Prodotti Tipici - Coldiretti Treviso

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Prodotti Tipici - Coldiretti Treviso
vino
Società agricola “Ca’ Franco”
di Bellese Fabio & C.
Via Saletto, 17
31024 Roncadelle di Ormelle
✆ 0422 851074 - 0422 851842
@ [email protected]
ø www.cafranco.com
Prodotti: Raboso Piave, Cabernet Franc giovane e barricato, Incrocio
Manzoni
6013, Prosecco, Doc e Igt, sfuso e in bottiglia
Come trovarci: strada Cimadolmo Negrisia, prima dal centro di Roncadelle laterale a destra, verso le grave del Piave
Apertura: tutto l’anno dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18. Domenica
mattina su prenotazione
Vitivinicola Canova
di Vedovato
Via Callunga, 17, 8/a
31045 Motta di Livenza
✆ - ∆ 0422 863821
@ [email protected]
Prodotti: Cabernet, Merlot, Raboso, Chardonnay, Sauvignon, Verduzzo,
Pinot
bianco, Malbech, Prosecco, Doc ed Igt, sfusi ed in bottiglia
Come trovarci: all’uscita del casello autostradale di Cessalto, voltare
a destra, si passano due rotatorie, seguendo sempre per Motta. Dopo
il secondo rondò, percorrendo una strada alberata, voltare alla terza
laterale a destra. Dopo 1,5 km a sinistra c’è l’azienda
Apertura: tutto l’anno
I prodotti tipici
trevigiani
Testi a cura di Luca Pinzi
Il radicchio
Il tris delle meraviglie
Il Re spadone, il Fiore d'Inverno, il Fiore che si mangia. È stato definito
in varie maniere per onorare le sue qualità. Il radicchio di Treviso, quello rosso di Treviso ormai significa uno status che supera le differenze
tra le tre qualità autoctone: il radicchio rosso precoce, quello tardivo
e quello variegato di Castelfranco Veneto. Treviso (e la sua provincia)
rappresenta la capitale del radicchio per antonomasia e questa veste
oggi i panni di vero e proprio biglietto da visita internazionale per tutti
i cultori dell'enogastronomia. Ma la vera forza di questo prodotto della
nostra terra è la semplicità. È semplicemente e naturalmente straordinario. È semplicemente un capolavoro della natura e della dedizione
dell'uomo. È semplicemente il suo dolce amaro a renderlo irresistibile
al palato. Tutte qualità che ne hanno fatto diventare un simbolo sebbene nel panorama veneto la produzione dei radicchi trevigiani è di
circa il 10%. E pensare che quello rosso di Chioggia occupa il 60 per
cento della produzione regionale.
RADICCHIO ROSSO DI TREVISO TARDIVO
La varietà tardiva è quella più pregiata anche dal punto
di vista organolettico. La progenitrice delle altre varietà
trevigiane. È in commercio dalla metà del mese di
novembre e si riconosce per la forma a spadone con
le foglie/germogli più stretti che si chiudono all'apice.
La nervatura bianca dorsale è protetta ai lati da un bordo
rosso-vinoso. Croccante, gustoso, "s'accompagna tra tutti i
piatti della nostra cucina...". Con un po' di fantasia...
dall'antipasto al dessert.
RADICCHIO ROSSO DI TREVISO PRECOCE
È di selezione più recente e fin da settembre ci fa compagnia
durante i pasti. I cespi sono ugualmente allungati, ma con
foglie a lembo più ampie. Per questo il bianco dorso diventa
più pronunciato.
RADICCHIO VARIEGATO DI CASTELFRANCO
Un fiore che si mangia. È una rosa con foglie che si aprono per
mettere in mostra un cuore color crema con delle lentiggini che
raggiungono il rosso acceso. Molto delicato al palato.
Una fortuna per la gastronomia di casa nostra.
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i prodotti tipici trevigiani
FELETTO Morbido, ma stagionato fino a tre mesi. È un prodotto tipico
della latteria Perenzin di S. Pietro di Feletto.
Treviso & le differenze tra crudo e molle
Con il latte e la maestria del casaro si fa il formaggio, anzi si fanno i
formaggi. Ogni zona, infatti, ha le proprie tradizioni e le proprie usanze
oltre ai propri gusti e tecniche di caseificazione. Da qui la grande varietà di formaggi che anche il territorio trevigiano sa e può esprimere. Un
formaggio può, inoltre, differenziarsi dagli altri per il latte usato. Così ci
sono formaggi vaccini, pecorini, caprini o a latte misto e altri ancora.
Ma può essere anche a latte crudo (nessun trattamento) o a latte
pastorizzato. Può esserci il formaggio grasso (più del 42 % di grassi),
semigrasso (dal 20 al 40 %), magro (meno del 20 %) o leggero (dal
20 al 35 %). Le distinzioni poi avvengono in base alla cottura della
cagliata: formaggio a pasta cruda (nessuna cottura), a pasta cotta o a
pasta filata. A seconda dell'umidità della pasta ci sono
i formaggi a pasta dura (meno del 40 %), semidura
(più del 40 %), molle (dal 46 al 48 %) o fresca
(fino all'80 %). Poi ci sono le varianti dovute a differenti maturazioni del formaggio e stagionature
GRANA PADANO DOP Tra le 27 province della pianura padana in cui
si produce il Grana Padano c'è anche quella trevigiana. Inimitabile.
L'ELISIR DI MUCCA: IL LATTE DELLE VACCHE
NOSTRANE
È forse il caso di ricordarlo. Il latte è fatto dalle mucche e le mucche
sono curate e allevate dai nostri Contadini con la C maiuscola. E di stalle nella provincia di Treviso ce ne sono tante e sono sempre visitabili.
Anzi, l'accoglienza della gente dei campi è tale che Vi garantiscono una
visita guidata "gratuita" della loro impresa agricola. Specie per i più piccoli sono spettaccoli nemmeno paragonabili con quello che mostrano
i cartoni animati: le mucche trevigiane sono molto più belle dei dinosauri mostruosi della televisione. Le regole per la produzione del latte
sono ferree per garantire dei prodotti di alta qualità. L'alimentazione
delle bovine poi deve essere curata e controllata. Il latte assume un
sapore anche a seconda del tipo di erbe che gli animali mangiano. Il
latte appena munto prima di essere commercializzato come fresco
viene pastorizzato. Un procedimento che consente di conservare il
latte per alcuni giorni senza provocare la denaturazione delle vitamine
e proteine nobili del latte.
Un assaggio di formaggio
ASIAGO DOP Il formaggio Asiago non è tipico solo dell'altopiano dei
Sette Comuni, ma viene prodotto anche nella pedemontana trevigiana. Fu la prima guerra mondiale a far migrare le popolazioni asiaghesi
anche verso la Marca trevigiana dove portarono la loro tradizione
casearia.
BASTARDO DEL GRAPPA È tipico delle malghe del Grappa. Viene
prodotto aggiungendo il caglio al latte caldo e poi stagionato per 60
giorni.
COSTABELLA Prodotto dalla latteria di Collalbrigo richiama il nome
dalla zona collinare sovrastante la stessa latteria di Conegliano.
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INBRIAGO Le forme di Asiago d'Allevo, Latteria e Montasio vengono
ubriacate, doipo due mesi di stagionatura, nel mosto, e vinacce, di uve
Cabernet, Merlot, Prosecco e Raboso Piave. Si riconosce dall'aroma
e dal colore violaceo che assume dopo il trattamento. Mi dia: "Una
ombra de formajo".
