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Alla Corte Suprema di Cassazione - Cancelleria Centrale Penale
Richiesta di rimessione (artt. 45 sgg. c.p.p.).
(rif. proc. penale n.4269/13 R.G. PM)
Deduce di persona e richiede quanto segue il sottoscritto Ugo GIGLI, nato a
Viterbo il 30 novembre 1939 ed ivi residente in via del Recinto n.9, località La
Quercia, in qualità di imputato nel procedimento penale indicato in epigrafe a
seguito di richiesta del p.m. dott. Renzo Petroselli recante la data del 24 luglio 2014.
A seguito di tale richiesta e dopo le vicende descritte in prosieguo è stata fissata
l’udienza preliminare, per la data del ….. poi differita a quella del 27 marzo, davanti
al g.u.p. dott. Salvatore Fanti.
Lo scrivente ha ricoperto per diversi anni l’incarico di direttore generale
dell’Istituto Autonomo Case Popolari (oggi Azienda Territoriale per l’Edilizia
Residenziale) di Viterbo, essendo stato in passato sempre confermato nell’incarico
in scadenza; ed esercitando da ultimo, dopo il pensionamento, la medesima
funzione in forza di contratti di diritto privato approvati dal Consiglio
d’Amministrazione dell’Azienda, il più recente con scadenza alla fine del 2016.
Tra i dipendenti dell’Azienda figurava la ing. Angela Birindelli, rientrata in
servizio dopo un periodo di distacco presso la Regione Lazio dove era stata chiamata
a ricoprire l’incarico di assessore all’Agricoltura nella giunta Polverini. I dipendenti
tecnici, secondo il regolamento dell’ATER, possono assumere incarichi professionali
esterni, a condizione che essi siano stati denunciati all’Azienda e dalla stessa
autorizzati. Costituisce illecito disciplinare lo svolgimento di incarichi non autorizzati,
i cui eventuali proventi debbono essere devoluti all’Azienda. Accertato pertanto, in
occasione di uno dei periodici controlli di routine, che la Birindelli aveva assunto
alcuni incarichi non autorizzati, le veniva contestato l’addebito con invito a
presentare le proprie giustificazioni. In luogo di ciò la Birindelli si poneva in malattia
e inoltrava una prima denuncia contro lo scrivente. Le ulteriori vicende relative alla
risoluzione del rapporto di lavoro tra l’ATER e la Birindelli, rimasta assente
dall’ufficio per un anno circa, non rilevano nella presente sede; e sono comunque
oggetto di due cause di lavoro, promosse l’una dalla Birindelli e l’altra dall’ATER.
Lamentava la Birindelli nella propria denuncia di essere vittima di iniziative
gratuitamente persecutorie, qualificate come “mobbing”; e sosteneva che tutti gli
incarichi assunti erano stati regolarmente autorizzati dallo scrivente. Depositava a
conferma di tale assunto copia di autorizzazioni apparentemente a mia firma; ma
una consulenza tecnica da me affidata ad un grafologo (d.ssa Tiziana Agnitelli)
accertava agevolmente che questa era stata estrapolata con mezzi informatici da un
atto a mia firma autografa e trasferita sui documenti depositati dalla Birindelli a
corredo della denuncia. Sporgevo pertanto a mia volta formale denuncia contro la
stessa; e altre denunce venivano, per eventi successivi, inoltrate in tempi diversi
dall’una e dall’altra parte. Tutti i procedimenti originati dalle reciproche denunce
sono stati di volta in volta assegnati al sostituto dott. Petroselli. Quelle della
Birindelli sono state subito iscritte e sono state seguite da indagini a tamburo
battente. Le mie denunce, invece, sono state ritenute indegne dell’attenzione del
p.m. e pertanto iscritte con notevole ritardo, senza poi - a quel che se ne sa - trovare
alcun seguito di indagine; tant’è che è stato necessario di recente, scaduti i termini
massimi, sollecitarne l’avocazione da parte del Procuratore Generale.
