Amianto, perizia Fibronit. Comba e altri.Indagine epidemiologica

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Amianto, perizia Fibronit. Comba e altri.Indagine epidemiologica
RELAZIONE DI CONSULENZA TECNICA MEDICO-LEGALE
per il
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
Presso il Tribunale di VOGHERA
Procedimento N. 2036/04 RGNR
OGGETTO: procedimento nei confronti di
STRINGA Dino Cesare Augusto n. il 14/09/1922 a Ozzano Monferrato (Al);
MO Lorenzo n. il 29/07/1944 a Castiglione Tinella (Cn);
MODENA Maurizio n. il 29/10/1951 a Redavalle (Pv)
per i reati di cui agli artt. 589, 590, 437 c. p.
data__________________
prof. Corrado Magnani
dott. Pavilio Piccioni
prof. Pietro Comba
dott. Plinio Amendola
1
In data 10 gennaio 2006, con ordinanza dei Pubblici Ministeri Dott. Aldo Cicala e Dott. Maria
Gabriella Marino, nell’ambito del procedimento penale n° 2036/04 R.G. notizie di reato relativo a
sospette malattie professionali in ex dipendenti della Fibronit (stabilimento di Broni), noi sottoscritti
prof. Corrado Magnani, dott. Pavilio Piccioni, prof. Pietro Comba e dott. Plinio Amendola, siamo
stati incaricati di consulenza tecnica con il seguente quesito:
Evidenzino i consulenti, sulla base delle migliori conoscenze scientifiche attuali, l’associazione
tra esposizione ad amianto e patologia nell’uomo, con particolare riferimento alla patologia
neoplastica (mesotelioma e tumore polmonare) ed all’asbestosi precisando altresì con quale
cronologia tali conoscenze sono da considerarsi acquisite.
Illustrino infine, anche attraverso lo studio di coorte dei dipendenti della Fibronit, le
conoscenze scientifiche relative agli effetti dell’esposizione ambientale lavorativa e, attraverso
indagini opportune, gli effetti dell’esposizione extralavorativa o di vicinanza con particolare
riferimento alle condizioni osservate nel comune di Broni. Riferiscano i CT ogni altro
elemento utile ai fini di giustizia.
Le operazioni peritali hanno avuti inizio il giorno seguente presso lo studio del Prof. Magnani a
Novara, Via Solaroli 17.
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INDICE
Amianto - Caratteristiche Generali ......................................................................................................5
Attività Lavorative con Esposizione ad Amianto ................................................................................5
Esposizione ad Amianto nello stabilimento Fibronit di Broni.............................................................7
Perizia dell’Ing.Melidoro su incarico della Procura di Voghera......................................................7
Documenti agli atti sui livelli di esposizione e sul tipo di amianto utilizzato..................................9
Normativa Italiana per il Controllo dell'Esposizione ad Amianto .....................................................11
Cronologia delle conoscenze scientifiche sulle conseguenze dell’esposizione all’amianto..............14
Patologie Connesse con Esposizione ad Amianto .............................................................................18
Asbestosi ............................................................................................................................................18
Lesioni Pleuriche Benigne .................................................................................................................22
Pleuriti (versamento acuto – dolore pleuritico cronico).................................................................22
Placche pleuriche (PP) circoscritte.................................................................................................23
Ispessimenti pleurici diffusi ...........................................................................................................23
Atelectasie rotonde .........................................................................................................................24
Criteri di Valutazione Medico-Legale delle lesioni pleuriche benigne Errore. Il segnalibro non è
definito.
Meccanismi di cancerogenesi dell’amianto .......................................................................................25
Conclusioni in relazione al quesito: ...............................................................................................29
Tumore Polmonare.............................................................................................................................30
Tumore polmonare ed esposizione ad asbesto ...............................................................................30
Tipologia qualitativa di esposizione e Cancro polmonare .............................................................31
Livelli di esposizione ad asbesto e tumore polmonare...................................................................31
Latenza ...........................................................................................................................................32
Asbesto e tipologia di tumore polmonare.......................................................................................32
Carcinoma polmonare ed asbestosi ................................................................................................33
Sinergismo d'azione tra fumo di tabacco e asbesto ........................................................................35
Tumore polmonare ed esposizione ad asbesto - Criteri di Nesso di causalità ...............................36
Mesotelioma Maligno ........................................................................................................................37
Eziologia ed aspetti epidemiologici ...............................................................................................37
Mesotelioma e livelli di esposizione ad amianto............................................................................38
Studi di coorte.............................................................................................................................39
Studi con la stima della concentrazione di fibre di amianto nel polmone ..................................39
Studi caso-controllo con la stima dell'esposizione in base ad interviste ....................................40
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Il modello matematico proposto da Doll e Peto .............................................................................41
Mesotelioma e tipo di esposizione ad asbesto................................................................................43
Latenza tra esposizione ad asbesto ed insorgenza di mesotelioma ................................................43
Mesotelioma – Criteri Diagnostici .................................................................................................45
Mesotelioma maligno e Tumore polmonare nel comparto produttivo del cemento amianto ............50
Malattie associate ad esposizione ad amianto nel comune di Broni e nei comuni limitrofi. .............56
Bibliografia ........................................................................................................................................57
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Amianto - Caratteristiche Generali
Con il termine generico di Amianto o Asbesto si indica un minerale a struttura finemente fibrosa del
gruppo dei silicati, che resiste a temperature elevate, sopporta bene l'azione di agenti esterni,
l'aggressione chimica, l'abrasione e l'usura. Queste caratteristiche, unite ad un basso costo, hanno
fatto sì che in epoca moderna l'amianto trovasse un largo impiego in vari ambiti, tra i quali la
costruzione di mezzi di trasporto, l'isolamento termico nell'industria e nell'edilizia, la produzione di
tegole, lastre, tubazioni e rivestimenti, la costruzione di materiali di attrito.
Dal punto di vista mineralogico si riconoscono molteplici forme di materiali asbestiformi, di cui
soltanto alcuni hanno avuto un impiego industriale e sono considerati in questa sede. Tutti questi
materiali sono caratterizzati da struttura fibrosa (definita operativamente come rapporto lunghezza
/diametro > 3).
Gli ammassi fibrosi tendono a suddividersi longitudinalmente in fibre sempre più fini, volatili ed
inalabili, la cui dispersione in atmosfera è direttamente proporzionale alla sollecitazione meccanica
praticata. Dopo la diffusione nell'ambiente aereo permangono in sospensione aerea ed essendo
dotate di notevole aerodinamicità, possono distribuirsi a notevole distanza dal luogo di origine. Le
fibre aerodisperse possono essere inalate dall'uomo ed accumularsi nei polmoni in misura crescente,
in proporzione alla concentrazione nell'aria o alla dose espositiva, alzando fortemente la probabilità
di insorgenza di patologie a carico dell'apparato respiratorio.
Nell'ambito dei materiali asbestiformi rilevanti ai fini di questa perizia, si distinguono due
fondamentali tipi di amianto, uno appartenente alla serie degli anfiboli, l'altro alla serie del
serpentino.
L'amianto di serpentino (la tipologia caratteristica della miniera di Balangero) è un silicato idrato di
magnesio (3MgO-2SiO -2H O), denominato Crisotilo o 'amianto bianco'.
L'amianto di anfiboli è un silicato di magnesio, calcio e ferro, le cui specie più diffuse sono la
Crocidolite ('Amianto blu'), e l'Amosite ('Amianto bruno').
Occasionalmente ed in altri settori industriali è stato descritto l'uso anche di altri amianti anfibolici,
quali l'actinolite e la tremolite. La tremolite è presente quale impurità nel crisotilo commerciale, in
misura variabile in relazione ai diversi giacimenti di provenienza.
