n. 44 14 dicembre - Settimanale La Vita

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LaVita
dal 1897
I O R N A L E
Le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce degli uomini d’oggi, dei poveri
soprattutto e di tutti cloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze,
le tristezze e le angosce dei discepoli
di Cristo e nulla vi è di genuinamente
umano che non trovi eco nel loro cruore… Perciò la
comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia”.
Le parole che aprono la Costituzione conciliare sulla
chiesa nel mondo contemporaneo rimangono per
sempre iscritte a caratteri indelebili sulla nostra
carta d’identità. Parole che hanno segnato una svolta irreversibile nel cammino della chiesa nella storia
e che, raccogliendo la migliore lezione del suo passato, hanno sancito per sempre la pace con il mondo. Se ci sono stati momenti di distacco e di indifferenza, questi momenti vanno dimenticati: la chiesa
è anch’essa a tutti gli effetti nel cuore del mondo e
lavora con tutti gli uomini di buona volontà alla sua
costruzione e al suo perfezionamento.
La chiesa in tutte le sue espressioni, cominciando
dalle forme più elementari, come la famiglia e la
parrocchia, dove si vive la prima esperienza cristiana, sino alla chiesa universale, passando attraverso
le comunità diocesane, regionali, nazionali, secondo
quanto di buono è stato detto in un principio tramandatoci dal recente passato: “Pensa globalmente,
agisci localmente”. Ognuno prende parte al bene
dell’umanità, sentendosi in armonia con tutti e dando il suo primo contributo nell’ambiente in cui la
provvidenza lo ha chiamato a vivere. Prima che sul
piano universale, l’egoismo si vince sul piano personale.
Pio XI, il papa che è rimasto nella storia soprattutto per la chiamata dei laici a partecipare alla
vita e alla missione della chiesa, parlando di “carità
politica”, aveva slargato gli orizzonti di una mentalità piccolo-borghese che purtroppo continua ancora in molta parte della comunità cristiana. Da allora
(ma, se vogliamo, da sempre) l’invito a vivere la carità in dimensioni generali si è ripetuto senza interruzione fino ai nostri giorni, con un impegnativo crescendo e una sempre più stringente sollecitazione da
parte del magistero e della chiesa nel suo complesso.
Il concilio Vaticano II ha usato a questo proposito
parole perentorie e molto dure, che merita rileggere
ancora a nostra istruzione e ammonimento: “Sbagliano coloro che, sapendo che qui non abbiamo una
cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni e non riflettono che invece proprio
la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo
la vocazione di ciascuno… Il cristiano che trascura i
suoi doveri temporali, trascura i suoi doveri verso il
prossimo, anzi verso Dio stesso e mette in pericolo
la propria salvezza eterna”. Dietro queste parole c’è
l’ombra del racconto del giudizio universale, come
ci è stato presentato dall’evangelista Matteo. Fra
le nuove preghiere della chiesa ce n’è una che dice
tutto questo eccellentemente nello spirito della migliore teologia post-conciliare: “Tu che ci comandi
di attendere operosi e vigilanti la tua venuta nella
gloria, fa’ che quanto più attendiamo i cieli nuovi e
la terra nuova, tanto più lavoriamo per il progresso
e la pace”. “Quanto più… tanto più”: non c’è niente di strano e di misterioso in queste parole, perché
l’uomo è chiamato a preparare con Dio il futuro finale. La speranza non è un’attesa inerte, ma un’efficace azione nella storia per condurla verso la fine.
Preparare i cieli nuovi e la terra nuova è la grande
vocazione a cui Dio ha chiamato l’umanità. Una
grande dignità a cui in particolare il popolo cristiano non può venire meno, ma che deve onorare col
suo comportamento esemplare.
Senza attendere indicazioni dall’alto, seppure,
specialmente in certe circostanze, queste sono sem-
C A T T O L I C O
T O S C A N O
44
Anno 117
14 DICEMBRE 2014
e1,10
1,10
e
Chiesa
nella storia
Papa Francesco, luminoso esempio di una chiesa aperta al mondo, mentre getta nel mare di Lampedusa una corona di fiori per tutti coloro che
hanno perso la vita nella traversata del nostro mare
pre benvenute, ma interpretando evangelicamente
per proprio conto le situazioni che si presentano
nel proprio ambiente e nel proprio territorio. Era
questa un’indicazione preziosa di Paolo VI, almeno
in parte dimenticata per un eccessivo centralismo
che perdura da sempre nella chiesa cattolica. La
chiesa universale non ha una risposta pronta per
tutte le circostanze, che variano di luogo in luogo e
che nessuno conosce meglio dei diretti interessati.
Quante cose si possono fare in questo senso anche
nella parrocchia più piccola del mondo. Si pensi alla
povertà silenziosa che si sta diffondendo a macchia
d’olio nelle nostre comunità, agli immigrati a cui
non deve mancare almeno un’accoglienza calda e
dignitosa, alle crisi crescenti delle imprese grandi e
piccole, alla scandalosa disoccupazione attuale, alla
dimenticanza e all’abbandono dei giovani, veri relitti
della nostra società. Dal ricordo di esse le nostre celebrazioni asettiche e stereotipate guadagnerebbero
molto in incisività e partecipazione. Più ampie possibilità ancora ha una comunità diocesana, che può
incrementare l’attuale deficitaria conoscenza del
pensiero sociale della chiesa, suggerire un attento
e tempestivo ascolto dei segni dei tempi, sollecitare
autorevolmente l’attenzione dei nostri fedeli, certamente non in pari con le loro responsabilità. Un
impegno per tutti da non trascurare.
Giordano Frosini
LA DIOCESI IN FESTA
L’ingresso
solenne del
vescovo Fausto
La pur capace Chiesa Cattedrale era piccola per
accogliere tutti i fedeli convenuti dalla diocesi
per accogliere il vescovo Fausto al suo ingresso.
Anche la diocesi di San Miniato, punto di partenza
del nuovo vescovo, era largamente rappresentata.
Una giornata piena di impegni quella del nuovo
vescovo, che ha voluto iniziare il suo ministero
con la visita ai “poveri” della città.
L’omelia pronunciata durante la Messa rimane
agli atti almeno come l’abbozzo di un programma
pastorale, che verrà successivamente esaminato
con il presbiterio e tutti gli operatori pastorali.
Nelle pagine 7-8-9 la cronaca della giornata,
i saluti e le impressioni raccolte tra i fedeli
2
primo piano
Vita
La
n. 44 14 dicembre 2014
La dottrina sociale della chiesa
parte essenziale
dell’evangelizzazione
L’
evangelizzazione è
il grande impegno
della chiesa, non una
sfida, ma «la sfida
pastorale, teologica e spirituale
per eccellenza». Non si tratta di
una convinzione di oggi, ma di una
consapevolezza che attraversa tutti
i tempi della sua storia, anche se
l’attuale situazione della società
ha acuito molto la convinzione
della sua fondamentale necessità:
per questo di essa si parla con una
intensità sconosciuta almeno negli
ultimi secoli, quelli della cosiddetta
cristianità, quando la fede sembrava
trasmettersi quasi automaticamente di generazione in generazione.
Per Paolo VI, che al tema ha dedicato uno dei suoi migliori documenti,
essa è la vocazione propria della
chiesa: «La chiesa lo sa. Essa ha una
viva consapevolezza che la parola
del Salvatore - “Devo annunziare
la buona novella del Regno di Dio”
- si applica con tutta verità a lei
stessa. E volentieri aggiunge con
san Paolo: “Per me evangelizzare
non è un titolo di gloria, ma un dovere. Guai a me se non predicassi il
Vangelo!”».
E’ stato soprattutto Giovanni
Paolo II a chiarire i ristretti rapporti del pensiero sociale della chiesa
con l’impegno dell’evangelizzazione.
Per lui il primo è parte essenziale
della seconda, nonché parte integrante della teologia, in particolare
della teologia morale. Un nesso
talmente stretto che l’impegno
dell’insegnamento sociale può essere considerato come una vera e
propria legge dell’evangelizzazione,
insieme alla sua priorità, alla sua
ecclesialità (è tutta la chiesa che
evangelizza), alla priorità della testimonianza rispetto alla parola, alla
necessità di una predicazione totale del Vangelo arrivando fino al suo
cuore e al suo centro che è Cristo
stesso, alla legge dell’incarnazione
nel mutare dei tempi e delle circostanze. Se vogliamo, un punto di
arrivo, i cui inizi appartengono ai
primi passi compiuti dalla chiesa
dopo il concilio Vaticano II.
Un lungo cammino
Nel Sinodo dei vescovi del
1971 su La giustizia nel mondo, anche se si ritiene che il documento
finale sia stato redatto con una
certa frettolosità, la connessione è
affermata con totale chiarezza: «La
missione di predicare il Vangelo, ai
nostri giorni, richiede che ci impegniamo per la totale liberazione
dell’uomo già nella sua esistenza
terrena. Difatti, se il messaggio cristiano intorno all’amore e alla giustizia non dimostra la sua efficacia
nell’azione a favore della giustizia
nel mondo, più difficilmente esso
acquisterà credibilità presso gli
uomini del nostro tempo». Testi di
sapore vagamente terzomondistico
che impressionarono e insieme entusiasmarono i lettori del tempo.
Un’idea su cui
hanno insistito
tutti i Papi
post-conciliari
che però non
è arrivata ancora
pienamente
nella mentalità
del popolo cristiano
di Giordano Frosini
Il Sinodo successivo (1974),
soprattutto con l’Esortazione
apostolica conclusiva di Paolo VI
Evangelii nuntiandi (1975), porterà a
compimento le intuizioni alquanto
sospese dell’intervento precedente.
Al termine di una lunga e “acre”
discussione all’interno del Sinodo,
Paolo VI precisò ufficialmente il
pensiero della chiesa, «rifiutando
le due posizioni estreme: quella
che nega la pertinenza diretta della
promozione/liberazione dell’uomo all’evangelizzazione; e quella
opposta dell’ideologia secolarista
che: riduce l’evangelizzazione alla
promozione/liberazione dell’uomo».
La soluzione di Paolo VI, secondo il
teologo milanese G. Colombo, non
era affatto scontata, specialmente
per l’ambiente teologico di allora.
Era quello il tempo in cui la teologia
della Parola di K. Barth, certo malamente interpretata, aveva quasi giustificato la convinzione che l’evangelizzazione potesse semplicemente
risolversi nel dire/predicare la
Parola, senza riferimenti ai comportamenti pratici dell’annunciatore.
La teologia della storia, preceduta
dalla teologia politica e, poco dopo,
seguita dalla teologia della liberazione, aveva intanto soppiantato la
soluzione barthiana, immettendo
nel mondo cristiano idee nuove nei
riguardi dell’impegno per il progresso dell’umanità. Secondo Colombo,
«se oggi la situazione è chiara, non
lo era ancora invece un quarto di
secolo fa, cioè al tempo del Sinodo
del ‘74. Per questo la soluzione di
Paolo VI non poteva essere scontata». Un passo importante, da cui
non è possibile tornare indietro.
Anche E. Bianchi raccomanda la
predicazione di un cristianesimo fe-
dele alla terra. Finito il tempo della
fuga mundi, del disprezzo di questo
mondo, del terrena despicere et
amare coelestia, oggi, afferma con
forza il priore di Bose: «non sappiamo più dire salvezza senza dire
anche liberazione». Il tempo della
“buona notizia” è già cominciato.
Il motivo di fondo di questa ormai
radicata convinzione è che la dottrina sociale della chiesa ha il suo nucleo centrale nella persona umana,
l’immagine di Dio, la sola creatura
che Dio abbia voluto per se stessa.
L’antropologia è un capitolo fondamentale della teologia, anzi il punto
di vista attraverso il quale l’attuale
riflessione ha imparato a rileggere
l’intero “corpo teologico”.
Le parole di Paolo VI suggellano
con la loro autorità questi pensieri:
«Tra evangelizzazione e promozione
umana - sviluppo, liberazione - ci
sono infatti dei legami profondi.
Legami di ordine antropologico,
perché l’uomo da evangelizzare non
è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed
economiche. Legami di ordine teologico, perché non si può dissociare
il piano della creazione da quello
della Redenzione che arriva fino alle
situazioni molto concrete dell’ingiustizia da combattere e della giustizia
da restaurare. Legami dell’ordine
eminentemente evangelico, quale
è quello della carità: come infatti
proclamare il comandamento nuovo
senza promuovere nella giustizia e
nella pace la vera, l’autentica crescita dell’uomo?» (EN 31).
Un obiettivo ancora
da raggiungere
Un obiettivo da recuperare nella nostra evangelizzazione, perché
«nell’immaginario comune e nella
cultura generale si è gravemente
sfocato e distorto. La correlazione
dell’evangelizzazione con la condizione precaria dell’uomo e quindi
con la sua esistenza insoddisfatta
può persino sollevare sorpresa,
oltre che incredulità. Più diffusa è
l’idea dell’evangelizzazione mirata
a produrre un fenomeno religioso
particolare, non propriamente e
universalmente “umano”; limitato
nell’ambito cristiano; che si concentra nell’impalpabile vita spirituale
dell’uomo senza riferirsi alla sua
materiale esistenza; che produce
i suoi effetti nell’ “Aldilà’’, non
nell’“Aldiqua’’».
L’evangelizzazione non si può
fermare a metà strada, deve penetrare nelle effettive condizioni
storiche e nelle esistenze quotidiane degli uomini, per illuminarle
e, possibilmente, sanarle nelle loro
deficienze e nelle loro radici malefiche, palesi e occulte.
Riflessioni molto forti quelle
del teologo milanese Colombo, che
però lo conducono a una conclusione particolarmente apprezzata
da chi ritiene che il motivo fondamentale dell’incarnazione del Figlio
di Dio sia proprio quello di indicare
la via da percorrere e di dare, con
la divinizzazione, in contemporanea,
la grazia di poterla percorrere: «In
ultima analisi l’evangelizzazione
si risolve in una proposta di vita,
presentata a tutti gli uomini, propriamente la proposta di vivere
l’esistenza umana come l’ha vissuta
Gesù Cristo».
Una proposta da accettarsi,
perché si inserisce in una organica
sistemazione dell’intera teologia,
che nel mistero trinitario trova il
suo punto di partenza, il modello di
ogni esistenza, il fine del cammino
dell’uomo e del cosmo. Con la
sua esistenza, Gesù ha rivelato agli
uomini lo stile di Dio, l’unico modo
di vivere, di pensare, di operare per
realizzare qui nel presente e nel
futuro la perfezione e la felicità, secondo il comandamento evangelico: «Siate perfetti, come è perfetto
il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48).
Un pensiero che dobbiamo
abbandonare, non prima però di
avere ricordato che i cristiani nella
loro quasi totalità sono ben lontani
dal modello fornito loro da Gesù,
in aperto dissenso da quanto dice
l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani: «Non conformatevi a questo
mondo» (Rm 12, 2). Il limite più
grande della nostra evangelizzazione. La teoria oggi abbastanza diffusa
delle minoranze profetiche potrebbe suggerirci qualche pensiero in
proposito, per poter continuare a
sperare realisticamente e liberarci,
così, da un quasi invincibile senso di
scoraggiamento.
Messaggio
soprattutto
per i laici
Una evangelizzazione fondata
su questi presupposti è un messaggio consegnato anche ai politici,
specialmente a quelli di ispirazione
cristiana. Un messaggio di fede, di
carità, di speranza che si rispecchia
nella storia. È proprio nel nome
della speranza che vorremmo chiudere queste riflessioni. Dobbiamo
ancora ripeterlo: noi non siamo
solo in attesa del futuro, noi siamo
chiamati da Dio a essere, insieme
a lui, costruttori del futuro. Un futuro atteso nella sua pienezza per
la fine dei tempi, ma già presente
nei suoi inizi, che faticosamente
si aprono il varco verso il loro
compimento totale. Alla speranza
Benedetto XVI ha dedicato una
delle sue encicliche, per ricordare
all’umanità smarrita di oggi che la
storia ha un senso e viaggia, sospinta dal vento dello Spirito, verso
la sua pienezza e alla comunità
cristiana che «il futuro dell’umanità
[è] riposto nelle mani di coloro
che sono capaci di trasmettere alle
generazioni di domani ragioni di
vita e di speranza» (GS 31).
Vita
La
cultura
n. 44
LEGGERE È PENSARE
14 dicembre 2014
3
La resistenza cristiana
contro il Reich
“
Nei Paesi dell’Europa occupata (e consideriamo
tale anche la Germania) i
nazisti non fecero a tempo,
tra il 1939 e il 1945, ad attuare la
‘soluzione finale’ anche per la Chiesa
cattolica e per i cristiani in generale,
sulla falsariga di quella prospettata
per gli ebrei. Ma c’è l’avevano nel
cassetto e si ripromettevano (…)
di farla finita una volta per tutte con
i seguaci dell’ebreo Gesù Cristo”.
Il libro di Angelo Paoluzi, “La
croce, il fascio e la svastica” (Edizioni Estemporanee, 150 pagine)
naviga sulla stessa lunghezza d’onda
di altre recenti ricostruzioni storiche, vale a dire la necessità di fare
chiarezza sul ruolo dei cattolici - e
dei cristiani - durante il fascismo e il
nazismo. Il merito di questo volume
è però duplice: accanto alla capacità
di Paoluzi di andare subito al cuore
delle cose senza alcuna concessione
alla retorica, vi è la presentazione
nuda e cruda delle cifre, delle apparentemente nude cifre che però la
dicono lunga su quanto questa parte
di storia sia stata travisata o addirittura ignorata da una buona parte
della grande editoria. Come scrive
l’autore a proposito di una delle
tante forme di resistenza al fascismo,
la cattolica “Azione Guelfa”, “le testimonianze di cui abbiamo parlato
sono state praticamente ignorate da
una cultura a lungo dominante, come
dimostra la sterminata Storia d’Italia
di Einaudi che dedica ‘due righe due’
ad ‘Azione Guelfa’ e non fa cenno
degli altri casi”.
Questa documentata e rigorosa ricerca scopre le carte della
supposta autonomia del ruolo della
storiografia e non solo di quella
recente, mettendo in chiaro come
le dinamiche dei fatti storici possano
Un libro coraggioso di Angelo Paoluzi:
“La croce, il fascio e la svastica”
di Marco Testi
essere riviste, rilette, manipolate non
solo con aggiunte ma anche con il
silenzio da parte di chi invece, per
amore della verità, dovrebbe avere
il coraggio di andare oltre le proprie
convinzioni ideologiche. È così che
Paoluzi, come d’altronde stanno
facendo altri storici, mette il dito
sulla piaga della sbrigativa condanna
dell’azione di Pio XII di fronte alle
deportazioni degli Ebrei e al nazismo.
Non solo interventi espliciti per la
protezione e il ricovero dei perseguitati in una Roma occupata dal
nazi-fascisti, ma con quelli che Goebbels chiamava “attacchi pesantissimi
dissimulati contro di noi”, come il
radiomessaggio del Natale del 1942
nel quale si deplorava la persecuzione, messa in atto “solo per ragioni
di nazionalità o di stirpe”, contro
persone indifese destinate, recitava
testualmente il messaggio, alla morte.
La Gestapo, che aveva capito quale
era la reale posizione della Chiesa, in
un suo rapportò si lasciò andare ad
uno sconsolato “questo papa rifiuta
il nuovo ordine nazionalsocialista”.
Si diceva della storia e delle sue
manipolazioni: Paoluzi ci offre un
esempio di ricerca seria e finalizzata
al ristabilimento di una verità troppo
spesso alterata con supposizioni non
suffragate da documentazioni serie
e oggettive. Lo studioso si tiene
strettamente alle cose e presenta
i nudi fatti di cristiani perseguitati
dal fascismo, di sedi di associazioni
chiuse o assaltate, di fedeli e di preti
torturati e uccisi durante la guerra di
liberazione e la resistenza, offrendo
al lettore non interpretazioni, ma
documenti, processi, numeri.
Gli appassionati di storia contem-
poranea avranno di che attingere da
questo libro scomodo per tutti quelli
che hanno voluto vedere nella storia
della Chiesa del ventennio solo acquiescenza e complicità con il regime.
Anche quando si dedica alla
resistenza di cattolici e protestanti
contro il Reich, l’autore si tiene
stretto alle cose, alle raccapriccianti
cifre di uomini e donne sgozzati,
deportati, torturati per aver tenuto
fede al vangelo contro non solo e
non tanto una dittatura, sebbene un
progetto di sostituzione tout-court
della fede cristiana con una mescolanza di paganesimo e di idolatria
laica del Führer. Nello stesso tempo
un libro coraggioso perché controcorrente (a parte gli ancora poco
numerosi contributi “revi sionisti”
a proposito di resistenza cristiana
ai totalitarismi) e, essendo molto
attrezzato e documentato, una vera
e propria mina vagante nel gran mare
della storiografia che ha tenuto le
manine sugli occhi per non vedere e
sulla bocca per non dire.
