ultrasuonoterapia perineale

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ultrasuonoterapia perineale
IPOTESI DI TRATTAMENTO DELLE SINDROMI ALGICHE
MUSCOLO-FASCIALI
Arcangelo GAROFALO, Eugenio UBERTI, Carlo GIBBONE
Da alcuni anni trattiamo le sindromi dolorose pelviche (1,2) di origine somatica MUSCOLO-FASCIALE, che spesso
accompagnano differenti patologie della regione pelvica.
Nel porci ogni volta la domanda “quale progetto riabilitativo è possibile”, disponendo di tutte le metodiche
fisiochinesiterapiche, abbiamo più volte utilizzato, in presenza di dolore, la non usuale terapia con ULTRASUONI
(16) associati alle altre tecniche classiche.
Il razionale si basa su due tipi presupposti: uno tecnico, relativo agli effetti meccanici specifici ed unici della terapia
ultrasonica, l’altro anatomo-funzionale, relativo alle alterazioni strutturali interstiziali e intertissutali che spesso
accompagnano le sindromi algiche pelviche.
Abbiamo affinato la tecnica, ed i primi risultati ci sembrano incoraggianti.
PRESUPPOSTI DELLA ULTRASUONO TERAPIA
La terapia ad ultrasuoni è specificamente una terapia meccanica, da ciò dipendono tutti gli altri effetti. Sviluppa
forze di compressione e di decompressione a livello interstiziale e specie alle interfacce dei tessuti. Pertanto produce:
1. microflussi dei liquidi interstiziali (3,4,5,6),
2. una aumentata permeabilità di membrana,
3. una aumentata estensibilità del collagene,
4. un effetto fibrinolitico e antiagglutinante delle fibre collagene (7),
5. una riduzione delle reazioni cicatriziali e aderenziali migliorando lo scorrimento intertissutale (16),
6. una produzione di calore,
7. un ripristino in misura variabile del microcircolo.
Grazie a ciò permette di porsi degli obiettivi terapeutici: 1) una migliore guarigione anatomica, intesa anche
come ricostruzione di un microcircolo e di un interstizio adeguati, 2) un migliore recupero funzionale inteso anche
come scorrimento reciproco dei piani nel contesto del muscolo, delle fasce, delle guaine e delle strutture miofasciali.
Gli ultrasuoni sono delle vibrazioni meccaniche che si propagano in modo longitudinale, in un mezzo elastico (es.
i tessuti umani), con onde di pressione e di decompressione, che a livello delle interfacce dei tessuti, per effetto della
riflessione, possono produrre pressioni della grandezza da 1 a 4 atmosfere, usando potenze del raggio ultrasonico da 1
a 4 Watts/cm2.
Le onde sonore sono soggette a riflessione e interferenza, ovunque esista una variazione di densità del tessuto con
conseguente sommazione in tali sedi dei fasci incidenti e riflessi. A causa di ciò l’energia ultrasonora viene trasformata
in effetti meccanici e calore in maniera estremamente selettiva a livello delle interfacce tessutali. Ciò ha un’enorme
risvolto terapeutico, perché permette di concentrare tale energia, senza ricorrere a dosaggi elevati, dove più è frequente
la formazione di reazioni aderenziali e cioè alle interfacce e dove più è necessario un effetto, chiamiamolo, di
“scollamento”, per riprodurre un buon microcircolo e un sufficiente scorrimento.
L’area di massima pressione è separata da quella di decompressione da una mezza lunghezza d’onda. Nel
muscolo e tessuti molli, alle frequenze terapeutiche in fisioterapia di 1 MHz e 3 MHz, la semionda ha rispettivamente
una lunghezza di 0,77mm e 0,23mm, per cui una grande differenza di pressione viene a verificarsi in una piccola
distanza (8). Ciò permette di esercitare delle notevoli forze di taglio a livello interstiziale, costituendo così la terapia
specifica per le reazioni aderenziali.