Attività Lavorative con Esposizione ad Amianto
L'esposizione professionale a fibre di asbesto è implicita in numerose lavorazioni. Limitandoci alle
più frequenti osserviamo (tra parentesi il tipo di amianto maggiormente utilizzato):
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-
Estrazione del minerale (In Italia quasi esclusivamente crisotilo dalla cava di Balangero)
-
Industria del cemento amianto (crisotilo e crocidolite, più raramente amosite)
-
Materiali d’attrito (freni e frizioni: prevalentemente crisotilo)
-
Industria tessile (crisotilo e crocidolite)
-
Industria chimica (prevalentemente crisotilo)
-
Industria dei cartoni di asbesto (crisotilo)
-
Coibentazione termica e acustica (amosite, crocidolite e crisotilo)
-
Produzione di bitumi (crisotilo)
Le lavorazioni che comportano esposizione ad amianto quindi includono attività quali: l’estrazione,
la produzione (cardatura, filatura, tessitura), la manipolazione (produzione di freni e frizioni,
coibentazione di edifici, caldaie, carrozze ferroviarie o navi, produzione di cemento-amianto) e
l’uso di manufatti (installazione di freni e frizioni, verniciatura antirombo, uso di materiale in
cemento amianto). Notevole impatto espositivo hanno le operazioni di demolizione o bonifica di
materiali contenti amianto o a base di amianto (cantieri navali ed edili, manutenzione e demolizione
forni, demolizione degli impianti coibentati con amianto).
L'industria del cemento amianto ha costituito il maggior utilizzatore di fibra di amianto ed il settore
con il maggior numero di dipendenti (Patroni et al, 1987).
L’elenco non è esaustivo in quanto le lavorazioni che comportano diretta esposizione ad amianto o
derivati sono molteplici (IARC 1977).
Per i lavoratori addetti, l’esposizione di tipo professionale ad asbesto, anche in mancanza di dati
ambientali, può essere presunta come certa o altamente probabile quando sussiste una delle seguenti
condizioni:
-
lavorazioni nelle industrie sopra citate fino all'inizio degli anni 90;
-
attività in mansioni tipiche (es. coibentatore o addetto alla produzione di manufatti in cemento
amianto) fino all'inizio degli anni 90, ed oltre se l'attività comporta l'intervento su manufatti
preesistenti;
-
osservazione di elevato numero di corpuscoli dell’asbesto su tessuto polmonare secco
(>1000/gps ) (Churg et al, 1977; Churg et al, 1981; Mollo et al, 1983; Mollo et al, 1987;
Andrion et al, 1984; Consensus Report 1997; De Vuyst et al, 1998);
-
osservazione di elevato carico di fibre d’asbesto nel tessuto polmonare: il valore soglia dipende
dalla metodica utilizzata e dai livelli di riferimento del laboratorio presso cui sono stati eseguiti i
conteggi (De Vuyst et al, 1998). Secondo i Criteri di Helsinki sono indicativi di esposizione di
6
tipo professionale i reperti di “oltre 100.000 fibre di anfiboli (>5µm) per grammo di tessuto
polmonare secco, oppure oltre 1.000.000 fibre di anfiboli (>1µm) conteggiate con la
microscopia elettronica in laboratorio qualificato”. (Consensus Report 1997).
Nel caso del quesito in esame, si osserva che la ditta Fibronit ha svolto attività di produzione
di manufatti in cemento amianto e rientra quindi tra quelle per cui è presumibile
l'esposizione, per qualsiasi delle attività svolte nello stabilimento.
Esposizione ad Amianto nello stabilimento Fibronit di Broni
Dalla perizia dell’Ing.Melidoro su incarico della Procura di Voghera
L’ingegner Melidoro, che è stato incaricato di una consulenza tecnica sulla valutazione
dell’esposizione all’interno dello stabilimento Fibronit di Broni, descrive con ricchezza di
particolari la storia dello stabilimento, la sua collocazione nel tessuto urbano di Broni e
l’organizzazione della struttura produttiva. Rimandiamo alla consulenza dell’Ing.Melidoro per i
particolari mentre riportiamo in questa sede le principali informazioni e le conclusioni.
Riferisce l’Ing.Melidoro:
“La Cementifera Italiana Fibronit S.p.A., già produttrice di cemento fin dal 1919, intraprese
l’attività di fabbricazione dei manufatti in cemento-amianto nel 1932 con la produzione di tubi “a
bicchiere” monolitici di cemento-amianto da 3 m di lunghezza, lastre ondulate per coperture di
diverso profilo di ondulazione, canne quadre per camini, pezzi speciali e raccorderia di
completamento, per una produzione stimata in circa 8000 ton/anno. La domanda di mercato
continuamente crescente, indusse presto a potenziare gli impianti, realizzando nuove linee
produttive sia per i tubi che per le lastre. Negli anni sessanta lo stabilimento poteva contare su n° 7
linee di produzione, di cui n° 3 per produzione tubi (da 4 e 5 metri); n° 3 per produzione lastre e una
per produzione canne quadrate, nonché un reparto per la produzione di pezzi speciali e accessori per
un totale di circa 100.000 ton/anno e impiegava manodopera per circa 1.300 persone.
La stabilità del mercato e le innovazioni tecnologiche del settore indussero l’Azienda a rendere più
competitivi ed efficaci sotto il profilo produttivo i propri impianti. E fu così che a metà degli anni
settanta vennero installate due nuove linee con tecnologia avanzata per la produzione sia di lastre
ondulate, sia di tubi di lunghezza 4 - 5 metri, installate presso un nuovo opificio industriale all’uopo
edificato.
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A partire dalla metà degli anni settanta in tutto il mondo industrializzato si comincia ad affrontare in
maniera sistematica e cercare delle soluzioni per il problema igienico-ambientale connesso con
l'esposizione a fibre di amianto.
La Fibronit, in proposito, realizzò diverse unità filtroaspiranti costituite da filtri a maniche con
lavaggio temporizzato in controcorrente al fine di ridurre, per quanto possibile, il diffondersi delle
fibre libere respirabili di amianto negli ambienti di lavoro.
Successivamente, agli inizi degli anni ottanta, venne progettato e realizzato un impianto automatico
centralizzato per il trattamento e la preparazione delle miscele di amianti, dotato di un ciclo chiuso
in completa depressione ed asservito da una serie di filtri con filtrazione assoluta delle emissioni a
valle.
Tuttavia in quel periodo si verificò una irreversibile crisi del mercato connessa soprattutto alle
conferme medico scientifiche relative alla elevata pericolosità dell'amianto per la salute umana in
quanto responsabile di gravi patologie a carico dell'apparto respiratorio, e che trovò in Italia il suo
apice con l'entrata in vigore della Legge n° 257 del 27 marzo 1992 "Norme relative alla cessazione
dell'impiego dell'amianto".
Lo stabilimento subì a quel punto una graduale e inesorabile crisi che nel giro di pochi anni portò
alla dismissione dell'attività produttiva avvenuta nel giugno 1993.
Relativamente alle materie prime, la consulenza dell’ing. Melidoro riferisce che: ”L’amiantocemento era composto per l’85-90% da cemento Portland, essenzialmente 325 Ptl, e per il restante
10-15% da amianto di serpentino (crisotilo) e di anfibolo (crocidolite e amosite).”
“La miscela d’amianto utilizzata per l’impasto era costituita prevalentemente da crisotilo e
crocidolite. L’amosite veniva impiegato solo come additivo per facilitare il drenaggio dell’impasto.
La crocidolite, poiché conferiva maggiore resistenza al prodotto finito, veniva utilizzata in ragione
del 10-15 % dell’amianto totale nella produzione di lastre piane e/o ondulate, e in misura ≥ 30 %
nella linea tubi.”
“Mediamente nello stabilimento Fibronit per ogni tonnellata di prodotto finito del reparto lastre
ondulate venivano utilizzati 110 Kg di fibre d’amianto e 772 Kg di cemento 325 Portland (rapporto
1/6.6).
