La liberalizzazione del settore assicurativo
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La liberalizzazione del settore assicurativo
LE POLITICHE DI LIBERALIZZAZIONE IN ITALIA PROPOSTE DI RIFORMA E LINEE DI INTERVENTO SETTORIALI Assicurazioni* Luigi Buzzacchi, Michele Siri Il settore delle assicurazioni ha un peso notevole all’interno dell’economia dei Paesi industrializzati, e comprende un’ampia gamma di attività finalizzate ad intermediare e gestire rischi di tutti i generi cui sono sottoposti consumatori, risparmiatori ed imprese. In Italia, in particolare, il giro di affari del settore ha ormai stabilmente superato i 100 md. di euro. Il processo di liberalizzazione nel settore assicurativo è definito da tre generazioni di direttive comunitarie specifiche, che tra il 1973 e il 1994 eliminarono progressivamente i vincoli che impedivano alle imprese di operare liberamente in tutti gli stati membri, fino alla configurazione attuale che prevede che ogni impresa possa offrire un prodotto assicurativo ad ogni cittadino comunitario, senza dover aprire una filiale nel Paese ove risiede il suo cliente. Tale apertura del mercato comunitario ha naturalmente richiesto un processo di armonizzazione della normativa in tema di offerta assicurativa in ogni stato membro. Come si vedrà più in dettaglio nel seguito, la scelta che si è compiuta ha previsto una profonda deregolamentazione sul versante dei prezzi e della standardizzazione contrattuale – finalizzata ad eliminare le discriminazioni regolamentari che avrebbero penalizzato selettivamente le imprese di alcuni Paesi, distorcendo il gioco concorrenziale – e, viceversa, l’introduzione di un modello comune di controllo della solvibilità delle imprese, che è tuttora in fase di graduale introduzione. Il processo di liberalizzazione è dunque responsabile dell’evoluzione delle condizioni strutturali di concorrenza che si originano dalla sostanziale riduzione delle barriere all’ingresso e dalla scomparsa di ogni forma di controllo dei prezzi. La realizzazione o meno delle aspettative che tale processo ha generato, si è poi naturalmente accompagnato ad una serie di interventi di aggiustamento su scala più limitatamente nazionale. Essi verranno esaminati nel seguito insieme ai fenomeni di liberalizzazione in senso proprio. 1. Il funzionamento del mercato assicurativo Il mercato assicurativo è un mercato nel quale le compagnie di assicurazione ed i loro clienti (persone fisiche o giuridiche che siano) sottoscrivono un contratto che comporta il trasferimento di un rischio dall’assicurato alla compagnia in cambio di un premio. Il rischio è associato ad un evento che comporta un danno all’assicurato, misurato da una perdita pecuniaria X. Tale evento può realizzarsi o meno per varie ragioni tra le quali (prevale) il caso. L’incertezza può riguardare se e/o quando l’evento si realizzerà, nonché eventualmente la gravità delle sue conseguenze. In generale la distribuzione di fi(X) per ogni potenziale assicurato i-esimo è differente, ed inoltre non è conoscenza comune. In particolare, è logico assumere al riguardo una superiorità informativa dell’assicurato rispetto all’assicuratore.1 L’assicurazione, “assumendo” il rischio, si impegna a risarcire le conseguenze dell’evento (danno) con una cifra I(X), specificata nel contratto. I cosiddetti “rischi assicurativi” – in contrapposizione a quelli “finanziari” – sono quelli che prevedono la variabile stocastica X non-negativa. Questa * Desideriamo ringraziare Carlo Cambini, Giovanni Cespa, Giovanni Cucinotta, Giovanna Nicodano e Piercarlo Ravazzi per aver letto e commentato il nostro lavoro. Le idee qui espresse – delle quali rimaniamo ovviamente i soli responsabili – hanno beneficiato dell’attività di ricerca finanziariamente supportata dal contributo PRIN 2005, prot. 2005137858_003. 1 Alcuni recenti contributi propongano tuttavia l’analisi di mercati assicurativi nei quali – in virtù della propria esperienza – gli assicuratori hanno un’informazione circa il rischio superiore a quella dell’assicurato (Villeneuve, 2005). definizione è del tutto adeguata per descrivere i segmenti del mercato denominati rami danni2. I cosiddetti rami vita3 hanno di recente sperimentato un’evoluzione che ha introdotto sempre più nei relativi contratti assicurativi componenti di natura finanziaria, oltre a quelli più tradizionalmente demografici. Gran parte degli argomenti svolti in questo capitolo sono altrettanto validi per i rami danni come per i rami vita, anche se l’attività assicurativa tipica cui ci si riferirà nel seguito è più direttamente riferita alle coperture danni. Il gioco di produzione nel settore assicurativo si svolge attraverso una serie complessa di azioni intraprese dalle compagnie e dai loro clienti in diversi istanti temporali. Esso può essere sinteticamente rappresentato come in fig. 1, che ha lo scopo di mettere in evidenza l’interazione strategica tra i partecipanti ed è inoltre funzionale ad una classificazione degli interventi di regolamentazione del settore4. FIG. 1 La prima fase di interesse è quella pre-competitiva nella quale le imprese effettuano scelte di lungo periodo. In particolare, le imprese scelgono la quantità di capitale di rischio di cui dotarsi, se attivarsi o meno nello specifico ramo, e la propria configurazione competitiva (come organizzarsi giuridicamente, come distribuire il proprio prodotto e come attrezzarsi per svolgere l’attività di gestione post-contrattuale del rapporto con la clientela). Gli investimenti in questa fase sono in prevalenza costi affondati. A questo punto, la seconda fase – quella competitiva in senso stretto – prevede che ogni compagnia faccia scelte di breve periodo riguardanti i prezzi e la varietà dei contratti da offrire sul mercato (classificazione, franchigie, massimali, scoperti, ecc.). Questa attività è ovviamente rilevante nel determinare i profitti dell’impresa, non solo perché fissa le quantità vendute, ma anche perché determina – in un mercato nel quale, come si è detto, i rischi sono in generale eterogenei ed ignoti – la rischiosità della clientela. Il meccanismo di screening, determinato dalla varietà contrattuale, opera infatti una selezione dei rischi. Al terzo stadio del gioco ogni assicurando, alla luce dei menu di contratti offerti dalle compagnie attive nel ramo, nonché delle informazioni più o meno private circa la propria rischiosità, sceglie se assicurarsi o meno, e, nel caso, a quale compagnia rivolgersi e quale contratto selezionare. La scelta del contratto non è compito banale, in quanto il contratto è spesso complesso: l’assicurato medio necessita quindi talvolta anche di un servizio di consulenza da parte del distributore, per comprendere in che misura i contratti alternativi siano adeguati alle proprie esigenze. Le scelte dell’assicurato in questo (e nel successivo) stadio determinano il risarcimento atteso complessivo per ogni compagnia, anche se quest’ultima potrebbe non avere, a questo punto del gioco, tutti gli elementi per valutarlo. Se il meccanismo di selezione dei rischi messo in atto da una specifica compagnia determina una rischiosità del portafoglio superiore alla rischiosità media del mercato potenziale, si è in presenza del fenomeno di selezione avversa. Si noti che la selezione 2 I rami danni previsti dalla normativa sono 18, ma possono essere individuate tre classi più generali di coperture (Cucinotta e Nieri, 2005): i) le coperture su rischi inerenti la persona, ii) le coperture su rischi di riduzione del valore dei beni o del patrimonio dell’assicurato e iii) le coperture su rischi di responsabilità dell’assicurato riguardo danni causati ai beni o al patrimonio di terzi. 3 I rami vita previsti dalla normativa sono 5, ma possono essere individuate tre classi più generali di coperture (Cucinotta e Nieri, 2005): i) le coperture caso morte, che prevedono l’erogazione di una somma variamente predeterminata ai beneficiari all’occorrenza della morte dell’assicurato, ii) le coperture caso vita, che prevedono l’erogazione di una somma variamente predeterminata all’assicurato (o ad altri beneficiari) nel caso in cui l’assicurato sia ancora in vita ad una certa data e iii) le coperture miste. 4 La figura fa riferimento ad un generico ramo e non descrive, per semplicità, le scelte di riassicurazione (la possibilità di cedere verticalmente una parte dei rischi ad un assicuratore di assicuratori) e di coassicurazione (la possibilità di cedere orizzontalmente una parte dei rischi ad altri assicuratori). 2 avversa può presentarsi per tutte le compagnie del mercato o solo per alcune; in quest’ultimo caso, se ne deve dedurre che il meccanismo di selezione operato dalle concorrenti ha sottratto alla domanda della compagnia in esame i clienti meno rischiosi (cream skimming). Associamo idealmente al quarto stadio del gioco, cioè dopo la stipula del contratto, tutte le azioni intraprese dall’assicurato che interferiscono in qualche modo con il rischio. Si tratta essenzialmente di attività costose di consumo e/o di prevenzione5. Ciò che rileva in questa fase è la presenza di azioni dell’assicurato non verificabili, cioè non disciplinate dal contratto assicurativo. In questo senso, l’atto dell’assicurarsi comporta evidentemente per l’assicurato una caduta di incentivi a controllare il rischio. Il fenomeno secondo il quale cresce la rischiosità media complessiva in corrispondenza dell’attivarsi del mercato assicurativo va ancora attribuito ad un’asimmetria informativa, questa volta ex-post, tra assicurato e assicuratore (azzardo morale). Al quinto stadio, logicamente contemporaneo al quarto, la compagnia investe il premio ricevuto al terzo periodo. In termini aggregati, il risultato dell’investimento dei premi raccolti è al servizio dei risarcimenti promessi in sede contrattuale al complesso degli assicurati. L’eventuale residuo remunera il capitale di rischio apportato dagli azionisti della compagnia. Se, al contrario, i ricavi non fossero sufficienti a coprire i costi e la compagnia fosse sottoposta ad un regime di responsabilità limitata, i risarcimenti verrebbero corrisposti fino all’esaurimento dei mezzi propri dell’impresa, la quale terminerebbe a questo punto la propria attività per fallimento. In questo senso, gli obiettivi di assicurati ed assicuratori non sono perfettamente allineati, poiché l’investimento dei premi è sottoposto ad un naturale trade-off rischio/rendimento per l’assicuratore, diverso da quello dell’assicurato. La situazione è concettualmente analoga a quella del tradizionale conflitto di obiettivi tra azionisti e creditori, quali a tutti gli effetti sono gli assicurati: l’assicuratore tende a preferire posizioni più rischiose di quanto auspicherebbe l’assicurato/creditore in virtù della copertura garantita dalla clausola di responsabilità limitata. L’assicurato, peraltro, non è in grado di disciplinare l’attività di investimento dell’assicuratore, e si viene a generare una seconda situazione di azzardo morale, il cui senso è però invertito rispetto a quella dello stadio precedente. Al sesto stadio si rivela l’entità del danno subito da ogni soggetto economico (assicurato o meno). Questa realizzazione, come si diceva, può essere interpretata come l’estrazione da una distribuzione definitivamente fissata dalle attività di consumo e prevenzione di ogni soggetto. Al settimo ed ultimo stadio, la realizzazione dei danni è osservabile da tutti i giocatori, e il gioco si conclude con i trasferimenti a favore dei beneficiari a titolo di risarcimento. L’ammontare complessivo dei risarcimenti per ogni singola impresa, oltre che dalla distribuzione dei danni allo stadio precedente, dipende dall’effetto di selezione dei rischi che le scelte in fase competitiva hanno determinato. Per l’assicuratore viene dunque a definirsi il livello di profitti/perdite e l’eventuale fallimento. Nella realtà, il processo di risarcimento può essere anche lungo e complesso nel caso in cui i fatti e/o le clausole contrattuali siano sufficientemente ambigui da lasciare spazio al contenzioso, attività che può comportare incrementi di costo anche elevati. 