58-esima sessione della IWC, International Whaling

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58-esima sessione della IWC, International Whaling
Bollettino della Comunità Scientifica in Australasia
Ambasciata d’Italia
Agosto 2006
CANBERRA
58-esima sessione della IWC, International Whaling Commission, che si e’ svolta a San
Kittis/ Navis nei Caraibi tra il 16 e il 20 Giugno 2006
Chiara Bancone
L’International Whaling Commission nasce nel 1946 con lo scopo di provvedere alla conservazione degli
stock di balene e di rendere cosi’ possibile lo sviluppo di un’industria baleniera.
Compito principale della Commissione e’ di controllare costantemente e aggiornare, se necessario, le misure
da applicare per regolamentare le attivita’ di caccia nei mari di tutto il mondo.
Tra tali misure vi e’ la totale protezione di certe specie, la designazione di aree specifiche come Santuari dei
Cetacei, l’istituzione di limiti, in termine di numero di esemplari e di dimensioni delle balene che possono
essere catturate, la definizione delle stagioni e delle aree in cui permettere la caccia e la proibizione
dell’uccisione dei piccoli e delle femmine quando accompagnate dai piccoli. La Commissione richiede ai paesi
cacciatori di balene, inoltre, la compilazione di report con i dati relativi alla cattura, sia di tipo statistico che
biologico, e promuove, coordina e finanzia la ricerca su questi mammiferi marini, pubblicando i risultati delle
ricerche scientifiche e incoraggiando gli studi nelle discipline correlate.
Le balene, come ogni altra popolazione animale, hanno una capacita’ naturale di crescere in numero e un
naturale tasso di mortalita’. Uno stock si definisce in equilibrio quando questi due fattori (tasso di natalita’ e
tasso di mortalita’) si bilanciano l’un l’altro.
A causa di dati scientifici poco attendibili (in parte dovute alla difficolta’ di ottenere i complessi dati richiesti
per lo studio di popolazione), che non permettevano di avere un’idea precisa sull’andamento degli stock di
balene, durante la riunione del 1982 la IWC decise di sospendere la caccia di tipo commerciale
(“moratorium”). La moratoria entra in vigore a partire dal 1986.
Ignorando tale provvedimento e sfruttando una clausola in deroga che permette la caccia a “fini scientifici”
(per ampliare le conoscenze sui cetacei), il Giappone e altri Paesi, tra cui la Norvegia e l’Islanda, non solo
hanno ripreso l’attivita’di caccia, ma vogliono anche aumentare il numero e le specie di possibile cattura.
Gli oppositori alla revoca della moratoria sono guidati da Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Gran
Bretagna.
I Paesi a favore della caccia alle balene sfruttano l’articolo VII del Trattato della IWC, che permette la cattura
unicamente a fini scientifici, per effettuare pesca commerciale.
E’ ormai noto a tutti, come dichiarato anche dal Ministro dell’Ambiente Australiano, che al giorno d’oggi
sono talmente tante le tecniche di studio a disposizione che la caccia a scopo scientifico si rivela
assolutamente inutile ed e’ stato ampiamente dimostrato che non vi e’ alcun bisogno di uccidere le balene.
Nonostante cio’, solo nel 2006, il Giappone programma di catturare “a fini scientifici” 10 esemplari di
“Sperm whale”, 50 di “Bryde’s whale”, 50 di “Sei whale” e 250 esemplari di “Minke whale” nel Nord
Pacifico. Lo stesso Giappone prevede anche di incrementare la pesca in Antartide di 850 esemplari di “Minke
Whale” e di cacciare 50 esemplari all’anno in piu’ sia di “Humpback Whale” che di “Fin Whale”. Anche la
Norvegia intende intensificare l’attivita’ di caccia e dichiara di voler portare a 800 il numero di mammiferi
uccisi nel Nord Atlantico durante quest’anno, innalzando la quota di esemplari cacciati ogni anno a 1800.
Il 16 giugno 2006 si sono aperti i lavori annuali dell’International Whaling Commission a San Kittis/ Navis
nei Caraibi. Il Giappone, ha subito tentato di far adottare le seguenti quattro proposte, non riuscendoci per
soli due voti di scarto (32 a 30):
1) non estendere la moratoria ai piccoli cetacei;
2) adottare il voto a scrutinio segreto per le future decisioni della IWC;
3) garantire alle proprie piccole comunita’ costiere di poter cacciare le Minke Whales;
4) abolire il Santuario dei Cetacei dell’Antartico, luogo privilegiato per la proliferazione.
