La liberalizzazione del settore assicurativo

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La liberalizzazione del settore assicurativo
LE POLITICHE DI LIBERALIZZAZIONE IN ITALIA
PROPOSTE DI RIFORMA E LINEE DI INTERVENTO SETTORIALI
Assicurazioni*
Luigi Buzzacchi, Michele Siri
Il settore delle assicurazioni ha un peso notevole all’interno dell’economia dei Paesi industrializzati,
e comprende un’ampia gamma di attività finalizzate ad intermediare e gestire rischi di tutti i generi
cui sono sottoposti consumatori, risparmiatori ed imprese. In Italia, in particolare, il giro di affari
del settore ha ormai stabilmente superato i 100 md. di euro.
Il processo di liberalizzazione nel settore assicurativo è definito da tre generazioni di direttive
comunitarie specifiche, che tra il 1973 e il 1994 eliminarono progressivamente i vincoli che
impedivano alle imprese di operare liberamente in tutti gli stati membri, fino alla configurazione
attuale che prevede che ogni impresa possa offrire un prodotto assicurativo ad ogni cittadino
comunitario, senza dover aprire una filiale nel Paese ove risiede il suo cliente.
Tale apertura del mercato comunitario ha naturalmente richiesto un processo di armonizzazione
della normativa in tema di offerta assicurativa in ogni stato membro. Come si vedrà più in dettaglio
nel seguito, la scelta che si è compiuta ha previsto una profonda deregolamentazione sul versante
dei prezzi e della standardizzazione contrattuale – finalizzata ad eliminare le discriminazioni
regolamentari che avrebbero penalizzato selettivamente le imprese di alcuni Paesi, distorcendo il
gioco concorrenziale – e, viceversa, l’introduzione di un modello comune di controllo della
solvibilità delle imprese, che è tuttora in fase di graduale introduzione.
Il processo di liberalizzazione è dunque responsabile dell’evoluzione delle condizioni strutturali di
concorrenza che si originano dalla sostanziale riduzione delle barriere all’ingresso e dalla
scomparsa di ogni forma di controllo dei prezzi. La realizzazione o meno delle aspettative che tale
processo ha generato, si è poi naturalmente accompagnato ad una serie di interventi di
aggiustamento su scala più limitatamente nazionale. Essi verranno esaminati nel seguito insieme ai
fenomeni di liberalizzazione in senso proprio.
1. Il funzionamento del mercato assicurativo
Il mercato assicurativo è un mercato nel quale le compagnie di assicurazione ed i loro clienti
(persone fisiche o giuridiche che siano) sottoscrivono un contratto che comporta il trasferimento di
un rischio dall’assicurato alla compagnia in cambio di un premio. Il rischio è associato ad un evento
che comporta un danno all’assicurato, misurato da una perdita pecuniaria X. Tale evento può
realizzarsi o meno per varie ragioni tra le quali (prevale) il caso. L’incertezza può riguardare se e/o
quando l’evento si realizzerà, nonché eventualmente la gravità delle sue conseguenze. In generale la
distribuzione di fi(X) per ogni potenziale assicurato i-esimo è differente, ed inoltre non è
conoscenza comune. In particolare, è logico assumere al riguardo una superiorità informativa
dell’assicurato rispetto all’assicuratore.1
L’assicurazione, “assumendo” il rischio, si impegna a risarcire le conseguenze dell’evento (danno)
con una cifra I(X), specificata nel contratto. I cosiddetti “rischi assicurativi” – in contrapposizione a
quelli “finanziari” – sono quelli che prevedono la variabile stocastica X non-negativa. Questa
*
Desideriamo ringraziare Carlo Cambini, Giovanni Cespa, Giovanni Cucinotta, Giovanna Nicodano e Piercarlo
Ravazzi per aver letto e commentato il nostro lavoro. Le idee qui espresse – delle quali rimaniamo ovviamente i soli
responsabili – hanno beneficiato dell’attività di ricerca finanziariamente supportata dal contributo PRIN 2005, prot.
2005137858_003.
1
Alcuni recenti contributi propongano tuttavia l’analisi di mercati assicurativi nei quali – in virtù della propria
esperienza – gli assicuratori hanno un’informazione circa il rischio superiore a quella dell’assicurato (Villeneuve,
2005).
definizione è del tutto adeguata per descrivere i segmenti del mercato denominati rami danni2. I
cosiddetti rami vita3 hanno di recente sperimentato un’evoluzione che ha introdotto sempre più nei
relativi contratti assicurativi componenti di natura finanziaria, oltre a quelli più tradizionalmente
demografici. Gran parte degli argomenti svolti in questo capitolo sono altrettanto validi per i rami
danni come per i rami vita, anche se l’attività assicurativa tipica cui ci si riferirà nel seguito è più
direttamente riferita alle coperture danni.
Il gioco di produzione nel settore assicurativo si svolge attraverso una serie complessa di azioni
intraprese dalle compagnie e dai loro clienti in diversi istanti temporali. Esso può essere
sinteticamente rappresentato come in fig. 1, che ha lo scopo di mettere in evidenza l’interazione
strategica tra i partecipanti ed è inoltre funzionale ad una classificazione degli interventi di
regolamentazione del settore4.
FIG. 1
La prima fase di interesse è quella pre-competitiva nella quale le imprese effettuano scelte di lungo
periodo. In particolare, le imprese scelgono la quantità di capitale di rischio di cui dotarsi, se
attivarsi o meno nello specifico ramo, e la propria configurazione competitiva (come organizzarsi
giuridicamente, come distribuire il proprio prodotto e come attrezzarsi per svolgere l’attività di
gestione post-contrattuale del rapporto con la clientela). Gli investimenti in questa fase sono in
prevalenza costi affondati.
A questo punto, la seconda fase – quella competitiva in senso stretto – prevede che ogni compagnia
faccia scelte di breve periodo riguardanti i prezzi e la varietà dei contratti da offrire sul mercato
(classificazione, franchigie, massimali, scoperti, ecc.). Questa attività è ovviamente rilevante nel
determinare i profitti dell’impresa, non solo perché fissa le quantità vendute, ma anche perché
determina – in un mercato nel quale, come si è detto, i rischi sono in generale eterogenei ed ignoti –
la rischiosità della clientela. Il meccanismo di screening, determinato dalla varietà contrattuale,
opera infatti una selezione dei rischi.
Al terzo stadio del gioco ogni assicurando, alla luce dei menu di contratti offerti dalle compagnie
attive nel ramo, nonché delle informazioni più o meno private circa la propria rischiosità, sceglie se
assicurarsi o meno, e, nel caso, a quale compagnia rivolgersi e quale contratto selezionare. La scelta
del contratto non è compito banale, in quanto il contratto è spesso complesso: l’assicurato medio
necessita quindi talvolta anche di un servizio di consulenza da parte del distributore, per
comprendere in che misura i contratti alternativi siano adeguati alle proprie esigenze.
Le scelte dell’assicurato in questo (e nel successivo) stadio determinano il risarcimento atteso
complessivo per ogni compagnia, anche se quest’ultima potrebbe non avere, a questo punto del
gioco, tutti gli elementi per valutarlo. Se il meccanismo di selezione dei rischi messo in atto da una
specifica compagnia determina una rischiosità del portafoglio superiore alla rischiosità media del
mercato potenziale, si è in presenza del fenomeno di selezione avversa. Si noti che la selezione
2
I rami danni previsti dalla normativa sono 18, ma possono essere individuate tre classi più generali di coperture
(Cucinotta e Nieri, 2005): i) le coperture su rischi inerenti la persona, ii) le coperture su rischi di riduzione del valore dei
beni o del patrimonio dell’assicurato e iii) le coperture su rischi di responsabilità dell’assicurato riguardo danni causati
ai beni o al patrimonio di terzi.
3
I rami vita previsti dalla normativa sono 5, ma possono essere individuate tre classi più generali di coperture
(Cucinotta e Nieri, 2005): i) le coperture caso morte, che prevedono l’erogazione di una somma variamente
predeterminata ai beneficiari all’occorrenza della morte dell’assicurato, ii) le coperture caso vita, che prevedono
l’erogazione di una somma variamente predeterminata all’assicurato (o ad altri beneficiari) nel caso in cui l’assicurato
sia ancora in vita ad una certa data e iii) le coperture miste.
4
La figura fa riferimento ad un generico ramo e non descrive, per semplicità, le scelte di riassicurazione (la possibilità
di cedere verticalmente una parte dei rischi ad un assicuratore di assicuratori) e di coassicurazione (la possibilità di
cedere orizzontalmente una parte dei rischi ad altri assicuratori).
2
avversa può presentarsi per tutte le compagnie del mercato o solo per alcune; in quest’ultimo caso,
se ne deve dedurre che il meccanismo di selezione operato dalle concorrenti ha sottratto alla
domanda della compagnia in esame i clienti meno rischiosi (cream skimming).
Associamo idealmente al quarto stadio del gioco, cioè dopo la stipula del contratto, tutte le azioni
intraprese dall’assicurato che interferiscono in qualche modo con il rischio. Si tratta essenzialmente
di attività costose di consumo e/o di prevenzione5. Ciò che rileva in questa fase è la presenza di
azioni dell’assicurato non verificabili, cioè non disciplinate dal contratto assicurativo. In questo
senso, l’atto dell’assicurarsi comporta evidentemente per l’assicurato una caduta di incentivi a
controllare il rischio. Il fenomeno secondo il quale cresce la rischiosità media complessiva in
corrispondenza dell’attivarsi del mercato assicurativo va ancora attribuito ad un’asimmetria
informativa, questa volta ex-post, tra assicurato e assicuratore (azzardo morale).
Al quinto stadio, logicamente contemporaneo al quarto, la compagnia investe il premio ricevuto al
terzo periodo. In termini aggregati, il risultato dell’investimento dei premi raccolti è al servizio dei
risarcimenti promessi in sede contrattuale al complesso degli assicurati. L’eventuale residuo
remunera il capitale di rischio apportato dagli azionisti della compagnia. Se, al contrario, i ricavi
non fossero sufficienti a coprire i costi e la compagnia fosse sottoposta ad un regime di
responsabilità limitata, i risarcimenti verrebbero corrisposti fino all’esaurimento dei mezzi propri
dell’impresa, la quale terminerebbe a questo punto la propria attività per fallimento. In questo
senso, gli obiettivi di assicurati ed assicuratori non sono perfettamente allineati, poiché
l’investimento dei premi è sottoposto ad un naturale trade-off rischio/rendimento per l’assicuratore,
diverso da quello dell’assicurato. La situazione è concettualmente analoga a quella del tradizionale
conflitto di obiettivi tra azionisti e creditori, quali a tutti gli effetti sono gli assicurati: l’assicuratore
tende a preferire posizioni più rischiose di quanto auspicherebbe l’assicurato/creditore in virtù della
copertura garantita dalla clausola di responsabilità limitata. L’assicurato, peraltro, non è in grado di
disciplinare l’attività di investimento dell’assicuratore, e si viene a generare una seconda situazione
di azzardo morale, il cui senso è però invertito rispetto a quella dello stadio precedente.
Al sesto stadio si rivela l’entità del danno subito da ogni soggetto economico (assicurato o meno).
Questa realizzazione, come si diceva, può essere interpretata come l’estrazione da una distribuzione
definitivamente fissata dalle attività di consumo e prevenzione di ogni soggetto.
Al settimo ed ultimo stadio, la realizzazione dei danni è osservabile da tutti i giocatori, e il gioco si
conclude con i trasferimenti a favore dei beneficiari a titolo di risarcimento. L’ammontare
complessivo dei risarcimenti per ogni singola impresa, oltre che dalla distribuzione dei danni allo
stadio precedente, dipende dall’effetto di selezione dei rischi che le scelte in fase competitiva hanno
determinato. Per l’assicuratore viene dunque a definirsi il livello di profitti/perdite e l’eventuale
fallimento. Nella realtà, il processo di risarcimento può essere anche lungo e complesso nel caso in
cui i fatti e/o le clausole contrattuali siano sufficientemente ambigui da lasciare spazio al
contenzioso, attività che può comportare incrementi di costo anche elevati.