5 Per semplicità, assumiamo che le attività di consumo aumentino la rischiosità dell’assicurato (viaggiare molto aumenta le probabilità di incidenti, assumere determinate abitudini alimentari aumenta la probabilità di contrarre specifiche malattie, etc.) e le attività di prevenzione al contrario diminuiscano la rischiosità. Per essere precisi, si distingue abitualmente tra prevenzione in senso stretto, cioè un investimento teso a diminuire l’entità del danno nel caso in cui il sinistro dovesse realizzarsi (ad esempio, l’acquisto di un estintore), e protezione cioè un investimento teso a diminuire la probabilità del danno (ad esempio, l’istallazione di un antifurto). Questa distinzione non è rilevante in questa sede, e nel seguito ci riferiremo con il termine prevenzione ad entrambe le attività. 3 Criteri di valutazione del mercato Veniamo ora a discutere come può essere valutato il funzionamento di un generico mercato assicurativo. Come si vedrà, i criteri che possono guidare tale valutazione – e dunque gli interventi pubblici relativi al settore – sono molteplici, ed in parte anche conflittuali. La ragione di esistenza del mercato assicurativo si giustifica innanzitutto con l’avversione al rischio dei consumatori, che rende desiderabile un meccanismo di riallocazione dei rischi che attribuisca i rischi del sistema ai soggetti in grado di sopportarli con minore disutilità6. Le compagnie di assicurazione fungono allo scopo, essendo in grado di diversificare i rischi se riescono ad aggregarne un numero elevato, e qualora i singoli rischi siano tra di loro statisticamente indipendenti, o quantomeno non perfettamente correlati. Proprio grazie all’avversione al rischio individuale, gli assicurati possono essere disposti a pagare il servizio offerto dall’assicuratore e allo stesso tempo aumentare la propria utilità. Le opportunità di profitto per l’assicuratore privato consentono l’attivazione del mercato. La condizione congiunta di efficiente produzione del servizio e buona funzionalità del meccanismo concorrenziale, garantisce all’equilibrio bassi prezzi per le coperture. Minori sono i premi, più ampio sarà l’effetto di riallocazione dei rischi dai consumatori verso gli assicuratori, e maggiore sarà il surplus collettivo che si realizza. Fin qui il criterio espresso è poco peculiare, rappresentando, mutatis mutandis, un normale criterio di efficienza marshalliana in un contesto di equilibrio parziale. Ancora in termini di efficienza economica, il mercato assicurativo modifica gli incentivi alle attività di consumo e prevenzione che determinano il livello aggregato del rischio nel sistema. Il corretto funzionamento di un mercato assicurativo dovrebbe determinare attività di consumo e prevenzione del rischio tali per cui il loro costo marginale ne uguagli il beneficio marginale. Sul differente piano dell’equità, poi, la presenza del mercato assicurativo, corregge gli effetti distributivi casuali determinati dagli eventi sinistrosi, attribuendo il costo di tale correzione ai singoli individui tramite il livello dei premi: la distribuzione della ricchezza che ne deriva è naturalmente suscettibile di valutazione in chiave sociale.7 Oltre ai criteri fin qui descritti, la cui natura è del tutto evidente, gli interventi pubblici sul mercato assicurativo rivelano ulteriori obiettivi collettivi che vengono sovente presi in considerazione, il cui inquadramento richiede qualche ulteriore riflessione. Il mercato assicurativo offre servizi che consentono di trattare fenomeni che hanno un’incidenza assai rilevante sull’intero sistema economico: l’accessibilità alle coperture assicurative influenza evidentemente le opportunità di lavoro e consumo di molti soggetti fisici e giuridici (si pensi ai rischi demografici e sanitari, a quelli professionali, alle esigenze di mobilità, ecc.).8 In questo senso i) la solvibilità delle imprese del settore, cioè un elevato grado di credibilità delle promesse di prestazione,9 e ii) la capacità di fornire servizi appropriati a tutti i soggetti economici sottoposti al rischio, sono un ‘valore’ per sé, che trascende le generali proprietà di efficienza che vengono 6 I soggetti più attrezzati per sopportare i rischi, e presso i quali è dunque socialmente opportuno allocarli, sono coloro che hanno maggior tolleranza al rischio, oppure sono più efficienti nel gestirli. 7 Il servizio offerto dal mercato assicurativo è un servizio che ha effetti eminentemente distributivi, è dunque naturale valutarne il funzionamento anche in quest’ottica. 8 Per le imprese assicurande, in particolare, va notato che maggiore è l’ammontare dei rischi che possono essere riallocati presso un assicuratore, maggiori saranno i rischi più propriamente industriali che potranno essere intrapresi nel sistema economico. In altri termini, la presenza di un settore assicurativo ben funzionante favorisce l’imprenditorialità: in questo senso si giustifica l’affermazione che la presenza del settore assicurativo è stata una condizione necessaria dello sviluppo delle moderne economie capitalistiche. 9 Il riferimento è al fatto che nel settore assicurativo (come per certi versi accade anche nel settore bancario) le prestazioni sono “promesse” e non “garantite” a causa del cosiddetto ‘ciclo inverso di produzione’: le compagnie assicurative prima “fatturano”, e poi subiscono i costi principali (i risarcimenti). Senza questa inversione rispetto al ciclo produttivo canonico di un’impresa, non ci sarebbero ovviamente problemi di asimmetria informativa, né quelli di solvibilità. 4 normalmente richieste al funzionamento di un generico settore industriale. Si può conseguentemente ancora individuare nell’interesse generale per questo mercato una inadeguatezza dei criteri di valutazione di equilibrio parziale. Resta da osservare che il valore attribuito alla solvibilità per sé deve essere valutato in chiave di efficienza e non di equità, nel senso che il profilo distributivo desiderato potrebbe essere ottenuto, anche in presenza di insolvenze, con un meccanismo che risarcisca i clienti delle compagnie eventualmente fallite, finanziato dai premi stessi o dalla fiscalità. Se si desidera comunque garantire la solvibilità, significa che si individuano costi sociali del fallimento che vanno oltre la semplice inadempienza verso gli assicurati. Naturalmente le misure pro-solvibilità rendono meno efficace il processo selettivo di mercato, con costi sociali in termini di minori garanzie di efficienza. Ultimo criterio con il quale si sono confrontate le analisi politiche del settore nel recente passato, in una chiave del tutto peculiare alla vicende contingenti del continente europeo, è relativo alla valutazione dell’adeguatezza della configurazione dei vari mercati assicurativi nazionali ai fini della compatibilità con l’obiettivo di integrazione del mercato comunitario. 2. Le assicurazioni in Italia. 2.1 Le dimensioni del mercato Il mercato assicurativo mondiale ha registrato nel 2005 una raccolta di premi pari a 3.426 md. US$ (di cui 1.452 md. US$ per i rami danni). Al mercato comunitario europeo (15 paesi) compete una raccolta di 1.177 md. US$ (pari al 34,4%), sostanzialmente pari a quella del mercato statunitense (1.143 md. US$) e più che doppia rispetto a quello giapponese (476 md. US$). Al resto del mondo compete quindi una quota di solo il 18,4%, il che dimostra la natura dei servizi del settore, prevalentemente destinati ai Paesi di più antica tradizione industriale. La ripartizione del mercato comunitario per paesi è riportata in fig. 2. Il mercato italiano, con i suoi 139,2 md. US$, ha dunque una quota pari all’11,8%, di cui 91,7 md. di raccolta vita (12,6%) e 47,5 md. di raccolta danni (10,5%). FIG. 2 Come si può osservare dalla fig. 3, la propensione all’assicurazione nel mercato italiano è ben inferiore a quella degli altri Paesi più industrializzati, sia se misurata per numero di abitanti, sia in rapporto al PIL. Il gap è particolarmente pronunciato nei rami danni; la crescita recente della raccolta vita (si veda la fig. 4) ha infatti ridotto l’anomalia italiana in tale ambito10. FIGG. 3 e 4 Venendo ad una ripartizione più fine della raccolta del lavoro diretto11 delle imprese in Italia, la tab. 1 mostra come la quota preponderante delle coperture danni sia costituita dalle coperture di responsabilità. Tra queste spicca in particolare la copertura RC veicoli, cui compete una raccolta di 18,3 md. Euro, cioè il 50,4% della raccolta danni, quota ben superiore alla media negli altri Paesi UE. Considerato che sono coperture obbligatorie buona parte delle coperture di responsabilità, si può affermare che solo poco più di un terzo della raccolta danni dipende dalle scelte discrezionali degli assicurati. 10 La crescente penetrazione dell’assicurazione vita in Italia coincide in buona parte con la finanziarizzazione dei relativi prodotti, che si sono quindi proposti come sostituti dei titoli di Stato quale impiego del risparmio. La modesta penetrazione delle coperture danni in Italia è ancora più spiccata rispetto alla media dei Paesi più industrializzati se si esclude la copertura obbligatoria RC Auto. L’ampiezza del nostro sistema di welfare e la struttura industriale nella quale prevalgono le piccole imprese spiegano gran parte di questo fenomeno. 11 Cioè al netto della riassicurazione. 5 TAB. 1 2.2 La struttura dell’offerta A realizzare la raccolta premi del 2005 nel mercato italiano hanno contribuito 245 imprese, di cui 174 nazionali e 71 rappresentanze di imprese estere. Di queste ultime, 62 sono comunitarie e operano in regime di stabilimento; delle restanti 9, sono extracomunitarie 4 e 5 sono rappresentanze di imprese comunitarie autorizzate esclusivamente alla riassicurazione. Delle 241 imprese12 comunitarie, 125 esercitano i rami danni, 85 i rami vita, 23 sono imprese multi-ramo e 8 i riassicuratori13. La dinamica del numero di imprese dall’inizio degli anni Novanta (si veda la tab. 2) mostra una certa stabilità nel numero complessivo, cui corrisponde però una riduzione del numero di imprese italiane ed un aumento delle imprese comunitarie che operano in regime di stabilimento, in linea con le aspettative del regolatore. La riduzione delle imprese italiane negli ultimi anni si è realizzata essenzialmente grazie ad una serie importante di acquisizioni e fusioni14 (mentre trascurabili sono state le uscite e non ci sono stati fallimenti negli ultimi anni); d’altro canto, alle entrate straniere corrispondono volumi di attività modesti (tab. 3), dell’ordine di pochi punti percentuali. TABB. 2 e 3 La concentrazione dell’offerta in Italia è piuttosto consistente, anche in relazione alla dimensione del mercato (si veda al riguardo la fig. 5): nel 2005, i primi cinque gruppi assicurativi nel settore vita hanno conquistato una quota di mercato del 60,3% (78,4% i primi dieci); i primi cinque gruppi assicurativi nel settore danni hanno conquistato una quota di mercato del 67,2% (87,0% i primi dieci). La fig. 6 mostra che tale concentrazione è cresciuta negli ultimi anni, in particolare nel comparto danni, in virtù del forte processo di crescita esterna cui si è fatto riferimento15. Come si può notare dalla tab. 4 che riporta le quote di mercato dei primi cinque gruppi nei principali rami, quattro di questi gruppi non sono particolarmente specializzati, ottenendo quote importanti in tutti i rami; un solo gruppo è focalizzato sui rami vita. Ciononostante, le quote di ogni singolo gruppo sono fortemente variabili nei vari mercati. Significativa concentrazione e quote asimmetriche nei vari segmenti del mercato sono considerate in letteratura condizioni poco propizie per una competizione particolarmente sostenuta (Bernheim e Whinston, 1990). FIGG. 5 e 6 e TAB. 4 A completamento di questa sintetica analisi strutturale, va sottolineata un’altra peculiarità del mercato italiano che riguarda la struttura della distribuzione. Per i rami danni (si veda la tab. 5), essa è prevalentemente garantita dalla rete agenziale (quasi esclusivamente composta da agenti monomandatari), mentre la distribuzione dei prodotti vita si concentra sulla rete di distribuzione bancaria e del risparmio gestito, cioè dai canali di distribuzioni tipici dei prodotti finanziari. La peculiarità 12 L’unità di osservazione più corretta per analizzare le decisioni strategiche nel mercato è tuttavia il gruppo di imprese, struttura che viene di fatto assunta da tutti i principali assicuratori. In particolare, i primi cinque (ANIA, 2006a),– il gruppo Generali, il gruppo Allianz, il gruppo Unipol, il gruppo Fondiaria-Sai e il gruppo Poste Vita – sono composti, rispettivamente, da 13, 17, 8, 15 e 1 imprese giuridicamente autonome che effettuano raccolta in Italia. 