n. 44 14 dicembre - Settimanale La Vita
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Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Filiale di Pistoia Direzione, Redazione e Amministrazione: PISTOIA Via Puccini, 38 Tel. 0573/308372 Fax 0573/28616 e_mail: [email protected] www.settimanalelavita.it Abb. annuo e 45,00 (Sostenitore e 65,00) c/cp n. 11044518 Pistoia La Vita è on line clicca su www.settimanalelavita.it G “ LaVita dal 1897 I O R N A L E Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti cloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cruore… Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia”. Le parole che aprono la Costituzione conciliare sulla chiesa nel mondo contemporaneo rimangono per sempre iscritte a caratteri indelebili sulla nostra carta d’identità. Parole che hanno segnato una svolta irreversibile nel cammino della chiesa nella storia e che, raccogliendo la migliore lezione del suo passato, hanno sancito per sempre la pace con il mondo. Se ci sono stati momenti di distacco e di indifferenza, questi momenti vanno dimenticati: la chiesa è anch’essa a tutti gli effetti nel cuore del mondo e lavora con tutti gli uomini di buona volontà alla sua costruzione e al suo perfezionamento. La chiesa in tutte le sue espressioni, cominciando dalle forme più elementari, come la famiglia e la parrocchia, dove si vive la prima esperienza cristiana, sino alla chiesa universale, passando attraverso le comunità diocesane, regionali, nazionali, secondo quanto di buono è stato detto in un principio tramandatoci dal recente passato: “Pensa globalmente, agisci localmente”. Ognuno prende parte al bene dell’umanità, sentendosi in armonia con tutti e dando il suo primo contributo nell’ambiente in cui la provvidenza lo ha chiamato a vivere. Prima che sul piano universale, l’egoismo si vince sul piano personale. Pio XI, il papa che è rimasto nella storia soprattutto per la chiamata dei laici a partecipare alla vita e alla missione della chiesa, parlando di “carità politica”, aveva slargato gli orizzonti di una mentalità piccolo-borghese che purtroppo continua ancora in molta parte della comunità cristiana. Da allora (ma, se vogliamo, da sempre) l’invito a vivere la carità in dimensioni generali si è ripetuto senza interruzione fino ai nostri giorni, con un impegnativo crescendo e una sempre più stringente sollecitazione da parte del magistero e della chiesa nel suo complesso. Il concilio Vaticano II ha usato a questo proposito parole perentorie e molto dure, che merita rileggere ancora a nostra istruzione e ammonimento: “Sbagliano coloro che, sapendo che qui non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno… Il cristiano che trascura i suoi doveri temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso e mette in pericolo la propria salvezza eterna”. Dietro queste parole c’è l’ombra del racconto del giudizio universale, come ci è stato presentato dall’evangelista Matteo. Fra le nuove preghiere della chiesa ce n’è una che dice tutto questo eccellentemente nello spirito della migliore teologia post-conciliare: “Tu che ci comandi di attendere operosi e vigilanti la tua venuta nella gloria, fa’ che quanto più attendiamo i cieli nuovi e la terra nuova, tanto più lavoriamo per il progresso e la pace”. “Quanto più… tanto più”: non c’è niente di strano e di misterioso in queste parole, perché l’uomo è chiamato a preparare con Dio il futuro finale. La speranza non è un’attesa inerte, ma un’efficace azione nella storia per condurla verso la fine. Preparare i cieli nuovi e la terra nuova è la grande vocazione a cui Dio ha chiamato l’umanità. Una grande dignità a cui in particolare il popolo cristiano non può venire meno, ma che deve onorare col suo comportamento esemplare. Senza attendere indicazioni dall’alto, seppure, specialmente in certe circostanze, queste sono sem- C A T T O L I C O T O S C A N O 44 Anno 117 14 DICEMBRE 2014 e1,10 1,10 e Chiesa nella storia Papa Francesco, luminoso esempio di una chiesa aperta al mondo, mentre getta nel mare di Lampedusa una corona di fiori per tutti coloro che hanno perso la vita nella traversata del nostro mare pre benvenute, ma interpretando evangelicamente per proprio conto le situazioni che si presentano nel proprio ambiente e nel proprio territorio. Era questa un’indicazione preziosa di Paolo VI, almeno in parte dimenticata per un eccessivo centralismo che perdura da sempre nella chiesa cattolica. La chiesa universale non ha una risposta pronta per tutte le circostanze, che variano di luogo in luogo e che nessuno conosce meglio dei diretti interessati. Quante cose si possono fare in questo senso anche nella parrocchia più piccola del mondo. Si pensi alla povertà silenziosa che si sta diffondendo a macchia d’olio nelle nostre comunità, agli immigrati a cui non deve mancare almeno un’accoglienza calda e dignitosa, alle crisi crescenti delle imprese grandi e piccole, alla scandalosa disoccupazione attuale, alla dimenticanza e all’abbandono dei giovani, veri relitti della nostra società. Dal ricordo di esse le nostre celebrazioni asettiche e stereotipate guadagnerebbero molto in incisività e partecipazione. Più ampie possibilità ancora ha una comunità diocesana, che può incrementare l’attuale deficitaria conoscenza del pensiero sociale della chiesa, suggerire un attento e tempestivo ascolto dei segni dei tempi, sollecitare autorevolmente l’attenzione dei nostri fedeli, certamente non in pari con le loro responsabilità. Un impegno per tutti da non trascurare. Giordano Frosini LA DIOCESI IN FESTA L’ingresso solenne del vescovo Fausto La pur capace Chiesa Cattedrale era piccola per accogliere tutti i fedeli convenuti dalla diocesi per accogliere il vescovo Fausto al suo ingresso. Anche la diocesi di San Miniato, punto di partenza del nuovo vescovo, era largamente rappresentata. Una giornata piena di impegni quella del nuovo vescovo, che ha voluto iniziare il suo ministero con la visita ai “poveri” della città. L’omelia pronunciata durante la Messa rimane agli atti almeno come l’abbozzo di un programma pastorale, che verrà successivamente esaminato con il presbiterio e tutti gli operatori pastorali. Nelle pagine 7-8-9 la cronaca della giornata, i saluti e le impressioni raccolte tra i fedeli 2 primo piano Vita La n. 44 14 dicembre 2014 La dottrina sociale della chiesa parte essenziale dell’evangelizzazione L’ evangelizzazione è il grande impegno della chiesa, non una sfida, ma «la sfida pastorale, teologica e spirituale per eccellenza». Non si tratta di una convinzione di oggi, ma di una consapevolezza che attraversa tutti i tempi della sua storia, anche se l’attuale situazione della società ha acuito molto la convinzione della sua fondamentale necessità: per questo di essa si parla con una intensità sconosciuta almeno negli ultimi secoli, quelli della cosiddetta cristianità, quando la fede sembrava trasmettersi quasi automaticamente di generazione in generazione. Per Paolo VI, che al tema ha dedicato uno dei suoi migliori documenti, essa è la vocazione propria della chiesa: «La chiesa lo sa. Essa ha una viva consapevolezza che la parola del Salvatore - “Devo annunziare la buona novella del Regno di Dio” - si applica con tutta verità a lei stessa. E volentieri aggiunge con san Paolo: “Per me evangelizzare non è un titolo di gloria, ma un dovere. Guai a me se non predicassi il Vangelo!”». E’ stato soprattutto Giovanni Paolo II a chiarire i ristretti rapporti del pensiero sociale della chiesa con l’impegno dell’evangelizzazione. Per lui il primo è parte essenziale della seconda, nonché parte integrante della teologia, in particolare della teologia morale. Un nesso talmente stretto che l’impegno dell’insegnamento sociale può essere considerato come una vera e propria legge dell’evangelizzazione, insieme alla sua priorità, alla sua ecclesialità (è tutta la chiesa che evangelizza), alla priorità della testimonianza rispetto alla parola, alla necessità di una predicazione totale del Vangelo arrivando fino al suo cuore e al suo centro che è Cristo stesso, alla legge dell’incarnazione nel mutare dei tempi e delle circostanze. Se vogliamo, un punto di arrivo, i cui inizi appartengono ai primi passi compiuti dalla chiesa dopo il concilio Vaticano II. Un lungo cammino Nel Sinodo dei vescovi del 1971 su La giustizia nel mondo, anche se si ritiene che il documento finale sia stato redatto con una certa frettolosità, la connessione è affermata con totale chiarezza: «La missione di predicare il Vangelo, ai nostri giorni, richiede che ci impegniamo per la totale liberazione dell’uomo già nella sua esistenza terrena. Difatti, se il messaggio cristiano intorno all’amore e alla giustizia non dimostra la sua efficacia nell’azione a favore della giustizia nel mondo, più difficilmente esso acquisterà credibilità presso gli uomini del nostro tempo». Testi di sapore vagamente terzomondistico che impressionarono e insieme entusiasmarono i lettori del tempo. Un’idea su cui hanno insistito tutti i Papi post-conciliari che però non è arrivata ancora pienamente nella mentalità del popolo cristiano di Giordano Frosini Il Sinodo successivo (1974), soprattutto con l’Esortazione apostolica conclusiva di Paolo VI Evangelii nuntiandi (1975), porterà a compimento le intuizioni alquanto sospese dell’intervento precedente. Al termine di una lunga e “acre” discussione all’interno del Sinodo, Paolo VI precisò ufficialmente il pensiero della chiesa, «rifiutando le due posizioni estreme: quella che nega la pertinenza diretta della promozione/liberazione dell’uomo all’evangelizzazione; e quella opposta dell’ideologia secolarista che: riduce l’evangelizzazione alla promozione/liberazione dell’uomo». La soluzione di Paolo VI, secondo il teologo milanese G. Colombo, non era affatto scontata, specialmente per l’ambiente teologico di allora. Era quello il tempo in cui la teologia della Parola di K. Barth, certo malamente interpretata, aveva quasi giustificato la convinzione che l’evangelizzazione potesse semplicemente risolversi nel dire/predicare la Parola, senza riferimenti ai comportamenti pratici dell’annunciatore. La teologia della storia, preceduta dalla teologia politica e, poco dopo, seguita dalla teologia della liberazione, aveva intanto soppiantato la soluzione barthiana, immettendo nel mondo cristiano idee nuove nei riguardi dell’impegno per il progresso dell’umanità. Secondo Colombo, «se oggi la situazione è chiara, non lo era ancora invece un quarto di secolo fa, cioè al tempo del Sinodo del ‘74. Per questo la soluzione di Paolo VI non poteva essere scontata». Un passo importante, da cui non è possibile tornare indietro. Anche E. Bianchi raccomanda la predicazione di un cristianesimo fe- dele alla terra. Finito il tempo della fuga mundi, del disprezzo di questo mondo, del terrena despicere et amare coelestia, oggi, afferma con forza il priore di Bose: «non sappiamo più dire salvezza senza dire anche liberazione». Il tempo della “buona notizia” è già cominciato. Il motivo di fondo di questa ormai radicata convinzione è che la dottrina sociale della chiesa ha il suo nucleo centrale nella persona umana, l’immagine di Dio, la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa. L’antropologia è un capitolo fondamentale della teologia, anzi il punto di vista attraverso il quale l’attuale riflessione ha imparato a rileggere l’intero “corpo teologico”. Le parole di Paolo VI suggellano con la loro autorità questi pensieri: «Tra evangelizzazione e promozione umana - sviluppo, liberazione - ci sono infatti dei legami profondi. Legami di ordine antropologico, perché l’uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, perché non si può dissociare il piano della creazione da quello della Redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell’ingiustizia da combattere e della giustizia da restaurare. Legami dell’ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l’autentica crescita dell’uomo?» (EN 31). Un obiettivo ancora da raggiungere Un obiettivo da recuperare nella nostra evangelizzazione, perché «nell’immaginario comune e nella cultura generale si è gravemente sfocato e distorto. La correlazione dell’evangelizzazione con la condizione precaria dell’uomo e quindi con la sua esistenza insoddisfatta può persino sollevare sorpresa, oltre che incredulità. Più diffusa è l’idea dell’evangelizzazione mirata a produrre un fenomeno religioso particolare, non propriamente e universalmente “umano”; limitato nell’ambito cristiano; che si concentra nell’impalpabile vita spirituale dell’uomo senza riferirsi alla sua materiale esistenza; che produce i suoi effetti nell’ “Aldilà’’, non nell’“Aldiqua’’». L’evangelizzazione non si può fermare a metà strada, deve penetrare nelle effettive condizioni storiche e nelle esistenze quotidiane degli uomini, per illuminarle e, possibilmente, sanarle nelle loro deficienze e nelle loro radici malefiche, palesi e occulte. Riflessioni molto forti quelle del teologo milanese Colombo, che però lo conducono a una conclusione particolarmente apprezzata da chi ritiene che il motivo fondamentale dell’incarnazione del Figlio di Dio sia proprio quello di indicare la via da percorrere e di dare, con la divinizzazione, in contemporanea, la grazia di poterla percorrere: «In ultima analisi l’evangelizzazione si risolve in una proposta di vita, presentata a tutti gli uomini, propriamente la proposta di vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo». Una proposta da accettarsi, perché si inserisce in una organica sistemazione dell’intera teologia, che nel mistero trinitario trova il suo punto di partenza, il modello di ogni esistenza, il fine del cammino dell’uomo e del cosmo. Con la sua esistenza, Gesù ha rivelato agli uomini lo stile di Dio, l’unico modo di vivere, di pensare, di operare per realizzare qui nel presente e nel futuro la perfezione e la felicità, secondo il comandamento evangelico: «Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48). Un pensiero che dobbiamo abbandonare, non prima però di avere ricordato che i cristiani nella loro quasi totalità sono ben lontani dal modello fornito loro da Gesù, in aperto dissenso da quanto dice l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani: «Non conformatevi a questo mondo» (Rm 12, 2). Il limite più grande della nostra evangelizzazione. La teoria oggi abbastanza diffusa delle minoranze profetiche potrebbe suggerirci qualche pensiero in proposito, per poter continuare a sperare realisticamente e liberarci, così, da un quasi invincibile senso di scoraggiamento. Messaggio soprattutto per i laici Una evangelizzazione fondata su questi presupposti è un messaggio consegnato anche ai politici, specialmente a quelli di ispirazione cristiana. Un messaggio di fede, di carità, di speranza che si rispecchia nella storia. È proprio nel nome della speranza che vorremmo chiudere queste riflessioni. Dobbiamo ancora ripeterlo: noi non siamo solo in attesa del futuro, noi siamo chiamati da Dio a essere, insieme a lui, costruttori del futuro. Un futuro atteso nella sua pienezza per la fine dei tempi, ma già presente nei suoi inizi, che faticosamente si aprono il varco verso il loro compimento totale. Alla speranza Benedetto XVI ha dedicato una delle sue encicliche, per ricordare all’umanità smarrita di oggi che la storia ha un senso e viaggia, sospinta dal vento dello Spirito, verso la sua pienezza e alla comunità cristiana che «il futuro dell’umanità [è] riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza» (GS 31). Vita La cultura n. 44 LEGGERE È PENSARE 14 dicembre 2014 3 La resistenza cristiana contro il Reich “ Nei Paesi dell’Europa occupata (e consideriamo tale anche la Germania) i nazisti non fecero a tempo, tra il 1939 e il 1945, ad attuare la ‘soluzione finale’ anche per la Chiesa cattolica e per i cristiani in generale, sulla falsariga di quella prospettata per gli ebrei. Ma c’è l’avevano nel cassetto e si ripromettevano (…) di farla finita una volta per tutte con i seguaci dell’ebreo Gesù Cristo”. Il libro di Angelo Paoluzi, “La croce, il fascio e la svastica” (Edizioni Estemporanee, 150 pagine) naviga sulla stessa lunghezza d’onda di altre recenti ricostruzioni storiche, vale a dire la necessità di fare chiarezza sul ruolo dei cattolici - e dei cristiani - durante il fascismo e il nazismo. Il merito di questo volume è però duplice: accanto alla capacità di Paoluzi di andare subito al cuore delle cose senza alcuna concessione alla retorica, vi è la presentazione nuda e cruda delle cifre, delle apparentemente nude cifre che però la dicono lunga su quanto questa parte di storia sia stata travisata o addirittura ignorata da una buona parte della grande editoria. Come scrive l’autore a proposito di una delle tante forme di resistenza al fascismo, la cattolica “Azione Guelfa”, “le testimonianze di cui abbiamo parlato sono state praticamente ignorate da una cultura a lungo dominante, come dimostra la sterminata Storia d’Italia di Einaudi che dedica ‘due righe due’ ad ‘Azione Guelfa’ e non fa cenno degli altri casi”. Questa documentata e rigorosa ricerca scopre le carte della supposta autonomia del ruolo della storiografia e non solo di quella recente, mettendo in chiaro come le dinamiche dei fatti storici possano Un libro coraggioso di Angelo Paoluzi: “La croce, il fascio e la svastica” di Marco Testi essere riviste, rilette, manipolate non solo con aggiunte ma anche con il silenzio da parte di chi invece, per amore della verità, dovrebbe avere il coraggio di andare oltre le proprie convinzioni ideologiche. È così che Paoluzi, come d’altronde stanno facendo altri storici, mette il dito sulla piaga della sbrigativa condanna dell’azione di Pio XII di fronte alle deportazioni degli Ebrei e al nazismo. Non solo interventi espliciti per la protezione e il ricovero dei perseguitati in una Roma occupata dal nazi-fascisti, ma con quelli che Goebbels chiamava “attacchi pesantissimi dissimulati contro di noi”, come il radiomessaggio del Natale del 1942 nel quale si deplorava la persecuzione, messa in atto “solo per ragioni di nazionalità o di stirpe”, contro persone indifese destinate, recitava testualmente il messaggio, alla morte. La Gestapo, che aveva capito quale era la reale posizione della Chiesa, in un suo rapportò si lasciò andare ad uno sconsolato “questo papa rifiuta il nuovo ordine nazionalsocialista”. Si diceva della storia e delle sue manipolazioni: Paoluzi ci offre un esempio di ricerca seria e finalizzata al ristabilimento di una verità troppo spesso alterata con supposizioni non suffragate da documentazioni serie e oggettive. Lo studioso si tiene strettamente alle cose e presenta i nudi fatti di cristiani perseguitati dal fascismo, di sedi di associazioni chiuse o assaltate, di fedeli e di preti torturati e uccisi durante la guerra di liberazione e la resistenza, offrendo al lettore non interpretazioni, ma documenti, processi, numeri. Gli appassionati di storia contem- poranea avranno di che attingere da questo libro scomodo per tutti quelli che hanno voluto vedere nella storia della Chiesa del ventennio solo acquiescenza e complicità con il regime. Anche quando si dedica alla resistenza di cattolici e protestanti contro il Reich, l’autore si tiene stretto alle cose, alle raccapriccianti cifre di uomini e donne sgozzati, deportati, torturati