MOESIN È prodotto dall'Agrimontana di Fregona di cui ne va fiera.
A pasta semidura, dolce e gradevole, si abbina anche con un buono
spumante.
MONTASIO DOP Pur prendendo il nome dal gruppo montuoso
delle Alpi Giulie può essere prodotto in tutta la Marca
grazie alle caratteristiche climatiche in particolare
della pedemontana trevigiana. Semigrasso, a pasta
cotta e dura.
i prodotti tipici trevigiani
Il latte e i formaggi
MONTEGRAPPA Prodotto a Cavaso del Tomba
presenta delle caratteristiche peculiari a seconda delle varianti dolce o
stagionato, a pasta semimorbida o dura.
MORBIDO DI SAN FERMO Morbido e cremoso ha la sua casa a San
Giacomo di Veglia.
MORLACCO Ottenuto da latte vaccino crudo, parzialmente scremato
per affioramento, dopo una sola cottura trova le sue origini nelle malghe del Grappa dove è possibile acquistarlo e gustarlo. Lì un tempo
arrivarono i pastori della Morlacchia... A fare la differenza il latte munto
in montagna.
ROBIOLA DI CAPREFELICI Una chicca trevigiana per quanto riguarda
i formaggi di capra prodotto dalla Perenzin di San Pietro di Feletto.
SILE A pasta semicotta è pastoso e morbido. Viene prodotto dalle
Latterie Trevigiane a Vedelago a pochi chilometri da dove nasce
appunto il fiume Sile.
SOLIGO Prodotto a Farra di Soligo dalla omonima latteria. Viene data
una diversa stagionatura a seconda lo si voglia fresco, mezzano o
invecchiato. La sua caratteristica è la tradizione che lo lega alla Latteria
di Soligo che ormai ha più di 130 anni.
TALEGGIO DOP Tipico di Lombardia e Piemonte può essere prodotto
in provincia di Treviso grazie all'inserimento delle zone previste dalla
Dop. Molle a pasta cruda è ottenuto da latte intero.
NELLE VALLI Le valli dell'alto trevigiano esprimono
vari formaggi tipici di quelle zone come il Vallata,
Valcavasia e il Valsana.
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i prodotti tipici trevigiani
La grappa
Quello spirito che si beve con il naso
La Grappa per Treviso è un altro punto d’eccellenza. Forse oggi lo è
ancor più che ieri. O meglio ieri per tradizione, oggi per consapevolezza di possedere un prodotto che ha ancora moltissime potenzialità
da esprimere. La Grappa, o acquavite, sgnapa o ancora graspa, è l’autentica dimostrazione di come la storia di un prodotto può trovare la
sua esaltazione nel suo matrimonio con la modernità e la tecnologia.
E da questo fondersi nasce a nuova vita quel qualcosa che, è stato
detto da altri (Mondograppa 2003), si beve con il naso. Traducendo:
la provincia di Treviso da sempre è vocata per grandi e diversi
vini. Dal Piave alla pedemontana, dall’Opitergino a Conegliano e
Valdobbiadene. Quindi da grappe con uve rosse più corpose a
grappe con uve bianche più morbide e fruttate. Ma questo non
basta. Questa tradizione un tempo serviva per avere le vinacce
a disposizione che ci davano un determinato prodotto. Poi lo
studio, la voglia di andare oltre, la conoscenza che proprio
nelle bucce degli acini albergano aromi da riportare alla luce
ecco che la grappa diventa la Grappa con la g maiuscola
e prodotto tipico trevigiano, veneto, italiano. Tanto da farla
diventare in un regolamento Cee “bevanda spiritosa italiana”. Insomma lo studio e l’abnegazione di maestri distillatori, inventori, artisti e poeti dell’acquavite hanno ridato
spirito e anima a questo prodotto. Andando indietro nei
secoli è facile trovare la grappa come portentoso rimedio
medicamentoso nel medioevo dell’Italia settentrionale.
Nel XVI secolo fu portata in tavola come liquore. Usata
dai soldati nella I Guerra Mondiale per trovare calore e
forse annebbiare le paure, trova spazio nelle famiglie
contadine che la producevano per autoconsumo e
magari per aiutare qualche baratto. Perché diventi un
prodotto industriale occorre attendere gli anni ’60. Poi
l’esplosione commerciale negli anni ’70 e un succes-
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La Spesa in Fattoria
sivo rallentamento. Oggi il ritorno alla ribalta. E Treviso guida questa
riscossa con quasi la metà della produzione del Veneto che a sua volta
produce circa il 40 % di quella nazionale.
La polenta
Quel grano che venne dalla Persia
Di necessità virtù…la polenta dalle nostre parti l’abbiamo conosciuta
per fame, ma fondamentalmente ci piace. Siamo dei polentoni doc
che non la disdegnano bianca o gialla, dura e morbida. Ci sono varie
ricette che ormai si sono consolidate nelle nostre tradizioni. Dalla
polenta e osei, polenta e funghi, polenta e baccalà, polenta e speo,
polenta e sepe. Alcuni racconti del passato ci danno un’altra fotografia
che vede la renga al centro sulla quale i commensali passavano una fetta di polenta
per cercare di rubare un po’ del suo
gusto. La polenta incontra i più svariati
sughi, formaggi cotti, teneri e duri. Una
buona polenta morbida accompagnata da
un buon formaggio stagionato, ma è anche il
caso di dire che non c’è una grigliata degna senza una buona fetta
di polenta abbrustolita. Vogliamo provare una polenta pasticciata o
più semplicemente polenta e latte. Ci immaginiamo la cottura della
farina di mais, macinata in un molino ad acqua, in un paiuolo di rame,
appeso alla catena sopra un focolare. Mescolata a dovere fino a versarla su un tagliere rotondo. È un tajer di legno perché così assorbe
l’umidità e conserva il calore. Le parti le facciamo tagliandola con un
filo di corda. Lo fanno ancora, per tradizione, alla Festa degli asparagi
a Badoere dove nonna Maria taglia con il filo anche le uova a metà
che poi accompagneranno gli asparagi nel piatto più bon. La polenta
si consolidò ai tempi della Serenissima, ma sembra che il mais arrivò a Venezia prima della scoperta delle americhe. Direttamente da
Costantinopoli. Da qui il nome di granturco. In tempi di carestia risolse
non pochi problemi, sebbene il suo consumo fu causa della malattia
conosciuta con il nome di pellagra.
i prodotti tipici trevigiani
Casatella: storia di un formaggio
“de casada”
Le origini del nome Casatella potrebbero
trovare fondamento dal latino “caseus” o
dall’italico cacio per significare formaggio. La Casatella è il
tipico companatico delle famiglie contadine che trasformavano il poco
latte “messo via” in un formaggio fresco e molle per loro esclusivo
consumo. Insomma è il formmaggio di casa, “de casada” che ancor
oggi ci richiama a qualcosa di prodotto in modo genuino e quindi
buono e sano. Gli ormai estinti venditori di Casatella (i vecchi negozi
di alimentari) venivano appunto chimati “casoini”. Erano loro i primi
interlocutori con i consumatori. Oggi in parte sostituiti anche da internet dove si trovano tutte le informazioni su ogni formaggio…fino alla
mucca che ne ha prodotto il latte. Oggi esiste un Consorzio di tutela e
valorizzazione della Casatella Trevigiana Dop.
