Osea - ISSR Portogruaro

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Osea - ISSR Portogruaro
ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE
“RUFINO DI CONCORDIA” - PORTOGRUARO
ELABORATO SCRITTO PER IL CORSO DI
INSEGNARE IRC: L'UTILIZZO DELLA BIBBIA
NELLA DIDATTICA DELL'INSEGNAMENTO
DELLA RELIGIONE CATTOLICA A SCUOLA
IL PROFETA OSEA:
VOCE DI UN DIO CHE AMA E
PERDONA INCESSANTEMENTE
STUDENTE
Anna Maria Murgolo
Anno Accademico 2012-2013
1
Per questo lavoro di approfondimento, mi piace poter guardare più da
vicino al libro del profeta Osea ed è una scelta che muove essenzialmente da due
ragioni: la prima è quel fascino che da sempre esercita su di me la figura del
profeta, per il suo essere “parola viva di Dio”, voce e interprete di Colui che è
l'Autore della vita e che incessantemente la conduce; secondo i significati più
ricorrenti, il profeta in generale è colui che parla in nome di Dio o al posto di Dio
o, ancora meglio, è colui che legge la storia da uomo sapiente, cogliendo nelle
pieghe delle vicende umane quella Presenza che, seppur celata, tutto orienta e
significa. Il profeta non fa di tale sapienza un dono da preservare, ma al contrario
desidera annunciare agli altri uomini questo Amore presente in ogni frammento di
storia e permettere loro di scoprirsi personalmente cercati, amati, perdonati e
salvati.
Il profeta Osea, in modo particolare, ci permette di entrare nel dialogo tra
Dio e l’uomo e, soprattutto, ci fa gustare il modo di Dio di amare un uomo che
così facilmente lo ferisce e tradisce; ci ricorda che non siamo chiamati ad
assumere l’“altezza” di Dio per entrare in questa relazione d’amore, ma siamo
amati fin “dal basso” della nostra umanità e, con quello che siamo e viviamo,
siamo costantemente ricollocati nella vita e nelle relazioni e riabilitati ad amare;
Dio ci raggiunge nel nostro peccato, nei nostri tradimenti, nelle nostre quotidiane
devozioni a idoli inconsistenti, come quell’unico amore che può sanarci e in forza
del quale il nostro peccato perde potere su di noi.
Ma chi è Osea? Osea è vissuto nell’VIII secolo a.C. nel Regno del Nord ed
è uno dei profeti più antichi di cui ci sia giunto un testo scritto. Vive in un
frangente storico alquanto complesso: durante il regno di Roboamo, successore di
Salomone, Israele infatti si divide in Regno del Nord, che conserva il nome di
Israele, con capitale Samaria, e Regno del Sud o di Giuda, con capitale
Gerusalemme. Dopo un periodo di relativa pace, cominciano a susseguirsi
situazioni drammatiche: lotte fra i re per la successione al potere, profonde
ingiustizie sociali, immoralità dilagante, dovuta al non rispetto della Legge. Anche
dal punto di vista religioso ci si confronta con un sincretismo che presto degenera
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in idolatria: Jhwh non viene del tutto dimenticato, ma sovente viene messo alla
stregua di divinità pagane come Baal e Ašera, nel cui nome si ricorre a riti
orgiastici, prostituzione sacra, sacrifici di persone umane, invocando la fertilità e
la fecondità. Jhwh continua ad essere il Dio del popolo, ma nella concezione degli
israeliti è Baal che provvede alle loro necessità ed è a Baal che vengono rese
grazie. La catastrofe ha inizio proprio con la rottura dell’alleanza di Israele con
Jhwh.
È qui che si fa acuta la parola di Osea, nel ricordare al popolo eletto che
Dio non ammette rivalità con altre divinità: è un Dio geloso, che vuole recuperare
l’alleanza con l’uomo e farsi riconoscere, ancora una volta, come il Dio della vita,
l’unico e il solo. Il libro di Osea, allora, si presenta come il dialogo incessante tra
Dio e l’uomo: è un susseguirsi di oracoli di minaccia e di salvezza, è l’insistente
grido di Dio all’uomo, che è ora di accusa e giudizio, e subito dopo di
riconciliazione e speranza.