Il comportamento del dott. Petroselli è apparso immediatamente anomalo e
comunque lontano da quella obiettività che dovrebbe distinguere l’operato di
qualsiasi magistrato; e lontano in particolare dal rispetto del dovere istituito per il
pubblico ministero dall’art. 358 c.p.p., che gli prescrive di indagare anche
nell’interesse della persona cui è attribuito il reato. Più precisamente, il dott.
Petroselli rispetta anche ben al di là dell’obbligo di legge i diritti della Birindelli; ma
ignora del tutto quelli dello scrivente, che al pari della Birindelli riveste la qualità
contemporanea di indagato e di persona offesa dal reato. Vi è invero una
vistosissima disparità di trattamento tra i protagonisti della vicenda: le mie denunce
non hanno avuto finora alcun seguito e sono state, per quel che se ne sa,
sistematicamente ignorate quando addirittura non iscritte o iscritte con enorme
ritardo (ho consumato molto tempo in pellegrinaggi quasi quotidiani presso gli uffici
della Procura per avere le notizie cui avevo diritto ai sensi dell’art. 335 c.3 c.p.p.); e
neppure, per quel che se ne sa, degnate ad oggi di una richiesta di archiviazione.
Quelle della Birindelli, invece, hanno avuto effetto sempre immediato, al punto di
essere seguite da pressoché contestuali decreti di perquisizione (ovviamente senza
esito apprezzabile), redatti in tutta fretta dal dott. Petroselli e accompagnati da un
avviso di garanzia parimenti redatto in tanta fretta da non contenere neppure la
menzione del titolo di reato ipotizzato a mio carico.
Ne deriva che io attendo, dopo la richiesta di rinvio a giudizio, l’udienza
preliminare e dovrò affrontarla nella veste di imputato; mentre la Birindelli, non
disturbata affatto dalle mie denunce, vi parteciperà nella candida veste di persona
offesa. Come ovvio, eserciterò nella sede naturale il mio diritto di difesa, sperando
di trovare migliore attenzione di quella che mi è stata riservata dal dott. Petroselli;
ma ho ragione di nutrire qualche dubbio al riguardo, per quanto mi accingo ad
esporre di seguito.
Ad onta della moltiplicazione artificiosa dei capi di imputazione, per cui i pretesi
episodi di abuso d’ufficio, di calunnia e di diffamazione vengono contestati tre o
quattro volte ciascuno al probabile scopo di avvalorare all’esterno l’immagine di una
imponente condotta criminale posta in essere dallo scrivente, l’indagine da
compiere sarebbe stata una soltanto e non avrebbe comportato particolare
difficoltà: si trattava nella sostanza di accertare, mediante una perizia grafica da
eseguire in sede di incidente probatorio o almeno mediante una consulenza tecnica,
se fossero autentici o meno i documenti prodotti dalla Birindelli per provare
l’esistenza dell’autorizzazione all’assunzione di incarichi esterni. Nella seconda
ipotesi decadevano automaticamente, oltre a quella di falso per soppressione, tutte
le collegate imputazioni di abuso d’ufficio, di diffamazione e di calunnia. Si trattava,
pertanto, di un accertamento decisivo ai fini della verifica del fondamento
dell’accusa; e non già di una proposta dilatoria dell’indagato, il cui assunto era
comunque avvalorato da una motivatissima e documentatissima relazione tecnica,
della quale si sollecitava la verifica da parte del p.m. procedente. Non si pretendeva
certamente di attribuire valore di prova ad una consulenza di parte; ma si richiedeva
soltanto che essa fosse presa in considerazione e verificata nel suo fondamento. Il
dott. Petroselli dichiara invece piena fiducia nelle dichiarazioni della Birindelli e su di
esse soltanto fonda l’accusa, ritenendole tanto attendibili da dover essere accettate
a scatola chiusa e da rendere superfluo qualsiasi accertamento tecnico. E ciò, non si
può fare a meno di osservare, quando la stessa Procura di Viterbo, nella persona di
altro sostituto, ha chiesto il rinvio a giudizio della Birindelli per gravissimi reati
contro la pubblica amministrazione commessi con abuso del suo mandato di
assessore della Regione Lazio; e quando, almeno secondo notizie di stampa,
penderebbero nei suoi confronti altri procedimenti penali per reati della stessa
indole anche a Roma e a Civitavecchia. Ad onta di ciò Il dott. Petroselli non pare
essere sfiorato nondimeno dal minimo dubbio circa la attendibilità assoluta della
Birindelli, al punto di ignorare addirittura l’operato del “collega della porta accanto”
e di trasformare automaticamente in imputazioni di calunnia le denunce dello
scrivente, senza neppure essersi scomodato a richiederne preventivamente
l’archiviazione.
