Prodotti Tipici - Coldiretti Treviso
Transcript
Prodotti Tipici - Coldiretti Treviso
vino Società agricola “Ca’ Franco” di Bellese Fabio & C. Via Saletto, 17 31024 Roncadelle di Ormelle ✆ 0422 851074 - 0422 851842 @ [email protected] ø www.cafranco.com Prodotti: Raboso Piave, Cabernet Franc giovane e barricato, Incrocio Manzoni 6013, Prosecco, Doc e Igt, sfuso e in bottiglia Come trovarci: strada Cimadolmo Negrisia, prima dal centro di Roncadelle laterale a destra, verso le grave del Piave Apertura: tutto l’anno dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18. Domenica mattina su prenotazione Vitivinicola Canova di Vedovato Via Callunga, 17, 8/a 31045 Motta di Livenza ✆ - ∆ 0422 863821 @ [email protected] Prodotti: Cabernet, Merlot, Raboso, Chardonnay, Sauvignon, Verduzzo, Pinot bianco, Malbech, Prosecco, Doc ed Igt, sfusi ed in bottiglia Come trovarci: all’uscita del casello autostradale di Cessalto, voltare a destra, si passano due rotatorie, seguendo sempre per Motta. Dopo il secondo rondò, percorrendo una strada alberata, voltare alla terza laterale a destra. Dopo 1,5 km a sinistra c’è l’azienda Apertura: tutto l’anno I prodotti tipici trevigiani Testi a cura di Luca Pinzi Il radicchio Il tris delle meraviglie Il Re spadone, il Fiore d'Inverno, il Fiore che si mangia. È stato definito in varie maniere per onorare le sue qualità. Il radicchio di Treviso, quello rosso di Treviso ormai significa uno status che supera le differenze tra le tre qualità autoctone: il radicchio rosso precoce, quello tardivo e quello variegato di Castelfranco Veneto. Treviso (e la sua provincia) rappresenta la capitale del radicchio per antonomasia e questa veste oggi i panni di vero e proprio biglietto da visita internazionale per tutti i cultori dell'enogastronomia. Ma la vera forza di questo prodotto della nostra terra è la semplicità. È semplicemente e naturalmente straordinario. È semplicemente un capolavoro della natura e della dedizione dell'uomo. È semplicemente il suo dolce amaro a renderlo irresistibile al palato. Tutte qualità che ne hanno fatto diventare un simbolo sebbene nel panorama veneto la produzione dei radicchi trevigiani è di circa il 10%. E pensare che quello rosso di Chioggia occupa il 60 per cento della produzione regionale. RADICCHIO ROSSO DI TREVISO TARDIVO La varietà tardiva è quella più pregiata anche dal punto di vista organolettico. La progenitrice delle altre varietà trevigiane. È in commercio dalla metà del mese di novembre e si riconosce per la forma a spadone con le foglie/germogli più stretti che si chiudono all'apice. La nervatura bianca dorsale è protetta ai lati da un bordo rosso-vinoso. Croccante, gustoso, "s'accompagna tra tutti i piatti della nostra cucina...". Con un po' di fantasia... dall'antipasto al dessert. RADICCHIO ROSSO DI TREVISO PRECOCE È di selezione più recente e fin da settembre ci fa compagnia durante i pasti. I cespi sono ugualmente allungati, ma con foglie a lembo più ampie. Per questo il bianco dorso diventa più pronunciato. RADICCHIO VARIEGATO DI CASTELFRANCO Un fiore che si mangia. È una rosa con foglie che si aprono per mettere in mostra un cuore color crema con delle lentiggini che raggiungono il rosso acceso. Molto delicato al palato. Una fortuna per la gastronomia di casa nostra. 104 La Spesa in Fattoria La Spesa in Fattoria 105 i prodotti tipici trevigiani FELETTO Morbido, ma stagionato fino a tre mesi. È un prodotto tipico della latteria Perenzin di S. Pietro di Feletto. Treviso & le differenze tra crudo e molle Con il latte e la maestria del casaro si fa il formaggio, anzi si fanno i formaggi. Ogni zona, infatti, ha le proprie tradizioni e le proprie usanze oltre ai propri gusti e tecniche di caseificazione. Da qui la grande varietà di formaggi che anche il territorio trevigiano sa e può esprimere. Un formaggio può, inoltre, differenziarsi dagli altri per il latte usato. Così ci sono formaggi vaccini, pecorini, caprini o a latte misto e altri ancora. Ma può essere anche a latte crudo (nessun trattamento) o a latte pastorizzato. Può esserci il formaggio grasso (più del 42 % di grassi), semigrasso (dal 20 al 40 %), magro (meno del 20 %) o leggero (dal 20 al 35 %). Le distinzioni poi avvengono in base alla cottura della cagliata: formaggio a pasta cruda (nessuna cottura), a pasta cotta o a pasta filata. A seconda dell'umidità della pasta ci sono i formaggi a pasta dura (meno del 40 %), semidura (più del 40 %), molle (dal 46 al 48 %) o fresca (fino all'80 %). Poi ci sono le varianti dovute a differenti maturazioni del formaggio e stagionature GRANA PADANO DOP Tra le 27 province della pianura padana in cui si produce il Grana Padano c'è anche quella trevigiana. Inimitabile. L'ELISIR DI MUCCA: IL LATTE DELLE VACCHE NOSTRANE È forse il caso di ricordarlo. Il latte è fatto dalle mucche e le mucche sono curate e allevate dai nostri Contadini con la C maiuscola. E di stalle nella provincia di Treviso ce ne sono tante e sono sempre visitabili. Anzi, l'accoglienza della gente dei campi è tale che Vi garantiscono una visita guidata "gratuita" della loro impresa agricola. Specie per i più piccoli sono spettaccoli nemmeno paragonabili con quello che mostrano i cartoni animati: le mucche trevigiane sono molto più belle dei dinosauri mostruosi della televisione. Le regole per la produzione del latte sono ferree per garantire dei prodotti di alta qualità. L'alimentazione delle bovine poi deve essere curata e controllata. Il latte assume un sapore anche a seconda del tipo di erbe che gli animali mangiano. Il latte appena munto prima di essere commercializzato come fresco viene pastorizzato. Un procedimento che consente di conservare il latte per alcuni giorni senza provocare la denaturazione delle vitamine e proteine nobili del latte. Un assaggio di formaggio ASIAGO DOP Il formaggio Asiago non è tipico solo dell'altopiano dei Sette Comuni, ma viene prodotto anche nella pedemontana trevigiana. Fu la prima guerra mondiale a far migrare le popolazioni asiaghesi anche verso la Marca trevigiana dove portarono la loro tradizione casearia. BASTARDO DEL GRAPPA È tipico delle malghe del Grappa. Viene prodotto aggiungendo il caglio al latte caldo e poi stagionato per 60 giorni. COSTABELLA Prodotto dalla latteria di Collalbrigo richiama il nome dalla zona collinare sovrastante la stessa latteria di Conegliano. 