L’energia sonora produce lungo l’asse longitudinale di propagazione, onde di compressione e rarefazione, che
inducono dei movimenti di va e vieni delle particelle, che generano microflussi dei liquidi interstiziali e, in definitiva,
un micromassaggio. Ciò migliora la diffusione attraverso le membrane biologiche, la diluizione di metaboliti
eccessivamente concentrati e la funzionalità del microcircolo. E’ possibile, infatti, quantizzare l’ampiezza, la velocità
massima e le accelerazioni(3,4,5,6) degli spostamenti delle particelle. Da ciò ne consegue un’indicazione terapeutica
nelle situazioni, di flogosi cronica, di stasi venosa e di stasi interstiziale, come nelle aree cicatriziali.
La frizione causata dal micromassaggio ultrasonico dissipa parte dell’energia meccanica in calore, il quale:
vasodilata, iperemizza, accelera il flusso linfatico, aumenta notevolmente l’elasticità del connettivo, la
permeabilità di membrana e i processi metabolici locali.
Bisogna precisare che tutti gli effetti degli ultrasuoni sono sempre dovuti ad ambedue le componenti meccanica e
termica con diversa prevalenza dell’una o dell’altra a seconda dei casi. Per es. l’iperemia capillare è generata da
sostanze istamino-simili prodotte dall’interazione tra il micromassaggio e l’incremento termico (9). L’aumento
dell’apporto ematico e del flusso artero-venoso possono anche essere prodotti dall’effetto inibitorio sui nervi simpatici
e sul simpatico perivasale (18,15).
L’azione sui nervi periferici della terapia ad ultrasuoni diminuisce la latenza e aumenta la velocità di conduzione,
pur lasciando invariate ampiezza e durata del potenziale d’azione (10, 11). Pertanto possono trarre vantaggio
terapeutico i nervi periferici nelle lesioni da intrappolamento.
Applicando US ad un nervo periferico o a terminazioni nervose libere nel contesto tessutale si determina una
elevazione della soglia del dolore (14). Le fibre più suscettibili sono le fibre C (12, 13), pertanto sono utili
nell’iperestesia nocicettiva.
Nella guarigione di ferite cutanee sperimentali si è visto che quelle trattate con US a basso dosaggio, mostrano
una maggiore velocità di guarigione, maggior forza tensiva e un aumentato deposito di collagene (17). Ciò
confermerebbe l’utilità del trattamento delle ferite con US precocemente (16).
“Gli US hanno trovato efficacia validata: nelle retrazioni capsulari e dei tessuti periarticolari, secondarie a
immobilizzazioni, traumi, patologie degenerative e processi reumatici. In particolare nella traumatologia dei tessuti
molli, gli US sono indicati in tutti gli stati sub-acuti, cronici e da sovraccarico, nella patologia tendinea e
inserzionale, negli esiti di lesioni muscolari sia per favorire la cicatrizzazione o, in caso di evoluzione sfavorevole,
per prevenire o contenere la miosite ossificante, la fibrosi cicatriziale e le calcificazioni. Emerge un’efficacia
maggiore se l’US viene abbinato a mobilizzazione e stretching prolungato, poiché da solo non produce elongazione
pur favorendo l’estensibilità del collagene (16). Il microscorrimento e il macroscorrimento devono essere associati
terapeuticamente per ottenere risultati apprezzabili e duraturi a livello di tessuti ed organi.
Anche se meno validata l’US terapia è stata anche utilizzata nel trattamento della distrofia simpatico rifllessa
collegata alla sindrome spalla-mano, all’atrofia di Sudek e alla causalgia sia a livello delle articolazioni che del
simpatico”(16).
PRESUPPOSTI ANATOMOPATOLOGICI
Nella pelvi organi e strutture miofasciali sono intimamente integrate, sia funzionalmente che
anatomicamente, per cui patologie d’organo possono coinvolgere strutture miofasciali limitrofe e viceversa. Ciò
comporta tre tipi di eventi: 1) una patologia d’organo recidivante può produrre una reazione flogistica-cicatriziale
cronica nelle strutture miofasciali limitrofe che finisce poi per essere la causa della cronicità della sintomatologia o
viceversa la patologia inizialmente miofasciale può dare patologia nell’organo contiguo, 2) in presenza di una
patologia miofasciale può essere riferita una sintomatologia d’organo o viceversa, 3) lo scorrimento deficitario
genera una sofferenza tessutale e un’insufficienza funzionale.