5
Per semplicità, assumiamo che le attività di consumo aumentino la rischiosità dell’assicurato (viaggiare molto
aumenta le probabilità di incidenti, assumere determinate abitudini alimentari aumenta la probabilità di contrarre
specifiche malattie, etc.) e le attività di prevenzione al contrario diminuiscano la rischiosità. Per essere precisi, si
distingue abitualmente tra prevenzione in senso stretto, cioè un investimento teso a diminuire l’entità del danno nel caso
in cui il sinistro dovesse realizzarsi (ad esempio, l’acquisto di un estintore), e protezione cioè un investimento teso a
diminuire la probabilità del danno (ad esempio, l’istallazione di un antifurto). Questa distinzione non è rilevante in
questa sede, e nel seguito ci riferiremo con il termine prevenzione ad entrambe le attività.
3
Criteri di valutazione del mercato
Veniamo ora a discutere come può essere valutato il funzionamento di un generico mercato
assicurativo. Come si vedrà, i criteri che possono guidare tale valutazione – e dunque gli interventi
pubblici relativi al settore – sono molteplici, ed in parte anche conflittuali.
La ragione di esistenza del mercato assicurativo si giustifica innanzitutto con l’avversione al rischio
dei consumatori, che rende desiderabile un meccanismo di riallocazione dei rischi che attribuisca i
rischi del sistema ai soggetti in grado di sopportarli con minore disutilità6. Le compagnie di
assicurazione fungono allo scopo, essendo in grado di diversificare i rischi se riescono ad
aggregarne un numero elevato, e qualora i singoli rischi siano tra di loro statisticamente
indipendenti, o quantomeno non perfettamente correlati.
Proprio grazie all’avversione al rischio individuale, gli assicurati possono essere disposti a pagare il
servizio offerto dall’assicuratore e allo stesso tempo aumentare la propria utilità. Le opportunità di
profitto per l’assicuratore privato consentono l’attivazione del mercato. La condizione congiunta di
efficiente produzione del servizio e buona funzionalità del meccanismo concorrenziale, garantisce
all’equilibrio bassi prezzi per le coperture. Minori sono i premi, più ampio sarà l’effetto di
riallocazione dei rischi dai consumatori verso gli assicuratori, e maggiore sarà il surplus collettivo
che si realizza.
Fin qui il criterio espresso è poco peculiare, rappresentando, mutatis mutandis, un normale criterio
di efficienza marshalliana in un contesto di equilibrio parziale.
Ancora in termini di efficienza economica, il mercato assicurativo modifica gli incentivi alle attività
di consumo e prevenzione che determinano il livello aggregato del rischio nel sistema. Il corretto
funzionamento di un mercato assicurativo dovrebbe determinare attività di consumo e prevenzione
del rischio tali per cui il loro costo marginale ne uguagli il beneficio marginale.
Sul differente piano dell’equità, poi, la presenza del mercato assicurativo, corregge gli effetti
distributivi casuali determinati dagli eventi sinistrosi, attribuendo il costo di tale correzione ai
singoli individui tramite il livello dei premi: la distribuzione della ricchezza che ne deriva è
naturalmente suscettibile di valutazione in chiave sociale.7
Oltre ai criteri fin qui descritti, la cui natura è del tutto evidente, gli interventi pubblici sul mercato
assicurativo rivelano ulteriori obiettivi collettivi che vengono sovente presi in considerazione, il cui
inquadramento richiede qualche ulteriore riflessione.
Il mercato assicurativo offre servizi che consentono di trattare fenomeni che hanno un’incidenza
assai rilevante sull’intero sistema economico: l’accessibilità alle coperture assicurative influenza
evidentemente le opportunità di lavoro e consumo di molti soggetti fisici e giuridici (si pensi ai
rischi demografici e sanitari, a quelli professionali, alle esigenze di mobilità, ecc.).8 In questo senso
i) la solvibilità delle imprese del settore, cioè un elevato grado di credibilità delle promesse di
prestazione,9 e ii) la capacità di fornire servizi appropriati a tutti i soggetti economici sottoposti al
rischio, sono un ‘valore’ per sé, che trascende le generali proprietà di efficienza che vengono
6
I soggetti più attrezzati per sopportare i rischi, e presso i quali è dunque socialmente opportuno allocarli, sono coloro
che hanno maggior tolleranza al rischio, oppure sono più efficienti nel gestirli.
7
Il servizio offerto dal mercato assicurativo è un servizio che ha effetti eminentemente distributivi, è dunque naturale
valutarne il funzionamento anche in quest’ottica.
8
Per le imprese assicurande, in particolare, va notato che maggiore è l’ammontare dei rischi che possono essere
riallocati presso un assicuratore, maggiori saranno i rischi più propriamente industriali che potranno essere intrapresi nel
sistema economico. In altri termini, la presenza di un settore assicurativo ben funzionante favorisce l’imprenditorialità:
in questo senso si giustifica l’affermazione che la presenza del settore assicurativo è stata una condizione necessaria
dello sviluppo delle moderne economie capitalistiche.
9
Il riferimento è al fatto che nel settore assicurativo (come per certi versi accade anche nel settore bancario) le
prestazioni sono “promesse” e non “garantite” a causa del cosiddetto ‘ciclo inverso di produzione’: le compagnie
assicurative prima “fatturano”, e poi subiscono i costi principali (i risarcimenti). Senza questa inversione rispetto al
ciclo produttivo canonico di un’impresa, non ci sarebbero ovviamente problemi di asimmetria informativa, né quelli di
solvibilità.
4
normalmente richieste al funzionamento di un generico settore industriale. Si può
conseguentemente ancora individuare nell’interesse generale per questo mercato una inadeguatezza
dei criteri di valutazione di equilibrio parziale.
Resta da osservare che il valore attribuito alla solvibilità per sé deve essere valutato in chiave di
efficienza e non di equità, nel senso che il profilo distributivo desiderato potrebbe essere ottenuto,
anche in presenza di insolvenze, con un meccanismo che risarcisca i clienti delle compagnie
eventualmente fallite, finanziato dai premi stessi o dalla fiscalità. Se si desidera comunque garantire
la solvibilità, significa che si individuano costi sociali del fallimento che vanno oltre la semplice
inadempienza verso gli assicurati. Naturalmente le misure pro-solvibilità rendono meno efficace il
processo selettivo di mercato, con costi sociali in termini di minori garanzie di efficienza.
Ultimo criterio con il quale si sono confrontate le analisi politiche del settore nel recente passato, in
una chiave del tutto peculiare alla vicende contingenti del continente europeo, è relativo alla
valutazione dell’adeguatezza della configurazione dei vari mercati assicurativi nazionali ai fini della
compatibilità con l’obiettivo di integrazione del mercato comunitario.
2. Le assicurazioni in Italia.
2.1 Le dimensioni del mercato
Il mercato assicurativo mondiale ha registrato nel 2005 una raccolta di premi pari a 3.426 md. US$
(di cui 1.452 md. US$ per i rami danni). Al mercato comunitario europeo (15 paesi) compete una
raccolta di 1.177 md. US$ (pari al 34,4%), sostanzialmente pari a quella del mercato statunitense
(1.143 md. US$) e più che doppia rispetto a quello giapponese (476 md. US$). Al resto del mondo
compete quindi una quota di solo il 18,4%, il che dimostra la natura dei servizi del settore,
prevalentemente destinati ai Paesi di più antica tradizione industriale.
La ripartizione del mercato comunitario per paesi è riportata in fig. 2. Il mercato italiano, con i suoi
139,2 md. US$, ha dunque una quota pari all’11,8%, di cui 91,7 md. di raccolta vita (12,6%) e 47,5
md. di raccolta danni (10,5%).
FIG. 2
Come si può osservare dalla fig. 3, la propensione all’assicurazione nel mercato italiano è ben
inferiore a quella degli altri Paesi più industrializzati, sia se misurata per numero di abitanti, sia in
rapporto al PIL. Il gap è particolarmente pronunciato nei rami danni; la crescita recente della
raccolta vita (si veda la fig. 4) ha infatti ridotto l’anomalia italiana in tale ambito10.
FIGG. 3 e 4
Venendo ad una ripartizione più fine della raccolta del lavoro diretto11 delle imprese in Italia, la tab.
1 mostra come la quota preponderante delle coperture danni sia costituita dalle coperture di
responsabilità. Tra queste spicca in particolare la copertura RC veicoli, cui compete una raccolta di
18,3 md. Euro, cioè il 50,4% della raccolta danni, quota ben superiore alla media negli altri Paesi
UE. Considerato che sono coperture obbligatorie buona parte delle coperture di responsabilità, si
può affermare che solo poco più di un terzo della raccolta danni dipende dalle scelte discrezionali
degli assicurati.
10
La crescente penetrazione dell’assicurazione vita in Italia coincide in buona parte con la finanziarizzazione dei relativi
prodotti, che si sono quindi proposti come sostituti dei titoli di Stato quale impiego del risparmio. La modesta
penetrazione delle coperture danni in Italia è ancora più spiccata rispetto alla media dei Paesi più industrializzati se si
esclude la copertura obbligatoria RC Auto. L’ampiezza del nostro sistema di welfare e la struttura industriale nella
quale prevalgono le piccole imprese spiegano gran parte di questo fenomeno.
11
Cioè al netto della riassicurazione.
5
TAB. 1
2.2 La struttura dell’offerta
A realizzare la raccolta premi del 2005 nel mercato italiano hanno contribuito 245 imprese, di cui
174 nazionali e 71 rappresentanze di imprese estere. Di queste ultime, 62 sono comunitarie e
operano in regime di stabilimento; delle restanti 9, sono extracomunitarie 4 e 5 sono rappresentanze
di imprese comunitarie autorizzate esclusivamente alla riassicurazione. Delle 241 imprese12
comunitarie, 125 esercitano i rami danni, 85 i rami vita, 23 sono imprese multi-ramo e 8 i
riassicuratori13.
La dinamica del numero di imprese dall’inizio degli anni Novanta (si veda la tab. 2) mostra una
certa stabilità nel numero complessivo, cui corrisponde però una riduzione del numero di imprese
italiane ed un aumento delle imprese comunitarie che operano in regime di stabilimento, in linea
con le aspettative del regolatore. La riduzione delle imprese italiane negli ultimi anni si è realizzata
essenzialmente grazie ad una serie importante di acquisizioni e fusioni14 (mentre trascurabili sono
state le uscite e non ci sono stati fallimenti negli ultimi anni); d’altro canto, alle entrate straniere
corrispondono volumi di attività modesti (tab. 3), dell’ordine di pochi punti percentuali.
TABB. 2 e 3
La concentrazione dell’offerta in Italia è piuttosto consistente, anche in relazione alla dimensione
del mercato (si veda al riguardo la fig. 5): nel 2005, i primi cinque gruppi assicurativi nel settore
vita hanno conquistato una quota di mercato del 60,3% (78,4% i primi dieci); i primi cinque gruppi
assicurativi nel settore danni hanno conquistato una quota di mercato del 67,2% (87,0% i primi
dieci). La fig. 6 mostra che tale concentrazione è cresciuta negli ultimi anni, in particolare nel
comparto danni, in virtù del forte processo di crescita esterna cui si è fatto riferimento15. Come si
può notare dalla tab. 4 che riporta le quote di mercato dei primi cinque gruppi nei principali rami,
quattro di questi gruppi non sono particolarmente specializzati, ottenendo quote importanti in tutti i
rami; un solo gruppo è focalizzato sui rami vita. Ciononostante, le quote di ogni singolo gruppo
sono fortemente variabili nei vari mercati. Significativa concentrazione e quote asimmetriche nei
vari segmenti del mercato sono considerate in letteratura condizioni poco propizie per una
competizione particolarmente sostenuta (Bernheim e Whinston, 1990).
FIGG. 5 e 6 e TAB. 4
A completamento di questa sintetica analisi strutturale, va sottolineata un’altra peculiarità del
mercato italiano che riguarda la struttura della distribuzione. Per i rami danni (si veda la tab. 5), essa
è prevalentemente garantita dalla rete agenziale (quasi esclusivamente composta da agenti monomandatari), mentre la distribuzione dei prodotti vita si concentra sulla rete di distribuzione bancaria
e del risparmio gestito, cioè dai canali di distribuzioni tipici dei prodotti finanziari. La peculiarità
12
L’unità di osservazione più corretta per analizzare le decisioni strategiche nel mercato è tuttavia il gruppo di imprese,
struttura che viene di fatto assunta da tutti i principali assicuratori. In particolare, i primi cinque (ANIA, 2006a),– il
gruppo Generali, il gruppo Allianz, il gruppo Unipol, il gruppo Fondiaria-Sai e il gruppo Poste Vita – sono composti,
rispettivamente, da 13, 17, 8, 15 e 1 imprese giuridicamente autonome che effettuano raccolta in Italia.