106 La Spesa in Fattoria INBRIAGO Le forme di Asiago d'Allevo, Latteria e Montasio vengono ubriacate, doipo due mesi di stagionatura, nel mosto, e vinacce, di uve Cabernet, Merlot, Prosecco e Raboso Piave. Si riconosce dall'aroma e dal colore violaceo che assume dopo il trattamento. Mi dia: "Una ombra de formajo". MOESIN È prodotto dall'Agrimontana di Fregona di cui ne va fiera. A pasta semidura, dolce e gradevole, si abbina anche con un buono spumante. MONTASIO DOP Pur prendendo il nome dal gruppo montuoso delle Alpi Giulie può essere prodotto in tutta la Marca grazie alle caratteristiche climatiche in particolare della pedemontana trevigiana. Semigrasso, a pasta cotta e dura. i prodotti tipici trevigiani Il latte e i formaggi MONTEGRAPPA Prodotto a Cavaso del Tomba presenta delle caratteristiche peculiari a seconda delle varianti dolce o stagionato, a pasta semimorbida o dura. MORBIDO DI SAN FERMO Morbido e cremoso ha la sua casa a San Giacomo di Veglia. MORLACCO Ottenuto da latte vaccino crudo, parzialmente scremato per affioramento, dopo una sola cottura trova le sue origini nelle malghe del Grappa dove è possibile acquistarlo e gustarlo. Lì un tempo arrivarono i pastori della Morlacchia... A fare la differenza il latte munto in montagna. ROBIOLA DI CAPREFELICI Una chicca trevigiana per quanto riguarda i formaggi di capra prodotto dalla Perenzin di San Pietro di Feletto. SILE A pasta semicotta è pastoso e morbido. Viene prodotto dalle Latterie Trevigiane a Vedelago a pochi chilometri da dove nasce appunto il fiume Sile. SOLIGO Prodotto a Farra di Soligo dalla omonima latteria. Viene data una diversa stagionatura a seconda lo si voglia fresco, mezzano o invecchiato. La sua caratteristica è la tradizione che lo lega alla Latteria di Soligo che ormai ha più di 130 anni. TALEGGIO DOP Tipico di Lombardia e Piemonte può essere prodotto in provincia di Treviso grazie all'inserimento delle zone previste dalla Dop. Molle a pasta cruda è ottenuto da latte intero. NELLE VALLI Le valli dell'alto trevigiano esprimono vari formaggi tipici di quelle zone come il Vallata, Valcavasia e il Valsana. La Spesa in Fattoria 107 i prodotti tipici trevigiani La grappa Quello spirito che si beve con il naso La Grappa per Treviso è un altro punto d’eccellenza. Forse oggi lo è ancor più che ieri. O meglio ieri per tradizione, oggi per consapevolezza di possedere un prodotto che ha ancora moltissime potenzialità da esprimere. La Grappa, o acquavite, sgnapa o ancora graspa, è l’autentica dimostrazione di come la storia di un prodotto può trovare la sua esaltazione nel suo matrimonio con la modernità e la tecnologia. E da questo fondersi nasce a nuova vita quel qualcosa che, è stato detto da altri (Mondograppa 2003), si beve con il naso. Traducendo: la provincia di Treviso da sempre è vocata per grandi e diversi vini. Dal Piave alla pedemontana, dall’Opitergino a Conegliano e Valdobbiadene. Quindi da grappe con uve rosse più corpose a grappe con uve bianche più morbide e fruttate. Ma questo non basta. Questa tradizione un tempo serviva per avere le vinacce a disposizione che ci davano un determinato prodotto. Poi lo studio, la voglia di andare oltre, la conoscenza che proprio nelle bucce degli acini albergano aromi da riportare alla luce ecco che la grappa diventa la Grappa con la g maiuscola e prodotto tipico trevigiano, veneto, italiano. Tanto da farla diventare in un regolamento Cee “bevanda spiritosa italiana”. Insomma lo studio e l’abnegazione di maestri distillatori, inventori, artisti e poeti dell’acquavite hanno ridato spirito e anima a questo prodotto. Andando indietro nei secoli è facile trovare la grappa come portentoso rimedio medicamentoso nel medioevo dell’Italia settentrionale. Nel XVI secolo fu portata in tavola come liquore. Usata dai soldati nella I Guerra Mondiale per trovare calore e forse annebbiare le paure, trova spazio nelle famiglie contadine che la producevano per autoconsumo e magari per aiutare qualche baratto. Perché diventi un prodotto industriale occorre attendere gli anni ’60. Poi l’esplosione commerciale negli anni ’70 e un succes- 108 La Spesa in Fattoria sivo rallentamento. Oggi il ritorno alla ribalta. E Treviso guida questa riscossa con quasi la metà della produzione del Veneto che a sua volta produce circa il 40 % di quella nazionale. La polenta Quel grano che venne dalla Persia Di necessità virtù…la polenta dalle nostre parti l’abbiamo conosciuta per fame, ma fondamentalmente ci piace. Siamo dei polentoni doc che non la disdegnano bianca o gialla, dura e morbida. Ci sono varie ricette che ormai si sono consolidate nelle nostre tradizioni. Dalla polenta e osei, polenta e funghi, polenta e baccalà, polenta e speo, polenta e sepe. Alcuni racconti del passato ci danno un’altra fotografia che vede la renga al centro sulla quale i commensali passavano una fetta di polenta per cercare di rubare un po’ del suo gusto. La polenta incontra i più svariati sughi, formaggi cotti, teneri e duri. Una buona polenta morbida accompagnata da un buon formaggio stagionato, ma è anche il caso di dire che non c’è una grigliata degna senza una buona fetta di polenta abbrustolita. Vogliamo provare una polenta pasticciata o più semplicemente polenta e latte. Ci immaginiamo la cottura della farina di mais, macinata in un molino ad acqua, in un paiuolo di rame, appeso alla catena sopra un focolare. Mescolata a dovere fino a versarla su un tagliere rotondo. È un tajer di legno perché così assorbe l’umidità e conserva il calore. Le parti le facciamo tagliandola con un filo di corda. Lo fanno ancora, per tradizione, alla Festa degli asparagi a Badoere dove nonna Maria taglia con il filo anche le uova a metà che poi accompagneranno gli asparagi nel piatto più bon. La polenta si consolidò ai tempi della Serenissima, ma sembra che il mais arrivò a Venezia prima della scoperta delle americhe. Direttamente da Costantinopoli. Da qui il nome di granturco. In tempi di carestia risolse non pochi problemi, sebbene il suo consumo fu causa della malattia conosciuta con il nome di pellagra. i prodotti tipici trevigiani Casatella: storia di un formaggio “de casada” Le origini del nome Casatella potrebbero trovare fondamento dal latino “caseus” o dall’italico cacio per significare formaggio. La Casatella è il tipico companatico delle famiglie contadine che trasformavano il poco latte “messo via” in un formaggio fresco e molle per loro esclusivo consumo. Insomma è il formmaggio di casa, “de casada” che ancor oggi ci richiama a qualcosa di prodotto in modo genuino e quindi buono e sano. Gli ormai estinti venditori di Casatella (i vecchi negozi di alimentari) venivano appunto chimati “casoini”. Erano loro i primi interlocutori con i consumatori. Oggi in parte sostituiti anche da internet dove si trovano tutte le informazioni su ogni formaggio…fino alla mucca che ne ha prodotto il latte. Oggi esiste un Consorzio di tutela e valorizzazione della Casatella Trevigiana Dop. I dolci Dulcis in fundo: ricette che hanno conquistato il mondo Dolcezze tradizionali, dolci di casa, torte per ogni e di stagione. Ogni paese ha le sue ricette che si perdono nella storia di un colmello e magari di qualche