Teatropolis di Maffeo
“
Allora dimmi, che te ne
pare del mondo che se
ne va rotolando alla deriva?” – “La mi pare un
teatrone di pupi e pupari
che affannano a dimenarsela.”
Colloquiano tra loro in un
borgo della Toscana interna,
una volta cittadina di diecimila
abitanti, l’ottantenne Ranuccio
(già sellaio, vedovo senza figli,
tardivamente ben considerato
dalla matura Armida) e il professor Teodoro De Vellis, docente
emerito all’Università di Urbino
(colto e raffinato spirito ritiratosi a degna pensione nello
stesso paesino e accudito dalla
previdente Cosima.
Fanno ala ai discorsi tra i due,
don Daraku, inopinato parroco
di origine egizie, brav’uomo e
bravo prete e fratel Hinshung,
suo ausiliario, venuto dalla Cina
in odore di clandestinità, pure
lui dedita e disponibile persona.
di Claudio Toscani
Pasquale Maffeo, noto poeta,
narratore e drammaturgo, da
“mistico” di razza tra tizzi e
fiamme di intransigente polemica morale, inventa questo
pamphlet contro i moderni e
contradditori idoli della storia,
cadenti miti e riti del progresso,
puntando il dito oltre che all’indirizzo del comune consesso
umano, ai calamai parlanti (scribacchini, insomma), nonché ai
“pulcinella” e ai “bottegai” che
fanno strepito in parlamento,
nell’aula a semicerchio. Al mondo intero, insomma, indirizzano
il loro anatema l’artigiano e il
cattedratico, facendo leva sulla
loro saggezza (da una parte la
“scarpa grossa”, dall’altra il “cervello fino”), sull’ardore e fervore
della loro etica (da una parte
contadina, dall’altra intellettuale).
Ma se il professor Teodoro si
esprime in lingua corretta e
distinta, il sellaio ha in bocca
una prosa salvatica, tra pane
casalingo e vino d’uva arzilla, che
Maffeo espande poi in poderosa
unità stilistica all’intero testo,
espressività succosa e nerboruta, sapida e vibrante.
Uno dice: “Noi amiamo e onoriamo la vita. Loro la manipolano, la mimano, ne fanno mercimonio.” L’altro aveva anticipato:
“Grandoni mezzani e piccoletti
tutti scienziati e predicatori in
pulpito.”
Pare di sentire il Domenico
Giuliotti, là dove, nel suo L’ora di
Barabba, esplode: “ogni prezzolato cialtrone sputa sulla faccia in
lacrime della verità crocifissa”.
Questo di Teatropolis è parimenti uno stile che oltre a
manifestare una forte qualità di
scrittura, è segnato da una non
comune capacità di suscitazione
linguistica.
E quando non è prosa corrente
è dialogo, un rimbalzo di do-
mande e risposte, o righe alterne di riflessioni, sugli universali
concreti di politica e di religione, sui singoli o sulla società,
frasi intrise di ardori, fervori,
energie.
E sul mondo divenuto mercato
(tra festival, salotti, saloni, raduni e sfilate), ma anche sulla
morte con cui poi si conclude
il libro, tra fraterni, scambievoli
testamenti.
Tira aria di denuncia e di
compassione assieme, di carità
armata ma di pietà, e salvifico
amore, tensione a bollare chi
zoppica ma al tempo stesso
a indicare come camminare
diritti.
PASQUALE MAFFEO, Teatropolis, Marina di Minturno, Armando Caramanica Editore, 2014,
pp. 125, €. 13,00.=
Poeti
Contemporanei
Il silenzio
di Dio
Se colui che tu ami
o non c’è più
o da te se ne è andato lontano
e invano senti di soffrire
e invano senti di pregare
perché ti torni accanto
allora “sei” nel silenzio di Dio,
se sciagure
e angosce
e altre calamità
ti circondano tanto
che ti pare
di essere al punto
di non più credere in Lui,
se qualcuno schiaffeggia il tuo cuore
e altri ti vedono spregevole
mentre senti
nobile
il tuo cuore
e tanto capace di amare
“sei” ancora
nel silenzio di Dio.
Ma quando ti ritroverai
ad affogare nel nulla
e nulla sentirai
di essere per tutti
e per te stesso e,
“sperduto,
non saprai più
dove aggrapparti
allora ti rifugirai
in quel silenzio
come un bambino
nelle braccia della mamma
e come un bambino
che ama il suo gioco
amerai quel silenzio
come fosse la tua casa
solo allora,
perché lo avrai tanto amato
tornerai ad amare il Suo sole,
le Sue nuvole,
il Suo fiore,
solo allora,
gioioso,
sentirai la Sua misericordia
annullare il tuo silenzio
e solo allora,
esultante,
potrai ascoltare
il cuore di Dio
battere nel tuo cuore.
Anna Tassitano
4
Vita
attualità ecclesiale
Quando ci si accosta
al mistero di Dio ci si
accosta da uomo o donna
ed allora affiorano
sfumature diverse che
collaborano alla costruzione
del comune cammino di
pellegrini nella storia.
È questione di comunione
non di funzionalità
o di opportunità
La chiesa si ripensa
Come senza la donna?
di Cristiana Dobner
F
inalmente! È risuonata,
finalmente, una parola
autorevole che autorizza
una realtà di fatto che, a
tutt’oggi, sembra rotta da sottomarino che si inabissa al momento
opportuno, scompare ed affiora
quando il radar segnali panorami
tranquilli.
Se diamo la stura ai “perché?”
che costellano la storia delle donne
teologhe riempiremmo files pesantissimi, archiviati senza lettura e
incidenza.
Non è la rotta corretta per
passare da sottomarino a barca a
vela che solchi i mari senza timori
d’intercettazioni o affondamenti.
La teologia come scienza, come
fede riflessa, ha bisogno della persona umana: uomo o donna. Se la
Commissione internazionale teologica nel suo Statuto ritiene suo
preciso compito “studiare i problemi dottrinali di grande importanza,
specialmente quelli che presentano
aspetti nuovi, e in questo modo
offrire il suo aiuto al Magistero
della Chiesa”, risulta ben chiaro
che i problemi dottrinali si possono
affrontare da donne e da donne
captare gli aspetti nuovi, sempre
dall’angolatura femminile.
I ruoli culturali quindi all’interno
della vita della Chiesa - che Chiesa
non è senza la presenza viva e attiva
delle donne - si ampliano e possono
palesarsi distintamente. Il discorso
non suona di genere ma di competenza scientifica, rigorosamente
fondata.
La teologa deve poter pensare
serenamente e potersi confrontare
apertamente con il teologo. Non
vale la frase fatta “siamo pari”. Non
è la parità che cerchiamo ma la
complementarietà, basata sulla differenza delle due persone: uomo e
donna che pur scrutando la Parola,
diretta dal Creatore ad entrambi,
suscita reazioni e risposte diverse,
seppure analoghe.
Quando ci si accosta al mistero
di Dio ci si accosta da uomo o donna
e allora affiorano sfumature, spazi
e interrogativi diversi che collaborano alla costruzione del comune
cammino di pellegrini nella storia.
È questione di comunione non di
funzionalità o di opportunità.
Se nella Chiesa la donna è
presente, ne consegue che pure
nell’ambito teologico possa essere
presente.
Bisognerebbe rileggere la rotta
tracciata dalle pagine teologiche di
“Donna Chiesa Mondo” e collocarsi
in quello che Sequeri denomina lo
“snodo epocale”, perché la Chiesa è
chiamata dalla società a ripensare se
stessa. Come farlo senza le donne?
Uomo e donna nell’immagine di
Dio che si rivela hanno una distinzione e un ruolo di fondamento. Le
relazioni però si devono creare fra
La
n. 44 14 dicembre 2014
LA SPINTA DI PAPA FRANCESCO
redenti e le reciproche relazioni devono farlo apparire: accenti di rivendicazione, di ideologia, di liberazione
sono del tutto fuori posto quando
non dannosi.
Chiaramente è una sfida, non tra
nemici ma tra persone, differenziate
sessualmente, che compartecipano
fontalmente e originalmente alla
stessa missione di Gesù.
C
ostruire ponti attraverso il
dialogo tra religioni e culture è forse più semplice
quando il dialogo affonda
i suoi pilastri nella vita reale, quotidiana. Quando poi tocca una sofferenza che scarnifica, come quella dei
malati terminali e delle loro famiglie,
ad essere in gioco non è una visione
religiosa piuttosto che un’altra, ma
lo sguardo sulla persona, sull’umano,
che è poi lo sguardo della fede. Ed
è stato questo sguardo il “fil rouge”
dell’incontro “Interreligious dialogue
on the end of life”, tenutosi al Policlinico Gemelli di Roma per iniziativa
del Centro di ateneo per la vita e
della Società italiana di anestesia
analgesia rianimazione e terapia
intensiva (Siaarti). Un’opportunità
di ascolto e riflessione nella prospettiva culturale e di pensiero delle
grandi religioni monoteiste sul fine
vita, tema delicatissimo al centro di
infuocati dibattiti politici e mediatici.
Relatori cristiani, ebrei e musulmani,
tutti concordi sulla necessità di trovare una mediazione tra tutela della
vita e diritto di ogni persona a non
essere sottoposta ad accanimento
terapeutico. A richiamare il ruolo di
primaria importanza delle religioni,
e di “un dialogo e un confronto tra
le diverse fedi”, chiamate “a fornire
criteri e paradigmi per riconoscere
e tutelare la dignità e l’inviolabilità
della vita umana”, è in apertura dei
lavori monsignor Claudio Giuliodori,
assistente ecclesiastico generale
dell‘Università cattolica, che sottolinea come su questi terreni di comune interesse si possa trovare “quella
convergenza che a volte risulta
più difficile sul piano strettamente
religioso”. Del resto, nel suo recente
viaggio in Turchia, Papa Francesco ha
Dire relazione significa dire volto,
presenza dell’altro che, per il solo
fatto di esistere, consente all’interlocutore di esistere a sua volta, di
ritrovarsi, di riconoscersi; gli sguardi
possono intrecciarsi, richiamarsi,
dirigersi verso lo stesso obiettivo
con segnali, soccorsi, luci reciproche.
Se gli sguardi sono collocati
nel volto del potere, il messaggio
evangelico perisce immediatamente,
come sempre quando è in gioco una
supremazia, presunta o reale.
Permeati invece di empatia espandono una corrente che corrobora e
conduce nella totale parresia, cioè
nella franchezza e nella rigorosità
scientifica, al punto in cui non esiste
rivalità e si afferma la collaborazione
fattiva e complementare.
Gesù stesso non si è venduto al
potere, non lo ha proclamato e non
ne ha fatto la sua bandiera. Ha optato per un’altra strada: l’annuncio, la
testimonianza. Così ha polverizzato
lo stesso potere. Sta a noi, insieme,
trovare la modalità in cui declinarlo
oggi.
Il piano universale di salvezza, di
redenzione, non richiede la decorazione femminile, “le fragole” di cui
parla Francesco, la donna può, teologicamente, contribuire alla crescita
umana come è tipico della sua natura
ed esigere che la pasta sia fermentata
da un lievito in cui teologo e teologa
collaborino in armonia.
Nell’apertura, non teorica o
astratta, ma ai volti concreti, che non
si affrontano ma si incontrano. Essenziale appare l’importanza dell’ascolto.
“Figlio dell’uomo - disse il Signore al
profeta Ezechiele - tutte le parole
che ti dico ascoltale con gli orecchie
accoglile nel cuore” (Ez 3,10).
Se il teologo “è innanzitutto un
credente che ascolta la Parola del
Dio vivente e l’accoglie nel cuore e
nella mente”, non si può declinare
anche al femminile?
Teologia: con cuore e mente di
donna e cuore e mente di uomo.
CONFRONTO TRA RELIGIONI
Al confine della vita
lo sguardo dei credenti
Al Gemelli di Roma un confronto sul fine vita fra esponenti delle religioni
monoteiste. Cristiani, ebrei e musulmani concordi sulla necessità di trovare
una mediazione tra tutela della vita e diritto di ogni persona
a non essere sottoposta ad accanimento terapeutico
di Giovanna Pasqualin Traversa
ricordato che “il comune riconoscimento della sacralità della persona
umana sostiene la comune compassione, la solidarietà e l’aiuto fattivo
nei confronti dei più sofferenti”.
Sacralizzare
la vita
L‘Islam non ammette l‘eutanasia
“perché la vita ha un valore incondizionato. Nel caso di pazienti in
terapia intensiva, la sharia, integrata
da principi morali-religiosi ai quali si
aggiungono i principi di autonomia
del paziente, consente la sospensione dei trattamenti solo per evitare
l‘accanimento terapeutico e quando
il medico è certo che la morte sarà
inevitabile”, precisa Fekri Abroug,
medico dell‘Università di Monastir
(Tunisia). Per Yahya Pallavicini, vicepresidente della Coreis (Comunità
religiosa islamica italiana) occorre
“sacralizzare la vita e umanizzare la
morte”. “Nel diritto islamico - spiega
- non sono tollerabili né l’omicidio né
il suicidio. È Dio a dare sia la vita sia
la morte, nessuna delle due può essere considerata un male”. E proprio
nell’orizzonte del dialogo, Pallavicini
rilancia la sua proposta all’allora mi-
nistro della Salute Balduzzi di istituire una commissione interdisciplinare
con professionisti della salute e referenti religiosi, “perché attraverso il
confronto tra competenze diverse si
può trovare una soluzione metodologica alle sfide pratiche del fine vita”.
Chiarire i termini
“Definire la linea sottile che separa
l‘accanimento dall‘omissione terapeutica”, è l’invito di Riccardo Di
Segni, radiologo e rabbino capo di
Roma. “Siamo tutti d‘accordo - dice
- sul rifiuto dell‘eutanasia e dell‘accelerazione della morte di un paziente,
così come sul rifiuto dell‘accanimento terapeutico”, ma manca “una
convergenza su questioni ‘secondarie‘, che poi secondarie non sono affatto” come quella dell‘idratazione e
dell‘alimentazione. Sulla stessa linea
il rabbino Avraham Steinberg, dello
Shaare Zedek Medical Center of Jerusalem: “Proporzionalità e non proporzionalità sono parole rassicuranti
ma vaghe; dobbiamo chiarire di più i
termini per dare senso al dibattito”.
“Come medici - ha scandito - dobbiamo essere molto più umili quando
decidiamo per gli altri”.
Qualità della cura
La qualità della cura è legata alla
possibilità che i pazienti abbiano
accanto i propri cari. Per questo
Alberto Giannini sostiene la necessità
di un “duplice percorso culturale”:
l’inserimento delle cure di fine vita
nel percorso formativo delle scuole
di specialità e l’apertura dei reparti
di terapia intensiva ai familiari “la cui
presenza è oggi non più di due ore
al giorno in caso di adulti e cinque
per i bambini”. Per Andrea Vicini, gesuita, “la tecnologia medica deve concentrarsi sul Magnetic Resonancce
Imagining” per avere il massimo delle informazioni sullo stato vegetativo,
sul livello di coscienza del paziente
e sulle sue possibilità di recupero”,
questioni su cui “sappiamo ancora
molto poco”. Nella diversità delle religioni, “i principi fondanti condivisibili
sono comuni”, fa notare a conclusione dell’incontro Massimo Antonelli,
direttore del Centro di ateneo per la
vita e della Siaarti, secondo il quale
“si deve lavorare insieme per poter
avere un atteggiamento, un comportamento che sia uniforme anche
su ‘casi specifici’ che travalichino le
differenze regionali”.
Vita
La
n. 44
TRADIZIONI E NOVITà
14 dicembre 2014
attualità ecclesiale
L’Avvento in Europa:
candele, selfie
preghiere e internet
D
La Corale Discantus, la Caritas e la Delegazione per l’insegnamento della diocesi di
Cartagena, in Spagna, promuovono, ad esempio,
il progetto “Un giocattolo, una canzone”, campagna solidale che viene estesa alle scuole della
regione di Murcia per raccogliere giocattoli che
la Caritas distribuirà il 25 dicembre alle famiglie
più povere. Negli istituti scolastici sono giunti
degli scatoloni vuoti in cui i ragazzi potranno
lasciare i loro giochi per i coetanei più bisognosi; gli scatoloni saranno ritirati il 19 dicembre.
Sempre la Caritas, questa volta del Lussemburgo, invita a fare “un regalo utile”, come un
pollo, una capra o una mucca, perché “regalare
a Natale una capra può cambiare la vita di una
famiglia nel bisogno”. L’iniziativa guarda al Sud
Sudan, dove “possedere polli, capre o un bovino
N
el prologo del vangelo di Giovanni,
nel primo capitolo, al versetto 6 si
legge, “ Venne un uomo mandato
da Dio”. Essendo il progetto di
Dio rivolto all’uomo, all’umanità, il Signore per
manifestarsi sceglie un uomo. Non un esponente della casta sacerdotale o dell’élite spirituale,
notoriamente refrattarie agli inviti dello Spirito,
alle novità. L’evangelista scrive che quest’uomo
aveva come nome Giovanni, che in ebraico
significa “il Signore è misericordia”. “Egli venne
come testimone per dare testimonianza alla
luce perché tutti credessero per mezzo di lui”.
La missione di Giovanni non é limitata a un popolo, a una nazione, a una religione, ma è una
chiamata universale per risvegliare negli uomini
il desiderio di vita e renderli coscienti dell’esistenza della luce. Precisa l’evangelista: “Non
era lui la luce, ma doveva dare testimonianza
alla luce”; quindi la luce quella vera sta per
arrivare. Ebbene, appena c’è un bagliore di luce,
anzi un annuncio di luce, ecco che scattano
subito le tenebre. In questo vangelo le tenebre sono le autorità religiose nemiche di ogni
novità dello Spirito. “Questa è la testimonianza
di Giovanni, quando i Giudei” (per Giudei in
questo vangelo non si intende il popolo ebraico,
ma i capi, le autorità religiose) “gli inviarono da
Gerusalemme” (la sede dell’istituzione religiosa)
“sacerdoti”, cioè gli addetti al culto, “e leviti”
(che svolgevano anche la funzione di polizia
all’interno del tempio). “A interrogarlo”: è lo
stesso che l’evangelista adopererà per l’interrogatorio di Gesù da parte del sommo sacerdote.
Quindi ha connotazione negativa; è scattato
Nel Vecchio Continente
convivono consolidate proposte
spirituali con originali iniziative
che utilizzano le nuove
tecnologie digitali.
Tante le azioni a carattere
solidale verso bambini,
anziani e stranieri.
Non mancano attenzioni concrete
rivolte ai Paesi poveri
di Gianni Borsa
portare la speranza della luce di Natale”. La
stessa diocesi, inoltre, ha avviato una raccolta
fondi che sostiene progetti di aiuto a piccole
imprese nel terzo mondo.
al calendario con le finestrelle ai
dolci al miele, dalle novene ai presepi
artigianali, fino ai mercatini stile
tirolese: ogni regione, diocesi e città
italiana ha le sue piccole o grandi tradizioni per il
periodo d’Avvento. Alcune squisitamente religiose
e spirituali, altre - non meno apprezzate - a carattere solidale, sociale, gastronomico. Allo stesso
modo girando l’Europa si riscontra la medesima
e fantasiosa varietà di proposte, moltiplicate dalle
diversità storiche, culturali, geografiche. Inoltre le
varie confessioni cristiane che abitano il Vecchio
Continente hanno specifiche iniziative per preparare il Natale. In queste settimane, dal Portogallo
ai Balcani, dalle isole britanniche ai Paesi baltici, è
soprattutto un fiorire di iniziative verso bambini,
giovani, anziani e stranieri, che si accompagnano ad
azioni di carattere internazionale e a suggerimenti
per la preghiera personale.
Giocattoli solidali,
capre, sms…
5
Opuscoli in famiglia
migliora considerevolmente lo stile di vita”.
Passando alla Germania, i fedeli della diocesi
di Fulda hanno il loro calendario d’Avvento sul
cellulare: ogni mattina di dicembre un sms apre
la finestrella del calendario virtuale, donando
una frase “per vivere al meglio il tempo di
preghiera”. A Regensburg grande attenzione
al cammino di fede delle famiglie: la diocesi
ha pubblicato un opuscolo che copre tutto il
tempo d’Avvento, con una guida alla preghiera
e alla contemplazione da vivere in casa, con gli
amici o i vicini.
Riflessioni del vescovo,
selfie e luci di Natale
Anche la diocesi di Vienna, in Austria,
punta sulle nuove tecnologie. Le riflessioni
quotidiane dell’arcivescovo, cardinale Christoph Schönborn, sono pubblicate nel sito web
diocesano. Sono inoltre proposti i percorsi dei
tradizionali “carolers”, i bambini Cantori della
stella, che seguono i Tre re verso la capanna
di Nazareth raccogliendo fondi per opere di
carità. Nei Paesi Bassi l’Avvento passa, oltre
alle consuete celebrazioni, attraverso un selfie.