Nei versi del profeta Osea, incontriamo un Dio che sovente entra in
dialogo con l’uomo con un tono di accusa e minaccia, ma questo non è certo per
rivendicare i suoi diritti, quanto per ricreare le condizioni di una comunione
autentica, facendo sì che sia l’uomo stesso ad intraprendere un cammino di
conversione, dopo aver assunto la consapevolezza della propria colpa e del potere
sanante dell’amore offertogli. L’amore paterno di Dio non si arresta di fronte alla
storia di Israele, che si presenta come popolo ingrato, ribelle e infedele. È un
amore che vince le innumerevoli infedeltà di cui questo si rende protagonista e lo
riaccoglie, pur se non del tutto pentito.
Scorrendo le pagine del profeta, incontriamo le metafore dell’amore
paterno e sponsale di Dio; entrambe dicono quale sia il solo desiderio che anima
le iniziative di Dio verso il suo popolo: rinnovarlo e reintrodurlo nell’alleanza
d’amore con Lui. Se Dio ammonisce ripetutamente l’uomo, è perché possa
sciogliere i suoi legami effimeri e tornare a ri-conoscere il suo Dio, sorgente
autentica della vita. Egli non desidera un ritorno mascherato da una condotta
apparentemente ineccepibile e vuoto di sentimenti; piuttosto, attende che l’uomo
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riconosca la sua infedeltà e con sincerità e libertà inizi il suo cammino di
conversione, di riconsegna del suo cuore a Dio, Sposo, Padre e datore di ogni
bene.
In generale, mi piace pensare alla Scrittura come “il grande libro” della
storia tra l’uomo e Dio: con essa possiamo percorrere i sentieri inerpicati del
cuore umano, sprofondare nel mistero dei suoi pensieri, del suo ragionare, dei suoi
più sublimi desideri o delle più abiette sue ambizioni; conoscere la sua naturale
inclinazione all’amore, alla pienezza, alla bellezza, e al tempo stesso sentire il
gusto amaro della sua viltà. È un uomo che corre verso l’amore ma poi
inspiegabilmente se ne allontana, che ambisce alle relazioni ma altrettanto
facilmente le tradisce, che si lega e poi spezza, che stipula alleanze e poi le
infrange; conosciamo un uomo che per natura è tendente al peccato e il suo
peccare altera l’ordine e infrange la giustizia, ferisce la vita, genera rotture,
produce soprusi e sopraffazioni.
La Scrittura nel suo narrare ci lascia conoscere quali possibili cammini si
schiudono per quest’uomo, perché la giustizia da lui infranta venga ristabilita.
Egli non resta prigioniero della sua caducità, ma gli è dato di ritrovare la
possibilità per collocarsi nelle relazioni con un volto e una disponibilità rinnovati:
per iniziativa di Dio, egli torna sempre a ristabilire un dialogo con i suoi
interlocutori, l’uomo o Dio stesso. La scrittura profetica, e Osea in modo molto
efficace, ci mostra come nella relazione con l’uomo, Dio è spesso la parte lesa,
tuttavia Egli non attende che sia l’uomo a convertire il proprio cuore alla sua
legge di amore; è Lui infatti che si converte all’uomo, perché «la sua arte è quella
di chi sa stare nel conflitto irrisolto, di chi guadagna sempre in relazione prima
che in giustizia. Il Signore cerca sempre le ragioni del noi, non le ragioni
dell’io»1.
Nel dialogo con l'uomo, Dio gli rivolge spesso interrogativi forti, i cui toni
sembrano quasi di accusa, ma esse non intendono primariamente portare l’uomo
1
M. SIGNORETTO, Profezia, Sapienza e Poesia. Dispensa ISSR, Verona 2010, 88.
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all’ammissione della colpa, quanto anzitutto aprirgli la strada ad un cammino di
introspezione, in cui egli possa addentrarsi nel suo cuore, nella sua storia,
giungere fino in fondo al suo peccato, toccare con mano la fragilità della sua
condizione, non per sprofondare nella consapevolezza di questa sua creaturalità
finita e peccatrice, ma per scoprirvi la possibilità del perdono di Dio e fare
esperienza del suo amore salvifico, del suo amore «fino alla fine» (Gv 13,1).