famiglia che così faceva quello o quell’altro biscotto. Certa è anche l’influenza dei nobili veneziani che sicuramente avevano più possibilità di arrivare al dolce (baicoli e tanti altri). Tra i biscotti potremmo annoverare i “biancheti de Musan” o La Spesa in Fattoria 109 i prodotti tipici trevigiani allevamento della trota risulta fondamentale logicamente la salubrità dell’acqua, la sua ossigenazione, oltre alla corretta alimentazione. La trota, infatti, è un buon indicatore ambientale in quanto se l’acqua non è incontaminata muore. A un anno il pesce arriva a 300 gr di peso e quindi risulta essere pronto per la macellazione. Anche la sua carne è tutta da scoprire e valorizzare. È molto ricca di proteine e di aminoacidi essenziali: molto digeribile. Con 200 gr si soddisfa il fabbisogno alimentare di un adulto. La tradizione l’ha vista festeggiare a Cimadolmo nel mese di settembre e in primavera a Biadene. Anche in questi casi gli abbinamenti con gli altri prodotti della Marca sono numerosi. Come la trota al vino rosso che viene farcita con funghi champignons, aglio, scalogno, prezzemolo, sale e pepe. Infarinate le trote vengono messe in casseruola assieme a varie verdure e ricoperte con un buon rosso (e sceglieremo una Doc trevigiana). I pesci Non un dolce ma una regola quotidiana: Sono circa un migliaio gli appassionati in provincia di Treviso del cosiddetto pollice dolce. Stiamo parlando degli apicoltori che più o meno professionalmente o passionevolmente disseminano il territorio di arnie-casette raccogliendo il miele prodotto dalle api della Marca. O sarebbe meglio subito sottolineare come a produrre il miele, almeno nella prima parte del suo processo, è lo stesso fiore, come stiamo per spiegare, producendo il primo nettare. Intanto è giusto ricordare che a SS. Angeli, sul Montello, c’è la sede dell’Apat, l’associazione degli apicoltori di Belluno, Treviso e Venezia. Nella nostra pedemontana, poi, c’è anche un’altra associazione molto attiva che ha la sua sede a Crespano. Si tratta dell’Associazione Gruppo Apicoltori della Comunità Montana del Grappa a sua volta aderente all’Associazione Produttori Regionale Miele del Veneto. Proprio l’area collinare e pedemonatana, ricca di prati non sfalciati e boschi, è la zona ideale per garantire il giusto habitat alle api trevigiane. Il miele non è tutto uguale, cambia da zona a zona, da territorio a territorio, tanto da riuscire a far identificare degli spettri pollinici con caratteristiche uniche. Ciò significa che il Veneto potrebbe avere il suo Miele Dop (Denominazione di origine protetta). Ma è stato riscontrato che il Millefiori della provincia di Treviso è diverso dalle province limitrofe. Un marchio come la Dop è una garanzia per i consumatori che in questo modo non possono essere ingannati con provenienze del prodotto poco chiare o volutamente imprecise. L’Unione Europea dà, invece, una precisa definizione di miele: “Il miele è un prodotto che le api ricavano dal nettare dei fiori o dalle secrezioni proveniente da parti vive delle piante o che si trovano nelle stesse che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie e che immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare”. I nostri “pessi” Iniziamo con la Carpa che fu importata dall’Anatolia dai romani o il Luccio, uno dei predatori che era tra i più diffusi delle nostre acque. Non possiamo non citare la Marcandola o Lasca (piccolo pesce dalle pinne rosse che ama i fiumi con fondo ghiaioso) o il Marson o Scazzone. Preferisce le acque lente la Scardola, mentre lo Squalo Cavedano non disdegna nessun ambiente acquatico. Il Temolo è uno dei pesci ormai rari nelle nostre acque che ha sofferto di più l’inquinamento come anche la Tinca che era diffusa nelle acque più tiepide della nostra pianura e ricche di vegetazione. Anche per la Lampreda è stato lanciato un sos: si tratta di un esemplare che preferisce i ruscelli, quindi fondi ghiaiosi con acque chiare e correnti. Era presente nei nostri corsi d’acqua anche il gambero rosso d’acqua dolce. Nel moglianese troviamo anche chi si cimenta nella delicata impresa di allevare i gamberi in vasche artificiali. Rinomati i “gambari” di San Polo. Una trota su due è trevigiana La presenza d’acqua nella Marca Trevigiana, sia in pianura che nella pedemontana, ha contribuito lo sviluppo della trotticoltura. Una quarantina di allevamenti sono sparsi un po’ in tutta la provincia lambendo ovviamente i corsi del Sile e della Piave: questi costituiscono circa il 20 % della produzione nazionale. La trota allevata è quella “Iridea” di origine americana che si è rivelata più idonea allevamento e quindi preferita in tal senso alla trota “Fario” di ceppo europeo. Per un buon 110 La Spesa in Fattoria Il miele La Spesa in Fattoria i prodotti tipici trevigiani gli “ossi da morto de Salgareda” e ancora i dolci di Santa Lucia con il “mandolato” in testa (vediamo l’11 dicembre) o più semplicemente le “fave de i morti” e a carnevale i crostoli, le castagnole e le frittelle nelle diverse varianti: con uvetta e pinoli, alle mele, di riso. A Pasqua non possiamo non onorare una tipica “fugassa” con tutte le variazioni del tema proposte da fornai e pasticceri. Nei libri antichi si scopre un dolce trevigiano che si è perso. La “zonclada” che doveva essere una torta di latte. Non dimentichiamo poi le torte abbinate alla frutta di stagione che fanno presto a diventare tipiche e locali. Non possiamo non citare la “fregolotta”. Dolce tipico di Salvarosa che da una trattoria ha conquistato il mondo. La ricetta originale è ben celata, ma la semplicità dei suoi ingredienti è la vera forza di questo dolce: farina di grano tenero, zucchero, burro, uova e latte intero fresco, aromi di bacche, vaniglia, agrumi, sale. Tra le proposte più recenti c’è la fregolotta al radicchio rosso di Treviso e la fregolotta al Prosecco. 