“Con l’iniziativa dell’avvento (Advents Actie),
la Chiesa cattolica vuole che la luce raggiunga
le persone che stanno lottando e talvolta non
hanno più la speranza di vedere la luce”. L’iniziativa “spreadthelight”, diffondi la luce, prevede
che i fedeli realizzino “un selfie con una candela
accesa per poi postare l’immagine sui social
media con il tag #spreadthelight”. Il messaggio
centrale e l’invito sono a “lavorare insieme per
La Parola e le parole
III domenica di Avvento - anno B
Is 61,1-2a.10-11; Sal. Lc1,46-54; 1Tes 5,16-24;Gv 1,6-8.19-28
l’allarme delle tenebre. Al primo bagliore di luce
mandano sacerdoti per interrogarlo e leviti, poliziotti, per arrestarlo. E brutalmente gli chiedono:
«Tu chi sei?» Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo», cioè il Messia, che è
quello che temono. Si credeva che il Messia alla
sua venuta avrebbe deposto l’intera gerarchia
religiosa che era indegna, avrebbe fatto piazza
pulita del sacerdozio corrotto e compromesso
con il potere. Quindi è questo che temono. “Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?»
Si credeva, grazie ad una profezia di Malachia,
che Elia avrebbe preceduto la venuta del
Messia. E Giovanni risponde: «Non lo sono»”.
«Sei tu il profeta?», il profeta promesso da Dio
a Mosè. «No, rispose». Le risposte di Giovanni
sono via via sempre più secche. Ebbene questi
inquisitori rimangono spiazzati e gli devono
chiedere quindi: «Chi sei? Perché possiamo dare
una risposta a coloro che ci hanno mandato»,
cioè i capi, le massime autorità religiose. «Che
cosa dici di te stesso?» Per loro non può essere
innocente uno che inizia un’attività senza avere
il mandato delle autorità competenti, quindi
chiedono che Giovanni stesso si accusi. Rispose:
«Io sono», ma la traduzione non è esatta. Io
sono è un’espressione che l’evangelista adopera
unicamente per Gesù, e una volta per il cieco
nato perché è creato a immagine e somiglian-
za di Gesù. “Io sono” è il nome divino. Quindi
Giovanni risponde: «Io voce di uno che grida nel
deserto», o meglio dal deserto. E’ la profezia di
Isaia, capitolo 40, versetto 3, dove si annunzia
la liberazione dalla schiavitù di Babilonia. Solo
che l’evangelista, nell’attribuire queste parole a
Giovanni Battista, omette il versetto “preparate
la strada al Signore”. Le autorità non devono
preparargli nulla. Conserva invece “rendete
diritta la via del Signore”, siete voi che l’avete
complicata, l’avete storta e siete voi che la
dovete raddrizzare. Quindi Giovanni Battista
non concede nulla alle autorità, non devono
preparare nulla. “Quelli che erano stati inviati
venivano dai farisei”, meglio tradurre “c’erano
anche inviati dai farisei”, quindi non sono soltanto sacerdoti e leviti, ma anche i farisei, l’élite
spirituale dell’epoca. “Essi lo interrogarono e gli
dissero: «Perché dunque tu battezzi se non sei
il Cristo, né Elia, né il profeta?» Sono inquieti. Il
fatto che Giovanni sta battezzando lo contraddistingue come inviato da Dio senza che abbia
nessun mandato, nessuna autorizzazione. E’
interessante l’uso del verbo “inviare”. All’inizio
“venne un uomo”, letteralmente, “inviato da
Dio”. Mentre Dio invia un uomo per annunziare la luce e la vita, le autorità inviano da
Gerusalemme l’inquisizione. Le tenebre tentano
di soffocare la luce. E in queste tenebre ci sono
e siti internet
In Serbia la diocesi di Belgrado ha preparato e distribuito opuscoli intitolati “Rinnovare
l’anima, la mente e il corpo per incontrare
il Signore che viene”, pensati per le famiglie.
Sulle stesse pubblicazioni appare l’articolato
programma culturale e religioso dedicato alle
parrocchie. La Caritas sta distribuendo voucher per le spese essenziali negli 11 comuni più
colpiti dalle forti alluvioni avvenute in Serbia la
scorsa primavera. La Chiesa di Bulgaria invece
ha predisposto il portale web youth-bg.com,
in cui i giovani trovano, accanto alle riflessioni
per le settimane dell’Avvento, una sezione
dedicata alle testimonianze di altri giovani
che condividono la loro esperienza di vita e
fede. Sono state inoltre pensate alcune azioni,
compreso un digiuno condiviso con la maggioritaria comunità ortodossa. Nella Repubblica
Ceca un centinaio di parrocchie cattoliche
e comunità di altre denominazioni cristiane
hanno aderito a un progetto web dal titolo
“Natale cristiano”, con l’intenzione di diffondere lo spirito dell’Avvento e dell’imminente
Natale.All’indirizzo www.krestanskevanoce.cz
si trovano informazioni sul significato spirituale
del Natale, oltre a un riepilogo dettagliato
delle Messe, incontri di preghiera, mostre di
presepi, concerti e spettacoli, canti natalizi,
ritiri spirituali. La Conferenza episcopale della
Slovacchia ha diffuso una lettera pastorale oltre
a una speciale guida per le prossime settimane
dal titolo “Avvento con Giovanni Paolo II”.
anche i farisei che appaiono qui per la prima
volta a interrogare Giovanni e l’ultima volta al
momento dell’arresto di Gesù. Sono queste persone molto spirituali, completamente refrattarie
all’azione dello Spirito. Ed ecco la risposta di
Giovanni: «Io battezzo nell’acqua», il battesimo
nell’acqua era un segno di morte al proprio
passato, di seppellire il passato per iniziare una
vita nuova, ma poi ecco l’accusa che l’evangelista porterà avanti in tutto il vangelo: «In
mezzo a voi sta uno che voi non conoscete»,
e mai conosceranno! Le tenebre non possono
percepire la luce e quindi i capi religiosi mai
conosceranno il figlio di Dio, il Messia. E qui
tanto più i farisei che sono i cultori della legge.
I cultori della legge non possono riconoscere
l’azione dello Spirito. «A colui che viene dopo
di me non sono degno di slegare il laccio del
sandalo». Quest’espressione si rifà alla legge
del levirato e indica in diritto di mettere incinta
la donna vedova. Anche qui Giovanni Battista
nega di essere lui lo sposo che doveva fecondare la vedova, Israele, ma lui è soltanto colui
che è venuta a prepararla. E il brano termina: “Questo avvenne in Betania, al di là del
Giordano”. Il Giordano viene usato nell’Antico
Testamento come fiume di passaggio da parte
di Giosuè per entrare nella terra promessa. Con
questa citazione l’evangelista vuol far capire
che la terra promessa ormai si trova al di fuori
di Israele. La terra promessa è diventata terra
di schiavitù, l’immagine dell’istituzione religiosa,
e da questa bisogna uscire. E Gesù inizia il suo
esodo liberatore.
Don Timoteo Bushishi
6
Come sempre
l’annuale rapporto
del Censis
fotografa in
profondità la nostra
società in continuo
cambiamento e fornisce indicazioni
preziose per la sua
lettura e per
l’azione politica e
anche per l’attività
pastorale
che ne possono
seguire
n. 44 14 dicembre 2014
RAPPORTO CENSIS 2014
Una «società
delle sette giare»
G
iunto alla 48ª edizione,
il Rapporto Censis
interpreta i più significativi fenomeni
socio-economici del Paese nella
difficile congiuntura che stiamo
attraversando. Le Considerazioni
generali introducono il Rapporto
sottolineando come il Paese viva
una profonda crisi della cultura
sistemica: nella «società delle sette
giare», i poteri sovranazionali, la
politica nazionale, le sedi istituzionali, le minoranze vitali, la gente
del quotidiano, il sommerso e la
comunicazione appaiono come
mondi non comunicanti, che vivono di se stessi e in se stessi. Nella
seconda parte,«La società italiana
al 2014», vengono affrontati i temi
di maggiore interesse emersi nel
corso dell’anno, descrivendo una
società satura dal capitale inagito,
la solitudine dei soggetti, i punti di
forza e di debolezza dell’Italia fuori dall’Italia. Nella terza e quarta
parte si presentano le analisi per
settori: la formazione, il lavoro e la
rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti
e i processi economici, i media e la
comunicazione, il governo pubblico, la sicurezza e la cittadinanza.
Una profonda crisi
della cultura
sistemica
Siamo una società liquida che rende liquefatto il sistema. Senza ordine sistemico, i singoli soggetti sono
a disagio, si sentono abbandonati a
se stessi, in una obbligata solitudine: vale per il singolo imprenditore
come per la singola famiglia. Tale
estraneità porta a un fatalismo
cinico e a episodi di secessionismo
sommerso, ormai presenti in varie
realtà locali.
La società delle
sette giare
La profonda crisi della cultura
sistemica induce a una ulteriore
propensione della nostra società
a vivere in orizzontale. Interessi
e comportamenti individuali e
collettivi si aggregano in mondi
non dialoganti. Non comunicando
in verticale, restano mondi che
vivono in se stessi e di se stessi.
L’attuale realtà italiana si può definire come una «società delle sette
giare», cioè contenitori caratterizzati da una ricca potenza interna,
mondi in cui le dinamiche più
significative avvengono all’interno
del loro parallelo sobollire, ma
Lo storico animatore del Censis, Giuseppe De Rita
senza processi esterni di scambio
e di dialettica. Le sette giare sono:
i poteri sovranazionali, la politica
nazionale, le sedi istituzionali, le
minoranze vitali, la gente del quotidiano, il sommerso, il mondo della
comunicazione.
I poteri
sovranazionali
Siamo sempre più condizionati dal
circuito sovranazionale, senza che
mai corrisponda alle aspettative
collettive. La finanza internazionale
si regola e ci regola attraverso lo
strumento del mercato con procedure che vivono di vita propria,
senza innervare una reale dialettica
con le realtà nazionali. E le autorità
comunitarie, con i vincoli cui sono
sottoposti gli Stati (direttive, controlli, parametri, patti di stabilità,
fiscal compact), comportano una
crescente cessione di sovranità
(quasi una sudditanza), che spinge a
un crescente egoismo nazionale e
a un continuo confronto duro sui
relativi interessi. La politica nazionale. Non riuscendo a modificare
i circuiti di potere sovraordinato,
la politica è riconfinata nell’ambito
nazionale, con la reazione di rilanciare il primato della politica. In
una società molto frammentata e
molecolare si era creato un vuoto
di decisionalità e di orientamento
complessivo. Su questo vuoto si è
costruita un’onda di rivincita sulla
rappresentanza, sui corpi intermedi,
sulle istituzioni locali, stimolando
così una empatia consensuale. Ma
il primato della politica rischia di
restare senza efficacia collettiva, a
causa della perdita di sovranità verso l’alto e non avendo potere reale
verso il basso, perché la volontà
decisionale e la decretazione d’urgenza supportata dai voti di fiducia
non sempre riescono a passare
all’incasso sul piano dell’amministrazione corrente e dei comportamenti collettivi. La politica rischia di
restare confinata al gioco della sola
politica. Le istituzioni.Vivono in una
dinamica tutta loro: abbiamo grandi
enti pubblici vuoti di competenze
il cui funzionamento è appaltato
a società esterne di consulenza o
di informatica, personale pubblico
(anche giudiziario) che sente la
tentazione di fare politica o passa
a occupare altri ruoli (di garanzia o
di gestione operativa), un costante
rimpallo delle responsabilità fra
le diverse sedi di potere, rincorse
infinite fra decisioni e ricorsi conseguenti. La giara sobolle in piena
inefficacia collettiva. Le minoranze
vitali. I medio-piccoli imprenditori
concentrati sull’export e sulla presenza internazionale nel manifatturiero, ma anche nell’agroalimentare,
nel turismo, nel digitale, nel terziario di qualità, costituiscono un
insieme variegato che si è rivelato
molto competitivo. Tendono però
a non fare gruppo. Preferiscono
vivere ancorati alle loro dinamiche
aziendali, con una durezza della
competizione che alimenta il loro
gene egoista, riducendo le relazioni
verso l’esterno. I vari protagonisti
si sentono poco assistiti dal sistema
pubblico, così aumenta il loro congenito individualismo e si riducono
le loro appartenenze associative
e di rappresentanza. La gente del
quotidiano. È un altro mondo che
vive di se stesso. Qui non c’è mobilità verticale, né perseguita singolarmente, né espressa in aggregazioni
intermedie (sindacali, professionali,
sociali). C’è una sospensione delle
aspettative. È un terreno dove
possono incubarsi crescenti diseguaglianze e imprevedibili tensioni
sociali. Emerge solo la voglia dei
nuovi diritti nella sfera individuale,
con rivendicazioni soggettive (il
diritto di avere un figlio anche in
età avanzata, alla dolce morte, ad
avere un matrimonio di tipo paritario) che però riguardano una
minoranza attivista incapace di indurre grandi trasformazioni sociali,
come era invece avvenuto negli
anni ‘70 (anni di grandi battaglie sui
diritti, ma anche di grandi desideri
collettivi). Il sommerso. Consente
a famiglie e imprese di reggere, è il
riferimento adattativo di milioni di
italiani. C’è una recrudescenza della
propensione di tutti a nascondersi,
proteggersi e sommergersi, che
riguarda l’occupazione, la formazione del reddito, la propensione al
risparmio, anch’esso sommerso, in
nero, cash. Il mondo del sommerso
rinforza così l’estraneità alle generali politiche di sistema. I media. Incardinati al binomio opinione-evento, i grandi media si allontanano dal
rigoroso mandato di aderenza alla
realtà e di sua rappresentazione. E i
media digitali personali rispondono
sempre più alla tendenza dei singoli
alla introflessione. La pratica diffusa
del selfie è l’evidenza fenomenologica della concezione dei media
come specchi introflessi piuttosto
che strumenti attraverso i quali
scoprire il mondo e relazionarsi
con esso.
La politica sia arte
di guida
Le sette giare vanno connesse
tramite una crescita della politica
come funzione di rispecchiamento
e orientamento della società, come
arte di guida e non coazione di
comando, riprendendo la sua funzione di promotore dell’interesse
collettivo, se si vuole evitare che
la dinamica tutta interna alle sette
giare porti a una perdita di energia
collettiva, a una inerte accettazione
dell’esistente, al consolidamento della deflazione che stiamo
attraversando. Una deflazione
economica, ma anche delle aspettative individuali e collettive, della
mobilità verticale individuale e di
gruppo, della rappresentanza degli
interessi, della capacità di governo
ordinario (malgrado la proliferazione decretizia di tipo verticistico). E
di fronte al problema del capitale
inagito del Paese, il Presidente del
Censis, Giuseppe De Rita, richiama
le parole del frate francescano Bernardino da Feltre: «Moneta potest
esse considerata vel rei vel, si movimentata est, capitale». È la prima
volta che il termine «capitale» con
logica di «moneta movimentata»
entra nella cultura occidentale,
qualche secolo prima di Marx e di
Weber: se le risorse liquide non si
movimentano, restano sterili, sono
solo cose.
Vita
La
DALLA
DIOCESI
CENTRO
DI MONTEOLIVETO
“Le voci di...
Eduardo”
Presso la Biblioteca del Centro
Monteoliveto, in via Bindi,14, sabato 13 dicembre, alle ore 17,30, il
Gad “Città di Pistoia” presenta lo
spettacolo “Le voci di.... Eduardo”
con la regia di Gennaro Criscuolo.
La rappresentazione è un omaggio
a Eduardo De Filippo nel trentennale della morte. Tutti sono invitati
e l’ingresso è libero. Segue cena di
beneficenza a favore del Centro
Monteoliveto.
INFO e prenotazioni:
tel. 0573 975064.
PASTORALE DELLA
TERZA ETA’
Scambio
di auguri
Mercoledì 17 dicembre alle 17, la
pastorale della terza età incontrerà
i suoi associati nei locali del centro
famiglia sant’Anna, vicolo dei Pazzi,
16 (il parcheggio della vecchia sede
degli ambulatori della Misericordia
è vicinissimo), e nell’occasione
ci sarà lo scambio degli auguri di
Natale.
Il programma prevede: ore 17:
Messa nella vicina chiesa delle
Clarisse. Al termine della Messa ci
sarà un buffet natalizio.
CARITAS DIOCESANA
Porta un tuo
giocattolo
e dona
un sorriso
a un altro
bambino
Venerdì 19 dicembre dalle ore
16, presso “Le foto di Riccardo”
a Pistoia, via Sandro Pertini, 754,
tel. 0573.308368, porta un vecchio giocattolo che sarà donato ai
bambini della Caritas diocesana di
Pistoia.
Il natale è sempre un periodo di
festa per tutti ed in particolare i
bambini. Ci piacerebbe che queste
feste fossero anche un momento
di riflessione e di sensibilizzazione
ai problemi dei più bisognosi.
Grazie alla caritas diocesana
vorremmo invitare i bambini che
riceveranno tanti doni a donare
qualcosa, rinunciando ad un loro
vecchio gioco per donare un sorriso ai bambini meno fortunati.
L’idea è quella di far vivere il dono
ai bambini, non come momento di
rinuncia, ma di felicità per qualcuno
meno fortunato, passando così da
sterile beneficenza a momento
di fattiva conpartecipazione e
solidarietà. Da parte nostra e da
dal network Junior photo Planet
regaleremo una fotografia ricordo
con Babbo Natale e tutte le famiglie che prenoteranno un servizio
fotografico omaggio ci aiuteranno
a donare un vaccino all’UNICEF.
Pistoia
Sette
N.
44
«
14 DICEMBRE 2014
Rallegrati, piena di grazia,
il Signore è con te». E’ con
il saluto col quale l’arcangelo Gabriele si presentò
a Maria che mons. Tardelli
si rivolge già con affetto paterno alla
Diocesi di Pistoia nella sua prima omelia.
«Come Gabriele, anch’io mi sento realmente inviato dal Signore ad
annunciarti questa gioia, ad invitarti a
rallegrati e a esultare. Non tanto perché
oggi hai un nuovo vescovo, un nuovo
pastore nella mia persona: avresti ben
poco da rallegrati per questo, vista la
mia pochezza, quanto piuttosto perché
Dio ti ama, ieri e oggi; ti ha riempito del
suo amore, sei la sua sposa bella, in cui
Egli ha riposto la sua compiacenza. Si,
carissimi, è questa la prima cosa che la
festa solenne dell’Immacolata concezione di Maria ci ricorda: che l’amore del
Signore è grande e non viene meno, che
il suo amore per noi è senza limiti e che
questo amore è creativo, rigenerativo,
trasformante. Capace cioè di trasfigurare la nostra pochezza in santità. In Gesù
Cristo, il Padre – ce lo diceva San Paolo
nella II lettura – “ci ha benedetti con
ogni benedizione spirituale nei cieli. In
lui ci ha scelti prima della creazione del
mondo per essere santi e immacolati di
fronte a lui nella carità, predestinandoci
a essere per lui figli adottivi mediante
Gesù Cristo.” Siamo convinti di questo,
fratelli e sorelle? Ne siamo esistenzialmente convinti o forse andiamo a
cercare le nostre sicurezze altrove, le
nostre gioie e consolazioni in ciò che
non può darci né gioia né consolazione?
Siamo profondamenti consapevoli che
è solo nell’essere amati da parte di un
Dio che ci è Padre che sta la nostra
consistenza personale e di Chiesa?
Oppure confidiamo in noi stessi, nel
nostro amor proprio, nell’idolo del nostro
io, nelle nostre idee che divengono ben
presto “ideologie”? Se fosse così, non potremmo altro che sperimentare alla fine
l’amarezza del nostro peccato – come ci
narra il racconto della Genesi – la rabbia
delle nostre sconfitte, l’amara gelosia
del sentirci defraudati di qualcosa da
qualcuno, il risentimento che diventa
giudizio rancoroso del fratello. E non ci
sarebbe più pace”.
“Quando invece sentiamo per davvero di essere amati nonostante i nostri
limiti e peccati. Quando ci accorgiamo di
non essere niente, ma che ugualmente
Dio ci invita a rallegrarci, perché Egli, nel
mistero insondabile del suo amore ci ha
scelti, ci ha fatto suoi e ci ha innalzato
fino alla dignità di figli veri; quando la
consapevolezza dell’amore di Dio per
noi fa traboccare di gioia il nostro cuore
e riconosciamo, con infinita riconoscenza che proprio anche a noi, l’angelo dice:
il Signore è con te, rallegrati! Beh allora
le cose cambiano veramente. Allora sorge l’alba di un giorno nuovo nella nostra
vita e il canto sgorga dall’anima come
un fiume in piena. L’amore si diffonde
intorno a noi e ogni fratello, anche il più
piccolo e dimenticato si sente coinvolto
da un torrente di benedizione e di con-
L’OMELIA D’INGRESSO DEL NUOVO VESCOVO
“La Chiesa non è altro
che amore ricevuto e donato”
solazione, al nostro solo incontraci. Ce lo
ha ricordato Papa Francesco nell’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”
proprio nelle prime parole, alle quali, lo
dico da subito, vorrei ispirare tutto il mio
ministero in mezzo a voi: “La gioia del
Vangelo riempie il cuore e la vita intera
di coloro che si incontrano con Gesù.