Se ci accostassimo a testi profetici, e in particolare ad Osea, con le
categorie del giudizio umano, accuseremmo prontamente Dio di incoerenza, per il
suo modo ingiusto di confrontarsi con la colpa dell’uomo e risolverla. Tutta
l'opera del profeta Osea ci mostra una sorta di “controtendenza”: l'uomo peccatore
anziché subire una condanna per le colpe di cui è protagonista, viene riconfermato
con ancor più vigore come destinatario del progetto salvifico di Dio, a condizione
tuttavia che egli sia altrettanto disposto ad accogliere tale iniziativa di amore
perdonante e salvante.
Mi viene spontaneo a tale proposito accennare al re Davide, per
rintracciare nella sua storia i modi dell'amore di Dio. Il re è colpevole di un
duplice reato: ha ammazzato Uria l’Ittita e si è unito a sua moglie Betsabea; tutti i
favori divini ricevuti nella sua storia non sono ricambiati con una condotta degna
di onore, anzi il suo fare è riprovevole e rivela quasi disprezzo verso Colui che è
all’origine di ogni dono. Eppure, lì dinanzi al re c’è un Dio che non ricambia il
disprezzo ricevuto con la durezza, ma desidera ardentemente la sua conversione e
gli offre la possibilità di tornare alla comunione piena con Lui. A quest’uomo Dio
si rivolgerà con tono d’accusa e non perché desideri la morte del peccatore, ma
che egli «desista dalla sua condotta e viva». (Cf Ez 18,23). Davide, allora, si
lascia
riconciliare
dall’Amore:
accogliendo
l’iniziativa
divina
della
riconciliazione, accetta di confrontarsi con la verità del suo cuore e diventa capace
di riconoscere il suo errore.
Il Sal 51 è la meravigliosa attestazione del suo percorso interiore: in questi
versi si sprigiona dal cuore di Davide un grido di supplica a Dio; l’invocazione
della misericordia può partire soltanto da un cuore che ha riconosciuto la
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grandezza di Colui che ha dinanzi ed equivale già all’ammissione della colpa. Se
il re non avesse riconosciuto la misericordia di Dio e non vi si fosse appellato, si
sarebbe dissolto sotto il peso della sua colpa. Davide invece, a dimostrazione del
fatto che in lui il perdono divino fa il suo corso, dopo qualche passaggio,
domanderà di ri-nascere a vita nuova, invocando lo Spirito.
Nel peccato dell’uomo, Dio opera salvezza; una storia di malefatte si trasforma
per la misericordia di Dio in storia di redenzione.
Questo mi riporta al recupero del ruolo del profeta: esso non è marginale e la sua
parola non è priva di incisività; egli denuncia il male, ma la denuncia non mira a
condannare il peccatore, quanto a schiudergli dinanzi un cammino di conversione.
Egli percepisce la durezza della sua parola e come essa inibisca il cuore
dell’uomo, eppure è una parola che va pronunciata, per far urtare l’uomo contro la
sua stessa sordità. E quando la parola del profeta si realizzerà, egli potrà
cominciare a parlare di salvezza. Alla sventura dell’uomo il profeta contrappone la
consolazione; a coloro che domandano salvezza, annuncia un Dio desideroso di
stipulare con loro un’alleanza d’amore eterna.
Se c’è un aspetto che desidero particolarmente enfatizzare in queste righe,
è proprio la natura “vivificante” dell’incontro tra l’infedeltà dell’uomo e la
pazienza di Dio. I ritmi del dialogo tra Dio e l'uomo non sono quelli che
razionalmente e umanamente ci attenderemmo, ma sono ritmi che possono essere
inventati solo da un cuore creativo, innamorato, paziente, perseverante, da un Dio
che dinanzi all’uomo, “la più alta delle sue creature”, eppure la più infedele,
spontaneamente sprigiona la sua carica d’amore, per ricrearlo e restituirgli la sua
originaria e divina bellezza.