Nel processo produttivo i due componenti venivano posti a contatto e miscelati in sospensione
acquosa; il prodotto finale che ne scaturiva aveva caratteristiche di omogeneità e compattezza, nel
quale le fibre di amianto, inglobate nella matrice cementizia, costituivano “l’armatura” essenziale
del prodotto finito. I manufatti di fibrocemento prodotti dalla Fibronit erano essenzialmente
indirizzati a due segmenti di mercato: quello dei materiali per l’edilizia (lastre piane, lastre ondulate
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per la copertura nelle varie versioni, canne quadrate per camini e pezzi speciali) e quello per
l’idraulica (tubi e pezzi speciali).”
Il ciclo produttivo è descritto in dettaglio dalla relazione dell’ingegner Melidoro, cui si rimanda.
Consisteva essenzialmente delle seguenti fasi: preparazione della miscela di amianto-cemento,
formazione del manufatto, stagionatura e finissaggio. “Durante il corso degli anni il processo
produttivo ha subito delle importanti innovazioni tecnologiche, finalizzate prevalentemente alla
automazione dei ciclo lavorativi. Questi ultimi, di seguito descritti, hanno avuto un loro accentuato
sviluppo alla fine degli anni settanta: sino ad allora la lavorazione della materia prima e del prodotto
finito avveniva manualmente e, il più delle volte, senza i necessari ed elementari dispositivi di
protezione individuale. (nostra sottolineatura)” “Le fasi principali del processo produttivo
automatizzato sono le seguenti:
1. Stoccaggio delle materie prime
2. Quantificazione delle fibre
3. Trattamento delle fibre
4. Dosaggio delle fibre
5. Miscelazione delle materie prime per la formazione dell’impasto
6. Sistema formazione dei manufatti
7. Lavorazione meccanica dei manufatti
8. Verniciatura”
Documenti agli atti sui livelli di esposizione e sul tipo di amianto utilizzato
La documentazione disponibile agli atti sui livelli di esposizione e sul tipo di amianto è limitata e
riguarda solo il periodo dal 1981 al 1990.
In particolare si tratta di:
-
relazione datata 27-10-81 sui rilievi effettuati in azienda dal ‘Centro di Ricerca in Ecologia
Umana’ dell’Università di Pavia;
-
relazione datata 7-3-83 sui rilievi effettuati in azienda dal ‘Centro di Ricerca in Ecologia
Umana’ dell’Università di Pavia;
-
relazione datata 1984, del settore Tutela Salute Luoghi Lavoro della USL 79 – Voghera sui
rilievi effettuati e sui rischi lavorativi in azienda;
-
relazione protocollata 10-12-87 sui rilievi effettuati in azienda dalla ‘Fondazione Clinica del
Lavoro’;
-
relazione non datata, scritta dalla dr.ssa Bevilacqua, responsabile del Servizio 1 della USL di
Voghera sui rilievi effettuati in azienda nel Marzo 1988 dalla ‘Fondazione Clinica del Lavoro’;
9
-
relazione datata 12-3-90 sui rilievi effettuati in azienda dalla ‘Fondazione Clinica del Lavoro’
nel mese di novembre 1989 (inviata dalla Fibronit alla USL di Voghera il 27-3-90);
-
relazione datata 7-8-90, del settore Tutela Salute Luoghi Lavoro della USL 79 – Voghera sui
rilievi effettuati nel Maggio 1990.
Dalla lettura di tali relazioni si rilevano concentrazioni di fibre di amianto relativamente modeste
nella maggior parte dei prelievi ma con valori occasionalmente elevati. Ad esempio i risultati
dell’indagine condotta nel Maggio 1990 presentano i risultati di 34 prelievi, di cui 3 con valori
superiori a 0,4 ff/cc e 2 con valori compresi tra 0,2 e 0,4 ff/cc. La stessa relazione contiene allegata
la relazione con le concentrazioni di fibre di amianto misurate il 15-3-90 ove sono riportati i risultati
di 10 prelievi di cui uno con 1,4 ff/cc, 2 tra 0,8 e 1 ff/cc, 1 tra 0,4 e 0,6 ff/cc, 2 tra 0,2 e 0,4 ff/cc.
La descrizione delle condizioni lavorative ed ambientali al momento dei campionamenti è sempre
molto sommaria e non consente di valutare se si tratta delle abituali condizioni di lavoro in azienda.
Dalle relazioni si rilevano alcune informazioni sul tipo di fibra di amianto.
-
Le relazioni del 1981 e del 1983 riferiscono solo di amianto in generale, senza analisi per tipo di
fibra.
-
Dalle tabelle allegate alla relazione datata 1984, si rileva la presenza di crisotilo, amosite e
crocidolite. Per 10 misure su 13 la concentrazione di fibre di crocidolite era superiore alla
concentrazione di fibre di crisotilo. La concentrazione di amosite era sempre inferiore.
-
La relazione protocollata 10-12-87 sulle misure del Novembre 1987 riferisce la presenza di
crisotilo e di amosite, la concentrazione di amosite varia tra il 10% ed il 20% della
concentrazione totale di fibre di amianto.
-
La relazione sulle misure del Marzo 1988 riferisce la presenza di crisotilo e di amosite, la
concentrazione di amosite varia tra il 10% ed il 20% della concentrazione totale di fibre di
amianto.
-
La relazione datata 12-3-90 riferisce una miscela con il 90% di crisotilo ed il 10% di amosite.
-
Nel Marzo 1990 si trattava di crisotilo 90% e amosite 10%, con una maggior concentrazione di
amosite dal prelievo effettuato al carico delle materie prime (300 ff di amosite e 1100 ff di
crisotilo, quindi con il 21% di amosite.
Si può concludere che crocidolite è stata impiegata fino al 1984 e non lo era più nel 1987. La
concentrazione di fibre di crocidolite nel 1984 era analoga alla concentrazione di fibre di crisotilo,
da cui si deduce che i due tipi di amianto entrassero nel ciclo produttivo in analoga proporzione.
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Amosite è stata impiegata fino al 1990.
Queste conclusioni sono provvisorie ed andranno rivalutate sulla base della documentazione
presente nello stabilimento e che non è ancora stata messa a nostra disposizione perchè non è
ancora stata completata la pulizia da eventuale contaminazione con fibre di amianto.
Normativa Italiana per il Controllo dell'Esposizione ad Amianto
La pericolosità dell’esposizione ad amianto era stata considerata già nelle prime norme per la tutela
della salute dei lavoratori. In particolare: il r.d. 14 giugno 1909, n.442, contenente il regolamento
per la applicazione del testo unico sulla legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli aveva inserito
tra i “lavori insalubri o pericolosi nei quali la applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli è
vietata o sottoposta a speciali cautele... anche ... la filatura e la tessitura dell’amianto”, escludendo il
lavoro delle donne e dei fanciulli “nei locali ove non sia assicurato il pronto allontanamento del
pulviscolo” [riferito nella sentenza n 953 del 11.7.2002 della IV sezione penale della corte di
cassazione]. Di tenore analogo sono le disposizioni del d.leg. 6 agosto 1916 n 1136, art 36 e del r.d.
7 agosto 1936 n. 1720.
La legge 12 aprile 1943, n 455 ha esteso la legislazione sull’assicurazione obbligatoria delle
malattie professionali all’esposizione ad amianto, ed in particolare all’asbestosi.
L'accertata pericolosità dell'amianto ha fatto sì che il nostro paese introducesse norme specifiche per
ridurre l'esposizione, anche a seguito di numerose direttive della Comunità Europea, ed in ultimo
mettesse al bando l'amianto in via definitiva con la legge 27 marzo 1992 n.257. Al momento
dell'entrata in vigore della legge 257 un numero limitato di paesi, per lo più del Nord Europa, aveva
già deciso di vietare l'uso dell'amianto, in generale o limitatamente agli anfiboli. Negli anni
successivi tale divieto è stato adottato da un numero crescente di paesi e dalla Comunità Europea
(Direttiva 1999/77/EC del 26/6/1999). Secondo il centro di documentazione 'International Ban
Asbestos' (www.ibas.btinternet.co.uk), 39 paesi, in diversi continenti hanno adottato un bando totale
o parziale dell'amianto.
