. 88 (così, in particolare, G.F. CAMPOBASSO, La costituzione della società per
azioni, in Società, 2003, p. 293 ss.), ha, tuttavia, suscitato perplessità non solo di natura teorico-generale (in tal senso, e sulla scia di una pregressa impostazione relativa alle società a responsabilità limitata con unico socio, si veda O PPO, Le grandi opzioni della riforma e la società per azioni , in Riv.
dir. civ., 2003, I, p. 473 ss.), ma anche di carattere applicativo, in ragione della possibile utilizzazione abusiva della personalità giuridica (al riguardo, cfr. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia , diretto da Galgano, Padova 2003, p.
57 ss.); abuso che il legislatore ha cercato, in qualche misura, di circoscrivere in sede di disciplina
dei versamenti in danaro (art. 2342, secondo comma, c.c.) e degli adempimenti pubblicitari (art.
2362 c.c.).
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In tal senso, da ultimo, e decisamente, GALGANO, Diritto civile e commerciale, 4, Padova 2004,
III, 1, p. 276.
4
Il rilievo è (da ritenersi) pressoché pacifico, salvo a discutere se la liceità dello scopo (metain dividuale) sia una condizione sufficiente per la istituzione della fondazione [come già da tempo indicato da R ESCIGNO, Fondazione e impresa, in Riv. soc., 1967, p. 832; e ID., voce Fondazione (dir.
civ.), in Enc. dir., XVII, p. 811 ss.; analogamente ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie,
Napoli 1995, p. 134 ss.], o se, nonostante l’attuale quadro normativo risultante dal d.p.r. °1febbraio
2000, n. 361, lo scopo della fondazione debba continuare a essere ‘ispirato’ a pubblica utilità: in tal
senso pare ancora orientato GALGANO, Persone giuridiche, 2, in Comm. Scialoja-Branca, BolognaRoma 2006, p. 191 ss.; diversamente, Z OPPINI, Riformato il sistema di riconoscimento delle persone
giuridiche, in Corr. giur., 2001, p. 294 ss.
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La recente disciplina in materia di «riconoscimento di persone giuridiche private», contenuta
nel richiamato d.p.r. n. 361/2000, per quanto si affranchi dal tradizionale sistema concessorio, lascia pressoché immutata l’essenziale procedimentalizzazione dell’iniziativa negoziale preordinata
alla istituzione della fondazione. Al riguardo, si vedano L ISELLA, Il nuovo procedimento di acquisto
della personalità giuridica degli enti senza scopo di lucro: prime riflessioni , in Rass. dir. civ., 2001, p.
361 ss.; PONZANELLI, La nuova disciplina sul riconoscimento della personalità giuridica degli enti del
libro primo del codice civile, in Foro it., 2001, V, p. 46 ss.; e BASILE, Le persone giuridiche, in Trattato Iudica-Zatti, Milano 2003, p. 164 ss.
Vincoli di destinazione e patrimonio del soggetto
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mite generale, posto dalla legge al privato, di selezionare autonomamente la sfera
di interessi intorno a cui aggregare una massa patrimoniale per dar vita a patri moni separati (e ciò indipendentemente dalla natura perfetta o imperfetta della
separazione 6) 7. Limite che, pur non impedendo al soggetto di funzionalizzare –
secondo il modello di cui all’art. 1379 c.c. 8, o (e con modalità traslative) attraverso il ricorso al pactum fiduciae 9 – la (recte: le diverse forme di) appartenenza di determinati beni, preclude alla massa patrimoniale destinata di divenire patrimonio
separato del soggetto 10; così come concorre (unitamente alle ragioni della tipicità
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La natura perfetta o imperfetta della separazione ammessa dalla legge può, al più, indurre ad
articolare distinzioni d’ordine essenzialmente terminologico: per alcuni tentativi, cfr. LUPOI, Trusts,
Milano 2001, p. 565 ss.
7
Al riguardo, se pur con formulazioni eterogenee, e secondo ricostruzioni d’ordine normativo
(a volte inespresse, ma) differenti, si vedano F. F ERRARA SR., Trattato di diritto civile italiano, Roma
1921, I, p. 877; RUBINO, Le associazioni non riconosciute, Milano 1952, p. 174, ed ivi nota 2; Pino, Il
patrimonio separato, Padova 1950, pp. 72 ss., 102 ss.; e, più recentemente, BIGLIAZZI GERI, voce Patrimonio autonomo, in Enc. dir., XXXII, p. 292; e, ancora, M. B IANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova 1996, p. 189 ss.
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L’orientamento dei nostri giudici di legittimità è, al riguardo, pressoché univoco nel conside rare la previsione contenuta nell’art. 1379 c.c. un paradigma normativo nel cui ambito ricondurre
(ai fini, s’intende, della formulazione di un giudizio in termini di in-efficacia) anche le pattuizioni
contenenti un vincolo di destinazione: in tal senso, ed in particolare, cfr. Cass. 11 aprile 1990, n.
3082, in Riv. dir. comm., 1992, II, p. 485, con nota di P. Colombo; e, nella medesima direzione,
Cass. 14 febbraio 1997, n. 1411, in Fallimento, 1998, p. 17, con nota di Figone; e, ancora, Cass. 17
novembre 1999, n. 12769, in Contratti, 2000, p. 456.
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Si veda, al riguardo, se pur sul piano della necessaria dissociabilità logico-giuridica tra il tra sferimento (in favore del trustee) e la separazione (che si realizza nel patrimonio del medesimo trustee), la costruzione di C ASTRONOVO, Trust e diritto civile italiano, in Vita not., 1998, p. 1327 ss.; e
più in generale, sotto l’aspetto qui considerato, cfr. M. BIANCA, La fiducia attributiva, Torino 2002,
p. 123 ss.