per aver tenuto fede al vangelo contro non solo e non tanto una dittatura, sebbene un progetto di sostituzione tout-court della fede cristiana con una mescolanza di paganesimo e di idolatria laica del Führer. Nello stesso tempo un libro coraggioso perché controcorrente (a parte gli ancora poco numerosi contributi “revi sionisti” a proposito di resistenza cristiana ai totalitarismi) e, essendo molto attrezzato e documentato, una vera e propria mina vagante nel gran mare della storiografia che ha tenuto le manine sugli occhi per non vedere e sulla bocca per non dire. Teatropolis di Maffeo “ Allora dimmi, che te ne pare del mondo che se ne va rotolando alla deriva?” – “La mi pare un teatrone di pupi e pupari che affannano a dimenarsela.” Colloquiano tra loro in un borgo della Toscana interna, una volta cittadina di diecimila abitanti, l’ottantenne Ranuccio (già sellaio, vedovo senza figli, tardivamente ben considerato dalla matura Armida) e il professor Teodoro De Vellis, docente emerito all’Università di Urbino (colto e raffinato spirito ritiratosi a degna pensione nello stesso paesino e accudito dalla previdente Cosima. Fanno ala ai discorsi tra i due, don Daraku, inopinato parroco di origine egizie, brav’uomo e bravo prete e fratel Hinshung, suo ausiliario, venuto dalla Cina in odore di clandestinità, pure lui dedita e disponibile persona. di Claudio Toscani Pasquale Maffeo, noto poeta, narratore e drammaturgo, da “mistico” di razza tra tizzi e fiamme di intransigente polemica morale, inventa questo pamphlet contro i moderni e contradditori idoli della storia, cadenti miti e riti del progresso, puntando il dito oltre che all’indirizzo del comune consesso umano, ai calamai parlanti (scribacchini, insomma), nonché ai “pulcinella” e ai “bottegai” che fanno strepito in parlamento, nell’aula a semicerchio. Al mondo intero, insomma, indirizzano il loro anatema l’artigiano e il cattedratico, facendo leva sulla loro saggezza (da una parte la “scarpa grossa”, dall’altra il “cervello fino”), sull’ardore e fervore della loro etica (da una parte contadina, dall’altra intellettuale). Ma se il professor Teodoro si esprime in lingua corretta e distinta, il sellaio ha in bocca una prosa salvatica, tra pane casalingo e vino d’uva arzilla, che Maffeo espande poi in poderosa unità stilistica all’intero testo, espressività succosa e nerboruta, sapida e vibrante. Uno dice: “Noi amiamo e onoriamo la vita. Loro la manipolano, la mimano, ne fanno mercimonio.” L’altro aveva anticipato: “Grandoni mezzani e piccoletti tutti scienziati e predicatori in pulpito.” Pare di sentire il Domenico Giuliotti, là dove, nel suo L’ora di Barabba, esplode: “ogni prezzolato cialtrone sputa sulla faccia in lacrime della verità crocifissa”. Questo di Teatropolis è parimenti uno stile che oltre a manifestare una forte qualità di scrittura, è segnato da una non comune capacità di suscitazione linguistica. E quando non è prosa corrente è dialogo, un rimbalzo di do- mande e risposte, o righe alterne di riflessioni, sugli universali concreti di politica e di religione, sui singoli o sulla società, frasi intrise di ardori, fervori, energie. E sul mondo divenuto mercato (tra festival, salotti, saloni, raduni e sfilate), ma anche sulla morte con cui poi si conclude il libro, tra fraterni, scambievoli testamenti. Tira aria di denuncia e di compassione assieme, di carità armata ma di pietà, e salvifico amore, tensione a bollare chi zoppica ma al tempo stesso a indicare come camminare diritti. PASQUALE MAFFEO, Teatropolis, Marina di Minturno, Armando Caramanica Editore, 2014, pp. 125, €. 13,00.= Poeti Contemporanei Il silenzio di Dio Se colui che tu ami o non c’è più o da te se ne è andato lontano e invano senti di soffrire e invano senti di pregare perché ti torni accanto allora “sei” nel silenzio di Dio, se sciagure e angosce e altre calamità ti circondano tanto che ti pare di essere al punto di non più credere in Lui, se qualcuno schiaffeggia il tuo cuore e altri ti vedono spregevole mentre senti nobile il tuo cuore e tanto capace di amare “sei” ancora nel silenzio di Dio. Ma quando ti ritroverai ad affogare nel nulla e nulla sentirai di essere per tutti e per te stesso e, “sperduto, non saprai più dove aggrapparti allora ti rifugirai in quel silenzio come un bambino nelle braccia della mamma e come un bambino che ama il suo gioco amerai quel silenzio come fosse la tua casa solo allora, perché lo avrai tanto amato tornerai ad amare il Suo sole, le Sue nuvole, il Suo fiore, solo allora, gioioso, sentirai la Sua misericordia annullare il tuo silenzio e solo allora, esultante, potrai ascoltare il cuore di Dio battere nel tuo cuore. Anna Tassitano 4 Vita attualità ecclesiale Quando ci si accosta al mistero di Dio ci si accosta da uomo o donna ed allora affiorano sfumature diverse che collaborano alla costruzione del comune cammino di pellegrini nella storia. È questione di comunione non di funzionalità o di opportunità La chiesa si ripensa Come senza la donna? di Cristiana Dobner F inalmente! È risuonata, finalmente, una parola autorevole che autorizza una realtà di fatto che, a tutt’oggi, sembra rotta da sottomarino che si inabissa al momento opportuno, scompare ed affiora quando il radar segnali panorami tranquilli. Se diamo la stura ai “perché?” che costellano la storia delle donne teologhe riempiremmo files pesantissimi, archiviati senza lettura e incidenza. Non è la rotta corretta per passare da sottomarino a barca a vela che solchi i mari senza timori d’intercettazioni o affondamenti. La teologia come scienza, come fede riflessa, ha bisogno della persona umana: uomo o donna. Se la Commissione internazionale teologica nel suo Statuto ritiene suo preciso compito “studiare i problemi dottrinali di grande importanza, specialmente quelli che presentano aspetti nuovi, e in questo modo offrire il suo aiuto al Magistero della Chiesa”, risulta ben chiaro che i problemi dottrinali si possono affrontare da donne e da donne captare gli aspetti nuovi, sempre dall’angolatura femminile. I ruoli culturali quindi all’interno della vita della Chiesa - che Chiesa non è senza la presenza viva e attiva delle donne - si ampliano e possono palesarsi distintamente. Il discorso non suona di genere ma di competenza scientifica, rigorosamente fondata. La teologa deve poter pensare serenamente e potersi confrontare apertamente con il teologo. Non vale la frase fatta “siamo pari”. Non è la parità che cerchiamo ma la complementarietà, basata sulla differenza delle due persone: uomo e donna che pur scrutando la Parola, diretta dal Creatore ad entrambi, suscita reazioni e risposte diverse, seppure analoghe. Quando ci si accosta al mistero di Dio ci si accosta da uomo o donna e allora affiorano sfumature, spazi e interrogativi diversi che collaborano alla costruzione del comune cammino di pellegrini nella storia. È questione di comunione non di funzionalità o di opportunità. Se nella Chiesa la donna è presente, ne consegue che pure nell’ambito teologico possa essere presente. Bisognerebbe rileggere la rotta tracciata dalle pagine teologiche di “Donna Chiesa Mondo” e collocarsi in quello che Sequeri denomina lo “snodo epocale”, perché la Chiesa è chiamata dalla società a ripensare se stessa. Come farlo senza le donne? Uomo e donna nell’immagine di Dio che si rivela hanno una distinzione e un ruolo di fondamento. Le relazioni però si devono creare fra La n. 44 14 dicembre 2014 LA SPINTA DI PAPA FRANCESCO redenti e le reciproche relazioni devono farlo apparire: accenti di rivendicazione, di ideologia, di liberazione sono del tutto fuori posto quando non dannosi. Chiaramente è una sfida, non tra nemici ma tra persone, differenziate sessualmente, che compartecipano fontalmente e originalmente alla stessa missione di Gesù. C ostruire ponti attraverso il dialogo tra religioni e culture è forse più semplice quando il dialogo affonda i suoi pilastri nella vita reale, quotidiana. Quando poi tocca una sofferenza che scarnifica, come quella dei malati terminali e delle loro famiglie, ad essere in gioco non è una visione religiosa piuttosto che un’altra, ma lo sguardo sulla persona, sull’umano, che è poi lo sguardo della fede. Ed è stato questo sguardo il “fil rouge” dell’incontro “Interreligious dialogue on the end of life”, tenutosi al Policlinico Gemelli di Roma per iniziativa del Centro di ateneo per la vita e della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (Siaarti). Un’opportunità di ascolto e riflessione nella prospettiva culturale e di pensiero delle grandi religioni monoteiste sul fine vita, tema delicatissimo al centro di infuocati dibattiti politici e mediatici. Relatori cristiani, ebrei e musulmani, tutti concordi sulla necessità di trovare una mediazione tra tutela della vita e diritto di ogni persona a non essere sottoposta ad accanimento terapeutico. A richiamare il ruolo di primaria importanza delle religioni, e di “un dialogo e un confronto tra le diverse fedi”, chiamate “a fornire criteri e paradigmi per riconoscere e tutelare la dignità e l’inviolabilità della vita umana”, è in apertura dei lavori monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell‘Università cattolica, che sottolinea come su questi terreni di comune interesse si possa trovare “quella convergenza che a volte risulta più difficile sul piano strettamente religioso”. Del resto, nel suo recente viaggio in Turchia, Papa Francesco ha Dire relazione significa dire volto, presenza dell’altro che, per il solo fatto di esistere, consente all’interlocutore di esistere a sua volta, di ritrovarsi, di riconoscersi; gli sguardi possono intrecciarsi, richiamarsi, dirigersi verso lo stesso obiettivo con segnali, soccorsi, luci reciproche. Se gli sguardi sono collocati nel volto del potere, il messaggio evangelico perisce immediatamente, come sempre quando è in gioco una supremazia, presunta o reale. Permeati invece di empatia espandono una corrente che corrobora e conduce nella totale parresia, cioè nella franchezza e nella rigorosità scientifica, al punto in cui non esiste rivalità e si afferma la collaborazione fattiva e complementare. Gesù stesso non si è venduto al potere, non lo ha proclamato e non ne ha fatto la sua bandiera. Ha optato per un’altra strada: l’annuncio, la testimonianza. Così ha polverizzato lo stesso potere. Sta a noi, insieme, trovare la modalità in cui declinarlo oggi. Il piano universale di salvezza, di redenzione, non richiede la decorazione femminile, “le fragole” di cui parla Francesco, la donna può, teologicamente, contribuire alla crescita umana come è tipico della sua natura ed esigere che la pasta sia fermentata da un lievito in cui teologo e teologa collaborino in armonia. Nell’apertura, non teorica o astratta, ma ai volti concreti, che non si affrontano ma si incontrano. Essenziale appare l’importanza dell’ascolto. “Figlio dell’uomo - disse il Signore al profeta Ezechiele - tutte le parole che ti dico ascoltale con gli orecchie accoglile nel cuore” (Ez 3,10). Se il teologo “è innanzitutto un credente che ascolta la Parola del Dio vivente e l’accoglie nel cuore e nella mente”, non si può declinare anche al femminile? Teologia: con cuore e mente di donna e cuore e mente di uomo. CONFRONTO TRA RELIGIONI Al confine della vita lo sguardo dei credenti Al Gemelli di Roma un confronto sul fine vita fra esponenti delle religioni monoteiste. Cristiani, ebrei e musulmani concordi sulla necessità di trovare una mediazione tra tutela della vita e diritto di ogni persona a non essere sottoposta ad accanimento terapeutico di Giovanna Pasqualin Traversa ricordato che “il comune riconoscimento della sacralità della persona umana sostiene la comune compassione, la solidarietà e l’aiuto fattivo nei confronti dei più sofferenti”. Sacralizzare la vita L‘Islam non ammette l‘eutanasia “perché la vita ha un valore incondizionato. Nel caso di pazienti in terapia intensiva, la sharia, integrata da principi morali-religiosi ai quali si aggiungono i principi di autonomia del paziente, consente la sospensione dei trattamenti solo per evitare l‘accanimento terapeutico e quando il medico è certo che la morte sarà inevitabile”, precisa Fekri Abroug, medico dell‘Università di Monastir (Tunisia). Per Yahya Pallavicini, vicepresidente della Coreis (Comunità religiosa islamica italiana) occorre “sacralizzare la vita e umanizzare la morte”. “Nel diritto islamico - spiega - non sono tollerabili né l’omicidio né il suicidio. È Dio a dare sia la vita sia la morte, nessuna delle due può essere considerata un male”. E proprio nell’orizzonte del dialogo, Pallavicini rilancia la sua proposta all’allora mi- nistro della Salute Balduzzi di istituire una commissione interdisciplinare con professionisti della salute e referenti religiosi, “perché attraverso il confronto tra competenze diverse si può trovare una soluzione metodologica alle sfide pratiche del fine vita”. Chiarire i termini “Definire la linea sottile che separa l‘accanimento dall‘omissione terapeutica”, è l’invito di Riccardo Di Segni, radiologo e rabbino capo di Roma. “Siamo tutti d‘accordo - dice - sul rifiuto dell‘eutanasia e dell‘accelerazione della morte di un paziente, così come sul rifiuto dell‘accanimento terapeutico”, ma manca “una convergenza su questioni ‘secondarie‘, che poi secondarie non sono affatto” come quella dell‘idratazione e dell‘alimentazione. Sulla stessa linea il rabbino Avraham Steinberg, dello Shaare Zedek Medical Center of Jerusalem: “Proporzionalità e non proporzionalità sono parole rassicuranti ma vaghe; dobbiamo chiarire di più i termini per dare senso al dibattito”. “Come medici - ha scandito - dobbiamo essere molto più umili quando decidiamo per gli altri”. Qualità della cura La qualità della cura è legata alla possibilità che i pazienti abbiano accanto i propri cari. Per questo Alberto Giannini sostiene la necessità di un “duplice percorso culturale”: l’inserimento delle cure di fine vita nel percorso formativo delle scuole di specialità e l’apertura dei reparti di terapia intensiva ai familiari “la cui presenza è oggi non più di due ore al giorno in caso di adulti e cinque per i bambini”. Per Andrea Vicini, gesuita, “la tecnologia medica deve concentrarsi sul Magnetic Resonancce Imagining” per avere il massimo delle informazioni sullo stato vegetativo, sul livello di coscienza del paziente e sulle sue possibilità di recupero”, questioni su cui “sappiamo ancora molto poco”. Nella diversità delle religioni, “i principi fondanti condivisibili sono comuni”, fa notare a conclusione dell’incontro Massimo Antonelli, direttore del Centro di ateneo per la vita e della Siaarti, secondo il quale “si deve lavorare insieme per poter avere un atteggiamento, un comportamento che sia uniforme anche su ‘casi specifici’ che travalichino le differenze regionali”. Vita La n. 44 TRADIZIONI E NOVITà 14 dicembre 2014 attualità ecclesiale L’Avvento in Europa: candele, selfie preghiere e internet D La Corale Discantus, la Caritas e la Delegazione per l’insegnamento della diocesi di Cartagena, in Spagna, promuovono, ad esempio, il progetto “Un giocattolo, una canzone”, campagna solidale che viene estesa alle scuole della regione di Murcia per raccogliere giocattoli che la Caritas distribuirà il 25 dicembre alle famiglie più povere. Negli istituti scolastici sono giunti degli scatoloni vuoti in cui i ragazzi potranno lasciare i loro giochi per i coetanei più bisognosi; gli scatoloni saranno ritirati il 19 dicembre. Sempre la Caritas, questa volta del Lussemburgo, invita a fare “un regalo utile”, come un pollo, una capra o una mucca, perché “regalare a Natale una capra può cambiare la vita di una famiglia nel bisogno”. L’iniziativa guarda al Sud Sudan, dove “possedere polli, capre o un bovino N el prologo del vangelo di Giovanni, nel primo capitolo, al versetto 6 si legge, “ Venne un uomo mandato da Dio”. Essendo il progetto di Dio rivolto all’uomo, all’umanità, il Signore per manifestarsi sceglie un uomo. Non un esponente della casta sacerdotale o dell’élite spirituale, notoriamente refrattarie agli inviti dello Spirito, alle novità. L’evangelista scrive che quest’uomo aveva come nome Giovanni, che in ebraico significa “il Signore è misericordia”. “Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce perché tutti credessero per mezzo di lui”. La missione di Giovanni non é limitata a un popolo, a una nazione, a una religione, ma è una chiamata universale per risvegliare negli uomini il desiderio di vita e renderli coscienti dell’esistenza della luce. Precisa l’evangelista: “Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce”; quindi la luce quella vera sta per arrivare. Ebbene, appena c’è un bagliore di luce, anzi un annuncio di luce, ecco che scattano subito le tenebre. In questo vangelo le tenebre sono le autorità religiose nemiche di ogni novità dello Spirito. “Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei” (per Giudei in questo vangelo non si intende il popolo ebraico, ma i capi, le autorità religiose) “gli inviarono da Gerusalemme” (la sede dell’istituzione religiosa) “sacerdoti”, cioè gli addetti al culto, “e leviti” (che svolgevano anche la funzione di polizia all’interno del tempio). “A interrogarlo”: è lo stesso che l’evangelista adopererà per l’interrogatorio di Gesù da parte del sommo sacerdote. Quindi ha connotazione negativa; è scattato Nel Vecchio Continente convivono consolidate proposte spirituali con originali iniziative che utilizzano le nuove tecnologie digitali. Tante le azioni a carattere solidale verso bambini, anziani e stranieri. Non mancano attenzioni concrete rivolte ai Paesi poveri di Gianni Borsa portare la speranza della luce di Natale”. La stessa diocesi, inoltre, ha avviato una raccolta fondi che sostiene progetti di aiuto a piccole imprese nel terzo mondo. al calendario con le finestrelle ai dolci al miele, dalle novene ai presepi artigianali, fino ai mercatini stile tirolese: ogni regione, diocesi e città italiana ha le sue piccole o grandi tradizioni per il periodo d’Avvento. Alcune squisitamente religiose e spirituali, altre - non meno apprezzate - a carattere solidale, sociale, gastronomico. Allo stesso modo girando l’Europa si riscontra la medesima e fantasiosa varietà di proposte, moltiplicate dalle diversità storiche, culturali, geografiche. Inoltre le varie confessioni cristiane che abitano il Vecchio Continente hanno specifiche iniziative per preparare il Natale. In queste settimane, dal Portogallo ai Balcani, dalle isole britanniche ai Paesi baltici, è soprattutto un fiorire di iniziative verso bambini, giovani, anziani e stranieri, che si accompagnano ad azioni di carattere internazionale e a suggerimenti per la preghiera personale. Giocattoli solidali, capre, sms… 5 Opuscoli in famiglia migliora considerevolmente lo stile di vita”. Passando alla Germania, i fedeli della diocesi di Fulda hanno il loro calendario d’Avvento sul cellulare: ogni mattina di dicembre un sms apre la finestrella del calendario virtuale, donando una frase “per vivere al meglio il tempo di preghiera”. A Regensburg grande attenzione al cammino di fede delle famiglie: la diocesi ha pubblicato un opuscolo che copre tutto il tempo d’Avvento, con una guida alla preghiera e alla contemplazione da vivere in casa, con gli amici o i vicini. Riflessioni del vescovo, selfie e luci di Natale Anche la diocesi di Vienna, in Austria, punta sulle nuove tecnologie. Le riflessioni quotidiane dell’arcivescovo, cardinale Christoph Schönborn, sono pubblicate nel sito web diocesano. Sono inoltre proposti i percorsi dei tradizionali “carolers”, i bambini Cantori della stella, che seguono i Tre re verso la capanna di Nazareth raccogliendo fondi per opere di carità. Nei Paesi Bassi l’Avvento passa, oltre alle consuete celebrazioni, attraverso un selfie. “Con l’iniziativa dell’avvento (Advents Actie), la Chiesa cattolica vuole che la luce raggiunga le persone che stanno lottando e talvolta non hanno più la speranza di vedere la luce”. L’iniziativa “spreadthelight”, diffondi la luce, prevede che i fedeli realizzino “un selfie con una candela accesa per poi postare l’immagine sui social media con il tag #spreadthelight”. Il messaggio centrale e l’invito sono a “lavorare insieme per La Parola e le parole III domenica di Avvento - anno B Is 61,1-2a.10-11; Sal. Lc1,46-54; 1Tes 5,16-24;Gv 1,6-8.19-28 l’allarme delle tenebre. Al primo bagliore di luce mandano sacerdoti per interrogarlo e leviti, poliziotti, per arrestarlo. E brutalmente gli chiedono: «Tu chi sei?» Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo», cioè il Messia, che è quello che temono. Si credeva che il Messia alla sua venuta avrebbe deposto l’intera gerarchia religiosa che era indegna, avrebbe fatto piazza pulita del sacerdozio corrotto e compromesso con il potere. Quindi è questo che temono. “Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?» Si credeva, grazie ad una profezia di Malachia, che Elia avrebbe preceduto la venuta del Messia. E Giovanni risponde: «Non lo sono»”. «Sei tu il profeta?», il profeta promesso da Dio a Mosè. «No, rispose». Le risposte di Giovanni sono via via sempre più secche. Ebbene questi inquisitori rimangono spiazzati e gli devono chiedere quindi: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato», cioè i capi, le massime autorità religiose. «Che cosa dici di te stesso?» Per loro non può essere innocente uno che inizia un’attività senza avere il mandato delle autorità competenti, quindi chiedono che Giovanni stesso si accusi. Rispose: «Io sono», ma la traduzione non è esatta. Io sono è un’espressione che l’evangelista adopera unicamente per Gesù, e una volta per il cieco nato perché è creato a immagine e somiglian- za di Gesù. “Io sono” è il nome divino. Quindi Giovanni risponde: «Io voce di uno che grida nel deserto», o meglio dal deserto. E’ la profezia di Isaia, capitolo 40, versetto 3, dove si annunzia la liberazione dalla schiavitù di Babilonia. Solo che l’evangelista, nell’attribuire queste parole a Giovanni Battista, omette il versetto “preparate la strada al Signore”. Le autorità non devono preparargli nulla. Conserva invece “rendete diritta la via del Signore”, siete voi che l’avete complicata, l’avete storta e siete voi che la dovete raddrizzare. Quindi Giovanni Battista non concede nulla alle autorità, non devono preparare nulla. “Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei”, meglio tradurre “c’erano anche inviati dai farisei”, quindi non sono soltanto sacerdoti e leviti, ma anche i farisei, l’élite spirituale dell’epoca. “Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?» Sono inquieti. Il fatto che Giovanni sta battezzando lo contraddistingue come inviato da Dio senza che abbia nessun mandato, nessuna autorizzazione. E’ interessante l’uso del verbo “inviare”. All’inizio “venne un uomo”, letteralmente, “inviato da Dio”. Mentre Dio invia un uomo per annunziare la luce e la vita, le autorità inviano da Gerusalemme l’inquisizione. Le tenebre tentano di soffocare la luce. E in queste tenebre ci sono e siti internet In Serbia la diocesi di Belgrado ha preparato e distribuito opuscoli intitolati “Rinnovare l’anima, la mente e il corpo per incontrare il Signore che viene”, pensati per le famiglie. Sulle stesse pubblicazioni appare l’articolato programma culturale e religioso dedicato alle parrocchie. La Caritas sta distribuendo voucher per le spese essenziali negli 11 comuni più colpiti dalle forti alluvioni avvenute in Serbia la scorsa primavera. La Chiesa di Bulgaria invece ha predisposto il portale web youth-bg.com, in cui i giovani trovano, accanto alle riflessioni per le settimane dell’Avvento, una sezione dedicata alle testimonianze di altri giovani che condividono la loro esperienza di vita e fede. Sono state inoltre pensate alcune azioni, compreso un digiuno condiviso con la maggioritaria comunità ortodossa. Nella Repubblica Ceca un centinaio di parrocchie cattoliche e comunità di altre denominazioni cristiane hanno aderito a un progetto web dal titolo “Natale cristiano”, con l’intenzione di diffondere lo spirito dell’Avvento e dell’imminente Natale.All’indirizzo www.krestanskevanoce.cz si trovano informazioni sul significato spirituale del Natale, oltre a un riepilogo dettagliato delle Messe, incontri di preghiera, mostre di presepi, concerti e spettacoli, canti natalizi, ritiri spirituali. La Conferenza episcopale della Slovacchia ha diffuso una lettera pastorale oltre a una speciale guida per le prossime settimane dal titolo “Avvento con Giovanni Paolo II”. anche i farisei che appaiono qui per la prima volta a interrogare Giovanni e l’ultima volta al momento dell’arresto di Gesù. Sono queste persone molto spirituali, completamente refrattarie all’azione dello Spirito. Ed ecco la risposta di Giovanni: «Io battezzo nell’acqua», il battesimo nell’acqua era un segno di morte al proprio passato, di seppellire il passato per iniziare una vita nuova, ma poi ecco l’accusa che l’evangelista porterà avanti in tutto il vangelo: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete», e mai conosceranno! Le tenebre non possono percepire la luce e quindi i capi religiosi mai conosceranno il figlio di Dio, il Messia. E qui tanto più i farisei che sono i cultori della legge. I cultori della legge non possono riconoscere l’azione dello Spirito. «A colui che viene dopo di me non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Quest’espressione si rifà alla legge del levirato e indica in diritto di mettere incinta la donna vedova. Anche qui Giovanni Battista nega di essere lui lo sposo che doveva fecondare la vedova, Israele, ma lui è soltanto colui che è venuta a prepararla. E il brano termina: “Questo avvenne in Betania, al di là del Giordano”. Il Giordano viene usato nell’Antico Testamento come fiume di passaggio da parte di Giosuè per entrare nella terra promessa. Con questa citazione l’evangelista vuol far capire che la terra promessa ormai si trova al di fuori di Israele. La terra promessa è diventata terra di schiavitù, l’immagine dell’istituzione religiosa, e da questa bisogna uscire. E Gesù inizia il suo esodo liberatore. Don Timoteo Bushishi 6 Come sempre l’annuale rapporto del Censis fotografa in profondità la nostra società in continuo cambiamento e fornisce indicazioni preziose per la sua lettura e per l’azione politica e anche per l’attività pastorale che ne possono seguire n. 44 14 dicembre 2014 RAPPORTO CENSIS 2014 Una «società delle sette giare» G iunto alla 48ª edizione, il Rapporto Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese nella difficile congiuntura che stiamo attraversando. Le Considerazioni generali introducono il Rapporto sottolineando come il Paese viva una profonda crisi della cultura sistemica: nella «società delle sette giare», i poteri sovranazionali, la politica nazionale, le sedi istituzionali, le minoranze vitali, la gente del quotidiano, il sommerso e la comunicazione appaiono come mondi non comunicanti, che vivono di se stessi e in se stessi. Nella seconda parte,«La società italiana al 2014», vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno, descrivendo una società satura dal capitale inagito, la solitudine dei soggetti, i punti di forza e di debolezza dell’Italia fuori dall’Italia. Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, il governo pubblico, la sicurezza e la cittadinanza. Una profonda crisi della cultura sistemica Siamo una società liquida che rende liquefatto il sistema. Senza ordine sistemico, i singoli soggetti sono a disagio, si sentono abbandonati a se stessi, in una obbligata solitudine: vale per il singolo imprenditore come per la singola famiglia. Tale estraneità porta a un fatalismo cinico e a episodi di secessionismo sommerso, ormai presenti in varie realtà locali. La società delle sette giare La profonda crisi della cultura sistemica induce a una ulteriore propensione della nostra società a vivere in orizzontale. Interessi e comportamenti individuali e collettivi si aggregano in mondi non dialoganti. Non comunicando in verticale, restano mondi che vivono in se stessi e di se stessi. L’attuale realtà italiana si può definire come una «società delle sette giare», cioè contenitori caratterizzati da una ricca potenza interna, mondi in cui le dinamiche più significative avvengono all’interno del loro parallelo sobollire, ma Lo storico animatore del Censis, Giuseppe De Rita senza processi esterni di scambio e di dialettica. Le sette giare sono: i poteri sovranazionali, la politica nazionale, le sedi istituzionali, le minoranze vitali, la gente del quotidiano, il sommerso, il mondo della comunicazione. I poteri sovranazionali Siamo sempre più condizionati dal circuito sovranazionale, senza che mai corrisponda alle aspettative collettive. La finanza internazionale si regola e ci regola attraverso lo strumento del mercato con procedure che vivono di vita propria, senza innervare una reale dialettica con le realtà nazionali. E le autorità comunitarie, con i vincoli cui sono sottoposti gli Stati (direttive, controlli, parametri, patti di stabilità, fiscal compact), comportano una crescente cessione di sovranità (quasi una sudditanza), che spinge a un crescente egoismo nazionale e a un continuo confronto duro sui relativi interessi. La politica nazionale. Non riuscendo a modificare i circuiti di potere sovraordinato, la politica è riconfinata nell’ambito nazionale, con la reazione di rilanciare il primato della politica. In una società molto frammentata e molecolare si era creato un vuoto di decisionalità e di orientamento complessivo. Su questo vuoto si è costruita un’onda di rivincita sulla rappresentanza, sui corpi intermedi, sulle istituzioni locali, stimolando così una empatia consensuale. Ma il primato della politica rischia di restare senza efficacia collettiva, a causa della perdita di sovranità verso l’alto e non avendo potere reale verso il basso, perché la volontà decisionale e la decretazione d’urgenza supportata dai voti di fiducia non sempre riescono a passare all’incasso sul piano dell’amministrazione corrente e dei comportamenti collettivi. La politica rischia di restare confinata al gioco della sola politica. Le istituzioni.Vivono in una dinamica tutta loro: abbiamo grandi enti pubblici vuoti di competenze il cui funzionamento è appaltato a società esterne di consulenza o di informatica, personale pubblico (anche giudiziario) che sente la tentazione di fare politica o passa a occupare altri ruoli (di garanzia o di gestione operativa), un costante rimpallo delle responsabilità fra le diverse sedi di potere, rincorse infinite fra decisioni e ricorsi conseguenti. La giara sobolle in piena inefficacia collettiva. Le minoranze vitali. I medio-piccoli imprenditori concentrati sull’export e sulla presenza internazionale nel manifatturiero, ma anche nell’agroalimentare, nel turismo, nel digitale, nel terziario di qualità, costituiscono un insieme variegato che si è rivelato molto competitivo. Tendono però a non fare gruppo. Preferiscono vivere ancorati alle loro dinamiche aziendali, con una durezza della competizione che alimenta il loro gene egoista, riducendo le relazioni verso l’esterno. I vari protagonisti si sentono poco assistiti dal sistema pubblico, così aumenta il loro congenito individualismo e si riducono le loro appartenenze associative e di rappresentanza. La gente del quotidiano. È un altro mondo che vive di se stesso. Qui non c’è mobilità verticale, né perseguita singolarmente, né espressa in aggregazioni intermedie (sindacali, professionali, sociali). C’è una sospensione delle aspettative. È un terreno dove possono incubarsi crescenti diseguaglianze e imprevedibili tensioni sociali. Emerge solo la voglia dei nuovi diritti nella sfera individuale, con rivendicazioni soggettive (il diritto di avere un figlio anche in età avanzata, alla dolce morte, ad avere un matrimonio di tipo paritario) che però riguardano una minoranza attivista incapace di indurre grandi trasformazioni sociali, come era invece avvenuto negli anni ‘70 (anni di grandi battaglie sui diritti, ma anche di grandi desideri collettivi). Il sommerso. Consente a famiglie e imprese di reggere, è il riferimento adattativo di milioni di italiani. C’è una recrudescenza della propensione di tutti a nascondersi, proteggersi e sommergersi, che riguarda l’occupazione, la formazione del reddito, la propensione al risparmio, anch’esso sommerso, in nero, cash. Il mondo del sommerso rinforza così l’estraneità alle generali politiche di sistema. I media. Incardinati al binomio opinione-evento, i grandi media si allontanano dal rigoroso mandato di aderenza alla realtà e di sua rappresentazione. E i media digitali personali rispondono sempre più alla tendenza dei singoli alla introflessione. La pratica diffusa del selfie è l’evidenza fenomenologica della concezione dei media come specchi introflessi piuttosto che strumenti attraverso i quali scoprire il mondo e relazionarsi con esso. La politica sia arte di guida Le sette giare vanno connesse tramite una crescita della politica come funzione di rispecchiamento e orientamento della società, come arte di guida e non coazione di comando, riprendendo la sua funzione di promotore dell’interesse collettivo, se si vuole evitare che la dinamica tutta interna alle sette giare porti a una perdita di energia collettiva, a una inerte accettazione dell’esistente, al consolidamento della deflazione che stiamo attraversando. Una deflazione economica, ma anche delle aspettative individuali e collettive, della mobilità verticale individuale e di gruppo, della rappresentanza degli interessi, della capacità di governo ordinario (malgrado la proliferazione decretizia di tipo verticistico). E di fronte al problema del capitale inagito del Paese, il Presidente del Censis, Giuseppe De Rita, richiama le parole del frate francescano Bernardino da Feltre: «Moneta potest esse considerata vel rei vel, si movimentata est, capitale». È la prima volta che il termine «capitale» con logica di «moneta movimentata» entra nella cultura occidentale, qualche secolo prima di Marx e di Weber: se le risorse liquide non si movimentano, restano sterili, sono solo cose. Vita La DALLA DIOCESI CENTRO DI MONTEOLIVETO “Le voci di... Eduardo” Presso la Biblioteca del Centro Monteoliveto, in via Bindi,14, sabato 13 dicembre, alle ore 17,30, il Gad “Città di Pistoia” presenta lo spettacolo “Le voci di.... Eduardo” con la regia di Gennaro Criscuolo. La rappresentazione è un omaggio a Eduardo De Filippo nel trentennale della morte. Tutti sono invitati e l’ingresso è libero. Segue cena di beneficenza a favore del Centro Monteoliveto. INFO e prenotazioni: tel. 0573 975064. PASTORALE DELLA TERZA ETA’ Scambio di auguri Mercoledì 17 dicembre alle 17, la pastorale della terza età incontrerà i suoi associati nei locali del centro famiglia sant’Anna, vicolo dei Pazzi, 16 (il parcheggio della vecchia sede degli ambulatori della Misericordia è vicinissimo), e nell’occasione ci sarà lo scambio degli auguri di Natale. Il programma prevede: ore 17: Messa nella vicina chiesa delle Clarisse. Al termine della Messa ci sarà un buffet natalizio. CARITAS DIOCESANA Porta un tuo giocattolo e dona un sorriso a un altro bambino Venerdì 19 dicembre dalle ore 16, presso “Le foto di Riccardo” a Pistoia, via Sandro Pertini, 754, tel. 0573.308368, porta un vecchio giocattolo che sarà donato ai bambini della Caritas diocesana di Pistoia. Il natale è sempre un periodo di festa per tutti ed in particolare i bambini. Ci piacerebbe che queste feste fossero anche un momento di riflessione e di sensibilizzazione ai problemi dei più bisognosi. Grazie alla caritas diocesana vorremmo invitare i bambini che riceveranno tanti doni a donare qualcosa, rinunciando ad un loro vecchio gioco per donare un sorriso ai bambini meno fortunati. L’idea è quella di far vivere il dono ai bambini, non come momento di rinuncia, ma di felicità per qualcuno meno fortunato, passando così da sterile beneficenza a momento di fattiva conpartecipazione e solidarietà. Da parte nostra e da dal network Junior photo Planet regaleremo una fotografia ricordo con Babbo Natale e tutte le famiglie che prenoteranno un servizio fotografico omaggio ci aiuteranno a donare un vaccino all’UNICEF. Pistoia Sette N. 44 « 14 DICEMBRE 2014 Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te». E’ con il saluto col quale l’arcangelo Gabriele si presentò a Maria che mons. Tardelli si rivolge già con affetto paterno alla Diocesi di Pistoia nella sua prima omelia. «Come Gabriele, anch’io mi sento realmente inviato dal Signore ad annunciarti questa gioia, ad invitarti a rallegrati e a esultare. Non tanto perché oggi hai un nuovo vescovo, un nuovo pastore nella mia persona: avresti ben poco da rallegrati per questo, vista la mia pochezza, quanto piuttosto perché Dio ti ama, ieri e oggi; ti ha riempito del suo amore, sei la sua sposa bella, in cui Egli ha riposto la sua compiacenza. Si, carissimi, è questa la prima cosa che la festa solenne dell’Immacolata concezione di Maria ci ricorda: che l’amore del Signore è grande e non viene meno, che il suo amore per noi è senza limiti e che questo amore è creativo, rigenerativo, trasformante. Capace cioè di trasfigurare la nostra pochezza in santità. In Gesù Cristo, il Padre – ce lo diceva San Paolo nella II lettura – “ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo.” Siamo convinti di questo, fratelli e sorelle? Ne siamo esistenzialmente convinti o forse andiamo a cercare le nostre sicurezze altrove, le nostre gioie e consolazioni in ciò che non può darci né gioia né consolazione? Siamo profondamenti consapevoli che è solo nell’essere amati da parte di un Dio che ci è Padre che sta la nostra consistenza personale e di Chiesa? Oppure confidiamo in noi stessi, nel nostro amor proprio, nell’idolo del nostro io, nelle nostre idee che divengono ben presto “ideologie”? Se fosse così, non potremmo altro che sperimentare alla fine l’amarezza del nostro peccato – come ci narra il racconto della Genesi – la rabbia delle nostre sconfitte, l’amara gelosia del sentirci defraudati di qualcosa da qualcuno, il risentimento che diventa giudizio rancoroso del fratello. E non ci sarebbe più pace”. “Quando invece sentiamo per davvero di essere amati nonostante i nostri limiti e peccati. Quando ci accorgiamo di non essere niente, ma che ugualmente Dio ci invita a rallegrarci, perché Egli, nel mistero insondabile del suo amore ci ha scelti, ci ha fatto suoi e ci ha innalzato fino alla dignità di figli veri; quando la consapevolezza dell’amore di Dio per noi fa traboccare di gioia il nostro cuore e riconosciamo, con infinita riconoscenza