La prima votazione riguardava il destino dei delfini, delle focene e delle piccole balene che non sono coperte
dalla moratoria del 1986, valida invece per i mammiferi acquatici di taglia piu’ grossa.
Il voto per la messa in mora anche di tale caccia, come ha commentato Patrick Ramage del WWF, significa
che finalmente si sono accresciuti sia l’attenzione verso queste piccole specie sia, a maggior ragione, il
consolidamento di una cultura protettiva verso i grandi cetacei.
Purtroppo, nel corso delle giornate successive dell’International Whaling Commission, il Giappone e i suoi
alleati sono riusciti a far approvare (33 voti contro 32 e un’astensione), per la prima volta in trent’anni, una
dichiarazione non vincolante in cui viene definita “non piu’ necessaria” la moratoria del 1986 sulla caccia
commerciale alle balene.
Nel documento, messo ai voti alla sessione annuale dell’Organizzazione, in corso a Saint Kitts and Nevis, i
cetacei vengono indicati come causa dell’impoverimento del patrimonio ittico e le organizzazioni non
governative, che partecipano attivamente alla protezione delle balene, sono definite come una minaccia.
Negli ultimi 30 anni i paesi sostenitori della salvaguardia delle balene hanno sempre ottenuto la maggioranza;
con tale decisione per la prima volta la politica giapponese e’ riuscita ad aggiudicarsi la maggioranza,
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esercitando pressioni soprattutto sui paesi piu’ poveri, promettendo supporto e aiuto nelle attivita’ di pesca in
cambio del voto in suo appoggio.
Se si pensa che nonostante la moratoria del 1986, grazie alla deroga alle attivita’ scientifiche, la pesca alle
balene in questi anni e’ stata comunque significativa, allora si puo’ intuire la gravita’ della decisione presa. Il
solo Giappone, pescando circa 1000 balene all’anno, e’ responsabile dell’uccisione di piu’ di 24.000 esemplari
dal 1986. A questo dato vanno aggiunti i 6500 esemplari cacciati della Norvegia da quando il divieto e’ stato
imposto e il fatto che a partire dal 2002 anche l’Islanda ha intrapreso una pesca attiva. Grazie alla
dichiarazione non vincolante sulla caccia commerciale alle balene approvata nei giorni passati, il numero delle
balene uccise crescera’ di molto e il mondo intero si rendera’ responsabile dell’estinzione di tali magnifici
mammiferi marini, che attualmente nessuno ha reale bisogno di cacciare.
Nonostante infatti il Giappone dipinga come drammatica, in seguito all’introduzione della moratoria del
1986, la situazione di alcuni villaggi costieri giapponesi come Abashiri, Ayukawa, Wadaura e Taiji, che da
sempre hanno basato la propria economia sulla caccia alle balene, in realta’ la Presidentessa Patricia Forkan
della Human Society International descrive questi villaggi come “comunita’ costiere che non necessitano
affatto della carne di balena per sfamarsi, ma che sono anzi cittadine perfettamente funzionanti, moderne e
autosufficienti”.
Diverse sono inoltre le considerazioni che si possono fare riguardo all’inutilita’, alla crudelta’ della caccia alle
balene e ai rischi che si corrono perseverando in questa attivita’:
Al giorno d’oggi non c’e’ una reale necessita’ di un commercio su larga scala delle balene, in quanto non si ha
piu’ bisogno, come invece accadeva un tempo, di utilizzare le loro ossa, la carne, il grasso, l’olio e i fanoni .
Nonostante l’istituzione dell’IWC e la moratoria del 1986, gli stock sono stati talmente sottoposti a pressione
da parte dell’uomo in passato che non si sono ancora ripresi e che sarebbero necessari ancora molti anni di
sospensione totale della caccia prima che essi raggiungano un numero di esemplari tale da non sottoporli piu’
al richio di estinzione.
I paesi a favore della caccia alle balene sostengono che esse competano con l’uomo per alcune risorse
alimentari. Non c’e’ alcun dubbio che alcuni stock (ittici) siano in grave diminuzione, piu’ del 70% infatti
degli stock globali sono stati sottoposti a attivita’ di pesca superiore alla loro capacita’ di autorigenerazione,
ma cio’ e’ dovuto alla eccessiva pressione esercitata su di essi da parte dell’uomo, non certamente dai
predatori naturali.