E veniamo a quanto accaduto in seguito.
La difesa dello scrivente, constatata la inutilità assoluta degli esposti al
Procuratore della Repubblica dott. Pazienti sull’operato del dott. Petroselli, si era
risolta da ultimo a presentare richiesta di incidente probatorio per l’espletamento di
una perizia sulla autenticità dei documenti prodotti dalla Birindelli onde dimostrare
l’esistenza della autorizzazione all’espletamento di incarichi esterni. Il g.i.p. aveva
nominato due periti e fissato udienza per gli incombenti di legge. Compariva a tale
udienza il dott. Petroselli; il quale, in un intervento protrattosi per un’ora
abbondante, si opponeva furiosamente alla perizia perché a suo dire inutile e
comunque esperibile anche in dibattimento senza determinarne apprezzabile
ritardo. Formulava anche alcune eccezioni in rito, tra cui l’incompetenza
“funzionale” del g.i.p. d.ssa Franca Marinelli. Si trattava in realtà, a quanto pare di
capire, della pretesa (ed inesistente) violazione di norme tabellari, la cui
inosservanza non rileverebbe comunque sulla capacità del giudice secondo il
disposto espresso dell’art. 33 c.2 e c.3 c.p.p. A seguito di tali eccezioni l’udienza
veniva rinviata al 2 ottobre. In apertura della stessa la d.ssa Marinelli leggeva
un’ordinanza con la quale veniva rigettata l’eccezione di incompetenza sollevata dal
p.m. L’ordinanza provocava la scomposta reazione del dott. Petroselli, il quale
proclamava di fronte agli allibiti presenti (periti compresi) che il provvedimento era
“da Consiglio Superiore della Magistratura”. Dopo di ciò l’udienza veniva rinviata al
16 ottobre; ma a quest’ultima udienza la d.ssa Marinelli, che aveva nel frattempo
informato per iscritto dell’accaduto il presidente del Tribunale, formulava
dichiarazione di astensione e rinviava ancora una volta ad altra udienza.
Si registra a questo punto una ulteriore vistosissima anomalia. La richiesta di
astensione poteva essere accolta, con contestuale assegnazione del procedimento
ad altro giudice, o rigettata; ma il presidente del Tribunale, seguendo una prassi
inedita, non ha fatto né l’una, né l’altra cosa; o, se si vuole, ha fatto tutte e due le
cose insieme. Non ha accolto, cioè, la dichiarazione di astensione, non ravvisandone
i presupposti; ma ha nominato altro giudice, nella persona del dott. Salvatore Fanti
per la trattazione del procedimento incidentale, con ciò spogliando dalla sua
cognizione la d.ssa Marinelli. Ciò in quanto, a suo avviso, la sentenza 10.3.1994 n. 77
della Corte Costituzionale, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale
egli artt. 392 e 393 c.p.p., affermerebbe che l’incidente probatorio può sì essere
richiesto anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, ma in tal caso soltanto
per l’udienza preliminare; e, dato che la richiesta di rinvio a giudizio (per la cronaca
notificata allo scrivente e ai suoi difensori soltanto il ****) reca la data del 24 luglio
2014, la decisione sull’incidente probatorio competeva al dott. Fanti, designato
quale giudice dell’udienza preliminare già fissata (anche ciò si è appreso con
l’occasione). Si è con ciò spogliata della cognizione del procedimento la d.ssa
Marinelli, che il p.m. Petroselli aveva mostrato di non gradire; e si è designato al suo
posto altro giudice al p.m. più accetto (il dott. Fanti è suo coetaneo e, pare,
compagno di scuola).