Coloro che si lasciano salvare da Lui
sono liberati dal peccato, dalla tristezza,
dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con
Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la
gioia.” La Chiesa del Signore non esiste
altro che per questo. Per fare questa
esperienza e trasmetterla al mondo:
l’esperienza cioè della gioia vera”.
“La Chiesa non è altro che amore
ricevuto e donato, gioia della scoperta
di una misericordia che ci è usata e che
diventa messaggio di speranza per tutti.
La Chiesa di Gesù Cristo - non quella
di Papa Francesco, o di Paolo VI o di
Papa Benedetto o di chiunque altro - la
Chiesa di Gesù Cristo sono uomini e
donne, che non smettono di riconoscere
il proprio peccato, ma sanno di poter
confidare nella potenza dell’amore di
Cristo, nel soffio vitale dello Spirito e
come ossa aride, riprendono vita e ogni
giorno provano a vivere nella giustizia,
nella verità e nella pace. Così la chiesa è
vessillo innalzato in mezzo alle nazioni,
luce del mondo, città posta sul monte. In
questo modo la chiesa si dimostra veramente serva di ogni uomo sull’esempio
del suo Signore e si fa segno umile e
forte dell’unità di tutto il genere umano.
Non sono le strutture da cambiare nella
chiesa, carissimi amici! Non è l’alchimia
di nuove formule, magari maggiormente
democratiche a fare della chiesa qualcosa di più rispondente al suo Signore!
Non sarà un adattarsi allo spirito del
mondo, alle mode culturali del momento o ai capricci dell’uomo a renderla
fermento del mondo nuovo! Non sarà
il trasformarsi in un’impresa sociale a
farla essere gesto concreto d’amore
per gli ultimi: sarà invece soltanto la
gioia sperimentata nell’incontro con
Cristo, in un incontro di salvezza e di
profondo rinnovamento interiore che
trasforma la mia, la tua, la nostra vita, a
fare bella la sposa di Cristo. Mi vengono
qui in mente le stupende parole di San
Macario il grande in un’omelia a lui
attribuita:“Povera quell’anima in cui non
cammina il Signore, …. Guai all’anima
che non ha in sé il vero timoniere, Cristo!
Avvolta dalle tenebre di un mare agitato
e sbattuta dalle onde degli affetti malsani, sconquassata dagli spiriti maligni
come da un uragano invernale, andrà
miseramente in rovina. Guai all’anima
priva di Cristo, l’unico che possa colti-
varla diligentemente perché produca i
buoni frutti dello Spirito!” (Om. 28; PG
34, 710-711)”.
“Cara Chiesa di Pistoia, rallegrati
allora ogni giorno, dell’amore del tuo
Signore. Non cedere al lamento, alla
paura, alla recriminazione, alla stanchezza. Godi della presenza del tuo
Signore in mezzo a te. Amalo con tutte
le tue forze e in ogni tua componente,
a partire dai presbiteri e dai diaconi.
Ama il tuo Signore, rallegrandoti del
suo amore per te e del fatto che se
ti ha scelta come sua sposa, questa
scelta non verrà meno, perché Egli è
fedele per sempre. Le tue rughe non
contano, le tue ferite non significano
niente, i tuoi peccati non hanno il potere
di distruggere l’amore che Dio ha per
te. Rinvigorisci le tue membra fiacche,
rialzati se sei caduta, asciuga le lacrime
se qualche volta hai pianto. Profumati
il capo, ungi di olio di letizia tutte le tue
strutture, i tuoi servizi, le tue realtà. Diffondi nella città degli uomini, in questa
terra pistoiese il buon profumo di Cristo,
l’aria fresca dell’amore fraterno, l’aria
pulita della condivisione delle gioie e
dei dolori, delle attese e delle speranze
degli ultimi e degli scartati di questa
società. L’Immacolata vergine Maria è
il tuo modello, il nostro punto di riferimento. Lei la tutta santa. La piena di
grazia. La fedele ancella del Signore. La
donna forte. La sua umiltà la fa capace
di proclamare la sconfitta dei superbi
e degli orgogliosi; la sua semplicità la
mette in grado di contestare i potenti
di questo mondo e la sua povertà le
permette di profetizzare che i ricchi
se ne andranno a mani vuote. L’essere
tutta di Dio, la fa essere annuncio e
presenza rivoluzionaria nel mondo: la
rivoluzione dell’amore di Cristo. La sola
che può cambiare davvero il mondo,
a partire dai nostri cuori. A Maria SS.
vogliamo assomigliare perciò, come
singoli e come Chiesa. Non possiamo
andare al Signore se non passando da
lei. Lei può aiutarci con la sua materna
vicinanza. Affidandoci a lei possiamo
sconfiggere il serpente antico, perchè
da Lei esce Colui che schiaccia la testa
a quel maligno che è sempre all’opera,
che insidia la nostra vita personale,
quella dei presbiteri e delle nostre parrocchie come della società, che semina
zizania nella chiesa e nel mondo, che
divide e spinge gli uomini a farsi guerra
l’un l’altro, che corrompe gli animi e
convince gli uomini alla menzogna e
alla corruzione. In Maria abbiamo la
difesa, il baluardo che riconducendoci
costantemente a Cristo ci aiuta ad
essere coraggiosi e a combattere
decisamente le forze disgregatrici che
sono in noi e nella società. Non avremo
perciò paura, nel combattimento. Non
ci smarriremo, nella lotta. Non ci ingannerà il menzognero. Anche se la lotta
oggi si fa dura e la verità del Vangelo è
attaccata da ogni parte, apertamente
o in modo subdolo, restando uniti tra
di noi e con Maria, il Regno di Cristo si
affermerà e le tenebre, ovunque siano,
arretreranno”.
“La festa odierna non è però grido
di speranza soltanto per la Chiesa, per
i credenti. Essa racchiude un messaggio
anche per la città degli uomini, per
questa città e territorio. E’ un inno alla
vita, quello che si sprigiona dalla festa
odierna. Un inno a non rassegnarsi.
Oggi infatti si proclama in Maria che
il male morale e sociale, la barbarie,
l’ingiustizia, causa vera della crisi attuale, come pure ogni nefandezza e
malaffare che pur sembrano dilagare,
possono essere vinti. Con Dio, per chi
crede in Lui. Seguendo con onestà i
dettami della propria coscienza, per
ogni uomo di buona volontà. Stringendoci comunque insieme nell’abbraccio
solidale di persone che finalmente si
riconoscono fratelli e fratelli soprattutto
di chi non pare essere tale. Maria SS.
concepita senza peccato originale è
invito a credere alla giovinezza perenne
della vita, a ritenere possibile ciò che
sembra impossibile. E’ un invito forte e
chiaro a vincere la rassegnazione e lo
sconforto, a non inaridirci ripiegandoci
nella cura dei nostri interessi individuali
e nel cinismo, è invito invece a darci da
fare con tutta la fantasia, l’energia e
l’ostinata generosità possibile, per trovare insieme soluzioni ai problemi che
diano dignità ad ogni essere umano e
realizzino un mondo più giusto, dove
ci sia soprattutto in questo momento,
lavoro,“progresso sociale, pace duratura
e libertà religiosa” per tutti. (Preghiera
universale del Venerdì Santo) Ed ora,
riprendendo la celebrazione eucaristica,
nella commozione di questo momento,
lasciate che ricordi almeno gli ultimi pastori che con grande dedizione e amore
hanno guidato questa santa Chiesa di
Pistoia e che anch’io ho avuto modo
di conoscere e che conosco: Il Vescovo
Simone e il Vescovo Mansueto. Quanto
di bene hanno seminato, ha portato e
porterà frutto abbondante. Ne sono
certo. Infine, permettetemi di ricordare
ancora una volta in modo del tutto speciale chi ho incontrato quest’oggi, prima
di salire all’altare. In particolare i malati,
i detenuti, i fratelli e le sorelle della
mensa, i disabili. Assieme a loro, voglio
ricordare al Signore in questa Eucaristia
chi nella vita sta incontrando difficoltà,
materiali o spirituali, i più dimenticati
di tutti, come pure tutti quelli che
provengono da altre parti del mondo e
sono in mezzo a noi in cerca di pane e
dignità.Tutti, voglio portare qui con me,
con noi, attorno alla mensa della parola
e del pane di Dio. Perché a nessuno si
spenga nel cuore la speranza».
8
comunità ecclesiale
V
escovo Fausto, eminenza,
eccellenze, popolo di Dio,
autorità civili e militari,
parlamentari e città di
Pistoia, la nostra Chiesa Cattedrale
è in festa per l’ingresso solenne del
suo pastore inviato a noi dal vescovo
di Roma papa Francesco.
“Rallegriamoci ed esultiamo
rendiamo a lui gloria, perché siamo
invitati a vivere le nozze dell’agnello;
la sua sposa, questa Chiesa di Pistoia,
è pronta, ha indossato una veste di
lino bianco splendente, è la veste
trasparente di splendore trinitario
sgorgata dal seno battesimale.
Il vestito di Lino sono le opere
giuste dei santi, da sant’Atto, san
Zeno, fino ad oggi.
E’ il vestito proclamato da Gesù
sul monte è il discorso della montagna fatto carne nella sua sposa,
la Chiesa, la sua Chiesa di Pistoia,
che si proclama fragile e peccatrice,
che contiene un tesoro di valore
inestimabile in vasi di creta, perché
nella debolezza risplenda la potenza
del Signore.
Vasi di creta chiamati ad essere,
come ci ricorda Sant’Ignazio di Antiochia, frumento di Cristo, macinato
dai denti delle fiere per divenire pane
puro di Cristo. Cibo da donare a chi
si trova nelle varie periferie, cibo che
può nutrire chi è povero, ultimo, il più
povero dei poveri.
Siamo Chiesa di Pistoia, comunità
di credenti, comunità in ascolto del
Vangelo, che celebra, che ama, perché dall’eucarestia nasce la carità,
ma a volte il nostro stare insieme è
attraversato da personalismi antichi
e nuovi, da superficialità moderne,
da desideri di potere o di carriera
manifesti o celati, che ostacolano la
realizzazione del piano di Dio che
È
stato accolto dall’abbraccio della comunità della
piccola parrocchia di Santa Teresa di Gesù Bambino a Mastromarco, nel comune di
Lamporecchio, il nuovo vescovo di
Pistoia monsignor Fausto Tardelli,
che ha scelto, nel giorno del suo
insediamento, di compiere un simbolico viaggio nei luoghi simbolo
della diocesi di Pistoia; la piccola
chiesa di Mastromarco, appunto,
come punto di confine fra la diocesi pistoiese e quella di San Miniato
che ha guidato per 10, dal 2004,
l’ospedale San Jacopo, per portare
il saluto ai malati, a chi soffre; nella
casa circondariale di Santa caterina
in Brana e alla mensa diocesana
don Siro Butelli.
Nominato vescovo da Papa
Francesco lo scorso 8 ottobre, nel
suo ultimo post dal suo profilo
facebook monsignor Tardelli ha
salutato i nuovi e i vecchi fedeli; bi-
n. 44 14 dicembre 2014
LA CHIESA DI PISTOIA E’ IN FESTA
PER L’INGRESSO DEL VESCOVO FAUSTO
Vita
La
L’inverno è passato,
i fiori sono tornati
consiste nell’essere Chiesa una santa
cattolica e apostolica con il vescovo,
pastore e guida che autorevolmente
ci da sicurezza e ci conduce ad acque
tranquille e ci fa riposare sui pascoli
erbosi del Padre che dona a tutti la
sua paternità in Cristo per mezzo
dello Spirito.
Noi vogliamo essere Chiesa di
Pistoia da lei sorvegliata, servita e
amata che, come ci ricorda san Paolo,
vuole portare nel proprio corpo la
morte di Gesù, perché si manifesti
nel nostro corpo la vita di Gesù, la
vita della risurrezione, della tomba
vuota dell’antica legge e il grido
della Maddalena che inaugura i tempi
nuovi, il profumo meraviglioso della
santità del Signore risorto significata
dalla veste battesimale della Chiesa.
“Rabbunì” è il grido paradisiaco di Maria che profuma di gioia
quell’aria triste di Gerusalemme,
che attraversa lo spazio e il tempo e
appartiene ad ogni epoca e ad ogni
realtà spaziale.
La Chiesa intera, la Chiesa di Pistoia questa sera fa suo quel grido di
fede e di amore di una donna che era
stata peccatrice, ma che attraverso il
perdono donatole dal suo maestro,
diventa la prima testimone della risurrezione, la prima vivente del nuovo
mondo, la prima persona che inizia
una nuova storia che si compirà nello
splendore della Gerusalemme celeste.
Il profumo cristico della primavera cristiana (gli albori della Chiesa)
possa attirare di nuovo la creazione
intera nel deserto, la Chiesa intera,
la sua Chiesa di Pistoia nel deserto
dove lo sposo parla al cuore della
sposa per invitarla a dire il suo eccomi,
come Maria di cui oggi celebriamo
la sua Immacolata Concezione, ed è
a lei che affidiamo il vescovo Fausto,
il popolo di Dio, la città.
Concludo citando il cantico dei
cantici con le parole dell’amato alla
sposa “Alzati amica mia, mia bella e
vieni presto, l’inverno è passato, la
pioggia se ne è andata e i fiori son
tornati...”.
Vescovo Fausto porti questa
voce a tutta la sua Chiesa di Pistoia,
l’inverno è passato, l’inverno, con
tutte le sue accezioni di tristezza, di
divisioni di disamore, di disobbedienza, perché i fiori sono tornati, cioè il
profumo di Cristo, della sua parola
dei sacramenti, della carità agapè e
della sinodalità del Vaticano II e non
altre, diventino carne vivente del suo
popolo pistoiese.
E tutti noi presbiteri diaconi
religiosi e religiose, popolo di Dio
vogliamo essere la voce della sposa
che grida “il mio amato è per me e
io sono sua, più dolce del vino è il
suo amore”. Qui appare l’armonia e
Il vescovo Fausto
in mezzo agli ultimi
Tutte le foto del servizio sull’entrata del vescovo Tardelli sono di Dino Mascagni
sogna partire, ha scritto – il tempo
si è fatto breve.Vado in una terra
che sarà la mia nuova famiglia. Una
famiglia che l’ha subito accolto con
un grande abbraccio. Ad aspettarlo
a Mastomarco, al suo arrivo puntuale alle 9,00, monsignor Paolo
Palazzi, amministratore diocesano,
insieme al parroco don Francesco
Pieraccini e il sindaco di lamporecchio Ferdinando Betti. Con loro
tanti fedeli.
La seconda tappa è stata l’ospedale San Jacopo di Pistoia. Qui
monsignor Tardelli è stato ricevuto
dal direttore generale della Asl3
Roberto Abati che lo accompa-
la sublimità della sapienza di Dio che
è superiore di ogni sapienza umana,
rivelata ai piccoli, ai puri di cuore, ai
poveri ai miti, agli operatori di pace,
ai misericordiosi, ai perseguitati per
la giustizia....
Vogliamo essere uniti nella lode al
Signore e nel servizio alla sua Chiesa,
vogliamo essere, da lei guidati, pane
che si spezza di amore in Cristo, per
tutti sopratutto per i lontani, per i
poveri, i sofferenti, per gli ultimi, per
tanti ultimi anche per quelli divenuti
tali per le attuali difficoltà economiche, presenti anche nel nostro
territorio pistoiese. Annunciare alla
nostra società la dottrina sociale
della Chiesa, quella della Caritas in
Veritate di papa Benedetto e quella
dell’Evangelii Gaudium di papa Francesco che sono la via nuova per costruire un tessuto economico sempre più
giusto e umano nel rispetto assoluto
della dignità di ogni persona.
Vogliamo essere un presbiterio
che pur nelle diversità oggettive di
impostazione pastorale, vuole essere
con lei una unità ecclesiale e ministeriale, suoi collaboratori, poveri, umili,
gioiosi annunciatori del Vangelo della
verità, della speranza e della carità.
Grazie Signore, grazie papa Francesco, grazie vescovo Fausto.
Paolo Palazzi
gnato all’interno della struttura
ospedaliera. Il vescovo ha visitato i
reparti di pediatria, ostetricia, medicina, emodialisi pronto soccorso.
Una sorta di percorso simbolico
della vita, dalla nascita alla morte.
Mettere al centro la gente e non
le cose – ha detto nel suo saluto
dopo la preghiera nella cappella
dell’ospedale con i detenuti del carcere di Santa Caterina in Brana si
è intrattenuto prima nella cappella
dell’istituto e poi nella sua breve
visita nelle celle e nei corridoi –
siamo tutti sulla stessa barca – ha
detto monsignor Tardelli – anch’io
sono un prigioniero, le mie catene
che devo spezzare sono il legate al
male, alla guerra e agli egoismi.
La prima parte della giornata,
dopo una breve sosta nella curia
vescovile si è poi conclusa alla
mensa don Sirio Butelli dove il
vescovo ha pranzato insieme agli
ospiti della struttura.
Vita
La
comunità ecclesiale
n. 44
IL SALUTO DEL SINDACO SAMUELE BERTINELLI
14 dicembre 2014
9
“Oggi inizia un cammino
in cui ci avrà sempre di fianco”
R
ivolgo volentieri, in questa occasione solenne,
il benvenuto dell’intera
città di Pistoia al nuovo
vescovo Fausto Tardelli.
Ho già avuto modo di incontrarlo, e accoglierlo, durante una
sua visita in Palazzo comunale, nello
scorso mese di ottobre.
Una visita che mi ha piacevolmente sorpreso, non soltanto per
la gradevolezza dell’incontro, seppur
breve, ma anche, e forse soprattutto,
per lo stile con il quale egli ha voluto
proporla, senza alcuna anticipazione,
né accompagnamento.
Dietro questo suo gesto, così
semplice e umile, persino irrituale, si
cela -mi pare- un invito alla spontaneità e un richiamo a fare compiuto
ritorno alle cose più essenziali. Una
salutare indicazione - che pienamente intendo corrispondere - volta a
cogliere il valore autentico dell’incontro. Un appello ad andare verso
l’altro senza mediazioni, presentandosi per come si è, e ad accogliere
l’altro non per come si vorrebbe
che l’altro fosse, ma per come esso
effettivamente è, e si presenta.A non
temere l’incontro, ma a cercarlo,
leggendo nel volto dell’altro la nostra
infinita responsabilità nei suoi confronti. Un messaggio -questo- che
risuona anche nell’ “eccomi” che ha
voluto rivolgere a tutti noi nella sua
intensa lettera di saluto alla città di
Pistoia; “eccomi -scrive monsignor
Tardelli- con tutta la mia persona
tra voi”.
È allora davvero il “tempo di
andare”. E di andare insieme. È il
tempo di un nuovo cammino, che
inizia oggi, e che tutti siamo chiamati
a percorrere, nessuno escluso.
Nel travaglio di questo passaggio,
torniamo a rivolgere un pensiero
grato e affettuoso alla figura, lontana
ma vicina, di monsignor Mansueto
Bianchi, e idealmente abbracciamo
tutti i sanminiatesi, sorpresi con
il loro vescovo dal cambiamento
che ora ci unisce a loro, sicuri che
troveranno presto una nuova guida,
e un nuovo orientamento verso il
futuro, obbedendo così -loro come
noi- a quella regola vitale del mutamento, propria anche della vita degli
organismi collettivi, che sfida ogni
nostra abitudine e frequentemente
ci provoca, mettendoci su nuovi ed
imprevedibili sentieri.
Oggi, dunque, l’intera comunità
cattolica pistoiese, che ha trascorso
-dopo alcuni mesi di inquietudine
e disorientamento- settimane di
gioiosa attesa, è riunita nella piazza
principale della città, davanti alla cattedrale di San Zeno, per accogliere
in forma ufficiale, finalmente, il suo
nuovo vescovo.
A questo messaggio di benvenuto, corale e popolare, voglio unire
il saluto laico, disponibile e aperto,
fiducioso e carico di rinnovata speranza, della Municipalità, di tutte le
istituzioni del territorio e di tutti i
pistoiesi.
Ma il suo vero ingresso in città,
caro vescovo, nel cuore della città, è
già avvenuto. Ed è avvenuto, significativamente, prima del suo insediamento ufficiale di questo pomeriggio.
Sono e siamo infatti lieti che ella, nel
solco sempre più profondamente
segnato dalla chiesa di Francesco,
lungo un tracciato già percorso da
Mansueto, abbia voluto incontrare,
nelle prime ore trascorse nella sua
nuova diocesi, i nostri concittadini
più fragili e più bisognosi di cura e di
attenzione. Che abbia voluto iniziare
il suo nuovo cammino dai luoghi nei
quali si esprime, attraverso le sue
molteplici espressioni, la sofferenza,
troppo spesso dimenticata, e in alcuni
casi persino rimossa -sintomaticamente rimossa- dall’immaginario
collettivo del presente che abitiamo,
difficile da abitare anche perché inciso da questa rimozione.