I dolci
Dulcis in fundo:
ricette che hanno conquistato il mondo
Dolcezze tradizionali, dolci di casa, torte per ogni e di stagione. Ogni
paese ha le sue ricette che si perdono nella storia di un colmello e
magari di qualche famiglia che così faceva quello
o quell’altro biscotto. Certa è anche l’influenza dei nobili veneziani che sicuramente
avevano più possibilità di arrivare al dolce
(baicoli e tanti altri). Tra i biscotti potremmo annoverare i “biancheti de Musan” o
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i prodotti tipici trevigiani
allevamento della trota risulta fondamentale logicamente la salubrità
dell’acqua, la sua ossigenazione, oltre alla corretta alimentazione. La
trota, infatti, è un buon indicatore ambientale in quanto se l’acqua non
è incontaminata muore. A un anno il pesce arriva a 300 gr di peso e
quindi risulta essere pronto per la macellazione. Anche la sua carne è
tutta da scoprire e valorizzare. È molto ricca di proteine e di aminoacidi
essenziali: molto digeribile. Con 200 gr si soddisfa il fabbisogno alimentare di un adulto. La tradizione l’ha vista festeggiare a Cimadolmo
nel mese di settembre e in primavera a Biadene. Anche in questi casi
gli abbinamenti con gli altri prodotti della Marca sono numerosi. Come
la trota al vino rosso che viene farcita con funghi champignons, aglio,
scalogno, prezzemolo, sale e pepe. Infarinate le trote vengono messe
in casseruola assieme a varie verdure e ricoperte con un buon rosso
(e sceglieremo una Doc trevigiana).
I pesci
Non un dolce ma una regola quotidiana:
Sono circa un migliaio gli appassionati in provincia
di Treviso del cosiddetto pollice dolce. Stiamo
parlando degli apicoltori che più o meno
professionalmente o passionevolmente disseminano il territorio di
arnie-casette raccogliendo il miele
prodotto dalle api della Marca. O
sarebbe meglio subito sottolineare
come a produrre il miele, almeno
nella prima parte del suo processo, è lo stesso
fiore, come stiamo per spiegare, producendo il
primo nettare. Intanto è giusto ricordare che
a SS. Angeli, sul Montello, c’è la sede dell’Apat, l’associazione degli
apicoltori di Belluno, Treviso e Venezia. Nella nostra pedemontana,
poi, c’è anche un’altra associazione molto attiva che ha la sua sede a
Crespano. Si tratta dell’Associazione Gruppo Apicoltori della Comunità
Montana del Grappa a sua volta aderente all’Associazione Produttori
Regionale Miele del Veneto. Proprio l’area collinare e pedemonatana,
ricca di prati non sfalciati e boschi, è la zona ideale per garantire il
giusto habitat alle api trevigiane.
Il miele non è tutto uguale, cambia da zona a zona, da territorio a
territorio, tanto da riuscire a far identificare degli spettri pollinici con
caratteristiche uniche. Ciò significa che il Veneto potrebbe avere il suo
Miele Dop (Denominazione di origine protetta). Ma è stato riscontrato
che il Millefiori della provincia di Treviso è diverso dalle province limitrofe. Un marchio come la Dop è una garanzia per i consumatori che
in questo modo non possono essere ingannati con provenienze del
prodotto poco chiare o volutamente imprecise. L’Unione Europea dà,
invece, una precisa definizione di miele: “Il miele è un prodotto che
le api ricavano dal nettare dei fiori o dalle secrezioni proveniente da
parti vive delle piante o che si trovano nelle stesse che esse bottinano,
trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie e che immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare”.
I nostri “pessi”
Iniziamo con la Carpa che fu importata dall’Anatolia dai romani o il Luccio, uno dei predatori che
era tra i più diffusi delle nostre acque. Non possiamo non citare la Marcandola o Lasca (piccolo pesce
dalle pinne rosse che ama i fiumi con fondo ghiaioso) o il Marson
o Scazzone. Preferisce le acque
lente la Scardola, mentre
lo Squalo Cavedano non
disdegna nessun ambiente
acquatico. Il Temolo è uno dei pesci ormai rari nelle nostre acque che
ha sofferto di più l’inquinamento come anche la Tinca che era diffusa
nelle acque più tiepide della nostra pianura e ricche di vegetazione.
Anche per la Lampreda è stato lanciato un sos: si tratta di un esemplare che preferisce i ruscelli, quindi fondi ghiaiosi con acque chiare e
correnti. Era presente nei nostri corsi d’acqua anche il gambero rosso
d’acqua dolce. Nel moglianese troviamo anche chi si cimenta nella
delicata impresa di allevare i gamberi in vasche artificiali. Rinomati i
“gambari” di San Polo.
Una trota su due è trevigiana
La presenza d’acqua nella Marca Trevigiana, sia in pianura che nella
pedemontana, ha contribuito lo sviluppo della trotticoltura. Una quarantina di allevamenti sono sparsi un po’ in tutta la provincia lambendo
ovviamente i corsi del Sile e della Piave: questi costituiscono circa il 20
% della produzione nazionale. La trota allevata è quella “Iridea” di origine americana che si è rivelata più idonea allevamento e quindi
preferita in tal senso alla
trota “Fario” di ceppo
europeo. Per un buon
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La Spesa in Fattoria
Il miele
La Spesa in Fattoria
i prodotti tipici trevigiani
gli “ossi da morto de Salgareda” e ancora i
dolci di Santa Lucia con il “mandolato” in testa
(vediamo l’11 dicembre) o più semplicemente le “fave de i morti” e a carnevale i crostoli, le
castagnole e le frittelle nelle diverse varianti: con
uvetta e pinoli, alle mele, di riso. A Pasqua non possiamo non onorare
una tipica “fugassa” con tutte le variazioni del tema proposte da fornai
e pasticceri. Nei libri antichi si scopre un dolce trevigiano che si è
perso. La “zonclada” che doveva essere una torta di latte. Non dimentichiamo poi le torte abbinate alla frutta di stagione che fanno presto
a diventare tipiche e locali. Non possiamo non citare la “fregolotta”.
Dolce tipico di Salvarosa che da una trattoria ha conquistato il mondo.
La ricetta originale è ben celata, ma la semplicità dei suoi ingredienti
è la vera forza di questo dolce: farina di grano tenero, zucchero, burro,
uova e latte intero fresco, aromi di bacche, vaniglia, agrumi, sale. Tra
le proposte più recenti c’è la fregolotta al radicchio rosso di Treviso e
la fregolotta al Prosecco.
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i prodotti tipici trevigiani
Una vocazione territoriale
C’è subito un dato da mettere in
evidenza: Treviso è una delle capitali
della cunicoltura nel mondo. Questi
sono i rapporti. La Cina è la prima produttrice di conigli del pianeta, l’Italia la seconda.