13
La coesistenza sul mercato di imprese specializzate e despecializzate ha sempre suscitato l’interesse degli studiosi,
che si sono chiesti se nel settore assicurativo siano significative le economie di scala e di scopo. Le risposte al proposito
in letteratura sono variegate. Per un contributo recente si veda Berger et al., 1999.
14
Tale fenomeno è stato assai rilevante in tutto lo spazio economico comunitario (si veda Cummins e Weiss, 2004).
15
La concentrazione misurata in termini di indice di Herfindahl, assume nel 2004 un valore pari a 1.068 nei rami vita e
a 1.036 nei rami danni. Tali valori sono assai simili grazie al processo di concentrazione nei rami danni nell’ultimo
decennio; la riduzione del numero di imprese italiane che si può osservare in tabella 3, infatti, ha riguardato
prevalentemente imprese operanti nel ramo danni.
6
cui si faceva riferimento è costituita dal peso assai modesto (rispetto agli altri mercati assicurativi)
dei canali di distribuzione che prevedono minori investimenti affondati per un eventuale entrante:
brokers, agenti pluri-mandatari e vendita diretta telefonica e tramite internet. Questa situazione va
certo considerata come un ostacolo alla concorrenza potenziale (Buzzacchi, 2004).
TAB. 5
2.3 I risultati del settore assicurativo
Il mercato assicurativo italiano, come visto, è composto da un’ampia varietà di segmenti,
sostanzialmente indipendenti dal punto di vista dei soggetti destinatari delle coperture e
caratterizzati da meccanismi competitivi tra loro anche molto differenti.
Alla luce dei dati pubblici, non è facile interpretare i risultati del settore assicurativo in termini di
concorrenzialità ed efficienza. Gli indici di prezzo aggregati – o anche solo dei singoli rami – sono
poco significativi o più spesso non disponibili16; anche le misure di profittabilità delle singole
imprese e del settore vanno comunque interpretate ricordando che nel conto economico
assicurativo, una parte rilevante dei costi è relativa a previsioni riguardo alle prestazioni future (gli
accantonamenti a riserva) e sono quindi caratterizzati da forte incertezza. Tuttavia, è indubbio che il
settore assicurativo abbia manifestato nell’ultimo decennio una buona e crescente profittabilità (si
veda la fig. 7). Tra il 1998 e il 2005, ogni euro di premio raccolto ha generato un utile netto che è
salito da 2,3 a 5,4 centesimi. Tale risultato è l’effetto combinato i) di un risultato tecnico alquanto
stabile nel settore vita, con utili di investimenti piuttosto variabili e ii) un risultato tecnico che è
passato da significativamente negativo a molto positivo nel settore danni, con utili degli
investimenti costanti o al limite in calo17. La crescente profittabilità si è accompagnata ad una
notevole riduzione dell’incidenza sui premi delle spese di gestione (si veda la fig. 8). Ciò non porta
tuttavia a considerazioni conclusive in termini di efficienza, perché naturalmente per ottenere
un’indicazione in tal senso l’ammontare dei premi dovrebbe essere deflazionato da un indice dei
prezzi. Se si rapportano la spese di gestione ai risarcimenti (ancora la fig. 8), si può osservare che le
spese di gestione sono effettivamente diminuite nel settore vita, ma sono aumentate nel settore
danni18. Si può quindi affermare che effettivamente in quest’ultimo settore la profittabilità crescente
corrisponde a margini superiori per le imprese. Questa conclusione è ovviamente compatibile sia
con la crescente concentrazione del segmento danni, sia con l’osservazione che il segmento vita, al
contrario di quello danni, subisce la pressione competitiva degli altri servizi di gestione
patrimoniale.
FIGG. 7 e 8
3. L’intervento pubblico nel settore assicurativo
Le ragioni dell’intervento pubblico nel mercato assicurativo, sono giustificate dai cd. fallimenti del
mercato assicurativo – con una nozione leggermente estesa rispetto a quella abitualmente utilizzata
nella letteratura microeconomica –, cioè le situazioni nelle quali il funzionamento di un libero
mercato non garantisce esiti accettabili secondo i criteri riportati al par. 1. Tali fallimenti possono
16
La classificazione dei rischi e la varietà dei contratti impedisce rilevazioni precise anche quando i rischi sono
relativamente standardizzati: si veda al riguardo la rassegna sulle procedure utilizzate per misurare l’andamento dei
prezzi nel ramo RC Auto descritte in Buzzacchi e Siri (2002). Allo stesso modo, anche le comparazioni internazionali
vanno proposte con grande cautela Buzzacchi e Siri (2005).
17
Questo andamento degli utili e dei margini aggregati si riflette in modo analogo nell’andamento del ROE medio
(ANIA, 2006b, p. 28).
18
Interpretare l’andamento delle spese di gestione dati i risarcimenti, attribuisce implicitamente ai costi dei risarcimenti
un valore di proxy della quantità prodotta. Anche al netto di questa approssimazione, è discutibile attribuire comunque
crescente efficienza alla diminuzione delle spese per quantità prodotta, perché talvolta le spese di gestione sono
finalizzate a ridurre i costi dei sinistri: si pensi, ad esempio, ai costi sostenuti per ridurre il fenomeno delle frodi.
7
venire attribuiti alle situazioni di asimmetria informativa identificate in fig. 1 negli stadi del gioco
evidenziati in grigio.
Una prima categoria di fallimenti del mercato può essere attribuita alla presenza di selezione
avversa. Quando l’informazione circa il rischio individuale è più raffinata per l’assicurato che per
l’assicuratore, quest’ultimo propone necessariamente una tariffa commisurata al rischio medio, e
così facendo determina un sussidio incrociato ai soggetti più rischiosi della media da parte di quelli
meno rischiosi della media, mentre l’assicurato stesso è consapevole se riceve o versa tale sussidio.
I soggetti meno rischiosi hanno dunque minore incentivo ad acquistare copertura, e l’assicuratore
che si conformasse a tale strategia tariffaria finirebbe per selezionare un portafoglio più rischioso
della media. Questa situazione, in modo del tutto analogo al ‘market for lemons’ à la Akerlof, può
condurre alla scomparsa del mercato, o comunque ad un insufficiente meccanismo di riallocazione
dei rischi.
Le imprese in modo autonomo possono (e hanno incentivo a) combattere questa situazione,
progettando in modo opportuno i contratti.
Innanzitutto, esse personalizzano le tariffe, cioè condizionano i premi a variabili osservabili, purché
correlate con il rischio inosservabile19.
Secondariamente, le imprese possono adottare meccanismi di screening, cioè offrire menu di
contratti opportunamente costruiti in modo tale che gli assicurati scelgano in modo differente in
funzione della propria rischiosità. Si realizza quindi un meccanismo di autoselezione, che risolve
almeno in parte i problemi di asimmetria informativa. La differenziazione prevista tra i contratti del
menu richiede normalmente la presenza di coperture parziali (franchigie, massimali e simili)
associata a prezzi significativamente superiori per le coperture complete, che vengono così scelte
solo dai soggetti ad alto rischio. La diffusione di coperture incomplete deve comunque essere vista
come una soluzione di second best, in quanto limita la riallocazione dei rischi.
I meccanismi di personalizzazione e quelli di screening riducono entrambi i sussidi incrociati tra
differenti tipologie di assicurati e sono usualmente utilizzati in modo complementare; associata a
queste strutture contrattuali si genera quindi presso la collettività un’attribuzione dei costi di
copertura che necessariamente è (benché imperfettamente) correlata alla rischiosità individuale. Il
meccanismo di mercato non può ripartire i costi sociali del rischio secondo altri profili; qualora si
volessero implementare meccanismi distributivi alternativi, sarebbe necessario attivare strumenti di
regolamentazione ad hoc20.
Una seconda categoria di fallimenti del mercato può essere attribuita alla presenza di azzardo
morale dell’assicurato. Come si è detto, a seguito della stipula del contratto di assicurazione si
vengono a modificare gli incentivi alla prevenzione ed al consumo da parte dell’assicurato, nella
direzione di una minore attenzione a ridurre le determinanti del rischio: i soggetti, una volta
assicurati, tendono cioè a mostrarsi più rischiosi. Le imprese hanno ovviamente incentivo a gestire
questa situazione, e le soluzioni a questo fallimento sono ancora improntate al design contrattuale:
19
Tra queste variabili, si annoverano tra le altre quelle di experience rating, cioè che fanno dipendere il livello del
premio dalla storia dei sinistri dell’assicurato. Questa variabile di classificazione, in quanto incentiva l’assicurato a
svolgere attività di prevenzione e/o a contenere i consumi, ha effetti rilevanti anche sul problema dell’azzardo morale
(vedi oltre).
20
A titolo di esempio, la personalizzazione per area di residenza dell’assicurato classifica normalmente il rischio in
modo imperfetto: nel caso dell’auto, benché i guidatori residenti in aree metropolitane siano in media più rischiosi di
quelli residenti in aree rurali, ciò non esclude che molti automobilisti residenti in aree metropolitane siano meno
rischiosi di molti automobilisti residenti in aree rurali. Solo un intervento di regolamentazione, tuttavia, può impedire
questa allocazione dei costi della copertura, considerato che ogni compagnia preferisce discriminare in funzione della
residenza, dato che le sue concorrenti lo fanno. Quale soluzione, ad esempio, in molti Stati statunitensi, è imposto un
vincolo al prezzo relativo tra i prezzi della copertura nelle zone rurali e nelle zone metropolitane, in quanto è
riconosciuta l’imperfezione di tale modalità di classificazione del rischio, ed inoltre che la superiore rischiosità delle
aree urbane è prevalentemente determinata dalle esternalità negative della congestione, già di per sé penalizzante.
8
coperture incomplete per mantenere un adeguato rischio sull’assicurato (ma allora la riallocazione
del rischio è solo parziale) e personalizzazione. Sovente, tuttavia, le variabili di personalizzazione
utilizzate dalle imprese hanno scarsa efficacia nel contenimento del rischio aggregato, ma questa
coincidenza non è sistematica21: il problema dell’assicuratore, infatti, non è prioritariamente quello
di minimizzare il rischio, quanto la capacità di anticipare nel premio l’azione nascosta
dell’assicurato e/o selezionare rispetto alla concorrenza gli assicurati meno rischiosi (cream
skimming).
Una terza categoria di fallimenti del mercato può essere attribuita alla presenza di azzardo morale
dell’intermediario in sede di investimento. Come si è affermato, senza interventi normativi ad hoc,
l’assicuratore investe inosservato i premi raccolti, ma in virtù della propria responsabilità limitata
risponde delle promesse di risarcimento solo entro il limite del patrimonio dell’impresa. Ciò può
creare incentivi a politiche di investimento dei premi non finalizzati a garantire una soglia
sufficientemente elevata di probabilità di solvenza. Peraltro, va sottolineato come la recente teoria
del comportamento dell’assicuratore (Rees, Gravelle e Wambach, 1999, Rees e Kessner, 1999,
Rees, 2005) suggerisca che: i) nel gioco ripetuto, in condizioni di trasparenza informativa circa le
scelte di investimento dell’assicuratore, la massimizzazione dei profitti di quest’ultimo coincide con
la minimizzazione della probabilità di fallimento; e comunque ii) il dissesto di un assicuratore non
ha gli effetti sistemici tipici del settore dei depositi bancari (si veda la rassegna in Freixas e Rochet,
1997, cap. 9), ossia non minaccia la stabilità dell’intero settore22.
Una quarta categoria di fallimenti del mercato può essere attribuita alla presenza di azzardo morale
dell’assicuratore in sede di distribuzione. Il contratto assicurativo è un prodotto spesso assai
complesso, la cui totale comprensione sfugge al normale assicurato, che non è in grado di
apprezzarne né il valore, né l’adeguatezza alle proprie esigenze. La scelta da parte dell’impresa
riguardo alla forma istituzionale della distribuzione assicurativa (integrazione verticale, cioè
distribuzione diretta, oppure disintegrazione verticale tramite agenti mono-mandatari oppure
brokers) e della remunerazione di tale servizio, peraltro, risponde ovviamente ad una logica di
massimizzazione dei profitti. Ciò che si sostiene in letteratura è che l’incentivo per l’impresa a
controllare la qualità del servizio distributivo conduce ad esiti inferiori a quanto ritenuto
desiderabile da un punto di vista collettivo23. Il problema specifico in ambito assicurativo, discusso
in Buzzacchi (2004), è un problema che investe in realtà tutta l’industria dell’intermediazione
finanziaria (si veda, ad esempio, Crockett et al., 2003).