Senza i reclusi, gli ammalati, i
poveri, coloro che sono afflitti dalla
disabilità, non si darebbe alcuna
comunità. Né la città potrebbe esistere smembrata del suo ospedale,
e di tutti gli altri luoghi della cura e
della riabilitazione attiva, per chi ne
abbia bisogno, alla pienezza della vita.
Questa stessa festa, la ritualità antica
che oggi si rinnova, non avrebbe il
senso ed il sapore che invece ha, se
tutti coloro che non possono essere
fisicamente presenti qui con noi ora,
non fossero invece, con noi e prima
di noi, già parte costitutiva e irrinunciabile di questa celebrazione.
Ancora più radicalmente -con un
altro gesto di apertura e saggezza
che ho e abbiamo molto apprezzato- ella ha voluto rivolgere il suo “più
caro saluto” a “tutti, credenti e non
credenti, a qualsiasi fede o religione
appartengano, da qualsiasi nazione
del mondo provengano”. Questo suo
saluto, così largo, ci ricorda ancora
una volta come solo la pluralità sia
costitutiva del mondo e della città, di
ogni città, e ci conforta nell’impegno
di ogni giorno inteso a rispondere
al disagio che attraversa anche la
nostra democrazia con un più tenace
e appassionato spirito democratico,
consapevoli come siamo che il futuro
della democrazia consiste esattamente nell’incrociarsi -e nel dialogare tra
loro- dei diversi e delle diversità.
Sappiamo di essere dentro una
fase della vicenda nazionale terribile
e difficilissima, e sappiamo che il
corpo della nazione è malato e come
attraversato da una febbre alta, che
vediamo ogni giorno sfogarsi, pericolosamente contagiosa. Questa febbre
perniciosa si insinua attraverso le
ferite che lacerano il rapporto di
fiducia e reciproco affidamento che
dovrebbe esservi tra i pubblici poteri
e il paese reale.
Per curare le nostre comunità e
il paese dobbiamo sapere che il primo problema da affrontare è quello
del lavoro, inteso come strumento
di emancipazione individuale e di
affermazione della dignità personale
di ognuno. La crisi che attraversiamo,
infatti, è, ancora prima che economica
e sociale, una crisi morale e civile.
Per superarla è necessario, prima di
tutto, il concorso operoso di tutti gli
uomini di buona volontà, credenti e
non credenti, che insieme debbono
ingaggiarsi in una opera diffusa di
vera e propria ricostruzione morale
e civile, a partire dalla ricostruzione
di una cultura dei diritti e dei doveri,
consapevole della centralità della
persona, e del lavoro, capace di rigenerare i legami della nostra comunità.
Si tratta di un lungo cammino che
dobbiamo percorrere insieme, le istituzioni laiche e le comunità religiose.
Ella, monsignor Tardelli ha detto
di voler diventare pistoiese e -come
vede- i pistoiesi La vogliono sinceramente accogliere nella propria
comunità.Tuttavia, monsignore, all’inizio di questo suo cammino per farsi
pistoiese tra i pistoiesi, sarà prezioso
anche il suo sguardo non ancora
compiutamente pistoiese, perché noi
tutti abbiamo bisogno di occhi altri
che ci aiutino a meglio comprendere
i nostri limiti e i nostri errori, che ci
sappiano restituire anche le nostre
qualità, che ci aiutino, in definitiva,
a vedere meglio ciò che siamo e
che non sappiamo riconoscere. Ella
troverà una comunità ferita dalle
difficoltà materiali, profonde, ma desiderosa di riscatto; una comunità nella
quale la chiesa che ella da oggi è chiamato a guidare svolge una funzione
fondamentale di quotidiana, attenta,
ricucitura della rete di solidarietà che
unisce i pistoiesi.
È un cammino il suo nel quale ci
avrà sempre, ciascuno per il proprio
ruolo e con le proprie responsabilità,
di fianco; è una strada che percorreremo meglio, se la percorreremo
tutti insieme, dandoci la mano.
Buon cammino, caro vescovo,
buon cammino a tutti noi.
CARITAS PISTOIA
14 dicembre: Giornata della fraternità
L
a Giornata della fraternità
che ormai da tanto tempo
esprime il sentire caritativo di
una chiesa locale che si predispone verso le situazioni di povertà ed
emarginazione, che hanno nella Caritas
il loro supporto, non può rimanere solo
un fatto quasi rituale. Certo la raccolta
dei fondi per andare incontro ai bisogni
sempre più drammatici della nostra
Diocesi è importante, ma essa va accompagnata da una catechesi e da un
approfondimento sulla vera e genuina
solidarietà a cui siamo chiamati. La
solidarietà d’altra parte come ci ha
ricordato papa Francesco nel discorso
all’incontro mondiale dei Movimenti popolari del 28 ottobre scorso:“Solidarietà
è una parola che non sempre piace; direi
che alcune volte l’abbiamo trasformata
in una cattiva parola, non si può dire;
ma una parola è molto più di alcuni
atti di generosità sporadici. È pensare e
agire in termini di comunità, di priorità
della vita di tutti sull’appropriazione dei
beni da parte di alcuni. È anche lottare
sulle cause strutturali della povertà, la
disuguaglianza, la mancanza di lavoro,
la terra e la casa, la negazione dei diritti
sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti
distruttori dell’Impero del denaro: i dislocamenti forzati, le emigrazioni dolorose,
la tratta di persone, la droga, la guerra,
la violenza e tutte quelle realtà che
molti di voi subiscono e che tutti siamo
chiamati a trasformare… Non si può
affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che
unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e
inoffensivi. Che triste vedere che dietro
a presunte opere altruistiche, si riduce
l’altro alla passività, lo si nega o peggio
ancora si nascondono affari o ambizioni
personali, Gesù le definirebbe ipocriti.”
Allora la carità esige scelte coraggiose
che ci portano alla radice dei processi
economici che non tengono conto della
dignità e della fragilità di tante persone
che senza difese rischiano di essere
travolte rimanendo anche tante volte
anche in profonde solitudini. I dati dei
centri d’ascolto diocesani rilevano una
crescita sempre maggiore di nuovi poveri
anche nel primo semestre del 2014
rispetto ai dati del 2013 e sapendo poi
che tutto non viene intercettato. Per l
‘approfondimento dei dati dei centri di
ascolto vi invitiamo sabato 13 dicembre
alla presentazione del Dossier Caritas
alla presenza del nuovo vescovo monsignor Fausto Tardelli. Per questo oggi più
che mai abbiamo bisogno di una chiesa
povera di potere ma ricca di gesti generosi, di accoglienza, di tenerezza verso
le sofferenze quotidiane che vediamo
intorno a noi.Crediamo che questa giornata possa offrire a tutte le comunità
parrocchiali, che già sicuramente si sono
rese disponibili a questi drammi, di un
ulteriore e più profetica testimonianza
per rimettere in discussione anche i nostri modelli pastorali che devono tenere
come vera prassi ecclesiale il primato
dell’agape di Dio. Confidiamo dunque
che cresca un modo meno emotivo e
assistenzialistico della carità perché
di fronte a questi eccessivi buonismi
si rischia di rendere sterile anche la
buona volontà se non si riesce a gestire
l’accompagnamento delle persone in
difficoltà e non si entra in una autentica
empatia con le sorelle e i fratelli che
ci chiedono aiuto. Ai parroci affidiamo
questa giornata sapendo che la Caritas
Diocesana è sempre disponibile per fare
formazione e accoglie suggerimenti che
la rendano non una Caritas di qualcuno
ma una Caritas di tutta la comunità
diocesana. I fondi raccolti in questa
giornata saranno finalizzati al servizio
serale della mensa “don Siro Butelli”, al
centro “Mimmo” (distribuzione vestiario)
destinati a percorsi di inclusione sociale
affinché le persone non siano solo i
destinatari, ma soprattutto i protagonisti
attivi della relazione di aiuto.
10 comunità e territorio
VIVAISMO
Credito agrario
e fiscalità
Trenta giovani
festeggiano il loro
primo contratto
di
assuzione
Al via le borse lavoro della Fondazione Caript.
di Patrizio Ceccarelli
«
I
domanda di credito che è assai superiore all’offerta e questo nonostante le
imprese agricole e segnatamente quelle
vivaistiche siano dei buoni pagatori, ossia
rispondano, nonostante la crisi, alla necessità di far fronte al credito contratto».
Scaramuzzi ha aggiunto che «le banche sono ancora in una situazione di
grande paura, in cui non riescono a
far fronte alle conseguenze della crisi
nonostante le aziende agricole siano
molto migliori in termini di pagamenti,
rispetto alle aziende di tutti gli altri
settori economici».
«Da quando non c’è più un istituto centralizzato che fa il credito agrario – ha
sottolineato Renzo Benesperi, segretario
generale dell’Associazione produttori del
verde, che ha coordinato l’incontro – le
cose vanno peggio. Quando un’azienda
si rivolge agli sportelli centralizzati
spesso si sente rispondere in maniera
vaga ed evasiva. Gli istituti specializzati
avevano una funzione che va recuperata negli sportelli universali, altrimenti
il credito agrario sarà somministrato
BANCA DI VIGNOLE
Consegnate 55 borse di studio
S
i è svolta lo scorso 6 dicembre
presso l’auditorium Fabbri
della Bcc Vignole e Montagna
Pistoiese la cerimonia di consegna delle borse di studio che la Banca,
per il 17° anno consecutivo, ha messo a
disposizione degli studenti più meritevoli
del territorio di competenza della Bcc.
Fra soci e figli di soci sono state consegnate ben 55 borse di studio fra quegli
studenti che hanno ottenuto il massimo
dei voto nel conseguire la licenza media, il diploma di scuola superiore e la
laurea universitaria. “La consegna delle
borse di studio –ha detto il presidente
della Banca Giancarlo Gori– è una delle
campagne storiche della nostra banca
che ha intrapreso questa iniziativa nel
1998 ed il cui obiettivo comune ad
altre iniziative come il contributo per
l’acquisto di testi scolastici o dei bonus
bebè, è quello di dare un segnale forte
e tangibile di vicinanza alle famiglie
che molte delle quali sono in difficoltà.”
Nelle precedenti edizioni del bando la
Bcc di Vignole e Montagna Pistoiese ha
assegnato agli studenti del territorio di
competenza della banca borse di studio
per un valore complessivo che si aggira
intorno ai 500 mila euro. “Il nostro
scopo –ha detto il direttore generale
della Bcc Elio Squillantini– è quello di
coinvolgere il più possibile i giovani
esaltandone i meriti e farli in questo
modo conoscere al nostro territorio per
detto il professor Giuseppe Bellandi
dell’Università di Pisa – sono prima
di tutto delle aziende agricole rurali e
come tali hanno bisogno di una fiscalità
che sia adatta al settore dell’agricoltura, altrimenti queste eccellenze le
perdiamo».
LAVORO
ÈRipensare le regole per
non penalizzare
un settore trainante
dell’economia toscana.
È quanto è emerso nel
convegno promosso
dall’associazione
Moreno Vannucci
Sicuramente c’è bisogno di
una vicinanza da parte degli
istituti di credito, che devono
investire e credere in questo
settore così forte e così trainante per
la nostra economia. Lo è stato per tanti
anni, lo è tuttora, quindi non dobbiamo
abbandonare coloro che ancora producono su questo territorio».
Lo ha detto Vannino Vannucci, presidente
del Distretto vivaistico pistoiese a margine del convegno «Verde sostenibile,
credito agrario e fiscalità», che si è
svolto nella sede della ViBanca, promosso dall’Associazione internazionale
produttori del verde Moreno Vannucci
nell’ambito della 15esima edizione del
Meeting sul florovivaismo.
«Gli ultimi dati - ha aggiunto Silvia
Scaramuzzi, dell’università di Firenze
- palesano ancora fortemente una
situazione di credit crunch, ovvero di una
sempre in dosi molto insufficienti. Un
vivaio, le cui piante di media maturano
in non meno di 5 anni, deve avere un
credito personalizzato, che non può
essere uguale, a quello di altre attività».
Stessa cosa per quanto riguarda la
fiscalità. «Le aziende vivaistiche – ha
Vita
La
n. 44 14 dicembre 2014
eventualmente sostenerli nel momento
in cui si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro.” Fra i 55 studenti premiati
prevalgono senza dubbio le ragazze
(ben 36 contro i 19 ragazzi) mentre i
comuni rappresentati sono quelli delle
aree di competenza della banca quindi
Quarrata, Agliana, Pistoia, San Marcello
Pistoiese, Montemurlo, Prato, Poggio a
Caiano, Vaiano, Empoli, Lamporecchio,
Vinci e Cerreto Guidi. Per quanto riguarda i premiati per le licenze medie
(premio di 300 euro) segnaliamo Elisa
Buoncompagni e Alice Miniati della ICB
da Montemagno di Quarrata, Federico
Frati e Eduardo Nesi di Ics Nannini, Sara
Cordovani di Ics Convenevole da Prato,
Anna Gregoriani di Ics Roncali-Galilei
di Pistoia ed Emma Leonetti di Ss Marconi di Pistoia. Per i diplomi di maturità
(premio di 600 euro) segnaliamo fra gli
altri, Giovanni Ascione di Isis Il Pontormo
di Empoli, Elga Tofani sempre di Empoli,
Laura Melani e Gabriele Vaccaro di Lss
Savoia Duca d’Aosta di Pistoia, Ylenia
Campopiano e Alberto Meniconi di Its
Capitini di Agliana, Massimiliano Izzo
di Ips Martini di Montecatini Terme e
Leonardo Zanobetti di Lcs Cicognini
di Prato. Fra le lauree universitarie
(premio di 1000 euro) sono stati premiati :Viola Bonti, Alessia Cialdi, Simone
Corrieri, Costanza Fabbri, Francesca
Fanini, Francesca Grassini, Andrea Mollica, Lorenzo Santini, Sabina Turi, Giulia
Vannucci, Silvia Giangregorio e Andrea
Rossetti (Universita Luiss di Roma ) per
il Comune di Quarrata; Valentina Noligni e Alessio Tesi per quello di Agliana;
Laura Caputo, Alessandro Diodato,
Giulia Di Pierro, Martina Mazzanti per
il Comune di Prato; Susanna Silvestri
per il Comune di Poggio a Caiano; Alice
Cianni, Alessandra Melani, Alessandro
Panerai (London School of Economics
and Political Science); Sara Venturelli per
il Comune di Pistoia; Alessio Mandolini e
Diletta Signori per quello di San Marcello p.se; Linda Del Bino per il Comune
di Lamporecchio; Vittorio Bordoni per
quello di Cerreto Guidi infine Laura
Pratesi di Quarrata ha vinto un premio
di 1250,00 euro per aver discusso la tesi
sul movimento cooperativo con “L’analisi
di bilancio del settore bancario: il caso
Bcc Vignole e Montagna Pistoiese.” La
banca ha distribuito quest’anno agli
studenti poco più di 42.000 euro una
cifra leggermente superiore rispetto
a quella preventivata in quanto le
domande da parte dei neo laureati,
che hanno tutti conseguito anche la
lode oltre alla votazione di 110, erano
infatti 28, rispetto alle 20 borse messe
a bando; il Consiglio di Amministrazione
ha deciso pertanto di non procedere
al sorteggio, previsto dal bando per i
casi come questo, assegnando invece i
riconoscimenti a tutti i candidati.
Edoardo Baroncelli
Per presentare la domanda c’è ancora tempo
fino al 31 dicembre
mpiegato, cameriere, estetista, operaio, parrucchiera, assistente educativa,
apprendista disegnatore: ecco alcuni degli incarichi e mansioni che i giovani
vincitori del bando «Borse Lavoro 2014», innovativo progetto promosso
dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, andranno a ricoprire nei prossimi giorni grazie a contratti di assunzione stipulati con aziende
del territorio pistoiese.
Il bando Borse Lavoro 2014 - finalizzato ad incentivare l’occupazione giovanile e
destinato a inoccupati di età compresa tra 18 e 29 anni - prevede che siano proprio i giovani a entrare in contatto con le aziende e proporsi come nuove risorse.
Le imprese che decidono di aderire al progetto riceveranno da parte della Fondazione Caript un’erogazione lorda mensile (per almeno 6 mesi fino al massimo di
un anno) pari a 600 euro, destinata a sostenere l’assunzione della giovane risorsa.
Mentre la commissione nominata dal Consiglio di amministrazione della Fondazione proseguirà il lavoro di valutazione delle ultime domande pervenute e
di quelle che ancora verranno consegnate nei prossimi giorni (per partecipare
all’iniziativa, infatti, c’è tempo fino al 31 dicembre 2014), i trenta giovani finora
ammessi al contributo inizieranno la loro esperienza lavorativa nelle aziende
che hanno accettato di diventare partner del progetto, assumendoli a tempo
determinato per almeno 6 mesi. Ad oggi la Fondazione Caript ha deliberato l’assegnazione di 30 borse lavoro per il valore di 108.000 euro. Le risorse stanziate
per il progetto ammontano complessivamente a 720.000 euro.
COMMERCIO
Tornano
le luminarie
sul viale Adua
All’installazione ha contribuito con 4mila euro
il Comune di Pistoia, il resto lo hanno messo
i commercianti della zona e alcuni sponsor
D
opo due anni di attesa, le tradizionali luminarie natalizie tornano ad
abbellire anche il viale Adua. Fino al 6 gennaio infatti, uno splendido
corridoio di luci illuminerà una delle strade principali della città,
facendo respirare quell’aria di festa e gioia tipica dell’atmosfera
natalizia. Tutto questo è stato possibile grazie al lavoro del centro commerciale
naturale di viale Adua, guidato da Luca Potenti, che è anche presidente della
categoria servizi e terziario di Confartigianato Pistoia: «finalmente siamo riusciti
ha riportare le luminarie sul viale – ha commentato Potenti – un’impresa non
facile, portata a termine grazie ad una costante opera di confronto e dialogo con
l’amministrazione comunale».
Nel progetto di luminarie infatti, anche il Comune ha svolto un ruolo decisivo: «La
volontà dell’amministrazione – ha spiegato l’assessore allo sviluppo economico
Tina Nuti – era quella di “riaccendere” la città per il periodo natalizio, riservando
particolare attenzione ad una zona ricca di attività commerciali come il viale
Adua; in questo percorso – ha aggiunto Nuti – è stato fondamentale avere un
interlocutore unico, rappresentato dal Centro Commerciale Naturale».
Un dialogo, quello tra i commercianti e l’amministrazione, che non si è limitato
solo alla discussione sulle luminarie – ha sottolineato il vicepresidente del Ccn
Claudio Morbidelli: «In questi mesi il confronto con l’assessore è stato costante,
e noi abbiamo offerto il nostro contributo per quanto riguarda nodi fondamentali
come quelli del traffico, della viabilità e della sicurezza, che nei prossimi mesi
cominceranno a far vedere i primi risultati».
Il progetto,è stato realizzato dall’azienda leccese Luminarie Santoro con un
contributo del Comune che ammonta a 4mila euro, «calcolati – sottolinea l’assessore Nuti – in base al numero degli esercizi commerciali presenti sul viale».
Il resto è arrivato dai commercianti, che si sono autofinanziati per riuscire a
coprire la totalità delle spese. Tra gli sponsor principali dell’iniziativa figurano la
Bcc di Masiano, Io Bimbo, Conad, Centro Orafo e Mister Wizard. Le luminarie,
realizzate tutte con lampade a led che porteranno ad un grande risparmio in
bolletta, illumineranno viale Adua dalle 16 fino alle ore 1.