La patologia miofasciale è meno considerata, per cui spesso è l’insuccesso delle terapie d’organo che spinge il
medico ad esplorare un’origine miofasciale. Spesso di fronte a sintomi organici urologici, ginecologici o proctologici si
pongono diagnosi d’organo e secondariamente miofasciali, mentre è possibile ipotizzare l’inverso per quelle situazioni
meno definite es. cistite interstiziale, sindrome uretrale, urotrigonite, vaginismo, proctalgia ecc.
Questa integrazione anatomico-funzionale fa si che molti pazienti urologici, ginecologici, proctologici e
somatici presentino una sintomatologia comune e traggano tutti giovamento da una riabilitazione del pavimento
pelvico con terapie similari pur essendo patologie apparentemente tanto diverse.
Da ciò consegue che in ogni condizione patologica è d’obbligo trattare la patologia d’organo implicata e
l’alterazione strutturale miofasciale coinvolta, sia per rimuovere una causa importante di dolore pelvico sia per
interrompere il circolo vizioso.
E’ veritiero pensare che flogosi e lesioni delle strutture miofasciali vadano incontro ad un costante iter
riparativo:
1) evoluzione dell’edema e/o versamento in fibrosi nel contesto dei tessuti e nei piani di scorrimento con
produzione di aderenze interstiziali e intertessutali.
2) alterazione cronica del microcircolo, per fibrosi e sofferenza cronica dei tessuti coinvolti
3) alterazione dello scorrimento reciproco dei vari componenti pelvici a causa delle aderenze, con conseguenti
microtraumatismi recidivanti per la limitazione funzionale.
4) dolore cronico o recidivante miofasciale, legamentoso e nervoso da sofferenza tessutale
5) deficit funzionale delle fibre nervose da compressione cicatriziale e delle fibre muscolari da sofferenza tessutale
L’alterazione tessutale interstiziale è un causa importante nella genesi della nocicezione. Nei danni tessutali
causati da trauma, malattia, infiammazione, ischemia, cicatrice, fibrosi, si ha la liberazione di sostanze algogene nel
liquido extracellulare interstiziale che circonda i vari recettori tra cui i nocicettori. La liberazione di queste sostanze,
H+, K+, serotonina, istamina, prostaglandine, bradikinina, sostanza P, ecc., ha una importanza notevole nella genesi del
dolore sia per un’azione eccitatoria diretta sulla membrana dei nocicettori che per una azione indiretta mediante
l’alterazione del microcircolo, della permeabilità, della vasocostrizione e vasodilatazione. Il rilascio di algogeni può
essere indotto da danni meccanici, da prodotti del danno tessutale (materiale lisosomiale, da neutrofili, trombina,
collagene, epinefrina), ecc.(28)
In ogni intervento chirurgico in ambito perineale, l’infiammazione, l’insulto delle strutture nervose e tessutali,
l’eventuale ascesso, la prolungata cicatrizzazione della ferita, il sanguinamento, in un certo numero di casi, possono
spiegare, mediante un’importante reazione fibrotica, l’aggravamento dei sintomi e/o l’eventuale ampliamento della
sintomatologia dolorosa a strutture nuove (basso addome, bacino, pelvi e cosce, dispareunia), deficit funzionali
(astenia, urgenza, frequenza, nicturia, esitazione, cistiti abatteriche, incontinenza, diminuita compliance vescicale,
sfintere uretrale ipersensibile, dissinergia del pavimento pelvico, uroflusso normale o ridotto)
Come afferma Schmidt in occasione di complicanze complesse per procedure laparoscopiche ginecologiche
per dolore pelvico/mestruale, i sintomi, le conseguenze e le evoluzioni sono molto similari. Dopo l’intervento possono
persistere e amplificarsi: dolore, alterazioni minzionali, disfunzioni fecali, deficit sessuale, sintomi somatici e anomalie
psicogene (21, 22).