Da ultimo, la complessità dei mercati assicurativi e le tipicità nazionali derivanti dalle differenti
normative e dai consolidati comportamenti sono causa di un fallimento assai peculiare, ossia la
naturale impermeabilità dei differenti mercati nazionali – pur con gradi differenti al variare dei rami
– al processo di unificazione del mercato comunitario, il che naturalmente significa un più
circoscritto (e quindi meno efficace) meccanismo concorrenziale, oltre al valore politico che assume
l’obiettivo di integrazione dei mercati.
21
Per esempio, la variabile ideale per incentivare un controllo efficiente del rischio nelle coperture auto prevedrebbe di
condizionare il premio alla quantità di guida: gli assicuratori, tuttavia, per ragioni sia di costo d’uso di tale variabile, sia
strategiche (Buzzacchi e Valletti, 2005), preferiscono l’uso di altre variabili solo imperfettamente correlate (età, sesso,
etc.) e che non sono in grado di disciplinare l’uso del veicolo.
22
Un effetto di contagio epidemico del dissesto di una singola impresa sull’intero settore si realizza essenzialmente
qualora siano pervasive pratiche di coassicurazione e riassicurazione. È possibile anche pensare ad effetti di spillover
legati alla reputazione del sistema delle imprese, dei quali però non si hanno riscontri empirici (Vaughan, 2004).
23
Anche le scelte dell’assicuratore in tema di organizzazione delle strutture in grado di ridurre i rischi aggregati non
sono perfettamente incentivate dal mercato quando essere richiedono investimenti affondati in fase pre-competitiva (si
veda Buzzacchi e Siri, 2002, e Scalera e Zazzaro, 2004). In particolare, si sostiene che sia insufficiente l’incentivo al
controllo delle frodi.
9
Quanto fin qui presentato costituisce quindi un insieme di situazioni nelle quali la mano invisibile
del mercato assicurativo non è in grado di spingere autonomamente verso soluzioni ideali per la
collettività. Questi problemi nascono essenzialmente dall’asimmetria informativa a favore
dell’assicurato circa la propria intrinseca rischiosità e le azioni intraprese dopo la stipula del
contratto, dall’imperfetto commitment dell’assicuratore circa la propria solvibilità ed infine dalla
complessità contrattuale e dalla necessità di garantire una tutela particolare all’assicurato. Alcuni di
questi problemi colpiscono anche i profitti delle compagnie assicurative, oltre al benessere
collettivo, e dunque ci si può attendere uno sforzo da parte delle prime per raggiungere soluzioni di
second best che vadano anche a vantaggio della stessa collettività. Ma l’obiettivo dell’assicuratore
privato deve indirizzarsi verso la massimizzazione dei profitti nel lungo periodo, e non è garantito
che tale obiettivo sia sempre allineato con le istanze di benessere sociale. È in questo spazio che si
giustifica economicamente l’intervento della mano visibile dello Stato. Come si discuterà nel
seguito, tuttavia, l’intervento pubblico nel settore assicurativo può essere proposto in diversi stadi
del gioco di produzione assicurativa. Tali interventi, inoltre, spesso interferiscono tra loro con
segno variabile e vanno dunque armonizzati con precisione.
Va infine notato che, naturalmente, alcuni dei fallimenti presentati sono di intensità variabile con il
ramo cui si riferiscono: ecco quindi che alcuni strumenti di intervento pubblico finiscono per essere
specifici di segmento, mentre altri più generali riguardano contestualmente tutti i rami assicurativi.
Lo Stato produttore
L’intervento pubblico più semplice da interpretare, sul quale non ci si soffermerà in questa sede, è
quello nel quale lo Stato si propone direttamente come produttore di servizi assicurativi. Questo
orientamento può a sua volta prevedere il monopolio pubblico di uno specifico segmento, oppure la
semplice compresenza di assicuratori pubblici e privati. Il monopolista pubblico – tipicamente non
configurato come compagnia assicurativa in senso stretto – è in grado di offrire coperture a prezzi
inferiori ai costi o addirittura a prezzi nulli, sussidiati dalla fiscalità generale, e risponde quindi
prioritariamente a logiche distributive, che si realizzano facendo sostenere a tutta la collettività il
costo della copertura di un particolare rischio. Questo in molti Paesi è il caso di una parte delle
coperture sui rischi sanitari e previdenziali, che vengono a costituire una componente del welfare.
Alcuni contributi teorizzano la superiorità del monopolio anche in termini di efficienza. Stiglitz
(1977) per primo ha mostrato che in specifiche situazioni di competizione contrattuale il
monopolista potrebbe essere in grado di offrire menu di contratti efficienti, che non sono tuttavia di
equilibrio in un contesto concorrenziale. Emons (2001) mostra che se il mercato è concorrenziale e
il rischio valutabile con errore da parte dell’assicuratore, l’assicurato potrebbe preferire fare
shopping around alla ricerca dell’assicuratore che sottostimi maggiormente il proprio rischio,
piuttosto che investire in prevenzione24.
Lo Stato gestore dei rischi
Un secondo campo di intervento pubblico in grado di influenzare il funzionamento di un mercato
assicurativo comprende gli investimenti e le normative finalizzati a ridurre lo specifico rischio
sottostante ad una particolare copertura. La logica di questi interventi richiede che si incentivino
attività di prevenzione (ovvero si limitino le scelte di consumo) qualora si ritenga che i singoli
cittadini non abbiano stimolo ad intraprenderle autonomamente, benché i benefici di tali attività
superino i relativi costi. Questa situazione è abitualmente associata a condotte di consumo o
24
In questo senso Emons (2001) mostra empiricamente nel mercato delle coperture (obbligatorie) per la responsabilità
civile dei proprietari di immobili in Svizzera, nei cantoni nei quali il mercato è stato liberalizzato si è verificato un
incremento dei sinistri rispetto ai cantoni nei quali si è mantenuta una struttura monopolistica pubblica.
10
prevenzione caratterizzate da significative esternalità, per cui ci si aspetta prevalgano effetti
individuali di free riding25.
La normativa indiretta
Un terzo ambito di intervento pubblico che va citato riguarda la normativa indiretta, cioè non
esplicitamente riferita al contesto assicurativo, ma comunque in grado di influenzare
significativamente questo mercato. Ci sembra tuttavia che due tipologie di intervento vadano qui
ricordate per la loro profonda influenza sul funzionamento del mercato assicurativo: da un lato,
naturalmente, la normativa antitrust, che promuove l’efficienza di tutti i settori ed in particolare
quindi può fungere da stimolo affinché le imprese assicurative utilizzino tutte le potenzialità (pur se
insufficienti, se non accompagnate da altri interventi, come visto) per ottenere la massima efficienza
nell’ambito di un mercato assicurativo opportunamente regolato; dall’altro, la normativa
contrattuale che regola i sistemi di responsabilità. Se è vero che le attività di consumo e prevenzione
intraprese a titolo individuale sono incentivate/disincentivate dalla responsabilità individuale,
attribuire una responsabilità dei rischi – pur riconoscendone la componente aleatoria – al soggetto
maggiormente cruciale, in relazione alla sua discrezionale attività di contenimento del rischio è
efficiente, prima ancora che giusto26. Si pensi ad esempio ai sistemi di responsabilità dei
professionisti, alla responsabilità civile delle imprese riguardo i prodotti che commercializzano o al
sistema di responsabilità civile associata all’uso dei veicoli. Ora, le regole per l’attribuzione della
responsabilità dei danni a qualche specifico individuo o al caso, influenza le tipologie contrattuali
che possono essere offerte dalle compagnie, ad ognuna delle quali possono essere associati effetti
più o meno desiderabili dal punto di vista collettivo27. Specularmente, è stato notato che, a sua
volta, la presenza di un mercato assicurativo che offre copertura relativamente ad un sistema di
responsabilità socialmente desiderabile, distorce comunque il sistema di incentivi messi in atto dal
legislatore. Le scelte e le valutazioni in quest’ambito vanno perciò viste come fortemente
complementari.
La regolazione in senso proprio del settore assicurativo
Intendiamo con regolazione in senso proprio del settore assicurativo la normativa specifica che
vincola le azioni di assicurati ed assicuratori in quanto tali. Dal punto di vista della tipologia
dell’azione che viene regolata, la fig. 1 propone una classificazione dei principali interventi di
regolazione in quattro classi, corrispondenti ad altrettanti stadi del gioco di produzione. Nel seguito
essi vengono discussi separatamente, evidenziandone le finalità più evidenti e dirette; si tratta
comunque naturalmente della descrizione di un ampio insieme di interventi, dal quale le normative
effettivamente applicate nei vari mercati combinano variamente un sottoinsieme di elementi.
1. Regolazione dell’organizzazione d’impresa
Un primo ambito di intervento pubblico può riguardare i vincoli posti all’organizzazione economica
e finanziaria dell’impresa, cui viene condizionata l’autorizzazione ad operare nello specifico
mercato. Si tratta essenzialmente di vincoli patrimoniali, vincoli sulla separazione contabile tra i
vari segmenti per le imprese multi-ramo e vincoli sulle caratteristiche che deve assumere la rete di
25
Esemplare a questo proposito è il caso della recente introduzione in Italia della cosiddetta patente a punti, che
aumentando significativamente il costo dei comportamenti ‘scorretti’ per il singolo guidatore, ha significativamente e
virtuosamente ridotto la sinistrosità aggregata.
26
Che sia o meno giusto attribuire l’intera responsabilità di un sinistro a colui che ha dimostrato disattenzione o
imperizia e un po’ di sfortuna non va ovviamente discusso sul piano economico.
27
In particolare, l’attribuzione dell’onere di un danno a chi lo subisce piuttosto che a terzi, determina il fatto che le
coperture poi offerte sul mercato debbano essere di tipo first party invece che third party; ciò deve essere valutato
considerando che, dal punto di vista degli incentivi economici, se il beneficiario è un soggetto diverso dall’assicurato
risulta diluito l’effetto disciplinante del contratto. Esemplare al proposito è il dibattito relativo agli effetti delle opzioni
no fault nell’assicurazione auto, cioè alla previsione normativa che esclude la responsabilità di terzi nei danni derivanti
da incidenti stradali (si veda ad esempio Schwartz, 2000).
11
vendita e di liquidazione. Regolare l’organizzazione dell’impresa, quale condizione per partecipare
al mercato, significa che il soggetto pubblico ritiene di doversi rendere garante presso gli assicurati
circa un grado minimale di solvibilità e di qualità del servizio offerto. L’atteggiamento del
regolatore – analogamente a ciò che avviene sui mercati finanziari – è in questo senso orientato alla
stabilità del sistema (su questo punto torneremo oltre), ma anche a fissare degli standard minimi che
garantiscano accettabili prospettive anche ad un assicurato che non sia in grado di valutare
autonomamente le imprese ed i prodotti: ciò rende accessibile il mercato ad una più vasta clientela,
il che ha evidenti vantaggi sia in termini di equità, che di efficienza28.
In generale, tuttavia, un eccesso di requisiti per l’entrata, può finire per costituire una barriera
all’ingresso e un ostacolo all’innovazione organizzativa.
2. Regolazione dei premi e dei contratti
Questo ambito di intervento prevede misure variegate, che possono essere da poco a molto intrusive
sulla competizione di breve periodo tra le imprese. Il regolatore potrebbe decidere di porre dei
vincoli sul meccanismo di formazione dei prezzi, sulla natura e la varietà dei contratti, o infine sugli
obblighi dell’assicuratore nei confronti della clientela in fase di contrattazione.
Un meccanismo di fissazione di prezzi minimi e/o di limitazione delle politiche di sconto viene
abitualmente inteso come un elemento complementare alle politiche per la solvibilità.
Un meccanismo di fissazione di prezzi massimi è il classico strumento di disciplina dei settori nei
quali si ritiene la concorrenza inefficace. Questo intervento, nelle esperienze passate italiane, ha
anche avuto l’obiettivo di contenimento dell’inflazione. Queste regole rischiano di favorire pratiche
collusive ed inoltre distorcono gli incentivi competitivi delle imprese. Al riguardo valgono molte
delle conclusioni generali cui giunge la letteratura sul price cap.
