BALZARE SULLE ALTURE

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BALZARE SULLE ALTURE
BALZARE SULLE ALTURE
Il Signore Dio è l a mi a forza, egli rende i m iei piedi come quelli delle cerve e sulle
alture mi fa cam minare. ( Abacuc 3,1 9)
Un ce rbiatto che, con l’agilit à e la lie vità di un acrobata, riesce a volteggiare
da un picco all’altro: è questa la scen a ch e si delinea davanti ai nostri occhi attrave rso
l’ultimo versetto del piccolo libro che ci ha lasciato il profeta Abacuc. Abbiamo v oluto
proporre una “scheggia” poetica che appart ie ne a una sorta di salmo collocato in finale
all’opera di quest o profeta del quale si ign or a quasi tutto dal punto di vista biogra fico.
Questa composizione innica è così int it olat a: «Preghiera del profeta Abacuc, in ton o d i
lamentazione » (3,1).
Essa ha un suo fascino, soprattu tto ne lla rappresentazione gloriosa del Signore ch e
avanza dal Sinai: «I l suo splendore è co me la luce, bagliore di folgore escono dalle su e
mani, là si cela la sua potenza» (3,4 ). La n at ura è sconvolta di fronte a questa irruzio ne
di luce e di f orza, si scatena un terr emo to, i monti si sgretolano, i colli s’inchinan o a l
suo passaggio. È, questa, la tipica co reogr af ia delle cosiddette “teofanie”, ossia d e lle
apparizioni del Creatore che entra nel cosm o e nella storia per giudicare e salvare.
Il “salmista” A bacuc reagisce anch ’egli con timore e tremore: «Il mio intimo freme, a
questa voce trema il mio labbro, la carie entr a n elle mie ossa e tremo a ogni passo» (3,1 6).
Ma alla fine e gli esplode di gioia per ché il Sig nore si china su di lui e gli imprime fo rza
e serenità, ta nto da farlo danzare come un cer vo, mentre percorre il terreno scosceso e
accidentato del la storia, tra i dirupi de lle pr ove e lungo i sentieri di altura della vita. È
per questo aspet to di f elicità e fiducia che ab biamo voluto scegliere il quadretto finale del
testo salmico che suggella il libretto d i un pr of eta di cui – come si diceva – si sa poco (il
suo nome pr obabilmente è quello di un a pian ta acquatica).
Eppure una sua fama Aba cuc se l’è ottenuta attraverso un altro versetto
che vorremmo ora accostare a quello d a noi selezionato. Il merito, però, è in realtà d a
assegnare a san P aolo che l’ha ado tta to com e chiave teologica del suo capolavoro , la
Lettera ai Romani. Ecco il versetto in tegr ale di Abacuc: «Soccombe colui che no n ha
l’animo retto, ment re il giusto vivrà per la su a fede» (2,4). Tutti riconoscono la formu la “Il
giusto per fed e vi vrà” che l’Apostolo pone in a pertura alla Lettera ai Romani (1,17) . Pe r
san Paolo il concetto è chiaro: colui che è r eso giusto (“giustificato”) mediante la sua fe de,
potrà ottenere la vita divina.
Il sen so inteso dal profeta è, invece, più immediato: chi è arrogante e ingiusto
(«non ha l’animo retto»), cadrà e non avr à successo; chi confida in Dio restandogli fed e le,
salverà la sua vi ta. Ritorna, così, per altr a via l’immagine del cerbiatto da cui siamo partiti:
chi è senza la forza divina, è debole e, cam minando tra i rischi della storia, si sfrace lla,
mentre rapida e leggera è la marcia del giust o, sostenuto dalle mani del Signore. P er
questo – conclude Abacuc – «io gioirò nel Signore, esulterò in Dio, mio salvatore» (3,18 ).
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