Ferite, danno tessutale o lesioni nervose producono, mediante afferenze nocicettive e bombardamento
nocicettivo del midollo, cambiamenti nella plasticità neuronale del sistema nervoso centrale, che possono essere
evitati se vengono eliminate tali afferenze sia a livello di insorgenza sia a livello di trasmissione(21, 22). Le
modificazioni della modulazione centrale del dolore sono più facili da impedire che da riabilitare. Pertanto, visto che la
sorgente è la nocicezione periferica, è fondamentale rimuovere il danno tessutale e riabilitare lo squilibrio in atto.
Il bombardamento nocicettivo destabilizza la modulazione del dolore nel sistema nervoso centrale in senso
iperalgico tanto più se era preesistente un dolore cronico perineale. Danno tessutale, lesione nervosa, sintomi
preesistenti, dissesto tessutale preesistente aggravato, danno prodotto dal reiterarsi di una reazione fibrotica su un
cicatrice già esistente, danni prodotti dal reiterarsi dell’insulto nocicettivo sul sistema nervoso centrale possono essere
la causa del peggioramento dei sintomi.
L’iperalgesia può comparire in fase acuta per una evoluzione ritardata della cicatrizzazione o tardivamente
dopo 4- 9 mesi quando, per la pz, dimessa guarita chirurgicamente, avendo il sistema nervoso recuperato il danno
periferico da assonotmesi o neuroaprassia e lo shock centrale, iniziava a manifestare l’iperalgesia da dissesto della
modulazione algica centrale (21). In questo intervallo terapeutico ritengo importante evidenziare clinicamente
eventuali aree dolenti alla digitopressione per essere trattate ben prima che diventino identificabili dalla pz. Cosi
facendo è possibile curare rapidamente le lesioni tessutali perché poco strutturate in senso fibrotico aderenziale e
impedire la nocicezione subclinica.
All’indagine clinica va ricercato se esistono aree di fibrosi molto dolenti che evocano significativamente nella
paziente la sintomatologia denunciata. In questi casi è necessario un trattamento locale oltre che generale perché
l’organizzazione del processo a questo livello è diventata una causa autonoma in grado di alimentare la patologia
algica. Va ulteriormente precisato:
1) se il dolore è sulle inserzioni dei tendini, sulla giunzione muscolo-tendinea, sui ventri muscolari, sulle fasce, sui
legamenti e alla contrazione attiva del muscolo
2) la presenza di pastosità cicatriziali più o meno dense e dolenti, la scorrevolezza dei piani
3) l’evocazione di una sintomatologia d’organo in strutture contigue,
4) l’alterazione della sensibilità
5) la presenza di plausibili complicanze: ipotonotrofia marcata, avvallamenti localizzati dei ventri muscolari,
ipocontrattilità o asimmetrie, incoordinazione, beanza vulvare
La presenza di dolore miofasciale può ingenerare nei muscoli perineali, mediante il meccanismo della
inibizione antalgica, ipocontrattilità, ipotonotrofia da non uso, incoordinazione specie del meccanismo anticipatorio
della contrazione del piano perineale per far fronte agli aumenti pressori addominali nella tosse, nel salto ecc. che tanta
importanza ha nei cedimenti pelvici.
Tutte le volte che intervengono patologie e/o complicanze (ascessi, ematomi, lacerazioni, endometriosi) che
fanno sospettare la produzione di reazioni cicatriziali esuberanti sarebbe opportuno valutare nei controlli clinici lo
stato delle strutture miofasciali limitrofe.
A titolo d’esempio, situazioni cliniche, in cui è sostenibile un coinvolgimento fibrotico nella genesi della
sintomatologia algica, possono essere le seguenti:
SINDR. DOLOROSE PELVICHE E DISTURBI SOMATICI
Il dolore prodotto dai TP miofasciali del piriforme e dei muscoli del piano perineale è frequente e viene spesso
riferito al tratto lombare basso, alla natica, all’anca, al terzo prossimale della coscia posteriormente, al perineo e
all’inguine. E’ accentuato dall’alzarsi e dal sedersi e dalla stazione eretta, può associarsi a zoppia e trascinamento
dell’arto sofferente. Malattie infiammatorie croniche della pelvi, esiti d’interventi chirurgici specie se reinterventi, esiti
di traumi, sacroileiti croniche, reazioni da sovraccarico per dismetria per es., sono fattori attivanti o perpetuanti i TP e
possono manifestarsi con la stessa sintomatologia. L’intrappolamento delle strutture nervose nel contesto cicatriziale
aggrava la sintomatologia.