La legge 27 marzo 1992 n.257, che contiene norme relative alla cessazione dell’impiego
dell’amianto, all’art. 1 vieta in modo tassativo, "l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la
commercializzazione e la produzione di amianto o di prodotti contenenti amianto".
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La normativa in vigore per la protezione dei lavoratori è il Decreto Legislativo 15/08/1991 n° 277,
emesso in attuazione di direttive CEE, che stabilisce i limiti di esposizione (riportati nella tabella
seguente) per l'effettuazione di attività in cui vi è presenza di amianto, quali ad es. le attività di
scoibentazione e di rimozione del materiale.
Prima dell'entrata in vigore del Decreto Legislativo 15/08/1991 n° 277 la legislazione per la tutela
dell’igiene e della sicurezza nei luoghi di lavoro prevedeva la riduzione dell’esposizione ad agenti
nocivi (inclusi gas, fumi e polveri) al più basso livello tecnologicamente raggiungibile e non teneva
conto di valori limite di esposizione. Si faceva riferimento, anche per quanto riguarda l’amianto,
all’art. 21 del DPR n° 303 del 1956. Soltanto la legislazione specifica per le cave e miniere aveva
introdotto limiti di esposizione: nella legge del 4 marzo 1958 n° 198 “Norme in materia di polizia
delle miniere e delle cave” venivano definiti per le polveri, comprese le fibre, limiti ponderali (2 mg
m3) e limiti particellari (<650 particelle comprese tra 0,5 e 5 µm). Successivamente “Valori Limite”
relativi alla concentrazione di fibre di asbesto in ambiente di lavoro sono stati introdotti dalla
legislazione italiana a partire dal 1986 (DECRETO MINISTERIALE 16/10/1986) ma, trattandosi di
un semplice decreto ministeriale, è una norma di forza inferiore a quella del DPR n° 303 del 1956 e
della legge del 4 marzo 1958 n° 198.
L’introduzione di valori limite in norme aventi forza di legge è avvenuto con il DLeg 15/8/91 n.277
e dalla legge 27/3/92 n 257.
Tabella 1. Decreti legislativi e valori limite relativi all’esposizione nei luoghi di lavoro.
Riferimenti legislativi
Valori limite di fibre d'asbesto
a) 1 fibre/mL (amianto non contenente crocidolite né amosite)
DECRETO MINISTERIALE 16/10/1986:
b) 0,2 fibre/mL (crocidolite)
Integrazione delle norme del Decreto del Presidente
c) 0,5 fibre/mL (amosite)
della Repubblica 9/4/1959 n. 128, in materia di
d) nel caso di miscele di amianti, il valore limite
controllo dell’aria
viene calcolato in base alle percentuali di crocidolite
ambiente nelle attività estrattive dell’amianto.
e amosite presenti
DECRETO LEGISLATIVO 15/08/1991 n° 277:
art. 31
Attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE, n.
a)
82/605/CEE, n.83/477/CEE, n. 86/188/CEE e n.
b) 0,2 fibre/mL —> tutte le altre varietà di amianto comprese le
88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori
contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti
chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a norma
dell’art. 7 della legge 30 luglio 1990, n. 212.
1 fibre/mL —> crisotilo
miscele contenenti crisotilo
c)
dal 1/1/93 0,6 fibre/mL —> crisotilo, salvo le attività
estrattive
d) dal 1/1/96 0,6 fibre/mL —> crisotilo anche per attività
12
estrattive
e)
la legge riporta, in caso di lavorazioni particolari, la
possibilità di raggiungere valori massimi pari a 5 volte i
limiti indicati per misure effettuate su un periodo di 15
minuti
art. 3
a)
LEGGE 27/03/1992 n° 257:
Norme relative alla cessazione dell’impiego
dell’amianto.
0,6 fibre/mL —> crisotilo
b) 0,2 fibre/mL —> tutte le altre varietà di amianto comprese le
miscele contenenti crisotilo
NOTA - La legge riporta, in caso di lavorazioni particolari, la
possibilità di raggiungere valori massimi pari a 5 volte i limiti indicati
per misure effettuate su un periodo di 15 min
Infine, la normativa prevede limiti di emissione di fibre di amianto nell'aria e negli scarichi, che
sono stati fissato dal DECRETO MINISTERIALE 06/09/1994 e dal DECRETO LEGISLATIVO
17/03/1995 n. 114.
Tabella 2. Decreti legislativi e valori limite relativi all’emissione di amianto in aria e negli
scarichi.
Riferimenti legislativi
DECRETO MINISTERIALE 06/09/1994:
Normative e metodologie tecniche di
applicazione dell’art. 6, comma 3, e della
legge 27 marzo 1992, n° 257, relativa alla
cessazione dell’impiego dell’amianto.
Valori indicativi di fire d'asbesto per situazioni di
inquinamento e valori limite per emissioni in atmosfera
punto 2 - Valutazione del rischio nell’aria ambiente generale
- 20 fibre/L MOCF
- 2 fibre/L SEM
quali valori indicativi di una situazione di inquinamento in atto
DECRETO LEGISLATIVO 17/03/1995
artt. 1 e 2
n 114:
- 0,1 mg/m3 (= 2 fibre/mL) valore limite delle emissioni in
Attuazione della direttiva 87/217/CEE in
atmosfera
materia di prevenzione e riduzione
- 30 g/m3 valore limite negli effluenti liquidi - scarichi (anche
dell’inquinamento dell’ambiente causato
in attività di bonifica)
dall’amianto.
13
Cronologia delle conoscenze scientifiche sulle conseguenze dell’esposizione all’amianto.
Numerosi contributi relativi alla storia delle conoscenze sugli effetti avversi dell’amianto sono stati
pubblicati nell’ultimo decennio. Le conclusioni di questi studi sono nel complesso convergenti ed è
possibile indicare, in estrema sintesi, le tappe principali dell’evoluzione delle conoscenze e metterle
in relazione con l’adozione di misure preventive.
Murray (1990) data al 1906 la prima segnalazione ufficiale di un caso di fibrosi polmonare in un
lavoratore esposto all’amianto, mentre il termine asbestosi fu coniato da Cooke nel 1927 e le prime
norme per la prevenzione di questa patologia furono emanate in Gran Bretagna nel 1931. Selikoff
(1990) osserva che a metà degli anni Trenta l’asbestosi era una patologia pienamente definita sul
piano medico, e già nel 1935 venivano pubblicati i primi casi di carcinoma polmonare in soggetti
asbestosici. Il primo studio sistematico sul carcinoma polmonare nei soggetti asbestosici è
contenuto nel rapporto annuale dell’Ispettorato del Lavoro inglese per il 1947 (Murray 1990).
La prima segnalazione di un caso di mesotelioma in un soggetto asbestosico risale al 1935 in Gran
Bretagna, secondo la ricostruzione di Mc Donald & Mc Donald (1996), seguita da alcune
segnalazioni in Germania nel periodo bellico e negli anni immediatamente successivi e da una
segnalazione canadese del 1952. I due studi epidemiologici che stabilirono con certezza il ruolo
causale dell’amianto nell’insorgenza del carcinoma polmonare e del mesotelioma pleurico furono,
rispettivamente, quelli di Doll (1955) e Wagner et al (1960). Nel 1960 Keal riferì su Lancet di un
caso di neoplasia addominale (mesotelioma?) associato ad asbestosi. Nel 1964 si svolse la
conferenza organizzata dalla New York Academy of Sciences sugli effetti biologici dell’amianto i
cui atti furono pubblicati nel 1965. A partire da quell’anno la comunità scientifica raggiunse
unanime consenso sull’azione cancerogena di questo materiale (Enterline 1991). Sarebbe
successivamente stato chiarito dagli storici che già all’inizio degli anni Quaranta, dati sperimentali
sulla cancerogenicità dell’amianto per gli animali erano in possesso dell’industria dell’amianto
negli Stati Uniti e in Canada, ma tali dati vennero occultati per differire l’adozione di misure
preventive (Lilienfeld 1991).