Vita
La
comunità e territorio
n. 44
FONDAZIONE BANCHE DI PISTOIA
E VIGNOLE-MONTaGNA PISTOIESE
14 dicembre 2014
11
Veronica Maffei
Le sorprese del Novecento da Pistoia alla Rai
artistico pistoiese
con simpatia
e professionalità
U
na stagione, quella del Novecento pistoiese, foriera di
continue scoperte e rivelazioni, attraversata come
fu da una temperie artistica ricca di
grande fermento e creatività: nonostante
le numerose ricerche e gli accurati
approfondimenti storici di cui è stato
spesso oggetto –ne è un esempio la
stessa collana “Spicchi di Storia”, edita
a cura dell’Istituto di Storia Locale della
Fondazione Banche di Pistoia e VignoleMontagna p.se– il secolo scorso sembra,
infatti, aver rappresentato un momento
tanto fausto e propizio per la città,
da continuare a riservare preziose ed
inedite sorprese, sia agli studiosi che ai
semplici appassionati e curiosi. È questo
il tema centrale e il motivo ispiratore del
bel volume – l’ottavo della serie di studi
storici “Spicchi di Storia” –e della mostra
ad esso collegata– “Pistoia. Eventi del
Novecento: disegno, architettura, design,
arte” (allestita nella Sale Affrescate
del Palazzo Comunale)–presentati entrambi sabato 13 dicembre nella Sala
Maggiore del Comune di Pistoia. La pubblicazione, diretta da Giuseppina Carla
Romby, edita da Settegiorni Editore e
realizzata a cura dell’Istituto di Storia
Locale e dalla sua direttrice Emanuela
Galli, prosegue idealmente l’indagine
già avviata nel 2013, in occasione
del centenario della “Prima Mostra
di Bianco e Nero”: è infatti a partire
dalla ricerca e dal progetto espositivo
condotti esattamente un anno fa, che i
curatori Gilberto Corretti, Mauro Cozzi,
Annamaria Iacuzzi e Siliano Simoncini
– studiosi noti e apprezzati per aver
indagato a lungo e con competenza le
I
naugurato alla Doganaccia, nel
comune di Cutigliano, l’impianto
di illuminazione notturna per tre
piste da sci. «Adesso la Doganaccia
-informa una nota del Comune- è l’unica
stazione di sport invernali nell’Italia centrale con piste da sci omologate che si
possono utilizzare anche di notte». Sono
38 le torri, con 156 fari in tutto, realizzate
con una spesa complessiva di 169mila
euro, di cui 86mila messi a disposizione
dalla Regione con fondi Cipe, 42mila dalla
Provincia e 41mila da soggetti privati. «Un
passo avanti significativo -sottolinea il sindaco Braccesi- per migliorare e qualificare
la nostra offerta turistica: un segnale di
B
differenti sfaccettature del Novecento
pistoiese – hanno illuminato aspetti poco
noti, eppure di straordinario interesse,
del mondo dell’arte, dell’architettura e
dell’artigianato locale e non solo. Quattro,
dunque, le sezioni in cui si articola sia il
saggio, che la relativa mostra: dal disegno
d’artista, alla progettazione di architetture cittadine, dal design industriale e
artigianale, fino alle sorprese inedite di
artisti e collezioni locali sia pubbliche che
private, tutto quanto in questo progetto
è stato messo in dialogo ed esposto alla
reciproca commistione, in un florilegio di
spunti, stimoli e nuove connessioni. Del
resto, è solo da una memoria collettiva
realmente approfondita e consapevole,
che può originarsi la riscoperta del
territorio, della sua storia e della sua
cultura, e quindi, in ultimo, la sua giusta
valorizzazione e tutela. L’esposizione
rimarrà aperta, nelle Sale Affrescate
del Comune di Pistoia, fino al 1 febbraio
2015, dal martedì alla domenica, dalle
10 alle 13 e dalle 15 alle 18. Lo stesso
orario sarà osservato anche martedì 6
gennaio, mentre aperture speciali (dalle
16 alle 19) sono previste per i giorni di
Natale e Capodanno.
Silvia Mauro
A CUTIGLIANO ADESSO SI PUò
Sciare in notturna
Inuagurato l’impianto di illuminazione alla
Doganaccia: 38 torri per un totale di 56 fari
luce che ci auguriamo possa valere anche
come evidente simbolo per una montagna
pistoiese lasciata troppo tempo nel buio e
che con determinazione sta camminando
con una grande voglia di cambiare verso».
Una considerazione condivisa e rilanciata
dal rappresentante di «Doganaccia 2000»,
Marco Ceccarelli, secondo cui «le nostre
piste hanno adesso una maggiore compe-
titività e pongono il nostro comprensorio
all’altezza delle maggiori stazioni sciistiche
del centro Italia. «Una bella scommessa
per la Doganaccia –ha aggiunto Federica
Fratoni– che rafforza lo splendido lavoro
fatto negli anni tra i gestori degli impianti e
la Provincia: lo sci in notturna darà splendide
suggestioni ai frequentatori delle nostre
montagne». P.C.
CONSIGLIO COMUNALE DI AGLIANA
Approvata una mozione
per la non autosufficienza
A
pprovazione unanime del
consiglio comunale di Agliana
per la mozione promossa dal
consigliere Maurizio Ciottoli
(FdI-An), sul fondo non autosufficienza
e vita indipendente e sul recepimento
dell’articolo 12 della direttiva 2004/80
CE per l’indennizzo delle vittime di reato.
Si tratta di un documento che andrà a
sollecitare sia la rapida riattivazione delle
procedure per la partecipazione al bando
per il fondo non autosufficienza e vita
indipendente, che il recepimento della
direttiva europea che prevede l’esistenza
di un sistema di indennizzo delle vittime
di reati intenzionali violenti commessi nei
rispettivi territori. Direttiva, questa, rispetto alla quale il Tribunale di Torino con la
sentenza 3145/2010 ha riconosciuto
l’inadempimento dell’Italia per la mancata
attuazione. Il testo impegna, quindi, il sindaco e la giunta a sollecitare il presidente
e sindaco di Pistoia Samuele Bertinelli ed il
direttore della Società della Salute Daniele
Mannelli a comunicare entro e non oltre
il prossimo 20 dicembre le scadenze dei
bandi fondi vita indipendente e fondi non
autosufficienti per l’anno 2015. “Bandi
rimasti sorpresi - ha ricordato Ciottoli - in
quanto la carica di direttore della Società
della Salute è rimasta vacante fino alla nomina del dottor Daniele Mannelli, avvenuta
ella, buona e brava
Veronica Maffei, classe 1987:
oggettivamente
bella, dolce, un’educazione
d’altri tempi, laureata in
Giurisprudenza a 26 anni,
giornalista e conduttrice per
Italia 7, presenta eventi sul
territorio toscano, sfila e
posa come modella, oltre ad
esser impegnata in attività
di beneficenza. La ragazza
con il suo sorriso smagliante ha ottenuto la fascia di
Miss Sorriso in occasione di un’ambitissima finale nazionale di Miss Italia.
Un’esperienza accaduta per caso, come spesso avviene per le cose più
belle.Veronica stava studiando per l’esame di procedura civile quando
una sera, distrutta dallo studio, si informa sul luogo più vicino in cui si
tengono le selezioni del più famoso concorso di bellezza del Belpaese,
così per distrarsi un po’. Ci va senza dire nulla al riguardo ad amici e
famiglia. Inizia a passare le selezioni, però, fino ad arrivare alla finale nazionale a Montecatini Terme in diretta su Raiuno, città che per due anni
consecutivi ospita l’evento ed a cui la ragazza è molto legata, qui abita
sua nonna oltre ad avere la passione per le terme.
Un’esperienza della quale conserva un bel ricordo, divertente e che le
fa conoscere molte persone offrendole in seguito alcune opportunità.
Veronica infatti posa e sfila quindi come modella, presentando eventi di
ogni genere in Toscana, oltre ad esser presente per alcune domeniche nel
fortunato programma televisivo “Quelli che…il calcio” su Raidue, dove
si crea ulteriori rapporti artistici ed occasione che le permette di vedere
da vicino come si lavora nella televisione nazionale, la Rai. Grazie alla sua
passione per la Fiorentina calcio, inizia poi a lavorare come giornalista
per l’emittente televisiva Italia 7. È molto sportiva, in passato ha giocato a
pallavolo per alcuni anni a livello agonistico, va inoltre allo stadio a vedere la Fiorentina, presenziando ad eventi della società.
Una passione, quella della ragazza per il calcio e per la squadra, nata in
particolare frequentando amici tifosi di calcio. Non si può certo dire che
fino adesso Veronica non si sia data da fare, eppure, nonostante le diverse e rilevanti esperienze artistiche che già può vantare nel suo curriculum professionale, si ritiene comunque persona un po’ timida, che ancora
arrossisce davanti ad un complimento come le ragazze di una volta. Sì,
possiamo dire che Veronica Maffei, nonostante la giovane età, è già una
ragazza con una storia importante da raccontare.
Leonardo Soldati
lo scorso agosto”. Ciottoli si era impegnato
già dalla scorsa estate per portare in consiglio la mozione con l’intento di garantire
strumenti di sostegno alle persone che
si trovano a subire conseguenze gravi di
reati violenti. A muovere Ciottoli anche la
situazione di Gianmichele Gangale, oggi
residente ad Agliana, che nel gennaio 2013
era rimasto vittima di un accoltellamento,
riportando danni permanenti, in seguito
alla rapina subita nella propria abitazione
di Buriano. La versione finale della mozione
è giunta al termine di un lungo confronto
protrattosi nelle precedenti sedute ed in
commissione Sanità e Assistenza sociale.
M. B.
PRESIDENZA E DIREZIONE GENERALE
Largo Treviso, 3 - Pistoia - Tel. 0573.3633
- [email protected] - [email protected]
SEDE PISTOIA
Corso S. Fedi, 25 - Tel 0573 974011 - [email protected]
FILIALI
CHIAZZANO
Via Pratese, 471 (PT) - Tel 0573 93591 - [email protected]
PISTOIA
Via F. D. Guerrazzi, 9 - Tel 0573 3633 - [email protected]
MONTALE
Piazza Giovanni XXIII, 1 - (PT) - Tel 0573 557313 - [email protected]
MONTEMURLO
Via Montales, 511 (PO) - Tel 0574 680830 - [email protected]
SPAZZAVENTO
Via Provinciale Lucchese, 404 (PT) - Tel 0573 570053 - [email protected]
LA COLONNA
Via Amendola, 21 - Pieve a Nievole (PT) - Tel 0572 954610 - [email protected]
PRATO
Via Mozza sul Gorone 1/3 - Tel 0574 461798 - [email protected]
S. AGOSTINO
Via G. Galvani 9/C-D- (PT) - Tel. 0573 935295 - [email protected]
CAMPI BISENZIO
Via Petrarca, 48 - Tel. 055 890196 - [email protected]
BOTTEGONE
Via Magellano, 9 (PT) - Tel. 0573 947126 - [email protected]
12
comunità e territorio
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Fragili, irrequiete
dolenti e sole
U
n amore fatto di tenerezza e tenacia, che
non conosce ostacoli,
non si scoraggia, accoglie e sostiene sempre e a
qualsiasi condizione, ama e sopporta fino all’estremo. L’amore
di una madre, come quello di
Maria ricordata nella festa che
segna per i cristiani l’inizio della
salvezza, e di tante altre madri che dietro le quinte mettono in gioco la
propria vita nel silenzio di una quotidianità vissuta a servizio degli altri.
Ma ci sono anche altre madri: fragili, irrequiete, dolenti, sole. Come Veronica Panarello, la giovane madre del piccolo Loris Andrea, fermata con
l’accusa di omicidio e occultamento di cadavere. Su di lei, secondo gli
inquirenti, gravi indizi di colpevolezza. Fin dall’inizio, in questa ennesima
storia straziante che vede come vittima un bambino innocente che tutti
sentiamo come nostro,Veronica non aveva convinto. Troppe contraddizioni e omissioni nelle versioni dei fatti fornite agli inquirenti.
Una ragazza “difficile” -così viene definita- che da bambina aveva scoperto di non essere figlia dell’uomo che accanto a sua madre la stava
crescendo, da adolescente aveva tentato due maldestri suicidi, come
talvolta accade quando in quell’età così difficile si cerca disperatamente
di attirare su di sé un po’ di attenzione, a 17 anni era rimasta incinta di
Loris. Oggi, mamma ventiseienne di due bambini, spesso sola, con un
marito camionista quasi sempre in giro per l’Italia. Come quel maledetto
sabato mattina.
Se le indagini dovessero confermare l’ipotesi investigativa,Veronica sarebbe, nella sua assente fragilità, la responsabile, forse inconsapevole, ma
anche la seconda vittima di questo orrore. La sua è una storia di sofferenza e solitudine ma, come altre vicende analoghe, anche un richiamo
alle nostre coscienze. Una vita tormentata e una famiglia fragile, ferita.
Quante ce ne sono intorno a noi, ferite da una malattia o smarrite in una
sofferenza che non viene intercettata. Ferite soprattutto dall’indifferenza
di una società attraversata da una crisi che prima di essere economica, è
culturale, relazionale: una crisi dell’umano generata dall’incapacità di costruire rapporti veri e farsi carico dei più deboli. Quanti piccoli Loris dovranno ancora pagare prima che scatti di nuovo una scintilla di umanità?
F.R.
Riceviamo e Pubblichiamo
Solidarietà
per Pino
Maniaci,
giornalista
vittima di
intimidazioni
mafiose
n. 44 14 dicembre 2014
CHIAZZANO
Vita
La
Pranzo e tombola
di beneficenza
F
ondazione “Un raggio di luce
onlus”, Fondazione Antonino Caponnetto e Centro di
Documentazione di Progetto
don Milani di Pistoia, organizzatori del
Premio nazionale Antonino Caponnetto
per la cultura della legalità, esprimono
tutta la loro solidarietà e umana vicinanza a Pino Maniaci, alla sua famiglia
e a tutta TeleJato per l’odioso e crudele
atto di intimidazione di cui sono stati
vittime. Quei miseri banditi che hanno
ucciso due inconsapevoli amici dell’uomo non potranno mai fermare il bisogno
di giustizia e la fame di onestà che da
sempre contraddistingue la vita di Pino
Maniaci e l’operato di TeleJato.
Tutti gli amici ed i sostenitori di
Pino Maniaci, e sono tanti, veramente
tanti, sono ancora più vicini di prima e
solidali con la sua emittente televisiva
di cui condividiamo scopi ed ideali. I
criminali hanno ottenuto esattamente
l’effetto opposto a cui miravano:TeleJato
è ancora di più la Tv di tutti noi, di tutti
quelli che hanno a cuore la giustizia, che
difendono i diritti dei più deboli.
Noi siamo orgogliosi di sostenerli
e sicuramente lo sarebbe stato anche
Antonino Caponnetto.
Un raggio di luce onlus,
Fond. Antonino Caponnetto
e Centro di Doc. Progetto
don Milani di Pistoia
P
er la festa dell’Immacolata Concezione,
lunedì 8 dicembre, in
occasione del consueto
mercatino di Natale giunto ormai
alla sua diciottesima edizione, la
comunità parrocchiale di Chiazzano ha organizzato nello spazio
adiacente la chiesa il “Trippa Day”,
un pranzo a base di piatti toscani e
trippa. Le portate a base di trippa
preparata in vari modi, di pappa
con il pomodoro e di farinata, oltre
a vari antipasti toscani, sono state
apprezzate dagli intervenuti e sono
andate letteralmente a ruba. Dopo
il momento conviviale, per il quale
era stato allestito appositamente
un grande tendone e che ha visto
partecipare più di 250 persone, tra
le quali il presidente, il direttore ge-
nerale e tantissimi soci della Banca
di Pistoia, è stato organizzato un
“tombolone” di beneficenza. Al termine del gioco sono stati assegnati
diversi premi tra i quali una grande
pianta di limone e una pianta di
arancio a forma piramidale per
ricordare il periodo natalizio. L’idea
di questa riuscitissima manifestazione, è nata in seguito agli ottimi
risultati ottenuti dall’evento “Chiazzano in Festa” svoltosi lo scorso
settembre. Infine la bella giornata si
è conclusa nel tardo pomeriggio, in
via Cino a Pistoia, con l’accensione
dell’albero di Natale della Banca
di Pistoia e con Babbo Natale che,
arrivato appositamente in anticipo
per festeggiare l’evento, ha potuto
incontrare i più piccoli.
Alessandro Orlando
spor t pistoiese
NUOTO
Bonacchi porta
Pistoia nel mondo
U
n neo ventenne talento del nuoto, pistoiese doc, tesserato
di Nuotatori Pistoiesi e Centro Sportivo Esercito, che
dallo scorso settembre è migrato a Verona, al Centro
Federale di Alta Specializzazione “Alberto Castagnetti”
per vivere e allenarsi, per provare a diventare ancora più forte in
una città che ha impianti adeguati, agli ordini del tecnico Tamas
Gyertyanffy. Ecco il ritratto di Niccolò Bonacchi (nella foto) che,
ai Mondiali in vasca corta (da 25 metri) di Doha, in Qatar, ha
dato lustro alla Nazionale Italiana e alla sua città Pistoia, che da
sempre si scorda di applaudirlo e, soprattutto, far qualcosa per
una disciplina sportiva tra le più formative in assoluto, se non la
più formativa (leggasi amministratori pubblici). Ha conquistato
la medaglia di bronzo nella 4x50m mista mista (uomini e donne) con tanto di nuovo record italiano
(1’37”90), ma non solo. Il nostro è stato grande anche nella staffetta 4x50m mista maschile (con
Scozzoli, Matteo Rivolta e Marco Orsi), entrando in finale col settimo tempo e classificandosi poi sesto
in 1’32”68. Nella circostanza ha fatto registrare il nuovo primato italiano dei 50m dorso in 23”39
(il precedente record tricolore, di 23”45, apparteneva a Di Tora, che l’aveva realizzato l’11 dicembre
2009 ai Campionati Europei di Istanbul; la precedente miglior prestazione in tessuto era dello stesso
Bonacchi con 23”55 del 2013). È stato eliminato nelle batterie mattutine dei 100m dorso: ha ottenuto
il 19° tempo in 51”65, avvicinando il primato personale di 51”64 realizzato quest’anno a Massarosa,
ma ha provato a trascinare la staffetta azzurra 4x100m mista maschile, poi eliminata. Hanno sfiorato
la finale con il nono tempo complessivo. Nono tempo che però rappresenta il nuovo record italiano in
3’27”05: il precedente, 3’28”52, apparteneva al quartetto composto da Di Tora, Pesce, Rivolta e Orsi,
che l’aveva ottenuto il 16 dicembre 2012 ai Campionati Mondiali di Istanbul, in Turchia. Per Bonacchi
un’ulteriore soddisfazione: ha fatto registrare, infatti, il suo nuovo primato personale nella frazione dei
100m dorso, ultimata in 51”56 (il suo precedente, sempre di quest’anno, era 51”64). Non è riuscito,
infine, a raggiungere la finale dei 50m dorso: qualificatosi alle semifinali col nono tempo, è stato eliminato in semifinale con l’undicesima prestazione (23”48), superiore di 7 centesimi di secondo rispetto
a quella dell’ottavo e ultimo qualificato. Insomma è stato bravo. Come fenomenale è il nuoto pistoiese,
che sforna campioni pur costretto a ristrettezze che non sono da città civile.
Gianluca Barni
Calcio - Basket
Tempi Supplementari
È
di Enzo Cabella
stato un week end, quello passato,
ricco di vittorie e soddisfazioni. La
Pistoiese ha vinto il derby col Pisa
e il Pistoia Basket ha espugnato
il campo di Cantù. Quando sente odore di
derby, la squadra arancione trova stimoli
particolari. Restando alle ultime giornate
di campionato, dopo aver battuto Prato
e Lucchese, ha superato anche il Pisa, una
delle candidate alla vittoria finale. Gioco
brillante, dinamico e incisivo quello della
formazione di Lucarelli, un tecnico che si
sta imponendo come uno dei giovani più
bravi. Ha avuto schermaglie tattiche con
Braglia, allenatore dei berazzurri pisani, e
possiamo dire che ha vinto il confronto col
più esperto e smaliziato collega. Nelso Ricci, direttore sportivo della Pistoiese, ha visto giusto quando ha scelto in Lucarelli l’allenatore adatto per gli arancioni. Lucarelli è
un livornese purosangue, quindi un nemico
storico dei pisani: per lui, quindi, è stata una
doppia vittoria. I tre punti conquistati col
Pisa hanno permesso alla Pistoiese di restare nei quartieri alti della classifica, a ridosso
delle big Ascoli, Reggiana, L’Aquila, Pisa e
Teramo. Ora si tratta di continuare il trend
positivo: sabato 13 c’è la trasferta di Gubbio, contro un avversario che ha gli stessi
punti della Pistoiese. Un altro aspetto non
certo favorevole riguarda l’inizio della gara,
all’impossibile orario delle 19,30. Dopo
Gubbio ci sarà un altro big-match, contro
la Spal. Riuscire a conquistare, entro la fine
dell’anno, almeno quattro punti vorrebbe
dire mantenere la posizione e guardare al
futuro con ottimismo. Si sa che l’obiettivo
della squadra è di arrivare al più presto a
quota 45 punti, traguardo che significa sicurezza di restare in Lega Pro.
Anche per il Pistoia Basket è stata una giornata di festa. E’ andato a vincere a Cantù, in
casa di una squadra che fino a qualche anno
fa era una big del basket nazionale. E’ la terza vittoria in trasferta, dopo capo d’Orlando e Caserta, per la squadra biancorossa,
che ha giocato con grande autorevolezza,
dimostrando di afver trovato un ottimo assetto difensivo e una vera identità di squadra. In fase d’attacco non tutto fila ancora
per il verso giusto, ma ci sono stati notevoli
miglioramenti, come dimostrano i 25 punti
messi a segno da Brown (tre bombe su tre),
i 13 di Johnson e gli 11 di Hall. Insomma,
sembra che coach Moretti abbia trovato
la strada giusta per ottenere il rendimento
migliore dai suoi. La squadra è salita a metà
classifica, agganciando altre cinque squadre.