SINDROMI DOLOROSE PELVICHE E DISTURBI MINZIONALI
Quando è coinvolta la vescica in aree aderenziali, compare: dispareunia, urgenza frequenza, dolore
sovrapubico. Quest’ultimo viene scatenato dal riempimento e dal dilazionare la minzione, è alleviato dallo svuotamento
e in alcuni casi ricompare a fine svuotamento (22) specie quando è interessata l’area trigonale
La sindrome uretrale è una condizione clinica dovuta a traumi, infezioni, terapia radiante pelvica, può
presentare lo stesso meccanismo patogenetico: flogosi cronica o recidivante ed evoluzione in fibrosi periuretrale. La
fibrosi può’ essere ipotizzata come importante causa scatenante la sintomatologia: urgenza, pollachiuria, disuria,
nicturia, ipertono dello sfintere uretrale, esitazione e difficoltà allo svuotamento vescicale, dispareunia e dolore
sovrapubico (26, 27).
SINDROMI DOLOROSE GINECOLOGICHE
Nell’endomentriosi sono presenti: dolore pelvico generalizzato, dismenorrea, dispareunia e dischezia. Il
dolore può essere dovuto alla tumefazione conseguente agli impianti endometriali, agli stravasi ematici, ai detriti nei
tessuti circostanti, all’irritazione peritoneale e alla reazione cicatriziale della lesione. Il trattamento principale è
chirurgico e farmacologico (22), ma la rimozione delle reazioni cicatriziali dovute all’aggressività delle cellule
endometriosiche e possibile causa di dolore cronico e dispareunia è da attuare con la terapia con US associata alle altre
metodiche.
Nel disturbo pelvico adesivo il dolore è frequentemente dovuto al danno interstiziale ed alle trazioni reiterate
di strutture adese, per cui il trattamento di adesiolisi chirurgica andrebbe associato all’adesiolisi fisioterapica.
In una revisione di 89 casi di laparoscopia per dolore pelvico presentavano: endometriosi il 44%, malattia
infiammatoria pelvica il 13%, sindrome aderenziale, varicocele pelvico, tumefazioni originanti dagli organi genitali il
9%, non conclusiva 23% (23). In tutti questi casi è sicuramente implicata una fibrosi reattiva delle strutture di supporto
ed è indicata una terapia FKT associata.
Nel dolore pelvico cronico ritmato o meno dalle fasi mestruali, conseguente a traumi ostetrici, per es. da parto,
l’evento più frequente è la S. di Taylor da congestione e fibrosi pelvica. E’ caratterizzata da: dolore pelvico cronico,
congestione passiva o attiva, cronica dei visceri pelvici ed iperplasia del tessuto connettivo degli stessi fino alla fibrosi.
Quando persiste la congestione, compare spesso l’iperplasia connettivale e l’evoluzione in fibrosi. Situazioni similari
si possono avere nella S. di Allen e Masters da lacerazione traumatica del supporto uterino e nella S. De Valera e
Raftery da stiramento legamentoso intrapelvico. In questi casi ad un attento esame fisico vaginale delle strutture
fascio-legamentose si evidenziano aree grilletto nettamente dolorabili e localizzate, che ricordano alla pz il proprio
dolore (24).
Durante il parto si possono anche avere vere e proprie lesioni: delle fibre e dei fascicoli muscolari e/o
tendinei, microlesioni o parziali lacerazioni di legamenti e fasce, lesioni vascolari di varia entità e stravasi, lesioni
parziali o totali delle fibre nervose, lesioni a tutto spessore con o senza vasto ematoma da episiotomia e/o da
lacerazioni spontanee di differente entità. Questo tipo di danno evolve sempre in cicatrice e reazione aderenziale più o
meno estesa causa di dolore.