che proprio anche a noi, l’angelo dice: il Signore è con te, rallegrati! Beh allora le cose cambiano veramente. Allora sorge l’alba di un giorno nuovo nella nostra vita e il canto sgorga dall’anima come un fiume in piena. L’amore si diffonde intorno a noi e ogni fratello, anche il più piccolo e dimenticato si sente coinvolto da un torrente di benedizione e di con- L’OMELIA D’INGRESSO DEL NUOVO VESCOVO “La Chiesa non è altro che amore ricevuto e donato” solazione, al nostro solo incontraci. Ce lo ha ricordato Papa Francesco nell’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” proprio nelle prime parole, alle quali, lo dico da subito, vorrei ispirare tutto il mio ministero in mezzo a voi: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia.” La Chiesa del Signore non esiste altro che per questo. Per fare questa esperienza e trasmetterla al mondo: l’esperienza cioè della gioia vera”. “La Chiesa non è altro che amore ricevuto e donato, gioia della scoperta di una misericordia che ci è usata e che diventa messaggio di speranza per tutti. La Chiesa di Gesù Cristo - non quella di Papa Francesco, o di Paolo VI o di Papa Benedetto o di chiunque altro - la Chiesa di Gesù Cristo sono uomini e donne, che non smettono di riconoscere il proprio peccato, ma sanno di poter confidare nella potenza dell’amore di Cristo, nel soffio vitale dello Spirito e come ossa aride, riprendono vita e ogni giorno provano a vivere nella giustizia, nella verità e nella pace. Così la chiesa è vessillo innalzato in mezzo alle nazioni, luce del mondo, città posta sul monte. In questo modo la chiesa si dimostra veramente serva di ogni uomo sull’esempio del suo Signore e si fa segno umile e forte dell’unità di tutto il genere umano. Non sono le strutture da cambiare nella chiesa, carissimi amici! Non è l’alchimia di nuove formule, magari maggiormente democratiche a fare della chiesa qualcosa di più rispondente al suo Signore! Non sarà un adattarsi allo spirito del mondo, alle mode culturali del momento o ai capricci dell’uomo a renderla fermento del mondo nuovo! Non sarà il trasformarsi in un’impresa sociale a farla essere gesto concreto d’amore per gli ultimi: sarà invece soltanto la gioia sperimentata nell’incontro con Cristo, in un incontro di salvezza e di profondo rinnovamento interiore che trasforma la mia, la tua, la nostra vita, a fare bella la sposa di Cristo. Mi vengono qui in mente le stupende parole di San Macario il grande in un’omelia a lui attribuita:“Povera quell’anima in cui non cammina il Signore, …. Guai all’anima che non ha in sé il vero timoniere, Cristo! Avvolta dalle tenebre di un mare agitato e sbattuta dalle onde degli affetti malsani, sconquassata dagli spiriti maligni come da un uragano invernale, andrà miseramente in rovina. Guai all’anima priva di Cristo, l’unico che possa colti- varla diligentemente perché produca i buoni frutti dello Spirito!” (Om. 28; PG 34, 710-711)”. “Cara Chiesa di Pistoia, rallegrati allora ogni giorno, dell’amore del tuo Signore. Non cedere al lamento, alla paura, alla recriminazione, alla stanchezza. Godi della presenza del tuo Signore in mezzo a te. Amalo con tutte le tue forze e in ogni tua componente, a partire dai presbiteri e dai diaconi. Ama il tuo Signore, rallegrandoti del suo amore per te e del fatto che se ti ha scelta come sua sposa, questa scelta non verrà meno, perché Egli è fedele per sempre. Le tue rughe non contano, le tue ferite non significano niente, i tuoi peccati non hanno il potere di distruggere l’amore che Dio ha per te. Rinvigorisci le tue membra fiacche, rialzati se sei caduta, asciuga le lacrime se qualche volta hai pianto. Profumati il capo, ungi di olio di letizia tutte le tue strutture, i tuoi servizi, le tue realtà. Diffondi nella città degli uomini, in questa terra pistoiese il buon profumo di Cristo, l’aria fresca dell’amore fraterno, l’aria pulita della condivisione delle gioie e dei dolori, delle attese e delle speranze degli ultimi e degli scartati di questa società. L’Immacolata vergine Maria è il tuo modello, il nostro punto di riferimento. Lei la tutta santa. La piena di grazia. La fedele ancella del Signore. La donna forte. La sua umiltà la fa capace di proclamare la sconfitta dei superbi e degli orgogliosi; la sua semplicità la mette in grado di contestare i potenti di questo mondo e la sua povertà le permette di profetizzare che i ricchi se ne andranno a mani vuote. L’essere tutta di Dio, la fa essere annuncio e presenza rivoluzionaria nel mondo: la rivoluzione dell’amore di Cristo. La sola che può cambiare davvero il mondo, a partire dai nostri cuori. A Maria SS. vogliamo assomigliare perciò, come singoli e come Chiesa. Non possiamo andare al Signore se non passando da lei. Lei può aiutarci con la sua materna vicinanza. Affidandoci a lei possiamo sconfiggere il serpente antico, perchè da Lei esce Colui che schiaccia la testa a quel maligno che è sempre all’opera, che insidia la nostra vita personale, quella dei presbiteri e delle nostre parrocchie come della società, che semina zizania nella chiesa e nel mondo, che divide e spinge gli uomini a farsi guerra l’un l’altro, che corrompe gli animi e convince gli uomini alla menzogna e alla corruzione. In Maria abbiamo la difesa, il baluardo che riconducendoci costantemente a Cristo ci aiuta ad essere coraggiosi e a combattere decisamente le forze disgregatrici che sono in noi e nella società. Non avremo perciò paura, nel combattimento. Non ci smarriremo, nella lotta. Non ci ingannerà il menzognero. Anche se la lotta oggi si fa dura e la verità del Vangelo è attaccata da ogni parte, apertamente o in modo subdolo, restando uniti tra di noi e con Maria, il Regno di Cristo si affermerà e le tenebre, ovunque siano, arretreranno”. “La festa odierna non è però grido di speranza soltanto per la Chiesa, per i credenti. Essa racchiude un messaggio anche per la città degli uomini, per questa città e territorio. E’ un inno alla vita, quello che si sprigiona dalla festa odierna. Un inno a non rassegnarsi. Oggi infatti si proclama in Maria che il male morale e sociale, la barbarie, l’ingiustizia, causa vera della crisi attuale, come pure ogni nefandezza e malaffare che pur sembrano dilagare, possono essere vinti. Con Dio, per chi crede in Lui. Seguendo con onestà i dettami della propria coscienza, per ogni uomo di buona volontà. Stringendoci comunque insieme nell’abbraccio solidale di persone che finalmente si riconoscono fratelli e fratelli soprattutto di chi non pare essere tale. Maria SS. concepita senza peccato originale è invito a credere alla giovinezza perenne della vita, a ritenere possibile ciò che sembra impossibile. E’ un invito forte e chiaro a vincere la rassegnazione e lo sconforto, a non inaridirci ripiegandoci nella cura dei nostri interessi individuali e nel cinismo, è invito invece a darci da fare con tutta la fantasia, l’energia e l’ostinata generosità possibile, per trovare insieme soluzioni ai problemi che diano dignità ad ogni essere umano e realizzino un mondo più giusto, dove ci sia soprattutto in questo momento, lavoro,“progresso sociale, pace duratura e libertà religiosa” per tutti. (Preghiera universale del Venerdì Santo) Ed ora, riprendendo la celebrazione eucaristica, nella commozione di questo momento, lasciate che ricordi almeno gli ultimi pastori che con grande dedizione e amore hanno guidato questa santa Chiesa di Pistoia e che anch’io ho avuto modo di conoscere e che conosco: Il Vescovo Simone e il Vescovo Mansueto. Quanto di bene hanno seminato, ha portato e porterà frutto abbondante. Ne sono certo. Infine, permettetemi di ricordare ancora una volta in modo del tutto speciale chi ho incontrato quest’oggi, prima di salire all’altare. In particolare i malati, i detenuti, i fratelli e le sorelle della mensa, i disabili. Assieme a loro, voglio ricordare al Signore in questa Eucaristia chi nella vita sta incontrando difficoltà, materiali o spirituali, i più dimenticati di tutti, come pure tutti quelli che provengono da altre parti del mondo e sono in mezzo a noi in cerca di pane e dignità.Tutti, voglio portare qui con me, con noi, attorno alla mensa della parola e del pane di Dio. Perché a nessuno si spenga nel cuore la speranza». 8 comunità ecclesiale V escovo Fausto, eminenza, eccellenze, popolo di Dio, autorità civili e militari, parlamentari e città di Pistoia, la nostra Chiesa Cattedrale è in festa per l’ingresso solenne del suo pastore inviato a noi dal vescovo di Roma papa Francesco. “Rallegriamoci ed esultiamo rendiamo a lui gloria, perché siamo invitati a vivere le nozze dell’agnello; la sua sposa, questa Chiesa di Pistoia, è pronta, ha indossato una veste di lino bianco splendente, è la veste trasparente di splendore trinitario sgorgata dal seno battesimale. Il vestito di Lino sono le opere giuste dei santi, da sant’Atto, san Zeno, fino ad oggi. E’ il vestito proclamato da Gesù sul monte è il discorso della montagna fatto carne nella sua sposa, la Chiesa, la sua Chiesa di Pistoia, che si proclama fragile e peccatrice, che contiene un tesoro di valore inestimabile in vasi di creta, perché nella debolezza risplenda la potenza del Signore. Vasi di creta chiamati ad essere, come ci ricorda Sant’Ignazio di Antiochia, frumento di Cristo, macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Cibo da donare a chi si trova nelle varie periferie, cibo che può nutrire chi è povero, ultimo, il più povero dei poveri. Siamo Chiesa di Pistoia, comunità di credenti, comunità in ascolto del Vangelo, che celebra, che ama, perché dall’eucarestia nasce la carità, ma a volte il nostro stare insieme è attraversato da personalismi antichi e nuovi, da superficialità moderne, da desideri di potere o di carriera manifesti o celati, che ostacolano la realizzazione del piano di Dio che È stato accolto dall’abbraccio della comunità della piccola parrocchia di Santa Teresa di Gesù Bambino a Mastromarco, nel comune di Lamporecchio, il nuovo vescovo di Pistoia monsignor Fausto Tardelli, che ha scelto, nel giorno del suo insediamento, di compiere un simbolico viaggio nei luoghi simbolo della diocesi di Pistoia; la piccola chiesa di Mastromarco, appunto, come punto di confine fra la diocesi pistoiese e quella di San Miniato che ha guidato per 10, dal 2004, l’ospedale San Jacopo, per portare il saluto ai malati, a chi soffre; nella casa circondariale di Santa caterina in Brana e alla mensa diocesana don Siro Butelli. Nominato vescovo da Papa Francesco lo scorso 8 ottobre, nel suo ultimo post dal suo profilo facebook monsignor Tardelli ha salutato i nuovi e i vecchi fedeli; bi- n. 44 14 dicembre 2014 LA CHIESA DI PISTOIA E’ IN FESTA PER L’INGRESSO DEL VESCOVO FAUSTO Vita La L’inverno è passato, i fiori sono tornati consiste nell’essere Chiesa una santa cattolica e apostolica con il vescovo, pastore e guida che autorevolmente ci da sicurezza e ci conduce ad acque tranquille e ci fa riposare sui pascoli erbosi del Padre che dona a tutti la sua paternità in Cristo per mezzo dello Spirito. Noi vogliamo essere Chiesa di Pistoia da lei sorvegliata, servita e amata che, come ci ricorda san Paolo, vuole portare nel proprio corpo la morte di Gesù, perché si manifesti nel nostro corpo la vita di Gesù, la vita della risurrezione, della tomba vuota dell’antica legge e il grido della Maddalena che inaugura i tempi nuovi, il profumo meraviglioso della santità del Signore risorto significata dalla veste battesimale della Chiesa. “Rabbunì” è il grido paradisiaco di Maria che profuma di gioia quell’aria triste di Gerusalemme, che attraversa lo spazio e il tempo e appartiene ad ogni epoca e ad ogni realtà spaziale. La Chiesa intera, la Chiesa di Pistoia questa sera fa suo quel grido di fede e di amore di una donna che era stata peccatrice, ma che attraverso il perdono donatole dal suo maestro, diventa la prima testimone della risurrezione, la prima vivente del nuovo mondo, la prima persona che inizia una nuova storia che si compirà nello splendore della Gerusalemme celeste. Il profumo cristico della primavera cristiana (gli albori della Chiesa) possa attirare di nuovo la creazione intera nel deserto, la Chiesa intera, la sua Chiesa di Pistoia nel deserto dove lo sposo parla al cuore della sposa per invitarla a dire il suo eccomi, come Maria di cui oggi celebriamo la sua Immacolata Concezione, ed è a lei che affidiamo il vescovo Fausto, il popolo di Dio, la città. Concludo citando il cantico dei cantici con le parole dell’amato alla sposa “Alzati amica mia, mia bella e vieni presto, l’inverno è passato, la pioggia se ne è andata e i fiori son tornati...”. Vescovo Fausto porti questa voce a tutta la sua Chiesa di Pistoia, l’inverno è passato, l’inverno, con tutte le sue accezioni di tristezza, di divisioni di disamore, di disobbedienza, perché i fiori sono tornati, cioè il profumo di Cristo, della sua parola dei sacramenti, della carità agapè e della sinodalità del Vaticano II e non altre, diventino carne vivente del suo popolo pistoiese. E tutti noi presbiteri diaconi religiosi e religiose, popolo di Dio vogliamo essere la voce della sposa che grida “il mio amato è per me e io sono sua, più dolce del vino è il suo amore”. Qui appare l’armonia e Il vescovo Fausto in mezzo agli ultimi Tutte le foto del servizio sull’entrata del vescovo Tardelli sono di Dino Mascagni sogna partire, ha scritto – il tempo si è fatto breve.Vado in una terra che sarà la mia nuova famiglia. Una famiglia che l’ha subito accolto con un grande abbraccio. Ad aspettarlo a Mastomarco, al suo arrivo puntuale alle 9,00, monsignor Paolo Palazzi, amministratore diocesano, insieme al parroco don Francesco Pieraccini e il sindaco di lamporecchio Ferdinando Betti. Con loro tanti fedeli. La seconda tappa è stata l’ospedale San Jacopo di Pistoia. Qui monsignor Tardelli è stato ricevuto dal direttore generale della Asl3 Roberto Abati che lo accompa- la sublimità della sapienza di Dio che è superiore di ogni sapienza umana, rivelata ai piccoli, ai puri di cuore, ai poveri ai miti, agli operatori di pace, ai misericordiosi, ai perseguitati per la giustizia.... Vogliamo essere uniti nella lode al Signore e nel servizio alla sua Chiesa, vogliamo essere, da lei guidati, pane che si spezza di amore in Cristo, per tutti sopratutto per i lontani, per i poveri, i sofferenti, per gli ultimi, per tanti ultimi anche per quelli divenuti tali per le attuali difficoltà economiche, presenti anche nel nostro territorio pistoiese. Annunciare alla nostra società la dottrina sociale della Chiesa, quella della Caritas in Veritate di papa Benedetto e quella dell’Evangelii Gaudium di papa Francesco che sono la via nuova per costruire un tessuto economico sempre più giusto e umano nel rispetto assoluto della dignità di ogni persona. Vogliamo essere un presbiterio che pur nelle diversità oggettive di impostazione pastorale, vuole essere con lei una unità ecclesiale e ministeriale, suoi collaboratori, poveri, umili, gioiosi annunciatori del Vangelo della verità, della speranza e della carità. Grazie Signore, grazie papa Francesco, grazie vescovo Fausto. Paolo Palazzi gnato all’interno della struttura ospedaliera. Il vescovo ha visitato i reparti di pediatria, ostetricia, medicina, emodialisi pronto soccorso. Una sorta di percorso simbolico della vita, dalla nascita alla morte. Mettere al centro la gente e non le cose – ha detto nel suo saluto dopo la preghiera nella cappella dell’ospedale con i detenuti del carcere di Santa Caterina in Brana si è intrattenuto prima nella cappella dell’istituto e poi nella sua breve visita nelle celle e nei corridoi – siamo tutti sulla stessa barca – ha detto monsignor Tardelli – anch’io sono un prigioniero, le mie catene che devo spezzare sono il legate al male, alla guerra e agli egoismi. La prima parte della giornata, dopo una breve sosta nella curia vescovile si è poi conclusa alla mensa don Sirio Butelli dove il vescovo ha pranzato insieme agli ospiti della struttura. Vita La comunità ecclesiale n. 44 IL SALUTO DEL SINDACO SAMUELE BERTINELLI 14 dicembre 2014 9 “Oggi inizia un cammino in cui ci avrà sempre di fianco” R ivolgo volentieri, in questa occasione solenne, il benvenuto dell’intera città di Pistoia al nuovo vescovo Fausto Tardelli. Ho già avuto modo di incontrarlo, e accoglierlo, durante una sua visita in Palazzo comunale, nello scorso mese di ottobre. Una visita che mi ha piacevolmente sorpreso, non soltanto per la gradevolezza dell’incontro, seppur breve, ma anche, e forse soprattutto, per lo stile con il quale egli ha voluto proporla, senza alcuna anticipazione, né accompagnamento. Dietro questo suo gesto, così semplice e umile, persino irrituale, si cela -mi pare- un invito alla spontaneità e un richiamo a fare compiuto ritorno alle cose più essenziali. Una salutare indicazione - che pienamente intendo corrispondere - volta a cogliere il valore autentico dell’incontro. Un appello ad andare verso l’altro senza mediazioni, presentandosi per come si è, e ad accogliere l’altro non per come si vorrebbe che l’altro fosse, ma per come esso effettivamente è, e si presenta.A non temere l’incontro, ma a cercarlo, leggendo nel volto dell’altro la nostra infinita responsabilità nei suoi confronti. Un messaggio -questo- che risuona anche nell’ “eccomi” che ha voluto rivolgere a tutti noi nella sua intensa lettera di saluto alla città di Pistoia; “eccomi -scrive monsignor Tardelli- con tutta la mia persona tra voi”. È allora davvero il “tempo di andare”. E di andare insieme. È il tempo di un nuovo cammino, che inizia oggi, e che tutti siamo chiamati a percorrere, nessuno escluso. Nel travaglio di questo passaggio, torniamo a rivolgere un pensiero grato e affettuoso alla figura, lontana ma vicina, di monsignor Mansueto Bianchi, e idealmente abbracciamo tutti i sanminiatesi, sorpresi con il loro vescovo dal cambiamento che ora ci unisce a loro, sicuri che troveranno presto una nuova guida, e un nuovo orientamento verso il futuro, obbedendo così -loro come noi- a quella regola vitale del mutamento, propria anche della vita degli organismi collettivi, che sfida ogni nostra abitudine e frequentemente ci provoca, mettendoci su nuovi ed imprevedibili sentieri. Oggi, dunque, l’intera comunità cattolica pistoiese, che ha trascorso -dopo alcuni mesi di inquietudine e disorientamento- settimane di gioiosa attesa, è riunita nella piazza principale della città, davanti alla cattedrale di San Zeno, per accogliere in forma ufficiale, finalmente, il suo nuovo vescovo. A questo messaggio di benvenuto, corale e popolare, voglio unire il saluto laico, disponibile e aperto, fiducioso e carico di rinnovata speranza, della Municipalità, di tutte le istituzioni del territorio e di tutti i pistoiesi. Ma il suo vero ingresso in città, caro vescovo, nel cuore della città, è già avvenuto. Ed è avvenuto, significativamente, prima del suo insediamento ufficiale di questo pomeriggio. Sono e siamo infatti lieti che ella, nel solco sempre più profondamente segnato dalla chiesa di Francesco, lungo un tracciato già percorso da Mansueto, abbia voluto incontrare, nelle prime ore trascorse nella sua nuova diocesi, i nostri concittadini più fragili e più bisognosi di cura e di attenzione. Che abbia voluto iniziare il suo nuovo cammino dai luoghi nei quali si esprime, attraverso le sue molteplici espressioni, la sofferenza, troppo