Nel ricostruire la sequenza di questi eventi, Scansetti (1997) ricorda che già nel 1947 il New
England Journal of Medicine aveva pubblicato un caso di mesotelioma pleurico in un lavoratore
dell’amianto e osserva che la mancata conoscenza da parte degli studiosi inglesi e americani della
14
letteratura scientifica tedesca degli anni Quaranta ha forse ulteriormente contribuito a rallentare
l’evoluzione delle conoscenze.
Con riferimento all’Italia, una ricostruzione dei primi studi sulla patologia da amianto è stata
effettuata da Vigliani (1991). Le tappe principali ricordate da questo autore sono: uno studio del
1908 sulla tubercolosi nell'industria dell’amianto, una tesi di laurea dell’Università di Torino del
1910 su “Un caso letale di asbestosi polmonare complicata da tubercolosi” (che fa sostenere a
Vigliani che il termine “asbestosi” sia stato coniato in Italia e non in Gran Bretagna) e il rapporto
dell’Ispettorato Medico del Lavoro del 1930. Nel biennio 1939-40, infine, diverse pubblicazioni
scientifiche dello stesso Vigliani e del patologo Mottura posero le basi per una trattazione
scientifica e sistematica del problema.
Uno studio di Carnevale e Chellini (1993) ricostruisce la storia degli studi sulla patologia da
amianto in Italia, ed evidenzia come anche nel nostro paese il 1964-65 fu il biennio nel quale la
comunità scientifica acquistò consapevolezza del rischio cancerogeno, grazie in particolare agli
studi di Vigliani che fu fra i relatori della Conferenza della New York Academy of Sciences
precedentemente citata. Dopo il 1965 vennero pubblicati in Italia numerosi studi sul mesotelioma
pleurico; per quanto riguarda il tumore polmonare, alcune segnalazioni erano state pubblicate nel
nostro paese già nel decennio 1955-1964. Si consideri a questo proposito che il “Manuale di
Medicina del Lavoro” di F. Molfino (1953), nel capitolo dedicato all’asbestosi, scrive che “…i
cancri del polmone…pare siano abbastanza frequenti negli asbestosici (Molfino 1953 pag. 31). La
diffusione, alla metà degli anni Sessanta, delle conoscenze sulle proprietà cancerogene dell’amianto
(si vedano ad es. l’articolo di Wagner su Abbot – Tempo del 1968 e l’articolo di Vigliani su Tempo
Medico del 1966), contribuirono sicuramente ad accelerare la riduzione dei livelli di esposizione ad
amianto nelle industrie.
Riassumiamo le principali voci bibliografiche incluse nella rassegna della letteratura preparata da
Carnevale e Chellini (1993). Questi autori esprimono la conclusione, da noi condivisa, che le
conseguenze oncogene dell’esposizione all’amianto fossero note a partire dagli anni '50, come si
può desumere dalla letteratura italiana e straniera facilmente disponibile ai medici del lavoro e ai
cultori della materia, e comunque di non difficile reperimento.
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Anni 51-60
Ricciardi Pollini R: Rilievi sulla incidenza del cancro primitivo del polmone e suoi rapporti tra
cancro polmonare ed attività professionali. Rassegna Medicina Industriale 1955; 24: 313-334
Rombolà G: Asbestosi e carcinoma polmonare in una filatrice di amianto (spunti sul problema
oncogeno dell'asbesto). Med Lav 1955; 46: 242-250
Francia A, Monarca G: Un nuovo caso di associazione asbestosi-carcinoma polmonare. Atti del
XXII congresso di Medicina del Lavoro (1958). [Cit. in Thesaurus degli autori e dei soggetti nei
primi 52 congressi di Medicina del Lavor. Mattioli ed. Fidenza, 1990]
Francia A, Monarca G: Asbestosi e carcinoma polmonare. Minerva medica 1956; 98: 1950-1959
Anni 61-70
Donna A, Campobasso O, Bussolati G: Associazione fra mesotelioma pleurico e asbestosi
polmonare. Riv Anat Patol Oncol 1965, 27: XXXVIII-XXXV
Vigliani EC, Mottura G, Maranzana P: Association of pulmonary tumors with asbestosis in
Piedmont and Lombardy. Ann N Y Acad Sci 1965; 132: 558-574. La presentazione di Vigliani et al.
ha un particolare significato in quanto è avvenuta durante il congresso organizzato da Selikoff per
discutere l’evidenza scientifica sugli effetti cancerogeni delle fibre di amianto.
Donna A: Considerazioni su un nuovo caso di associazione fra asbestosi e neoplasia polmonare.
Med Lav 1967, 58: 561-572
Vigliani EC, Ghezzi I, Maranzana P, Pernis B: Epidemiological study of asbestos workers in
Norhern Italy. Med Lav 1968; 59: 481-485
Anni 71-80
Rubino GF, Scansetti G, Donna A Epidemiologia del mesotelioma pleurico in aree industriali
urbane. Atti del XXXIV congresso di Medicina del Lavoro (1971). [Cit. in Thesaurus degli autori e
dei soggetti nei primi 52 congressi di Medicina del Lavor. Mattioli ed. Fidenza, 1990]
Rubino GF, Scansetti G, Donna A, Palestro G: Epidemiology of pleural mesothelioma in NorthWestern Italy (Piedmont). Br J Ind Med 1972, 29: 436-4
Bianchi C, Di Bonito L, et al: Esposizione lavorativa all'asbesto in 20 casi di mesotelioma diffuso
della pleura. Minerva Medica 1973, 64: 1724-1727
Mirabella F: Su danni oncogeni pleuropolmonari autopticamente provati, di una silicatosi in
aumento (asbestosi). Med Lav 1975, 66: 192-211
16
Amosite
Le prime segnalazioni di aumento del rischio di neoplasia per i lavoratori esposti ad amosite,
materiale usato alla Fibronit di Broni negli anni 80, sono del 1972 (Selikoff et al, 1972). Un
contributo italiano è stato fornito da Parolari et al nel 1982 (rferito in Parolari et al, 1988).
Conclusioni in relazione al quesito:
Le informazioni sulla pericolosità dell'amianto, anche in senso oncogeno, erano alla portata di
qualsiasi medico del lavoro o di azienda almeno a partire dagli anni '50 e '60. Informazioni
sulla pericolosità dell'inalazione delle fibre di amianto quale causa di asbestosi erano
disponibili almeno dal 1943. La documentazione scientifica della cancerogenicità dell’amosite
risale al 1972. Occorre ricordare che la pericolosità dell'inalazione di fibre di amianto era
segnalata, oltre che dalle notizie di fonte scientifica, anche dalla lettura delle leggi:
l'argomento è già accennato nel r.d. 14 giugno 1909 n 442 [riferito nella sentenza n 953 del
11.7.2002 della IV sezione penale della corte di cassazione].
La tutela assicurativa dei casi di asbestosi risale alla legge 12.4.1943 n 455.
Infine si ricorda l'obbligo generico previsto dal già citato DPR 303 del 1956 di mantenere
l'esposizione a polveri e fumi al livello più basso tecnicamente possibile.
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Patologie Connesse con Esposizione ad Amianto
L’esposizione ad amianto è associata in modo certo ad asbestosi, tumore maligno del polmone e
mesotelioma maligno.
Che l'esposizione ad amianto possa portare ad una fibrosi polmonare diffusa è noto dall'inizio del
secolo scorso. A questa condizione Cooke nel 1927 dette il nome di “asbestosi”.
Il cancro polmonare da asbesto fu descritto per la prima volta da Wood nel 1924 ed un evidenza
epidemiologica di questa associazione fu provata da Doll nel 1955 (Doll et al, 1955).
L'associazione col mesotelioma delle pleura e del peritoneo fu notata nel 1946 e dimostrata nel
1960. (Wagner 1960, McDonald e McDonald 1996).
Altre affezioni patologiche che possono essere dovute ad esposizione lavorativa ad amianto sono:
pleurite acuta e lesioni benigne della pleura (comprese le placche, ispessimenti e calcificazioni).