Il varicocele pelvico infiammatorio è dovuto sia a fenomeni congestizi correlati alla flogosi, sia all’ostacolo
meccanico per le sequele sclerotiche a carico del cellulare pelvico, è causa di dolore cronico, gravativo ipogastrico,
riacutizzato dalle fasi congestizie del ciclo e cioè ovulazione e giorni che precedono il flusso mestruale, si associa a
dolore lombosacrale basso e disturbi minzionali (25). Può trarre un netto vantaggio dal trattamento della fibrosi.
SINDR. DOLOROSE PELVICHE E DISTURBI PROCTOLOGICI
Proctalgie, dischezie, evacuazioni dolorose pre e/o post, evacuazione intermittente, incompleta.
Le emorroidi possono perpetuare i TP dello sfintere anale.
SCHEMA TERAPEUTICO
Per ridurre le afferenze nocicettive è’ importante: 1)trattare il danno tessutale con US e massaggio e
2)ritarare i recettori periferici a una soglia più alta di nocicezione con elettroterapia, 3)interferire con elettroterapia
sulla modulazione centrale della nocicezione sia con il meccanismo del gate control che con la liberazione di sostanze
oppioidi endogene, 4)riprogrammazione motoria e funzionale dei muscoli ed organi coinvolti.
Sulla base di questi presupposti nel nostro protocollo viene primariamente usata nella sede tessutale lesa una
terapia associata di ultrasuoni ed elettroterapia interferenziale in modo che la sonda somministri ambedue le terapie
sui recettori periferici dove origina la nocicezione. Successivamente si modulano le vie afferenti.
L’area da trattare viene verificata giornalmente guidati dalla dolorabilità poiché, in funzione del grado di
organizzazione, l’area iniziale più ampia, ma meno organizzata si restringe giornalmemte e si fanno progressivamente
evidenti le aree in cui plausibilmente ha avuto origine la lesione.
Tenuto conto che spesso nelle patologie che trattiamo l’effetto prevalentemente ricercato è quello meccanico di
“scollamento” e drenaggio, a livello interstiziale e/o interfasciale, bisogna localizzare l’area patologica e dirigere il
fascio ultrasonico perpendicolarmente ai piani della struttura da trattare per un maggiore coefficiente di assorbimento.
Bisogna per es. ipotizzare se è un problema inserzionale del Pubo-coccigeo, della giunzione miotendinea, del ventre
muscolare, dell’area periuretrale, ecc., altrimenti la somministrazione generica dà scarsi risultati. Se si tratta di aderenze
che messe in tensione sono cronicamente causa di microtraumatismo si attuerà uno scollamento per piani. Se si tratta
di un deficit cronico del microcircolo per fibrosi si attuerà uno scollamento interstiziale intratessutale.
Ricercando più specificamente un effetto meccanico viene utilizzata sempre la forma pulsata di ultrasuoni
che permette di raggiungere picchi di intensità elevata con modesto effetto termico ed una migliore accettabilità della
terapia
Tuttavia nei casi in cui si vuol produrre un maggior effetto termico si sceglierà una forma pulsata con una
durata della fase degli impulsi più lunga, nell’ambito del ciclo di lavoro. I cicli possono essere a 100, 48 e 16 Hz. Nei
casi opposti si sceglieranno intervalli più brevi perché ciò faciliterà la dispersione del calore prodotto.
Oltre alla durata e alla modalità di esposizione del tessuto all’US è necessario scegliere anche la frequenza, sia
in funzione delle dimensioni delle strutture da trattare essendo la semionda a 1 MHz 0,77mm e a 3 MHz 0,23mm
nei tessuti molli, che della profondità da raggiungere, essendo la distanza di dimezzamento di 5cm a 1 MHz e 1,5cm
a 3 MHz. La potenza utilizzata va da 1 a 3 Watts. Il contatto diretto sui tessuti da trattare garantisce la migliore
applicazione dei parametri su elencati.
Il fascio di energia ultrasonica non deve mai attraversare le gonadi perché attualmente non sono a conoscenza
di studi che ne dimostrino l’innocuità per tali strutture alle potenze terapeutiche usate.