Il Veneto è leader nazionale, la Marca ha
la leadership veneta. Il comune di Volpago
del Montello, con una settantina di aziende, ha la più alta concentrazione mondiale di allevamenti di conigli. Perché? Cercando delle
conclusioni logiche si può dire che da sempre il coniglio è un piccolo
tesoro per le famiglie contadine nostrane. Lo si allevava per farlo diventare un ottimo alimento per la famiglia, un’ottima merce di scambio o
di pagamento. Tant’è che si trova il coniglio, menzionato quale forma
di pagamento, nei contratti agrari, sia d’affitto che di mezzadria, della
fine dell’800. In aggiunta possiamo dire che i veneti non hanno mai
disdegnato ottime ricette culinarie a base di questo prodotto che sono
servite a radicarlo nei consumi di casa nostra. Certo è che lo sviluppo
nella Marca trevigiana di un indotto importante (fabbriche di attrezzature per l’allevamento di conigli a livello mondiale, mangimifici, macelli
e ristoranti dedicati) ha poi favorito l’intensificarsi della produzione e
l’affinamento di tecniche sempre più moderne per garantire quello che
chiede oggi il consumatore: qualità e garanzia di salubrità. È vero che
qualche addetto ai lavori racconta ancora come la televisione qualche
decennio fa mise in ginocchio il settore denunciando un allarme alimentare…poi rientrato. Il problema del comparto cunicolo consiste in
una questione che riguarda molte produzioni locali. In Italia, e quindi
soprattutto nel trevigiano, il coniglio viene prodotto con una alimentazione curata e seguita (erba medica con integrazioni di frumento, orzo,
crusca, girasole e soia) fino alla perfetta conservazione delle materie
prime. Questo permette l’offerta di carne di estrema bontà e qualità
organolettica garantita. Se tutte queste attenzioni, con i costi che ne
conseguono, non vengono applicate in altri paesi produttori è ovvio
che nel mercato arriverebbero prodotti a basso costo e di dubbia
qualità. Chi sta lavorando per creare la massima informazione attorno
al mondo del coniglio è l’associazione Coniglio Veneto. E chissà che
presto non ci sia anche un marchio di riferimento che possa certificare
e far riconoscere ai consumatori il prodotto di casa nostra.
Le erbe
La migliore primavera è quella sotto casa
Le erbe spontanee del nostro territorio costituiscono un patrimonio
di inestimabile valore che forse con troppa superficialità diamo per
scontate. Loro, nonostante tutto e tutti, continuano a germogliare ed
a offrirsi a noi, ad ogni primavera, con estrema generosità di sapori
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La Spesa in Fattoria
senza pari. In più se si può aggiungere alla valenza gastronomica
quella culturale e di farmacopea popolare eccoci serviti dei capolavori
salutari della natura. E dove ci sono erbe, si dice, c’è salute. In questa
scheda vogliamo compiere un viaggio ideale nei campi della bassa
trevigiana, lungo i fossi dell’ultima ruralità di Marca, alle pendici delle
nostre montagne, a trovar erbe e germogli appena spuntati.
ROSOLINE O FOGLIE DI PAPAVERO Comincio da queste perchè
ho chiaro il ricordo di nonna Clara che riempiva “sporte” a più non
posso di rosoline che non sono altro che le foglie di papavero da
raccogliere in primavera quando la pianta non ha ancora il fiore.
Crescono nei prati e nei campi di grano. Vanno cotte lessate con
altre verdure a foglia o da sole. Magari con un po’ di aglio o di lardo.
D’obbligo nella raccolta è fare attenzione a non danneggiare il fusto
per permettere una nuova vegetazione.
TARASSACO OFFICINALE O DENTE DI LEONE Tocca al Tarassaco
o “pissacan” o dente di leone. La sua infiorescenza gialla lo fa considerare un infestante comune dei prati. Per la raccolta vale quanto
detto per le rosoline. Le foglie più tenere si prestano bene ad insaporire una insalita mista. Il Tarassaco è disintossicante e fa bene al
fegato.
i prodotti tipici trevigiani
Il coniglio
SILENE VULGARIS O S-CIOPETI Vengono chiamati anche carletti
o in dialetto s-ciopeti. Anche anche in questo caso vanno raccolti
i germogli. Il sapore questa volta non è amarognolo come per il
Tarassaco, bensì più delicato. Ottimo l’uso come base per il risotto
o nella frittata.
LUPPOLO O BRUSCANDOLI I bruscandoli per molti sono un’istituzione gastronomica primaverile. Si trovano lungo i fossi o in mezzo ai
cespugli poco curati. Si raccolgono, come dicono gli addetti ai lavori,
i germogli apicali. C’è chi li degusta crudi, ma nella fritatta e nei risotti
trovano la loro “morte”.
PUNGITOPO O RUSTEGOT Il turione del Pungitopo viene chiamato in dialetto rustegot o rustegoto. Cresce spontaneo soprattutto
nelle macchie boschive. Il suo uso in cucina è simile a quello dei
bruscandoli. Viene utilizzato anche per aromatizzare la grappa con
buoni risultati.
SPARASINA E ORTICHE COMPRESE Sarebbero innumerevoli le
erbe spontanee con proprietà da menzionare. Basta pensare alle
sole varianti dell’asparago. Dalla sparasina alla
barba di capra o asparago di montagna. Le varianti
dipendono dalle zone in cui nascono, dal tipo dei
terreni, dall’umidità. Tra i vari getti di primavera
menzoniamo le giovani foglie dell’ortica che una
volta cotte perdono le proprietà orticanti e si traducono in ottime e sorprendenti soluzioni gastronomiche.
La Spesa in Fattoria
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i prodotti tipici trevigiani
La pesca
Terre vocate per l’asparago di Cimadolmo e Badoere
La Piave e il Sile sono i due fiumi protagonisti e genitori rispettivamente dell’Asparago bianco di Cimadolmo e di Badoere. Quello di
Cimadolmo ha già raggiunto, dal 2002 l’ottenimento del marchio
europeo IGP (Identificazione Geografica Protetta che tramite un apposito disciplinare garantisce il metodo di produzione e preparazione in
mazzi oltre alla qualità finale di tipo organolettico) con la conseguente
costituzione di un Consorzio di tutela e di valorizzazione
che opera in 11 comuni: Cimadolmo, Breda di Piave,
Fontanelle, Mareno di Piave, Maserada sul Piave,
Oderzo, Ormelle, Ponte di Piave, San Polo di Piave,
Santa Lucia di Piave e Vazzola. Avete sentito quanto il
fiume caro alla Patria sia nominato nei nomi di questi
paesi. L’etichetta di questo prodotto è inconfondibile,
ma cercate sempre la sigla IGP per essere certi della
bonta del prodotto. Ha fatto domanda per ottenere il marchio europeo anche l’Asparago bianco di
Badoere che trova la sua reale promozione all’ombra
della splendida cornice della rotonda cinquecentesca
appunto di Badoere, frazione del comune di Morgano ai confini con
la provincia di Padova.
Il frutto di Persia che cresce nella marca
Guardando la cartina geografica della provincia di Treviso ci si accorge
subito come la zona vocata alla produzione della pesca si concentra
nel cuore della Marca. Povegliano, Villorba, Spresiano, Ponzano Veneto
e Arcade. Anche in questo caso è nel terreno il segreto che deve
essere ghiaioso-sabbioso, di recente alluvione. Il valore del ph deve
aggirarsi attorno alla neutralità. Così i frutti delle drupacee che nascono
sono davvero buoni e molti (pesche, albicocche, susine, ciliegie e
altri). Per quanto riguarda la pesca se ne produce in provincia anche
a San Fior e a Godega Sant’urbano. Maria Luisa, Maria Bianca, Rosa
dell’Ovest, Redhaven, Favette, Elegant Day, Spring lady sono solo
alcune delle varietà di pesche coltivate nel territorio trevigiano. E dire
che questo frutto viene considerato come quello di Persia poi portato
in Europa da Alessandro Magno. La pesca proveniva in verità dalla
Cina dove viene identificato come il frutto del giardino dell’Eden a
simboleggiare l’immortalità.