13 La coesistenza sul mercato di imprese specializzate e despecializzate ha sempre suscitato l’interesse degli studiosi, che si sono chiesti se nel settore assicurativo siano significative le economie di scala e di scopo. Le risposte al proposito in letteratura sono variegate. Per un contributo recente si veda Berger et al., 1999. 14 Tale fenomeno è stato assai rilevante in tutto lo spazio economico comunitario (si veda Cummins e Weiss, 2004). 15 La concentrazione misurata in termini di indice di Herfindahl, assume nel 2004 un valore pari a 1.068 nei rami vita e a 1.036 nei rami danni. Tali valori sono assai simili grazie al processo di concentrazione nei rami danni nell’ultimo decennio; la riduzione del numero di imprese italiane che si può osservare in tabella 3, infatti, ha riguardato prevalentemente imprese operanti nel ramo danni. 6 cui si faceva riferimento è costituita dal peso assai modesto (rispetto agli altri mercati assicurativi) dei canali di distribuzione che prevedono minori investimenti affondati per un eventuale entrante: brokers, agenti pluri-mandatari e vendita diretta telefonica e tramite internet. Questa situazione va certo considerata come un ostacolo alla concorrenza potenziale (Buzzacchi, 2004). TAB. 5 2.3 I risultati del settore assicurativo Il mercato assicurativo italiano, come visto, è composto da un’ampia varietà di segmenti, sostanzialmente indipendenti dal punto di vista dei soggetti destinatari delle coperture e caratterizzati da meccanismi competitivi tra loro anche molto differenti. Alla luce dei dati pubblici, non è facile interpretare i risultati del settore assicurativo in termini di concorrenzialità ed efficienza. Gli indici di prezzo aggregati – o anche solo dei singoli rami – sono poco significativi o più spesso non disponibili16; anche le misure di profittabilità delle singole imprese e del settore vanno comunque interpretate ricordando che nel conto economico assicurativo, una parte rilevante dei costi è relativa a previsioni riguardo alle prestazioni future (gli accantonamenti a riserva) e sono quindi caratterizzati da forte incertezza. Tuttavia, è indubbio che il settore assicurativo abbia manifestato nell’ultimo decennio una buona e crescente profittabilità (si veda la fig. 7). Tra il 1998 e il 2005, ogni euro di premio raccolto ha generato un utile netto che è salito da 2,3 a 5,4 centesimi. Tale risultato è l’effetto combinato i) di un risultato tecnico alquanto stabile nel settore vita, con utili di investimenti piuttosto variabili e ii) un risultato tecnico che è passato da significativamente negativo a molto positivo nel settore danni, con utili degli investimenti costanti o al limite in calo17. La crescente profittabilità si è accompagnata ad una notevole riduzione dell’incidenza sui premi delle spese di gestione (si veda la fig. 8). Ciò non porta tuttavia a considerazioni conclusive in termini di efficienza, perché naturalmente per ottenere un’indicazione in tal senso l’ammontare dei premi dovrebbe essere deflazionato da un indice dei prezzi. Se si rapportano la spese di gestione ai risarcimenti (ancora la fig. 8), si può osservare che le spese di gestione sono effettivamente diminuite nel settore vita, ma sono aumentate nel settore danni18. Si può quindi affermare che effettivamente in quest’ultimo settore la profittabilità crescente corrisponde a margini superiori per le imprese. Questa conclusione è ovviamente compatibile sia con la crescente concentrazione del segmento danni, sia con l’osservazione che il segmento vita, al contrario di quello danni, subisce la pressione competitiva degli altri servizi di gestione patrimoniale. FIGG. 7 e 8 3. L’intervento pubblico nel settore assicurativo Le ragioni dell’intervento pubblico nel mercato assicurativo, sono giustificate dai cd. fallimenti del mercato assicurativo – con una nozione leggermente estesa rispetto a quella abitualmente utilizzata nella letteratura microeconomica –, cioè le situazioni nelle quali il funzionamento di un libero mercato non garantisce esiti accettabili secondo i criteri riportati al par. 1. Tali fallimenti possono 16 La classificazione dei rischi e la varietà dei contratti impedisce rilevazioni precise anche quando i rischi sono relativamente standardizzati: si veda al riguardo la rassegna sulle procedure utilizzate per misurare l’andamento dei prezzi nel ramo RC Auto descritte in Buzzacchi e Siri (2002). Allo stesso modo, anche le comparazioni internazionali vanno proposte con grande cautela Buzzacchi e Siri (2005). 17 Questo andamento degli utili e dei margini aggregati si riflette in modo analogo nell’andamento del ROE medio (ANIA, 2006b, p. 28). 18 Interpretare l’andamento delle spese di gestione dati i risarcimenti, attribuisce implicitamente ai costi dei risarcimenti un valore di proxy della quantità prodotta. Anche al netto di questa approssimazione, è discutibile attribuire comunque crescente efficienza alla diminuzione delle spese per quantità prodotta, perché talvolta le spese di gestione sono finalizzate a ridurre i costi dei sinistri: si pensi, ad esempio, ai costi sostenuti per ridurre il fenomeno delle frodi. 7 venire attribuiti alle situazioni di asimmetria informativa identificate in fig. 1 negli stadi del gioco evidenziati in grigio. Una prima categoria di fallimenti del mercato può essere attribuita alla presenza di selezione avversa. Quando l’informazione circa il rischio individuale è più raffinata per l’assicurato che per l’assicuratore, quest’ultimo propone necessariamente una tariffa commisurata al rischio medio, e così facendo determina un sussidio incrociato ai soggetti più rischiosi della media da parte di quelli meno rischiosi della media, mentre l’assicurato stesso è consapevole se riceve o versa tale sussidio. I soggetti meno rischiosi hanno dunque minore incentivo ad acquistare copertura, e l’assicuratore che si conformasse a tale strategia tariffaria finirebbe per selezionare un portafoglio più rischioso della media. Questa situazione, in modo del tutto analogo al ‘market for lemons’ à la Akerlof, può condurre alla scomparsa del mercato, o comunque ad un insufficiente meccanismo di riallocazione dei rischi. Le imprese in modo autonomo possono (e hanno incentivo a) combattere questa situazione, progettando in modo opportuno i contratti. Innanzitutto, esse personalizzano le tariffe, cioè condizionano i premi a variabili osservabili, purché correlate con il rischio inosservabile19. Secondariamente, le imprese possono adottare meccanismi di screening, cioè offrire menu di contratti opportunamente costruiti in modo tale che gli assicurati scelgano in modo differente in funzione della propria rischiosità. Si realizza quindi un meccanismo di autoselezione, che risolve almeno in parte i problemi di asimmetria informativa. La differenziazione prevista tra i contratti del menu richiede normalmente la presenza di coperture parziali (franchigie, massimali e simili) associata a prezzi significativamente superiori per le coperture complete, che vengono così scelte solo dai soggetti ad alto rischio. La diffusione di coperture incomplete deve comunque essere vista come una soluzione di second best, in quanto limita la riallocazione dei rischi. I meccanismi di personalizzazione e quelli di screening riducono entrambi i sussidi incrociati tra differenti tipologie di assicurati e sono usualmente utilizzati in modo complementare; associata a queste strutture contrattuali si genera quindi presso la collettività un’attribuzione dei costi di copertura che necessariamente è (benché imperfettamente) correlata alla rischiosità individuale. Il meccanismo di mercato non può ripartire i costi sociali del rischio secondo altri profili; qualora si volessero implementare meccanismi distributivi alternativi, sarebbe necessario attivare strumenti di regolamentazione ad hoc20. Una seconda categoria di fallimenti del mercato può essere attribuita alla presenza di azzardo morale dell’assicurato. Come si è detto, a seguito della stipula del contratto di assicurazione si vengono a modificare gli incentivi alla prevenzione ed al consumo da parte dell’assicurato, nella direzione di una minore attenzione a ridurre le determinanti del rischio: i soggetti, una volta assicurati, tendono cioè a mostrarsi più rischiosi. Le imprese hanno ovviamente incentivo a gestire questa situazione, e le soluzioni a questo fallimento sono ancora improntate al design contrattuale: 19 Tra queste variabili, si annoverano tra le altre quelle di experience rating, cioè che fanno dipendere il livello del premio dalla storia dei sinistri dell’assicurato. Questa variabile di classificazione, in quanto incentiva l’assicurato a svolgere attività di prevenzione e/o a contenere i consumi, ha effetti rilevanti anche sul problema dell’azzardo morale (vedi oltre). 20 A titolo di esempio, la personalizzazione per area di residenza dell’assicurato classifica normalmente il rischio in modo imperfetto: nel caso dell’auto, benché i guidatori residenti in aree metropolitane siano in media più rischiosi di quelli residenti in aree rurali, ciò non esclude che molti automobilisti residenti in aree metropolitane siano meno rischiosi di molti automobilisti residenti in aree rurali. Solo un intervento di regolamentazione, tuttavia, può impedire questa allocazione dei costi della copertura, considerato che ogni compagnia preferisce discriminare in funzione della residenza, dato che le sue concorrenti lo fanno. Quale soluzione, ad esempio, in molti Stati statunitensi, è imposto un vincolo al prezzo relativo tra i prezzi della copertura nelle zone rurali e nelle zone metropolitane, in quanto è riconosciuta l’imperfezione di tale modalità di classificazione del rischio, ed inoltre che la superiore rischiosità delle aree urbane è prevalentemente determinata dalle esternalità negative della congestione, già di per sé penalizzante. 8 coperture incomplete per mantenere un adeguato rischio sull’assicurato (ma allora la riallocazione del rischio è solo parziale) e personalizzazione. Sovente, tuttavia, le variabili di personalizzazione utilizzate dalle imprese hanno scarsa efficacia nel contenimento del rischio aggregato, ma questa coincidenza non è sistematica21: il problema dell’assicuratore, infatti, non è prioritariamente quello di minimizzare il rischio, quanto la capacità di anticipare nel premio l’azione nascosta dell’assicurato e/o selezionare rispetto alla concorrenza gli assicurati meno rischiosi (cream skimming). Una terza categoria di fallimenti del mercato può essere attribuita alla presenza di azzardo morale dell’intermediario in sede di investimento. Come si è affermato, senza interventi normativi ad hoc, l’assicuratore investe inosservato i premi raccolti, ma in virtù della propria responsabilità limitata risponde delle promesse di risarcimento solo entro il limite del patrimonio dell’impresa. Ciò può creare incentivi a politiche di investimento dei premi non finalizzati a garantire una soglia sufficientemente elevata di probabilità di solvenza. Peraltro, va sottolineato come la recente teoria del comportamento dell’assicuratore (Rees, Gravelle e Wambach, 1999, Rees e Kessner, 1999, Rees, 2005) suggerisca che: i) nel gioco ripetuto, in condizioni di trasparenza informativa circa le scelte di investimento dell’assicuratore, la massimizzazione dei profitti di quest’ultimo coincide con la minimizzazione della probabilità di fallimento; e comunque ii) il dissesto di un assicuratore non ha gli effetti sistemici tipici del settore dei depositi bancari (si veda la rassegna in Freixas e Rochet, 1997, cap. 9), ossia non minaccia la stabilità dell’intero settore22. Una quarta categoria di fallimenti del mercato può essere attribuita alla presenza di azzardo morale dell’assicuratore in sede di distribuzione. Il contratto assicurativo è un prodotto spesso assai complesso, la cui totale comprensione sfugge al normale assicurato, che non è in grado di apprezzarne né il valore, né l’adeguatezza alle proprie esigenze. La scelta da parte dell’impresa riguardo alla forma istituzionale della distribuzione assicurativa (integrazione verticale, cioè distribuzione diretta, oppure disintegrazione verticale tramite agenti mono-mandatari oppure brokers) e della remunerazione di tale servizio, peraltro, risponde ovviamente ad una logica di massimizzazione dei profitti. Ciò che si sostiene in letteratura è che l’incentivo per l’impresa a controllare la qualità del servizio distributivo conduce ad esiti inferiori a quanto ritenuto desiderabile da un punto di vista collettivo23. Il problema specifico in ambito assicurativo, discusso in Buzzacchi (2004), è un problema che investe in realtà tutta l’industria dell’intermediazione finanziaria (si veda, ad esempio, Crockett et al., 2003). Da ultimo, la complessità dei mercati assicurativi e le tipicità nazionali derivanti dalle differenti normative e dai consolidati comportamenti sono causa di un fallimento assai peculiare, ossia la naturale impermeabilità dei differenti mercati nazionali – pur con gradi differenti al variare dei rami – al processo di unificazione del mercato comunitario, il che naturalmente significa un più circoscritto (e quindi meno efficace) meccanismo concorrenziale, oltre al valore politico che assume l’obiettivo di integrazione dei mercati. 