spesso dimenticata, e in alcuni casi persino rimossa -sintomaticamente rimossa- dall’immaginario collettivo del presente che abitiamo, difficile da abitare anche perché inciso da questa rimozione. Senza i reclusi, gli ammalati, i poveri, coloro che sono afflitti dalla disabilità, non si darebbe alcuna comunità. Né la città potrebbe esistere smembrata del suo ospedale, e di tutti gli altri luoghi della cura e della riabilitazione attiva, per chi ne abbia bisogno, alla pienezza della vita. Questa stessa festa, la ritualità antica che oggi si rinnova, non avrebbe il senso ed il sapore che invece ha, se tutti coloro che non possono essere fisicamente presenti qui con noi ora, non fossero invece, con noi e prima di noi, già parte costitutiva e irrinunciabile di questa celebrazione. Ancora più radicalmente -con un altro gesto di apertura e saggezza che ho e abbiamo molto apprezzato- ella ha voluto rivolgere il suo “più caro saluto” a “tutti, credenti e non credenti, a qualsiasi fede o religione appartengano, da qualsiasi nazione del mondo provengano”. Questo suo saluto, così largo, ci ricorda ancora una volta come solo la pluralità sia costitutiva del mondo e della città, di ogni città, e ci conforta nell’impegno di ogni giorno inteso a rispondere al disagio che attraversa anche la nostra democrazia con un più tenace e appassionato spirito democratico, consapevoli come siamo che il futuro della democrazia consiste esattamente nell’incrociarsi -e nel dialogare tra loro- dei diversi e delle diversità. Sappiamo di essere dentro una fase della vicenda nazionale terribile e difficilissima, e sappiamo che il corpo della nazione è malato e come attraversato da una febbre alta, che vediamo ogni giorno sfogarsi, pericolosamente contagiosa. Questa febbre perniciosa si insinua attraverso le ferite che lacerano il rapporto di fiducia e reciproco affidamento che dovrebbe esservi tra i pubblici poteri e il paese reale. Per curare le nostre comunità e il paese dobbiamo sapere che il primo problema da affrontare è quello del lavoro, inteso come strumento di emancipazione individuale e di affermazione della dignità personale di ognuno. La crisi che attraversiamo, infatti, è, ancora prima che economica e sociale, una crisi morale e civile. Per superarla è necessario, prima di tutto, il concorso operoso di tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non credenti, che insieme debbono ingaggiarsi in una opera diffusa di vera e propria ricostruzione morale e civile, a partire dalla ricostruzione di una cultura dei diritti e dei doveri, consapevole della centralità della persona, e del lavoro, capace di rigenerare i legami della nostra comunità. Si tratta di un lungo cammino che dobbiamo percorrere insieme, le istituzioni laiche e le comunità religiose. Ella, monsignor Tardelli ha detto di voler diventare pistoiese e -come vede- i pistoiesi La vogliono sinceramente accogliere nella propria comunità.Tuttavia, monsignore, all’inizio di questo suo cammino per farsi pistoiese tra i pistoiesi, sarà prezioso anche il suo sguardo non ancora compiutamente pistoiese, perché noi tutti abbiamo bisogno di occhi altri che ci aiutino a meglio comprendere i nostri limiti e i nostri errori, che ci sappiano restituire anche le nostre qualità, che ci aiutino, in definitiva, a vedere meglio ciò che siamo e che non sappiamo riconoscere. Ella troverà una comunità ferita dalle difficoltà materiali, profonde, ma desiderosa di riscatto; una comunità nella quale la chiesa che ella da oggi è chiamato a guidare svolge una funzione fondamentale di quotidiana, attenta, ricucitura della rete di solidarietà che unisce i pistoiesi. È un cammino il suo nel quale ci avrà sempre, ciascuno per il proprio ruolo e con le proprie responsabilità, di fianco; è una strada che percorreremo meglio, se la percorreremo tutti insieme, dandoci la mano. Buon cammino, caro vescovo, buon cammino a tutti noi. CARITAS PISTOIA 14 dicembre: Giornata della fraternità L a Giornata della fraternità che ormai da tanto tempo esprime il sentire caritativo di una chiesa locale che si predispone verso le situazioni di povertà ed emarginazione, che hanno nella Caritas il loro supporto, non può rimanere solo un fatto quasi rituale. Certo la raccolta dei fondi per andare incontro ai bisogni sempre più drammatici della nostra Diocesi è importante, ma essa va accompagnata da una catechesi e da un approfondimento sulla vera e genuina solidarietà a cui siamo chiamati. La solidarietà d’altra parte come ci ha ricordato papa Francesco nel discorso all’incontro mondiale dei Movimenti popolari del 28 ottobre scorso:“Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma una parola è molto più di alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare sulle cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, la terra e la casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro: i dislocamenti forzati, le emigrazioni dolorose, la tratta di persone, la droga, la guerra, la violenza e tutte quelle realtà che molti di voi subiscono e che tutti siamo chiamati a trasformare… Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. Che triste vedere che dietro a presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività, lo si nega o peggio ancora si nascondono affari o ambizioni personali, Gesù le definirebbe ipocriti.” Allora la carità esige scelte coraggiose che ci portano alla radice dei processi economici che non tengono conto della dignità e della fragilità di tante persone che senza difese rischiano di essere travolte rimanendo anche tante volte anche in profonde solitudini. I dati dei centri d’ascolto diocesani rilevano una crescita sempre maggiore di nuovi poveri anche nel primo semestre del 2014 rispetto ai dati del 2013 e sapendo poi che tutto non viene intercettato. Per l ‘approfondimento dei dati dei centri di ascolto vi invitiamo sabato 13 dicembre alla presentazione del Dossier Caritas alla presenza del nuovo vescovo monsignor Fausto Tardelli. Per questo oggi più che mai abbiamo bisogno di una chiesa povera di potere ma ricca di gesti generosi, di accoglienza, di tenerezza verso le sofferenze quotidiane che vediamo intorno a noi.Crediamo che questa giornata possa offrire a tutte le comunità parrocchiali, che già sicuramente si sono rese disponibili a questi drammi, di un ulteriore e più profetica testimonianza per rimettere in discussione anche i nostri modelli pastorali che devono tenere come vera prassi ecclesiale il primato dell’agape di Dio. Confidiamo dunque che cresca un modo meno emotivo e assistenzialistico della carità perché di fronte a questi eccessivi buonismi si rischia di rendere sterile anche la buona volontà se non si riesce a gestire l’accompagnamento delle persone in difficoltà e non si entra in una autentica empatia con le sorelle e i fratelli che ci chiedono aiuto. Ai parroci affidiamo questa giornata sapendo che la Caritas Diocesana è sempre disponibile per fare formazione e accoglie suggerimenti che la rendano non una Caritas di qualcuno ma una Caritas di tutta la comunità diocesana. I fondi raccolti in questa giornata saranno finalizzati al servizio serale della mensa “don Siro Butelli”, al centro “Mimmo” (distribuzione vestiario) destinati a percorsi di inclusione sociale affinché le persone non siano solo i destinatari, ma soprattutto i protagonisti attivi della relazione di aiuto. 10 comunità e territorio VIVAISMO Credito agrario e fiscalità Trenta giovani festeggiano il loro primo contratto di assuzione Al via le borse lavoro della Fondazione Caript. di Patrizio Ceccarelli « I domanda di credito che è assai superiore all’offerta e questo nonostante le imprese agricole e segnatamente quelle vivaistiche siano dei buoni pagatori, ossia rispondano, nonostante la crisi, alla necessità di far fronte al credito contratto». Scaramuzzi ha aggiunto che «le banche sono ancora in una situazione di grande paura, in cui non riescono a far fronte alle conseguenze della crisi nonostante le aziende agricole siano molto migliori in termini di pagamenti, rispetto alle aziende di tutti gli altri settori economici». «Da quando non c’è più un istituto centralizzato che fa il credito agrario – ha sottolineato Renzo Benesperi, segretario generale dell’Associazione produttori del verde, che ha coordinato l’incontro – le cose vanno peggio. Quando un’azienda si rivolge agli sportelli centralizzati spesso si sente rispondere in maniera vaga ed evasiva. Gli istituti specializzati avevano una funzione che va recuperata negli sportelli universali, altrimenti il credito agrario sarà somministrato BANCA DI VIGNOLE Consegnate 55 borse di studio S i è svolta lo scorso 6 dicembre presso l’auditorium Fabbri della Bcc Vignole e Montagna Pistoiese la cerimonia di consegna delle borse di studio che la Banca, per il 17° anno consecutivo, ha messo a disposizione degli studenti più meritevoli del territorio di competenza della Bcc. Fra soci e figli di soci sono state consegnate ben 55 borse di studio fra quegli studenti che hanno ottenuto il massimo dei voto nel conseguire la licenza media, il diploma di scuola superiore e la laurea universitaria. “La consegna delle borse di studio –ha detto il presidente della Banca Giancarlo Gori– è una delle campagne storiche della nostra banca che ha intrapreso questa iniziativa nel 1998 ed il cui obiettivo comune ad altre iniziative come il contributo per l’acquisto di testi scolastici o dei bonus bebè, è quello di dare un segnale forte e tangibile di vicinanza alle famiglie che molte delle quali sono in difficoltà.” Nelle precedenti edizioni del bando la Bcc di Vignole e Montagna Pistoiese ha assegnato agli studenti del territorio di competenza della banca borse di studio per un valore complessivo che si aggira intorno ai 500 mila euro. “Il nostro scopo –ha detto il direttore generale della Bcc Elio Squillantini– è quello di coinvolgere il più possibile i giovani esaltandone i meriti e farli in questo modo conoscere al nostro territorio per detto il professor Giuseppe Bellandi dell’Università di Pisa – sono prima di tutto delle aziende agricole rurali e come tali hanno bisogno di una fiscalità che sia adatta al settore dell’agricoltura, altrimenti queste eccellenze le perdiamo». LAVORO ÈRipensare le regole per non penalizzare un settore trainante dell’economia toscana. È quanto è emerso nel convegno promosso dall’associazione Moreno Vannucci Sicuramente c’è bisogno di una vicinanza da parte degli istituti di credito, che devono investire e credere in questo settore così forte e così trainante per la nostra economia. Lo è stato per tanti anni, lo è tuttora, quindi non dobbiamo abbandonare coloro che ancora producono su questo territorio». Lo ha detto Vannino Vannucci, presidente del Distretto vivaistico pistoiese a margine del convegno «Verde sostenibile, credito agrario e fiscalità», che si è svolto nella sede della ViBanca, promosso dall’Associazione internazionale produttori del verde Moreno Vannucci nell’ambito della 15esima edizione del Meeting sul florovivaismo. «Gli ultimi dati - ha aggiunto Silvia Scaramuzzi, dell’università di Firenze - palesano ancora fortemente una situazione di credit crunch, ovvero di una sempre in dosi molto insufficienti. Un vivaio, le cui piante di media maturano in non meno di 5 anni, deve avere un credito personalizzato, che non può essere uguale, a quello di altre attività». Stessa cosa per quanto riguarda la fiscalità. «Le aziende vivaistiche – ha Vita La n. 44 14 dicembre 2014 eventualmente sostenerli nel momento in cui si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro.” Fra i 55 studenti premiati prevalgono senza dubbio le ragazze (ben 36 contro i 19 ragazzi) mentre i comuni rappresentati sono quelli delle aree di competenza della banca quindi Quarrata, Agliana, Pistoia, San Marcello Pistoiese, Montemurlo, Prato, Poggio a Caiano, Vaiano, Empoli, Lamporecchio, Vinci e Cerreto Guidi. Per quanto riguarda i premiati per le licenze medie (premio di 300 euro) segnaliamo Elisa Buoncompagni e Alice Miniati della ICB da Montemagno di Quarrata, Federico Frati e Eduardo Nesi di Ics Nannini, Sara Cordovani di Ics Convenevole da Prato, Anna Gregoriani di Ics Roncali-Galilei di Pistoia ed Emma Leonetti di Ss Marconi di Pistoia. Per i diplomi di maturità (premio di 600 euro) segnaliamo fra gli altri, Giovanni Ascione di Isis Il Pontormo di Empoli, Elga Tofani sempre di Empoli, Laura Melani e Gabriele Vaccaro di Lss Savoia Duca d’Aosta di Pistoia, Ylenia Campopiano e Alberto Meniconi di Its Capitini di Agliana, Massimiliano Izzo di Ips Martini di Montecatini Terme e Leonardo Zanobetti di Lcs Cicognini di Prato. Fra le lauree universitarie (premio di 1000 euro) sono stati premiati :Viola Bonti, Alessia Cialdi, Simone Corrieri, Costanza Fabbri, Francesca Fanini, Francesca Grassini, Andrea Mollica, Lorenzo Santini, Sabina Turi, Giulia Vannucci, Silvia Giangregorio e Andrea Rossetti (Universita Luiss di Roma ) per il Comune di Quarrata; Valentina Noligni e Alessio Tesi per quello di Agliana; Laura Caputo, Alessandro Diodato, Giulia Di Pierro, Martina Mazzanti per il Comune di Prato; Susanna Silvestri per il Comune di Poggio a Caiano; Alice Cianni, Alessandra Melani, Alessandro Panerai (London School of Economics and Political Science); Sara Venturelli per il Comune di Pistoia; Alessio Mandolini e Diletta Signori per quello di San Marcello p.se; Linda Del Bino per il Comune di Lamporecchio; Vittorio Bordoni per quello di Cerreto Guidi infine Laura Pratesi di Quarrata ha vinto un premio di 1250,00 euro per aver discusso la tesi sul movimento cooperativo con “L’analisi di bilancio del settore bancario: il caso Bcc Vignole e Montagna Pistoiese.” La banca ha distribuito quest’anno agli studenti poco più di 42.000 euro una cifra leggermente superiore rispetto a quella preventivata in quanto le domande da parte dei neo laureati, che hanno tutti conseguito anche la lode oltre alla votazione di 110, erano infatti 28, rispetto alle 20 borse messe a bando; il Consiglio di Amministrazione ha deciso pertanto di non procedere al sorteggio, previsto dal bando per i casi come questo, assegnando invece i riconoscimenti a tutti i candidati. Edoardo Baroncelli Per presentare la domanda c’è ancora tempo fino al 31 dicembre mpiegato, cameriere, estetista, operaio, parrucchiera, assistente educativa, apprendista disegnatore: ecco alcuni degli incarichi e mansioni che i giovani vincitori del bando «Borse Lavoro 2014», innovativo progetto promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, andranno a ricoprire nei prossimi giorni grazie a contratti di assunzione stipulati con aziende del territorio pistoiese. Il bando Borse Lavoro 2014 - finalizzato ad incentivare l’occupazione giovanile e destinato a inoccupati di età compresa tra 18 e 29 anni - prevede che siano proprio i giovani a entrare in contatto con le aziende e proporsi come nuove risorse. Le imprese che decidono di aderire al progetto riceveranno da parte della Fondazione Caript un’erogazione lorda mensile (per almeno 6 mesi fino al massimo di un anno) pari a 600 euro, destinata a sostenere l’assunzione della giovane risorsa. Mentre la commissione nominata dal Consiglio di amministrazione della Fondazione proseguirà il lavoro di valutazione delle ultime domande pervenute e di quelle che ancora verranno consegnate nei prossimi giorni (per partecipare all’iniziativa, infatti, c’è tempo fino al 31 dicembre 2014), i trenta giovani finora ammessi al contributo inizieranno la loro esperienza lavorativa nelle aziende che hanno accettato di diventare partner del progetto, assumendoli a tempo determinato per almeno 6 mesi. Ad oggi la Fondazione Caript ha deliberato l’assegnazione di 30 borse lavoro per il valore di 108.000 euro. Le risorse stanziate per il progetto ammontano complessivamente a 720.000 euro. COMMERCIO Tornano le luminarie sul viale Adua All’installazione ha contribuito con 4mila euro il Comune di Pistoia, il resto lo hanno messo i commercianti della zona e alcuni sponsor D opo due anni di attesa, le tradizionali luminarie natalizie tornano ad abbellire anche il viale Adua. Fino al 6 gennaio infatti, uno splendido corridoio di luci illuminerà una delle strade principali della città, facendo respirare quell’aria di festa e gioia tipica dell’atmosfera natalizia. Tutto questo è stato possibile grazie al lavoro del centro commerciale naturale di viale Adua, guidato da Luca Potenti, che è anche presidente della categoria servizi e terziario di Confartigianato Pistoia: «finalmente siamo riusciti ha riportare le luminarie sul viale – ha commentato Potenti – un’impresa non facile, portata a termine grazie ad una costante opera di confronto e dialogo con l’amministrazione comunale». Nel progetto di luminarie infatti, anche il Comune ha svolto un ruolo decisivo: «La volontà dell’amministrazione – ha spiegato l’assessore allo sviluppo economico Tina Nuti – era quella di “riaccendere” la città per il periodo natalizio, riservando particolare attenzione ad una zona ricca di attività commerciali come il viale Adua; in questo percorso – ha aggiunto Nuti – è stato fondamentale avere un interlocutore unico, rappresentato dal Centro Commerciale Naturale». Un dialogo, quello tra i commercianti e l’amministrazione, che non si è limitato solo alla discussione sulle luminarie – ha sottolineato il vicepresidente del Ccn Claudio Morbidelli: «In questi mesi il confronto con l’assessore è stato costante, e noi abbiamo offerto il nostro contributo per quanto riguarda nodi fondamentali come quelli del traffico, della viabilità e della sicurezza, che nei prossimi mesi cominceranno a far vedere i primi risultati». Il progetto,è stato realizzato dall’azienda leccese Luminarie Santoro con un contributo del Comune che ammonta a 4mila euro, «calcolati – sottolinea l’assessore Nuti – in base al numero degli esercizi commerciali presenti sul viale». Il resto è arrivato dai commercianti, che si sono autofinanziati per riuscire a coprire la totalità delle spese. Tra gli sponsor principali dell’iniziativa figurano la Bcc di Masiano, Io Bimbo, Conad, Centro Orafo e Mister Wizard. Le luminarie, realizzate tutte con lampade a led che porteranno ad un grande risparmio in bolletta, illumineranno viale Adua dalle 16 fino alle ore 1. Vita La comunità e territorio n. 44 FONDAZIONE BANCHE DI PISTOIA E VIGNOLE-MONTaGNA PISTOIESE 14 dicembre 2014 11 Veronica Maffei Le sorprese del Novecento da Pistoia alla Rai artistico pistoiese con simpatia e professionalità U na stagione, quella del Novecento pistoiese, foriera di continue scoperte e rivelazioni, attraversata come fu da una temperie artistica ricca di grande fermento e creatività: nonostante le numerose ricerche e gli accurati approfondimenti storici di cui è stato spesso oggetto –ne è un esempio la stessa collana “Spicchi di Storia”, edita a cura dell’Istituto di Storia Locale della Fondazione Banche di Pistoia e VignoleMontagna p.se– il secolo scorso sembra, infatti, aver rappresentato un momento tanto fausto e propizio per la città, da continuare a riservare preziose ed inedite sorprese, sia agli studiosi che ai semplici appassionati e curiosi. È questo il tema centrale e il motivo ispiratore del bel volume – l’ottavo della serie di studi storici “Spicchi di Storia” –e della mostra ad esso collegata– “Pistoia. Eventi