111 i prodotti tipici trevigiani Una vocazione territoriale C’è subito un dato da mettere in evidenza: Treviso è una delle capitali della cunicoltura nel mondo. Questi sono i rapporti. La Cina è la prima produttrice di conigli del pianeta, l’Italia la seconda. Il Veneto è leader nazionale, la Marca ha la leadership veneta. Il comune di Volpago del Montello, con una settantina di aziende, ha la più alta concentrazione mondiale di allevamenti di conigli. Perché? Cercando delle conclusioni logiche si può dire che da sempre il coniglio è un piccolo tesoro per le famiglie contadine nostrane. Lo si allevava per farlo diventare un ottimo alimento per la famiglia, un’ottima merce di scambio o di pagamento. Tant’è che si trova il coniglio, menzionato quale forma di pagamento, nei contratti agrari, sia d’affitto che di mezzadria, della fine dell’800. In aggiunta possiamo dire che i veneti non hanno mai disdegnato ottime ricette culinarie a base di questo prodotto che sono servite a radicarlo nei consumi di casa nostra. Certo è che lo sviluppo nella Marca trevigiana di un indotto importante (fabbriche di attrezzature per l’allevamento di conigli a livello mondiale, mangimifici, macelli e ristoranti dedicati) ha poi favorito l’intensificarsi della produzione e l’affinamento di tecniche sempre più moderne per garantire quello che chiede oggi il consumatore: qualità e garanzia di salubrità. È vero che qualche addetto ai lavori racconta ancora come la televisione qualche decennio fa mise in ginocchio il settore denunciando un allarme alimentare…poi rientrato. Il problema del comparto cunicolo consiste in una questione che riguarda molte produzioni locali. In Italia, e quindi soprattutto nel trevigiano, il coniglio viene prodotto con una alimentazione curata e seguita (erba medica con integrazioni di frumento, orzo, crusca, girasole e soia) fino alla perfetta conservazione delle materie prime. Questo permette l’offerta di carne di estrema bontà e qualità organolettica garantita. Se tutte queste attenzioni, con i costi che ne conseguono, non vengono applicate in altri paesi produttori è ovvio che nel mercato arriverebbero prodotti a basso costo e di dubbia qualità. Chi sta lavorando per creare la massima informazione attorno al mondo del coniglio è l’associazione Coniglio Veneto. E chissà che presto non ci sia anche un marchio di riferimento che possa certificare e far riconoscere ai consumatori il prodotto di casa nostra. Le erbe La migliore primavera è quella sotto casa Le erbe spontanee del nostro territorio costituiscono un patrimonio di inestimabile valore che forse con troppa superficialità diamo per scontate. Loro, nonostante tutto e tutti, continuano a germogliare ed a offrirsi a noi, ad ogni primavera, con estrema generosità di sapori 112 La Spesa in Fattoria senza pari. In più se si può aggiungere alla valenza gastronomica quella culturale e di farmacopea popolare eccoci serviti dei capolavori salutari della natura. E dove ci sono erbe, si dice, c’è salute. In questa scheda vogliamo compiere un viaggio ideale nei campi della bassa trevigiana, lungo i fossi dell’ultima ruralità di Marca, alle pendici delle nostre montagne, a trovar erbe e germogli appena spuntati. ROSOLINE O FOGLIE DI PAPAVERO Comincio da queste perchè ho chiaro il ricordo di nonna Clara che riempiva “sporte” a più non posso di rosoline che non sono altro che le foglie di papavero da raccogliere in primavera quando la pianta non ha ancora il fiore. Crescono nei prati e nei campi di grano. Vanno cotte lessate con altre verdure a foglia o da sole. Magari con un po’ di aglio o di lardo. D’obbligo nella raccolta è fare attenzione a non danneggiare il fusto per permettere una nuova vegetazione. TARASSACO OFFICINALE O DENTE DI LEONE Tocca al Tarassaco o “pissacan” o dente di leone. La sua infiorescenza gialla lo fa considerare un infestante comune dei prati. Per la raccolta vale quanto detto per le rosoline. Le foglie più tenere si prestano bene ad insaporire una insalita mista. Il Tarassaco è disintossicante e fa bene al fegato. i prodotti tipici trevigiani Il coniglio SILENE VULGARIS O S-CIOPETI Vengono chiamati anche carletti o in dialetto s-ciopeti. Anche anche in questo caso vanno raccolti i germogli. Il sapore questa volta non è amarognolo come per il Tarassaco, bensì più delicato. Ottimo l’uso come base per il risotto o nella frittata. LUPPOLO O BRUSCANDOLI I bruscandoli per molti sono un’istituzione gastronomica primaverile. Si trovano lungo i fossi o in mezzo ai cespugli poco curati. Si raccolgono, come dicono gli addetti ai lavori, i germogli apicali. C’è chi li degusta crudi, ma nella fritatta e nei risotti trovano la loro “morte”. PUNGITOPO O RUSTEGOT Il turione del Pungitopo viene chiamato in dialetto rustegot o rustegoto. Cresce spontaneo soprattutto nelle macchie boschive. Il suo uso in cucina è simile a quello dei bruscandoli. Viene utilizzato anche per aromatizzare la grappa con buoni risultati. SPARASINA E ORTICHE COMPRESE Sarebbero innumerevoli le erbe spontanee con proprietà da menzionare. Basta pensare alle sole varianti dell’asparago. Dalla sparasina alla barba di capra o asparago di montagna. Le varianti dipendono dalle zone in cui nascono, dal tipo dei terreni, dall’umidità. Tra i vari getti di primavera menzoniamo le giovani foglie dell’ortica che una volta cotte perdono le proprietà orticanti e si traducono in ottime e sorprendenti soluzioni gastronomiche. La Spesa in Fattoria 113 i prodotti tipici trevigiani La pesca Terre vocate per l’asparago di Cimadolmo e Badoere La Piave e il Sile sono i due fiumi protagonisti e genitori rispettivamente dell’Asparago bianco di Cimadolmo e di Badoere. Quello di Cimadolmo ha già raggiunto, dal 2002 l’ottenimento del marchio europeo IGP (Identificazione Geografica Protetta che tramite un apposito disciplinare garantisce il metodo di produzione e preparazione in mazzi oltre alla qualità finale di tipo organolettico) con la conseguente costituzione di un Consorzio di tutela e di valorizzazione che opera in 11 comuni: Cimadolmo, Breda di Piave, Fontanelle, Mareno di Piave, Maserada sul Piave, Oderzo, Ormelle, Ponte di Piave, San Polo di Piave, Santa Lucia di Piave e Vazzola. Avete sentito quanto il fiume caro alla Patria sia nominato nei nomi di questi paesi. L’etichetta di questo prodotto è inconfondibile, ma cercate sempre la sigla IGP per essere certi della bonta del prodotto. Ha fatto domanda per ottenere il marchio europeo anche l’Asparago bianco di Badoere che trova la sua reale promozione all’ombra della splendida cornice della rotonda cinquecentesca appunto di Badoere, frazione del comune di Morgano ai confini con la provincia di Padova. Il frutto di Persia che cresce nella marca Guardando la cartina geografica della provincia di Treviso ci si accorge subito come la zona vocata alla produzione della pesca si concentra nel cuore della Marca. Povegliano, Villorba, Spresiano, Ponzano Veneto e Arcade. Anche in questo caso è nel terreno il segreto che deve essere ghiaioso-sabbioso, di recente alluvione. Il valore del ph deve aggirarsi attorno alla neutralità. Così i frutti delle drupacee che nascono sono davvero buoni e molti (pesche, albicocche, susine, ciliegie e altri). Per quanto riguarda la pesca se ne produce in provincia anche a San Fior e a Godega Sant’urbano. Maria Luisa, Maria Bianca, Rosa dell’Ovest, Redhaven, Favette, Elegant Day, Spring lady sono solo alcune delle varietà di pesche coltivate nel territorio trevigiano. E dire che questo frutto viene considerato come quello di Persia poi portato in Europa da Alessandro Magno. La pesca proveniva in verità dalla Cina dove viene identificato come il frutto del giardino