10
La possibilità di riconoscere alla autonomia contrattuale l’attitudine a funzionalizzare, in sede
traslativa, la situazione di appartenenza, dando vita a una proprietà fiduciaria, si piega, nel nostro di
ritto positivo – analogamente, d’altro canto, a quanto si profila in virtù della riduzione applicativa
del patto contenente un vincolo di destinazione di beni entro l’ambito di cui all’art. 1379 c.c. –, alla
necessità di riconoscere valore esclusivamente obbligatorio (e, come tale, inopponibile a qualunque
terzo) al rapporto su cui si fonda l’attuazione del vincolo di destinazione, a meno di non intraprendere, ancora una volta, la stretta via della tipizzazione, che riconduce, essenzialmente, all’ambito
dell’amministrazione di beni da parte di società fiduciarie, la principale forma di proprietà fiduciaria giuridicamente ammissibile: in tal senso, anche se in direzioni sovente non conciliabili, si vedano le analisi di J AEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano 1968, p. 392
ss.; di GENTILI, Società fiduciarie e negozio fiduciario, Milano 1978, p. 72 ss.; di F OSCHINI, Sull’intestazione fiduciaria di titoli azionari, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, I, p. 3 ss.; e di ZACCHEO, Gestione fiduciaria e disposizione del diritto , Milano 1991, p. 23 ss. La generale possibilità di accordare
all’atto atipico di destinazione, in sé considerato, una costante portata segregante dei beni destinati, è, tuttavia, sostenuta, e variamente argomentata, da più d’un autore: in tal senso, e alla stregua di
una opera di graduazione – condotta sulla base della trama dei valori costituzionali – degli interessi dedotti nell’atto di destinazione, e di quello ad esso esterni, idonea a assorbire ogni giudizio sulla
compatibilità del programma destinatorio con il limite contenuto nell’art. 2740, secondo comma,
c.c., cfr. La P ORTA, Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, Napoli 1994, p. 38 ss. e D’E RRICO, Trust convenzionale, in Il trust nell’ordinamento giuridico italiano, Milano 2002, p. 28 ss.; nel-
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Giovanni Doria
dei diritti reali 11) ad ostacolare l’ammissibilità del trust c.d. interno (anche se rivolto, secondo la tradizionale configurazione anglosassone, alla realizzazione di
scopi altruistico-solidaristici), e, cioè, del trust i cui elementi costitutivi sono tutti
interni all’ordinamento italiano (ad eccezione, s’intende, della legge regolatrice
prescelta) 12.
A fronte di tale scenario normativo, se ne presenta, tuttavia, uno ulteriore.
L’art. 2645 ter c.c. (introdotto, nel corpo del codice civile, dalla l. 23 febbraio
2006, n. 51 di conversione del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273), se pur con formu la direzione, invece, di ridurre il fenomeno alla (sola) disposizione patrimoniale che, ove legittima mente manifestata, è idonea a dar vita a una vicenda destinatoria rispetto alla quale la separazione
della massa patrimoniale (destinata), piuttosto che una sequenza effettuale, costituirebbe, evidentemente, una fase della stessa (e unica) vicenda destinatoria, si veda P ALERMO, Contributo allo studio
del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano , in Riv. dir. comm., 2001, I, pp.
400 ss., 414 ss.; e I D., Ammissibilità e disciplina del negozio di destinazione , in Destinazione di beni
allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative , Milano 2003, pp. 243 ss., 250 ss. La distinzione
tra l’intento e l’effetto di destinazione, rispetto all’intento e all’‘effetto’ di separazione, e, per tal via,
l’affermazione secondo la quale la separazione dei beni destinati necessita che l’atto (atipico) di destinazione sia «integrato dall’intento di separazione», caratterizza, invece, le argomentazioni diFALZEA (Introduzione e considerazioni conclusive, in Destinazione di beni allo scopo, cit., p. 27 ss.), il quale, tuttavia, conclude nel senso che la liceità dell’intento destinatorio, e la sua ininfluenza a realizzare limitazioni della responsabilità (e, per tal via, a porsi in contrasto con l’art. 2740, secondo comma, c.c.), sorreggono l’«intento di separazione» sul versante della idoneità dell’atto (atipico di de stinazione) a dar vita a un patrimonio separato. Per tal modo, però, l’«intento di separazione», nonostante se ne predichi l’autonomia fenomeno-logica e giuridica, viene ad annegarsi, dissolvendosi,
nella più ampia vicenda destinatoria, senza considerare, tra l’altro, che, a rigore, l’atto di destina zione incidente direttamente sul patrimonio, e solo indirettamente sulla responsabilità, è l’atto che,
a cagione della destinazione operata, riduce o esclude incrementi patrimoniali conseguenti alle utilità ritraibili dai beni destinati, mentre, allorquando l’atto si rivolga, in via immediata, a destinare
dei beni a uno scopo, e a assicurare lo scopo della destinazione ‘segregando’ la massa patrimoniale
destinata, ogni tentativo di oscurare l’esistenza di un patto sulla estensione della responsabilità, funzionalmente collegato, se si vuole, con l’atto di destinazione, rischia di condurre a soluzioni co struttive e a esiti applicativi non agevolmente condivisibili.
11
GAZZONI, Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista «non vivente» su trust e trascrizione), in Riv. notar., 2001, I, p. 15.
12
La discussione sulla (in)ammissibilità del trust c.d. interno si è appuntata, infatti, proprio, ed
in particolare, sui limiti alla autonoma e libera istituzione di patrimoni separati [cfr., al riguardo,
GAZZONI, In Italia tutto è permesso, anche quel che è vietato (lettera aperta a Maurizio Lupoi sul trust e su altre bagattelle), in Riv. notar., 2001, I, p. 1251 ss.; I D., Il cammello, il leone, il fanciullo e la
trascrizione del trust., in id., 2002, I, p. 1107 ss.; SCHLESINGER, Il trust nell’ordinamento giuridico italiano, in Il trust nell’ordinamento giuridico italiano, cit., p. 183]; discussione alla quale non sembra
possa contribuire, nel senso della ammissibilità del trust domestico, la ratifica, da parte del nostro
legislatore, della Convenzione dell’Aja del 1°luglio 1985 «relativa alla legge applicabile ai trusts e al
loro riconoscimento», che, come è stato osservato (da FALZEA, Introduzione e considerazioni conclusive, cit., p. 23) pur portando «all’orizzonte del nostro ordinamento giuridico l’istituto del trust»,
non poteva, in realtà, che abbandonarlo all’orizzonte, in ragione della evidente connotazione internazional-privatistica della Convenzione dell’Aja (e della relativa legge nazionale di ratifica) [in tal
senso si vedano, in particolare, le considerazioni di RESCIGNO, Notazioni a chiusura di un seminario
sul trust, in Europa e dir. priv., 1998, p. 456; analogamente, CASTRONOVO, Il trust e «sostiene Lupoi»,
in id., 1998, p. 441 ss.; e E. N UZZO, Il trust interno privo di «flussi» e «formanti» (ma con tracce di
abuso e contaminazioni da fisco), in Banca, borsa, tit. cred., 2004, I, p. 427 ss.].