del Novecento: disegno, architettura, design, arte” (allestita nella Sale Affrescate del Palazzo Comunale)–presentati entrambi sabato 13 dicembre nella Sala Maggiore del Comune di Pistoia. La pubblicazione, diretta da Giuseppina Carla Romby, edita da Settegiorni Editore e realizzata a cura dell’Istituto di Storia Locale e dalla sua direttrice Emanuela Galli, prosegue idealmente l’indagine già avviata nel 2013, in occasione del centenario della “Prima Mostra di Bianco e Nero”: è infatti a partire dalla ricerca e dal progetto espositivo condotti esattamente un anno fa, che i curatori Gilberto Corretti, Mauro Cozzi, Annamaria Iacuzzi e Siliano Simoncini – studiosi noti e apprezzati per aver indagato a lungo e con competenza le I naugurato alla Doganaccia, nel comune di Cutigliano, l’impianto di illuminazione notturna per tre piste da sci. «Adesso la Doganaccia -informa una nota del Comune- è l’unica stazione di sport invernali nell’Italia centrale con piste da sci omologate che si possono utilizzare anche di notte». Sono 38 le torri, con 156 fari in tutto, realizzate con una spesa complessiva di 169mila euro, di cui 86mila messi a disposizione dalla Regione con fondi Cipe, 42mila dalla Provincia e 41mila da soggetti privati. «Un passo avanti significativo -sottolinea il sindaco Braccesi- per migliorare e qualificare la nostra offerta turistica: un segnale di B differenti sfaccettature del Novecento pistoiese – hanno illuminato aspetti poco noti, eppure di straordinario interesse, del mondo dell’arte, dell’architettura e dell’artigianato locale e non solo. Quattro, dunque, le sezioni in cui si articola sia il saggio, che la relativa mostra: dal disegno d’artista, alla progettazione di architetture cittadine, dal design industriale e artigianale, fino alle sorprese inedite di artisti e collezioni locali sia pubbliche che private, tutto quanto in questo progetto è stato messo in dialogo ed esposto alla reciproca commistione, in un florilegio di spunti, stimoli e nuove connessioni. Del resto, è solo da una memoria collettiva realmente approfondita e consapevole, che può originarsi la riscoperta del territorio, della sua storia e della sua cultura, e quindi, in ultimo, la sua giusta valorizzazione e tutela. L’esposizione rimarrà aperta, nelle Sale Affrescate del Comune di Pistoia, fino al 1 febbraio 2015, dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18. Lo stesso orario sarà osservato anche martedì 6 gennaio, mentre aperture speciali (dalle 16 alle 19) sono previste per i giorni di Natale e Capodanno. Silvia Mauro A CUTIGLIANO ADESSO SI PUò Sciare in notturna Inuagurato l’impianto di illuminazione alla Doganaccia: 38 torri per un totale di 56 fari luce che ci auguriamo possa valere anche come evidente simbolo per una montagna pistoiese lasciata troppo tempo nel buio e che con determinazione sta camminando con una grande voglia di cambiare verso». Una considerazione condivisa e rilanciata dal rappresentante di «Doganaccia 2000», Marco Ceccarelli, secondo cui «le nostre piste hanno adesso una maggiore compe- titività e pongono il nostro comprensorio all’altezza delle maggiori stazioni sciistiche del centro Italia. «Una bella scommessa per la Doganaccia –ha aggiunto Federica Fratoni– che rafforza lo splendido lavoro fatto negli anni tra i gestori degli impianti e la Provincia: lo sci in notturna darà splendide suggestioni ai frequentatori delle nostre montagne». P.C. CONSIGLIO COMUNALE DI AGLIANA Approvata una mozione per la non autosufficienza A pprovazione unanime del consiglio comunale di Agliana per la mozione promossa dal consigliere Maurizio Ciottoli (FdI-An), sul fondo non autosufficienza e vita indipendente e sul recepimento dell’articolo 12 della direttiva 2004/80 CE per l’indennizzo delle vittime di reato. Si tratta di un documento che andrà a sollecitare sia la rapida riattivazione delle procedure per la partecipazione al bando per il fondo non autosufficienza e vita indipendente, che il recepimento della direttiva europea che prevede l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. Direttiva, questa, rispetto alla quale il Tribunale di Torino con la sentenza 3145/2010 ha riconosciuto l’inadempimento dell’Italia per la mancata attuazione. Il testo impegna, quindi, il sindaco e la giunta a sollecitare il presidente e sindaco di Pistoia Samuele Bertinelli ed il direttore della Società della Salute Daniele Mannelli a comunicare entro e non oltre il prossimo 20 dicembre le scadenze dei bandi fondi vita indipendente e fondi non autosufficienti per l’anno 2015. “Bandi rimasti sorpresi - ha ricordato Ciottoli - in quanto la carica di direttore della Società della Salute è rimasta vacante fino alla nomina del dottor Daniele Mannelli, avvenuta ella, buona e brava Veronica Maffei, classe 1987: oggettivamente bella, dolce, un’educazione d’altri tempi, laureata in Giurisprudenza a 26 anni, giornalista e conduttrice per Italia 7, presenta eventi sul territorio toscano, sfila e posa come modella, oltre ad esser impegnata in attività di beneficenza. La ragazza con il suo sorriso smagliante ha ottenuto la fascia di Miss Sorriso in occasione di un’ambitissima finale nazionale di Miss Italia. Un’esperienza accaduta per caso, come spesso avviene per le cose più belle.Veronica stava studiando per l’esame di procedura civile quando una sera, distrutta dallo studio, si informa sul luogo più vicino in cui si tengono le selezioni del più famoso concorso di bellezza del Belpaese, così per distrarsi un po’. Ci va senza dire nulla al riguardo ad amici e famiglia. Inizia a passare le selezioni, però, fino ad arrivare alla finale nazionale a Montecatini Terme in diretta su Raiuno, città che per due anni consecutivi ospita l’evento ed a cui la ragazza è molto legata, qui abita sua nonna oltre ad avere la passione per le terme. Un’esperienza della quale conserva un bel ricordo, divertente e che le fa conoscere molte persone offrendole in seguito alcune opportunità. Veronica infatti posa e sfila quindi come modella, presentando eventi di ogni genere in Toscana, oltre ad esser presente per alcune domeniche nel fortunato programma televisivo “Quelli che…il calcio” su Raidue, dove si crea ulteriori rapporti artistici ed occasione che le permette di vedere da vicino come si lavora nella televisione nazionale, la Rai. Grazie alla sua passione per la Fiorentina calcio, inizia poi a lavorare come giornalista per l’emittente televisiva Italia 7. È molto sportiva, in passato ha giocato a pallavolo per alcuni anni a livello agonistico, va inoltre allo stadio a vedere la Fiorentina, presenziando ad eventi della società. Una passione, quella della ragazza per il calcio e per la squadra, nata in particolare frequentando amici tifosi di calcio. Non si può certo dire che fino adesso Veronica non si sia data da fare, eppure, nonostante le diverse e rilevanti esperienze artistiche che già può vantare nel suo curriculum professionale, si ritiene comunque persona un po’ timida, che ancora arrossisce davanti ad un complimento come le ragazze di una volta. Sì, possiamo dire che Veronica Maffei, nonostante la giovane età, è già una ragazza con una storia importante da raccontare. Leonardo Soldati lo scorso agosto”. Ciottoli si era impegnato già dalla scorsa estate per portare in consiglio la mozione con l’intento di garantire strumenti di sostegno alle persone che si trovano a subire conseguenze gravi di reati violenti. A muovere Ciottoli anche la situazione di Gianmichele Gangale, oggi residente ad Agliana, che nel gennaio 2013 era rimasto vittima di un accoltellamento, riportando danni permanenti, in seguito alla rapina subita nella propria abitazione di Buriano. La versione finale della mozione è giunta al termine di un lungo confronto protrattosi nelle precedenti sedute ed in commissione Sanità e Assistenza sociale. M. B. PRESIDENZA E DIREZIONE GENERALE Largo Treviso, 3 - Pistoia - Tel. 0573.3633 - [email protected] - [email protected] SEDE PISTOIA Corso S. Fedi, 25 - Tel 0573 974011 - [email protected] FILIALI CHIAZZANO Via Pratese, 471 (PT) - Tel 0573 93591 - [email protected] PISTOIA Via F. D. Guerrazzi, 9 - Tel 0573 3633 - [email protected] MONTALE Piazza Giovanni XXIII, 1 - (PT) - Tel 0573 557313 - [email protected] MONTEMURLO Via Montales, 511 (PO) - Tel 0574 680830 - [email protected] SPAZZAVENTO Via Provinciale Lucchese, 404 (PT) - Tel 0573 570053 - [email protected] LA COLONNA Via Amendola, 21 - Pieve a Nievole (PT) - Tel 0572 954610 - [email protected] PRATO Via Mozza sul Gorone 1/3 - Tel 0574 461798 - [email protected] S. AGOSTINO Via G. Galvani 9/C-D- (PT) - Tel. 0573 935295 - [email protected] CAMPI BISENZIO Via Petrarca, 48 - Tel. 055 890196 - [email protected] BOTTEGONE Via Magellano, 9 (PT) - Tel. 0573 947126 - [email protected] 12 comunità e territorio RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO Fragili, irrequiete dolenti e sole U n amore fatto di tenerezza e tenacia, che non conosce ostacoli, non si scoraggia, accoglie e sostiene sempre e a qualsiasi condizione, ama e sopporta fino all’estremo. L’amore di una madre, come quello di Maria ricordata nella festa che segna per i cristiani l’inizio della salvezza, e di tante altre madri che dietro le quinte mettono in gioco la propria vita nel silenzio di una quotidianità vissuta a servizio degli altri. Ma ci sono anche altre madri: fragili, irrequiete, dolenti, sole. Come Veronica Panarello, la giovane madre del piccolo Loris Andrea, fermata con l’accusa di omicidio e occultamento di cadavere. Su di lei, secondo gli inquirenti, gravi indizi di colpevolezza. Fin dall’inizio, in questa ennesima storia straziante che vede come vittima un bambino innocente che tutti sentiamo come nostro,Veronica non aveva convinto. Troppe contraddizioni e omissioni nelle versioni dei fatti fornite agli inquirenti. Una ragazza “difficile” -così viene definita- che da bambina aveva scoperto di non essere figlia dell’uomo che accanto a sua madre la stava crescendo, da adolescente aveva tentato due maldestri suicidi, come talvolta accade quando in quell’età così difficile si cerca disperatamente di attirare su di sé un po’ di attenzione, a 17 anni era rimasta incinta di Loris. Oggi, mamma ventiseienne di due bambini, spesso sola, con un marito camionista quasi sempre in giro per l’Italia. Come quel maledetto sabato mattina. Se le indagini dovessero confermare l’ipotesi investigativa,Veronica sarebbe, nella sua assente fragilità, la responsabile, forse inconsapevole, ma anche la seconda vittima di questo orrore. La sua è una storia di sofferenza e solitudine ma, come altre vicende analoghe, anche un richiamo alle nostre coscienze. Una vita tormentata e una famiglia fragile, ferita. Quante ce ne sono intorno a noi, ferite da una malattia o smarrite in una sofferenza che non viene intercettata. Ferite soprattutto dall’indifferenza di una società attraversata da una crisi che prima di essere economica, è culturale, relazionale: una crisi dell’umano generata dall’incapacità di costruire rapporti veri e farsi carico dei più deboli. Quanti piccoli Loris dovranno ancora pagare prima che scatti di nuovo una scintilla di umanità? F.R. Riceviamo e Pubblichiamo Solidarietà per Pino Maniaci, giornalista vittima di intimidazioni mafiose n. 44 14 dicembre 2014 CHIAZZANO Vita La Pranzo e tombola di beneficenza F ondazione “Un raggio di luce onlus”, Fondazione Antonino Caponnetto e Centro di Documentazione di Progetto don Milani di Pistoia, organizzatori del Premio nazionale Antonino Caponnetto per la cultura della legalità, esprimono tutta la loro solidarietà e umana vicinanza a Pino Maniaci, alla sua famiglia e a tutta TeleJato per l’odioso e crudele atto di intimidazione di cui sono stati vittime. Quei miseri banditi che hanno ucciso due inconsapevoli amici dell’uomo non potranno mai fermare il bisogno di giustizia e la fame di onestà che da sempre contraddistingue la vita di Pino Maniaci e l’operato di TeleJato. Tutti gli amici ed i sostenitori di Pino Maniaci, e sono tanti, veramente tanti, sono ancora più vicini di prima e solidali con la sua emittente televisiva di cui condividiamo scopi ed ideali. I criminali hanno ottenuto esattamente l’effetto opposto a cui miravano:TeleJato è ancora di più la Tv di tutti noi, di tutti quelli che hanno a cuore la giustizia, che difendono i diritti dei più deboli. Noi siamo orgogliosi di sostenerli e sicuramente lo sarebbe stato anche Antonino Caponnetto. Un raggio di luce onlus, Fond. Antonino Caponnetto e Centro di Doc. Progetto don Milani di Pistoia P er la festa dell’Immacolata Concezione, lunedì 8 dicembre, in occasione del consueto mercatino di Natale giunto ormai alla sua diciottesima edizione, la comunità parrocchiale di Chiazzano ha organizzato nello spazio adiacente la chiesa il “Trippa Day”, un pranzo a base di piatti toscani e trippa. Le portate a base di trippa preparata in vari modi, di pappa con il pomodoro e di farinata, oltre a vari antipasti toscani, sono state apprezzate dagli intervenuti e sono andate letteralmente a ruba. Dopo il momento conviviale, per il quale era stato allestito appositamente un grande tendone e che ha visto partecipare più di 250 persone, tra le quali il presidente, il direttore ge- nerale e tantissimi soci della Banca di Pistoia, è stato organizzato un “tombolone” di beneficenza. Al termine del gioco sono stati assegnati diversi premi tra i quali una grande pianta di limone e una pianta di arancio a forma piramidale per ricordare il periodo natalizio. L’idea di questa riuscitissima manifestazione, è nata in seguito agli ottimi risultati ottenuti dall’evento “Chiazzano in Festa” svoltosi lo scorso settembre. Infine la bella giornata si è conclusa nel tardo pomeriggio, in via Cino a Pistoia, con l’accensione dell’albero di Natale della Banca di Pistoia e con Babbo Natale che, arrivato appositamente in anticipo per festeggiare l’evento, ha potuto incontrare i più piccoli. Alessandro Orlando spor t pistoiese NUOTO Bonacchi porta Pistoia nel mondo U n neo ventenne talento del nuoto, pistoiese doc, tesserato di Nuotatori Pistoiesi e Centro Sportivo Esercito, che dallo scorso settembre è migrato a Verona, al Centro Federale di Alta Specializzazione “Alberto Castagnetti” per vivere e allenarsi, per provare a diventare ancora più forte in una città che ha impianti adeguati, agli ordini del tecnico Tamas Gyertyanffy. Ecco il ritratto di Niccolò Bonacchi (nella foto) che, ai Mondiali in vasca corta (da 25 metri) di Doha, in Qatar, ha dato lustro alla Nazionale Italiana e alla sua città Pistoia, che da sempre si scorda di applaudirlo e, soprattutto, far qualcosa per una disciplina sportiva tra le più formative in assoluto, se non la più formativa (leggasi amministratori pubblici). Ha conquistato la medaglia di bronzo nella 4x50m mista mista (uomini e donne) con tanto di nuovo record italiano (1’37”90), ma non solo. Il nostro è stato grande anche nella staffetta 4x50m mista maschile (con Scozzoli, Matteo Rivolta e Marco Orsi), entrando in finale col settimo tempo e classificandosi poi sesto in 1’32”68. Nella circostanza ha fatto registrare il nuovo primato italiano dei 50m dorso in 23”39 (il precedente record tricolore, di 23”45, apparteneva a Di Tora, che l’aveva realizzato l’11 dicembre 2009 ai Campionati Europei di Istanbul; la precedente miglior prestazione in tessuto era dello stesso Bonacchi con 23”55 del 2013). È stato eliminato nelle batterie mattutine dei 100m dorso: ha ottenuto il 19° tempo in 51”65, avvicinando il primato personale di 51”64 realizzato quest’anno a Massarosa, ma ha provato a trascinare la staffetta azzurra 4x100m mista maschile, poi eliminata. Hanno sfiorato la finale con il nono tempo complessivo. Nono tempo che però rappresenta il nuovo record italiano in 3’27”05: il precedente, 3’28”52, apparteneva al quartetto composto da Di Tora, Pesce, Rivolta e Orsi, che l’aveva ottenuto il 16 dicembre 2012 ai Campionati Mondiali di Istanbul, in Turchia. Per Bonacchi un’ulteriore soddisfazione: ha fatto registrare, infatti, il suo nuovo primato personale nella frazione dei 100m dorso, ultimata in 51”56 (il suo precedente, sempre di quest’anno, era 51”64). Non è riuscito, infine, a raggiungere la finale dei 50m dorso: qualificatosi alle semifinali col nono tempo, è stato eliminato in semifinale con l’undicesima prestazione (23”48), superiore di 7 centesimi di secondo rispetto a quella dell’ottavo e ultimo qualificato. Insomma è stato bravo. Come fenomenale è il nuoto pistoiese, che sforna campioni pur costretto a ristrettezze che non sono da città civile. Gianluca Barni Calcio - Basket Tempi Supplementari È di Enzo Cabella stato un week end, quello passato, ricco di vittorie e soddisfazioni. La Pistoiese ha vinto il derby col Pisa e il Pistoia Basket ha espugnato il campo di Cantù. Quando sente odore di derby, la squadra arancione trova stimoli particolari. Restando alle ultime giornate di campionato, dopo aver battuto Prato e Lucchese, ha superato anche il Pisa, una delle candidate alla vittoria finale. Gioco brillante, dinamico e incisivo quello della formazione di Lucarelli, un tecnico che si sta imponendo come uno dei giovani più bravi. Ha avuto schermaglie tattiche con Braglia, allenatore dei berazzurri pisani, e possiamo dire che ha vinto il confronto col più esperto e smaliziato collega. Nelso Ricci, direttore sportivo della Pistoiese, ha visto giusto quando ha scelto in Lucarelli l’allenatore adatto per gli arancioni. Lucarelli è un livornese purosangue, quindi un nemico storico dei pisani: per lui, quindi, è stata una doppia vittoria. I tre punti conquistati col Pisa hanno permesso alla Pistoiese di restare nei quartieri alti della classifica, a ridosso delle big Ascoli, Reggiana, L’Aquila, Pisa e Teramo. Ora si tratta di continuare il trend positivo: sabato 13 c’è la trasferta di Gubbio, contro un avversario che ha gli stessi punti della Pistoiese. Un altro aspetto non certo favorevole riguarda l’inizio della gara, all’impossibile orario delle 19,30. Dopo Gubbio ci sarà un altro big-match, contro la Spal. Riuscire a conquistare, entro la fine dell’anno, almeno quattro punti vorrebbe dire mantenere la posizione e guardare al futuro con ottimismo. Si sa che l’obiettivo della squadra è di arrivare al più presto a quota 45 punti, traguardo che significa sicurezza di restare in Lega Pro. Anche per il Pistoia Basket è stata una giornata di festa. E’ andato a vincere a Cantù, in casa di una squadra che fino a qualche anno fa era una big del basket nazionale. E’ la terza vittoria in trasferta, dopo capo d’Orlando e Caserta, per la squadra biancorossa, che ha giocato con grande autorevolezza, dimostrando di afver trovato un ottimo assetto difensivo e una vera identità di squadra. In fase d’attacco non tutto fila ancora per il verso giusto, ma ci sono stati notevoli miglioramenti, come dimostrano i 25 punti messi a segno da Brown (tre bombe su tre), i 13 di Johnson e gli 11 di Hall. Insomma, sembra che coach Moretti abbia trovato la strada giusta per ottenere il rendimento migliore dai suoi. La squadra è salita a metà classifica, agganciando altre cinque squadre. Sabato ospiterà al PalaCarrara Brindisi, che è avanti a Pistoia di 2 punti. C’è, dunque, la possibilità di vincere e di salire ancora. Anche quest’anno, dunque, il basket pistoiese sta conoscendo giorni