Le balene fanno parte di un complesso ecosistema naturale, ucciderle con la scusa di preservare alcuni stock
potrebbe avere conseguenze sconosciute e quasi certamente negative sull’equilibrio dell’ecosistema .
La dott.ssa Cristine Kschner e il biologo Daniel Paoli hanno condotto uno studio chiamato “Food for
Thought” mirato ad esaminare la potenziale competizione tra i mammiferi marini e le attivita’ di pesca
condotte dall’uomo e hanno potuto concludere che non solo le specie consumate dai cetacei non sono di
interesse commerciale per l’uomo, ma anche che le balene si nutrono in aree dove gli uomini non pescano.
Dal punto di vista etico, e’ bene che si sappia che tutti i metodi utilizzati per cacciare le balene procurano
loro sofferenze atroci. Le loro dimensioni, la loro capacita’ d’immersione e le condizioni del mare rendono
spesso impossibile la morte istantanea dell’animale e possono passare da pochi minuti a un’ora prima che
muoia. Talvolta i cetacei, dopo essere stati arpionati, vengono persi in mare dove muiono di una morte
ancora piu’ lenta e dolorosa.
Per quanto riguarda la salute dell’uomo, molti ignorano che mangiare carne di balena potrebbe essere
rischioso. Infatti, le balene spesso accumulano contaminanti ambientali che si legano alla componente grassa,
quali PCBs (Policlorobifenili), DDT (Dicloro-difenil-tricloroetano), diossine e metalli pesanti in forma
organica come il metilmercurio. Gli effetti sull’uomo che consuma carne di balena potrebbero essere molto
gravi, in quanto tali sostanze possono causare cancro, danni al sistema nervoso, disordini nella riproduzione e
nello sviluppo, danni al sistema immunitario, al fegato, irritazioni della pelle e disfunzioni del sistema
endocrino.
Non si parla mai dei benefici che le comunita’ marittime e non solo potrebbero trarre dalla protezione delle
balene e dall’istituzione di veri e propri Santuari dei Cetacei.
Grazie alle attivita’ di sensibilizzazione e al crescente interesse verso l’ecoturismo, non c’e’ dubbio che “le
balene siano molto piu’ redditizie da vive che non da morte”.
Il proteggere e il tutelare i cetacei procura possibilita’ sia dal punto di vista economico, che formativo. Il
fenomeno del whale watching e’ un’attivita’ in fase di crescita in molti paesi, di tipo educativo e al contempo
redittizia. Il modo migliore per proteggere le balene e le comunita’ costiere che offrono l’opportunita’ di fare
“Whale Watching” consiste nel creare santuari che costituisco rifugi sicuri per questi animali durante i periodi
critici della nutrizione, della riproduzione e del parto. I Santuari non solo tutelano le balene dall’attivita’ di
caccia, ma proteggono il loro habitat e il loro ecosistema.
Le attivita’ di avvistamento dei cetacei apportano benessere economico alle comunita’ marittime,
aumentando il turismo e pertanto le entrate in ciascuno dei settori legati al turismo (ad esempio il settore
alberghiero, della ristorazione..e molti altri).
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La IWC ha istituito due santuari, uno nell’Oceano Meridionale (Antartide), l’altro nell’Oceano Indiano. Gli
sforzi degli stati membri dell’IWC per creare altri santuari nel Pacifico meridionale e nell’Atlantico
meridionale sono stati resi vani dalla pressione esercitata dalle nazioni a favore della caccia alle balene.
Non solo, ma questi paesi stanno cercando di abolire i Santuari istituiti precedentemente e il Giappone, non
curandosi dei divieti e della gravita’ della situazione, mina le leggi internazionali, continuando a uccidere
balene all’interno del Santuario dell’Oceano Meridionale.
Fonti:
International Whaling Commission: http://www.iwcoffice.org/
Human Society International: http://www.hsi.org.au
Australian Antarctic Division: http://www.aad.gov.au
http://blogeko.info/
Corriere della Sera : http://www.corriere.it
WWF: http://www.wwf.it/
Dott.ssa Chiara Bancone
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