Vincoli di destinazione e patrimonio del soggetto
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lazione estremamente atecnica, e dal versante pubblicitario, ammette, in senso
ampio, la possibilità di compiere «atti in forma pubblica con cui beni immobili o
mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a
novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela (...)», disponendo che, in tal caso, la massa dei beni «destinati», e i relativi frutti, oltre a poter essere impiegati esclusivamente per la finalità destinatoria, non sono aggredibili se non per il soddisfaci mento dei debiti contratti per quella medesima finalità. La legge delinea, così,
uno schema negoziale destinatorio a «causa generica», che richiama ad una valutazione circa la meritevolezza degli interessi concretamente perseguiti dall’agente
ai fini della insorgenza del vincolo di destinazione sui beni e della loro ordinazione a patrimonio separato del soggetto 13; complesso patrimoniale che, per con traddistinguerlo nell’ambito dell’area generale dei ‘patrimoni di destinazione’, è
possibile designare con il termine di patrimonio ‘finalizzato’ (o, al plurale, patrimoni ‘finalizzati’) 14.
Il panorama che si schiude dinanzi all’interprete presenta, dunque, una trama
normativa composita e articolata. La moltiplicazione delle ipotesi (tipiche) di separazione del patrimonio sembra, da un lato, rinsaldare la chiusura del sistema a
forme atipiche di ‘patrimoni di destinazione’ costituenti patrimonio separato del
soggetto; corrispondentemente, però, la legge riconosce al soggetto di selezionare autonomamente un determinato assetto di «interessi meritevoli di tutela», aggregando, con portata segregante, una parte del proprio patrimonio per l’attuazione di quegli interessi. L’esigenza di garantire una relazione dialettica tra ordini
normativi distinti, spinge, allora, ad una opera di mediazione costruttiva del si stema, che, abbandonando ammaliatrici istanze di esaltazione dell’antinomia della legge, si sforzi di ricomporre, coerentemente, dati normativi, in realtà, solo apparentemente distonici.
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In tal senso, anche se con qualche dubbio, GAZZONI, Osservazioni sull’art. 2645 ter c.c., in
Giust. civ., 2006, II, p. 167; diversamente, M. N UZZO, Atto di destinazione e interessi meritevoli di
tutela, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, a cura di
M. Bianca, Milano 2007, pp. 65-66, che, sotto l’aspetto della «meritevolezza», circoscrive l’ambito
della disposizione di legge ai profili della separazione del patrimonio (recte: dei beni oggetto di destinazione). In quest’ultima prospettiva, se pur nel quadro di un tentativo volto a svalutare, con riguardo alla «fattispecie» destinatoria, il valore innovativo dell’art. 2645 ter c.c., si vedano le considerazioni di MANES, La norma sulla trascrizione di atti di destinazione è, dunque, norma sugli effetti,
in Contratto e impr., 2006, p. 632 ss.; e, ancora, di LENZI, Le destinazioni atipiche e l’art. 2645ter c.c.,
in id., 2007, p. 232 ss. (il quale, tuttavia, riconosce alla «figura» negoziale, contemplata dall’art. 2645
ter c.c., valore di modello normativo generale, al quale occorrerebbe ricondurre, in chiave di unità
sistematica e regolamentare, le altre specie «tipiche» di patrimoni di destinazione).
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La funzionalizzazione ‘personale’ del patrimonio, comunemente (come già accennato a nota
10) ammissibile purché lecita, diviene, dunque, e in chiave generale, funzionalizzazione ‘reale’ (e segregante) ogni qual volta l’organizzazione di una determinata massa patrimoniale sia ordinata alla
«realizzazione di interessi meritevoli di tutela» autonomamente scelti dall’agente, che, per ciò, tracciano la linea di confine tra destinazioni atipiche e patrimoni ‘finalizzati’.
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Giovanni Doria
2. Il patrimonio del soggetto, le esigenze del credito e le ragioni dell’economia
L’atto istitutivo di un patrimonio ‘finalizzato’ è, in virtù della creazione di un
vincolo di destinazione, un atto di disposizione che depotenzia il patrimonio del
disponente, e che, in ragione della portata «segregativa» accordatagli dalla legge,
incide sulla responsabilità patrimoniale del medesimo disponente. L’unico limite
posto dalla legge al potere del privato di organizzare il proprio patrimonio in
masse organicamente destinate, pervenendo, ex lege, ad una corrispondente articolazione del proprio patrimonio in masse separate, è costituito dalla meritevo lezza degli interessi perseguiti dall’agente, che, dunque, sembra dissolvere un sistema fondato sulla essenziale unità del patrimonio del soggetto, e sul regime della universale responsabilità patrimoniale.
La rottura di un impianto normativo tipicamente ‘crematocentrico’ 15, avrebbe, allora, dovuto costituire la fase iniziale di una sorta di rivoluzione copernicana, richiamando il legislatore alla solennità del momento. Sennonché, scorrendo
la formulazione dell’art. 2645 ter c.c., si avverte nitidamente la sensazione che il
legislatore, piuttosto che compenetrarsi di spirito rivoluzionario, abbia conside rato pressoché scontata la previsione normativa.
Non è più, certo, questa la stagione nella quale è possibile ricavare dalla for mula della legge argomenti di natura ricostruttiva. Tuttavia, l’impressione semantica complessivamente ritraibile dalla disposizione, se pur inconsapevolmente indotta dal legislatore, pone luce come la norma, piuttosto che una epifania rivoluzionaria, rappresenti null’altro che il punto terminale di un particolare percorso
evolutivo della nozione (tradizionalmente unitaria) di patrimonio del soggetto,
cui è possibile accennare.