La nostra pesca matura dopo la prima decade di giugno fino a fine
settembre a seconda della varietà e dell’annata. Guardando
le produzioni che presentiamo in questa pagina mi piace
pensare a un aperitivo a base del classico
Bellini (preparato con un terzo di succo di
pesca fatto in casa usando quelle di Villorba
e due terzi di prosecco di Conegliano e
Valdobbiadene ghiacciato), una fettina
di mela di Monfumo e qualche noce
di Chiarano per solleticare l’appetito
prima di cena.
COME CRESCONO LE PEPITE BIANCHE
È la terra che nutre l’asparago e quindi le sue caratteristiche sono
determinanti per il gusto finale del prodotto. I terreni vocati alla sua
produzione sono quelli di tipo alluvionale, generalmente sabbiosolimosi, ghiaiosi in alcuni casi, molto ricchi di scheletro. Ideali quelli
boschivi, litorali o golenali. Per capirci quelli attorno al corso di un fiume
fanno al caso della produzione di asparagi. La preparazione del terreno
non deve lasciare nulla al caso. L’autunno precedente all’impianto
dell’asparagiaia deve essere praticata una aratura profonda 30 o 40
cm. La messa a dimora delle zampe deve avvenire a primavera ad una
distanza di circa 25/30 cm l’una dall’altra. Il solco viene richiuso e per
tre anni la pianta viene lasciata crescere subendo le attenzioni dovute
per la concimazione e l’estirpo delle infestanti. È nel mese di febbraio
del terzo anno che vengono creati i cumuli di terra sotto i quali si
formeranno i turioni che a noi piace degustare. Sopra la terra verrà
posizionato anche un telone di plastica nera che eviterà ai raggi solari
di far compiere la fotosintesi clorofilliana agli asparagi. La raccolta deve
durare solo 60 girni circa, non molto di più per non togliere alle piante
la vitalità necessaria per generare anche l’anno
successivo. Attezione: l’ingordigia di un anno
può compromettere i futuri raccolti.
La mattina si sbircia sotto il telone e dai
cumuli si intravedono delle puntine candide
far capolino. Quasi fossero pepite bianche...
si impugna la “sgorbia” e si va delicatamente
a caccia sotto la terra per togliere il turione
bianco, poco fibbroso, giustamente tenero.
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La Spesa in Fattoria
i prodotti tipici trevigiani
L’asparago
La frutta
L’ultima arrivata in provincia: il kiwi o actinidia
Non molti sanno che la provincia di Treviso è uno dei più importanti
produttori di kiwi del nostro Paese che a sua volta lo è del mondo.
La disposizione a raggiera dei semi del kiwi diede il nome a questo
frutto di actinidia dal greco aktis che significa raggio. Inizialmente la
pianta fu importata a scopo ornamentale circa 20 anni fa. Poi questo
frutto, che trova origine spontanea in Cina orientale e nell’Himalaya, si
è imposto nella dieta per la sua generosità di vitamina C. Il segreto è
nella robusta buccia che protegge proprio la vitamina contenuta nella
polpa che altrimenti si consumerebbe alla luce e al calore. Il primo
Paese importatore fu la Nuova Zelanda che diede il nome Kiwi, proprio come il nome del tipico volatile neozelandese.
Le produzioni di kiwi trevigiane vengono in gran
misura esportate in Austria e Germania, oltre
che nei mercati dell’est. Sono state soprattutto
le nostre condizioni climatiche a determinare i
presupposti per questa produzione.
La Spesa in Fattoria
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i prodotti tipici trevigiani
I piselli
Quel bacello nutrito da ingredienti tipici e locali
La terra, il clima, l’acqua e l’aria buona, le tradizioni professionali e
culturali, gli usi e i costumi. Sono tanti e peculiari gli ingredienti che rendono una produzione tipica e locale. Poi c’è l’intelligenza e la lungimiranza di un nucleo di persone, del mondo dei produttori, istituzionale,
della ristorazione, che scendono in campo per valorizzare e tuelare una
singola produzione che pur costituendo una nicchia riesce ad ottenere
un valore aggiunto per le caratteristcihe che abbiamo menzionato
all’inizio. Un caso che può benissimo essere un esempio è quello che
riguarda il comune di Borso del Grappa.
Qui ci passiamo a volte se vogliamo
andare in malga a gustarci un buon
Morlacco o se conosciamo qualche
apicoltore del Grappa che non ci
fa mancare il prodotto del lavoro
delle sue api. Ma potremmo recarci per
gustare il Pisello di Borso del Grappa. Un prodotto che è più dolce degli altri piselli grazie
alla coltivazione collinare, a un clima
che anticipa la coltivazione e ai terreni
della giusta composizione. Ma questo
non basta. Da più
di dieci anni si può affer116
La Spesa in Fattoria
mare che vengono coltivati in modo biologico. Vale a dire senza l’uso
di alcuna concimazione chimica. La semina avviene di solito a fine
febbraio su dei terreni precedentemente concimati con letame bovino
e poi fresati e arati. È importante conoscere il tempo della raccolta che
avviene solitamente in un breve lasso di tempo: dai primi di giugno
a metà dello stesso mese. È importante saperlo perchè il prodotto va
mangiato fresco. Se ne sconsiglia agli stessi produttori di tenerlo in
azienda per più di un giorno.
Solitamente il prodotto viene portato ai mercati limitrofi come quelli
di Asolo e Crespano o fuori provincia in quel di Bassano. Il consiglio
diventa quindi facile. Una scampagnata a Borso del Grappa può essere
mirata per recarsi direttamente dai produttori.
I fagioli
Il “Borlotto Nano Levada”
nutre la civiltà nostrana
Ancora una volta incontriamo un
prodotto tipico locale che è tale
perchè parte della storia agricola
di una determinata area. Storia alle
volte fatta di tradizione e altre di
vicende legate alla pura sussistenza di
una comunità. È il caso del fagiolo della
pedemontana trevigiana. Per usare il suo
nome di battesimo il “Borlotto Nano Levada” (non
di Levada). Levada è una località in comune di Pederobba che è solo il
cuore della zona di produzione di questo fagiolo che si estende anche
nei comuni limitrofi della Valcavasia (Cavaso del Tomba e Possagno)
e della piana della Piave (Cornuda e Crocetta del Montello). Il bacello
contiene dai 6 agli 8 “frutti-fagioli” rotondeggianti e allungati con una
buccia molto sottile di colore bianco crema e screziata di rosso. La
semina va dai primi di aprile fino a luglio, mentre la raccolta a sua volta
si effettua da metà luglio fino a settembre. La cottura produce
un brodo di color chiaro dal sapore molto delicato.
Ma torniamo a ciò che identifica il “Borlotto nano
Levada” con le sue radici antropiche. Il fagiolo si
presta di fatto ad essere coltivato in modo consociato
ad altri prodotti come ad esempio la patata. Questo
garantiva al coltivatore di ottenere dalla medesima
terra un’altra forma di sussistenza familiare o di
reddito nel caso poi vendesse anche
i fagioli. Questi venivano coltivati tra
le fila del mais o dei vigneti. Ancora
una volta la confarmazione dei terreni
dell’ex ghiacciaio della Piave costituiscono il luogo ideale per coltivare delle produzioni di nicchia che meritano di essere
identificate geograficamente e protette con il
noto marchio europeo Igp.