Sabato ospiterà al PalaCarrara Brindisi, che
è avanti a Pistoia di 2 punti. C’è, dunque, la
possibilità di vincere e di salire ancora. Anche quest’anno, dunque, il basket pistoiese
sta conoscendo giorni felici.
Vita
La
dall’Italia
n. 44
MAFIA CAPITALE
14 dicembre 2014
“Emergenza perenne
Così comandano
persone senza scrupoli”
Monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas
di Roma, denuncia: “Il 12 novembre, in un comunicato
stampa sui fatti di Tor Sapienza, parlavamo di anni
di abbandono e di politiche sbagliate
verso i rom e i rifugiati.
Frasi che sono oggi la fotografia di quello che è emerso”
di Maria Chiara Biagioni
È
l a p a g i n a p i ù s p o rc a
dell’operazione “Mondo di
mezzo” di Roma: il capitolo
della gestione dei campi
profughi e di prima accoglienza per
gli immigrati sbarcati in Italia. Anche
lì la mafia è arrivata, infilandosi nel
sistema tra bandi e gare d’appalto. Le
intercettazioni sono raccapriccianti:
“Tu c’hai idea quanto ce guadagno
sugli immigrati? Il traffico di droga
rende meno”.
cato stampa sui fatti di Tor Sapienza,
parlavamo di anni di abbandono e
di politiche sbagliate verso i rom e i
rifugiati. Denunciavamo le decisioni
prese improntate sull’emergenza e
soprattutto - così scrivevamo - ‘frutto di cooperative senza scrupoli che
poco hanno a cuore la sorte delle
persone che sono loro affidate’. Frasi
che sono oggi la fotografia di quello
che è emerso”.
Vuol dire allora che le vo-
stre denunce non sono mai
state ascoltate?
“Davanti a situazioni di questo
genere, non è mai la persona ad essere al centro ma l’affare, il denaro.
È lo sfruttamento dei poveri per i
propri profitti. Ci sono situazioni a
Roma che si conoscono benissimo.
Per esempio, Castel Nuovo di Porto:
chi non sa che nel Cara (Centri di
accoglienza per richiedenti asilo, ndr)
L
sono state messe dentro 800 persone? Chi non conosce la situazione
dei campi rom? È ovvio che queste
situazioni con il passare del tempo si
cronicizzano e creano disagio”.
E allora dove nasce il meccanismo perverso dello sfruttamento mafioso?
“Il fatto è che ci vuole una
progettualità che non esiste. Sono
andato il 16 novembre dal sindaco
per chiedere quale progetto ha il
comune di Roma per i 7-8 mila rom.
E non mi hanno saputo rispondere.
Si vive sull’emergenza. E l’emergenza
porta alle soluzioni immediate. E
nelle soluzioni immediate possono
facilmente agire anche le persone
senza scrupoli che le utilizzano per
se stessi. ‘Tu mettiti qui, facciamo
così e abbiamo risolto’. Il problema
è che noi lavoriamo sull’emergenza
su tutto”.
Perché è successo a Roma?
“Perché qui a Roma ci troviamo
di fronte a istituzioni che non collaborano tra loro e non dialogano. Se
la prefettura non dialoga con il Comune e il Comune con la Prefettura
e il Municipio con il Comune e la
Prefettura, come facciamo? E se non
c’è una progettualità fatta bene e in
accordo tra le varie istituzioni, come
si può pensare di gestire la situazione
in modo serio? La precedente amministrazione era quella che diceva:
io voglio la sicurezza per la città. E
allora ha preso tutti i rom e li ha
portati fuori dal Grande raccordo
anulare. A Castel Romano ne sono
stati portati 1.200”.
Monsignor Enrico Feroci
è direttore della Caritas di
Roma. Non avevate sentore
di quello che accadeva nel
mondo romano dell’accoglienza?
“Il 12 novembre, in un comunia luce in fondo ad un
tunnel… tutto d’acciaio.
Perché è sulla siderurgia
italiana che si comincia
ad intravvedere l’alba di una
nuova giornata, dopo una lunga
notte che ha rischiato di travolgerla. Per ultime, le parole del
presidente del Consiglio Matteo
Renzi, che in un’intervista ha
prospettato la possibilità che lo
Stato intervenga direttamente
per risolvere la crisi che sta divorando la più grande acciaieria
italiana, l’Ilva di Taranto. Se da una
parte lo Stato-imprenditore in
Italia fa sempre paura, dall’altra
questo è un caso in cui o l’intervento finanziario è veramente
robusto, o la crisi si avvita fino
alle inevitabili conseguenze.
Ma la lampadina accesa a Taranto
si aggiunge a quelle più luminose
che scorgiamo a Piombino - dove
l’impianto produttivo locale verrà
rilevato dagli algerini della Cevital, con un investimento di 400
milioni di euro - e da Terni, dove
si sta risolvendo una lunga crisi
che ha fatto temere la chiusura
della locale Ast, e il licenziamento
di centinaia di addetti. La proprietà tedesca ci sta ripensando,
anche perché i laminatoi umbri
sono tra i migliori al mondo per
produrre certi tipi di acciai.
Ecco: in un generale panorama
di crisi, la risurrezione della siderurgia italiana assume una doppia
valenza positiva. Si salvaguardano
posti di lavoro e, soprattutto,
interi tessuti sociali (per Taranto,
Piombino e Terni queste chiusure sarebbero un dramma); ma
soprattutto si rilancia un settore
13
COSA MUOVE IL GOVERNO
Il ritorno dell’acciaio
nel motore dell’Italia
In un generale panorama di crisi, la risurrezione della siderurgia italiana assume
una doppia valenza positiva. Si salvaguardano posti di lavoro e, soprattutto,
interi tessuti sociali; ma soprattutto si rilancia un settore vitale
per la nostra economia, che è tra le prime nel mondo
di Nicola Salvagnin
vitale per la nostra economia, che
è la seconda manifatturiera d’Europa e tra le prime nel mondo.
L’acciaio si produce in tutto il globo; ma un conto è avercelo qui,
vicino e in raccordo con le particolari esigenze produttive delle
nostre aziende (si pensi a certi
lamierini); un conto è doverlo
importare dalla Cina o dall’India
a prezzi alti, tempi incerti, in coda
agli altri clienti.
E poi significa fabbriche che funzionano, occupazione, indotto
(trasporto, stoccaggio, vendita).
Significa dare un futuro alla nostra economia che non può essere solo pizza e fichi. Un grande
Paese industriale non può prescindere dalla manifattura: speriamo lo si capisca, nel momento in
cui Fiat si sta progressivamente
ritirando dall’Italia. Finora il governo Renzi è stato abilissimo a
muoversi all’estero, per creare
opportunità di business per le
nostre aziende esportatrici. Contratti miliardari sono stati siglati
in mezzo mondo, mediaticamente
sovrastati dalle solite, contem-
poranee beghette politiche che
nascondono la fornitura di un
oleodotto o la realizzazione di
un’autostrada. Ma l’esecutivo
deve certamente fare di più per
attrarre capitali stranieri non
solo per acquistare l’esistente - e
qui lo shopping è sfrenato, pure
nello stesso acciaio - ma anche
per investire ex novo. Possibile
che a Termini Imerese non si riesca a far arrivare qualche produttore automobilistico giapponese
o coreano?
E tornando a Taranto, pure qui
gli stranieri stanno volteggiando
attorno all’Ilva, in cordata con imprenditori italiani (la mantovana
Marcegaglia da una parte, la cremonese Arvedi dall’altra). Ma ci
sono debiti pregressi da saldare,
una colossale bonifica da realizzare, la fornitura di materia prima
da continuare, i forni da riaccendere, provvedimenti giudiziari di
tutti i tipi… Nessuno in giro per
il mondo se la sente di prendere
in mano una simile patata bollente; ecco perché, a questo punto,
lo Stato deve fare la sua parte.
Renzi non ha detto: nazionalizzeremo. Ha piuttosto delineato un
possibile intervento nel rispetto
delle normative comunitarie, che
non prevedono aiuti di Stato
alle aziende. Come? Ci sono vari
modi per “bonificare” il disastroIlva per poi offrirla ad investimenti privati. Il migliore sarebbe
quello di accollarsi i costi (1,8
miliardi) della bonifica ambientale,
cosa su cui i puntuti commissari
europei avrebbero poco da ridire.
Ma nel frattempo vanno almeno
parzialmente pagati i 400 fornitori dell’acciaieria; va garantita la
continuità aziendale; va cercato
un management che sappia fare
acciaio e venderlo e non solo
trattare con la politica e la magistratura. Andrebbe infine cercato
un modo affinché lo Stato rientri,
poi, dalle spese sostenute, come
Obama ha sapientemente fatto a
Detroit e a Wall Street.
Una sfida enorme, ma ci stiamo
giocando una città, mezza Puglia e
una fetta rilevante del futuro della nostra economia. Non far finta
di niente è già una buona cosa.
Le classiche cose fatte
male…
“Li ha portati fuori dal Raccordo.
Messi lì, abbandonati, senza controllo,
senza nulla. E in questa situazione
di degrado e di abbandono, chi
comanda? I mafiosi, i più forti, quelli
che terrorizzano gli altri. E i poveri
che vivono dentro, saranno sempre
sfruttati da tutti. E poi si fa circolare
l’idea che siccome sono rom, sono
tutti ladri e delinquenti. Non è possibile lavorare con questa superficialità
e senza conoscere bene il problema,
standoci dentro”.
Monsignor Feroci, ci può
indicare qualche buona regola di comportamento?
“La prima è saper vedere quello
che realmente succede nel mondo
della povertà e dell’emarginazione. E
poi essere capaci di progettare. Possibile che a Roma non ci sia qualcuno
in grado di fare un progetto serio per
queste persone? È mai possibile che
non ci sia un percorso che dia loro
la possibilità d’integrarsi, così come
sono, nell’ambito di un ambiente?
E, infine, trovare le persone che
davvero amano e abbiano a cuore
queste realtà?”.
Questa storia ha gettato
un’ombra nera sulla solidarietà romana. La preoccupa
questa situazione?
“No, assolutamente no. Perché
noi quello che facciamo, lo facciamo
a testa alta. Nel malessere di questa
città, noi ci siamo dentro. Con i nostri 36 centri non solo non c’è una
virgola fuori posto, ma ci sono tante,
tantissime persone che nel servizio
trovano il significato della loro vita”.
14 dall’italia
POLEMICA ARTIFICIOSA
n. 44 14 dicembre 2014
La donazione di gameti
non convince le italiane
Si sbaglia chi evoca una generale mancanza di “cultura
del dono”. Le statistiche europee dicono il contrario.
Quindi il problema sta altrove: forse, nel profondo,
una donna consapevole della propria dimensione
strutturale di “maternità” tende a custodire
gelosamente ciò che considera parte
della propria identità intima
di Maurizio Calipari
S
olidarietà e compartecipazione al bene comune sono
di certo elementi rivelatori
della maturità e coesione di
un popolo. Perciò, quella che in termini
antropologico-culturali potremmo genericamente indicare come “cultura del
dono” rappresenta una delle più significative qualità sociali che ogni nazione
con un buon grado di civiltà dovrebbe
orgogliosamente promuovere e custodire come valore, sforzandosi di tradurla
in iniziative operative a sostegno dei
bisogni sociali emergenti. Per contro, la
mancanza o la scarsa implementazione
di questa propensione civica dovrebbe
far preoccupare, e non poco, un popolo
che in questo modo mostrerebbe di
O
pere infrastrutturali,
come ad esempio “il
piano per la banda ultra
larga” e “importanti assi
stradali e autostradali”; progetti “per
la prevenzione del rischio idrogeologico”, per il sostegno finanziario
alle piccole e medie imprese, per
l’efficienza energetica, persino per
il piano “la buona scuola”. Oltre a
ferrovie, gasdotti e ristrutturazioni
di edifici scolastici. C’è di tutto fra le
centinaia di progetti che l’Italia ha
presentato a Bruxelles per rientrare
nei finanziamenti previsti dal Piano
Juncker da 315 miliardi di investimenti, inteso a rilanciare l’economia
e l’occupazione, così da uscire dalla
lunga fase recessiva che tormenta
l’Europa. Ma se Roma ha mobilitato
tutta la fantasia possibile per mettere le mani sui fondi comunitari,
anche gli altri 27 Stati non sono
stati da meno.
Le prossime tappe
C’è chi giura che gli uffici della task
force Ue - composta da Commissione e Banca europea degli investimenti appositamente costituita
per valutare i progetti giunti da ogni
angolo del continente - siano sommersi da voluminosi dossier. JeanClaude Juncker ha illustrato il suo
“piano strategico” il 26 novembre
all’Europarlamento; l’Ecofin (ministri
economici e finanziari dei Ventotto)
lo valuterà il 9 dicembre; poi sarà
la volta del Consiglio europeo (capi
di Stato e di governo) del 18 e 19
dicembre. Le regole sono chiare: da
Ue e Bei saranno messi a disposizione 21 miliardi, contando su un
effetto moltiplicatore di 15 euro per
ogni euro investito dall’Unione: quindi spazio a fondi statali e privati. I
progetti saranno finanziati - senza
particolari “quote” nazionali o settoriali - unicamente in base a tre
criteri: capacità di generare un “va-
preferire alla solidarietà altruistica
un’attitudine pericolosamente individualistica, piano inclinato e scivoloso verso
una progressiva disgregazione sociale.
Dunque, additare un gruppo sociale o
un intero popolo come sostanzialmente
insensibile ad una “cultura del dono”
significa formulare un’accusa grave ed
allarmante, soprattutto per le potenziali
conseguenze sociali che ne potrebbero
derivare.
Questa lunga premessa è giustificata dal fatto che in queste settimane
è proprio l’Italia ad essere chiamata al
banco degli imputati per rispondere di
questa “infamante accusa”, quella di
essere una nazione dove manca una
vera “cultura del dono”. E quale causa
genera questa indignata denuncia? Non
si soccorrono gli indigenti? Non si curano
i malati? Non si accolgono gli immigrati?
No. Il motivo è che, dopo la sentenza
della Corte Costituzionale del 9 aprile
2014, n. 162, che ha aperto le porte alla
fecondazione eterologa nel nostro Paese,
si riscontra l’assenza quasi totale di donazioni gratuite di gameti (soprattutto
ovociti, ma anche spermatozoi), con la
conseguente impossibilità di rispondere
alle tante richieste di coppie sterili che
attendono di potere avere un figlio con
queste procedure, a meno di ricorrere a
donatori esteri (ma a pagamento, fino
a 2000 euro ad ovulo!).
“In Italia - ha pubblicamente dichiarato qualche giorno fa Laura Rienzi,
Occasione da non perdere
Dall’Italia richieste
per 40 miliardi
al Piano Juncker
In una nota del ministero dell’Economia si parla di “un importante e concreto step”,
con l’obiettivo di “rilanciare la crescita” attraverso progetti “in cinque aree:
innovazione, energia, trasporti, infrastrutture sociali e tutela delle risorse naturali”.
La concorrenza è forte: gli altri 27 Stati dell’Ue non sono rimasti a guardare.
di Gianni Borsa
lore aggiunto europeo”, rendimento
socioeconomico, possibilità di essere
avviati nell’arco di tre anni.
La lista tricolore
E qui arriva la lista della spesa italiana, stesa dal gruppo di lavoro costituito presso il ministero dell’Economia
e spedita a Juncker il 14 novembre.
“Un elenco ambizioso”, spiegano
al palazzo Berlaymont, dove risiede
l’Esecutivo comunitario, con progetti
“interessanti” e altri “troppo locali”,
destinati a finire in un nulla di fatto.
“Una selezione di progetti per una
richiesta di finanziamento pari a
oltre 40 miliardi di euro”, precisano
da via XX Settembre, sede romana
del ministero dell’Economia, dove peraltro vige uno strano riserbo attorno
all’argomento. Eppure una nota del
dicastero parla di “un importante
e concreto step”, con l’obiettivo di
“rilanciare la crescita” attraverso
progetti “in cinque aree: innovazione,
energia, trasporti, infrastrutture sociali e tutela delle risorse naturali”.
Dal Brennero
a Ragusa
Così, fra i 2.200 progetti nazionali si
trova di tutto. Non potevano, ad esem-
pio, mancare le infrastrutture per i
trasporti, in una Penisola lunga 1.500
chilometri: ecco l’autostrada RagusaReggio Calabria, il tratto Orte-CesenaMestre, accanto alla onnipresente
Salerno-Reggio Calabria, che ha sempre bisogno di rattoppi. Ovviamente
le linee ferroviarie: finalmente si parla
dell’alta velocità tra Napoli e Bari oltre che tra Brescia e Padova; figura altresì l’odiamata Tav Torino-Lione (700
milioni), cui si aggiungono il potenziamento della Catania-Messina e sistemazioni del tunnel del Brennero. Solo
per le ferrovie sono stati invocati quasi
500 milioni di euro; altrettanti per la
realizzazioni di nuovi porti, più 190
milioni per l’ampliamento di quello di
Civitavecchia. Nel capitolo aeroporti
non potevano mancare richieste per
Fiumicino (300 milioni) e Malpensa
(140 milioni). Nel settore energetico
si scorgono piani di efficienza per edifici residenziali, pubblici e industriali
(225 milioni), ma anche due centrali
a biomasse in Emilia Romagna e in
Abruzzo. E, ancora, impianti fotovoltaici, metanodotti, tratti di gasdotto.
La prudenza
del ministro
Le richieste avanzate dall’Italia
comprendono idee per la tutela delle
risorse naturali oltre a interventi in
alcune grandi città - Torino, Genova
- con opere idriche e servizi fognari.
Poi la formazione, nel senso d’interventi di ristrutturazione o ammodernamento di scuole, residenze universitarie, palestre (i fondi per i corsi di
formazione o lo studio all’estero rientrano invece tra i consueti fondi del
bilancio “ordinario” dell’Ue). Ora non
resta che attendere i verdetti della
task force europea. Nel frattempo il
ministro Pier Carlo Padoan mette le
mani avanti. Di positivo vede il fatto
che gli investimenti statali a supporto
del piano non saranno conteggiati
nel calcolo del rapporto deficit/Pil,
proprio come chiedeva il Governo
Renzi. Le perplessità sono semmai
legate ai “criteri di ripartizione di
queste risorse, non tanto verso i
Paesi quanto verso i progetti”. A suo
dire “ci sono ottimi progetti nazionali
che meritano finanziamenti pubblici
e che possono attrarre fondi privati”. Infine arriverà una prova per il
Belpaese: ossia la reale capacità di
gestire i progetti, di co-finanziarli, di
condurli al traguardo senza inefficienze, sprechi o malversazioni. Ma
questo è un altro capitolo.
Vita
La
presidente della ‘Società italiana embriologia riproduzione e ricerca’ - manca
completamente la cultura della donazione perché nessuno ha mai chiesto
ai giovani di donare il proprio seme o
ovocita. Prima di tutto bisognerà lavorare su questo”. Di fronte a questa ‘lacuna’
di solidarietà, qualcuno ha prontamente
reagito in maniera pragmatica proponendo come unica soluzione realistica
la legalizzazione della compravendita
dei gameti, cosa già in atto in altri Paesi,
anche europei. Così, ad esempio, Guido
Pennings, docente di etica alla Ghent
University del Belgio: ”L’altruismo è il
fattore più importante nella donazione
di ovociti, ma il compenso finanziario
è una ragione convincente”. Ma una
simile prospettiva, quasi provocatoria,
ha subito fatto indignare gli evocatori
della ‘cultura del dono’, del resto confortati da quanto si legge nelle Lineeguida sul tema recentemente emanate
dalla Conferenza delle Regioni , “la
donazione di cellule riproduttive da
utilizzare nell’ambito delle tecniche di
procreazione medicalmente assistita di
tipo eterologo è atto volontario, altruista,
gratuito, interessato solo al ‘bene della
salute riproduttiva’ di un’altra coppia.
Non potrà esistere una retribuzione
economica per i donatori/donatrici, né
potrà essere richiesto alla ricevente
contributo alcuno per i gameti ricevuti”.
Ma è proprio così? È proprio
vero che gli italiani, e in particolare le
italiane, sono talmente insensibili ai
bisogni altrui da negare un tale gesto
di solidarietà gratuita? Non sarà un po’
azzardato scomodare la mancanza di
una ‘cultura del dono’ per giustificare
questa resistenza a donare gameti? E
sì, perché se ci si sposta su altri fronti, i
dati statistici lasciano qualche perplessità in merito. Ad esempio, guardando
alla donazione di organi - l’ambito più
prossimo a quello della donazione dei
gameti - l’Italia nel 2013 ha raggiunto
una media di ben 22,2 donatori per
milione di popolazione (dati Aido), a
fronte di una media europea di 16,9. Più
generosi di noi solo Spagna e Francia.