dell’Eden a simboleggiare l’immortalità. La nostra pesca matura dopo la prima decade di giugno fino a fine settembre a seconda della varietà e dell’annata. Guardando le produzioni che presentiamo in questa pagina mi piace pensare a un aperitivo a base del classico Bellini (preparato con un terzo di succo di pesca fatto in casa usando quelle di Villorba e due terzi di prosecco di Conegliano e Valdobbiadene ghiacciato), una fettina di mela di Monfumo e qualche noce di Chiarano per solleticare l’appetito prima di cena. COME CRESCONO LE PEPITE BIANCHE È la terra che nutre l’asparago e quindi le sue caratteristiche sono determinanti per il gusto finale del prodotto. I terreni vocati alla sua produzione sono quelli di tipo alluvionale, generalmente sabbiosolimosi, ghiaiosi in alcuni casi, molto ricchi di scheletro. Ideali quelli boschivi, litorali o golenali. Per capirci quelli attorno al corso di un fiume fanno al caso della produzione di asparagi. La preparazione del terreno non deve lasciare nulla al caso. L’autunno precedente all’impianto dell’asparagiaia deve essere praticata una aratura profonda 30 o 40 cm. La messa a dimora delle zampe deve avvenire a primavera ad una distanza di circa 25/30 cm l’una dall’altra. Il solco viene richiuso e per tre anni la pianta viene lasciata crescere subendo le attenzioni dovute per la concimazione e l’estirpo delle infestanti. È nel mese di febbraio del terzo anno che vengono creati i cumuli di terra sotto i quali si formeranno i turioni che a noi piace degustare. Sopra la terra verrà posizionato anche un telone di plastica nera che eviterà ai raggi solari di far compiere la fotosintesi clorofilliana agli asparagi. La raccolta deve durare solo 60 girni circa, non molto di più per non togliere alle piante la vitalità necessaria per generare anche l’anno successivo. Attezione: l’ingordigia di un anno può compromettere i futuri raccolti. La mattina si sbircia sotto il telone e dai cumuli si intravedono delle puntine candide far capolino. Quasi fossero pepite bianche... si impugna la “sgorbia” e si va delicatamente a caccia sotto la terra per togliere il turione bianco, poco fibbroso, giustamente tenero. 114 La Spesa in Fattoria i prodotti tipici trevigiani L’asparago La frutta L’ultima arrivata in provincia: il kiwi o actinidia Non molti sanno che la provincia di Treviso è uno dei più importanti produttori di kiwi del nostro Paese che a sua volta lo è del mondo. La disposizione a raggiera dei semi del kiwi diede il nome a questo frutto di actinidia dal greco aktis che significa raggio. Inizialmente la pianta fu importata a scopo ornamentale circa 20 anni fa. Poi questo frutto, che trova origine spontanea in Cina orientale e nell’Himalaya, si è imposto nella dieta per la sua generosità di vitamina C. Il segreto è nella robusta buccia che protegge proprio la vitamina contenuta nella polpa che altrimenti si consumerebbe alla luce e al calore. Il primo Paese importatore fu la Nuova Zelanda che diede il nome Kiwi, proprio come il nome del tipico volatile neozelandese. Le produzioni di kiwi trevigiane vengono in gran misura esportate in Austria e Germania, oltre che nei mercati dell’est. Sono state soprattutto le nostre condizioni climatiche a determinare i presupposti per questa produzione. La Spesa in Fattoria 115 i prodotti tipici trevigiani I piselli Quel bacello nutrito da ingredienti tipici e locali La terra, il clima, l’acqua e l’aria buona, le tradizioni professionali e culturali, gli usi e i costumi. Sono tanti e peculiari gli ingredienti che rendono una produzione tipica e locale. Poi c’è l’intelligenza e la lungimiranza di un nucleo di persone, del mondo dei produttori, istituzionale, della ristorazione, che scendono in campo per valorizzare e tuelare una singola produzione che pur costituendo una nicchia riesce ad ottenere un valore aggiunto per le caratteristcihe che abbiamo menzionato all’inizio. Un caso che può benissimo essere un esempio è quello che riguarda il comune di Borso del Grappa. Qui ci passiamo a volte se vogliamo andare in malga a gustarci un buon Morlacco o se conosciamo qualche apicoltore del Grappa che non ci fa mancare il prodotto del lavoro delle sue api. Ma potremmo recarci per gustare il Pisello di Borso del Grappa. Un prodotto che è più dolce degli altri piselli grazie alla coltivazione collinare, a un clima che anticipa la coltivazione e ai terreni della giusta composizione. Ma questo non basta. Da più di dieci anni si può affer116 La Spesa in Fattoria mare che vengono coltivati in modo biologico. Vale a dire senza l’uso di alcuna concimazione chimica. La semina avviene di solito a fine febbraio su dei terreni precedentemente concimati con letame bovino e poi fresati e arati. È importante conoscere il tempo della raccolta che avviene solitamente in un breve lasso di tempo: dai primi di giugno a metà dello stesso mese. È importante saperlo perchè il prodotto va mangiato fresco. Se ne sconsiglia agli stessi produttori di tenerlo in azienda per più di un giorno. Solitamente il prodotto viene portato ai mercati limitrofi come quelli di Asolo e Crespano o fuori provincia in quel di Bassano. Il consiglio diventa quindi facile. Una scampagnata a Borso del Grappa può essere mirata per recarsi direttamente dai produttori. I fagioli Il “Borlotto Nano Levada” nutre la civiltà nostrana Ancora una volta incontriamo un prodotto tipico locale che è tale perchè parte della storia agricola di una determinata area. Storia alle volte fatta di tradizione e altre di vicende legate alla pura sussistenza di una comunità. È il caso del fagiolo della pedemontana trevigiana. Per usare il suo nome di battesimo il “Borlotto Nano Levada” (non di Levada). Levada è una località in comune di Pederobba che è solo il cuore della zona di produzione di questo fagiolo che si estende anche nei comuni limitrofi della Valcavasia (Cavaso del Tomba e Possagno) e della piana della Piave (Cornuda e Crocetta del Montello). Il bacello contiene dai 6 agli 8 “frutti-fagioli” rotondeggianti e allungati con una buccia molto sottile di colore bianco crema e screziata di rosso. La semina va dai primi di aprile fino a luglio, mentre la raccolta a sua volta si effettua da metà luglio fino a settembre. La cottura produce un brodo di color chiaro dal sapore molto delicato. Ma torniamo a ciò che identifica il “Borlotto nano Levada” con le sue radici antropiche. Il fagiolo si presta di fatto ad essere coltivato in modo consociato ad altri prodotti come ad esempio la patata. Questo garantiva al coltivatore di ottenere dalla medesima terra un’altra forma di sussistenza familiare o di reddito nel caso poi vendesse anche i fagioli. Questi venivano coltivati tra le fila del mais o dei vigneti. Ancora una volta la confarmazione dei terreni