Ci si consenta di aprire a questo punto una breve parentesi sul conto del dott.
Fanti, che è pure una figura essenziale nel quadro della presente vicenda. Si tratta di
un anzianissimo magistrato che, al pari del dott. Petroselli, ha trascorso in massima
parte a Viterbo la propria vita professionale; e sempre nell’esercizio delle funzioni di
primo grado. Una modifica dell’ultima ora apportata al d.l. Renzi gli ha risparmiato il
pensionamento anticipato al 31.10.2014 previsto in una prima versione del testo; e
lo ha trattenuto in servizio fino alla fine dell’anno corrente, sempre al pari del dott.
Petroselli. Dalle cronache giudiziarie risulta che molto spesso, per non dire
abitualmente, egli è chiamato a decidere, come g.i.p. o come g.u.p., sulle richieste
del dott. Petroselli. Uno di questi casi è il cosiddetto “caso Manca”, relativo alla
morte di un giovane e valentissimo medico di origine siciliana operante presso
l’ospedale di Viterbo, da loro liquidata come fatto accidentale nonostante le
perplessità enormi legittimate da emergenze obiettive. Tale caso ha fatto balzare
entrambi agli onori della cronaca nazionale, avendo largamente interessato i mass
media anche con trasmissioni televisive importanti e provocato una serie di
interrogazioni parlamentari sull’operato dei due magistrati; nonché l’interesse della
Commissione Antimafia, che ha convocato il dott. Petroselli e il Procuratore della
Repubblica dott. Pazienti per una audizione e che dovrà sentirli ancora. Sul caso ha
rilasciato di recente un’intervista l’on. Claudio Fava, vicepresidente della
Commissione, che esprime enorme perplessità sull’operato della magistratura
viterbese. Non si pretende certamente di istituire un parallelo tra un caso di enorme
gravità quale il caso Manca e la vicenda dello scrivente; ma il modus operandi dei
magistrati interessati appare molto simile.
Non inganni il fatto che il dott. Fanti abbia presentato dichiarazione di
astensione dall’udienza preliminare, poi rigettata dal pres. Pacioni, perché la
Birindelli è imputata in altro procedimento in cui sua figlia si è costituita parte civile.
Se non si tratta di un giuoco delle parti, resta comunque il fatto che il dott. Petroselli
è riuscito a pilotare, con la collaborazione del dott. Pacioni, la decisione sulla
richiesta di incidente probatorio in mani più familiari ed a lui più accette di quelle
della d.ssa Marinelli; ed è ciò che conta.
Ciò si evidenzia allo scopo di far risaltare che il pregiudizio ambientale dedotto
a fondamento della richiesta di rimessione non dipende già dall’isolato
comportamento del dott. Petroselli, anche se costui ne è l’attore principale, ma è
imputabile anche ad altri magistrati, due dei quali ricoprono incarichi direttivi a
Viterbo. Si tratta già, quindi, di un gruppo tutt’altro che insignificante, tenuto conto
dell’organico degli uffici giudiziari di un piccolo capoluogo di provincia; e tenuto
conto altresì che gli interessati, per gli incarichi direttivi ricoperti o per la loro
anzianità di servizio sul posto, sono indubbiamente in grado di condizionare
l’operato dei colleghi meno anziani e meno legati al territorio e di influire sulle loro
determinazioni. Si deve aggiungere per la cronaca che l’infaticabile Petroselli,
avendo appreso che il giudice del lavoro investito della decisione sulla legittimità dei
provvedimenti dell’ATER sulla Birindelli aveva disposto una perizia grafologica sulla
autenticità dei documenti prodotti dalla stessa, ha preso a frequentare
assiduamente quell’ufficio, a parlare con i magistrati ad esso addetti e addirittura ad
impartire ordini al personale amministrativo, come i miei legali hanno
personalmente constatato; nonché ad interferire con l’operato dei consulenti tecnici
da me nominati, come meglio si vedrà appresso.