Il principio della necessaria unità del patrimonio del soggetto, corollario
dell’elaborazione concettuale di inizio ottocento volta a ravvisare nel patrimonio
una proiezione della persona 16, ha assunto – in una fase di sistemazione gius-poIl neologismo, adoperato nel testo, si basa sulla radice ellenica del termineχρµα, che, nel suo
significato comune, meglio si presta, rispetto a altri (ουσα o πρ
γµα), a indicare la omogeneità del
complesso di beni o sostanze appartenenti a una persona, senza che a quel termine possa attribuirsi, specie in senso storico, alcun significato tecnico specifico, ben distante dalle elaborazioni giuspatrimonialistiche nella Grecia classica: in particolare, quanto ai limiti inerenti alla configurabilità
di un sistema giuridico fondato su forme di appartenenza individuale già nel pensiero platonico e
aristotelico, cfr. K ELLY, A Short History of Western Legal Theory , Oxford 1992, nella edizione italiana a cura Mario Ascheri, Bologna 1996, p. 55 ss.
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L’elaborazione, di matrice franco-romanistica, figlia della concezione individualistica del diritto privato (su tale aspetto, specie in chiave di analisi storico-filosofica, si vedano gli importanti
studi di S OLARI, L’idea individuale e l’idea sociale nel diritto privato , Torino 1911, spec. p. 235 ss.;
ID., Storicismo e diritto privato , Torino 1940, spec. p. 23 ss.; e, ancora, I D., Studi storici di filosofia
del diritto, Torino 1949, p. 3 ss.), e ordinata (in ragione del modello originario di riferimento costituito dall’Handbuch des französischen Civilrechts, di ZACHARIE, pubblicato a Hidelberg in due volumi nel 1808, con una seconda edizione nel 1811-1812) secondo un sistema di concetti generali propri del gemeines Recht, piuttosto che in relazione all’impianto del Code civil, risale alle formulazio15
Vincoli di destinazione e patrimonio del soggetto
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sitivistica più matura 17, e nell’ambito di un progressivo mutamento del quadro
ideologico del rapporto tra soggetto e legislazione 18 – il co-essenziale ruolo o valore normativo di garanzia dell’assoggettamento dell’intero patrimonio del sog getto alle azioni esecutive dei creditori 19. Storicamente, dunque, la nozione unini di A UBRY e R AU, Cours de droit civil français, d’après l’ouvrage de M. C.S. Zacharie 3, Paris 18561858, V, §§ 573-577; ripresa, da noi, in particolare, da BIANCHI, Corso di diritto civile, IX, 1, Torino
1886, p. 3 ss.; ed ancora nella letteratura tedesca di inizio novecento, se pur con qualche tratto di
esasperazione, da SCHWARZ, Rechtssubjekt und Recthszweck. Eine Revision der Lehre der Personen,
in Arch. bürg. Recht, 32, p. 11 ss. Lo stesso tipo di elaborazione gius-culturale è, del resto, alle origini della costruzione del ‘patrimonio separato’, dove, appunto, l’idea di una separazione esprime e,
al contempo, rafforza la generale (e necessaria) unità (giuridica) dell’individuo e del suo patrimo nio: in proposito cfr., sul versante dell’analisi storico-ideologica, R. ORESTANO, Introduzione allo
studio storico del diritto romano2, Torino 1961, p. 79 ss.; e, sul piano storico-sistematico, ID., Diritti
soggettivi e diritti senza soggetto. Linee di una vicenda concettuale, in Jus, 1960, p. 150 ss.
17
BONNECASE, La pensée juridique française de 1804 à l’heure présente, Bordeaux 1933, p. 22 ss.;
e, al riguardo, in termini relativamente più recenti, si veda anche l’interessante analisi di JAKOBS,
Wissenschaft und Gesetzgebung im bürgerlichen Recht nach der Rechtsquellenlehre des 19. Jts, in Rechts- und staatswissenschaftliche Veröffentlichungen der Görres-Gesellschaft , n.s. 38, Paderborn
1983, ora in Rechtshistorisches Journal, 1985, p. 3 ss.
18
L’avvio e la maturazione del processo di trasformazione (specie sul versante ideologico) del
rapporto tra soggetto e legislazione è opera, essenzialmente (anche a causa dell’assenza, rispetto alla Francia e all’Italia, di una legislazione uniforme), della elaborazione scientifica tedesca nel corso
del diciannovesimo secolo (su cui cfr., in particolare, l’originario studio di COING, La giurisprudenza sociologica e la situazione del diritto privato in Germania , in Nuova rivista di diritto commerciale,
diritto dell’economia e diritto sociale, Pisa 1951, p. 176 ss.), penetrata, poi, come esigenza ricostruttiva, nella esperienza storico-giuridica dei diversi sistemi nazionali (al riguardo, e limitatamente alla
esperienza italiana, cfr. A. GIULIANI, Ricerche in tema di esperienza giuridica, Milano 1957, p. 99 ss.),
e portata, per così dire, a ‘compimento’ (secondo una linea di pensiero che, procedendo dalla co struzione hobbesiana di Jellinek, ‘passa’ per l’elaborazione comtiana di Duguit, per arrivare alle for
mulazioni di Kelsen) nel primo decennio del secolo scorso, sebbene ampiamente riconsiderata (anche in contrapposto all’impostazione gius-positivista di Hart), ancora in Germania (per poi svolgersi, in particolare, e ampiamente, nell’ambiente culturale anglosassone), soprattutto a partire dalla fase post-bellica: si vedano, per i necessari approfondimenti, e limitatamente alla letteratura ita liana, PEKELIS, voce Azione, in Nuovo Digesto it., II, p. 93 ss.; M AIORCA, L’«oggetto» dei diritti, Milano 1939, p. 165 ss.; L OPEZ DE ONATE, La certezza del diritto , Roma 1950 (rist. della edizione del
1942), p. 135 ss.; B AGOLINI, Il metodo di Léon Duguit («Introduzione» alla traduzione italiana di
DUGUIT, Le droit social, le droit individuel et la transformation de l’État , Paris 1922), Firenze 1950;
A. GIULIANI, op. cit., p. 49 ss.; CAPOGRASSI, Impressioni sul Kelsen tradotto, in Riv. trim. dir. pubbl.,
1952, p. 767 ss.; e B OBBIO, La teoria pura del diritto e i suoi critici , in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954,
p. 356 ss., ed anche in Studi sulla teoria generale del diritto, Torino 1955, p. 73 ss.; e, per una analisi dei diversi orientamenti successivi al secondo conflitto mondiale, cfr. G. VASSALLI, Formula di
Radbruch e diritto penale: note sulla punizione dei «delitti di Stato» nella Germania post-nazista e nel
la Germania post-comunista, Milano 2001.