21 Per esempio, la variabile ideale per incentivare un controllo efficiente del rischio nelle coperture auto prevedrebbe di condizionare il premio alla quantità di guida: gli assicuratori, tuttavia, per ragioni sia di costo d’uso di tale variabile, sia strategiche (Buzzacchi e Valletti, 2005), preferiscono l’uso di altre variabili solo imperfettamente correlate (età, sesso, etc.) e che non sono in grado di disciplinare l’uso del veicolo. 22 Un effetto di contagio epidemico del dissesto di una singola impresa sull’intero settore si realizza essenzialmente qualora siano pervasive pratiche di coassicurazione e riassicurazione. È possibile anche pensare ad effetti di spillover legati alla reputazione del sistema delle imprese, dei quali però non si hanno riscontri empirici (Vaughan, 2004). 23 Anche le scelte dell’assicuratore in tema di organizzazione delle strutture in grado di ridurre i rischi aggregati non sono perfettamente incentivate dal mercato quando essere richiedono investimenti affondati in fase pre-competitiva (si veda Buzzacchi e Siri, 2002, e Scalera e Zazzaro, 2004). In particolare, si sostiene che sia insufficiente l’incentivo al controllo delle frodi. 9 Quanto fin qui presentato costituisce quindi un insieme di situazioni nelle quali la mano invisibile del mercato assicurativo non è in grado di spingere autonomamente verso soluzioni ideali per la collettività. Questi problemi nascono essenzialmente dall’asimmetria informativa a favore dell’assicurato circa la propria intrinseca rischiosità e le azioni intraprese dopo la stipula del contratto, dall’imperfetto commitment dell’assicuratore circa la propria solvibilità ed infine dalla complessità contrattuale e dalla necessità di garantire una tutela particolare all’assicurato. Alcuni di questi problemi colpiscono anche i profitti delle compagnie assicurative, oltre al benessere collettivo, e dunque ci si può attendere uno sforzo da parte delle prime per raggiungere soluzioni di second best che vadano anche a vantaggio della stessa collettività. Ma l’obiettivo dell’assicuratore privato deve indirizzarsi verso la massimizzazione dei profitti nel lungo periodo, e non è garantito che tale obiettivo sia sempre allineato con le istanze di benessere sociale. È in questo spazio che si giustifica economicamente l’intervento della mano visibile dello Stato. Come si discuterà nel seguito, tuttavia, l’intervento pubblico nel settore assicurativo può essere proposto in diversi stadi del gioco di produzione assicurativa. Tali interventi, inoltre, spesso interferiscono tra loro con segno variabile e vanno dunque armonizzati con precisione. Va infine notato che, naturalmente, alcuni dei fallimenti presentati sono di intensità variabile con il ramo cui si riferiscono: ecco quindi che alcuni strumenti di intervento pubblico finiscono per essere specifici di segmento, mentre altri più generali riguardano contestualmente tutti i rami assicurativi. Lo Stato produttore L’intervento pubblico più semplice da interpretare, sul quale non ci si soffermerà in questa sede, è quello nel quale lo Stato si propone direttamente come produttore di servizi assicurativi. Questo orientamento può a sua volta prevedere il monopolio pubblico di uno specifico segmento, oppure la semplice compresenza di assicuratori pubblici e privati. Il monopolista pubblico – tipicamente non configurato come compagnia assicurativa in senso stretto – è in grado di offrire coperture a prezzi inferiori ai costi o addirittura a prezzi nulli, sussidiati dalla fiscalità generale, e risponde quindi prioritariamente a logiche distributive, che si realizzano facendo sostenere a tutta la collettività il costo della copertura di un particolare rischio. Questo in molti Paesi è il caso di una parte delle coperture sui rischi sanitari e previdenziali, che vengono a costituire una componente del welfare. Alcuni contributi teorizzano la superiorità del monopolio anche in termini di efficienza. Stiglitz (1977) per primo ha mostrato che in specifiche situazioni di competizione contrattuale il monopolista potrebbe essere in grado di offrire menu di contratti efficienti, che non sono tuttavia di equilibrio in un contesto concorrenziale. Emons (2001) mostra che se il mercato è concorrenziale e il rischio valutabile con errore da parte dell’assicuratore, l’assicurato potrebbe preferire fare shopping around alla ricerca dell’assicuratore che sottostimi maggiormente il proprio rischio, piuttosto che investire in prevenzione24. Lo Stato gestore dei rischi Un secondo campo di intervento pubblico in grado di influenzare il funzionamento di un mercato assicurativo comprende gli investimenti e le normative finalizzati a ridurre lo specifico rischio sottostante ad una particolare copertura. La logica di questi interventi richiede che si incentivino attività di prevenzione (ovvero si limitino le scelte di consumo) qualora si ritenga che i singoli cittadini non abbiano stimolo ad intraprenderle autonomamente, benché i benefici di tali attività superino i relativi costi. Questa situazione è abitualmente associata a condotte di consumo o 24 In questo senso Emons (2001) mostra empiricamente nel mercato delle coperture (obbligatorie) per la responsabilità civile dei proprietari di immobili in Svizzera, nei cantoni nei quali il mercato è stato liberalizzato si è verificato un incremento dei sinistri rispetto ai cantoni nei quali si è mantenuta una struttura monopolistica pubblica. 10 prevenzione caratterizzate da significative esternalità, per cui ci si aspetta prevalgano effetti individuali di free riding25. La normativa indiretta Un terzo ambito di intervento pubblico che va citato riguarda la normativa indiretta, cioè non esplicitamente riferita al contesto assicurativo, ma comunque in grado di influenzare significativamente questo mercato. Ci sembra tuttavia che due tipologie di intervento vadano qui ricordate per la loro profonda influenza sul funzionamento del mercato assicurativo: da un lato, naturalmente, la normativa antitrust, che promuove l’efficienza di tutti i settori ed in particolare quindi può fungere da stimolo affinché le imprese assicurative utilizzino tutte le potenzialità (pur se insufficienti, se non accompagnate da altri interventi, come visto) per ottenere la massima efficienza nell’ambito di un mercato assicurativo opportunamente regolato; dall’altro, la normativa contrattuale che regola i sistemi di responsabilità. Se è vero che le attività di consumo e prevenzione intraprese a titolo individuale sono incentivate/disincentivate dalla responsabilità individuale, attribuire una responsabilità dei rischi – pur riconoscendone la componente aleatoria – al soggetto maggiormente cruciale, in relazione alla sua discrezionale attività di contenimento del rischio è efficiente, prima ancora che giusto26. Si pensi ad esempio ai sistemi di responsabilità dei professionisti, alla responsabilità civile delle imprese riguardo i prodotti che commercializzano o al sistema di responsabilità civile associata all’uso dei veicoli. Ora, le regole per l’attribuzione della responsabilità dei danni a qualche specifico individuo o al caso, influenza le tipologie contrattuali che possono essere offerte dalle compagnie, ad ognuna delle quali possono essere associati effetti più o meno desiderabili dal punto di vista collettivo27. Specularmente, è stato notato che, a sua volta, la presenza di un mercato assicurativo che offre copertura relativamente ad un sistema di responsabilità socialmente desiderabile, distorce comunque il sistema di incentivi messi in atto dal legislatore. Le scelte e le valutazioni in quest’ambito vanno perciò viste come fortemente complementari. La regolazione in senso proprio del settore assicurativo Intendiamo con regolazione in senso proprio del settore assicurativo la normativa specifica che vincola le azioni di assicurati ed assicuratori in quanto tali. Dal punto di vista della tipologia dell’azione che viene regolata, la fig. 1 propone una classificazione dei principali interventi di regolazione in quattro classi, corrispondenti ad altrettanti stadi del gioco di produzione. Nel seguito essi vengono discussi separatamente, evidenziandone le finalità più evidenti e dirette; si tratta comunque naturalmente della descrizione di un ampio insieme di interventi, dal quale le normative effettivamente applicate nei vari mercati combinano variamente un sottoinsieme di elementi. 1. Regolazione dell’organizzazione d’impresa Un primo ambito di intervento pubblico può riguardare i vincoli posti all’organizzazione economica e finanziaria dell’impresa, cui viene condizionata l’autorizzazione ad operare nello specifico mercato. Si tratta essenzialmente di vincoli patrimoniali, vincoli sulla separazione contabile tra i vari segmenti per le imprese multi-ramo e vincoli sulle caratteristiche che deve assumere la rete di 25 Esemplare a questo proposito è il caso della recente introduzione in Italia della cosiddetta patente a punti, che aumentando significativamente il costo dei comportamenti ‘scorretti’ per il singolo guidatore, ha significativamente e virtuosamente ridotto la sinistrosità aggregata. 26 Che sia o meno giusto attribuire l’intera responsabilità di un sinistro a colui che ha dimostrato disattenzione o imperizia e un po’ di sfortuna non va ovviamente discusso sul piano economico. 27 In particolare, l’attribuzione dell’onere di un danno a chi lo subisce piuttosto che a terzi, determina il fatto che le coperture poi offerte sul mercato debbano essere di tipo first party invece che third party; ciò deve essere valutato considerando che, dal punto di vista degli incentivi economici, se il beneficiario è un soggetto diverso dall’assicurato risulta diluito l’effetto disciplinante del contratto. Esemplare al proposito è il dibattito relativo agli effetti delle opzioni no fault nell’assicurazione auto, cioè alla previsione normativa che esclude la responsabilità di terzi nei danni derivanti da incidenti stradali (si veda ad esempio Schwartz, 2000). 11 vendita e di liquidazione. Regolare l’organizzazione dell’impresa, quale condizione per partecipare al mercato, significa che il soggetto pubblico ritiene di doversi rendere garante presso gli assicurati circa un grado minimale di solvibilità e di qualità del servizio offerto. L’atteggiamento del regolatore – analogamente a ciò che avviene sui mercati finanziari – è in questo senso orientato alla stabilità del sistema (su questo punto torneremo oltre), ma anche a fissare degli standard minimi che garantiscano accettabili prospettive anche ad un assicurato che non sia in grado di valutare autonomamente le imprese ed i prodotti: ciò rende accessibile il mercato ad una più vasta clientela, il che ha evidenti vantaggi sia in termini di equità, che di efficienza28. In generale, tuttavia, un eccesso di requisiti per l’entrata, può finire per costituire una barriera all’ingresso e un ostacolo all’innovazione organizzativa. 