Vi sono poi più che sospette sinergie con ambienti esterni all’amministrazione
della giustizia. Ed invero, è in atto da tempo in danno dello scrivente diretta al fine
una campagna di delegittimazione ostinata, diretta al fine apertamente perseguito
di costringere lo scrivente alle dimissioni o di provocarne la rimozione dall’incarico.
Tale incarico è senz’altro appetito da molti e rientra in un “risiko” le cui pedine sono
costituite da una serie di incarichi di prestigio e di potere (primari ospedalieri,
amministratori di società partecipate da enti locali, presidenti di ASL, etc.), gestito
dal potere politico e dai suoi esponenti locali in competizione tra loro; ed ogni
incarico ha una valenza sulla cui base possono essere avviate negoziazioni nonché
operati scambi e compensazioni. Ora, l’inopportunità di una mia permanenza
nell’incarico era stata sostenuta già qualche tempo prima dei fatti, in diverse
interviste alla stampa locale, dalla allora presidentessa dell’ATER Gabriella Grassini,
amica intima della Birindelli; e le vicende processuali fin qui riassunte sono state
puntualmente anticipate o seguite da interrogazioni dei consiglieri regionali
Francesco Storace e Daniele Sabatini, che richiedono la mia testa al presidente
Zingaretti. Gli stessi si mostrano così informati dell’iter delle indagini, da esserne
informati prima dei difensori dello scrivente; così come se ne mostra informato in
tempo reale un sito locale, che pubblica un “giornale” on line (“Etruria News”),
gestito da tale Paolo Gianlorenzo, balzato di recente agli onori delle cronache (vedi
“Il Fatto quotidiano” dello scorso 13 marzo, pag.2) per aver aggredito un inviato
della trasmissione “Servizio Pubblico” che riprendeva una manifestazione davanti a
Palazzo Grazioli. Si tratta di un fascista dichiarato, reduce dalle patrie galere ed
attualmente imputato di gravissimi reati, alcuni dei quali ascrittigli in concorso con
la Birindelli. Frequenta nondimeno, pare, gli uffici della locale Procura in cerca di
notizie e di confidenze; e vi è ben ricevuto. Difende accanitamente le iniziative del
dott. Petroselli nei miei confronti.
Venendo al passato più recente, le pressioni del dott. Petroselli hanno alla fine
prodotto almeno temporaneamente i loro effetti. Lo stesso aveva più volte assunto
a sommarie informazioni testimoniali l’attuale commissario straordinario dell’ATER,
avv. Pierluigi Bianchi; il quale si era sentito chiedere se trovasse normale la mia
permanenza per tanti anni nell’incarico ricoperto, se non trovasse troppo elevato il
mio stipendio, se non esistesse la possibilità di ottenere le mie dimissioni e se non
fosse il caso che egli sollecitasse in tal senso il presidente della Regione. Obbedendo
alla fine all’invito (ed anche, pare, su input di due funzionari della Regione,
mandatari dello Storace), il Bianchi si è alla fine adattato a fare quanto gli si
chiedeva; e ha rimosso dall’incarico lo scrivente.