dell’ex ghiacciaio della Piave costituiscono il luogo ideale per coltivare delle produzioni di nicchia che meritano di essere identificate geograficamente e protette con il noto marchio europeo Igp. La Spesa in Fattoria i prodotti tipici trevigiani La rossa ciliegia che vien da Asolo e Maser La polpa è rossa e consistente, deliziosamente succosa e aderente al nocciolo. Il suo peduncolo è breve e la sua maturazione avviene dopo la prima decade di giugno sebbene le primizie si fanno degustare a fine maggio. Questa descrizione calza a pennello per la ciliegia che trova le sue origini in Anatolia e nel Mar Caspaio. Quella di cui vi parliamo è più prossima a noi. Si trova in una zona vocata a Asolo e soprattutto a Maser dove vengono coltivate vere e proprie piantagioni su circa una trentina di ettari. La pianta del ciliegio quindi in questa zona è coltivata fino a 400 metri di altezza in un habitat naturale che è quello pedecollinare. Asolo, Maser, Coste e Crespignaga sono le zone vocate che potrebbero presto avere un loro marchio IGP (di identificazione geografica protetta), ma anche nella bassa trevigiana a Roncade si riscontra un buon interesse per la produzione di questo frutto. E dire che la ciliegia apparterrebbe al gruppo dei frutti aciduli, sebbene l’elevato contenuto glucidico la fa considerare un frutto zuccherino, ma non per questo calorico. Ciò che caratterizza la nostra ciliegia è il terreno poco argilloso di questo territorio, l’esposizione al sole e soprattutto il clima temperato con scarsa escursione termica. 117 i prodotti tipici trevigiani Missione Zero: viaggio nella terra del peperone & c. Per chi possiede un pizzico di memoria storica degli appuntamenti della Marca associa immediatamente il peperone a Zero Branco. Tra fine agosto e i primi di settembre da più di trent’anni si svolge l’ormai leggendaria Festa del peperone. Agli inizi un appuntamento che celebrava per i produttori della zona una sorta di ringraziamento per il raccolto che costituiva una buona fonte di reddito. È stata una festa che ha portato a Zero Branco ospiti della canzone a livello nazionale. E anche questo aiuta a capire l’importanza che assumeva questa produzione. Oggi la festa continua a scandire il tempo, ma i peperoni non riempriono più come un tempo gli ettari del comune. Delle patologie hanno decimato le produzioni, sebbene a Zero Branco il peperone continua a essere un simbolo...gustoso e apprezzato. La selezione più diffusa in zona è quella della varietà “pathos” giallo” come ci spiegano gli addetti ai lavori. Il sole e l’acqua possiamo dire che, assieme alla terra, sono come sempre gli ingredienti più importanti per la buona riuscita del prodotto che non deve essere piccante e le cui piantine trovano il pieno campo a maggio. Ciò che non si sa del peperone è il suo grande contenuto di vitamina C che raggiunge, per lo stesso peso, anche una quantità tripla delle arance. Il consiglio per chi cerca il peperone di Zero Branco è quello di recarsi direttamente sul territorio in stagione e suonare il campanello dei produttori. Cotto può essere preparato davvero in molti modi, ma anche fresco diventa davvero una sorpresa al palato. La patata Eppure non tutte sono uguali Cresce nella terra, dalla terra. Si nutre per nutrire. La patata arrivò in Europa dal nuovo mondo subito dopo la sua scoperta. Non fu subito percepita quale potenziale alimento per sfamare il popolo. Anzi, la presenza di solanina, sostanza con proprietà tossiche, all’inizio rese difficile l’assimilazione di questo tubero. La diffusione della patata nel continente europeo fu possibile agli eventi funesti delle carestie del XVIII secolo. La leggenda vuole, invece, che la sua introduzione nelle diete di moltissimi popoli europei avvenne grazie a Luigi XVI che si innamorò della patata facendone una vera e propria moda. Da qui la coltivazione della patata non ebbe solo la finalità di produrre un alimento che riempisse la “pancia”, bensì di produrre una novità culinaria che poteva essere cotta e preparata in una miriade di modi. Certamente non tutte le qualità di patate sono eguali. Il loro gusto oltre a dipendere dalle caratteristiche dei terreni in cui vengono coltivate 118 La Spesa in Fattoria dipende anche da oltre 200 varietà e circa cinquemila sottospecie. Da qui poi la corrispondenza tra varietà e uso in cucina. Dai metodi più antichi di cuocere la patata con la buccia nelle braci fino a lessarla in acqua bollente, dal friggerla a trasformarla in purea e gnocchi. Le patate in altre parole non sono tutte uguali e per mantenerle il più possibile integre bisogna fare qualche attenzione per conservarle al meglio. Come ad esempio tenerle possibilmente al fresco e al buio. Il vino Alcune bontà dalle vigne trevigiane LE FORTUNE DEL PROSECCO Il colore paglierino, leggero, dai sentori fruttati e floreali a seconda delle varianti e delle produzioni contraddistingue nel mondo il nostro Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. Frizzante per i giovani, ma da gustare anche il tranquillo. La rifermentazione naturale ci consegna lo spumante che si trova nella forma Extra Dry e Brut. La forma più sontuosa del Prosecco è il Superiore di Cartizze: un cru (zona viticola di particolare pregio) tra San Pietro di Barbozza, Santo Stefano e Saccol. i prodotti tipici trevigiani Il peperone MERLOT Il Merlot è una pietra miliare della viticoltura di tutta la Marca. Un po’ tralasciato nel passato oggi sta riacquistando tutto il suo valore. Di colore rosso rubino tende al granato nell’invecchiamento. Il sapore è asciutto, talvolta abboccato, sapido di corpo, armonico e tannico in giustezza. CABERNET Proviene dalle zone di Bordeux dove si sono insediati molti viticoltori emigranti trevigiani. Nelle versioni Franc e Sauvignon incontra i gusti di chi ama un profumo vinoso intenso e lievemente erbaceo. Il PIAVE ci consegna anche Pinot Nero e Bianco, il Tocai, il Raboso, il Verduzzo e lo Chardonnay. Dal MONTELLO e dai Colli Asolani troviamo un uvaggio di un Rosso Doc, il Merlot, il Cabernet, Chardonnay Spumante, Pinot Spumante, Pinot Grigio, Prosecco. Dai COLLI di CONEGLIANO arrivano uvaggi per il bianco e per il rosso e le seguenti due nicchie: REFRONTOLO PASSITO dei Colli di Conegliano è ottenuto con varietà di Marzemino. Un vino citato nell’opera di Mozart “Don Giovanni”. San Pietro di Feletto, Pieve di Soligo e Refrontolo ne sono la casa. TORCHIATO DI FREGONA dei Colli di Conegliano è un vino passito bianco ottenuto dalle uve provenienti dai vitigni delle varietà La Spesa in Fattoria 119 i prodotti tipici trevigiani REFOSCO dal Peduncolo Rosso. Rientra nella Doc di Lison Pramaggiore. È un vitigno autoctono veneto orientale e friulano. Meglio se invecchiato. Viene definito rotondo e tendente all’amarognolo. PINOT