2. Regolazione dei premi e dei contratti Questo ambito di intervento prevede misure variegate, che possono essere da poco a molto intrusive sulla competizione di breve periodo tra le imprese. Il regolatore potrebbe decidere di porre dei vincoli sul meccanismo di formazione dei prezzi, sulla natura e la varietà dei contratti, o infine sugli obblighi dell’assicuratore nei confronti della clientela in fase di contrattazione. Un meccanismo di fissazione di prezzi minimi e/o di limitazione delle politiche di sconto viene abitualmente inteso come un elemento complementare alle politiche per la solvibilità. Un meccanismo di fissazione di prezzi massimi è il classico strumento di disciplina dei settori nei quali si ritiene la concorrenza inefficace. Questo intervento, nelle esperienze passate italiane, ha anche avuto l’obiettivo di contenimento dell’inflazione. Queste regole rischiano di favorire pratiche collusive ed inoltre distorcono gli incentivi competitivi delle imprese. Al riguardo valgono molte delle conclusioni generali cui giunge la letteratura sul price cap. Gli interventi che prevedono qualche forma di standardizzazione dei contratti offerti, hanno invece finalità differenti. La letteratura microeconomica spiega l’utilità di un intervento pubblico volto al contenimento della varietà contrattuale (standardizzazione). Il tipico modello di competizione assicurativa con rischi eterogenei prevede che le imprese adottino all’equilibrio strategie di selezione dei rischi; tali pratiche si realizzano attraverso la classificazione e lo screening, che in linea di principio abbiamo visto essere pratiche pro-competitive, in quanto risolvono i principali problemi di asimmetria informativa. Il cream skimming, tuttavia, tende a generare una varietà contrattuale eccessiva dal punto di vista della valutazione di efficienza, e in particolare: - può impedire l’equilibrio dei mercati (Rothschild e Stiglitz, 1976, e letteratura successiva); - genera eccessivi costi di classificazione (Rea, 1992); - impedisce la copertura di determinati rischi, cioè genera l’inassicurabilità del rischio di classificazione29; - rende poco trasparenti i prezzi e dunque indebolisce la competizione. D’altro canto, il cream skimming può condurre verso strutture tariffarie indesiderate sul versante dell’equità30 oppure caratterizzate da eccessiva misclassification (cioè l’attribuzione imperfetta della rischiosità individuale, si veda Schmalensee, 1984, Hoy e Lambert, 2000, Buzzacchi e Valletti, 2005). Ancora sul versante dell’efficienza, l’imposizione da parte del soggetto pubblico di 28 Sempre in quest’ottica, il soggetto pubblico può offrire un servizio specializzato di vigilanza sulla correttezza del comportamento delle compagnie nei confronti della clientela. 29 In questo senso, particolarmente interessante è il dibattito sull’uso dell’esito dei test genetici nella tariffazione delle coperture sanitarie. La prospettiva di avere informazioni molto raffinate circa la salute futura dell’assicurato minaccia infatti l’assicurabilità dei soggetti più sottoposti al rischio. Inoltre, prima di sapere l’esito del test, tutti gli assicurandi avversi al rischio vorrebbe assicurarsi contro il pericolo che il test riveli una loro elevata rischiosità: se i test genetici non vengono banditi dalla pratica assicurativa, questa copertura viene di fatto resa non disponibile. Il dibattito in corso riguarda le misure normative ideali affinché siano evitate queste inefficienze; si veda Hoy e Ruse (2005) per una rassegna aggiornata. 30 Si veda ancora la nota 20. 12 talune variabili di classificazione e il divieto di altre, potrebbe essere finalizzato a generare specifici incentivi alla riduzione del rischio da parte degli assicurati31. L’assicuratore, infine, potrebbe essere obbligato ad attenersi a specifici comportamenti nei confronti dell’assicurato in sede di contrattazione. Stante la complessità del mercato e la varietà delle tariffe, per ridurre i search costs e rafforzare la competizione, potrebbero essere richieste all’assicuratore particolari procedure di pubblicizzazione delle tariffe. Oppure, può essere introdotto l’obbligo a contrarre, ossia l’impossibilità da parte dell’assicuratore di rifiutare la copertura ad un cliente: poiché questa norma è strettamente correlata all’obbligo di copertura, essa verrà discussa al punto successivo. 3. Regolazione degli obblighi di copertura Alcuni rami assicurativi sono talvolta caratterizzati dall’obbligo di copertura per ogni individuo soggetto al rischio. Due sono le ragioni che giustificano tale intervento: da un lato, l’obbligatorietà della copertura risolve il problema di selezione avversa, e in questo senso si otterrebbe una superiore efficienza del sistema32; dall’altro, per il caso di coperture di responsabilità, si consideri che esse garantiscono al generico cittadino sottoposto al rischio derivante dall’attività di terzi di non correre il pericolo di subire il danno da un soggetto insolvente: la copertura obbligatoria per i rischi di responsabilità civile elimina questo pericolo, ed interviene perciò con finalità di natura distributiva. L’obbligo di copertura interferisce con il problema complementare citato al punto precedente: è accettabile imporre una specifica copertura se poi c’è il rischio che l’assicurato non trovi chi è disposto ad offrire tale copertura? La risposta potrebbe essere affermativa (semplicemente, chi non trova una copertura sarebbe costretto in questo caso ad astenersi dall’attività che genera il rischio), oppure negativa. Nel secondo caso è quindi ritenuto implicitamente un diritto svolgere l’attività sorgente del rischio, ed è quindi un problema del regolatore quello di trovare il meccanismo in grado di garantire tale esito. Due sono le strade usualmente intraprese: da una parte, quello che abbiamo chiamato obbligo a contrarre; dall’altra, la costituzione di un assicuratore speciale – un soggetto pubblico, oppure un consorzio obbligatorio tra imprese (pool) – che si impegni ad assumere tutti i rischi rifiutati dal mercato regolare. Circa i vantaggi e gli svantaggi delle due soluzioni, si veda Buzzacchi e Siri (2001). 4. Regolazione della solvibilità La legge dei grandi numeri garantisce che la varianza dei risarcimenti aggregati tenda a zero al crescere del numero di rischi indipendenti assunti. Ciononostante, è impossibile che tale varianza si annulli, perché i portafogli hanno comunque dimensione finita e perché i rischi non sono mai del tutto indipendenti. Date le distribuzioni dei rischi, è quindi possibile individuare un livello della somma tra capitale versato e margini di garanzia (le riserve tecniche e matematiche), che renda inferiore ad una certa soglia desiderata la probabilità dell’impresa di non essere in grado di fronteggiare i risarcimenti associati alla realizzazione dei sinistri. La regolazione di solvibilità prevede che le imprese mantengano un valore sufficientemente basso di probabilità di fallimento investendo una quota adeguata di fondi – capitale sociale e premi incassati – in assets caratterizzati da un rischio adeguatamente basso ed alta liquidità. La scelta di fissare probabilità di fallimento sufficientemente basse per ogni impresa garantisce stabilità al sistema e protezione agli assicurati. Questi due obiettivi, in realtà, non sono che in parte allineati: la protezione degli assicurati, come si è già osservato, potrebbe infatti essere conseguita con strumenti alternativi alle garanzie di solvibilità delle imprese (per esempio costituendo un fondo collettivo per garantire i risarcimenti ai clienti delle imprese fallite, pur accettando una significativa 31 In molti mercati sono imposte le tariffe bonus-malus, che hanno la proprietà di disciplinare le condotte degli assicurati e dunque ridurre il rischio aggregato. 32 Questa è stata la ratio per la quale nel 1993 si è introdotto in Italia l’obbligo di copertura per responsabilità civile anche per i ciclomotori. Alla prova dei fatti, tuttavia, il risultato è stato opposto alle aspettative. 13 probabilità di fallimento per ogni impresa e mutualizzando così tra tutti gli assicurati il rischio di insolvenza delle imprese); e, d’altro canto, se l’obiettivo di stabilità si giustifica in termini di efficienza, non bisogna dimenticare che gli strumenti a tutela della solvibilità tendono a rendere meno efficaci i meccanismi selettivi di mercato e facilitano la presenza di extraprofitti (vedi Rees e Kessner, 1999). In conclusione di questo excursus sulla natura dei possibili interventi di regolamentazione del mercato assicurativo, sintetizzati anche in tab. 6, abbiamo discusso come vari interventi possano – in modo complementare o sostitutivo – essere utilizzati per perseguire medesime finalità. D’altro canto, molti di questi interventi hanno effetti collaterali in direzioni differenti dalle ragioni per le quali essi vengono introdotti. Ne consegue che gli obiettivi perseguiti dal soggetto pubblico tendono a non essere separabili, cioè a dire, gli interventi di regolazione finiscono per utilizzare una molteplicità di strumenti variamente declinati – anche solo in sottomercati differenti di uno stesso sistema economico – che vanno valutati congiuntamente e che necessariamente forniscono un risultato di compromesso considerate le diverse finalità di interesse. TAB. 6 4. Le tappe principali dell’intervento pubblico (comunitario e nazionale) nel settore assicurativo L’obiettivo politico di abolizione degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali originariamente sancita nel Trattato di Roma del 1958 viene realizzata solo quando, nel 1985, la Commissione europea delinea un quadro di interventi nel cd. Libro bianco sul completamento del mercato interno. Gli anni seguenti sono segnati dall’Atto unico europeo nel 1986, dal Trattato sull’Unione europea e dalle direttive per la licenza unica nel 1992, dalla creazione dell’euro nel 1999, dal Piano di azione sui servizi finanziari 1999-2005 e, da ultimo, dall’adozione della procedura Lamfalussy per l’attività legislativa e regolamentare anche nei servizi assicurativi. Nel complesso gli interventi legislativi comunitari sono univocamente orientati allo smantellamento delle normative di ostacolo all’integrazione del mercato assicurativo europeo analogamente a quanto perseguito nei contigui settori bancario e finanziario. Così, nel periodo iniziale di costruzione del mercato europeo, la prima generazione di direttive, aveva riguardato la soppressione delle discriminazioni fondate sulla nazionalità attraverso il riconoscimento della libertà di stabilimento di una succursale, senza che lo Stato ospite potesse valutare l’iniziativa secondo i bisogni del mercato ed in tal modo negare discrezionalmente l’accesso ad un’impresa concorrente con quelle domestiche. Accanto alle regole sull’accesso in regime di stabilimento le prime direttive armonizzavano i criteri di determinazione delle riserve tecniche e le regole di investimento delle attività a copertura. Esse, tuttavia, conservavano all’autorità di vigilanza dello Stato ospite il potere di autorizzare l’insediamento di una succursale o comunque di una presenza permanente attraverso agenti in esclusiva. La seconda generazione di direttive (1984-1990) introduceva la libertà di prestazione di servizi nei cd. grandi rischi, cioè per quegli assicurati che non necessitano di una speciale protezione in quanto operatori professionali. Solo con la terza generazione (1990-1994) la libertà di prestazione di servizi viene generalizzata a tutti i rami e a ogni cliente per consentire ad ogni impresa di operare in un altro Stato membro con il regime di vigilanza applicato alle attività svolte nel proprio Stato di origine. Infatti, nello spazio comunitario, diversamente dal principio comune negli accordi internazionali basati sul riconoscimento alle imprese estere del trattamento proprio delle società domestiche, l’integrazione è stata costruita attorno al principio che attribuisce la vigilanza allo Stato di origine dell’impresa con una armonizzazione “minima” delle normative nazionali. Ed è proprio l’obiettivo di concentrare la vigilanza sullo Stato di origine che sorregge la scelta