PRESUPPOSTI DELLA ELETTROTERAPIA
Carpenter e Melzack dimostrarono che esiste un controllo antinocicettivo spinale (teoria del cancello)
mediato da interneuroni inibitori, e discendente sovraspinale mediato da endorfine. I due sistemi sono integrati
funzionalmente a livello delle corna posteriori e modulano i messaggi afferenti dalla periferia. Il dolore cronico altera
tale modulazione in senso iperrecettivo, facendo si che stimoli algogeni modesti possano dare percezioni dolorose
importanti sia per insufficiente inibizione delle afferenze nocicettive a livello centrale, sia per l’abbassamento della
soglia del dolore. .
L’elettroterapia si prefigge di agire a livello dei tre sistemi: nocicettori, neuroni inibitori, sistema
endorfinico, mediante le diverse forme erogate
Il dolore acuto, localizzato, a trasmissione rapida, somatico, risponde di più alle forme di elettroterapia che
agiscono sui nocicettori e sui neuroni inibitori presinaptici. Il dolore sordo, ad andamento cronico, scarsamente
localizzato, a trasmissione lenta, viscerale, è alleviato dalle forme di corrente che agiscono sul sistema endorfinico
(28)
EFFETTI
1. stimolazione fibre a grosso calibro e attivazione dell’inibizione spinale col meccanismo del gate control
2. stimolazione alla liberazione di endorfine e inibizione dei circuiti algogeni
3. modificazione delle fibre nervose e dei recettori periferici aumentando la soglia di eccitabilità
4. interruzione dei processi di apprendimento in senso algogeno (20)
La bassa frequenza stimola il sistema endorfinico, l’alta frequenza stimola i neuroni inibitori.
L’elettrodo negativo viene posto nelle aree dolorose, nei PT o sul decorso dei tronchi nervosi. L’elettrodo
positivo viene posto sulle aree bersaglio o contrapposto al negativo.
FORME DI ELETTROTERAPIA ANTALGICA
1. INTERFERENZIALI
2. DIADINAMICHE
3. TENS
4. AD ALTO VOLTAGGIO
5. IONOFORESI
La correnti interferenziali hanno la forma d’onda bidirezionale per cui non producono polarizzazioni sui
tessuti biologici e possono essere usate sulle mucose. Hanno una ottima penetrazione tessutale. Esplicano l’azione
antalgica alle frequenze più alte. Inibiscono i recettori periferici nocicettivi, inibiscono le fibre Adelta e C, con il
sistema del gate control inducono il blocco delle fibre Adelta e C, stimolano il sistema endorfinico. Sono indicate nel
postintervento e nelle situazioni di edema. Gli elettrodi si mettono contrapposti (20, 30).
Le correnti diadinamiche agiscono mediante l’iper o ipopolarizzazione a seconda del polo. A livello
periferico, sull’area dolente, con l’iperpolarizzazione inibiscono le afferenze, a livello centrale partecipano
all’induzione di produzione endorfinica. Agendo sull’innervazione vasale hanno effetto antiedemigeno. L’elettrodo
attivo viene posto sull’area dolente, l’altro su un’area contrapposta. Intensità fino al formicolio (20).
Le TENS sono molto usate per patologie flogistiche delle parti molli. Quelle ad alta frequenza agiscono col
meccanismo del gate control, che ha un’azione più rapida, ma è meno duratura, l’intensità è quella che produce
formicolio (50-150 Hz, 0,04-0,2 msc); quelle a bassa frequenza agiscono mediante il sistema endorfinico, con effetto
più ritardato, ma più duraturo, l’intensità è quella che dà fascicolazioni muscolari (1-4 Hz, 0,15-0,25 msc) e se
somministrate a treni di impulsi sono meglio tollerate. Le fibre Abeta sono stimolate da impulsi maggiori di 2 msc,
Adelta più di 10 msc e C più di 200 msc(30). Meglio usare ambedue le frequenze in sequenza nella stessa seduta.
La stimolazione ad alto voltaggio ha gli stessi effetti della TENS ma è meglio tollerata anche su ferite e
piaghe. Le frequenze basse 15-25 Hz vengono usate per le parti molli come s. miofasciali, tenovaginiti e strutture
legamentose (31).
La ionoforesi è poco efficace nel dolore perineale e scarsamente manegevole.
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