Quest’ultimo, come ovvio, si è immediatamente rivolto al giudice del lavoro,
chiedendo l’adozione di un provvedimento d’urgenza che lo restituisse alle sue
funzioni. Il giudice designato, nella persona della d.ssa Angela Damiani, si è riservata
la decisione; ma, ad un mese di distanza dalla richiesta non ha ancora sciolto la
riserva. Ciò induce a ritenere che il pregiudizio ambientale denunciato dallo
scrivente contagi ormai qualsiasi magistrato del Tribunale di Viterbo che si accosti
alle sue vicende. Ed invero, come si è già esposto dianzi, il dott. Petroselli ha preso a
presidiare anche gli uffici del giudice del Lavoro; tant’è che da ultimo ne ha
allontanato i miei consulenti, presenti per prendere visione del fascicolo della causa,
come era loro diritto, affermando che il fascicolo non poteva essere visionato che in
sua presenza (!!) e invitandoli a tornare dopo qualche giorno perché quella mattina
era impedito e non si poteva trattenere a lungo fuori del proprio ufficio. Il fatto
supera qualsiasi fantasia e denuncia il delirio di onnipotenza da cui l’interessato
sembra ormai affetto.
Non pago di quanto fin qui operato, il dott. Petroselli ha aperto da ultimo un
nuovo fascicolo processuale contro “ignoti”, nel quale viene ipotizzato il reato di
peculato; ed occupa quasi ogni giorno gli uffici dell’ATER a mezzo della Guardia di
Finanza, che formula domande (sempre sul conto dello scrivente, battezzato
nell’occasione come persona ignota) e acquisisce documenti a casaccio, nella
speranza che qualcuno di essi possa giovare all’ipotesi accusatoria e nella assenza
totale di motivazione circa la fonte dell’iniziativa di indagine e la natura degli indizi
da cui la stessa è stata originata. Si tratta, ad ogni evidenza, di una indagine
“esplorativa”; e cioè diretta non già a verificare la fondatezza di una notizia di reato,
bensì a fabbricarne una. La gravità di tale comportamento sfacciatamente illegittimo
sarebbe inaudita; ma il dott. Petroselli ci ha ormai abituato a tutto.
Si omettono, per doverosa brevità, altri fatti pur significativi non dedotti nella
esposizione precedente. Non si vede, nella situazione fin qui descritta, come possa
ancora confidarsi nella giustizia del Tribunale di Viterbo e porre in discussione il
pregiudizio ambientale denunciato. Esso riguarda innanzi tutto non il dott. Petroselli
soltanto, ma anche diversi altri magistrati degli uffici giudiziari di Viterbo; e in
particolare il Procuratore della Repubblica e il Presidente del Tribunale. Il primo, cui i
fatti erano stati puntualmente e ripetutamente segnalati, non ha fatto nulla per
impedirne la reiterazione, pur avendo il dovere e il potere di intervenire. Il secondo
non soltanto non ha fatto nulla per tutelare uno dei suoi giudici, dal dott. Petroselli
addirittura minacciato e forzato all’astensione nel corso di una udienza camerale,
ma ha poi (sulla base di una pretestuosa interpretazione della sentenza della Corte
Costituzionale indicata in narrativa) pilotato il processo nelle mani del dott. Fanti, in
cui il dott. Petroselli voleva che pervenisse. Da parte del giudice del lavoro d.ssa
Damiani si attende ancora, al momento in cui viene ultimata la redazione della
presente richiesta, lo scioglimento della riserva sull’istanza di sospensione
urgentissima del provvedimento impugnato; ed è trascorso ormai un mese
abbondante.
Eventi recentissimi ci obbligano ad un ulteriore aggiornamento del testo della
richiesta di rimessione, sperando vivamente che sia l’ultimo. La mattina del 19
marzo alcuni ufficiali di polizia giudiziaria si sono portati ancora presso la sede
dell’ATER, in esecuzione di un ordine di esibizione della Procura, ed hanno acquisito
la documentazione più disparata (tra cui vecchi bilanci non si immagina a qual fine
utili). Con l’occasione hanno sequestrato un computer in dotazione ad una
dipendente; e ciò in evidente violazione di legge, avendo agito sulla base di un
ordine di esibizione che non prevedeva ovviamente il sequestro di cose. Ma non è
ciò che conta. Importa invece notare che prima del loro intervento (e fin dal primo
mattino) si era già radunata davanti alla sede un gruppetto di cronisti di giornali
locali, tra i quali si distingueva il noto Gianlorenzo, sopra nominato. E’ dunque
evidente che la notizia dell’accesso era stata diffusa già in precedenza presso la
stampa locale; e che esiste un filo diretto tra quest’ultima e la Procura, in barba al
segreto delle indagini. Il Gianlorenzo si intratteneva poi a colloquio con gli operanti,
mostrando familiarità con essi.