di abolire ogni forma di controllo di natura preventiva, come l’approvazione delle condizioni generali e delle tariffe dei prodotti assicurativi, 14 che erano presenti nella gran parte degli Stati europei negli anni ottanta e che contribuivano alla segmentazione del mercato europeo in altrettanti mercati nazionali, che ha portato al riconoscimento del principio della cd. libertà tariffaria. La concentrazione della vigilanza prudenziale nello Stato di origine ha altresì reso necessaria una armonizzazione minimale delle regole sulla solvibilità. In coerenza con la scelta di armonizzazione minima le terze direttive hanno conservato allo Stato ospite i poteri di controllo necessari per la protezione dei clienti, così che il modo attraverso il quale un’impresa assicurativa opera è soggetto a tante normative nazionali quanti sono gli Stati nei quali esercita l’attività. Nel contempo, solo se l’impresa svolge l’attività insediando una sede secondaria, ovvero se opera senza un’infrastruttura permanente, essa rimane assoggettata alla vigilanza prudenziale dello Stato di origine. Se, invece, costituisce in un altro Stato membro una società controllata, le attività da essa svolte sono ovviamente attratte, anche a fini di stabilità, nella competenza dello Stato dove opera ed ha pure sede legale, che solo dal punto di vista della casa madre può dirsi, in senso economico ma non giuridico, Stato di origine dell’impresa. Successivamente, l’integrazione dei mercati ha seguito il tracciato del Piano di azione sui servizi finanziari (1999-2005) ed ha visto l’armonizzazione crescere sul versante delle procedure di risanamento e di liquidazione delle imprese di assicurazione, su quello dei principi contabili internazionali fino alla previsione della possibilità di fare ricorso allo statuto di Società europea. In futuro anche il settore assicurativo utilizzerà le procedure Lamfalussy per la produzione della futura regolamentazione comunitaria (in primo luogo per riscrivere le regole di solvibilità - cd. Solvibilità II - in parallelo con la medesima revisione operata nel settore bancario - Basilea II) soprattutto per conseguire una effettiva uniformazione, in luogo dell’ormai insufficiente armonizzazione, e diminuire i costi di transazione derivanti dalla coesistenza di normative nazionali ampiamente diversificate. Le trasformazioni imposte dall’adeguamento alla normativa comunitaria hanno caratterizzato il settore assicurativo nel senso della deregolamentazione e in direzione di una progressiva concentrazione attraverso operazioni di fusione e di acquisizione, prevalentemente di rilevanza domestica, e in una effettiva integrazione europea per il solo segmento dei rischi industriali. Esse non hanno tuttavia realizzato l’obiettivo politicamente rilevante di ridurre i costi di passaggio da un fornitore nazionale ad uno comunitario e, soprattutto, l’integrazione non si è caratterizzata per la caduta dei differenziali di prezzo nei diversi mercati nazionali attraverso la competizione transfrontaliera attorno alla quale le terze direttive avevano disegnato il regime della libertà di prestazione di servizi. Le ragioni, anche dal solo punto di vista istituzionale, sono molteplici. Fra le più specifiche va ricordato che il contesto delle regole sulla commercializzazione e sull’esecuzione dei contratti rimane di competenza delle autorità nazionali e ciò comporta una rilevante segmentazione dei mercati con costi di accesso differenti e comunque dipendenti dal grado di intervento del regolatore pubblico. Fra le ragioni più generali - e con ogni probabilità di gran lunga prevalenti - va considerata l’assenza di armonizzazione del diritto contrattuale, che gioca un ruolo essenziale nel processo di scelta per un cliente non professionale, che è ovviamente inesperto della legislazione che dovrà applicare per far valere i propri diritti. In breve, si è rivelata insufficiente la cifra dell’intervento istituzionale di matrice comunitaria, limitata alla prospettiva dell’armonizzazione delle condizioni di accesso riservate alle imprese, poiché ha preteso di considerare il prodotto assicurativo come un bene omogeneo che viene scambiato in un mercato perfetto. Esso invece comporta la creazione di una relazione di fiducia che si basa anche sulla conoscenza dell’ordinamento giuridico applicabile all’esecuzione del contratto e dunque dipende da una scelta di prossimità del cliente che conduce, di fatto, a creare prodotti assicurativi differenziati. Prescindendo dagli effetti misurati sul versante dell’integrazione dei mercati, la soppressione dei controlli preventivi sui prodotti assicurativi ha innescato una deregolamentazione e una liberalizzazione che ha determinato una considerevole diversificazione dell’offerta a cui ha fatto riscontro una corrispondente complessità della regolazione di trasparenza e dunque un incremento della normativa dove maggiore è lo spazio dell’ordinamento nazionale. Nella prospettiva del necessario innalzamento degli standard di trasparenza e correttezza nell’offerta e nell’esecuzione 15 dei contratti assicurativi si allinea, seppure con ritardo rispetto ai principali sistemi europei, anche il diritto italiano con il codice delle assicurazioni private. È solo nel settembre del 2005 che si completa la disciplina dei mercati finanziari in senso ampio, non solo perché il codice prosegue il cammino intrapreso con il t.u. bancario e poi con il t.u. della finanza, ma anche perché a questi testi unici dichiaratamente si ispira proprio nella logica di estendere al settore assicurativo, laddove sia appropriato e giuridicamente possibile, istituti e procedure che caratterizzano in modo ormai diffuso la regolazione prudenziale e di correttezza in questi ambiti. Si comprende quindi come il codice si sia ispirato alla recente ed organica disciplina dell’intermediazione bancaria e finanziaria, ma al tempo stesso sia stato rispettoso del particolare assetto regolamentare che l’attività assicurativa direttamente riceve dal diritto comunitario. La disciplina dell’attività e delle connesse forme di vigilanza si differenzia, in parti significative e non derogabili dal legislatore nazionale, dalle corrispondenti norme degli altri settori finanziari e ciò sia per quanto concerne i profili di stabilità (ad es. in materia di vigilanza consolidata e di partecipazioni detenibili), sia in relazione a profili di trasparenza e dei relativi controlli pubblici (ad es. per il divieto di approvazioni preventive dei prospetti e delle condizioni contrattuali dei prodotti dei rami vita e danni). Analogamente al t.u. bancario ed al t.u. della finanza il codice è essenzialmente una disciplina dell’impresa di assicurazione e degli altri operatori a contatto con il pubblico e non interviene sulle norme che disciplinano, in via imperativa o dispositiva, diritti e obblighi contrattuali, la cui fonte rimane quella delle norme contenute nel codice civile del 1942 che pure necessiterebbero di un ammodernamento nel segno di un maggiore equilibrio fra assicurato e assicuratore. Mantenendosi nell’ambito di un assetto di vigilanza prevalentemente impostato sui soggetti operanti nel settore assicurativo, il riassetto legislativo realizzato con il codice delle assicurazioni private rafforza il ruolo dell’autorità di controllo assicurativa - l’ISVAP – nell’esercizio delle funzioni di supervisione della stabilità e della correttezza dei soggetti operanti nel mercato assicurativo. Ciò indubbiamente innalza la tutela dei clienti non esperti, perchè il codice introduce per la prima volta a livello legislativo, regole di informazione e di comportamento del tutto equivalenti a quelle dei mercati finanziari, ed al tempo stesso si caratterizza per una visione unitaria dell’obiettivo di protezione del risparmio assicurativo che non ne isola l’applicazione ai soli prodotti a contenuto finanziario. Il codice, tuttavia, si muove nei limiti della norma comunitaria, che vieta di adottare “disposizioni che prevedano l’approvazione preventiva o la comunicazione sistematica delle condizioni generali e speciali delle polizze d’assicurazione”, che a suo tempo fu voluta per impedire che il potere discrezionale delle autorità di vigilanza sulla commercializzazione dei prodotti neutralizzasse l’effettività della libertà di prestazione di servizi e di stabilimento. È evidente che l’introduzione di regole di correttezza e adeguatezza nella fase di presentazione e di sollecitazione rappresenta una ragionevole risposta alle richieste di superamento delle asimmetrie regolamentari fra prodotti del comparto finanziario in senso ampio, in modo da garantire condizioni di informazione equivalenti a quelle previste nel testo unico della finanza, sebbene nei limiti derivanti dalle direttive comunitarie. Da ultimo la – di poco successiva legge sulla tutela del risparmio, approvata nel dicembre del 2005, conserva il ruolo dell’autorità di vigilanza assicurativa, anche se, per un verso, attribuisce la regolazione e la vigilanza di trasparenza sui prodotti pensionistici, anche a matrice assicurativa, all’autorità del settore – la COVIP – e, per altro verso, si muove verso un modello maggiormente improntato alla ripartizione per “finalità” dei controlli pubblici, laddove attribuisce anche a CONSOB poteri di vigilanza regolamentare, ispettivi e sanzionatori sui prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione. 5. La concorrenza nel mercato italiano Alla luce del quadro economico e normativo del mercato assicurativo italiano, nonché dei riferimenti teorici circa i criteri per valutarne le caratteristiche di efficienza allocativa ed equità distributiva, siamo ora in grado di fornire qualche valutazione di merito sulla situazione corrente del settore. Un giudizio unitario rimane difficile da esprimere, considerata la natura fortemente 16 differenziata dei rami, sia dal punto di vista della indipendenza dei rischi che vengono trattati, sia della tipologia della clientela e del mercato geografico cui si rivolgono. Una serie di evidenze aneddotiche, tuttavia, fa pensare che alcuni dei fallimenti del mercato richiamati nelle pagine precedenti non rimangano astratte ipotesi teoriche, ma trovino invece riscontro nella realtà italiana. In particolare, in svariati segmenti (ad esempio, molte delle coperture di responsabilità civile per professionisti) l’offerta stenta ad esprimersi; inoltre, in alcuni rami i prezzi (ed i costi di risarcimento) crescono a tassi incompatibili con le variabili economiche sottostanti, causando effetti sia allocativi, sia distributivi che sono percepiti come insoddisfacenti da una larga parte dell’opinione pubblica (il più immediato riferimento è quello al ramo auto). Questa situazione può essere accostata all’evidenza che il processo di entrata/uscita – in particolare nei rami danni – si è rivelato ben più limitato (quando non trascurabile) di quanto atteso ed auspicato con la progressiva liberalizzazione del mercato. Se le inefficienze qui richiamate mettono in luce un’effettiva insufficienza degli strumenti disciplinanti del mercato, ciò che è meno evidente è se essa sia da attribuirsi ad un meccanismo concorrenziale mal funzionante, o se le peculiarità di un mercato assicurativo sono tali da rendere comunque insufficiente anche un gioco concorrenziale ben funzionante, ma inadeguatamente regolato. Alcune utili indicazioni al riguardo possono provenire dal quadro che emerge dall’attività dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) , che sin dalla sua istituzione ha esercitato i poteri di controllo delle condotte e delle operazioni di concentrazione nel settore assicurativo, diversamente da quanto previsto per l’industria bancaria, dovendo soltanto acquisire un parere obbligatorio ma non vincolante dell’autorità di vigilanza assicurativa prima della chiusura del procedimento. Nella tab. 7 sono riportate tutte le istruttorie che sono state concluse con riferimento al mercato assicurativo sono 14, cui va aggiunta l’indagine conoscitiva dedicata all’assicurazione degli autoveicoli iniziatasi nel 1996 e conclusa nel 2003. Possono essere evidenziate due distinti insiemi di istruttorie che presentano tra loro notevoli affinità. TAB. 7 Cinque istruttorie (I61, I67, I73, I219 e I448) si sono