Gli interventi che prevedono qualche forma di standardizzazione dei contratti offerti, hanno invece
finalità differenti. La letteratura microeconomica spiega l’utilità di un intervento pubblico volto al
contenimento della varietà contrattuale (standardizzazione). Il tipico modello di competizione
assicurativa con rischi eterogenei prevede che le imprese adottino all’equilibrio strategie di
selezione dei rischi; tali pratiche si realizzano attraverso la classificazione e lo screening, che in
linea di principio abbiamo visto essere pratiche pro-competitive, in quanto risolvono i principali
problemi di asimmetria informativa.
Il cream skimming, tuttavia, tende a generare una varietà contrattuale eccessiva dal punto di vista
della valutazione di efficienza, e in particolare:
- può impedire l’equilibrio dei mercati (Rothschild e Stiglitz, 1976, e letteratura successiva);
- genera eccessivi costi di classificazione (Rea, 1992);
- impedisce la copertura di determinati rischi, cioè genera l’inassicurabilità del rischio di
classificazione29;
- rende poco trasparenti i prezzi e dunque indebolisce la competizione.
D’altro canto, il cream skimming può condurre verso strutture tariffarie indesiderate sul versante
dell’equità30 oppure caratterizzate da eccessiva misclassification (cioè l’attribuzione imperfetta
della rischiosità individuale, si veda Schmalensee, 1984, Hoy e Lambert, 2000, Buzzacchi e
Valletti, 2005). Ancora sul versante dell’efficienza, l’imposizione da parte del soggetto pubblico di
28
Sempre in quest’ottica, il soggetto pubblico può offrire un servizio specializzato di vigilanza sulla correttezza del
comportamento delle compagnie nei confronti della clientela.
29
In questo senso, particolarmente interessante è il dibattito sull’uso dell’esito dei test genetici nella tariffazione delle
coperture sanitarie. La prospettiva di avere informazioni molto raffinate circa la salute futura dell’assicurato minaccia
infatti l’assicurabilità dei soggetti più sottoposti al rischio. Inoltre, prima di sapere l’esito del test, tutti gli assicurandi
avversi al rischio vorrebbe assicurarsi contro il pericolo che il test riveli una loro elevata rischiosità: se i test genetici
non vengono banditi dalla pratica assicurativa, questa copertura viene di fatto resa non disponibile. Il dibattito in corso
riguarda le misure normative ideali affinché siano evitate queste inefficienze; si veda Hoy e Ruse (2005) per una
rassegna aggiornata.
30
Si veda ancora la nota 20.
12
talune variabili di classificazione e il divieto di altre, potrebbe essere finalizzato a generare specifici
incentivi alla riduzione del rischio da parte degli assicurati31.
L’assicuratore, infine, potrebbe essere obbligato ad attenersi a specifici comportamenti nei confronti
dell’assicurato in sede di contrattazione. Stante la complessità del mercato e la varietà delle tariffe,
per ridurre i search costs e rafforzare la competizione, potrebbero essere richieste all’assicuratore
particolari procedure di pubblicizzazione delle tariffe. Oppure, può essere introdotto l’obbligo a
contrarre, ossia l’impossibilità da parte dell’assicuratore di rifiutare la copertura ad un cliente:
poiché questa norma è strettamente correlata all’obbligo di copertura, essa verrà discussa al punto
successivo.
3. Regolazione degli obblighi di copertura
Alcuni rami assicurativi sono talvolta caratterizzati dall’obbligo di copertura per ogni individuo
soggetto al rischio. Due sono le ragioni che giustificano tale intervento: da un lato, l’obbligatorietà
della copertura risolve il problema di selezione avversa, e in questo senso si otterrebbe una
superiore efficienza del sistema32; dall’altro, per il caso di coperture di responsabilità, si consideri
che esse garantiscono al generico cittadino sottoposto al rischio derivante dall’attività di terzi di non
correre il pericolo di subire il danno da un soggetto insolvente: la copertura obbligatoria per i rischi
di responsabilità civile elimina questo pericolo, ed interviene perciò con finalità di natura
distributiva.
L’obbligo di copertura interferisce con il problema complementare citato al punto precedente: è
accettabile imporre una specifica copertura se poi c’è il rischio che l’assicurato non trovi chi è
disposto ad offrire tale copertura? La risposta potrebbe essere affermativa (semplicemente, chi non
trova una copertura sarebbe costretto in questo caso ad astenersi dall’attività che genera il rischio),
oppure negativa. Nel secondo caso è quindi ritenuto implicitamente un diritto svolgere l’attività
sorgente del rischio, ed è quindi un problema del regolatore quello di trovare il meccanismo in
grado di garantire tale esito. Due sono le strade usualmente intraprese: da una parte, quello che
abbiamo chiamato obbligo a contrarre; dall’altra, la costituzione di un assicuratore speciale – un
soggetto pubblico, oppure un consorzio obbligatorio tra imprese (pool) – che si impegni ad
assumere tutti i rischi rifiutati dal mercato regolare. Circa i vantaggi e gli svantaggi delle due
soluzioni, si veda Buzzacchi e Siri (2001).
4. Regolazione della solvibilità
La legge dei grandi numeri garantisce che la varianza dei risarcimenti aggregati tenda a zero al
crescere del numero di rischi indipendenti assunti. Ciononostante, è impossibile che tale varianza si
annulli, perché i portafogli hanno comunque dimensione finita e perché i rischi non sono mai del
tutto indipendenti. Date le distribuzioni dei rischi, è quindi possibile individuare un livello della
somma tra capitale versato e margini di garanzia (le riserve tecniche e matematiche), che renda
inferiore ad una certa soglia desiderata la probabilità dell’impresa di non essere in grado di
fronteggiare i risarcimenti associati alla realizzazione dei sinistri. La regolazione di solvibilità
prevede che le imprese mantengano un valore sufficientemente basso di probabilità di fallimento
investendo una quota adeguata di fondi – capitale sociale e premi incassati – in assets caratterizzati
da un rischio adeguatamente basso ed alta liquidità.
La scelta di fissare probabilità di fallimento sufficientemente basse per ogni impresa garantisce
stabilità al sistema e protezione agli assicurati. Questi due obiettivi, in realtà, non sono che in parte
allineati: la protezione degli assicurati, come si è già osservato, potrebbe infatti essere conseguita
con strumenti alternativi alle garanzie di solvibilità delle imprese (per esempio costituendo un fondo
collettivo per garantire i risarcimenti ai clienti delle imprese fallite, pur accettando una significativa
31
In molti mercati sono imposte le tariffe bonus-malus, che hanno la proprietà di disciplinare le condotte degli assicurati
e dunque ridurre il rischio aggregato.
32
Questa è stata la ratio per la quale nel 1993 si è introdotto in Italia l’obbligo di copertura per responsabilità civile
anche per i ciclomotori. Alla prova dei fatti, tuttavia, il risultato è stato opposto alle aspettative.
13
probabilità di fallimento per ogni impresa e mutualizzando così tra tutti gli assicurati il rischio di
insolvenza delle imprese); e, d’altro canto, se l’obiettivo di stabilità si giustifica in termini di
efficienza, non bisogna dimenticare che gli strumenti a tutela della solvibilità tendono a rendere
meno efficaci i meccanismi selettivi di mercato e facilitano la presenza di extraprofitti (vedi Rees e
Kessner, 1999).
In conclusione di questo excursus sulla natura dei possibili interventi di regolamentazione del
mercato assicurativo, sintetizzati anche in tab. 6, abbiamo discusso come vari interventi possano –
in modo complementare o sostitutivo – essere utilizzati per perseguire medesime finalità. D’altro
canto, molti di questi interventi hanno effetti collaterali in direzioni differenti dalle ragioni per le
quali essi vengono introdotti. Ne consegue che gli obiettivi perseguiti dal soggetto pubblico tendono
a non essere separabili, cioè a dire, gli interventi di regolazione finiscono per utilizzare una
molteplicità di strumenti variamente declinati – anche solo in sottomercati differenti di uno stesso
sistema economico – che vanno valutati congiuntamente e che necessariamente forniscono un
risultato di compromesso considerate le diverse finalità di interesse.
TAB. 6
4. Le tappe principali dell’intervento pubblico (comunitario e nazionale) nel settore
assicurativo
L’obiettivo politico di abolizione degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, delle merci,
dei servizi e dei capitali originariamente sancita nel Trattato di Roma del 1958 viene realizzata solo
quando, nel 1985, la Commissione europea delinea un quadro di interventi nel cd. Libro bianco sul
completamento del mercato interno. Gli anni seguenti sono segnati dall’Atto unico europeo nel
1986, dal Trattato sull’Unione europea e dalle direttive per la licenza unica nel 1992, dalla
creazione dell’euro nel 1999, dal Piano di azione sui servizi finanziari 1999-2005 e, da ultimo,
dall’adozione della procedura Lamfalussy per l’attività legislativa e regolamentare anche nei servizi
assicurativi. Nel complesso gli interventi legislativi comunitari sono univocamente orientati allo
smantellamento delle normative di ostacolo all’integrazione del mercato assicurativo europeo
analogamente a quanto perseguito nei contigui settori bancario e finanziario.
Così, nel periodo iniziale di costruzione del mercato europeo, la prima generazione di direttive,
aveva riguardato la soppressione delle discriminazioni fondate sulla nazionalità attraverso il
riconoscimento della libertà di stabilimento di una succursale, senza che lo Stato ospite potesse
valutare l’iniziativa secondo i bisogni del mercato ed in tal modo negare discrezionalmente
l’accesso ad un’impresa concorrente con quelle domestiche. Accanto alle regole sull’accesso in
regime di stabilimento le prime direttive armonizzavano i criteri di determinazione delle riserve
tecniche e le regole di investimento delle attività a copertura. Esse, tuttavia, conservavano
all’autorità di vigilanza dello Stato ospite il potere di autorizzare l’insediamento di una succursale o
comunque di una presenza permanente attraverso agenti in esclusiva. La seconda generazione di
direttive (1984-1990) introduceva la libertà di prestazione di servizi nei cd. grandi rischi, cioè per
quegli assicurati che non necessitano di una speciale protezione in quanto operatori professionali.
Solo con la terza generazione (1990-1994) la libertà di prestazione di servizi viene generalizzata a
tutti i rami e a ogni cliente per consentire ad ogni impresa di operare in un altro Stato membro con il
regime di vigilanza applicato alle attività svolte nel proprio Stato di origine. Infatti, nello spazio
comunitario, diversamente dal principio comune negli accordi internazionali basati sul
riconoscimento alle imprese estere del trattamento proprio delle società domestiche, l’integrazione è
stata costruita attorno al principio che attribuisce la vigilanza allo Stato di origine dell’impresa con
una armonizzazione “minima” delle normative nazionali. Ed è proprio l’obiettivo di concentrare la
vigilanza sullo Stato di origine che sorregge la scelta di abolire ogni forma di controllo di natura
preventiva, come l’approvazione delle condizioni generali e delle tariffe dei prodotti assicurativi,
14
che erano presenti nella gran parte degli Stati europei negli anni ottanta e che contribuivano alla
segmentazione del mercato europeo in altrettanti mercati nazionali, che ha portato al
riconoscimento del principio della cd. libertà tariffaria. La concentrazione della vigilanza
prudenziale nello Stato di origine ha altresì reso necessaria una armonizzazione minimale delle
regole sulla solvibilità. In coerenza con la scelta di armonizzazione minima le terze direttive hanno
conservato allo Stato ospite i poteri di controllo necessari per la protezione dei clienti, così che il
modo attraverso il quale un’impresa assicurativa opera è soggetto a tante normative nazionali quanti
sono gli Stati nei quali esercita l’attività. Nel contempo, solo se l’impresa svolge l’attività
insediando una sede secondaria, ovvero se opera senza un’infrastruttura permanente, essa rimane
assoggettata alla vigilanza prudenziale dello Stato di origine. Se, invece, costituisce in un altro Stato
membro una società controllata, le attività da essa svolte sono ovviamente attratte, anche a fini di
stabilità, nella competenza dello Stato dove opera ed ha pure sede legale, che solo dal punto di vista
della casa madre può dirsi, in senso economico ma non giuridico, Stato di origine dell’impresa.