Il profeta Osea dona di contemplare questo Dio innamorato e ancora di più
il riverbero che questo amore suscita nel cuore umano. Se l’uomo saprebbe
scrivere solo la parola “fine” dopo le sue malefatte e fatichi ad intuire lo
schiudersi della vita nelle morti da lui subite o generate, la Scrittura ci narra le
redenzioni continuamente operate da Dio nella vita concreta dell’uomo.
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Se il peccato e il male restano la legge fondamentale del mondo e della
vita dell’uomo, rivelando la loro naturale inclinazione a prediligere le tenebre alla
luce, il male al bene, la morte alla vita, Dio è l’Amore che continuamente si rivela,
invade e pervade l’universo umano, mettendo fine alla sua alienazione e
solitudine. La condanna che l’uomo si infligge, è da Dio trasformata in perdono2.
E il perdono non è il delicato scadere di Dio nella superficialità o nel buonismo,
ma è il suo modo libero e liberante di incontrare l’uomo.
Osea permette di evidenziare come, pur non mancando una decisa accusa contro
l’infedeltà di Israele, l’ultima parola non è il castigo; il profeta considera tutta la
storia di Israele come una storia di peccato, storia di un popolo ingrato e ribelle,
tuttavia «ciò che finisce per trionfare è l’amore di Dio, che di nuovo accoglie la
sposa, anche se non del tutto pentita»3. In tutto il libro non si narra della
conversione del popolo, ma l’accento ricade puntualmente sull’abbondanza e sulla
gratuità dell’amore di Dio. Osea viene decisamente a scompaginare i modi umani
di ragionamento, difatti se nella logica dell’uomo la successione è peccatoconversione-perdono, egli inverte l’ordine: mostra un Dio che perdona ancora
prima che l’uomo si converta e che rinnova la sua offerta di amore anche quando
la conversione tardi ad arrivare o addirittura non maturi affatto4.
In ultimo, ritengo interessante sottolineare il parallelo tra la storia
personale di Osea e quella di Dio con il popolo eletto5: non sappiamo se quella
narrata nel libro sia la storia reale del profeta o un’allegoria, un espediente
letterario, come non sappiamo se Osea abbia avuto una moglie adultera o se abbia
preso in moglie una prostituta sacra. Quello che è certo è che dietro questa storia
di un amore tradito e di un perdono risanatore c’è il cuore di un uomo ferito, che
ha conosciuto la dolorosa esperienza del tradimento, ma che comunque ha provato
a percorrere la via del perdono. È un uomo che legge la sua storia e quella del
2
Cf SCHMEMANN - CLÉMENT, Il mistero pasquale, Lipa, Roma 2005, 28.
3
ALONSO SCHÖKEL-SICRE DIAZ, I Profeti, Borla, Roma 1984, 975.
4
Cf ALONSO SCHÖKEL-SICRE DIAZ, I Profeti, 976.
5
Cf SIGNORETTO, Profezia, Sapienza e Poesia, 77.
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popolo alla luce della Parola del Signore e dell’esperienza che ha di Lui. È un
uomo che assume come chiave di lettura della storia propria e altrui l’amore di
Dio, eternamente padre e sposo di ogni uomo.
Il libro del profeta Osea è l'inno a un Dio che non accetta che l’uomo si allontani
irrimediabilmente dalla Sorgente della vita, legando il suo cuore a divinità false e
mortifere. La grazia di Dio irrompe puntualmente nel momento in cui tradimento
e peccato sembrano avere la meglio e scrivere l’epilogo di ogni vicenda in cui sia
coinvolto l'uomo.
Dio, padre amorevole, non tace, non ammette di annientare un figlio, nonostante
questi non accenni a cambiare condotta. «Quanto più l’uomo si macchia di
peccato, tanto più le sue “viscere di misericordia” provano compassione ed egli
teme per la sorte della sua creatura. Allora il divino sdegno si converte in fremito
di compassione»6.