La Spesa in Fattoria
i prodotti tipici trevigiani
La rossa ciliegia che
vien da Asolo e Maser
La polpa è rossa e consistente, deliziosamente succosa e
aderente al nocciolo. Il suo
peduncolo è breve e la sua
maturazione avviene dopo la prima
decade di giugno sebbene le primizie si fanno degustare a fine maggio. Questa descrizione calza a pennello per la ciliegia che trova le
sue origini in Anatolia e nel Mar Caspaio. Quella di cui vi parliamo è
più prossima a noi. Si trova in una zona vocata a Asolo e soprattutto a
Maser dove vengono coltivate vere e proprie piantagioni su circa una
trentina di ettari. La pianta del ciliegio quindi in questa zona è coltivata
fino a 400 metri di altezza in un habitat naturale che è quello pedecollinare. Asolo, Maser, Coste e Crespignaga sono le zone vocate che
potrebbero presto avere un loro marchio IGP (di identificazione geografica protetta), ma anche nella bassa trevigiana a Roncade si riscontra un buon interesse per la produzione di questo frutto. E dire che
la ciliegia apparterrebbe al gruppo dei frutti aciduli, sebbene l’elevato
contenuto glucidico la fa considerare un frutto zuccherino, ma non per
questo calorico. Ciò che caratterizza la nostra ciliegia è il terreno poco
argilloso di questo territorio, l’esposizione al sole e soprattutto il clima
temperato con scarsa escursione termica.
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i prodotti tipici trevigiani
Missione Zero:
viaggio nella terra del peperone & c.
Per chi possiede un pizzico di memoria storica
degli appuntamenti della Marca associa immediatamente il peperone a Zero Branco. Tra fine agosto
e i primi di settembre da più di trent’anni si svolge
l’ormai leggendaria Festa del peperone. Agli inizi un
appuntamento che celebrava per i produttori della
zona una sorta di ringraziamento per il raccolto che
costituiva una buona fonte di reddito. È stata una festa che ha portato
a Zero Branco ospiti della canzone a livello nazionale. E anche questo
aiuta a capire l’importanza che assumeva questa produzione. Oggi la
festa continua a scandire il tempo, ma i peperoni non riempriono più
come un tempo gli ettari del comune. Delle patologie hanno decimato
le produzioni, sebbene a Zero Branco il peperone continua a essere
un simbolo...gustoso e apprezzato. La selezione più diffusa in zona è
quella della varietà “pathos” giallo” come ci spiegano gli addetti ai lavori. Il sole e l’acqua possiamo dire che, assieme alla terra, sono come
sempre gli ingredienti più importanti per la buona riuscita del prodotto
che non deve essere piccante e le cui piantine trovano il pieno campo
a maggio. Ciò che non si sa del peperone è il suo grande
contenuto di vitamina C che raggiunge, per lo stesso
peso, anche una quantità tripla delle arance. Il consiglio per chi cerca il peperone di Zero Branco è quello
di recarsi direttamente sul territorio in stagione e suonare il campanello dei produttori. Cotto può essere
preparato davvero in molti modi, ma anche fresco
diventa davvero una sorpresa al palato.
La patata
Eppure non tutte sono uguali
Cresce nella terra, dalla terra. Si nutre per
nutrire. La patata arrivò in Europa dal nuovo
mondo subito dopo la sua scoperta. Non fu
subito percepita quale potenziale alimento per
sfamare il popolo. Anzi, la presenza di solanina,
sostanza con proprietà tossiche, all’inizio rese difficile l’assimilazione di questo tubero. La diffusione
della patata nel continente europeo fu possibile
agli eventi funesti delle carestie del XVIII secolo. La
leggenda vuole, invece, che la sua introduzione nelle
diete di moltissimi popoli europei avvenne grazie a Luigi
XVI che si innamorò della patata facendone una vera e propria moda.
Da qui la coltivazione della patata non ebbe solo la finalità di produrre
un alimento che riempisse la “pancia”, bensì di produrre una novità
culinaria che poteva essere cotta e preparata in una miriade di modi.
Certamente non tutte le qualità di patate sono eguali. Il loro gusto oltre
a dipendere dalle caratteristiche dei terreni in cui vengono coltivate
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La Spesa in Fattoria
dipende anche da oltre 200 varietà e circa cinquemila sottospecie. Da
qui poi la corrispondenza tra varietà e uso in cucina. Dai metodi più
antichi di cuocere la patata con la buccia nelle braci fino a lessarla in
acqua bollente, dal friggerla a trasformarla in purea e gnocchi. Le patate in altre parole non sono tutte uguali e per mantenerle il più possibile
integre bisogna fare qualche attenzione per conservarle al meglio.
Come ad esempio tenerle possibilmente al fresco e al buio.
Il vino
Alcune bontà dalle vigne trevigiane
LE FORTUNE DEL PROSECCO Il colore paglierino, leggero, dai sentori fruttati e floreali a seconda
delle varianti e delle produzioni contraddistingue nel mondo il nostro
Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. Frizzante per i giovani,
ma da gustare anche il tranquillo. La rifermentazione naturale ci
consegna lo spumante che si trova nella forma Extra Dry e Brut. La
forma più sontuosa del Prosecco è il Superiore di Cartizze: un cru
(zona viticola di particolare pregio) tra San Pietro di Barbozza, Santo
Stefano e Saccol.
i prodotti tipici trevigiani
Il peperone
MERLOT Il Merlot è una pietra miliare della viticoltura di tutta la
Marca. Un po’ tralasciato nel passato oggi sta riacquistando tutto il
suo valore. Di colore rosso rubino tende al granato nell’invecchiamento. Il sapore è asciutto, talvolta abboccato, sapido di corpo,
armonico e tannico in giustezza.
CABERNET Proviene dalle zone di Bordeux dove si sono insediati
molti viticoltori emigranti trevigiani. Nelle versioni Franc e Sauvignon
incontra i gusti di chi ama un profumo vinoso intenso e lievemente
erbaceo.
Il PIAVE ci consegna anche Pinot Nero e Bianco, il
Tocai, il Raboso, il Verduzzo e lo Chardonnay.
Dal MONTELLO e dai Colli Asolani troviamo
un uvaggio di un Rosso Doc, il Merlot, il Cabernet,
Chardonnay Spumante, Pinot Spumante, Pinot Grigio,
Prosecco.
Dai COLLI di CONEGLIANO arrivano uvaggi per il bianco e per il
rosso e le seguenti due nicchie:
REFRONTOLO PASSITO dei Colli di Conegliano è ottenuto con
varietà di Marzemino. Un vino citato nell’opera di Mozart “Don
Giovanni”. San Pietro di Feletto, Pieve di Soligo e Refrontolo ne sono
la casa.
TORCHIATO DI FREGONA dei Colli di Conegliano è un vino passito bianco ottenuto dalle uve provenienti dai vitigni delle varietà
La Spesa in Fattoria
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i prodotti tipici trevigiani
REFOSCO
dal Peduncolo Rosso. Rientra nella Doc di Lison
Pramaggiore. È un vitigno autoctono veneto orientale e
friulano. Meglio se invecchiato. Viene definito rotondo e tendente
all’amarognolo.