Successivamente, l’integrazione dei mercati ha seguito il tracciato del Piano di azione sui servizi
finanziari (1999-2005) ed ha visto l’armonizzazione crescere sul versante delle procedure di
risanamento e di liquidazione delle imprese di assicurazione, su quello dei principi contabili
internazionali fino alla previsione della possibilità di fare ricorso allo statuto di Società europea. In
futuro anche il settore assicurativo utilizzerà le procedure Lamfalussy per la produzione della futura
regolamentazione comunitaria (in primo luogo per riscrivere le regole di solvibilità - cd. Solvibilità
II - in parallelo con la medesima revisione operata nel settore bancario - Basilea II) soprattutto per
conseguire una effettiva uniformazione, in luogo dell’ormai insufficiente armonizzazione, e
diminuire i costi di transazione derivanti dalla coesistenza di normative nazionali ampiamente
diversificate.
Le trasformazioni imposte dall’adeguamento alla normativa comunitaria hanno caratterizzato il
settore assicurativo nel senso della deregolamentazione e in direzione di una progressiva
concentrazione attraverso operazioni di fusione e di acquisizione, prevalentemente di rilevanza
domestica, e in una effettiva integrazione europea per il solo segmento dei rischi industriali. Esse
non hanno tuttavia realizzato l’obiettivo politicamente rilevante di ridurre i costi di passaggio da un
fornitore nazionale ad uno comunitario e, soprattutto, l’integrazione non si è caratterizzata per la
caduta dei differenziali di prezzo nei diversi mercati nazionali attraverso la competizione
transfrontaliera attorno alla quale le terze direttive avevano disegnato il regime della libertà di
prestazione di servizi. Le ragioni, anche dal solo punto di vista istituzionale, sono molteplici. Fra le
più specifiche va ricordato che il contesto delle regole sulla commercializzazione e sull’esecuzione
dei contratti rimane di competenza delle autorità nazionali e ciò comporta una rilevante
segmentazione dei mercati con costi di accesso differenti e comunque dipendenti dal grado di
intervento del regolatore pubblico. Fra le ragioni più generali - e con ogni probabilità di gran lunga
prevalenti - va considerata l’assenza di armonizzazione del diritto contrattuale, che gioca un ruolo
essenziale nel processo di scelta per un cliente non professionale, che è ovviamente inesperto della
legislazione che dovrà applicare per far valere i propri diritti. In breve, si è rivelata insufficiente la
cifra dell’intervento istituzionale di matrice comunitaria, limitata alla prospettiva
dell’armonizzazione delle condizioni di accesso riservate alle imprese, poiché ha preteso di
considerare il prodotto assicurativo come un bene omogeneo che viene scambiato in un mercato
perfetto. Esso invece comporta la creazione di una relazione di fiducia che si basa anche sulla
conoscenza dell’ordinamento giuridico applicabile all’esecuzione del contratto e dunque dipende da
una scelta di prossimità del cliente che conduce, di fatto, a creare prodotti assicurativi differenziati.
Prescindendo dagli effetti misurati sul versante dell’integrazione dei mercati, la soppressione dei
controlli preventivi sui prodotti assicurativi ha innescato una deregolamentazione e una
liberalizzazione che ha determinato una considerevole diversificazione dell’offerta a cui ha fatto
riscontro una corrispondente complessità della regolazione di trasparenza e dunque un incremento
della normativa dove maggiore è lo spazio dell’ordinamento nazionale. Nella prospettiva del
necessario innalzamento degli standard di trasparenza e correttezza nell’offerta e nell’esecuzione
15
dei contratti assicurativi si allinea, seppure con ritardo rispetto ai principali sistemi europei, anche il
diritto italiano con il codice delle assicurazioni private. È solo nel settembre del 2005 che si
completa la disciplina dei mercati finanziari in senso ampio, non solo perché il codice prosegue il
cammino intrapreso con il t.u. bancario e poi con il t.u. della finanza, ma anche perché a questi testi
unici dichiaratamente si ispira proprio nella logica di estendere al settore assicurativo, laddove sia
appropriato e giuridicamente possibile, istituti e procedure che caratterizzano in modo ormai diffuso
la regolazione prudenziale e di correttezza in questi ambiti. Si comprende quindi come il codice si
sia ispirato alla recente ed organica disciplina dell’intermediazione bancaria e finanziaria, ma al
tempo stesso sia stato rispettoso del particolare assetto regolamentare che l’attività assicurativa
direttamente riceve dal diritto comunitario. La disciplina dell’attività e delle connesse forme di
vigilanza si differenzia, in parti significative e non derogabili dal legislatore nazionale, dalle
corrispondenti norme degli altri settori finanziari e ciò sia per quanto concerne i profili di stabilità
(ad es. in materia di vigilanza consolidata e di partecipazioni detenibili), sia in relazione a profili di
trasparenza e dei relativi controlli pubblici (ad es. per il divieto di approvazioni preventive dei
prospetti e delle condizioni contrattuali dei prodotti dei rami vita e danni). Analogamente al t.u.
bancario ed al t.u. della finanza il codice è essenzialmente una disciplina dell’impresa di
assicurazione e degli altri operatori a contatto con il pubblico e non interviene sulle norme che
disciplinano, in via imperativa o dispositiva, diritti e obblighi contrattuali, la cui fonte rimane quella
delle norme contenute nel codice civile del 1942 che pure necessiterebbero di un ammodernamento
nel segno di un maggiore equilibrio fra assicurato e assicuratore. Mantenendosi nell’ambito di un
assetto di vigilanza prevalentemente impostato sui soggetti operanti nel settore assicurativo, il
riassetto legislativo realizzato con il codice delle assicurazioni private rafforza il ruolo dell’autorità
di controllo assicurativa - l’ISVAP – nell’esercizio delle funzioni di supervisione della stabilità e
della correttezza dei soggetti operanti nel mercato assicurativo. Ciò indubbiamente innalza la tutela
dei clienti non esperti, perchè il codice introduce per la prima volta a livello legislativo, regole di
informazione e di comportamento del tutto equivalenti a quelle dei mercati finanziari, ed al tempo
stesso si caratterizza per una visione unitaria dell’obiettivo di protezione del risparmio assicurativo
che non ne isola l’applicazione ai soli prodotti a contenuto finanziario. Il codice, tuttavia, si muove
nei limiti della norma comunitaria, che vieta di adottare “disposizioni che prevedano l’approvazione
preventiva o la comunicazione sistematica delle condizioni generali e speciali delle polizze
d’assicurazione”, che a suo tempo fu voluta per impedire che il potere discrezionale delle autorità di
vigilanza sulla commercializzazione dei prodotti neutralizzasse l’effettività della libertà di
prestazione di servizi e di stabilimento. È evidente che l’introduzione di regole di correttezza e
adeguatezza nella fase di presentazione e di sollecitazione rappresenta una ragionevole risposta alle
richieste di superamento delle asimmetrie regolamentari fra prodotti del comparto finanziario in
senso ampio, in modo da garantire condizioni di informazione equivalenti a quelle previste nel testo
unico della finanza, sebbene nei limiti derivanti dalle direttive comunitarie. Da ultimo la – di poco successiva legge sulla tutela del risparmio, approvata nel dicembre del 2005, conserva il ruolo
dell’autorità di vigilanza assicurativa, anche se, per un verso, attribuisce la regolazione e la
vigilanza di trasparenza sui prodotti pensionistici, anche a matrice assicurativa, all’autorità del
settore – la COVIP – e, per altro verso, si muove verso un modello maggiormente improntato alla
ripartizione per “finalità” dei controlli pubblici, laddove attribuisce anche a CONSOB poteri di
vigilanza regolamentare, ispettivi e sanzionatori sui prodotti finanziari emessi da imprese di
assicurazione.
5. La concorrenza nel mercato italiano
Alla luce del quadro economico e normativo del mercato assicurativo italiano, nonché dei
riferimenti teorici circa i criteri per valutarne le caratteristiche di efficienza allocativa ed equità
distributiva, siamo ora in grado di fornire qualche valutazione di merito sulla situazione corrente del
settore. Un giudizio unitario rimane difficile da esprimere, considerata la natura fortemente
16
differenziata dei rami, sia dal punto di vista della indipendenza dei rischi che vengono trattati, sia
della tipologia della clientela e del mercato geografico cui si rivolgono. Una serie di evidenze
aneddotiche, tuttavia, fa pensare che alcuni dei fallimenti del mercato richiamati nelle pagine
precedenti non rimangano astratte ipotesi teoriche, ma trovino invece riscontro nella realtà italiana.
In particolare, in svariati segmenti (ad esempio, molte delle coperture di responsabilità civile per
professionisti) l’offerta stenta ad esprimersi; inoltre, in alcuni rami i prezzi (ed i costi di
risarcimento) crescono a tassi incompatibili con le variabili economiche sottostanti, causando effetti
sia allocativi, sia distributivi che sono percepiti come insoddisfacenti da una larga parte
dell’opinione pubblica (il più immediato riferimento è quello al ramo auto). Questa situazione può
essere accostata all’evidenza che il processo di entrata/uscita – in particolare nei rami danni – si è
rivelato ben più limitato (quando non trascurabile) di quanto atteso ed auspicato con la progressiva
liberalizzazione del mercato.
Se le inefficienze qui richiamate mettono in luce un’effettiva insufficienza degli strumenti
disciplinanti del mercato, ciò che è meno evidente è se essa sia da attribuirsi ad un meccanismo
concorrenziale mal funzionante, o se le peculiarità di un mercato assicurativo sono tali da rendere
comunque insufficiente anche un gioco concorrenziale ben funzionante, ma inadeguatamente
regolato.
Alcune utili indicazioni al riguardo possono provenire dal quadro che emerge dall’attività
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) , che sin dalla sua istituzione ha
esercitato i poteri di controllo delle condotte e delle operazioni di concentrazione nel settore
assicurativo, diversamente da quanto previsto per l’industria bancaria, dovendo soltanto acquisire
un parere obbligatorio ma non vincolante dell’autorità di vigilanza assicurativa prima della chiusura
del procedimento. Nella tab. 7 sono riportate tutte le istruttorie che sono state concluse con
riferimento al mercato assicurativo sono 14, cui va aggiunta l’indagine conoscitiva dedicata
all’assicurazione degli autoveicoli iniziatasi nel 1996 e conclusa nel 2003. Possono essere
evidenziate due distinti insiemi di istruttorie che presentano tra loro notevoli affinità.
TAB. 7
Cinque istruttorie (I61, I67, I73, I219 e I448) si sono riferite alla comunicazione di intese verticali
tra un soggetto assicurativo ed uno bancario, che concernevano un accordo di distribuzione
esclusiva da parte della rete di sportelli del secondo, dei prodotti assicurativi vita del primo. Queste
cinque intese sono state valutate dall’AGCM verificando se la concentrazione geografica degli
sportelli bancari oggetto dell’esclusiva avrebbe creato un sostanziale impedimento per un eventuale
concorrente della compagnia assicurativa che avesse voluto usare il canale bancario per distribuire i
propri prodotti. Alla luce di questa valutazione, un’intesa è stata autorizzata nella forma proposta,
una è stata vietata e le altre tre sono state autorizzate a seguito di modifiche della loro forma
originale. Le cinque istruttorie sono quindi plasmate sulla previsione teorica del nesso tra
contendibilità del mercato assicurativo e struttura del canale distributivo: la saturazione dei canali di
distribuzione viene interpretata come un’importante barriera all’ingresso in grado di proteggere il
potere di mercato delle imprese. Naturalmente, la rilevanza della distribuzione è assai variabile per
ramo e tipo di clientela, ed è particolarmente critica per i rischi di massa (cioè per la clientela non
specializzata).
Le altre nove istruttorie sono relative ad intese orizzontali, nelle quali le imprese – in rami differenti
– hanno scambiato informazioni e standardizzato contratti e procedure33. Queste istruttorie hanno
tutte condotto ad un accertamento di infrazione, anche se in quattro casi esse non hanno comportato
alcuna sanzione e in altri tre casi hanno comportato sanzioni assai modeste (per due sole compagnie
nella I193 e I305, per Ania nella I626). Solo la I74–Assicurazioni Rischi di Massa del 1993 e
33
Un’analisi approfondita di questi casi è proposta in Grillo (2002) e Porrini (2004).
17
soprattutto la I377–RC Auto del 2000 hanno avuto per oggetto un numero notevole di imprese (11 e
39) e sanzioni alte o molto alte (20 e 700 md. di Lire).