Sono state segnalate, ma non sono sicuramente dimostrate, associazioni dell'esposizione lavorativa
ad asbesto con neoplasie in altre sedi, quali la laringe, l'ovaio, l'apparato digerente, lo stomaco, il
pancreas ed il rene. (Cotes 1992, Becklake 1976, Goodman 1999).
La Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) non viene classicamente inclusa tra le patologie
asbesto-correlate ma in un recente ed autorevole documento scientifico di revisione dello stato
dell'arte in campo di patologie non neoplastiche indotte da asbesto (ATS, 2004) si delinea un
parziale cambiamento di rotta in tale senso. Pur confermando che si tratta di una argomento ancora
piuttosto controverso non si esclude un possibile ruolo dell'esposizione ad asbesto nella genesi di
tale patologia. In generale si tratta si un effetto relativamente modesto ma da non trascurare in
quanto può essere influente nell'aggravare lo stato di handicap di soggetti portatori di danni
funzionali dovuti ad asbestosi e/o danni pleurici; può inoltre avere effetto confondente in soggetti
con concomitanti danni funzionali di altra natura (ad esempio il danno respiratorio ostruttivo che
caratterizza la BPCO potrebbe in parte mascherare un danno restrittivo dovuto all’asbestosi).
Asbestosi
Si tratta di una forma di fibrosi polmonare causata dell’inalazione di fibre di asbesto. L’insorgenza
di tale patologia viene classicamente ricondotta a prolungata ed intensa esposizione. Le stime di
esposizione sono variabili da 25 fibre/ml/anno (Browne 1995) a 72 fibre/ml/anno (Berry 1979), a
130 fibre/ml/anno (Bosh 1968). Non sono inusuali in letteratura casi di esposizioni superiori a 200
fino a 1000 fibre/ml/anno (INSERM 1997).
La frequenza, la severità nonché la prognosi della malattia sono proporzionali ai livelli di
esposizione. Nei casi di esposizione particolarmente intensa sono sufficienti pochi mesi di
esposizione per indurre la malattia.
18
A parità di esposizione l’asbestosi è più frequente e presente in forma più avanzata, in soggetti
fumatori, presumibilmente a causa di una ridotta efficienza del meccanismo di clearance
mucociliare, con conseguente maggiore accumulo di fibre nel polmone (Barnhart 1990, Zitting
1996, Lilis 1986, Ehrlich 1992, ATS2004).
E’ comunemente accettato che l’asbestosi non si sviluppi al punto da causare manifestazioni cliniche
in caso di esposizioni inferiori a 25 fibre/ml/anno (ORC 1984, Peto 1985) ma è probabile che
minime o modeste forme di fibrosi polmonare, rilevabili istologicamente o alla tomografia assiale
computerizzata ad alta risoluzione (HRCT), possano insorgere anche a seguito di minori livelli di
esposizione (De Vuyst 2002).
Diagnosi
La diagnosi di certezza di asbestosi è basata su una accurata descrizione istologica del quadro e sulla
ricerca e quantificazione dei corpuscoli dell’asbesto su adeguati campioni di tessuto polmonare
(Craighead 1982, Green 1983, Helsinky 1997 ATS2004).
Sono definiti quattro gradi di severità caratterizzati da ingravescente danneggiamento dei tessuti
polmonari. Per la diagnosi di asbestosi alla presenza di tali anomalie deve associarsi il riscontro di
corpuscoli dell’asbesto su sezioni istologiche standard.
In genere il grado di severità dell’asbestosi correla con i quantitativi di fibre e corpuscoli di asbesto
nel polmone o con le stime di esposizione professionale cumulativa (Rom 1987, Green 1997).
La dimostrazione istologica rappresenta certamente lo strumento diagnostico più sensibile. E’
riportato in letteratura (Roggli 1994) che fino al 40% dei casi accertati patologicamente sarebbe
negativo per il radiologo. Ovviamente, a causa delle procedure diagnostiche invasive richieste non è
utilizzabile come strumento di uso routinario in ambito di accertamento medico-legale.
Altri importanti approcci diagnostici sono stati proposti in questi anni, il principali dei quali è la
tomografia assiale computerizzata ad alta risoluzione (HRCT). E’ ormai consolidato che tale
metodica presenta, rispetto alla radiografia standard:
1. maggiore sensibilità nella individuazione di lesioni parenchimali, atelettasie, ispessimenti
pleurici (Genevois 1994) nonché nella individuazione di forme iniziali di asbestosi (Begin
1993, Neri 1996).
2. maggiore specificità nell’escludere condizioni confondenti come enfisema, problemi
vascolari, bronchiectasie, malattie pleuriche sovrapposte (ATS 2004).
Più in dettaglio, relativamente alla sensibilità in uno studio (Staples 1989), il 34% dei soggetti
negativi alla radiografia (Rx) standard erano positivi per asbestosi alla HRCT.
19
Va precisato che un quadro HRCT negativo non permette comunque di escludere in modo assoluto
la presenza di asbestosi (Gamsu 1995).
Nello studio delle interstiziopatie all’HRCT vengono indicati 5 reperti considerati tipici del danno
parenchimale da asbestosi (Scansetti 2000):
•
immagini lineari iperdense a 1 cm di distanza dalla pleura con decorso parallelo alle coste
solitamente presenti nella porzione posteriore del polmone
•
ispessimenti interlobulari o intralobulari, che possono avere un decorso rettilineo o essere
ramificati con una lunghezza di 1-2 cm. Sono riscontrabili al di sotto della pleura e si
estendono verso quest'ultima. Gli ispessimenti interlobulari corrispondono ai setti
interlobulari contenenti venule e vasi linfatici circondati da fasci connettivali. Gli
ispessimenti intralobulari, sono visibili come piccole strutture ramificate a circa 1 cm dalla
pleura e raramente si estendono fino a toccarla: rappresentano l'arteriola centrolobulare e il
bronchiolo con il connettivo che li circonda;
•
bande di densità aumentata con larghezza variabile da 2 a 20 mm sufficientemente radiopaca
da oscurare il parenchima sottostante
•
linee di densità aumentata, non affusolate, di lunghezza pari a 2-5 cm, che si estendono
all’interno del parenchima fino ad incontrare la pleura. Spesso queste linee terminano a
livello di un ispessimento pleurico e sono maggiormente visibili alle basi polmonari
•
honeycombing: spazi di aspetto cistico circondati da pareti ispessite visibili comunemente
nelle regioni subpleuriche della porzione posteriore dei lobi inferiori. La pleura contigua
spesso è leggermente ispessita.
Un limite ancora non superato è quello della standardizzazione dei criteri interpretativi. Kraus nel
1997 ha proposto una classificazione delle immagini CT analoga a quella adottata per le radiografie
standard ma tale metodica è stata finora scarsamente adottata. In relazione a ciò l’HRCT viene
indicata ancora come metodica complementare, e non alternativa, a quelle precedentemente descritte
(Huuskonen 2001).
Si ritiene che il ricorso alla HRCT sia necessario in caso di presenza di placche pleuriche diffuse. In
questo caso, non essendo valutabile il parenchima con l'esame radiologico standard, il ricorso alla
HRCT diventa l'unico strumento diagnostico non invasivo disponibile (De Raeve 2001, Morgan
1995) per valutare il parenchima polmonare.
Si ritiene inoltre che si tratti di un affidabile e consolidato strumento diagnostico pur non essendo
ancora sufficientemente standardizzato ai fini di una gradazione della severità (profusione) della
malattia.
20
Circa l’evoluzione nel tempo dell'asbestosi per anni è prevalsa l'opinione che si tratti di una malattia
avente carattere inevitabilmente evolutivo, tanto da fare escludere la diagnosi in assenza di provata
evolutività (Becklake 1976). Tale orientamento non è più giustificato: le evidenze disponibili
suggerirebbero che se, la malattia rimane stabile per più di 10 anni dopo che sia cessata
l’esposizione, sia verosimile che non subisca ulteriori variazioni, anche se l’assenza di un
evoluzione non nega l’asbestosi in presenza di quadro tipico. (Cotes 1992, 1995, Morgan e Seaton
1995).