Non male per gente senza ‘cultura del
dono’! E che dire della donazione di
midollo osseo (procedura invasiva e non
esente da rischi sanitari)? In Italia ben
427 donatori iscritti per 1000 abitanti
(dati Istat 2013), i primi in Europa! Ma
allora, quando ne vale la pena - salvare
la vita altrui o soccorrere chi ha un livello
di salute altamente compromesso - i
cittadini del Bel Paese sanno ancora
mettersi in gioco con generosità e
solidarietà, ben radicati in una fattiva
‘cultura del dono’!
Non sarà dunque, più semplicemente, che è proprio la donazione
dei gameti in sé (in particolare degli
ovociti) a non convincere abbastanza
la maggioranza degli italiani? Probabilmente per una donna, sottoporsi ad
una pesante stimolazione ovarica con
monitoraggio e recupero degli ovociti,
con considerevoli disagi e rischi, sapendo per di più di dover rimanere una
donatrice anonima (sia verso la coppia
ricevente, sia verso chi verrà generato
da quei gameti), non è giustificato a
sufficienza dal fine dell’eterologa. O
forse, più profondamente, una donna
consapevole della propria dimensione
strutturale di “maternità” tende a custodire gelosamente ciò che considera
parte della propria identità intima e
non un semplice “reperto biologico”.
Perché donare se stessi, non le cose
che possediamo, richiede sempre una
causa adeguata, di pari dignità valoriale.
Questa è la vera ‘cultura del dono’, che
Dio ce la conservi!
Vita
La
È un politico di un
altro secolo.
Certamente proviene
da un percorso e
da una cultura che
risultano alieni a
molti occidentali di
oggi, compresi molti
nostri leader politici.
Commette errori e
ha debolezze… Ma
nonostante sia un
vicino scomodo, non
si può non negoziare
con Mosca perché,
volenti o nolenti, è
un attore importante
per molte partite
n. 44
DA QUINDICI ANNI AL POTERE
14 dicembre 2014
Putin ha riesumato
la politica di potenza
di Stefano Costalli
A
lcuni giorni fa,Vladimir Putin ha rivolto
alla Russia e al mondo intero l’annuale
discorso sullo stato della Federazione. È stato un discorso in puro stile “putiniano”.
Sentire parlare il presidente
russo non è come ascoltare la
maggior parte dei leader politici occidentali, non c’è spazio
per la simpatia, per i sorrisi,
per gli ammiccamenti a favore
di telecamera. Considerando
anche la parentesi da primo
ministro, Putin guida di fatto la
Russia da ormai quindici anni
e lo fa puntando tutto sulla
propria ferrea determinazione e sulla gestione diretta di
un grande potere che non
viene nascosto dietro artifici
retorici, ma anzi comunicato
T
utte le religioni
unite per sradicare la schiavitù
moderna entro
il 2020. Una sfida storica,
ambiziosa, che ha visto
Papa Francesco accogliere
in Vaticano, nella Casina
Pio IV, sede della Pontificia
Accademia delle Scienze,
leader anglicani, ortodossi,
buddisti, indù, ebrei e musulmani per firmare una
dichiarazione congiunta
contro un fenomeno dalle
dimensioni spaventose:
quasi 36 milioni di persone nel mondo (secondo
l’Indice globale sulla schiavitù del 2014 della Walk
free foundation) vittime
di sfruttamento sessuale,
lavoro forzato, lavoro minorile, vendita di organi,
tratta di esseri umani.
Una iniziativa promossa
dall’organizzazione Global Freedom Network in
occasione della Giornata
internazionale per l’abolizione della schiavitù che si
è celebrata il 2 dicembre,
e che ha visto la firma
del Patriarca ortodosso
ecumenico Bartolomeo I,
dell’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, dei
rabbini Abraham Skorka e
David Rosen, delle autorità
islamiche. C’era perfino
l’indiana Amma, che ha
il suo ashram in Kerala,
dall’estero
direttamente per far capire al
proprio popolo, ma anche ai
governi stranieri, che al Cremlino siede qualcuno in grado di
tenere tutto sotto controllo,
uno che non scherza. Mai.
Da un certo punto di vista,
Putin è un politico di un altro
secolo, del Novecento o forse
dell’Ottocento. Certamente è
un politico che proviene da un
percorso e da una cultura che
risultano alieni a molti occi-
dentali di oggi, compresi molti
nostri leader politici. Tuttavia,
Putin mantiene un consenso
interno ancora alto e chi
crede che ormai non trovi
più riscontro in patria rischia
di mescolare i propri auspici
con la realtà dei fatti. Nel discorso di qualche giorno fa, il
presidente ha ribadito che la
Crimea è pienamente russa,
che l’annessione è avvenuta in
maniera pienamente legittima
e che il cambiamento di governo in Ucraina è stato un colpo
di stato. Queste affermazioni
possono essere indigeribili
per molti europei, ma sono
invece vicine al sentire di molti
russi.Allo stesso modo, la pura
politica di potenza usata da
Putin sulla scena internazionale, in cui la diplomazia va
a braccetto con la minaccia
e pure con l’uso della forza,
scandalizza molti di noi, ma fa
un effetto diverso a est di Kiev.
Putin può risultare irritante,
indisponente, spiacevolmente aggressivo, ma non è uno
sprovveduto. Quando si tratta
di giocare al tavolo della politica di potenza, il presidente
russo è spesso spregiudicato,
ma non azzardato. Raramente
le mosse vengono compiute
senza essere ben calcolate.
Ovviamente, anche Putin
talvolta commette degli errori.
È stato per tutti evidente che
i ribelli filo-russi dell’Ucraina
orientale e l’escalation di violenza nella regione a un certo
punto della crisi gli sono sfuggiti di mano e hanno rischiato
d’indebolire la posizione russa.
L’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines lo scorso
luglio, con le sue 290 vittime,
MISSION DI CIVILTà
Tutte le religioni
contro la schiavitù
l leader mondiali, a cominciare da Papa Francesco, hanno firmato
una dichiarazione congiunta contro un fenomeno dalle dimensioni
spaventose: 36 milioni di persone nel mondo, vittime di sfruttamento
sessuale, lavoro forzato, lavoro minorile, vendita di organi,
tratta di esseri umani
di Patrizia Caiffa
famosa in tutto il mondo
perché riempie gli stadi
solamente abbracciando
le persone e comunicando
loro pace e amore.
Papa Francesco, che non è
nuovo a questi temi perché
ha conosciuto in prima persona a Buenos Aires tante
vittime del lavoro schiavo e
della prostituzione forzata,
ha definito queste forme
di “moderna schiavitù” un
“delitto aberrante” e un
“crimine di lesa umanità”.
Ed è veramente la prima
volta che i leader delle
principali religioni si uniscono per uno sforzo comune
contro la schiavitù. Un
impegno che dovrà ispirare
l’azione sia spirituale sia
pratica di tutte le Confessioni, a tutto campo, in ogni
Paese del mondo. Nessuno
è escluso, anche se in cima
alla infelice classifica c’è
l’India con oltre 14,2 milioni di persone stimate in
schiavitù, seguita dalla Cina
con 3,2 milioni e dal Pakistan con 2 milioni.
Dietro questi numeri
approssimativi per difetto, visto che rientrano
nell’economia sommersa
gestita dalla criminalità e
dalle mafie globalizzate, ci
sono i volti dei bambini
e dei poveri - la maggior
parte sono cristiani - che
lavorano nelle fabbriche di
mattoni del Pakistan, resi
schiavi perché costretti a
indebitarsi con i datori di
lavoro per pagare i costi
esosi di un matrimonio o di
un funerale. Ci sono le storie tristissime delle ragazze
cambogiane, thailandesi,
filippine, brasiliane, vendute
da famiglie poverissime
per pochi soldi a trafficanti
senza scrupoli per farle
prostituire in squallidi bordelli. E i drammi indicibili
dei profughi eritrei, sudanesi, etiopi, somali, rapiti
dalle bande dei predoni nel
Sinai o lungo i viaggi della
speranza verso l’Europa,
per chiedere un riscatto ai
familiari. Torturati e uccisi
per il traffico di organi.
Ci sono le “maquilas” in
Argentina, in Messico e in
tanti altri Paesi dell’America Latina, le fabbriche
dove vengono confezionati
i capi firmati destinati ai
benestanti occidentali
mentre i lavoratori sono
costretti a vivere e lavorare
in condizioni disumane. Ci
sono le ragazze dell’Est e le
nigeriane che vediamo sulle
nostre strade, indotte alla
prostituzione con l’inganno
e schiavizzate.
Il compito dei governi è
immane perché si ha a che
ne è la testimonianza più
chiara. Dunque, i punti deboli
nella politica di Putin esistono,
e paradossalmente il limite
maggiore può essere proprio
la sua tendenza a ricondurre
ogni ambito di azione alle
logiche e ai temi classici della
politica di potenza. Come dimostra la crisi economica che
sta colpendo la Russia, causata
da un deprezzamento del
petrolio e del gas, e da un conseguente forte indebolimento
del rublo, il Paese avrebbe
bisogno anche di altro. Queste
debolezze evidenti del sistema
russo possono creare spazi di
dialogo, che però non sarà mai
agevole. Le sanzioni tuttora
in vigore e che quest’anno
costeranno alle imprese italiane circa due miliardi di
euro non aiutano molto. Era
necessario agire diversamente
e più tempestivamente sul
piano diplomatico, ma spazi
di manovra esistono ancora.
Nonostante sia un vicino
scomodo, non si può non negoziare con la Russia perché,
volenti o nolenti, Mosca è un
attore importante per molte
partite, dal Mediterraneo fino
ai confini con la Cina.
fare con un indotto criminale che “fattura” miliardi
e miliardi di dollari, ed è
un impegno che si aggiunge agli altri Obiettivi del
millennio proclamati ma
ancora non raggiunti: sradicare la fame nel mondo,
l’analfabetismo, la povertà,
la mancanza di accesso
all’acqua, ai servizi sanitari.
La lista delle utopie da
realizzare è, come sempre,
lunghissima.
Resta il fatto che, con
questo gesto storico, le religioni dimostrano di saper
camminare insieme per
indicare una strada anche
ai governi. Per l’opinione
pubblica mondiale questo
atto ha un valore altamente simbolico, morale
ed educativo. Non solo si
impegneranno ancora di
più con ciò che già fanno
nelle quotidiane opere di
solidarietà - pensiamo solo
al mondo cattolico e alle
suore che aiutano le ragazze a lasciare la strada -, ma
si assumono la responsabilità di una sfida che sembra
impossibile, perfino con
una data molto ravvicinata:
entro il 2020. Cinque anni,
manca pochissimo. C’è tantissimo lavoro da fare. “Caminando se abre camino”,
si dice in America Latina.
L’esempio è stato dato.
15
Dal mondo
Diga
in Cambogia
Organizzazioni nazionali e
regionali si oppongono alla
continuazione dei lavori per
un progetto idroelettrico la
cui realizzazione metterebbe
a rischio l’ambiente e la vita
di ottantamila persone nella
Cambogia del nord-est. La diga
del basso Sesan 2, presumibilmente carente di valutazioni di
impatto ambientale, finanziata
e costruita da un consorzio di
imprese cinesi, cambogiane e
vietnamite, recherebbe danni
anche in territori vicini come
nel Laos, nel Vietnam e in
Thailandia. Ultimati i lavori, lo
sbarramento idrico avrà una
altezza di 75 metri ed una
lunghezza di otto chilometri,
esso disporrà di un bacino
di 33.560 ettari, capace di
produrre 400 megawatt di
energia. Il cantiere d’opera
dovrebbe essere attivato a
gennaio, e le operazioni dovrebbero avere una durata di
circa tre anni.
Sottomarini
nucleari cinesi
Secondo The Wall Street
Journal, quotidiano internazionale pubblicato a New York, la
Cina sarebbe ora in grado di
colpire con i propri sottomarini
nucleari e attraverso l’oceano
Pacifico gli Stati Uniti d’America, così il grande paese asiatico,
insieme alla Russia e agli Usa,
entra nel novero delle nazioni
capaci di lanciare attacchi
nucleari via, terra, via aria e
via mare. Se pure la possibilità
di aggredire via mare sussistesse, al momento Pechino
ha la necessità di impiegare
la propria flotta sottomarina
principalmente nella disputa
con il Giappone, originata
dalla contesa intorno alle Isole
Diaoyu e Senkaku (nel mar
Cinese orientale e fonte di crescente tensione, e nel contrasto
accesosi da tempo nel mar
Cinese meridionale con degli
stati come in Vietnam, Taiwan,
le Filippine, la Malesia e Brunei.
Musulmani
in Myanmar
Sono più di centomila i musulmani Rohingya che, a bordo
di navi-cargo, hanno lasciato il
Myanmar (ex Birmama, 50 milioni di abitanti) negli ultimi due
anni, da quando sono esplose
le violenze confessionali con
la maggioranza buddista. Lo
stato di Rakhine, nell’ovest
birmano, dal giugno del 2012
è terra di scontri fra buddisti
birmani e Rohingya, lotte che
hanno causato quanto meno
200 morti e 250mila sfollati,
nel paese asiatico vive ancora
più di un milione di persone
appartenenti alla minoranza
musulmana, soggetti che il
governo considera immigrati
irregolari e, come tali, perseguitati. I Rohingya in fuga
fanno una prima tappa in
Thailandia, dove subiscono
ulteriori violenze, e poi si dirigono verso la Malaysia o altri
paesi dove, senza diritto alcuno
di clttadinanza, il loro futuro
rimane incerto.
16 musica e spettacolo
V
incitore dell’Oscar
come miglior film
del 2012, uscito in
DVD già a marzo
dello scorso anno, è passato
in prima tv su Canale 5, il
24 novembre, “Argo”, lavoro
interpretato, coprodotto (con
Clooney) e diretto da Ben
Affleck che, ancora una volta,
si dimostra abile nella gestione della materia narrativa e
nell’uso -all’uopo- sapiente
della suspence. La storia è
vera, ambientata nell’Iran del
1979, quando la rivoluzione
popolare era all’apice e i
rapporti diplomatici tra Medioriente e USA erano ai ferri
corti: da un lato l’intransigente
politica antiamericana dell’ayatollah Khomeini, dall’altro
la patata bollente costituita
dalla fuga del truce Scià Mohammad Reza Pahlavi, rifugiatosi negli Stati Uniti, di cui gli
iraniani richiedevano a gran
Vita
La
n. 44 14 Dicembre 2014
DAL CINEMA ALLA TELEVISIONE
Argo, già sul piccolo schermo
In prima tv su Canale Cinque
di Francesco Sgarano
voce l’estradizione, negata
però dagli americani, di certo
non intenzionati a gettare un
uomo, ancorchè spregevole,
nelle mani di un processo
popolare. Durante un assalto
all’ambasciata USA a Teheran
vengono fatti prigionieri decine di ostaggi, sei dei quali
però riescono a svignarsela
e a trovare riparo presso la
casa del console canadese. Lì
vivono nascosti, notte e giorno,
per circa tre mesi finchè non
viene a liberarli Tony Mendez,
agente speciale della CIA che,
con finanziamenti e consenso
governativi, ha impancato la
sceneggiata della produzione di un film di fantascienza
-“Argo” per l’appunto- di cui
i prigionieri che deve riportare a casa costituirebbero la
troupe, venuta in visita in Iran
per dei sopralluoghi.
La storia è abbastanza ingarbugliata ma viene sciolta con
consapevolissimo mestiere
dallo sceneggiatore Chris
Terrio (dal libro dello stesso
Mendez), rendendo lo spettatore partecipe dei fatti sin
dalle prime sequenze, dove
immagini di repertorio si
mischiano a quelle effettivamente girate dell’assedio
dell’ambasciata americana da
parte di una folla inferocita.
“Argo” parrebbe essere un
film di spionaggio con risvolti
politici, tuttavia ha momenti
godibilissimi in cui la tensione
si stempera in scene perfino
ironiche, allorquando entrano
in scena il truccatore John
Chambers (che curò davvero
il make-up de “Il pianeta delle
scimmie” e interpretato dal
corpulento John Goodman)
e il produttore Lester Siegel,
un Alan Arkin ispiratissimo e
sempre più autoironico, che
spiattella due o tre battute
al fulmicotone su Hollywood
e sui suoi palloni gonfiati che
non possono non strappare
una sana risata. I due tizi non
sono altro che i professionisti
di Hollywood cui Mendez si rivolge per ricevere la copertura
della produzione del “falso”
film, messo in piedi -con tanto
di promozione pubblicitaria e
lancio sulla stampa- solo per
fregare i sospettosissimi controlli iraniani. Il film è molto
ben girato, sostenuto anche
da un manipolo di comprimari molto incisivi, ma a chi
ha visto “Fuga di mezzanotte”
non potrà non riportare alla
mente alcune scene di quel
film: la trafila del controllo dei
passaporti al check-in -che là
era all’inizio e qui alla fine- è
ugualmente adrenalinica, la sequenza del bazaar è anch’essa
memore di quel film, certe
nenie orientali e la cattedrale
di Santa Sofia a Istanbul ritornano pari pari come allora, il
momento della fuga -là era a
piedi, qui in aereo- è gestito
con un senso del ritmo e della
suspence notevole -anche se in
“Fuga di mezzanotte” l’intera
situazione appariva più veritiera. In effetti la scena dell’inseguimento dell’aereoplano sulla
pista, mentre sta per decollare,
da parte di auto della polizia
e camionette con militari coi
fucili spianati, sembra, nella sua
sfrenata spettacolarizzazione,
più una sequenza di un film di
John Woo -ed è forse l’unico
vero appunto che ho da fare
al film, davvero nel complesso
godibile e avvincente.
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I
l 7 agosto 1991 la
nave albanese Vlora,
di ritorno da Cuba,
arriva al porto di
Durazzo con nella
stiva diecimila tonnellate
di zucchero. Mentre sono
in corso le operazioni di
scarico, una folla di migliaia
di persone, uomini, ragazzi,
donne e bambini, assale il
mercantile costringendo il
capitano Halim Malaqi a fare
rotta verso l’Italia. In questa
marea incontenibile c’è Eva
che sale arrampicandosi
lungo le cime d’ormeggio
insieme al marito, Kledi,
un ragazzo, che si trova in
spiaggia con gli amici quando decide di seguire incuriosito la folla diretta verso
il porto, Ali con la sua famiglia, Robert giovane regista
con i compagni di studi. Sulla nave nascono delle amicizie, il motore centrale del
vecchio e malandato mercantile, costruito negli anni
’60 a Genova, è in avaria
mentre a bordo non ci sono
né cibo né acqua, solo zucchero. Il capitano riesce ad
evitare una collisione, pur
non disponendo di radar. La
mattina dell’8 agosto la nave
carica di ventimila persone
arriva nel porto di Bari, davanti ad una città incredula
e stordita. Le operazioni di
attracco sono difficili, qualcuno si butta in mare per
raggiungere la terraferma a
I vecchi abbonati possono effettuare il bollettino postale preintestato, e chi non l’avesse ricevuto può richiederlo al numero
0573.308372 (c/c n. 11044518) intestato a Settimanale Cattolico
Toscano La Vita Via Puccini, 38 Pistoia.
Gli abbonamenti si possono rinnovare anche presso Graficamente
in via Puccini 46 Pistoia in orario di ufficio.
CINEMA
“La nave dolce”
dall’Albania all’Italia
Un film di Daniele Vicari
di Leonardo Soldati
LaVita
nuoto, molti urlano in coro
“Italia, Italia” facendo il segno di vittoria con le dita,
spinti dall’idea di libertà in
un Paese conosciuto sugli
schermi tv. Dopo lunghissime operazioni di sgombero
del porto, i cittadini albanesi
vengono portati nel vecchio
stadio di calcio di Bari prima
del rimpatrio, un evento che
anticipa i futuri sbarchi sulle
coste italiane. Trascorsi 21
anni da allora, oggi vivono in
Italia quattro milioni e mezzo di stranieri. “La nave dolce” è un film-documentario
di Daniele Vicari, già regista
di “Diaz” che torna alle origini visto che ha iniziato con
il documentario, con l’impatto delle immagini d’epoca
contrappuntate dai ricordi
di molti di quei profughi tra
cui il ballerino Kledi Kadiu.
Un’ulteriore occasione in
cui il documentario italiano
mostra attualmente piena
salute, la pellicola, presentata
all’ultima Mostra del cinema
di Venezia e distribuita da
Microcinema, compone con
il film “Diaz” un affresco
sulle virtù ma anche sulle
imperfezioni della democrazia italiana.
Settimanale cattolico toscano
Direttore responsabile:
Giordano Frosini
STAMPA: Tipografia GF Press Masotti
IMPIANTI: Palmieri e Bruschi Pistoia
FOTOCOMPOSIZIONE:
Graficamente Pistoia tel. 0573.308372
e-mail: [email protected] - [email protected]
Registrazione Tribunale di Pistoia
N. 8 del 15 Novembre 1949
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sito internet: www.settimanalelavita.it
CHIUSO IN TIPOGRAFIA: 10 DICEMBRE 2014