Volendo operare un’ulteriore classificazione, nei due casi I193 e I305 poche specifiche imprese
hanno adottato condotte non corrette in sede di offerta per un bando pubblico di servizi assicurativi
vari. Si tratta quindi di una fattispecie che poco si presta a considerazioni generali sul settore. Nella
altre sette istruttorie, invece, era sempre coinvolto un numero notevole di imprese, che si
coordinavano per i) standardizzare condizioni contrattuali o ripartizione dei rischi fra concorrenti
(I43, I74, I77, I127 e I626), e ii) condividere informazioni relative ai prezzi delle coperture (I377 e
I575).
Stante il riconoscimento da parte dell’AGCM della violazione, il limite del divieto di intese che
avessero per oggetto od effetto la restrizione della concorrenza è stato evidentemente oltrepassato
(anche se, va detto, alcune di queste decisioni dell’AGCM sono poi state annullate ai gradi di
giudizio successivi, in particolare la I74, la I193 e la I575). Al netto di questo, però, le vicende
trattate in tali istruttorie danno comunque l’impressione che provenga da parte delle imprese una
istanza di coordinamento che va oltre l’incentivo a colludere per evitare le guerre di prezzo34.
Dalle evidenze empiriche fin qui riportate e dell’attività dell’AGCM emerge quindi un quadro del
settore nel quale in alcuni rami l’efficacia del meccanismo competitivo è ostacolata da
un’insufficiente concorrenza potenziale e dalla tendenza al coordinamento da parte degli
incombenti. Il ricorso a strutture e procedure di coordinamento tra le imprese, peraltro, sembra
spesso necessario per ottenere esiti allocativi desiderabili, ma è evidente il rischio che esse possano
diventare strumenti di collusione, qualora non adeguatamente supportate del regolatore pubblico.
Un segmento che ben si presta ad esemplificare la tesi sopra esposta è il ramo RC Auto. Un
particolare interesse per questo ramo, peraltro, deriva dal fatto che, come affermato, esso è uno dei
più rilevanti in termini dimensionali e le relative coperture sono ampiamente diffuse tra i cittadini,
in virtù della loro obbligatorietà. Esso ha sperimentato una straordinaria crescita dei prezzi, più che
raddoppiati nel decennio successivo alla liberalizzazione del mercato, prima della quale era
sottoposto ad un regime di prezzi amministrati. Questa crescita non si è interrotta nemmeno a
seguito dell’ingente sanzione antitrust sopra citata e di un periodo di ritorno ai prezzi amministrati
nel 2000. Non solo i prezzi medi sono cresciuti notevolmente, ma la classificazione ha generato
incrementi notevolmente superiori alla media per alcune categorie di assicurati, così da generare
una sostanziale inassicurabilità per una significativa quota di cittadini. Non secondaria è
l’osservazione che a fronte del fenomeno di crescita dei prezzi, si è parallelamente riscontrato un
fenomeno di crescita di simile entità dei risarcimenti, che da molti studiosi viene attribuito in parte
significativa agli scarsi incentivi da parte delle imprese a controllare i costi dei sinistri. Rimandando
per una più approfondita analisi del settore a Buzzacchi e Siri (2002), l’interesse del caso è legato al
fatto che la stessa AGCM, dopo l’istruttoria I377, nella quale attribuiva la scarsa concorrenzialità
del settore alle intese collusive sanzionate, nella successiva indagine conoscitiva IC19 ha
riconosciuto la presenza di fattori ostacolanti la concorrenza, la cui natura prescinde dal
comportamento cooperativo delle imprese. L’inflazione dei costi, che tanta parte ha avuto in quella
dei prezzi, sarebbe da attribuire in buona parte alla natura third party del rapporto di responsabilità
civile tra assicuratore e cliente, che fa sì che i risarcimenti siano dovuti a soggetti terzi: ciò
34
Un’attenzione particolare al problema dello scambio di informazioni, peraltro, già viene affrontato nel Regolamento
CE n. 358/2003, che propone un’esenzione di blocco per le intese tra compagnie di assicurazione che abbiano per
oggetto lo scambio di informazioni relative al costo medio della copertura di un determinato rischio in passato: si tratta
cioè, della circolazione degli scambi informativi concernenti i dati necessari al calcolo dei premi puri. Essa trova la sua
giustificazione economica nel fatto che la disponibilità diffusa di tali informazioni favorisce l’entrata nel settore, in
quanto costituirebbe altrimenti una significativa barriera all’ingresso la disponibilità di una base statistica affidabile da
parte degli incombenti, in particolar modo se gli entranti fossero imprese piccole e giovani.
18
impedisce di sfruttare le proprietà incentivanti del contratto assicurativo, e inasprisce i problemi di
asimmetria informativa.
In tale senso il codice delle assicurazioni disciplina in modo innovativo il ramo RC Auto attraverso
il sistema di indennizzo diretto. La nuova procedura vuole ampliare i casi nei quali la liquidazione è
curata dall’impresa di assicurazione nei confronti del proprio cliente, come sino a oggi è avvenuto,
nei soli casi in cui le due parti coinvolte nel sinistro concordano sulle modalità dell’incidente,
sottoscrivendo la constatazione amichevole. La generalizzazione del risarcimento diretto comporta
il dovere, per ciascun danneggiato, di presentare la richiesta di risarcimento alla propria impresa di
assicurazione e l’obbligo per quest’ultima di formulare un’offerta con una procedura che sostituisce
quella a cui sarebbe tenuta la compagnia di assicurazione del veicolo responsabile del sinistro. In tal
modo i meccanismi incentivanti tipici del sistema di indennizzo diretto diverrebbero di generale
applicazione a tutti i sinistri fra due veicoli, come suggerito da alcune esperienze internazionali e
più volte rilevato dall’AGCM e dall’ISVAP. È singolare che nel caso italiano non si sia assistito a
una spontanea evoluzione verso un sistema generalizzato di risarcimento diretto, come nel modello
francese, e si sia reso necessario un apposito intervento legislativo per ampliare l’ambito della
procedura di risarcimento diretto.
Tale procedura potrebbe realizzare un meccanismo virtuale di risarcimento diretto che si mantiene
all’interno del modello dell’assicurazione di responsabilità civile, previsto dall’ordinamento
comunitario, in forza dei trasferimenti tra le compagnie che seguono i risarcimenti agli assicurati,
regolati all’interno di una struttura consortile ad hoc tra tutte le imprese (Consorzio Indennizzo
Diretto – CID). È tuttavia cruciale individuare una regola efficiente sui criteri di determinazione dei
rimborsi fra le imprese, che consenta ad ogni compagnia di appropriarsi delle economie di
liquidazione realizzate derivanti dall’opportunità di gestire direttamente i processi di riparazione dei
veicoli e dalla capacità di individuare meglio le condotte fraudolente. I risparmi così ottenuti da
parte dalle imprese più efficienti potrebbero essere trasferiti ai propri clienti, sotto forma di sconti di
premio e di ulteriori servizi personalizzati, attivando un meccanismo in grado di migliorare le
condizioni di funzionamento e la competitività del mercato assicurativo.
Naturalmente grande attenzione deve essere mantenuta affinché il Consorzio CID – e il controllo
dei contratti che esso prevede – non finisca per diventare lo strumento di pratiche concordate: in
questo senso è necessaria la presenza del soggetto pubblico in qualità di supervisore delle regole di
coordinamento.
È qui opportuno ricordare che la criticità del meccanismo concorrenziale nel ramo RC Auto
rappresenta la giustificazione addotta per alcuni recenti interventi del Ministro dello Sviluppo
Economico, che sono stati realizzati in parte per via amministrativa, con l’approvazione del
regolamento di attuazione del sistema di indennizzo diretto previsto dal codice delle assicurazioni, e
in parte attraverso la decretazione d’urgenza, con la norma di cui all’articolo 8 del D.L. 30 giugno
2006, n. 233, nel quale si vietano le clausole di esclusiva nei mandati di agenzia aventi ad oggetto il
ramo dell’assicurazione obbligatoria di responsabilità civile auto. In linea generale l’obiettivo
dichiarato dall’esecutivo va essenzialmente nella direzione di i) favorire la contendibilità del
mercato attraverso l’eliminazione dell’esclusiva tra assicuratori ed agenti, rendendo accessibile la
rete distributiva esistente anche ai potenziali entranti; ii) favorire l’incentivo alla competizione tra
imprese fondata sulla riduzione dei costi di risarcimento, sostenendo una rapida diffusione del
meccanismo di indennizzo diretto, e infine iii) ridurre il potere di mercato delle imprese sugli
assicurandi, concedendo maggiore autonomia nelle politiche di sconto degli agenti e promuovendo
una maggiore trasparenza delle politiche e dinamiche tariffarie delle imprese indipendentemente
dalle misure di quotazione individuale del premio già previste in via regolamentare dall’autorità di
vigilanza.
19
6. Considerazioni conclusive
In questo lavoro si sono innanzitutto illustrate le ragioni teoriche a sostegno della tesi che nei
mercati assicurativi l’allocazione spontanea delle risorse ha talvolta proprietà insufficienti rispetto a
ragionevoli obiettivi sociali. Ciò si verifica a causa delle articolate asimmetrie di informazione tra
assicurato ed assicuratore e dei complessi intrecci tra meccanismi di competizione di prezzo e
meccanismi di competizione fondati sulla differenziazione contrattuale. La varietà delle ragioni che
giustificano l’intervento di regolamentazione nel settore assicurativo, spiegano allo stesso modo il
fatto che tale intervento possa concretizzarsi attraverso un notevole spettro di misure, di volta in
volta complementari o sostitutive tra di loro.
La liberalizzazione del settore assicurativo in corrispondenza del processo di integrazione
comunitaria si è di conseguenza realizzato in un contesto nel quale l’intervento pubblico diretto e
indiretto (in particolare gli aspetti fiscali e la legislazione contrattuale) nei differenti mercati
nazionali si presentava estremamente eterogeneo. La convergenza verso un modello di
regolamentazione comune è stata giudicata opportuna per eliminare gli effetti discriminatori di una
regolamentazione asimmetrica tra le imprese di diverse nazionalità (ciò, per esempio, non viene
ritenuto indispensabile negli Stati Uniti, dove la regolamentazione assicurativa nei diversi Stati si
presenta anche profondamente differenziata). Tale modello di regolamentazione comune è stato
individuato – anche al fine di limitare la conflittualità sul piano politico – in un modello di
intervento specifico molto basso, prevalentemente incentrato su strumenti di vigilanza prudenziale,
a fronte dei quali si promuove la libertà contrattuale delle imprese quale meccanismo fondamentale
garante dell’efficienza del meccanismo concorrenziale. Dal punto di vista teorico, in altri termini,
nel trade-off tra massima opportunità di apertura dei mercati e massimo controllo dei possibili
fallimenti di mercato si è scelto di privilegiare il primo aspetto. A dodici anni dal rilascio delle
direttive di terza generazione, tuttavia, l’evidenza empirica mostra fenomeni di mobilità delle
imprese assai modesti ed inoltre l’integrazione non sembra aver ridotto in misura significativa i
differenziali di prezzo nei diversi mercati nazionali: la competizione transfrontaliera attorno alla
quale le terze direttive avevano disegnato il regime della libertà di prestazione di servizi non sembra
quindi operare in modo efficace. Peraltro, la disciplina concorrenziale nel mercato domestico
sembra comunque inadeguata a consentire esiti pienamente soddisfacenti per la collettività, anche al
netto di eventuali fenomeni collusivi.
Le tesi sostenute in questo lavoro suggeriscono che una parte significativa delle inefficienze del
mercato assicurativo italiano sia da attribuire all’orientamento fin qui eccessivo della
regolamentazione verso le misure di vigilanza prudenziale e verso una interpretazione letterale del
principio di libertà contrattuale della imprese. In realtà, tale principio non chiude affatto lo spazio a
specifici interventi di controllo dell’organizzazione d’impresa, dei prezzi e della varietà
contrattuale. Non ci si riferisce naturalmente ad ipotesi di ritorno ad un regime di prezzi
amministrati e di contratti omogenei, ma all’opportunità di introdurre strumenti che favoriscano in
modo virtuoso alcune evidenti esigenze di standardizzazione e coordinamento delle strategie
d’impresa al fine di risolvere i peculiari problemi di distribuzione asimmetrica dell’informazione. È
ad esempio il caso della normativa francese sulla standardizzazione del sistema bonus-malus
nell’assicurazione RC Auto, che la Corte di giustizia europea, contro ogni previsione, ha ritenuto
compatibile con la regola dell’armonizzazione minima seguita nelle direttive assicurative. Questa
sembra essere la direzione degli interventi normativi di promozione della concorrenza adottati
dall’esecutivo nel giugno 2006, considerato che viene prevista un’istituzione finalizzata a
coordinare specifiche procedure tra le imprese (il consorzio per l’indennizzo diretto), sono posti
alcuni vincoli sull’organizzazione contrattuale verticale tra compagnie ed agenti e sono rafforzate le
condizioni di trasparenza dei meccanismi di fissazione dei prezzi. In tale direzione – con interventi
specifici per i singoli ambiti in cui si articola il settore – vi sono certamente ulteriori opportunità per
rendere
il
mercato
assicurativo
italiano
ancor
più
efficiente
ed
equo.
