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MARGHERITA ADDUCI
Le cantate della sacra donnaccia
Albatros - Il Filo, Roma 2009, pp. 84, € 11,50
***
di Ilenia Appicciafuoco
Il libro d’esordio di Margherita Adduci, Le cantate della sacra donnaccia, sembra contenere versi
usciti direttamente dalle viscere dell’autrice… Ed è proprio “viscerale” il primo aggettivo che
verrebbe in mente se ci chiedessero di descrivere con una sola parola lo stile di questa giovane
teramana che, nello spazio di trenta componimenti, permette al lettore di raggiungerla e di
osservare da vicino le sue ferite e la sua storia.
Quella di Adduci è una poesia-corpo o un corpo lirico che non si risparmia e che si dona
completamente a chi legge; ci troviamo di fronte ad un idioletto trasparente e carnale, osceno e
candido al tempo stesso. Alda Merini, recentemente scomparsa, nella poesia Le osterie scriveva:
(…) a me piacciono le cose bestemmiate e leggere / e i calici di vino profondi / dove la mente esulta
/ livello di magico pensiero (…) [i] . I versi di Adduci appaiono proprio così, intrisi di una lingua
(…) concreta come mattone ed irreale come / ali fatte di aria e stelle… (…) [ii]
Preferiamo limitare al massimo i nostri commenti che si ridurranno a suggerimenti e chiavi di
lettura alternative e cercheremo di “far parlare” il più possibile i versi.
La tematica prediletta dell’autrice è sicuramente l’amore, o meglio, tutto ciò che resta quando
finisce.
Stupisce la resa del senso di abbandono e dell’illusione consapevole, alimentata dall’attesa del
ritorno di sensazioni e volti ormai perduti:
(…)
sento sempre il tuo passare
nelle ombre della notte
e nei nascondigli
dei miei nuovi tormenti,
e spezzato il sogno
e scaraventato lo sgomento
sono qua in una notte di inizio
anno venturo ad impiegare
parole per ricordare
o solo a far riemergere la verità,
l’essenziale che spengo
nella ricerca
della dimenticanza
(…) [iii]
Ma l’attesa di questo ritorno non è né cieca né ingenua e queste poesie assumono le sembianze di
moniti che l'autrice ripete a se stessa e che utilizza come un’arma con cui affrontare meglio il tempo
presente:
(…)
perchè la coscienza di sapermi
abbandonata,
sola lì, spinge tutta me a continuare
ad intravedere
i bagliori dell’alba,
la siepe raccolta del tramonto
e la speranza di un sorriso prolungato
(…) [iv]
Ma il componimento che probabilmente riesce meglio a scoprire e congiungere le diverse anime che
abitano la poesia di Adduci è L’amore è cieco (e ci vede meglio del prete), composto da strofe
scritte in un dialetto personalissimo, un misto di abruzzese e campano, che si alternano a versi in
italiano e che fanno piangere e ridere al tempo stesso, che sanno far commuovere e riflettere. La
potenza espressiva dei versi, inoltre, è anche dovuta al fatto che, molto spesso, l’autrice sceglie di
utilizzare un linguaggio che si articola “per immagini”:
(…)
l’amor l’amor
che è?
Che Rè?
Rè sto do minore
che mi stà a fa diventà
simile all’edera
ma che sting a dic
simile all’ortica
ma tu ci vù arpassà sopra a me
la tua ortichella
ti vu arfa lu mal
ti vù fa arpungicà? [v]
I riferimenti al sesso, seppur numerosi nel testo, non penetrano mai nel campo dell’“erotismo”, né
quello più “raffinato” (pensiamo ai racconti della “maestra” della letteratura erotica, Anais Nin), né
quello deteriore, nonchè banale, una “pornografia tematico-stilistica” che pervade buona parte della
letteratura contemporanea solo perché “scandalizza” e dunque vende (e a questo punto è
obbligatorio nominare Melissa P., Pulsatilla, Lara Cardella e purtroppo anche alcune pagine di
Isabella Santacroce). Quello della poetessa abruzzese è un erotismo solamente “evocato”, in quanto
componente essenziale dell’amore e del rapporto di coppia.