Considerando anche gli aspetti clinico-strumentali la diagnosi di asbestosi polmonare (Becklake
1979, Cotes J. E 1995 , Morgan 1995, De Vujst 2002, ATS 2004) si basa su:
a) Precondizioni
-
esclusione ragionevole di altre plausibili cause di fibrosi interstiziale polmonare.
-
evidenza di esposizione secondo i criteri (vd Criteri medico-legali) sopra riportati
b) Evidenza strutturale di patologia (Segni maggiori)
1. esame radiologico standard con segni di fibrosi interstiziale, soprattutto ai campi inferiori,
con profusione di almeno 1/1 e ombre lineari (lettura secondo ILO-U/C 1981) o reperti
HRTC considerati tipici del danno parenchimale da asbestosi (vedi sopra)
2. esame istologico dimostrativo di fibrosi interstiziale associata a presenza di corpuscoli
d’asbesto o fibre di asbesto in microscopia elettronica (Craighead 1982, Consensus Report
1997)
c) Evidenza di compromissione funzionale
1. quadro funzionale di tipo restrittivo - riduzione della capacità polmonare totale (TLC), misto o
ostruttivo 1
2. deficit della diffusione alveolo capillare assoluta (TLCO) o corretta per il volume alveolare
disponibile (KCO).
1
il quadro funzionale di tipo ostruttivo,(ATS 2004) nei fumatori, in caso di prolungata ed intensa
esposizione ad asbesto può essere considerato come concausalmente riferito entrambe i fattori. Un ruolo di
tale esposizione (sempre in caso di prolungata ed intensa) può inoltre essere considerato in caso di soggetti
non fumatori
21
d) Segni accessori
1. dispnea da sforzo ingravescente.
2. presenza all'esame obbiettivo a fine espirazione di rantoli crepitanti alle basi
La diagnosi di asbestosi può essere posta con ragionevole grado di certezza, soddisfatte le
precondizioni, in presenza di evidenza strutturale di patologia (un segno maggiore) .
In altre condizioni la diagnosi può essere posta con differenti gradi di probabilità. Di norma la
dimostrazione istologica è da sola sufficiente per porre diagnosi ma non per valutare la
gravità. L’evidenza di compromissione funzionale e di segni accessori è essenziale nella
definizione della gravità ed evolutività della patologia.
Lesioni Pleuriche Benigne
Queste manifestazioni comprendono le pleuriti (con o senza versamento), le placche pleuriche
circoscritte, gli ispessimenti pleurici diffusi e le atelettasie rotonde (Romano 2000, Rudd 2002, ATS
2004). Sono la conseguenza di deposizione di collagene che porta alla formazione di ispessimenti in
sede subpleurica che con il tempo possono andare incontro a calcificazione. Ispessimenti della
pleura viscerale possono essere associati a fibrosi parenchimale degli alveoli subpleurici. Gli
ispessimenti pleurici continuano ad essere un importante indicatore di esposizione ad asbesto anche
in anni recenti in cui, in relazione al declino delle esposizioni ad asbesto, altri indicatori (come
l'asbestosi) sono di più raro riscontro (Ehrlich 1992).
Pleuriti (versamento acuto – dolore pleuritico cronico)
L'asbesto può causare versamenti essudativi, a volte emorragici, la cui comparsa può essere
relativamente precoce (entro 10 anni dall'inizio dell'esposizione) o più tardiva. Possono sovrapporsi
a precedenti placche pleuriche (ATS 2004). Sono solitamente asintomatici; raramente si possono
associare a febbre e dolore pleuritico. Possono persistere per mesi ed essere a localizzazione mono o
bilaterale. Raramente in soggetti con malattia pleurica asbesto correlata è presente cronico e severo
dolore pleuritico. Possono esitare reliquati come obliterazione dei seni costo-frenici o diffusi
ispessimenti pleurici. La diagnosi di pleuropatia essudativa da asbesto è spesso una diagnosi di
esclusione di altre cause e richiedente il ricorso a metodiche invasive.
22
Placche pleuriche (PP) circoscritte
Rappresentano il più comune indicatore di esposizione ad asbesto. Si tratta di lesioni della pleura
parietale. Caratteristicamente si tratta di lesioni multiple, localizzate lungo le coste, a livello delle
pareti postero-inferiori della gabbia toracica o nella zona centrale del diaframma.
La loro prevalenza è direttamente correlata alla durata dell'esposizione e non è influenzata dal fumo
di sigaretta. La loro comparsa è rara entro i primi 20 anni dall'inizio dell'esposizione e la
progressione è lenta.
A parità di esposizione, in soggetti con presenza di PP vi è un aumentato rischio di mesotelioma e
tumore del polmone (Hillerdal 1994; Hillerdal 1997). Ciò è verosimilmente conseguenza
dell’elevata esposizione/accumulo di asbesto e non di degenerazione maligna delle placche.
Analogamente vi è, in portatori di PP, un aumento del rischio di asbestosi (Rogan 1987).
La presenza di PP può essere associata ad alterazioni della funzionalità respiratoria con deficit
ventilatorio di tipo restrittivo e ridotta capacità di diffusione alveolo-capillare (anche in assenza di
asbestosi evidente). Inoltre in circa la metà dei soggetti con PP (con funzionalità respiratoria nella
norma e senza asbestosi) si riscontra eccessiva dispnea in corso di esercizio (Miller 1993). Ciò può
essere causato da alterazioni della distensibilità (compliance) del polmone e/o della parete toracica
dovuta alle PP o essere espressione di ridotta compliance e alterazione del rapporto
ventilazione/perfusione causato da una fibrosi polmonare non evidente radiologicamente.
A fini di diagnosi differenziale va ricordato che placche isolate possono essere associate a
tubercolosi, traumi ed emotorace.
Ispessimenti pleurici diffusi
Si tratta di ispessimenti estesi della pleura viscerale di spessore variabile da 1 mm a oltre 1 cm,
spesso adesi alla pleura parietale ed associati a fibrosi, a volte con strie estese nel parenchima
polmonare adiacente. Ispessimenti di questo tipo sono stati riscontrati nel 9-22% dei soggetti con
PP. La loro prevalenza è correlata alla durata dell'esposizione e si ritiene essere dose-correlata. Il
livello di esposizione in questi casi è intermedio tra quanto osservato in portatori di PP e in soggetti
con asbestosi (Finkelstein 1985, Gibbs 1991, Stephens 1987).
Secondo la revisione del 2003 della classificazione delle pneumoconiosi dell'International Labor
Office (ILO 2003) si parla di ispessimenti pleurici diffusi solo in presenza di, e in continuità, con
l'obliterazione di un seno costo-frenico.
La presenza di ispessimenti pleurici diffusi caratteristicamente si associa ad alterazioni della
funzionalità respiratoria con deficit ventilatorio di tipo restrittivo.
23
Atelectasie rotonde
Sono lesioni rare e circoscritte che coinvolgono pleura e parenchima e che consistono in un
ispessimento della pleura viscerale, adesa alla parietale. L'atelectasia del parenchima sottostante è
radiologicamente individuabile come immagine rotondeggiante contigua al margine costale.
La diagnosi delle Lesioni Pleuriche Benigne (Morgan 1995, Rudd 2002, ATS 2004) si basa su:
-
anamnesi: positiva per esposizione ad asbesto; la presenza di reazioni pleuriche è più correlata
alla distanza dall'inizio dell'esposizione che all'entità della stessa. La latenza tra l'inizio
dell'esposizione e la comparsa è di almeno 10-15 anni. L'evoluzione é spesso caratterizzata da
un lento aumento di volume delle formazioni. In caso di versamenti l'evoluzione é spesso
caratterizzata dalla lunga durata degli stessi e da frequenti recidive dopo drenaggio.
-
quadro clinico: per lo più silente o paucisintomatico anche in presenza di versamenti.