19
La nozione unitaria di patrimonio del soggetto rappresenta, dunque, l’esito di una operazio ne di concettualizzazione, per così dire, ‘indiretta’, costituendo, sul piano normativo, il (necessita to) riflesso del principio, recepito nell’ambito delle codificazioni nazionali francese (art. 2092 Code
Napoléon) e italiana (artt. 1948 del codice civile del 1865; e 2740 del codice civile del 1942), e, in
una certa misura, assunto dalla letteratura tedesca (al riguardo, cfr. K OHLER, Lehrbuch des bürgerliches Rechts, II, Berlin 1906, pp. 185 ss., 205 ss.; e, senza soluzione di continuità, si vedano le formulazioni di LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts. Allmemeiner Teil14, München 1987, p. 24 ss.; e ID.,
8
Giovanni Doria
taria di patrimonio del soggetto (sempre priva, peraltro, di ‘copertura’ sul piano
del diritto positivo) si profila, sul versante normativo, in ragione della responsabilità patrimoniale universale del medesimo soggetto 20; ‘tendenza’, questa, che il
nostro legislatore del 1942, attraverso l’introduzione (nel secondo comma
dell’art. 2740 c.c.) di una norma estranea alle precedenti formulazioni codicistiche (d’oltralpe e nazionali), ha inteso dichiaratamente rafforzare «nell’interesse
del credito e dell’economia» 21. Secondo la tradizionale ratio della nostra codificazione, l’innesto legislativo di forme di inespropriabilità relativa di uno o più beni del soggetto costituiva una iniziativa non coerente, in linea generale, con lo sviluppo del credito e dell’economia, e, perciò, ammissibile nei soli casi in cui oc corresse dare prevalenza a istanze o esigenze fondamentali della persona o a primarie ragioni di utilità sociale. In questo quadro, la istituzione di masse patrimoniali destinate e separate rappresenta il frutto esclusivo – come si è già indicato –
di una necessaria opera di tipizzazione normativa 22, che, per lo meno sino alla fine degli anni ottanta, contava sporadiche ipotesi, preordinate, essenzialmente, alla tutela del nucleo familiare e al rafforzamento della posizione previdenziale e assistenziale del lavoratore.
L’acquisita dimensione europeistica del nostro sistema normativo, e, al con tempo, il progressivo stato di crisi e di recessione economico-finanziaria (in parte
dovuti a un inarrestabile processo di globalizzazione23), la depressione, talora costante, dei mercati, soprattutto di quelli finanziari, la situazione di incremento dei
livelli di disoccupazione e di innalzamento della soglia di povertà 24, hanno avviaAllgemeiner Teil des deutschen Bürgerlichen Rechts 7, München 1989, p. 308, dove con chiarezza
«die unbeschränkte Vermogenshaftung die Regel ist ») della responsabilità patrimoniale universale
del debitore: sul punto, e limitatamente al nostro sistema normativo, cfr. BIONDI, voce Patrimonio,
in Dig. it., XII, p. 616 ss.; e, specie in chiave storica, A LB. CANDIAN, Discussioni napoleoniche sulla
responsabilità patrimoniale. Alle origini dell’art. 2740 codice civile , in Scintillae iuris. Studi in onore
di G. Gorla, III, Milano 1994, p. 1810 ss.
20
Ben distante dall’ordine di idee considerato in questa sede, è, invece, la possibilità di costruire il patrimonio del soggetto come universitas iuris e, in tal senso, di assumere il patrimonio del soggetto in termini unitari, secondo l’elaborazione risalente, in ambito francese, alle formulazioni di
CARBONNIER, Droit civil, II, Paris 1967, p. 69 ss.; riprese da GARY, Les notions d’universalité de droit,
Paris 1932, p. 301 ss.; e, nell’ambiente germanico, soprattutto da Schmidt, Bürgerliches Recht. Allgemeiner Teil, I, Berlin 1952, p. 63 ss.; e da L ANGE, Schuldrecht, Tübingen 1967, p. 28 ss. Sui termini della discussione, nella nostra letteratura, e per una valutazione essenzialmente critica, cfr. RESCIGNO, voce Proprietà (dir. priv.), in Enc. dir., XXXVII, p. 265 ss.
21
Sono questi i termini adoperati nella Relazione del Ministro Guardasigilli (al codice civile),
Roma 1943, n. 1124, p. 788.
22
In tal senso, e decisamente, sul piano tecnico, BIGLIAZZI-GERI, voce Patrimonio autonomo,
cit., p. 292.
23
Le forme di incidenza della globalizzazione sull’attuale assetto dei rapporti socioeconomici
sono puntualmente messe in luce da A MIN, Capitalism in the Age of Globalization (nella trad. it. di
E. Corsino), Trieste 1997, p. 21 ss.; e, ancora, anche per una valutazione d’ordine filosofico-culturale, si vedano i contributi di SEN, scritti tra il 1995e il 2001, e raccolti nel volume Globalizzazione e
libertà, Milano 2002, p. 28 ss.
24
La relazione tra la progressiva emersione di un (nuovo) ordine economico globale e l’innalza-
Vincoli di destinazione e patrimonio del soggetto
9
to, sul piano della politica legislativa, un generale processo erosivo della necessaria unitarietà della condizione patrimoniale del soggetto in funzione dell’universale responsabilità patrimoniale del medesimo soggetto.