GRIGIO Un vino da conoscere dalle buone aspettative e potenzialità. Da provare nelle versioni giovane o mediamente invecchiato. RIESLING Italico A chi piace un acidulo gradevole, un odore delicato, un sapore secco, ecco questo vino che vuol farsi conoscere. TRA CONSORZI DOC E ASSOCIAZIONI DEL VINO. Le Doc riconosciute in provincia di Treviso e i relativi consorzi sono 5: Consorzio Tutela del vino Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, Consorzio Tutela dei vini del Piave, Consorzio Tutela vini Montello e dei Colli Asolani, Consorzio Colli di Conegliano, Consorzio Tutela vini Lison Pramaggiore (solo i comuni di Meduna e Motta di Livenza). Esiste anche il Consorzio dei produttori del Torchiato di Fregona che coordinano le iniziative per mantenere così buono il prodotto e le feste per promuoverlo. Poi c’è l’Associazione Amici del “Verdiso-è Verdiso” a Miane e quella di produttori agricoli tra il Livenza e il Monticano. Più recenti i due Consorzi “tra i Ponti” e l’associazione “Plavensis”. Entrambi operano nei comuni del comprensorio opitergino. Conoscere il vino, almeno un’ombra La parola Doc oggi nell’uso comune veste i panni di un aggettivo per significare una qualità di prelibatezza, bontà, migliore soluzione. Doc significa più compiutamente Denominazione di Origine Controllata ed è quel marchio introdotto dalla Cee nei primi anni ‘60 per valorizzare e promuover la viticoltura locale. Dietro a una Doc, di un qualsiasi vino, infatti, c’è una zona viticola vocata e soprattutto delle tradizioni e della professionalità che mettono l’accento su determinati vini. Ogni Doc ha poi un Consorzio di produttori di riferimento che opera per il bene “qualitativo” del vino di riferimento, per la sua tutela e promozione. Quindi i vini si dividono tra vini a denominazione di origine e vini da tavola. I primi fanno riferimento alla sigla VQPRD (Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate) e troviamo i DOC e i DOCG (la g sta per garantita). Ci sono normative e regole specifiche che determinano la loro produzione (esempio: quintali uva per ettaro di vitigno). I vini da tavola si dividono a loro volta tra quelli semplici e quelli IGT e cioè di Identificazione Geografica Tipica che associa il vino comunque a specifici territori. 120 La Spesa in Fattoria Le castagne e i marroni Quel gusto celato nel riccio Nella pedemontana trevigiana, quando è stagione, non mancano le occasioni per gustare delle castagne nostrane. Ci sono però due zone in particolar modo vocate per la raccolta di marroni che descriviamo nelle due schede. Questi frutti della terra partecipano a garantire un’altra fonte di reddito ai coltivatori della zona. Le feste, le mostre mercato, la trasformazione delle castagne in farina, marmellate e dolci, un po’ di sano marketing territoriale stanno valorizzando i prodotti e il territorio. Al tempo della Repubblica Serenissima la pedemontana trevigiana riforniva di legname le officine veneziane per la costruzione di svariati tipologie di imbarcazioni. Per i consumatori più esigenti è giusto ricordare qualche peculiarità che distingue la castagna dal marrone. La castagna è più piccola, di colore bruno scuro e uniforme. La buccia è spessa e resistente con la pellicola interna inserita in profondità nel frutto. Ciò rende difficoltosa la pelatura. Il marrone è decisamente più grande e di colore più chiaro. Si individuano anche delle striature. La buccia è sottile e la pellicola è più superficiale. Per questo si stacca più facilmente. Il gusto è più dolce. In genere si trova un marrone per riccio, mai tre. i prodotti tipici trevigiani Boschera, Prosecco e Verdiso. Fregona, Sarmede e Cappella Maggiore ne sono la patria. I funghi Prataioli, sbrise, chiodini e pioppini nascono come funghi Quella dei funghi è un’altra storia trevigiana tutta da scoprire e sicuramente che porta con sè dei primati. Stiamo parlando dei funghi coltivati che presentano molte similitudini con la produzione del coniglio. La Marca, infatti, vanta una delle più importanti concentrazioni di fungaie a livello nazionale con una produzione che si aggira tra il 20 e il 25 % della fungicoltura italiana. Lo sviluppo della produzione in serra-tunnel di funghi ha creato in provincia di Treviso a sua volta l’evoluzione di un importante indotto con imprese che producono a loro volta composto e terreno, macchinari e attrezzature oltre al proliferare di industrie alimentari. Ma com’è nata questa tradizione trevigiana che ha le sue radici negli anni ‘60. Il merito è di una migrazione di ritorno. I nostri emigranti, in particolari quelli che andarono in Canada, tornarono nella Marca con le conoscenze che avevano acquisito oltreoceano. Così soprattutto a Paese e Trevignano, ma anche a Istrana, Vedelago, Carbonera, Moriago e Pederobba cominciarono a nascere fungaie specializzate. La coltivazione segue delle fasi precise che partono dalla produzione del micelio o seme che viene inoculato in un substrato nutritivo che prende il nome di composto. Il composto è formato da La Spesa in Fattoria 121 i prodotti tipici trevigiani L’olio Gli olivi parlano da secoli in trevisano La storia ci dice che l’Olivo è uno dei tipici di Marca. Uno di quei prodotti, in altre parole, che trova il suo habitat anche nella nostra pedemontana. Lo dimostrano proprio alcuni documenti dell’archeologia locale che ci fanno capire come gli antichi romani introdussero questa coltivazione anche nella provincia trevisana. Più recentemente dei documenti amministrativi provinciali ci passano delle altre informazioni eloquenti. Ci si riferisce a delle vere e proprie leggi sugli olivi promulgate a Treviso tra il 1207 e il 1233. Oggi, o meglio negli ultimi 10 anni, l’olivicoltura è tornata ad interessare prepotentemente la nostra provincia. Tanto da portare da 16 mila a quasi 100 mila le piante presenti in tutta la fascia medio-alta della Marca, ma non solo. Il motivo di questa impennata lo si trova in una vera e propria politica ambientale promossa dall’Ente Provincia di Treviso che ha ogni anno messo a disposizione piante di olivi per ripopolare il territorio. Non si tratta di una campagna con semplici finalità paesaggistiche (sebbene queste non guastano) bensì di una iniziativa che ha il preciso scopo di far presidiare il territorio più impervio proprio agli olivi che con le loro radici compiono la preziosa attività di prevenzione e salvaguardia del terreno nelle zone collinari. L’OLIO TREVIGIANO È EXTRA VERGINE DI OLIVA. PERCHÉ… Oltre alle finalità di sicuro interesse degli olivi ci sono da considerare le proprietà e il gusto dell’olio della Marca trevigiana. Un olio che viene classificato tra quelli extravergini proprio perché la sua acidità risulta essere inferiore alla soglia di 1 grado. Sappiamo poi che tra 