riferite alla comunicazione di intese verticali tra un soggetto assicurativo ed uno bancario, che concernevano un accordo di distribuzione esclusiva da parte della rete di sportelli del secondo, dei prodotti assicurativi vita del primo. Queste cinque intese sono state valutate dall’AGCM verificando se la concentrazione geografica degli sportelli bancari oggetto dell’esclusiva avrebbe creato un sostanziale impedimento per un eventuale concorrente della compagnia assicurativa che avesse voluto usare il canale bancario per distribuire i propri prodotti. Alla luce di questa valutazione, un’intesa è stata autorizzata nella forma proposta, una è stata vietata e le altre tre sono state autorizzate a seguito di modifiche della loro forma originale. Le cinque istruttorie sono quindi plasmate sulla previsione teorica del nesso tra contendibilità del mercato assicurativo e struttura del canale distributivo: la saturazione dei canali di distribuzione viene interpretata come un’importante barriera all’ingresso in grado di proteggere il potere di mercato delle imprese. Naturalmente, la rilevanza della distribuzione è assai variabile per ramo e tipo di clientela, ed è particolarmente critica per i rischi di massa (cioè per la clientela non specializzata). Le altre nove istruttorie sono relative ad intese orizzontali, nelle quali le imprese – in rami differenti – hanno scambiato informazioni e standardizzato contratti e procedure33. Queste istruttorie hanno tutte condotto ad un accertamento di infrazione, anche se in quattro casi esse non hanno comportato alcuna sanzione e in altri tre casi hanno comportato sanzioni assai modeste (per due sole compagnie nella I193 e I305, per Ania nella I626). Solo la I74–Assicurazioni Rischi di Massa del 1993 e 33 Un’analisi approfondita di questi casi è proposta in Grillo (2002) e Porrini (2004). 17 soprattutto la I377–RC Auto del 2000 hanno avuto per oggetto un numero notevole di imprese (11 e 39) e sanzioni alte o molto alte (20 e 700 md. di Lire). Volendo operare un’ulteriore classificazione, nei due casi I193 e I305 poche specifiche imprese hanno adottato condotte non corrette in sede di offerta per un bando pubblico di servizi assicurativi vari. Si tratta quindi di una fattispecie che poco si presta a considerazioni generali sul settore. Nella altre sette istruttorie, invece, era sempre coinvolto un numero notevole di imprese, che si coordinavano per i) standardizzare condizioni contrattuali o ripartizione dei rischi fra concorrenti (I43, I74, I77, I127 e I626), e ii) condividere informazioni relative ai prezzi delle coperture (I377 e I575). Stante il riconoscimento da parte dell’AGCM della violazione, il limite del divieto di intese che avessero per oggetto od effetto la restrizione della concorrenza è stato evidentemente oltrepassato (anche se, va detto, alcune di queste decisioni dell’AGCM sono poi state annullate ai gradi di giudizio successivi, in particolare la I74, la I193 e la I575). Al netto di questo, però, le vicende trattate in tali istruttorie danno comunque l’impressione che provenga da parte delle imprese una istanza di coordinamento che va oltre l’incentivo a colludere per evitare le guerre di prezzo34. Dalle evidenze empiriche fin qui riportate e dell’attività dell’AGCM emerge quindi un quadro del settore nel quale in alcuni rami l’efficacia del meccanismo competitivo è ostacolata da un’insufficiente concorrenza potenziale e dalla tendenza al coordinamento da parte degli incombenti. Il ricorso a strutture e procedure di coordinamento tra le imprese, peraltro, sembra spesso necessario per ottenere esiti allocativi desiderabili, ma è evidente il rischio che esse possano diventare strumenti di collusione, qualora non adeguatamente supportate del regolatore pubblico. Un segmento che ben si presta ad esemplificare la tesi sopra esposta è il ramo RC Auto. Un particolare interesse per questo ramo, peraltro, deriva dal fatto che, come affermato, esso è uno dei più rilevanti in termini dimensionali e le relative coperture sono ampiamente diffuse tra i cittadini, in virtù della loro obbligatorietà. Esso ha sperimentato una straordinaria crescita dei prezzi, più che raddoppiati nel decennio successivo alla liberalizzazione del mercato, prima della quale era sottoposto ad un regime di prezzi amministrati. Questa crescita non si è interrotta nemmeno a seguito dell’ingente sanzione antitrust sopra citata e di un periodo di ritorno ai prezzi amministrati nel 2000. Non solo i prezzi medi sono cresciuti notevolmente, ma la classificazione ha generato incrementi notevolmente superiori alla media per alcune categorie di assicurati, così da generare una sostanziale inassicurabilità per una significativa quota di cittadini. Non secondaria è l’osservazione che a fronte del fenomeno di crescita dei prezzi, si è parallelamente riscontrato un fenomeno di crescita di simile entità dei risarcimenti, che da molti studiosi viene attribuito in parte significativa agli scarsi incentivi da parte delle imprese a controllare i costi dei sinistri. Rimandando per una più approfondita analisi del settore a Buzzacchi e Siri (2002), l’interesse del caso è legato al fatto che la stessa AGCM, dopo l’istruttoria I377, nella quale attribuiva la scarsa concorrenzialità del settore alle intese collusive sanzionate, nella successiva indagine conoscitiva IC19 ha riconosciuto la presenza di fattori ostacolanti la concorrenza, la cui natura prescinde dal comportamento cooperativo delle imprese. L’inflazione dei costi, che tanta parte ha avuto in quella dei prezzi, sarebbe da attribuire in buona parte alla natura third party del rapporto di responsabilità civile tra assicuratore e cliente, che fa sì che i risarcimenti siano dovuti a soggetti terzi: ciò 34 Un’attenzione particolare al problema dello scambio di informazioni, peraltro, già viene affrontato nel Regolamento CE n. 358/2003, che propone un’esenzione di blocco per le intese tra compagnie di assicurazione che abbiano per oggetto lo scambio di informazioni relative al costo medio della copertura di un determinato rischio in passato: si tratta cioè, della circolazione degli scambi informativi concernenti i dati necessari al calcolo dei premi puri. Essa trova la sua giustificazione economica nel fatto che la disponibilità diffusa di tali informazioni favorisce l’entrata nel settore, in quanto costituirebbe altrimenti una significativa barriera all’ingresso la disponibilità di una base statistica affidabile da parte degli incombenti, in particolar modo se gli entranti fossero imprese piccole e giovani. 18 impedisce di sfruttare le proprietà incentivanti del contratto assicurativo, e inasprisce i problemi di asimmetria informativa. In tale senso il codice delle assicurazioni disciplina in modo innovativo il ramo RC Auto attraverso il sistema di indennizzo diretto. La nuova procedura vuole ampliare i casi nei quali la liquidazione è curata dall’impresa di assicurazione nei confronti del proprio cliente, come sino a oggi è avvenuto, nei soli casi in cui le due parti coinvolte nel sinistro concordano sulle modalità dell’incidente, sottoscrivendo la constatazione amichevole. La generalizzazione del risarcimento diretto comporta il dovere, per ciascun danneggiato, di presentare la richiesta di risarcimento alla propria impresa di assicurazione e l’obbligo per quest’ultima di formulare un’offerta con una procedura che sostituisce quella a cui sarebbe tenuta la compagnia di assicurazione del veicolo responsabile del sinistro. In tal modo i meccanismi incentivanti tipici del sistema di indennizzo diretto diverrebbero di generale applicazione a tutti i sinistri fra due veicoli, come suggerito da alcune esperienze internazionali e più volte rilevato dall’AGCM e dall’ISVAP. È singolare che nel caso italiano non si sia assistito a una spontanea evoluzione verso un sistema generalizzato di risarcimento diretto, come nel modello francese, e si sia reso necessario un apposito intervento legislativo per ampliare l’ambito della procedura di risarcimento diretto. Tale procedura potrebbe realizzare un meccanismo virtuale di risarcimento diretto che si mantiene all’interno del modello dell’assicurazione di responsabilità civile, previsto dall’ordinamento comunitario, in forza dei trasferimenti tra le compagnie che seguono i risarcimenti agli assicurati, regolati all’interno di una struttura consortile ad hoc tra tutte le imprese (Consorzio Indennizzo Diretto – CID). È tuttavia cruciale individuare una regola efficiente sui criteri di determinazione dei rimborsi fra le imprese, che consenta ad ogni compagnia di appropriarsi delle economie di liquidazione realizzate derivanti dall’opportunità di gestire direttamente i processi di riparazione dei veicoli e dalla capacità di individuare meglio le condotte fraudolente. I risparmi così ottenuti da parte dalle imprese più efficienti potrebbero essere trasferiti ai propri clienti, sotto forma di sconti di premio e di ulteriori servizi personalizzati, attivando un meccanismo in grado di migliorare le condizioni di funzionamento e la competitività del mercato assicurativo. Naturalmente grande attenzione deve essere mantenuta affinché il Consorzio CID – e il controllo dei contratti che esso prevede – non finisca per diventare lo strumento di pratiche concordate: in questo senso è necessaria la presenza del soggetto pubblico in qualità di supervisore delle regole di coordinamento. È qui opportuno ricordare che la criticità del meccanismo concorrenziale nel ramo RC Auto rappresenta la giustificazione addotta per alcuni recenti interventi del Ministro dello Sviluppo Economico, che sono stati realizzati in parte per via amministrativa, con l’approvazione del regolamento di attuazione del sistema di indennizzo diretto previsto dal codice delle assicurazioni, e in parte attraverso la decretazione d’urgenza, con la norma di cui all’articolo 8 del D.L. 30 giugno 2006, n. 233, nel quale si vietano le clausole di esclusiva nei mandati di agenzia aventi ad oggetto il ramo dell’assicurazione obbligatoria di responsabilità civile auto. In linea generale l’obiettivo dichiarato dall’esecutivo va essenzialmente nella direzione di i) favorire la contendibilità del mercato attraverso l’eliminazione dell’esclusiva tra assicuratori ed agenti, rendendo accessibile la rete distributiva esistente anche ai potenziali entranti; ii) favorire l’incentivo alla competizione tra imprese fondata sulla riduzione dei costi di risarcimento, sostenendo una rapida diffusione del meccanismo di indennizzo diretto, e infine iii) ridurre il potere di mercato delle imprese sugli assicurandi, concedendo maggiore autonomia nelle politiche di sconto degli agenti e promuovendo una maggiore trasparenza delle politiche e dinamiche tariffarie delle imprese indipendentemente dalle misure di quotazione individuale del premio già previste in via regolamentare dall’autorità di vigilanza. 