L’adozione, all’alba degli anni novanta, della dodicesima direttiva da parte del
Consiglio delle Comunità Europee, dichiaratamente preordinata a limitare, in
ciascuno stato membro, la responsabilità patrimoniale dell’imprenditore unico
per le obbligazioni inerenti all’esercizio dell’impresa 25, mediante il ricorso a società di capitali unipersonali o, alternativamente, attraverso la destinazione di
parte del proprio patrimonio aziendale26, ha costituito il primo, importantissimo,
‘segnale’ normativo della profonda estraneità, alle ragioni dell’economia contemporanea e dell’impresa, del principio dell’unità del patrimonio del soggetto. Gli
intendimenti dell’intervento normativo, indicati dallo stesso legislatore comuni tario, gettano una significativa luce nella direzione appena segnalata, ove si consideri, appunto, che la limitazione della responsabilità patrimoniale dell’imprenditore unico era (come è) preordinata a incoraggiare l’impresa 27 – soprattutto la
piccola e media impresa –, e, al contempo, ad operare nello stesso interesse del
credito, regolamentando il fenomeno allo scopo di evitare abusi pregiudizievoli
per i creditori dell’impresa 28.
A partire dagli anni novanta, poi, il nostro legislatore nazionale ha moltiplicato, in senso esponenziale, il ricorso a forme di separazione (o di autonomia) pa trimoniale, o, in una direzione consimile (quanto meno sul piano pratico), di spemento del livello della povertà individuale, anche all’interno dei paesi ‘ricchi’, è analizzato da CUEVAS, La globalizzazione asimmetrica, Roma 2000, p. 12 ss.; e, ancora, cfr. l’ampia disamina di CHOSSUDOVSKY, The Globalization of poverty (nella trad. it. di P. De Albertis), Torino 2003, spec. p. 195
ss.; e, in una prospettiva sicuramente meno tecnica, si vedano le stimolanti riflessioni svolte da ZANOTELLI, I poveri non ci lasceranno dormire. Ritorno da Korogocho, Saronno 2001, p. 6 ss.
25
La discussione sulla possibilità di limitare, ex lege, la responsabilità patrimoniale dell’imprenditore individuale, è, tuttavia, ben anteriore alla formulazione del V «considerando» della dodicesima direttiva. Al riguardo, si vedano le osservazioni di WEIGMANN, Le società unipersonali: esperienze positive e prospettive di diritto uniforme , in Contratto e impr., 1986, p. 831 ss.; e le notazioni di
GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., p. 57 ss.
26
SPADA, Persona giuridica e articolazioni del patrimonio, cit., p. 843; in una prospettiva più ampia, cfr. BARBIERA, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali (artt. 2740-2744), in Codice civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano 1991, p. 34 ss.
27
Il contenuto delle «Considerazioni generali» e del «Commento ai singoli articoli» della rela zione sulla proposta della dodicesima direttiva CEE (in Giur. comm., 1990, I, p. 330 ss.) è, sotto
l’aspetto indicato, particolarmente significativo. Rileva, peraltro, ASTONE (La società a responsabilità
limitata con unico socio, in Trattato di diritto privato europeo, a cura di Lipari, Padova, II, 2003, p.
133 ss.) che l’attuazione della direttiva, operata dal nostro legislatore, esprime in maniera ancora più
evidente l’intendimento di rivolgersi alla piccola e media impresa. Del resto, già anteriormente al l’entrata in vigore del d.lgs. n. 6/2003, si era ritenuto che il diverso regime della responsabilità del
socio unico, a seconda del tipo di società di capitali partecipata, aveva il suo fondamento nel favor
del legislatore (anche comunitario) per un tipo sociale (la società a responsabilità limitata) ‘pensato’
per la piccola e media impresa: così OPPO, Società, contratto, responsabilità (a proposito della nuova
società a responsabilità limitata), in Riv. dir. civ., 1993, I, p. 191.
28
ASTONE, op. ult. cit., p. 141.
10
Giovanni Doria
cializzazione della responsabilità patrimoniale. È sufficiente ricordare la variegata disciplina dei fondi comuni di investimento, mobiliari e immobiliari, nel cui
ambito la nitida separazione (o, secondo il lessico talora adoperato dalla legge,
‘distinzione’ o ‘autonomia’ 29) tra il fondo, il patrimonio della società di gestione
del risparmio e il patrimonio di ciascun partecipante, è, tra l’altro, volta a inco raggiare l’investimento da parte dei risparmiatori 30, determinando, così, una crescita dei mercati di riferimento 31.
E, ancora, si consideri la funzionalizzazione e la separazione patrimoniale caratteristica dei già ricordati c.d. fondi pensione, secondo quanto previsto in sede
di disciplina delle forme pensionistiche complementari 32, rivolta a garantire trattamenti pensionistici integrativi rispetto a quelli erogati dal sistema obbligatorio
pubblico 33. Si pensi, ancora, alla disciplina in materia di cartolarizzazione dei cre29
Il carattere disomogeneo del lessico del legislatore in materia di gestione collettiva del risparmio è segnalato, con precisione, da S ALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale , Padova 2001,
p. 287 (dove, tuttavia, spec. a p. 380 ss., l’esigenza di distinguere tra patrimonio separato e patri monio autonomo).
30
Per una valutazione d’ordine essenzialmente tecnico, si veda, di recente, l’opera di R OVERA,
Rischio e rendimento degli hedge funds, Torino 2005, p. 36 ss., dove, tra l’altro, una puntuale analisi del rapporto tra i livelli di redditività e i corrispondenti gradi di rischio; considera specificata mente e ripetutamente il momento della sollecitazione all’investimento, se pur in chiave di tutela degli investitori, IAMICELI, Unità, cit., p. 347 ss.
31
È questa una delle conclusioni cui si perviene (da parte della maggioranza degli autori) nella
profonda, articolata e recente analisi di ‘stampo’ economico-finanziario, raccolta nel volume G REGORIOU (a cura di), Funds of hedge funds: performance, assessment, diversification, and statistical properties, New York 2006, spec. pp. 133 ss., 365 ss.
32
Il ‘tratto’ della separazione, come caratteristica dei «fondi pensione speciali per la previdenza
e l’assistenza» contemplati all’art. 2117 c.c., è ben evidenziato da F. SANTONI, voce Fondi speciali di
previdenza, in Enc. giur. Treccani, XIV, p. 4; e, ancor prima, da R ASCIO, Destinazione di beni senza
personalità giuridica, Napoli 1971, p. 173 ss.; e, nella prospettiva risultante dalla adozione del d.lg.