felici. Vita La dall’Italia n. 44 MAFIA CAPITALE 14 dicembre 2014 “Emergenza perenne Così comandano persone senza scrupoli” Monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma, denuncia: “Il 12 novembre, in un comunicato stampa sui fatti di Tor Sapienza, parlavamo di anni di abbandono e di politiche sbagliate verso i rom e i rifugiati. Frasi che sono oggi la fotografia di quello che è emerso” di Maria Chiara Biagioni È l a p a g i n a p i ù s p o rc a dell’operazione “Mondo di mezzo” di Roma: il capitolo della gestione dei campi profughi e di prima accoglienza per gli immigrati sbarcati in Italia. Anche lì la mafia è arrivata, infilandosi nel sistema tra bandi e gare d’appalto. Le intercettazioni sono raccapriccianti: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”. cato stampa sui fatti di Tor Sapienza, parlavamo di anni di abbandono e di politiche sbagliate verso i rom e i rifugiati. Denunciavamo le decisioni prese improntate sull’emergenza e soprattutto - così scrivevamo - ‘frutto di cooperative senza scrupoli che poco hanno a cuore la sorte delle persone che sono loro affidate’. Frasi che sono oggi la fotografia di quello che è emerso”. Vuol dire allora che le vo- stre denunce non sono mai state ascoltate? “Davanti a situazioni di questo genere, non è mai la persona ad essere al centro ma l’affare, il denaro. È lo sfruttamento dei poveri per i propri profitti. Ci sono situazioni a Roma che si conoscono benissimo. Per esempio, Castel Nuovo di Porto: chi non sa che nel Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo, ndr) L sono state messe dentro 800 persone? Chi non conosce la situazione dei campi rom? È ovvio che queste situazioni con il passare del tempo si cronicizzano e creano disagio”. E allora dove nasce il meccanismo perverso dello sfruttamento mafioso? “Il fatto è che ci vuole una progettualità che non esiste. Sono andato il 16 novembre dal sindaco per chiedere quale progetto ha il comune di Roma per i 7-8 mila rom. E non mi hanno saputo rispondere. Si vive sull’emergenza. E l’emergenza porta alle soluzioni immediate. E nelle soluzioni immediate possono facilmente agire anche le persone senza scrupoli che le utilizzano per se stessi. ‘Tu mettiti qui, facciamo così e abbiamo risolto’. Il problema è che noi lavoriamo sull’emergenza su tutto”. Perché è successo a Roma? “Perché qui a Roma ci troviamo di fronte a istituzioni che non collaborano tra loro e non dialogano. Se la prefettura non dialoga con il Comune e il Comune con la Prefettura e il Municipio con il Comune e la Prefettura, come facciamo? E se non c’è una progettualità fatta bene e in accordo tra le varie istituzioni, come si può pensare di gestire la situazione in modo serio? La precedente amministrazione era quella che diceva: io voglio la sicurezza per la città. E allora ha preso tutti i rom e li ha portati fuori dal Grande raccordo anulare. A Castel Romano ne sono stati portati 1.200”. Monsignor Enrico Feroci è direttore della Caritas di Roma. Non avevate sentore di quello che accadeva nel mondo romano dell’accoglienza? “Il 12 novembre, in un comunia luce in fondo ad un tunnel… tutto d’acciaio. Perché è sulla siderurgia italiana che si comincia ad intravvedere l’alba di una nuova giornata, dopo una lunga notte che ha rischiato di travolgerla. Per ultime, le parole del presidente del Consiglio Matteo Renzi, che in un’intervista ha prospettato la possibilità che lo Stato intervenga direttamente per risolvere la crisi che sta divorando la più grande acciaieria italiana, l’Ilva di Taranto. Se da una parte lo Stato-imprenditore in Italia fa sempre paura, dall’altra questo è un caso in cui o l’intervento finanziario è veramente robusto, o la crisi si avvita fino alle inevitabili conseguenze. Ma la lampadina accesa a Taranto si aggiunge a quelle più luminose che scorgiamo a Piombino - dove l’impianto produttivo locale verrà rilevato dagli algerini della Cevital, con un investimento di 400 milioni di euro - e da Terni, dove si sta risolvendo una lunga crisi che ha fatto temere la chiusura della locale Ast, e il licenziamento di centinaia di addetti. La proprietà tedesca ci sta ripensando, anche perché i laminatoi umbri sono tra i migliori al mondo per produrre certi tipi di acciai. Ecco: in un generale panorama di crisi, la risurrezione della siderurgia italiana assume una doppia valenza positiva. Si salvaguardano posti di lavoro e, soprattutto, interi tessuti sociali (per Taranto, Piombino e Terni queste chiusure sarebbero un dramma); ma soprattutto si rilancia un settore 13 COSA MUOVE IL GOVERNO Il ritorno dell’acciaio nel motore dell’Italia In un generale panorama di crisi, la risurrezione della siderurgia italiana assume una doppia valenza positiva. Si salvaguardano posti di lavoro e, soprattutto, interi tessuti sociali; ma soprattutto si rilancia un settore vitale per la nostra economia, che è tra le prime nel mondo di Nicola Salvagnin vitale per la nostra economia, che è la seconda manifatturiera d’Europa e tra le prime nel mondo. L’acciaio si produce in tutto il globo; ma un conto è avercelo qui, vicino e in raccordo con le particolari esigenze produttive delle nostre aziende (si pensi a certi lamierini); un conto è doverlo importare dalla Cina o dall’India a prezzi alti, tempi incerti, in coda agli altri clienti. E poi significa fabbriche che funzionano, occupazione, indotto (trasporto, stoccaggio, vendita). Significa dare un futuro alla nostra economia che non può essere solo pizza e fichi. Un grande Paese industriale non può prescindere dalla manifattura: speriamo lo si capisca, nel momento in cui Fiat si sta progressivamente ritirando dall’Italia. Finora il governo Renzi è stato abilissimo a muoversi all’estero, per creare opportunità di business per le nostre aziende esportatrici. Contratti miliardari sono stati siglati in mezzo mondo, mediaticamente sovrastati dalle solite, contem- poranee beghette politiche che nascondono la fornitura di un oleodotto o la realizzazione di un’autostrada. Ma l’esecutivo deve certamente fare di più per attrarre capitali stranieri non solo per acquistare l’esistente - e qui lo shopping è sfrenato, pure nello stesso acciaio - ma anche per investire ex novo. Possibile che a Termini Imerese non si riesca a far arrivare qualche produttore automobilistico giapponese o coreano? E tornando a Taranto, pure qui gli stranieri stanno volteggiando attorno all’Ilva, in cordata con imprenditori italiani (la mantovana Marcegaglia da una parte, la cremonese Arvedi dall’altra). Ma ci sono debiti pregressi da saldare, una colossale bonifica da realizzare, la fornitura di materia prima da continuare, i forni da riaccendere, provvedimenti giudiziari di tutti i tipi… Nessuno in giro per il mondo se la sente di prendere in mano una simile patata bollente; ecco perché, a questo punto, lo Stato deve fare la sua parte. Renzi non ha detto: nazionalizzeremo. Ha piuttosto delineato un possibile intervento nel rispetto delle normative comunitarie, che non prevedono aiuti di Stato alle aziende. Come? Ci sono vari modi per “bonificare” il disastroIlva per poi offrirla ad investimenti privati. Il migliore sarebbe quello di accollarsi i costi (1,8 miliardi) della bonifica ambientale, cosa su cui i puntuti commissari europei avrebbero poco da ridire. Ma nel frattempo vanno almeno parzialmente pagati i 400 fornitori dell’acciaieria; va garantita la continuità aziendale; va cercato un management che sappia fare acciaio e venderlo e non solo trattare con la politica e la magistratura. Andrebbe infine cercato un modo affinché lo Stato rientri, poi, dalle spese sostenute, come Obama ha sapientemente fatto a Detroit e a Wall Street. Una sfida enorme, ma ci stiamo giocando una città, mezza Puglia e una fetta rilevante del futuro della nostra economia. Non far finta di niente è già una buona cosa. Le classiche cose fatte male… “Li ha portati fuori dal Raccordo. Messi lì, abbandonati, senza controllo, senza nulla. E in questa situazione di degrado e di abbandono, chi comanda? I mafiosi, i più forti, quelli che terrorizzano gli altri. E i poveri che vivono dentro, saranno sempre sfruttati da tutti. E poi si fa circolare l’idea che siccome sono rom, sono tutti ladri e delinquenti. Non è possibile lavorare con questa superficialità e senza conoscere bene il problema, standoci dentro”. Monsignor Feroci, ci può indicare qualche buona regola di comportamento? “La prima è saper vedere quello che realmente succede nel mondo della povertà e dell’emarginazione. E poi essere capaci di progettare. Possibile che a Roma non ci sia qualcuno in grado di fare un progetto serio per queste persone? È mai possibile che non ci sia un percorso che dia loro la possibilità d’integrarsi, così come sono, nell’ambito di un ambiente? E, infine, trovare le persone che davvero amano e abbiano a cuore queste realtà?”. Questa storia ha gettato un’ombra nera sulla solidarietà romana. La preoccupa questa situazione? “No, assolutamente no. Perché noi quello che facciamo, lo facciamo a testa alta. Nel malessere di questa città, noi ci siamo dentro. Con i nostri 36 centri non solo non c’è una virgola fuori posto, ma ci sono tante, tantissime persone che nel servizio trovano il significato della loro vita”. 14 dall’italia POLEMICA ARTIFICIOSA n. 44 14 dicembre 2014 La donazione di gameti non convince le italiane Si sbaglia chi evoca una generale mancanza di “cultura del dono”. Le statistiche europee dicono il contrario. Quindi il problema sta altrove: forse, nel profondo, una donna consapevole della propria dimensione strutturale di “maternità” tende a custodire gelosamente ciò che considera parte della propria identità intima di Maurizio Calipari S olidarietà e compartecipazione al bene comune sono di certo elementi rivelatori della maturità e coesione di un popolo. Perciò, quella che in termini antropologico-culturali potremmo genericamente indicare come “cultura del dono” rappresenta una delle più significative qualità sociali che ogni nazione con un buon grado di civiltà dovrebbe orgogliosamente promuovere e custodire come valore, sforzandosi di tradurla in iniziative operative a sostegno dei bisogni sociali emergenti. Per contro, la mancanza o la scarsa implementazione di questa propensione civica dovrebbe far preoccupare, e non poco, un popolo che in questo modo mostrerebbe di O pere infrastrutturali, come ad esempio “il piano per la banda ultra larga” e “importanti assi stradali e autostradali”; progetti “per la prevenzione del rischio idrogeologico”, per il sostegno finanziario alle piccole e medie imprese, per l’efficienza energetica, persino per il piano “la buona scuola”. Oltre a ferrovie, gasdotti e ristrutturazioni di edifici scolastici. C’è di tutto fra le centinaia di progetti che l’Italia ha presentato a Bruxelles per rientrare nei finanziamenti previsti dal Piano Juncker da 315 miliardi di investimenti, inteso a rilanciare l’economia e l’occupazione, così da uscire dalla lunga fase recessiva che tormenta l’Europa. Ma se Roma ha mobilitato tutta la fantasia possibile per mettere le mani sui fondi comunitari, anche gli altri 27 Stati non sono stati da meno. Le prossime tappe C’è chi giura che gli uffici della task force Ue - composta da Commissione e Banca europea degli investimenti appositamente costituita per valutare i progetti giunti da ogni angolo del continente - siano sommersi da voluminosi dossier. JeanClaude Juncker ha illustrato il suo “piano strategico” il 26 novembre all’Europarlamento; l’Ecofin (ministri economici e finanziari dei Ventotto) lo valuterà il 9 dicembre; poi sarà la volta del Consiglio europeo (capi di Stato e di governo) del 18 e 19 dicembre. Le regole sono chiare: da Ue e Bei saranno messi a disposizione 21 miliardi, contando su un effetto moltiplicatore di 15 euro per ogni euro investito dall’Unione: quindi spazio a fondi statali e privati. I progetti saranno finanziati - senza particolari “quote” nazionali o settoriali - unicamente in base a tre criteri: capacità di generare un “va- preferire alla solidarietà altruistica un’attitudine pericolosamente individualistica, piano inclinato e scivoloso verso una progressiva disgregazione sociale. Dunque, additare un gruppo sociale o un intero popolo come sostanzialmente insensibile ad una “cultura del dono” significa formulare un’accusa grave ed allarmante, soprattutto per le potenziali conseguenze sociali che ne potrebbero derivare. Questa lunga premessa è giustificata dal fatto che in queste settimane è proprio l’Italia ad essere chiamata al banco degli imputati per rispondere di questa “infamante accusa”, quella di essere una nazione dove manca una vera “cultura del dono”. E quale causa genera questa indignata denuncia? Non si soccorrono gli indigenti? Non si curano i malati? Non si accolgono gli immigrati? No. Il motivo è che, dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 9 aprile 2014, n. 162, che ha aperto le porte alla fecondazione eterologa nel nostro Paese, si riscontra l’assenza quasi totale di donazioni gratuite di gameti (soprattutto ovociti, ma anche spermatozoi), con la conseguente impossibilità di rispondere alle tante richieste di coppie sterili che attendono di potere avere un figlio con queste procedure, a meno di ricorrere a donatori esteri (ma a pagamento, fino a 2000 euro ad ovulo!). “In Italia - ha pubblicamente dichiarato qualche giorno fa Laura Rienzi, Occasione da non perdere Dall’Italia richieste per 40 miliardi al Piano Juncker In una nota del ministero dell’Economia si parla di “un importante e concreto step”, con l’obiettivo di “rilanciare la crescita” attraverso progetti “in cinque aree: innovazione, energia, trasporti, infrastrutture sociali e tutela delle risorse naturali”. La concorrenza è forte: gli altri 27 Stati dell’Ue non sono rimasti a guardare. di Gianni Borsa lore aggiunto europeo”, rendimento socioeconomico, possibilità di essere avviati nell’arco di tre anni. La lista tricolore E qui arriva la lista della spesa italiana, stesa dal gruppo di lavoro costituito presso il ministero dell’Economia e spedita a Juncker il 14 novembre. “Un elenco ambizioso”, spiegano al palazzo Berlaymont, dove risiede l’Esecutivo comunitario, con progetti “interessanti” e altri “troppo locali”, destinati a finire in un nulla di fatto. “Una selezione di progetti per una richiesta di finanziamento pari a oltre 40 miliardi di euro”, precisano da via XX Settembre, sede romana del ministero dell’Economia, dove peraltro vige uno strano riserbo attorno all’argomento. Eppure una nota del dicastero parla di “un importante e concreto step”, con l’obiettivo di “rilanciare la crescita” attraverso progetti “in cinque aree: innovazione, energia, trasporti, infrastrutture sociali e tutela delle risorse naturali”. Dal Brennero a Ragusa Così, fra i 2.200 progetti nazionali si trova di tutto. Non potevano, ad esem- pio, mancare le infrastrutture per i trasporti, in una Penisola lunga 1.500 chilometri: ecco l’autostrada RagusaReggio Calabria, il tratto Orte-CesenaMestre, accanto alla onnipresente Salerno-Reggio Calabria, che ha sempre bisogno di rattoppi. Ovviamente le linee ferroviarie: finalmente si parla dell’alta velocità tra Napoli e Bari oltre che tra Brescia e Padova; figura altresì l’odiamata Tav Torino-Lione (700 milioni), cui si aggiungono il potenziamento della Catania-Messina e sistemazioni del tunnel del Brennero. Solo per le ferrovie sono stati invocati quasi 500 milioni di euro; altrettanti per la realizzazioni di nuovi porti, più 190 milioni per l’ampliamento di quello di Civitavecchia. Nel capitolo aeroporti non potevano mancare richieste per Fiumicino (300 milioni) e Malpensa (140 milioni). Nel settore energetico si scorgono piani di efficienza per edifici residenziali, pubblici e industriali (225 milioni), ma anche due centrali a biomasse in Emilia Romagna e in Abruzzo. E, ancora, impianti fotovoltaici, metanodotti, tratti di gasdotto. La prudenza del ministro Le richieste avanzate dall’Italia comprendono idee per la tutela delle risorse naturali oltre a interventi in alcune grandi città - Torino, Genova - con opere idriche e servizi fognari. Poi la formazione, nel senso d’interventi di ristrutturazione o ammodernamento di scuole, residenze universitarie, palestre (i fondi per i corsi di formazione o lo studio all’estero rientrano invece tra i consueti fondi del bilancio “ordinario” dell’Ue). Ora non resta che attendere i verdetti della task force europea. Nel frattempo il ministro Pier Carlo Padoan mette le mani avanti. Di positivo vede il fatto che gli investimenti statali a supporto del piano non saranno conteggiati nel calcolo del rapporto deficit/Pil, proprio come chiedeva il Governo Renzi. Le perplessità sono semmai legate ai “criteri di ripartizione di queste risorse, non tanto verso i Paesi quanto verso i progetti”. A suo dire “ci sono ottimi progetti nazionali che meritano finanziamenti pubblici e che possono attrarre fondi privati”. Infine arriverà una prova per il Belpaese: ossia la reale capacità di gestire i progetti, di co-finanziarli, di condurli al traguardo senza inefficienze, sprechi o malversazioni. Ma questo è un altro capitolo. Vita La presidente della ‘Società italiana embriologia riproduzione e ricerca’ - manca completamente la cultura della donazione perché nessuno ha mai chiesto ai giovani di donare il proprio seme o ovocita. Prima di tutto bisognerà lavorare su questo”. Di fronte a questa ‘lacuna’ di solidarietà, qualcuno ha prontamente reagito in maniera pragmatica proponendo come unica soluzione realistica la legalizzazione della compravendita dei gameti, cosa già in atto in altri Paesi, anche europei. Così, ad esempio, Guido Pennings, docente di etica alla Ghent University del Belgio: ”L’altruismo è il fattore più importante nella donazione di ovociti, ma il compenso finanziario è una ragione convincente”. Ma una simile prospettiva, quasi provocatoria, ha subito fatto indignare gli evocatori della ‘cultura del dono’, del resto confortati da quanto si legge nelle Lineeguida sul tema recentemente emanate dalla Conferenza delle Regioni , “la donazione di cellule riproduttive da utilizzare nell’ambito delle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo è atto volontario, altruista, gratuito, interessato solo al ‘bene della salute riproduttiva’ di un’altra coppia. Non potrà esistere una retribuzione economica per i donatori/donatrici, né potrà essere richiesto alla ricevente contributo alcuno per i gameti ricevuti”. Ma è proprio così? È proprio vero che gli italiani, e in particolare le italiane, sono talmente insensibili ai bisogni altrui da negare un tale gesto di solidarietà gratuita? Non sarà un po’ azzardato scomodare la mancanza di una ‘cultura del dono’ per giustificare questa resistenza a donare gameti? E sì, perché se ci si sposta su altri fronti, i dati statistici lasciano qualche perplessità in merito. Ad esempio, guardando alla donazione di organi - l’ambito più prossimo a quello della donazione dei gameti - l’Italia nel 2013 ha raggiunto una media di ben 22,2 donatori per milione di popolazione (dati Aido), a fronte di una media europea di 16,9. Più generosi di noi solo Spagna e Francia. Non male per gente senza ‘cultura del dono’! E che dire della donazione di midollo osseo (procedura invasiva e non esente da rischi sanitari)? In Italia ben 427 