Ciò è senza dubbio inquietante; così come è inquietante un altro episodio
verificatosi nella stessa giornata. Il legale che mi assiste davanti al giudice del Lavoro
(avv. ………………….) si era spostata a Viterbo il 19 marzo per sollecitare lo
scioglimento della riserva sulla richiesta di provvedimento d’urgenza. La dott.ssa
Damiani riteneva di giustificare il vistosissimo ritardo, affermando che era in corso
un procedimento penale per gravi reati. All’ovvia obiezione che non si vedeva come
un fatto del genere potesse condizionare la sua decisione, replicava reiterando
quanto già detto; e con ciò terminava il colloquio. Si osserva tra parentesi che la
rimozione dello scrivente dal servizio era stata adottata non già per la commissione
di illeciti da parte sua, ma sulla base di una norma regionale che prevedeva la
decadenza dagli incarichi di matrice politica nel caso di mutamento della
maggioranza di governo; norma inapplicabile allo scrivente, che aveva ottenuto il
rinnovo del contratto non già per decisione della precedente maggioranza, ma in
forza di regolarissima delibera adottata dal Consiglio di amministrazione dell’epoca.
Il pregiudizio ambientale si tocca quindi con mano. Disse il mugnaio di Postdam che
esistono giudici a Berlino. A Viterbo, invece, pare proprio di no.
Non si dica che il pregiudizio lamentato può essere eliminato attraverso
l’esercizio dei rimedi ordinari e dei mezzi di impugnazione previsti dal codice di rito.
Innanzi tutto una sentenza di assoluzione, che interverrebbe a distanza di almeno
due anni da oggi, non costituirebbe rimedio al danno ormai irreparabile costituito
dal rinvio a giudizio per le conseguenze che lo stesso produrrebbe sul piano
amministrativo. Di ciò sembra ben rendersi conto il dott. Petroselli, che ha fatto di
tutto (per ora riuscendovi) per evitare quella perizia che proverebbe
immediatamente la totale infondatezza delle accuse e renderebbe obbligatorio il
proscioglimento immediato dello scrivente. Sintomatica in tal senso la furibonda
opposizione, trascesa addirittura nella minaccia rivolta alla d.ssa Marinelli (sul fatto
pende procedimento penale a Perugia): opposizione diretta ad ogni evidenza ad
evitare un accertamento risolutivo che egli stesso avrebbe potuto e dovuto a suo
tempo richiedere. Ma l’accertamento della verità sembra essere l’ultima cosa che gli
sta a cuore. Ancora più preoccupante, infine, pare il comportamento dei capi degli
uffici giudiziari interessati; i quali, in luogo di intervenire per ripristinare la legalità,
usando dei poteri che l’ordinamento giudiziario loro conferisce, hanno di fatto
avallato il comportamento del Petroselli e lo hanno aiutato a raggiungere il suo
scopo. Certo, la richiesta di incidente probatorio verrà rinnovata nella ormai
imminente udienza preliminare; ma sarebbe ingenuo attendere che essa venga
accolta dal dott. Fanti, stanti i suoi rapporti con la persona del p.m. Per la rimozione
del pregiudizio non esiste pertanto altra possibilità che l’intervento della Corte
Suprema.
Tanto premesso, si richiede la rimessione del procedimento al giudice
competente; e ci si riserva la produzione di documenti e la presentazione di
memorie illustrative.
Con ossequio
Ugo Gigli