19 6. Considerazioni conclusive In questo lavoro si sono innanzitutto illustrate le ragioni teoriche a sostegno della tesi che nei mercati assicurativi l’allocazione spontanea delle risorse ha talvolta proprietà insufficienti rispetto a ragionevoli obiettivi sociali. Ciò si verifica a causa delle articolate asimmetrie di informazione tra assicurato ed assicuratore e dei complessi intrecci tra meccanismi di competizione di prezzo e meccanismi di competizione fondati sulla differenziazione contrattuale. La varietà delle ragioni che giustificano l’intervento di regolamentazione nel settore assicurativo, spiegano allo stesso modo il fatto che tale intervento possa concretizzarsi attraverso un notevole spettro di misure, di volta in volta complementari o sostitutive tra di loro. La liberalizzazione del settore assicurativo in corrispondenza del processo di integrazione comunitaria si è di conseguenza realizzato in un contesto nel quale l’intervento pubblico diretto e indiretto (in particolare gli aspetti fiscali e la legislazione contrattuale) nei differenti mercati nazionali si presentava estremamente eterogeneo. La convergenza verso un modello di regolamentazione comune è stata giudicata opportuna per eliminare gli effetti discriminatori di una regolamentazione asimmetrica tra le imprese di diverse nazionalità (ciò, per esempio, non viene ritenuto indispensabile negli Stati Uniti, dove la regolamentazione assicurativa nei diversi Stati si presenta anche profondamente differenziata). Tale modello di regolamentazione comune è stato individuato – anche al fine di limitare la conflittualità sul piano politico – in un modello di intervento specifico molto basso, prevalentemente incentrato su strumenti di vigilanza prudenziale, a fronte dei quali si promuove la libertà contrattuale delle imprese quale meccanismo fondamentale garante dell’efficienza del meccanismo concorrenziale. Dal punto di vista teorico, in altri termini, nel trade-off tra massima opportunità di apertura dei mercati e massimo controllo dei possibili fallimenti di mercato si è scelto di privilegiare il primo aspetto. A dodici anni dal rilascio delle direttive di terza generazione, tuttavia, l’evidenza empirica mostra fenomeni di mobilità delle imprese assai modesti ed inoltre l’integrazione non sembra aver ridotto in misura significativa i differenziali di prezzo nei diversi mercati nazionali: la competizione transfrontaliera attorno alla quale le terze direttive avevano disegnato il regime della libertà di prestazione di servizi non sembra quindi operare in modo efficace. Peraltro, la disciplina concorrenziale nel mercato domestico sembra comunque inadeguata a consentire esiti pienamente soddisfacenti per la collettività, anche al netto di eventuali fenomeni collusivi. Le tesi sostenute in questo lavoro suggeriscono che una parte significativa delle inefficienze del mercato assicurativo italiano sia da attribuire all’orientamento fin qui eccessivo della regolamentazione verso le misure di vigilanza prudenziale e verso una interpretazione letterale del principio di libertà contrattuale della imprese. In realtà, tale principio non chiude affatto lo spazio a specifici interventi di controllo dell’organizzazione d’impresa, dei prezzi e della varietà contrattuale. Non ci si riferisce naturalmente ad ipotesi di ritorno ad un regime di prezzi amministrati e di contratti omogenei, ma all’opportunità di introdurre strumenti che favoriscano in modo virtuoso alcune evidenti esigenze di standardizzazione e coordinamento delle strategie d’impresa al fine di risolvere i peculiari problemi di distribuzione asimmetrica dell’informazione. È ad esempio il caso della normativa francese sulla standardizzazione del sistema bonus-malus nell’assicurazione RC Auto, che la Corte di giustizia europea, contro ogni previsione, ha ritenuto compatibile con la regola dell’armonizzazione minima seguita nelle direttive assicurative. Questa sembra essere la direzione degli interventi normativi di promozione della concorrenza adottati dall’esecutivo nel giugno 2006, considerato che viene prevista un’istituzione finalizzata a coordinare specifiche procedure tra le imprese (il consorzio per l’indennizzo diretto), sono posti alcuni vincoli sull’organizzazione contrattuale verticale tra compagnie ed agenti e sono rafforzate le condizioni di trasparenza dei meccanismi di fissazione dei prezzi. In tale direzione – con interventi specifici per i singoli ambiti in cui si articola il settore – vi sono certamente ulteriori opportunità per rendere il mercato assicurativo italiano ancor più efficiente ed equo. 20 Bibliografia ANIA, 2006a, Premi del lavoro diretto in Italia 2005, Roma. ANIA, 2006b, Relazione annuale 2005, Roma. Berger A.N., J.D. Cummins, M.A. Weiss e H. Zi, 1999, Conglomeration versus strategic focus: evidence from the insurance industry, Working Paper, The Wharton Financial Institutions Center, 29. Bernheim B.D. e M.D. Whinston, 1990, Multimarket contact and collusive behaviour, RAND Journal of Economics, 21(1), 1-26. Buzzacchi L., 2004, Distribuzione assicurativa e concorrenza nel mercato italiano, Economia e Politica Industriale, 121, 161-184. Buzzacchi L. e M. Siri, 2001, Bad Company: quali indicazioni per il mercato italiano sulla base del confronto internazionale, Quaderni CERAP, 21, Università Bocconi, giugno. Buzzacchi L. e M. 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Vaughan T.M., 2004, Financial stability and insurance supervision: the future of prudential supervision, The Geneva Papers on Risk and Insurance: Issues and Practice, 29, 2, 258-72. 22 Rami I Infortuni II Malattia Coperture per danni alla persona III–VI VII VIII XVI XVII XVIII XIV IX Coperture per danni alle cose e al patrimonio X–XII XIII XV Coperture di responsabilità TOTALE DANNI TOTALE VITA Mezzi di trasporto Merci trasportate Incendio e elementi naturali Perdite pecuniarie Tutela giudiziaria Assistenza Credito Altri danni ai beni RC veicoli RC generale Cauzione I–XVIII I–VI TOTALE 3,0 1,7 4,7 3,6 0,3 2,3 0,4 0,2 0,3 0,3 2,4 9,8 18,3 3,1 0,5 21,8 2,7% 1,6% 4,3% 3,3% 0,3% 2,1% 0,4% 0,2% 0,3% 0,3% 2,2% 8,9% 16,6% 2,8% 0,4% 19,9% 36,3 73,5 33,1% 66,9% 109,8 Tab. 1 – Raccolta premi per ramo (lavoro diretto) (2005, md. Euro) Fonte: ISVAP (2006) 23 Imprese nazionali 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 163 161 162 168 185 192 200 210 218 224 224 221 224 215 204 200 201 200 194 189 179 174 Rappresentanze di imprese estere UE extra UE 50 51 54 56 57 56 52 43 11 39 11 39 11 33 8 32 8 40 7 41 6 42 7 45 5 48 3 53 3 54 3 57 3 63 4 67 4 Totale imprese 213 212 216 224 242 248 252 264 268 274 265 261 271 262 253 250 252 256 251 249 246 245 Tab. 2 – Numero di imprese operanti nel mercato domestico Fonte: ISVAP, Relazione annuale, anni vari 24 1999 2000 2001 2002 2003 2004 Imprese estere in regime di Imprese estere in regime di stabilimento libera prestazione di servizi Totale %* Danni Vita Totale %* Danni Vita Totale %* 1,4 0,7 2,1 3,4% 0,1 1,8 1,9 3,1% 4,0 6,5% 1,6 0,8 2,4 3,5% 0,1 2,6 2,7 4,0% 5,1 7,5% 1,9 0,3 2,2 2,9% 0,1 0,1 0.2 0,3% 2,4 3,1% 2,1 0,4 2,5 2,9% 0,2 0,4 0,6 0,7% 3,1 3,5% 2,1 0,4 2,5 2,6% 0,2 3,7 3,9 4,0% 6,4 6,6% 2,4 0,9 3,3 3,0% 0,3 4,8 5,1 4,6% 8,4 7,7% * Percentuale sul lavoro diretto italiano Tab. 3 – Attività in Italia di imprese estere (md. Euro) Fonte: ISVAP, Relazione annuale, anni vari 25 Gruppo Generali Gruppo Allianz Gruppo Unipol Gruppo Fondiaria-Sai Poste Vita III – Corpi I – Infortuni veicoli terr. 21.8 9.3 14.0 17.0 12.3 10.6 14.7 22.8 0.0 0.0 VIII – Incendio 20.7 15.3 7.8 16.0 0.0 Gruppo Generali Gruppo Allianz Gruppo Unipol Gruppo Fondiaria-Sai Poste Vita I– III – Vita umana Fondi inves. 34.7 16.1 6.6 21.6 7.4 5.4 3.9 3.0 10.4 8.8 V– Capitalizz. 24.9 8.2 20.5 7.3 0.1 X– XIII – Totale RC Auto RC generale danni Rank 11.0 21.9 15.6 2 15.9 14.1 15.4 3 11.7 11.3 10.9 4 23.2 15.4 19.7 1 0.0 0.0 0.0 – Gruppo Generali Gruppo Allianz Gruppo Unipol Gruppo Fondiaria-Sai Poste Vita Tab. 4 – Quote di mercato dei primi cinque gruppi italiani nei rami principali (2005, percentuale) Fonte: ANIA (2006a) 26 Totale vita 26.1 12.2 9.2 4.2 7.9 1 2 3 9 4 Totale 22.7 13.3 9.8 9.3 5.3 1 2 3 4 5 Agenti Brokers Vendita diretta Promotori finanziari / SIM Sportelli bancari Totale Danni 84,4 7,7 6,3 0,1 1,5 100,0 Vita 18,2 1,1 12,4 7,6 60,7 100,0 Totale 40,1 3,3 10,4 5,1 41,1 100,0 Tab. 5 – Canali di distribuzione delle coperture danni e vita (2005, percentuale) Fonte: ANIA (2006b) 27 Categorie di intervento 1. Organizzazione d’impresa Finalità Efficienza marshalliana Riduzione del rischio di sistema Solvibilità Protezione dell’assicurato Distribuzione (equità) - Estensione della rete di monitoring - Requisiti patrimoniali - Separazione contabile - Professionalità intermediario - Requisiti patrimoniali - Partecipazione a pool 2. Prezzi e contratti - Prezzi (profitti) massimi Limitazione varietà contrattuale Pubblicizzazione delle tariffe Selezione delle variabili di classificazione - Prezzi minimi Limitazione sconti Trasparenza delle commissioni Controllo delle clausole abusive - Limitazione della varietà contrattuale - Obbligo a contrarre 3. Obblighi dell’assicurato 4. Vigilanza prudenziale - Obbligo di copertura - Vincoli sulla gestione dello stato patrimoniale - Vincoli sulla gestione dello stato patrimoniale - Obbligo di copertura Tab. 6 – Finalità e strumenti per la regolazione dei mercati assicurativi 28 Provvedimento Anno Fattispecie Ramo Esito I43 ANIA I61 INA / BANCA DI ROMA I67 ALLEANZA ASS. / AMBROVENETO I73 MONTE DEI PASCHI DI SIENA / SAI I74 ASSICURAZIONI RISCHI DI MASSA 1992 Intesa orizzontale 1993 Intesa verticale Auto non RC Vita vari 1993 Intesa verticale Violazione Nessuna sanzione Autorizzazione con condizioni Non violazione 1993 Intesa verticale 1993 Intesa orizzontale Auto non RC e altri I77 ASSICURAZIONI RISCHI AGRICOLI 1993 Grandine I127 CONSORZIO ITAL. ASS. AERONAUTICHE 1995 Intesa orizzontale Abuso di sfruttamento Intesa orizzontale I193 ASSICURAZIONE RISCHI COMUNE MILANO I219 ASS. GENERALI / UNICREDITO I305 ASSITALIA-UNIPOL / AZ. USL BOLOGNA 1996 Intesa orizzontale Danni vari 1996 Intesa verticale Vita vari 1997 Intesa orizzontale Danni vari I377 RC AUTO 1999 Intesa orizzontale RC Auto I448 ASS. GENERALI / CARDINE BANCA I575 RAS-GENERALI / IAMA CONSULTING I626 TARIFFE DEI PERITI ASSICURATIVI 2001 Intesa verticale Vita vari 2003 Intesa orizzontale Vita vari 2004 Intesa orizzontale / verticale Auto Vita vari Infortuni Vita vari Rischi aeronautici Non violazione per modifica accordi Violazione 11 compagnie 20,4 md. lire Violazione Nessuna sanzione con condizioni Violazione Nessuna sanzione con condizioni Violazione 2 compagnie 440 mil. lire Violazione Divieto dell’intesa Violazione 2 compagnie 400 mil. lire Violazione 39 compagnie 700 md. lire Non violazione per modifica accordi Violazione Nessuna sanzione Violazione 200 mila € (Ania) Tabella 7 – Le istruttorie per violazione della legge Antitrust nel settore asicurativo Fonte: AGCM, Bollettini, numeri vari 29 IMPRESA azioni precompetitive (investimenti strategici) • Entrata • Corporate governance • Struttura finanziaria • Monitoring • Distribuzione 1. Organizzazione d’impresa (licenza) 2. Prezzi, contratti, profitti, fiscalità NORMATIVA ANTITRUST NORMATIVA CORRELATA (liability, …) IMPRESA azioni competitive • Prezzi • Menu di contratti WELFARE (Stato produttore) ASSICURATO scelta contratto (eventualmente Ø) AS/MH 3. Obblighi REGOLAZIONE SPECIFICA 4. Vigilanza prudenziale ASSICURATO attività post-contrattuali • Consumo • Prevenzione • Protezione MH IMPRESA investimento finanziario INTERVENTI SUL RISCHIO MH NATURA risarcimento (prestazione) Fig. 1 – Il gioco di produzione assicurativa e l’intervento pubblico nel settore 30 300 Vita Danni 250 200 150 100 50 0 UK FR DE IT NL ES BE IE SE DK AT FI PT LU EL Fig. 2 – La ripartizione della raccolta assicurativa nella UE (2005, md. US$) Fonte: Swiss Re (2006) 31 Figura 3 – La propensione all’assicurazione Fonte: Swiss Re (2006) 32 140 120 Vita Danni 100 80 60 40 20 0 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 Fig. 4 – La raccolta assicurativa in Italia, premi complessivi (md. Euro) Fonte: ANIA, Relazione annuale, anni vari 33 Italia Figura 5 – Dimensione e concentrazione (C10) dei mercati nazionali comunitari (rami danni, 2000) Fonte: Swiss Re (2000) 34 Raccolt a danni 100.0 80.0 60.0 40.0 20.0 0.0 1990 1994 1999 2004 2005 2004 2005 Raccolt a vit a 100.0 80.0 60.0 40.0 20.0 0.0 1998 2002 Fig. 6 – La concentrazione dell’offerta assicurativa in Italia (C5 in nero, C10 in bianco) Fonte: ANIA, Premi del lavoro diretto in Italia, anni vari; Swiss Re (2000) 35 Redditività danni e vita 35.0% Risultato conto tecnico 30.0% Utile investimenti 25.0% Risultato dell'esercizio 20.0% 15.0% 10.0% 5.0% 0.0% -5.0% 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2003 2004 2005 2003 2004 2005 Redditività danni 35.0% 30.0% 25.0% 20.0% 15.0% 10.0% 5.0% 0.0% -5.0% 1998 1999 2000 2001 2002 Redditività vita 35.0% 30.0% 25.0% 20.0% 15.0% 10.0% 5.0% 0.0% -5.0% 1998 1999 2000 2001 2002 Fig. 7 – I risultati del settore assicurativo in Italia (percentuale sui premi) Fonte: ANIA (2006b) 36 30.0% 25.0% 20.0% Danni Vita 15.0% Danni e vita 10.0% 5.0% 0.0% 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 35.0% 30.0% 25.0% Danni 20.0% Vita 15.0% Danni e vita 10.0% 5.0% 0.0% 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 Fig. 8 – Incidenza delle spese di gestione nel settore assicurativo in Italia (sopra percentuale sui premi, sotto percentuale sugli oneri dei sinistri e variazione delle riserve) Fonte: ANIA (2006b) 37