20
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22
Rami
I Infortuni
II Malattia
Coperture per danni alla persona
III–VI
VII
VIII
XVI
XVII
XVIII
XIV
IX
Coperture per danni alle cose e al patrimonio
X–XII
XIII
XV
Coperture di responsabilità
TOTALE DANNI
TOTALE VITA
Mezzi di trasporto
Merci trasportate
Incendio e elementi naturali
Perdite pecuniarie
Tutela giudiziaria
Assistenza
Credito
Altri danni ai beni
RC veicoli
RC generale
Cauzione
I–XVIII
I–VI
TOTALE
3,0
1,7
4,7
3,6
0,3
2,3
0,4
0,2
0,3
0,3
2,4
9,8
18,3
3,1
0,5
21,8
2,7%
1,6%
4,3%
3,3%
0,3%
2,1%
0,4%
0,2%
0,3%
0,3%
2,2%
8,9%
16,6%
2,8%
0,4%
19,9%
36,3
73,5
33,1%
66,9%
109,8
Tab. 1 – Raccolta premi per ramo (lavoro diretto) (2005, md. Euro)
Fonte: ISVAP (2006)
23
Imprese
nazionali
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
163
161
162
168
185
192
200
210
218
224
224
221
224
215
204
200
201
200
194
189
179
174
Rappresentanze
di imprese
estere
UE extra UE
50
51
54
56
57
56
52
43
11
39
11
39
11
33
8
32
8
40
7
41
6
42
7
45
5
48
3
53
3
54
3
57
3
63
4
67
4
Totale
imprese
213
212
216
224
242
248
252
264
268
274
265
261
271
262
253
250
252
256
251
249
246
245
Tab. 2 – Numero di imprese operanti nel mercato domestico
Fonte: ISVAP, Relazione annuale, anni vari
24
1999
2000
2001
2002
2003
2004
Imprese estere in regime di
Imprese estere in regime di
stabilimento
libera prestazione di servizi Totale %*
Danni Vita Totale %* Danni Vita Totale %*
1,4
0,7
2,1 3,4%
0,1
1,8
1,9 3,1%
4,0 6,5%
1,6
0,8
2,4 3,5%
0,1
2,6
2,7 4,0%
5,1 7,5%
1,9
0,3
2,2 2,9%
0,1
0,1
0.2 0,3%
2,4 3,1%
2,1
0,4
2,5 2,9%
0,2
0,4
0,6 0,7%
3,1 3,5%
2,1
0,4
2,5 2,6%
0,2
3,7
3,9 4,0%
6,4 6,6%
2,4
0,9
3,3 3,0%
0,3
4,8
5,1 4,6%
8,4 7,7%
* Percentuale sul lavoro diretto italiano
Tab. 3 – Attività in Italia di imprese estere (md. Euro)
Fonte: ISVAP, Relazione annuale, anni vari
25
Gruppo Generali
Gruppo Allianz
Gruppo Unipol
Gruppo Fondiaria-Sai
Poste Vita
III – Corpi
I – Infortuni veicoli terr.
21.8
9.3
14.0
17.0
12.3
10.6
14.7
22.8
0.0
0.0
VIII –
Incendio
20.7
15.3
7.8
16.0
0.0
Gruppo Generali
Gruppo Allianz
Gruppo Unipol
Gruppo Fondiaria-Sai
Poste Vita
I–
III –
Vita umana Fondi inves.
34.7
16.1
6.6
21.6
7.4
5.4
3.9
3.0
10.4
8.8
V–
Capitalizz.
24.9
8.2
20.5
7.3
0.1
X–
XIII –
Totale
RC Auto RC generale danni Rank
11.0
21.9
15.6
2
15.9
14.1
15.4
3
11.7
11.3
10.9
4
23.2
15.4
19.7
1
0.0
0.0
0.0
–
Gruppo Generali
Gruppo Allianz
Gruppo Unipol
Gruppo Fondiaria-Sai
Poste Vita
Tab. 4 – Quote di mercato dei primi cinque gruppi italiani
nei rami principali (2005, percentuale)
Fonte: ANIA (2006a)
26
Totale
vita
26.1
12.2
9.2
4.2
7.9
1
2
3
9
4
Totale
22.7
13.3
9.8
9.3
5.3
1
2
3
4
5
Agenti
Brokers
Vendita diretta
Promotori finanziari / SIM
Sportelli bancari
Totale
Danni
84,4
7,7
6,3
0,1
1,5
100,0
Vita
18,2
1,1
12,4
7,6
60,7
100,0
Totale
40,1
3,3
10,4
5,1
41,1
100,0
Tab. 5 – Canali di distribuzione delle coperture danni e vita (2005, percentuale)
Fonte: ANIA (2006b)
27
Categorie di
intervento
1. Organizzazione
d’impresa
Finalità
Efficienza
marshalliana
Riduzione del
rischio di
sistema
Solvibilità
Protezione
dell’assicurato
Distribuzione
(equità)
- Estensione
della rete di
monitoring
- Requisiti
patrimoniali
- Separazione
contabile
- Professionalità
intermediario
- Requisiti
patrimoniali
- Partecipazione
a pool
2. Prezzi e contratti
-
Prezzi (profitti) massimi
Limitazione varietà contrattuale
Pubblicizzazione delle tariffe
Selezione delle variabili di
classificazione
-
Prezzi minimi
Limitazione sconti
Trasparenza delle commissioni
Controllo delle clausole abusive
- Limitazione della varietà
contrattuale
- Obbligo a contrarre
3. Obblighi
dell’assicurato
4. Vigilanza prudenziale
- Obbligo di copertura
- Vincoli sulla gestione
dello stato patrimoniale
- Vincoli sulla gestione
dello stato patrimoniale
- Obbligo di copertura
Tab. 6 – Finalità e strumenti per la regolazione dei mercati assicurativi
28
Provvedimento
Anno Fattispecie
Ramo
Esito
I43
ANIA
I61
INA / BANCA DI ROMA
I67
ALLEANZA ASS. / AMBROVENETO
I73
MONTE DEI PASCHI DI SIENA / SAI
I74
ASSICURAZIONI RISCHI DI MASSA
1992
Intesa orizzontale
1993
Intesa verticale
Auto non
RC
Vita vari
1993
Intesa verticale
Violazione
Nessuna sanzione
Autorizzazione con
condizioni
Non violazione
1993
Intesa verticale
1993
Intesa orizzontale
Auto non
RC e altri
I77
ASSICURAZIONI RISCHI AGRICOLI
1993
Grandine
I127
CONSORZIO ITAL. ASS. AERONAUTICHE
1995
Intesa orizzontale
Abuso di
sfruttamento
Intesa orizzontale
I193
ASSICURAZIONE RISCHI COMUNE
MILANO
I219
ASS. GENERALI / UNICREDITO
I305
ASSITALIA-UNIPOL / AZ. USL BOLOGNA
1996
Intesa orizzontale
Danni vari
1996
Intesa verticale
Vita vari
1997
Intesa orizzontale
Danni vari
I377
RC AUTO
1999
Intesa orizzontale
RC Auto
I448
ASS. GENERALI / CARDINE BANCA
I575
RAS-GENERALI / IAMA CONSULTING
I626
TARIFFE DEI PERITI ASSICURATIVI
2001
Intesa verticale
Vita vari
2003
Intesa orizzontale
Vita vari
2004
Intesa orizzontale /
verticale
Auto
Vita vari
Infortuni
Vita vari
Rischi
aeronautici
Non violazione per
modifica accordi
Violazione
11 compagnie
20,4 md. lire
Violazione
Nessuna sanzione
con condizioni
Violazione
Nessuna sanzione
con condizioni
Violazione
2 compagnie
440 mil. lire
Violazione
Divieto dell’intesa
Violazione
2 compagnie
400 mil. lire
Violazione
39 compagnie
700 md. lire
Non violazione per
modifica accordi
Violazione
Nessuna sanzione
Violazione
200 mila € (Ania)
Tabella 7 – Le istruttorie per violazione della legge Antitrust nel settore asicurativo
Fonte: AGCM, Bollettini, numeri vari
29
IMPRESA
azioni precompetitive
(investimenti strategici)
• Entrata
• Corporate governance
• Struttura finanziaria
• Monitoring
• Distribuzione
1. Organizzazione
d’impresa (licenza)
2. Prezzi,
contratti,
profitti,
fiscalità
NORMATIVA
ANTITRUST
NORMATIVA
CORRELATA
(liability, …)
IMPRESA
azioni competitive
• Prezzi
• Menu di contratti
WELFARE
(Stato produttore)
ASSICURATO
scelta contratto
(eventualmente Ø)
AS/MH
3. Obblighi
REGOLAZIONE
SPECIFICA
4. Vigilanza
prudenziale
ASSICURATO
attività post-contrattuali
•
Consumo
•
Prevenzione
•
Protezione
MH
IMPRESA
investimento finanziario
INTERVENTI
SUL RISCHIO
MH
NATURA
risarcimento
(prestazione)
Fig. 1 – Il gioco di produzione assicurativa e l’intervento pubblico nel settore
30
300
Vita
Danni
250
200
150
100
50
0
UK
FR DE
IT
NL ES
BE
IE
SE DK AT
FI
PT
LU
EL
Fig. 2 – La ripartizione della raccolta assicurativa nella UE (2005, md. US$)
Fonte: Swiss Re (2006)
31
Figura 3 – La propensione all’assicurazione
Fonte: Swiss Re (2006)
32
140
120
Vita
Danni
100
80
60
40
20
0
1989
1991
1993
1995
1997
1999
2001
2003
2005
Fig. 4 – La raccolta assicurativa in Italia, premi complessivi (md. Euro)
Fonte: ANIA, Relazione annuale, anni vari
33
Italia
Figura 5 – Dimensione e concentrazione (C10) dei mercati nazionali comunitari (rami danni, 2000)
Fonte: Swiss Re (2000)
34
Raccolt a danni
100.0
80.0
60.0
40.0
20.0
0.0
1990
1994
1999
2004
2005
2004
2005
Raccolt a vit a
100.0
80.0
60.0
40.0
20.0
0.0
1998
2002
Fig. 6 – La concentrazione dell’offerta assicurativa in Italia (C5 in nero, C10 in bianco)
Fonte: ANIA, Premi del lavoro diretto in Italia, anni vari; Swiss Re (2000)
35
Redditività danni e vita
35.0%
Risultato conto tecnico
30.0%
Utile investimenti
25.0%
Risultato dell'esercizio
20.0%
15.0%
10.0%
5.0%
0.0%
-5.0%
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2003
2004
2005
2003
2004
2005
Redditività danni
35.0%
30.0%
25.0%
20.0%
15.0%
10.0%
5.0%
0.0%
-5.0%
1998
1999
2000
2001
2002
Redditività vita
35.0%
30.0%
25.0%
20.0%
15.0%
10.0%
5.0%
0.0%
-5.0%
1998
1999
2000
2001
2002
Fig. 7 – I risultati del settore assicurativo in Italia (percentuale sui premi)
Fonte: ANIA (2006b)
36
30.0%
25.0%
20.0%
Danni
Vita
15.0%
Danni e vita
10.0%
5.0%
0.0%
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
35.0%
30.0%
25.0%
Danni
20.0%
Vita
15.0%
Danni e vita
10.0%
5.0%
0.0%
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
Fig. 8 – Incidenza delle spese di gestione nel settore assicurativo in Italia
(sopra percentuale sui premi, sotto percentuale sugli oneri dei sinistri e variazione delle riserve)
Fonte: ANIA (2006b)
37