Al contrario, se l’unione fisica avviene senza trasporto e sentimento, essa viene intesa dall’autrice
come una forma di auto-mortificazione, di annullamento…
Una caratteristica fondamentale di questo testo è una rivalutazione quasi esplicitamente dichiarata
di una dimensione “locale” della vita e del mondo. I luoghi prediletti dell’autrice ci trasportano
spesso all’interno di spazi e situazioni familiari, accoglienti, a tratti, oseremmo aggiungere,
“crepuscolari”. La predilezione per l’evocazione di luoghi e volti familiari, di situazioni quotidiane
e sentimenti delicati contrasta spaventosamente con i dettami che ci impone il mondo che viviamo,
un mondo all’insegna della fretta e del caos e che sembra trascurare sempre di più la dimensione
“locale” dell’esistenza. In alcuni componimenti di questa giovane autrice, le distanze vengono
annullate dal ricordo e dalla memoria, le città diventano strade, le strade stanze, le stanze letti
disfatti o sedie vuote:
(…)
La tua voce mi ha
richiamato all’innocenza,
al mare,
a corridoi
dolci da percorrere
(…) [vi]
(…)
di gesti maldestri,
di bugie rumorose
di gesti maldestri,
ma sinceri
come fiori
di campo
appoggiati
su di un tavolo
spoglio
su di un tavolo
da cucina [vii]
Molto spesso, tuttavia, Adduci affronta la tematica del vagabondaggio, della ricerca continua ed
inoltre di un tipo di flânerie più mentale e cerebrale che fisica. Queste peregrinazioni la portano
spesso ad imbattersi in situazioni che, anche se semplici e quotidiane, grazie ad uno stile spesso
molto secco e bizzarro al tempo stesso, riescono a trasformarsi in attimi magici proprio perché
pervasi di una profondità che riesce a cogliere di sorpresa. Prendiamo, ad esempio, le strofe finali di
Assolo:
(…)
Mentre la notte mi regala nuove cose
frena il tuo annaspare.
Il tuo cordiale disincanto è cibo per cani
lo sai?
Che sei cibo per cani, lo sai
Sai solo ostentare il tuo giovane orgoglio
la tua coerenza.
La roulette russa dove perdi i tuoi capelli
Nel mio animo non c’è posto per nessuna cosa.
[viii]
Accanto a tematiche legate all’amore, al sesso, alla musica, ai colori e alla confusione
dell’atmosfera universitaria ed a quelle della quotidianità della vita di provincia (percepita come
una gabbia ed una culla al tempo stesso), troviamo numerose liriche dedicate agli affetti più cari,
amici e familiari, ma anche al dolore di esperienze passate, il cui ricordo non può che pesare come
una lapide: penso soprattutto alla struggente Mi hanno rubato tutto, ma anche a Raccogli le tue
cose, I Pugni e Pensieri di una pazza.
Nelle parole di questa poetessa è presente una “cognizione del dolore” che a tratti pervade anche lo
stile e che ricorda i “lapsus” di una delle più grandi poetesse di tutti i tempi, Amelia Rosselli.
Margherita, così come la Rosselli, spesso non fa caso né alla punteggiatura, né alla logica dei
collegamenti sintattici fra un periodo e l’altro, fra una parola e l’altra, preferendo dar forma al flusso
dei pensieri: nonostante nella sua validissima prefazione Matteo Bordiga sottolinei la trasgressione
insita nelle tematiche presenti nella raccolta, credo che in realtà questa trasgressione sia, in primo
luogo, di natura stilistica.
[i]
Alda Merini Le osterie
Margherita Adduci Annientamento, pag 13
[iii]
Margherita Adduci Il volo, pag 18
[iv]
ibidem
[v]
Margherita Adduci L’amore è cieco (e ci vede meglio del prete) pag 38
[vi]
Margherita Adduci La spilla, pag 33
[vii]
M.Adduci Sprovveduti, pag 47
[viii]
M.Adduci Assolo, pag 52
[ii]