Nota su una poesia di Alfonso Gatto: Natura morta

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Nota su una poesia di Alfonso Gatto: Natura morta
NOTA SU UNA POESIA DI ALFONSO GATTO: NATURA MORTA
Gaetano Chiappini
Tra piazze deserte e chiese murate
dal tempo, fermato ai crocicchi
a muovere giochi di foglie
mentre la notte fuma da scrollate
corolle pacchiane nell’aria,
antica è la veglia, placata in attesa
di lunghe colate di nero.
Nel porto in cui approda il rumore
sul solido chiasso di boe,
sprofondano sazie corazzate.
A galla restano otri e dorsi di squali.
(da Isola, 1929-32)
Nell’ambito dello spazio poetico-marino il poeta – molto interessato alla pittura, e lui stesso,
anzi, pittore in proprio – costruisce un quadro di “natura morta”, un quadro metafisico, visionario, estatico, più rappreso in una visione simbolica piuttosto che di riflessione umana. Allo scopo
di fissare in un particolare ambito una serie di oggetti, che compongono una situazione nell’alone
o all’ombra delle figure. Questo – secondo la buona tradizione della Scuola romana (Mafai, Scipione, Afro, Raphäel, Cagli, Mazzacurati, ecc.); ma anche nella scuola campana-pompeiana, tra
realismo impressionistico e naturalismo simbolico – è un notturno (liquido-materico, come infor male, “lunghe colate di nero”) a descrivere, nel vuoto-assenza dell’umano, oggetti che compongono una vicenda totalmente oggettuale e visiva. La quale, poi, resta immobile e plastica di forme,
ma articolata, eppure senza tempo, che tuttavia si percepisce (“murate / dal tempo”) come segretamente attivo e assedio urgente del vivere degli umani invisibili. Qui, piazze deserte, chiese serra te, e attorno, come rassicurante presenza nel vuoto, il poeta-pittore risalta l’unico elemento ludico
delle foglie certamente scosse dal vento, che non si vede e comunque si intuisce. È l’unica traccia
di vita e di leggerezza quieta e placata, che s’insinua in quella notte senza passione (e sarà allora la
leggerezza che indicheranno le boe galleggianti e che fanno lievitare gli eventi minimi della notte
senza persone).
Ma qualcuno fuma ed impregna la notte, che si fa tutta fumo sottile ma denso e invadente; e
la brace delle sigarette accese simula corolle volgari di fiori immaginati, nel buio che si va facendo
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spesso. Qualcuno veglia, sempre senza tempo. Ma lo sguardo-udito poetico (“rumore”, “chiasso”)
si amplifica, fino ad invadere il “porto”, che indica il punto di arrivo, del mare e delle barche. Qui,
le corazzate del porto militare.
Il porto rappresenta l’intenso spazio del ritorno, della sicurezza e stabilità dopo o prima del
moto marino delle imbarcazioni: “Nel porto in cui approda”, la doppia preposizione (“nel”, “in
cui”) indica esattamente come nel porto si innesti tutto ciò che forma la visione notturna, ed è un
“porto” “in cui approda”, naturalmente, dunque di arrivo e di sosta forte; e un porto dove si per viene e si sosta è un porto rassicurante e stabile (“solido”), fermo, pieno (“sazie”), ospitale, inten samente protettivo. Il porto è il punto di convergenza della vita nelle possibili imminenze (“in at tesa”), ridotta a rumore di varia e grande consistenza, anche disordinata (“rumore”), che si fa
“chiasso”, magari scomposto, sguaiato. Ed ecco, infatti, che tutto quel chiasso si concentra nello
spazio riparato delle “boe” (“solido”), che racchiudono le enormi “corazzate” (segno di guerra, di
marina militare), addormentate e sazie (di movimenti, di azioni, di esercizio). Il porto è allora approdo-sopore-sprofondamento (“sprofondano”) e di sazietà. Ed anche di sicurezza. Certamente,
fuga da quel chiasso.
Il porto è la fermezza robusta e salda di navi alla fonda, quasi regredite nell’elemento marinoportuale come liberazione dalle rotte di navigazione e invece qui in riposo, immobilità senza chiamate. E tutto si ferma nella stasi folta di queste masse sommerse, ben fittamente piantate e vinco late dalle boe di salvataggio. Il distacco delle corazzate (squali piú che coccodrilli sazi e pesanti)
abbandonate nel porto lascia l’acqua piena di resti gonfiati e massicci (“otri” e “dorsi di squali”):
sono le tracce delle corazzate senza piú vita e trasformate negli otri panciuti e nelle schiene inerti
di squali assopiti, distratti dal loro vitalismo abituale.
In sostanza, il poeta traccia del porto l’immagine fiduciosa e abbandonata (anche le boe sono
oggetti leggeri ma robusti e compiono la loro funzione di sostegno) di forme animali, còlte nella
loro dimensione assonnata e decisamente stremata nella sicurezza, in disarmo dell’approdo notturno. Che scarica le tensioni e le ferocie.
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