PINOT GRIGIO
Un vino da conoscere dalle buone aspettative e potenzialità. Da
provare nelle versioni giovane o mediamente invecchiato.
RIESLING Italico
A chi piace un acidulo gradevole, un odore delicato, un sapore secco,
ecco questo vino che vuol farsi conoscere.
TRA CONSORZI DOC E ASSOCIAZIONI DEL VINO.
Le Doc riconosciute in provincia di Treviso e i relativi consorzi sono 5:
Consorzio Tutela del vino Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene,
Consorzio Tutela dei vini del Piave, Consorzio Tutela vini Montello e dei
Colli Asolani, Consorzio Colli di Conegliano, Consorzio Tutela vini Lison
Pramaggiore (solo i comuni di Meduna e Motta di Livenza).
Esiste anche il Consorzio dei produttori del Torchiato di Fregona che
coordinano le iniziative per mantenere così buono il
prodotto e le feste per promuoverlo. Poi c’è l’Associazione Amici del “Verdiso-è Verdiso” a Miane e quella
di produttori agricoli tra il Livenza e il Monticano. Più
recenti i due Consorzi “tra i Ponti” e l’associazione
“Plavensis”. Entrambi operano nei comuni del comprensorio opitergino.
Conoscere il vino, almeno un’ombra
La parola Doc oggi nell’uso comune veste i panni
di un aggettivo per significare una qualità di prelibatezza, bontà, migliore soluzione. Doc significa
più compiutamente Denominazione di Origine
Controllata ed è quel marchio introdotto dalla Cee
nei primi anni ‘60 per valorizzare e promuover la
viticoltura locale. Dietro a una Doc, di un qualsiasi
vino, infatti, c’è una zona viticola vocata e soprattutto
delle tradizioni e della professionalità che mettono l’accento su determinati vini. Ogni Doc ha poi un Consorzio di produttori di riferimento
che opera per il bene “qualitativo” del vino di riferimento, per la sua
tutela e promozione.
Quindi i vini si dividono tra vini a denominazione di origine e vini
da tavola. I primi fanno riferimento alla sigla VQPRD (Vini di Qualità
Prodotti in Regioni Determinate) e troviamo i DOC e i DOCG (la g sta
per garantita). Ci sono normative e regole specifiche che determinano
la loro produzione (esempio: quintali uva per ettaro di vitigno).
I vini da tavola si dividono a loro volta tra quelli semplici e quelli IGT e
cioè di Identificazione Geografica Tipica che associa il vino comunque
a specifici territori.
120
La Spesa in Fattoria
Le castagne e i marroni
Quel gusto celato nel riccio
Nella pedemontana trevigiana, quando è
stagione, non mancano le occasioni per
gustare delle castagne nostrane. Ci sono
però due zone in particolar modo vocate per
la raccolta di marroni che descriviamo nelle due
schede. Questi
frutti della terra partecipano a garantire un’altra fonte di reddito ai
coltivatori della zona. Le feste, le mostre mercato, la trasformazione
delle castagne in farina, marmellate e dolci, un po’ di sano marketing territoriale stanno valorizzando i prodotti e il territorio. Al tempo
della Repubblica Serenissima la pedemontana trevigiana riforniva di
legname le officine veneziane per la costruzione di svariati tipologie
di imbarcazioni.
Per i consumatori più esigenti è giusto ricordare qualche peculiarità
che distingue la castagna dal marrone. La castagna è più piccola, di
colore bruno scuro e uniforme. La buccia è spessa e resistente con la
pellicola interna inserita in profondità nel frutto. Ciò rende difficoltosa
la pelatura.
Il marrone è decisamente più grande e di colore
più chiaro. Si individuano anche delle striature. La
buccia è sottile e la pellicola è più superficiale.
Per questo si stacca più facilmente. Il gusto è
più dolce. In genere si trova un marrone per
riccio, mai tre.
i prodotti tipici trevigiani
Boschera, Prosecco e Verdiso. Fregona, Sarmede e
Cappella Maggiore ne sono la patria.
I funghi
Prataioli, sbrise, chiodini e pioppini
nascono come funghi
Quella dei funghi è un’altra storia trevigiana
tutta da scoprire e sicuramente che porta con sè
dei primati. Stiamo parlando dei funghi coltivati che
presentano molte similitudini con la produzione del coniglio. La Marca,
infatti, vanta una delle più importanti concentrazioni di fungaie a livello
nazionale con una produzione che si aggira tra il 20 e il 25 % della
fungicoltura italiana. Lo sviluppo della produzione in serra-tunnel di
funghi ha creato in provincia di Treviso a sua volta l’evoluzione di un
importante indotto con imprese che producono a loro volta composto
e terreno, macchinari e attrezzature oltre al proliferare di industrie
alimentari. Ma com’è nata questa tradizione trevigiana che ha le sue
radici negli anni ‘60. Il merito è di una migrazione di ritorno. I nostri
emigranti, in particolari quelli che andarono in Canada, tornarono
nella Marca con le conoscenze che avevano acquisito oltreoceano.
Così soprattutto a Paese e Trevignano, ma anche a Istrana, Vedelago,
Carbonera, Moriago e Pederobba cominciarono a nascere fungaie
specializzate. La coltivazione segue delle fasi precise che partono dalla
produzione del micelio o seme che viene inoculato in un substrato
nutritivo che prende il nome di composto. Il composto è formato da
La Spesa in Fattoria
121
i prodotti tipici trevigiani
L’olio
Gli olivi parlano da secoli in trevisano
La storia ci dice che l’Olivo è uno dei tipici di Marca.
Uno di quei prodotti, in altre parole, che trova il suo
habitat anche nella nostra pedemontana.
Lo dimostrano proprio alcuni documenti dell’archeologia
locale che ci fanno capire come gli antichi romani introdussero questa coltivazione anche nella provincia trevisana. Più recentemente dei documenti amministrativi
provinciali ci passano delle altre informazioni eloquenti.
Ci si riferisce a delle vere e proprie leggi sugli olivi promulgate a Treviso tra il 1207 e il 1233. Oggi, o meglio negli
ultimi 10 anni, l’olivicoltura è tornata ad interessare prepotentemente
la nostra provincia. Tanto da portare da 16 mila a quasi 100 mila le
piante presenti in tutta la fascia medio-alta della Marca, ma non solo.
Il motivo di questa impennata lo si trova in una vera e propria politica
ambientale promossa dall’Ente Provincia di Treviso che ha ogni anno
messo a disposizione piante di olivi per ripopolare il territorio. Non si
tratta di una campagna con semplici finalità paesaggistiche (sebbene
queste non guastano) bensì di una iniziativa che ha il preciso scopo di
far presidiare il territorio più impervio proprio agli olivi che con le loro
radici compiono la preziosa attività di prevenzione e salvaguardia del
terreno nelle zone collinari.
L’OLIO TREVIGIANO È EXTRA VERGINE DI OLIVA. PERCHÉ…
Oltre alle finalità di sicuro interesse degli olivi ci sono da considerare
le proprietà e il gusto dell’olio della Marca trevigiana.