21 aprile 1993, n. 124 (soprattutto all’art. 4), e, ancora, nella linea della configurabilità (a seguito
della l. 8 agosto 1995, n. 335) di patrimoni separati relativamente ai soli fondi c.d. aperti, cfr., in par
ticolare, INFANTE, I profili civilistici dei fondi speciali per la previdenza e l’assistenza. L’art. 2117 c.c.
dopo gli interventi legislativi degli anni novanta, Napoli 2002, pp. 13 ss., 239 ss., 243 ss.
33
VIANELLO, La previdenza complementare, in La riforma del sistema pensionistico, a cura di Cester, Torino 1996, p. 399 ss.; VOLPE PUTZOLU, I fondi pensione aperti, in Banca, borsa, tit. cred., 1996,
I, p. 320 ss. (la quale, in particolare, sottolinea la maggiore duttilità e la minore complessità gestoria
dei fondi aperti rispetto a quelli chiusi, evidenziando, per tal modo, una più ampia possibilità, specie per le piccole imprese, di conseguire forme pensionistiche complementari); A.D. CANDIAN, Fondo e fondi: itinerari paragiuridici tra gli usi linguistici , in Giur. comm., 1998, I, p. 167 ss. (dove, tuttavia, un tentativo ricostruttivo, in termini di soggettività ‘debole’ del fondo aperto, alla luce delle
differenti direttrici emergenti dalla disciplina legislativa e da quella regolamentare); B ESSONE, Gestione finanziaria dei fondi pensione. La disciplina delle attività, le situazioni di conflitto di interessi ,
in Contratto e impr., 2002, p. 158 ss. (dove una analisi dei fondi aperti specie alla luce del d.lg. 18
febbraio 2000, n. 47); CAFAGGI e IAMICELI, I patrimoni separati nella previdenza complementare: scenari attuali e prospettive di riforma , in Banca impr. soc., 2004, p. 4 ss.; Z AMPINI, La previdenza complementare. Fondamento costituzionale e modelli organizzativi , Padova 2004, p. 152 ss.; e, per una
analisi di carattere complessivo, specie dopo l’adozione del d.lg. 5 dicembre 2005, n. 252, si veda
l’interessante volume a cura di MESSORI, La previdenza complementare in Italia, Bologna 2006, spec.
Vincoli di destinazione e patrimonio del soggetto
11
diti ordinari, oltre che dei crediti d’imposta e contributivi, dove la separazione,
posta dalla legge, tra il patrimonio costituito dai crediti acquistati dalla società
cessionaria, e il patrimonio della medesima società, nel preservare l’investimento
dei portatori del titoli 34, realizza, al contempo, una sollecitazione a ‘collocamenti’ di settore da parte della collettività 35, e una ottimizzazione, da parte delle imprese, della «gestione» dei propri crediti in sofferenza, determinando l’immissione di nuova e talora vita le liquidità 36. I richiami, come è noto, potrebbero moltiplicarsi, sia con riguardo a ambiti tipicamente privatistici, dove, specie in campo
societario, la possibilità di dar vita a patrimoni endosocietari dedicati a specifici
affari, rappresenta, oggi, un importante strumento consegnato all’impresa per
una migliore razionalizzazione del rischio 37, e elargito al mercato in termini di rip. 133 ss.; e, ancora, soprattutto per una valutazione dell’impatto economico e demografico del
complessivo impianto normativo, si veda l’attenta ricerca di DE SANTIS, Previdenza: a ciascuno il suo,
Bologna 2006, p. 23 ss.
34
Si discute, tuttavia, se l’attuale disciplina in materia di cartolarizzazione dei crediti ordinari sia
tecnicamente idonea a realizzare una effettiva protezione dei sottoscrittori dei titoli (al riguardo, cfr.
MAIMERI, Il trust nelle operazioni bancarie. La cartolarizzazione dei crediti , in Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 332 ss.; F RIGNANI, Trust e cartolarizzazione, in id., p. 21 ss.; e, inoltre, si vedano anche le notazioni svolte da S CHLESINGER, La cartolarizzazione dei crediti , in Riv. dir. civ., 2001, II,
spec. p. 269 ss.), dubitandosi, da parte di taluno, finanche della possibilità di ravvisare una ipotesi
di separazione (in tal senso, R. QUADRI, La destinazione patrimoniale, cit., p. 46 ss., alla luce dell’assenza di un vincolo di indisponibilità di carattere reale delle somme rivenienti dai crediti ceduti; diversamente, L UPOI, Trusts, cit., p. 687 ss.; e, anche se in una prospettiva costruttiva sensibilmente
differente, D. M ESSINETTI, Il concetto di patrimonio separato e la c.d. «cartolarizzazione» dei crediti ,
in Riv. dir. civ., 2002, II, p. 109 ss.).
35
D. MESSINETTI, op. cit., p. 104.
36
Si veda, al riguardo, l’analisi condotta da ZANELLI, nel volume Il rischio creditizio: misura e
controllo, a cura di Szegö e Varetto, Torino 1999, p. 476 ss.; e, ancora, le considerazioni svolte da
CARNOVALE, La cartolarizzazione dei crediti (la nuova normativa e i profili di vigilanza), in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2002, p. 477 ss., il quale, in particolare, pone in rilievo gli effetti
benefici che le operazioni di cartolarizzazione determinano sul piano della struttura finanziaria
aziendale e, più in generale, del sistema creditizio. Sotto il primo profilo, il beneficio risiede soprattutto nella ‘rimozione’ dal passivo delle riserve appostate e dei finanziamenti costituiti per far fronte ai crediti oggetto di cessione e nel conseguente aumento del merito creditizio; quanto al secondo
aspetto, gli effetti favorevoli consistono, prevalentemente, nella razionalizzazione delle procedure
per l’erogazione del credito e nello sviluppo del mercato dei derivati su crediti, atti a gestire e controllare il livello di rischio. Per tal modo, si assiste ad un potenziamento della gestione dei crediti da
parte degli intermediari finanziari specializzati; al contempo, gli investitori possono avvalersi di
strumenti d’investimento diversificati, anche quanto al rischio, rispetto agli ordinari strumenti creditizi, determinandosi, così, in chiave generale, una ottimizzazione nella ripartizione dei rischi per
tutto il sistema economico. Per una analisi gius-economica più ampia, ancora attuale, anche se non
recentissima, cfr., in particolare, SCHWARCZ, The global alchemy of asset securitization, in International Financial Law Review, 1995, n. 5, p. 30 ss.; e, inoltre, si vedano le puntuali considerazioni svolte da R ANIERI e da B AUM in A primer on securitization , a cura di Kendall e Fishman, Cambridge
2000, pp. 31 ss., 45 ss.