Il paradosso di questo testo è che sia Dio a convertirsi all’uomo, dandogli così una
nuova speranza. Egli è pervaso dall’ira per il male commesso da suo figlio, ma
quell’ira è messa a tacere dal suo essere “Santo”, dal suo essere Dio e non uomo,
dall’essere “altro” rispetto all’uomo, una santità che è una vera e propria
“esagerazione d’amore”. Nonostante la pervicacia del popolo, Dio rimane in
mezzo a lui: il suo amore è più forte di tutto, di ogni traviamento.
Personalmente, ritengo che il libro di Osea sia una delle narrazioni più
sublimi e toccanti della storia tra Dio e l’uomo; dona di tornare sui passi
dell’antico popolo di Israele, che nel suo cammino di liberazione dall’Egitto ha
potuto sperimentare l’amore abbondante e liberante di Dio e legarsi a Lui. Lascia
intuire come l’esperienza dell’Esodo sia il cuore della fede del popolo ebraico,
perché è quanto lo fa immergere nella relazione con Jhwh, facendogli scoprire e
gustare il Suo volto di Padre, Pastore, Guida: è in quel cammino che Lo riconosce
irrevocabilmente come il Dio unico della sua storia, il Dio della sua liberazione,
della sua salvezza, della sua ri-nascita.
6
A.M. CANOPI, Là parlerò al suo cuore. Lectio divina sul libro del profeta Osea, Paoline,
Milano 2005, 95.
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Al tempo stesso, Osea ci presenta l’altro volto di questo popolo: un popolo
che smarrisce il suo cuore nell’idolatria, che sembra a tratti dimenticare quale Dio
gli abbia dato vita, per cercare nutrimento e salvezza in altri dei, partoriti dalla sua
stessa umanità. È un popolo che sovente infrange l’alleanza con Jhwh, che
sperpera ricchezze, che volge il suo cuore a beni effimeri, che vive culti falsi e
percorre i sentieri del tradimento e della prostituzione. E mentre l’infedeltà del
popolo ebraico si dispiega tutta dinanzi ai nostri occhi, ecco fare irruzione Dio,
“l’eterno Innamorato”.
Osea è questo: la storia irrisolta di un popolo continuamente cercato da
Dio. A tratti sembra un Dio adirato, un giudice minaccioso, mentre
l’ammonizione, la minaccia, l’accusa rientrano nel linguaggio con cui Egli si
rivolge all’uomo, per condurlo progressivamente nella profondità del suo cuore e
là fargli riconoscere inequivocabilmente il suo peccato. Non sono parole
sanzionatorie o di condanna, non sono sentenze che arrestano la relazione al
peccato riconosciuto, ma sono lo “spazio” che Dio costituisce, perché Israele,
riconoscendosi peccatore e bisognoso di misericordia, inizi un nuovo cammino di
conversione, di ritorno a Lui, al suo amore, all’alleanza.
Nella storia di questo popolo, ritroviamo la storia di ciascun uomo: nel
peccato di Israele, vi è il nostro; nelle sue immaturità, le nostre; nei suoi
fallimenti, i nostri. E, allo stesso modo, la redenzione concessa a Israele, è quella
concessa a noi. Ma Dio lascia alla mia e nostra libertà il lasciarci avvolgere e
rinnovare da questo dono.
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BIBLIOGRAFIA
ALONSO SCHÖKEL, L. - SICRE DIAZ, J. L., I Profeti, Borla, Roma 1984, 1568 pp.
BIBBIA DI GERUSALEMME, Dehoniane, Bologna 2009, 3032 pp.
CANOPI, A.M., Là parlerò al suo cuore. Lectio divina sul libro del profeta Osea,
Paoline, Milano 2005, 124 pp.
SCHMEMANN, A., - CLÉMENT, O., Il mistero pasquale, Lipa, Roma 2005, 96 pp.
SIGNORETTO, M., Profezia, Sapienza e Poesia. Dispensa ISSR, Verona 2010, 262
pp.
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