1 e 2 gradi di acidità l’olio è considerato vergine. Ecco, l’acidità di quello trevigiano si ferma addirittura tra lo 0,06 e lo 0,22 gradi. Da qui un gusto delicato, ma ugualmente forte. Il colore è giallino tendente al verde e il gusto 122 La Spesa in Fattoria si presenta davvero armonico con dei sentori di oliva verde, mela e rosmarino. Basta avere la voglia di andarselo a cercare, magari chiamando l’Ato (l’Associazione Trevigiana Olivicoltori) che può indicare la più vicina mostra o fiera dove sarà in vendita il prodotto. Sempre con la classica degustazione prima dell’acquisto. Una bruschetta con l’olio trevigiano, almeno una volta nella vita bisogna provarla. Lo si scrive proprio per chi scrive. Abbiamo, infatti, una bottiglia d’olio dell’Ato che trattiamo come una reliquia preziosa. È davvero ora di assaporare ciò che la natura ci ha donato con tanta perfezione. Le carni Il maiale professore di cultura e cucina popolare Del maiale non si butta via niente. Il maiale è il salvadanaio della famiglia. L’uccisione del maiale è un rito. Quante frasi “fatte” dalla storia e dalla tradizione accompagnano la risorsa suino che per moltissime famiglie della Marca trevigiana ha costituito un supporto davvero vitale. Da qui lo sviluppo poi dei vari insaccati, dalla soppressa alla luganega, per non parlare della porchetta, che costituiscono un patrimonio locale. Tanto da creare recentemente un comitato d’opinione per cercare di ottenre una Dop per la soppressa trevigiana. Tornando alla storia dell’uccisione del maiale c’era il detto che verso fine dicembre, il giorno di San Tommaso, il “porco” poteva essere appeso per le zampe posteriori ad una delle travi del portico. Rimanendo nelle tradizioni popolari si nota che gli alberi della cuccagna allestiti nelle nostre sagre avevano in cima anche dei salumi come simboli di ricchezza e di abbondanza da raggiungere. L’allevamento in provincia di Treviso conta dei punti di eccellenza in particolare nelle zone di Cornuda, Paderno, Povegliano, Mogliano e Valdobbiadene. i prodotti tipici trevigiani stallatico equino o da paglia, pollina, acqua e additivi. La coltivazione avviene in tunnel di fermentazione e di pastorizzazione dove c’è un costante controllo della aerazione e dell’umidità. Nell’800 si tentava la coltivazione nelle grotte. La parte del leone nella coltivazione di casa nostra spetta al prataiolo o champignons (Agaricus bisporus). Poi ricoprono un’altra fetta significativa il Pleurotus e le sue diverse varietà che viene chimato anche gelone o “sbrisa”. Senza dimenticare poi la produzione del pioppino e anche del chiodino e di altre specie ancora. C’è da considerare che il consumo, specie nel Nord Est, non è poi così elevato. Un po’ per i boschi vicino casa, un po’ per una scarsa abitudine a portare in tavola ad esempio lo champignons che in altri paesi troviamo in abbinamento in ogni piatto, crudo o cotto. Appunti sulla sopressa e i suoi parenti SOPPRESSA La soppressa si fa con la polpa della coscia del maiale, con la spalla e il lombo (carrè). Le percentuali del magro 60/70 %, del lardo 40/30 %. La stagionatura: otto giorni per asciugare la soppressa insaccata in un ambiente caldo (caminetto e legna nella vecchia tradizione “de casada”). Poi si trasferiscono in cantina per la definitiva stagionatura in un ambiente arieggiato. Se l’ambiente è troppo asciutto il pavimento va bagnato quotidianamente per ottenere il giusto mix di umidità per una ottima stagionatura. Per un prodotto ottimale bisognerebbe lasciare la soppressa in cantina per 4 mesi circa. Le dosi della tradizione: per un quintale di carne il 27 % di sale e lo 0,27 % di pepe. L’insaccatura avviene in una budella chiamata in gergo manica che può essere naturale o sintetica. Ma attenzione. I maiali non sono tutti uguali e sono La Spesa in Fattoria 123 i prodotti tipici trevigiani “A SOPPRESSA INVESTIA” È la soppressa con l’inserimento del filetto del maiale. In altri casi si inserisce un filoncino di coppa di maiale. Si tratta di una versione più pregiata. Ma tra gli addetti ai lavori c’è chi preferisce mantenere le cose separate. SALAME La carne utilizzata è la stessa della soppressa. Ma la stagionatura è inferiore per un periodo circa di due mesi. Inoltre, l’insaccatura avviene in una budella di diametro notevolmente inferiore che ne determina una maturazione più veloce. Per il salame il peso medio è di 7/8 etti. MARTONDELLE Conosciute nella zona di Castelfranco sono delle polpette di carne di collo con il sangue coagulato. Vengono speziate con sale, pepe e la mitica “dosa”. La polpetta è grande come un uovo, viene infarinata e poi si avvolge nel “reseghello” che è la rete di maiale. N.B. da notare che il lardo usato in queste ricette è il grasso duro dell’animale e non il “sego” che è molle e non indicato per gli insaccati. Un tempo veniva insaccato lui stesso (il sego) come lardo per i condimenti. Magari sui radicchi. i prodotti tipici trevigiani allevati con una dieta specifica. Anche questo diventa importante nel decidere le dosi. Per questo le soppresse sono diverse una dall’altra. Il peso medio di una soppressa è di circa 1 chilo e mezzo. L’AMICO AGLIO CHE FA BEN ALLA SALUTE Non viene sempre utilizzato, ma (a chi piace) conferisce alla soppressa o al salame un gusto imbattibile. Ci sono zone in provincia di Treviso in cui non si concepiscono insaccati senza aglio: ad esempio in quel di Motta di Livenza. In un quintale di carne ci vanno 20 spicchi di aglio. L’OSSOCOLLO, LA COPPA IN TAVOLA La carne dell’ossocollo è la coppa del maiale che viene insaccata in “maniche”. Ad occhio il macellaio la rende salata e pepata quanto basta aggiungendo cannella e chiodi di garofano. Il tutto viene massaggiato con cura per far “prendere” gli aromi all’insaccato. COTECHINI O MEGLIO “MUSETI” La carne utilizzata, dal nome è chiaramente identificabile: cotenne, muscoletti, testa di maiale e una parte di grasso. I Museti vengono preparati solo con la parte della testa suina. Si cuoce in circa 2 ore, poco più. BONDIOLA L’impasto di carne della bondiola, che ha una forma sferica, è uguale a quello del cotechino. La principale differenza, oltre alla forma, sta nell’insaccatura che avviene nella vescica di vitello. Il tutto con una legatura a croce. C’è anche la versione della bondiola “col lengual” ovvero con l’inserimento di un pezzetto di lingua del maiale. La cottura è più lunga: tre ore e più. SALSICCIA Si insacca pancetta e carne magra del maiale creando un misto a seconda della specialità delle usanze locali. Si spezia con il sale al 20 % e pepe al 18 %. L’insaccatura avviene nella cosiddetta “vianella” che non è altro che una budellina di circa 6 centimetri di diametro. Può essere naturale o sintetica. 124 La Spesa in Fattoria La Spesa in Fattoria 125