37
Lo sottolinea, in particolare, D.U. SANTOSUOSSO, Libertà e responsabilità nell’ordinamento dei
patrimoni destinati, in Giur. comm., 2005, I, p. 365, dove, tra l’altro, l’inquadramento delle esigenze di diversificazione finanziaria dell’impresa, e della necessità di una corrispondente collocazione
del rischio, tra i principi ispiratori della riforma del diritto societario del 2003; in proposito, si ve -
12
Giovanni Doria
caduta sul piano dell’incentivo agli investimenti 38; e, ancora, con riferimento alle
‘sezioni’ dell’economia pubblica, dove emerge un sottile rapporto tra il ricorso allo ‘strumento’ della separazione patrimoniale, ad opera della legge, e le possibili
forme di intervento sulla ‘debole’ finanza pubblica e di miglioramento delle in frastrutture nazionali, come appare evidente, rispettivamente, dalla articolata regolamentazione della c.d. cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico 39 e dalla disciplina della società a capitale pubblico per il finanziamento delle
infrastrutture (Infrastrutture S.p.A.) 40.
dano anche le considerazioni svolte da GUIZZI, Patrimoni separati e gruppi di società, cit., p. 639 ss.;
e da LENZI, I patrimoni destinati: costituzione e dinamica dell’affare, in Riv. notar., 2003, I, p. 543 ss.
Per una analisi dell’impatto economico-aziandalistico della disciplina dei patrimoni «dedicati», si
veda lo studio condotto da DELL’ATTI, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, Bari 2005; e, ancora, l’indagine svolta da di S. A NGELONI, I patrimoni destinati ad uno specifico affare. Finalità economico-aziendali, Torino 2005.
38
Una delle prime formulazioni, in tal senso, è operata da ZOPPINI, Autonomia e separazione del
patrimonio, cit., p. 567 ss.; nella stessa prospettiva, cfr. anche RABITTI BEDOGNI, Patrimoni dedicati,
in Riv. notar., 2002, I, p. 1122; e, in termini più ampi e generali, A LPA, La riforma del diritto societario. Percorsi di lettura , in Vita not., 2003, p. 6 ss.; sottolineano, invece, anche se in direzione opposta, le implicazioni d’ordine sistematico sul piano della responsabilità patrimoniale, OPPO, Le
grandi opzioni della riforma, cit., p. 474; e G RANELLI, La responsabilità patrimoniale del debitore fra
disciplina codicistica e riforma in itinere del diritto societario, in Riv. dir. civ., 2002, II, p. 512.
39
Al riguardo, tra gli altri, cfr. T AMPONI, Cartolarizzazione «immobiliare» e (dubbia) tutela dell’investitore, in Nuova giur. civ. comm., 2002, II, p. 530 ss. (dove una puntuale precisazione terminologica e concettuale in ordine ai rapporti tra documento, credito incorporato nel documento e
immobili oggetto di dismissione); CAROTA, Le operazioni di cartolarizzazione relative a immobili pubblici, in Contratto e impr., 2003, p. 789 ss. (che, tra l’altro, segnala i riflessi positivi anche in chiave
di sviluppo dei mercati finanziari); RENNA, I beni «pubblici» degli enti «privatizzati», in Ann. ass. it.
prof. dir. amm., Milano 2004, p. 300 ss.; COLOMBINI, Privatizzazione del patrimonio pubblico e obiettivi di finanza pubblica, ivi, p. 78 ss., F OÀ, Il patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti territoriali come strumento correttivo della finanza pubblica , in Giorn. dir. amm., 2004, p. 366 ss.; evidenziano, con precisione, il rapporto di strumentalità tra le forme di separazione patrimoniale e il perseguimento degli obiettivi della cartolarizzazione del compendio immobiliare pubblico, T OMBARI,
Profili organizzativi della «società veicolo» nella legge sulla privatizzazione e valorizzazione del patri monio immobiliare pubblico, in La cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico , a cura di
G. Morbidelli, Torino 2004; e R. Q UADRI, La destinazione patrimoniale, cit., p. 69 ss. (che pone in
rilievo l’incidenza delle operazioni di cartolarizzazione sul versante dello sviluppo del mercato im mobiliare); sottolineano, in senso generale, la necessità del ricorso, sub specie iuris, a operazioni di
dismissione di beni pubblici ove maggiormente coerenti con le esigenze dell’economia pubblica,
CERULLI IRELLI, Utilizzazione economica e fruizione collettiva dei beni, in Ann. ass. it. prof. dir. amm.,
cit., pp. 16-21; e F. F RANCARIO, Privatizzazioni, dismissioni e destinazione «naturale» dei beni pubblici, ivi, pp. 191 ss., spec. 221 ss.
40
Su cui si vedano, in particolare (anche in ordine alla disciplina «attuativa» dell’art. 8, quarto
comma, d.l. 15 aprile 2002, n. 63, conv. con l. 15 giugno 2002, n. 112, contenuta nel d.m. 27 mag gio 2003, n. 11060), PASQUINI, La Infrastrutture spa, in Giorn. dir. amm., 2002, p. 824 ss.; e, ancora,
DUGATO, Ruolo e funzioni di Infrastrutture spa, in Ann. ass. it. prof. dir. amm., cit., p. 128; puntuali
considerazioni sul piano della separazione del patrimonio destinato a determinate operazioni vengono svolte da FOÀ, Patrimonio dello Stato spa e gestione dei beni culturali, in Aedon, 2002, 3, § 2; e,
per interessanti spunti circa l’articolazione del patrimonio in ragione del soddisfacimento delle diverse classi di finanziatori, cfr. M. LIPARI, La cartolarizzazione del patrimonio pubblico. I profili pubblicistici della dismissione, in La cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, cit., p. 266 ss.