donatori iscritti per 1000 abitanti (dati Istat 2013), i primi in Europa! Ma allora, quando ne vale la pena - salvare la vita altrui o soccorrere chi ha un livello di salute altamente compromesso - i cittadini del Bel Paese sanno ancora mettersi in gioco con generosità e solidarietà, ben radicati in una fattiva ‘cultura del dono’! Non sarà dunque, più semplicemente, che è proprio la donazione dei gameti in sé (in particolare degli ovociti) a non convincere abbastanza la maggioranza degli italiani? Probabilmente per una donna, sottoporsi ad una pesante stimolazione ovarica con monitoraggio e recupero degli ovociti, con considerevoli disagi e rischi, sapendo per di più di dover rimanere una donatrice anonima (sia verso la coppia ricevente, sia verso chi verrà generato da quei gameti), non è giustificato a sufficienza dal fine dell’eterologa. O forse, più profondamente, una donna consapevole della propria dimensione strutturale di “maternità” tende a custodire gelosamente ciò che considera parte della propria identità intima e non un semplice “reperto biologico”. Perché donare se stessi, non le cose che possediamo, richiede sempre una causa adeguata, di pari dignità valoriale. Questa è la vera ‘cultura del dono’, che Dio ce la conservi! Vita La È un politico di un altro secolo. Certamente proviene da un percorso e da una cultura che risultano alieni a molti occidentali di oggi, compresi molti nostri leader politici. Commette errori e ha debolezze… Ma nonostante sia un vicino scomodo, non si può non negoziare con Mosca perché, volenti o nolenti, è un attore importante per molte partite n. 44 DA QUINDICI ANNI AL POTERE 14 dicembre 2014 Putin ha riesumato la politica di potenza di Stefano Costalli A lcuni giorni fa,Vladimir Putin ha rivolto alla Russia e al mondo intero l’annuale discorso sullo stato della Federazione. È stato un discorso in puro stile “putiniano”. Sentire parlare il presidente russo non è come ascoltare la maggior parte dei leader politici occidentali, non c’è spazio per la simpatia, per i sorrisi, per gli ammiccamenti a favore di telecamera. Considerando anche la parentesi da primo ministro, Putin guida di fatto la Russia da ormai quindici anni e lo fa puntando tutto sulla propria ferrea determinazione e sulla gestione diretta di un grande potere che non viene nascosto dietro artifici retorici, ma anzi comunicato T utte le religioni unite per sradicare la schiavitù moderna entro il 2020. Una sfida storica, ambiziosa, che ha visto Papa Francesco accogliere in Vaticano, nella Casina Pio IV, sede della Pontificia Accademia delle Scienze, leader anglicani, ortodossi, buddisti, indù, ebrei e musulmani per firmare una dichiarazione congiunta contro un fenomeno dalle dimensioni spaventose: quasi 36 milioni di persone nel mondo (secondo l’Indice globale sulla schiavitù del 2014 della Walk free foundation) vittime di sfruttamento sessuale, lavoro forzato, lavoro minorile, vendita di organi, tratta di esseri umani. Una iniziativa promossa dall’organizzazione Global Freedom Network in occasione della Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù che si è celebrata il 2 dicembre, e che ha visto la firma del Patriarca ortodosso ecumenico Bartolomeo I, dell’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, dei rabbini Abraham Skorka e David Rosen, delle autorità islamiche. C’era perfino l’indiana Amma, che ha il suo ashram in Kerala, dall’estero direttamente per far capire al proprio popolo, ma anche ai governi stranieri, che al Cremlino siede qualcuno in grado di tenere tutto sotto controllo, uno che non scherza. Mai. Da un certo punto di vista, Putin è un politico di un altro secolo, del Novecento o forse dell’Ottocento. Certamente è un politico che proviene da un percorso e da una cultura che risultano alieni a molti occi- dentali di oggi, compresi molti nostri leader politici. Tuttavia, Putin mantiene un consenso interno ancora alto e chi crede che ormai non trovi più riscontro in patria rischia di mescolare i propri auspici con la realtà dei fatti. Nel discorso di qualche giorno fa, il presidente ha ribadito che la Crimea è pienamente russa, che l’annessione è avvenuta in maniera pienamente legittima e che il cambiamento di governo in Ucraina è stato un colpo di stato. Queste affermazioni possono essere indigeribili per molti europei, ma sono invece vicine al sentire di molti russi.Allo stesso modo, la pura politica di potenza usata da Putin sulla scena internazionale, in cui la diplomazia va a braccetto con la minaccia e pure con l’uso della forza, scandalizza molti di noi, ma fa un effetto diverso a est di Kiev. Putin può risultare irritante, indisponente, spiacevolmente aggressivo, ma non è uno sprovveduto. Quando si tratta di giocare al tavolo della politica di potenza, il presidente russo è spesso spregiudicato, ma non azzardato. Raramente le mosse vengono compiute senza essere ben calcolate. Ovviamente, anche Putin talvolta commette degli errori. È stato per tutti evidente che i ribelli filo-russi dell’Ucraina orientale e l’escalation di violenza nella regione a un certo punto della crisi gli sono sfuggiti di mano e hanno rischiato d’indebolire la posizione russa. L’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines lo scorso luglio, con le sue 290 vittime, MISSION DI CIVILTà Tutte le religioni contro la schiavitù l leader mondiali, a cominciare da Papa Francesco, hanno firmato una dichiarazione congiunta contro un fenomeno dalle dimensioni spaventose: 36 milioni di persone nel mondo, vittime di sfruttamento sessuale, lavoro forzato, lavoro minorile, vendita di organi, tratta di esseri umani di Patrizia Caiffa famosa in tutto il mondo perché riempie gli stadi solamente abbracciando le persone e comunicando loro pace e amore. Papa Francesco, che non è nuovo a questi temi perché ha conosciuto in prima persona a Buenos Aires tante vittime del lavoro schiavo e della prostituzione forzata, ha definito queste forme di “moderna schiavitù” un “delitto aberrante” e un “crimine di lesa umanità”. Ed è veramente la prima volta che i leader delle principali religioni si uniscono per uno sforzo comune contro la schiavitù. Un impegno che dovrà ispirare l’azione sia spirituale sia pratica di tutte le Confessioni, a tutto campo, in ogni Paese del mondo. Nessuno è escluso, anche se in cima alla infelice classifica c’è l’India con oltre 14,2 milioni di persone stimate in schiavitù, seguita dalla Cina con 3,2 milioni e dal Pakistan con 2 milioni. Dietro questi numeri approssimativi per difetto, visto che rientrano nell’economia sommersa gestita dalla criminalità e dalle mafie globalizzate, ci sono i volti dei bambini e dei poveri - la maggior parte sono cristiani - che lavorano nelle fabbriche di mattoni del Pakistan, resi schiavi perché costretti a indebitarsi con i datori di lavoro per pagare i costi esosi di un matrimonio o di un funerale. Ci sono le storie tristissime delle ragazze cambogiane, thailandesi, filippine, brasiliane, vendute da famiglie poverissime per pochi soldi a trafficanti senza scrupoli per farle prostituire in squallidi bordelli. E i drammi indicibili dei profughi eritrei, sudanesi, etiopi, somali, rapiti dalle bande dei predoni nel Sinai o lungo i viaggi della speranza verso l’Europa, per chiedere un riscatto ai familiari. Torturati e uccisi per il traffico di organi. Ci sono le “maquilas” in Argentina, in Messico e in tanti altri Paesi dell’America Latina, le fabbriche dove vengono confezionati i capi firmati destinati ai benestanti occidentali mentre i lavoratori sono costretti a vivere e lavorare in condizioni disumane. Ci sono le ragazze dell’Est e le nigeriane che vediamo sulle nostre strade, indotte alla prostituzione con l’inganno e schiavizzate. Il compito dei governi è immane perché si ha a che ne è la testimonianza più chiara. Dunque, i punti deboli nella politica di Putin esistono, e paradossalmente il limite maggiore può essere proprio la sua tendenza a ricondurre ogni ambito di azione alle logiche e ai temi classici della politica di potenza. Come dimostra la crisi economica che sta colpendo la Russia, causata da un deprezzamento del petrolio e del gas, e da un conseguente forte indebolimento del rublo, il Paese avrebbe bisogno anche di altro. Queste debolezze evidenti del sistema russo possono creare spazi di dialogo, che però non sarà mai agevole. Le sanzioni tuttora in vigore e che quest’anno costeranno alle imprese italiane circa due miliardi di euro non aiutano molto. Era necessario agire diversamente e più tempestivamente sul piano diplomatico, ma spazi di manovra esistono ancora. Nonostante sia un vicino scomodo, non si può non negoziare con la Russia perché, volenti o nolenti, Mosca è un attore importante per molte partite, dal Mediterraneo fino ai confini con la Cina. fare con un indotto criminale che “fattura” miliardi e miliardi di dollari, ed è un impegno che si aggiunge agli altri Obiettivi del millennio proclamati ma ancora non raggiunti: sradicare la fame nel mondo, l’analfabetismo, la povertà, la mancanza di accesso all’acqua, ai servizi sanitari. La lista delle utopie da realizzare è, come sempre, lunghissima. Resta il fatto che, con questo gesto storico, le religioni dimostrano di saper camminare insieme per indicare una strada anche ai governi. Per l’opinione pubblica mondiale questo atto ha un valore altamente simbolico, morale ed educativo. Non solo si impegneranno ancora di più con ciò che già fanno nelle quotidiane opere di solidarietà - pensiamo solo al mondo cattolico e alle suore che aiutano le ragazze a lasciare la strada -, ma si assumono la responsabilità di una sfida che sembra impossibile, perfino con una data molto ravvicinata: entro il 2020. Cinque anni, manca pochissimo. C’è tantissimo lavoro da fare. “Caminando se abre camino”, si dice in America Latina. L’esempio è stato dato. 15 Dal mondo Diga in Cambogia Organizzazioni nazionali e regionali si oppongono alla continuazione dei lavori per un progetto idroelettrico la cui realizzazione metterebbe a rischio l’ambiente e la vita di ottantamila persone nella Cambogia del nord-est. La diga del basso Sesan 2, presumibilmente carente di valutazioni di impatto ambientale, finanziata e costruita da un consorzio di imprese cinesi, cambogiane e vietnamite, recherebbe danni anche in territori vicini come nel Laos, nel Vietnam e in Thailandia. Ultimati i lavori, lo sbarramento idrico avrà una altezza di 75 metri ed una lunghezza di otto chilometri, esso disporrà di un bacino di 33.560 ettari, capace di produrre 400 megawatt di energia. Il cantiere d’opera dovrebbe essere attivato a gennaio, e le operazioni dovrebbero avere una durata di circa tre anni. Sottomarini nucleari cinesi Secondo The Wall Street Journal, quotidiano internazionale pubblicato a New York, la Cina sarebbe ora in grado di colpire con i propri sottomarini nucleari e attraverso l’oceano Pacifico gli Stati Uniti d’America, così il grande paese asiatico, insieme alla Russia e agli Usa, entra nel novero delle nazioni capaci di lanciare attacchi nucleari via, terra, via aria e via mare. Se pure la possibilità di aggredire via mare sussistesse, al momento Pechino ha la necessità di impiegare la propria flotta sottomarina principalmente nella disputa con il Giappone, originata dalla contesa intorno alle Isole Diaoyu e Senkaku (nel mar Cinese orientale e fonte di crescente tensione, e nel contrasto accesosi da tempo nel mar Cinese meridionale con degli stati come in Vietnam, Taiwan, le Filippine, la Malesia e Brunei. Musulmani in Myanmar Sono più di centomila i musulmani Rohingya che, a bordo di navi-cargo, hanno lasciato il Myanmar (ex Birmama, 50 milioni di abitanti) negli ultimi due anni, da quando sono esplose le violenze confessionali con la maggioranza buddista. Lo stato di Rakhine, nell’ovest birmano, dal giugno del 2012 è terra di scontri fra buddisti birmani e Rohingya, lotte che hanno causato quanto meno 200 morti e 250mila sfollati, nel paese asiatico vive ancora più di un milione di persone appartenenti alla minoranza musulmana, soggetti che il governo considera immigrati irregolari e, come tali, perseguitati. I Rohingya in fuga fanno una prima tappa in Thailandia, dove subiscono ulteriori violenze, e poi si dirigono verso la Malaysia o altri paesi dove, senza diritto alcuno di clttadinanza, il loro futuro rimane incerto. 16 musica e spettacolo V incitore dell’Oscar come miglior film del 2012, uscito in DVD già a marzo dello scorso anno, è passato in prima tv su Canale 5, il 24 novembre, “Argo”, lavoro interpretato, coprodotto (con Clooney) e diretto da Ben Affleck che, ancora una volta, si dimostra abile nella gestione della materia narrativa e nell’uso -all’uopo- sapiente della suspence. La storia è vera, ambientata nell’Iran del 1979, quando la rivoluzione popolare era all’apice e i rapporti diplomatici tra Medioriente e USA erano ai ferri corti: da un lato l’intransigente politica antiamericana dell’ayatollah Khomeini, dall’altro la patata bollente costituita dalla fuga del truce Scià Mohammad Reza Pahlavi, rifugiatosi negli Stati Uniti, di cui gli iraniani richiedevano a gran Vita La n. 44 14 Dicembre 2014 DAL CINEMA ALLA TELEVISIONE Argo, già sul piccolo schermo In prima tv su Canale Cinque di Francesco Sgarano voce l’estradizione, negata però dagli americani, di certo non intenzionati a gettare un uomo, ancorchè spregevole, nelle mani di un processo popolare. Durante un assalto all’ambasciata USA a Teheran vengono fatti prigionieri decine di ostaggi, sei dei quali però riescono a svignarsela e a trovare riparo presso la casa del console canadese. Lì vivono nascosti, notte e giorno, per circa tre mesi finchè non viene a liberarli Tony Mendez, agente speciale della CIA che, con finanziamenti e consenso governativi, ha impancato la sceneggiata della produzione di un film di fantascienza -“Argo” per l’appunto- di cui i prigionieri che deve riportare a casa costituirebbero la troupe, venuta in visita in Iran per dei sopralluoghi. La storia è abbastanza ingarbugliata ma viene sciolta con consapevolissimo mestiere dallo sceneggiatore Chris Terrio (dal libro dello stesso Mendez), rendendo lo spettatore partecipe dei fatti sin dalle prime sequenze, dove immagini di repertorio si mischiano a quelle effettivamente girate dell’assedio dell’ambasciata americana da parte di una folla inferocita. “Argo” parrebbe essere un film di spionaggio con risvolti politici, tuttavia ha momenti godibilissimi in cui la tensione si stempera in scene perfino ironiche, allorquando entrano in scena il truccatore John Chambers (che curò davvero il make-up de “Il pianeta delle scimmie” e interpretato dal corpulento John Goodman) e il produttore Lester Siegel, un Alan Arkin ispiratissimo e sempre più autoironico, che spiattella due o tre battute al fulmicotone su Hollywood e sui suoi palloni gonfiati che non possono non strappare una sana risata. I due tizi non sono altro che i professionisti di Hollywood cui Mendez si rivolge per ricevere la copertura della produzione del “falso” film, messo in piedi -con tanto di promozione pubblicitaria e lancio sulla stampa- solo per fregare i sospettosissimi controlli iraniani. Il film è molto ben girato, sostenuto anche da un manipolo di comprimari molto incisivi, ma a chi ha visto “Fuga di mezzanotte” non potrà non riportare alla mente alcune scene di quel film: la trafila del controllo dei passaporti al check-in -che là era all’inizio e qui alla fine- è ugualmente adrenalinica, la sequenza del bazaar è anch’essa memore di quel film, certe nenie orientali e la cattedrale di Santa Sofia a Istanbul ritornano pari pari come allora, il momento della fuga -là era a piedi, qui in aereo- è gestito con un senso del ritmo e della suspence notevole -anche se in “Fuga di mezzanotte” l’intera situazione appariva più veritiera. In effetti la scena dell’inseguimento dell’aereoplano sulla pista, mentre sta per decollare, da parte di auto della polizia e camionette con militari coi fucili spianati, sembra, nella sua sfrenata spettacolarizzazione, più una sequenza di un film di John Woo -ed è forse l’unico vero appunto che ho da fare al film, davvero nel complesso godibile e avvincente. Sostieni LaVita Abbonamento 2015 Sostenitore 2015 Amico 2015 euro 45,00 euro 65,00 euro 110,00 c/c postale 1 1 0 4 4 5 1 8 I l 7 agosto 1991 la nave albanese Vlora, di ritorno da Cuba, arriva al porto di Durazzo con nella stiva diecimila tonnellate di zucchero. Mentre sono in corso le operazioni di scarico, una folla di migliaia di persone, uomini, ragazzi, donne e bambini, assale il mercantile costringendo il capitano Halim Malaqi a fare rotta verso l’Italia. In questa marea incontenibile c’è Eva che sale arrampicandosi lungo le cime d’ormeggio insieme al marito, Kledi, un ragazzo, che si trova in spiaggia con gli amici quando decide di seguire incuriosito la folla diretta verso il porto, Ali con la sua famiglia, Robert giovane regista con i compagni di studi. Sulla nave nascono delle amicizie, il motore centrale del vecchio e malandato mercantile, costruito negli anni ’60 a Genova, è in avaria mentre a bordo non ci sono né cibo né acqua, solo zucchero. Il capitano riesce ad evitare una collisione, pur non disponendo di radar. La mattina dell’8 agosto la nave carica di ventimila persone arriva nel porto di Bari, davanti ad una città incredula e stordita. Le operazioni di attracco sono difficili, qualcuno si butta in mare per raggiungere la terraferma a I vecchi abbonati possono effettuare il bollettino postale preintestato, e chi non l’avesse ricevuto può richiederlo al numero 0573.308372 (c/c n. 11044518) intestato a Settimanale Cattolico Toscano La Vita Via Puccini, 38 Pistoia. Gli abbonamenti si possono rinnovare anche presso Graficamente in via Puccini 46 Pistoia in orario di ufficio. CINEMA “La nave dolce” dall’Albania all’Italia Un film di Daniele Vicari di Leonardo Soldati LaVita nuoto, molti urlano in coro “Italia, Italia” facendo il segno di vittoria con le dita, spinti dall’idea di libertà in un Paese conosciuto sugli schermi tv. Dopo lunghissime operazioni di sgombero del porto, i cittadini albanesi vengono portati nel vecchio stadio di calcio di Bari prima del rimpatrio, un evento che anticipa i futuri sbarchi sulle coste italiane. Trascorsi 21 anni da allora, oggi vivono in Italia quattro milioni e mezzo di stranieri. “La nave dolce” è un film-documentario di Daniele Vicari, già regista di “Diaz” che torna alle origini visto che ha iniziato con il documentario, con l’impatto delle immagini d’epoca contrappuntate dai ricordi di molti di quei profughi tra cui il ballerino Kledi Kadiu. Un’ulteriore occasione in cui il documentario italiano mostra attualmente piena salute, la pellicola, presentata all’ultima Mostra del cinema di Venezia e distribuita da Microcinema, compone con il film “Diaz” un affresco sulle virtù ma anche sulle imperfezioni della democrazia italiana. Settimanale cattolico toscano Direttore responsabile: Giordano Frosini STAMPA: Tipografia GF Press Masotti IMPIANTI: Palmieri e Bruschi Pistoia FOTOCOMPOSIZIONE: Graficamente Pistoia tel. 0573.308372 e-mail: [email protected] - [email protected] Registrazione Tribunale di Pistoia N. 8 del 15 Novembre 1949 e-mail: [email protected] sito internet: www.settimanalelavita.it CHIUSO IN TIPOGRAFIA: 10 DICEMBRE 2014