Un olio
che viene classificato tra quelli extravergini proprio
perché la sua acidità risulta essere inferiore alla
soglia di 1 grado. Sappiamo poi che tra 1 e 2 gradi
di acidità l’olio è considerato vergine. Ecco,
l’acidità di quello trevigiano si ferma addirittura tra lo 0,06 e lo 0,22 gradi. Da qui
un gusto delicato, ma ugualmente forte. Il
colore è giallino tendente al verde e il gusto
122
La Spesa in Fattoria
si presenta davvero armonico con dei sentori di oliva verde, mela e
rosmarino. Basta avere la voglia di andarselo a cercare, magari chiamando l’Ato (l’Associazione Trevigiana Olivicoltori) che può indicare la
più vicina mostra o fiera dove sarà in vendita il prodotto. Sempre con
la classica degustazione prima dell’acquisto. Una bruschetta con l’olio
trevigiano, almeno una volta nella vita bisogna provarla. Lo si scrive
proprio per chi scrive. Abbiamo, infatti, una bottiglia d’olio dell’Ato che
trattiamo come una reliquia preziosa. È davvero ora di assaporare ciò
che la natura ci ha donato con tanta perfezione.
Le carni
Il maiale professore di cultura
e cucina popolare
Del maiale non si butta via niente. Il maiale è il salvadanaio della
famiglia. L’uccisione del maiale è un
rito. Quante frasi “fatte” dalla storia e
dalla tradizione accompagnano la risorsa
suino che per moltissime famiglie della Marca trevigiana ha costituito
un supporto davvero vitale. Da qui lo sviluppo poi dei vari insaccati,
dalla soppressa alla luganega, per non parlare della porchetta, che
costituiscono un patrimonio locale. Tanto da creare recentemente un
comitato d’opinione per cercare di ottenre una Dop per la soppressa
trevigiana. Tornando alla storia dell’uccisione del maiale c’era il detto
che verso fine dicembre, il giorno di San Tommaso, il “porco” poteva
essere appeso per le zampe posteriori ad una delle travi del portico.
Rimanendo nelle tradizioni popolari si nota che gli alberi della cuccagna allestiti nelle nostre sagre avevano in cima anche dei salumi come
simboli di ricchezza e di abbondanza da raggiungere. L’allevamento in
provincia di Treviso conta dei punti di eccellenza in particolare nelle
zone di Cornuda, Paderno, Povegliano, Mogliano e Valdobbiadene.
i prodotti tipici trevigiani
stallatico equino o da paglia, pollina, acqua e additivi.
La coltivazione avviene in tunnel di fermentazione
e di pastorizzazione dove c’è un costante controllo
della aerazione e dell’umidità. Nell’800 si tentava la
coltivazione nelle grotte. La parte del leone nella coltivazione di casa nostra spetta al prataiolo o champignons (Agaricus bisporus). Poi ricoprono un’altra fetta significativa
il Pleurotus e le sue diverse varietà che viene chimato anche gelone o
“sbrisa”. Senza dimenticare poi la produzione del pioppino e anche del
chiodino e di altre specie ancora. C’è da considerare che il consumo,
specie nel Nord Est, non è poi così elevato. Un po’ per i boschi vicino
casa, un po’ per una scarsa abitudine a portare in tavola ad esempio
lo champignons che in altri paesi troviamo in abbinamento in ogni
piatto, crudo o cotto.
Appunti sulla sopressa e i suoi parenti
SOPPRESSA
La soppressa si fa con la polpa della
coscia del maiale, con la spalla e il lombo
(carrè). Le percentuali del magro 60/70 %,
del lardo 40/30 %. La stagionatura: otto giorni
per asciugare la soppressa insaccata in un ambiente
caldo (caminetto e legna nella vecchia tradizione “de casada”). Poi si
trasferiscono in cantina per la definitiva stagionatura in un ambiente
arieggiato. Se l’ambiente è troppo asciutto il pavimento va bagnato
quotidianamente per ottenere il giusto mix di umidità per una ottima stagionatura. Per un prodotto ottimale bisognerebbe lasciare la
soppressa in cantina per 4 mesi circa. Le dosi della tradizione: per un
quintale di carne il 27 % di sale e lo 0,27 % di pepe. L’insaccatura
avviene in una budella chiamata in gergo manica che può essere
naturale o sintetica. Ma attenzione. I maiali non sono tutti uguali e sono
La Spesa in Fattoria
123
i prodotti tipici trevigiani
“A SOPPRESSA INVESTIA”
È la soppressa con l’inserimento del filetto del maiale. In altri casi si
inserisce un filoncino di coppa di maiale. Si tratta di una versione più
pregiata. Ma tra gli addetti ai lavori c’è chi preferisce mantenere le
cose separate.
SALAME
La carne utilizzata è la stessa della
soppressa. Ma la stagionatura è
inferiore per un periodo circa di due
mesi. Inoltre, l’insaccatura avviene in una
budella di diametro notevolmente inferiore che ne determina una maturazione
più veloce. Per il salame il peso medio è
di 7/8 etti.
MARTONDELLE
Conosciute nella zona di Castelfranco sono delle polpette di carne di
collo con il sangue coagulato. Vengono speziate con sale, pepe e la
mitica “dosa”. La polpetta è grande come un uovo, viene infarinata e
poi si avvolge nel “reseghello” che è la rete di maiale.
N.B.
da notare che il lardo usato in queste ricette è il grasso duro dell’animale e non il “sego” che è molle e non indicato per gli insaccati. Un
tempo veniva insaccato lui stesso (il sego) come lardo per i condimenti. Magari sui radicchi.
i prodotti tipici trevigiani
allevati con una dieta specifica. Anche questo diventa importante nel
decidere le dosi. Per questo le soppresse sono diverse una dall’altra. Il
peso medio di una soppressa è di circa 1 chilo e mezzo.
L’AMICO AGLIO CHE FA BEN ALLA SALUTE
Non viene sempre utilizzato, ma (a chi piace) conferisce alla soppressa
o al salame un gusto imbattibile. Ci sono zone in provincia di Treviso
in cui non si concepiscono insaccati senza aglio: ad esempio in quel di
Motta di Livenza. In un quintale di carne ci vanno 20 spicchi di aglio.
L’OSSOCOLLO, LA COPPA IN TAVOLA
La carne dell’ossocollo è la coppa del maiale che viene insaccata in
“maniche”. Ad occhio il macellaio la rende salata e pepata quanto
basta aggiungendo cannella e chiodi di garofano. Il tutto viene massaggiato con cura per far “prendere” gli aromi all’insaccato.
COTECHINI O MEGLIO “MUSETI”
La carne utilizzata, dal nome è chiaramente identificabile: cotenne, muscoletti, testa di maiale
e una parte di grasso. I Museti vengono preparati solo con la parte della testa suina. Si
cuoce in circa 2 ore, poco più.
BONDIOLA
L’impasto di carne della bondiola, che ha una forma sferica, è uguale
a quello del cotechino. La principale differenza, oltre alla forma, sta
nell’insaccatura che avviene nella vescica di vitello. Il tutto con una
legatura a croce. C’è anche la versione della bondiola “col lengual”
ovvero con l’inserimento di un pezzetto di lingua del maiale. La cottura
è più lunga: tre ore e più.
SALSICCIA
Si insacca pancetta e carne magra del maiale creando un misto a
seconda della specialità delle usanze locali. Si spezia con il sale al 20
% e pepe al 18 %. L’insaccatura avviene nella cosiddetta “vianella” che
non è altro che una budellina di circa 6 centimetri di diametro. Può
essere naturale o sintetica.
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