-
esame radiologico: le placche pleuriche inizialmente sono per lo più localizzate in sede parietale
basale o in corrispondenza della porzione centrale del diaframma. L'evoluzione delle formazioni
é verso le aree centrali. In caso di versamenti pleurici, questi spesso hanno sede bilaterale; più
raramente sono monolaterali. L'esame radiologico standard del torace è uno strumento di
diagnosi sensibile ed appropriato. Il ricorso alla tomografia assiale computerizzata ad alta
risoluzione (HRCT) è da riservare a casi dubbi.
-
quadro funzionale: è dimostrato, e comunemente accettato, il fatto che in presenza di placche
pleuriche diffuse si possano riscontrare deficit funzionali di tipo restrittivo (Becklake 1976)
senza che vi siano sensibili riduzioni della diffusione alveolo-capillare. In questi casi si tratta
solitamente di Fibrosi Pleurica Diffusa (ispessimenti pleurici di spessore di almeno 5 mm estesi
ad almeno il 25% della parete toracica bilateralmente o obliterazione di entrambi i seni costofrenici).
Solitamente la presenza della sola pleuropatia benigna non associata ad asbestosi, senza danno
funzionale respiratorio evidenziabile ed in assenza di sintomi clinici veniva considerata come segno
di esposizione senza significato di affezione morbosa o quantomeno non era considerata affezione
cronica invalidante. Benché siano affezioni benigne, non necessariamente invalidanti e lentamente
progressive si ritiene attualmente di doverle considerare comunque come manifestazioni morbose
da amianto (Chiappino 1992): è pertanto da considerare superata la tendenza a valutare le
pleuropatie come semplici indicatori di pregressa esposizione ad amianto.
24
Meccanismi di cancerogenesi dell’amianto
Prima di entrare nel merito delle diverse patologie neoplastiche provocate dall’esposizione ad
amianto, riferiamo brevemente delle conoscenze sinora acquisite sui meccanismi di cancerogenicità
in generale e in particolare quelli delle fibre di asbesto.
Il processo di cancerogenesi si svolge con diversi 'passaggi' che portano da una cellula normale ad
una cellula maligna. Questi passaggi comprendono sia mutazioni genetiche sia stimoli alla
proliferazione cellulare. Per una rassegna si rinvia a Barrett (1992).
In cancerogenesi chimica l'orientamento attualmente prevalente è quello di superare l'antico
modello "a due stadi", nel quale l'iniziazione è una mutazione del DNA indotta da un agente
cancerogeno che viene successivamente trasmessa alle cellule figlie, mentre la promozione è il
processo per il quale la cellula iniziata va incontro alla trasformazione maligna per un'azione non
più diretta dal genoma, ma dovuta presumibilmente a stimolazione della proliferazione cellulare.
Allo stato attuale delle conoscenze si propende per un modello multistadio, affermatosi prima su
basi sperimentali e successivamente confermato sull'uomo. Esso è stato descritto per la prima volta
da Armitage e Doll (1954). Il modello multistadio fa ormai parte del bagaglio di conoscenze
generali sulla cancerogenesi (IARC 1992). In questo processo l'accumularsi di mutazioni in diversi
oncogeni (che si attivano) e anti-oncogeni (che si disattivano) risulta alla fine nella trasformazione
neoplastica, il tutto seguendo una serie di fasi successive note come Induzione (Iniziazione,
Promozione, Progressione) e Crescita.
Il processo di induzione comprende più stadi (iniziazione, promozione e progressione) e si conclude
quando il tumore è instaurato come tale (indotto), cioè è effettivamente presente con caratteristiche
biologiche di progressività ed irreversibilità.
Il processo è così ripartito:
Iniziazione: è l'alterazione genetica (modifica del DNA delle cellule bersaglio) trasmissibile a
cellule figlie determinata dall'azione di fattori potenzialmente cancerogeni. Si tratta di
un'alterazione che permane nella memoria genetica delle cellule. E' questo un passaggio necessario
alla trasformazione maligna, ma non sufficiente a causare il tumore se non interviene il successivo
processo di promozione. Può avvenire anche in tempi brevi (anche solo dell'ordine di giorni).
Promozione: consiste nella stimolazione della proliferazione delle cellule bersaglio ad opera di vari
fattori (anche di natura infiammatoria). E' un processo che richiede tempi lunghi, si svolge
25
progressivamente nel tempo, non è irreversibile, deve essere continuativa e comunque essere ripresa
dopo brevi intervalli.
Progressione: consiste nell'acquisizione di caratteristiche di crescita accelerata, capacità di
invasione e di metastatizzazione e sembra legata ad ulteriori mutazioni con comparsa di nuovi cloni
cellulari anomali, favoriti dall'instabilità genetica degli elementi in trasformazione neoplastica e
determinati dalla eterogeneità delle popolazioni cellulari del tumore.
L'evoluzione verso fasi di danno irreversibile è stimolata o inibita dall'azione di vari fattori:
attivazione di proto-oncogeni, effetto di geni onco-soppressori o la loro delezione, l'apoptosi o
“morte cellulare programmata”, la riparazione di DNA alterato o l'esaurimento di capacità
riparative. I Proto-oncogeni e i geni Onco-soppressori sono le due classi di geni implicate
nell’intricata sequenza di alterazioni che porta alla comparsa di un tumore. I proto-oncogeni
favoriscono la crescita dei tumori inducendo la produzione di proteine che traducono segnali
stimolanti la proliferazione dall’esterno verso l’interno della cellula. Una volta subita una
mutazione i proto-oncogeni possono divenire oncogeni attivi dando luogo alla codifica e alla
produzione in eccesso di proteine stimolatrici della crescita cellulare od a forme di queste ultime
eccessivamente attive. Ne consegue l’attivazione continua di un meccanismo che induce la
proliferazione cellulare che in condizioni normali dovrebbe essere silente o strettamente regolata. I
geni onco-soppressori, al contrario dei primi, contribuiscono alla crescita dei tumori quando
vengono inattivati da una mutazione. Essi codificano per proteine che veicolano messaggi verso il
nucleo per sopprimere alcune funzioni della cellula. Ad esempio è noto che in almeno la metà dei
tumori umani manca un tipo di proteina che inibisce la divisione cellulare, chiamata p53. Con la
perdita o l’inattivazione di un gene onco-soppressore viene sostanzialmente a mancare il freno che
previene una crescita inappropriata.
Oltre alle mutazioni geniche che alterano la proliferazione cellulare, perché possa svilupparsi un
tumore è necessario anche che vengano aggirati i meccanismi di difesa insiti nella cellula e che ne
inducono la morte (apoptosi) se vengono danneggiati componenti essenziali o vengono alterati in
maniera irreversibile i meccanismi di controllo della crescita.
Il modello multistadio prevede che ogni stadio abbia una sua probabilità di verificarsi, e che la
sequenza degli eventi sia fissa (Hayes & Vineis, 1989). Per alcuni autori è cruciale l'accumularsi
delle mutazioni cellulari, più che una loro sequenza fissa (Mossman et al., 1990). Giocano un ruolo
importante anche i meccanismi di riparazione del DNA (Dianzani 2006).
26
Crescita: la velocità con cui un tumore indotto si accresce dipende in larga misura dal tempo che
intercorre tra le successive divisioni cellulari (tempo di reduplicazione) che può essere dell'ordine di
giorni o di mesi e può variare a seconda del tipo di tumore. Secondo modelli aritmetici riportati su
trattati specialistici (Cotran 1999, Bonadonna 2000) e desunti soprattutto da studi su tumori
sperimentali come le leucemie murine, considerando un tempo medio di reduplicazione di 100
giorni sono necessarie 30 divisioni cellulari per formare un tumore composto da 1 miliardo di
cellule, del peso di 1 grammo e del diametro di 1 cm (stadio al di sotto del quale si conviene che un
tumore sia non diagnosticabile). Sono sufficienti altre 10 suddivisioni per raggiungere un massa del
peso di 1 kg (che viene considerata non più compatibile con la vita). Si stima che questo processo
richieda circa 11 anni. Nell'ipotesi teorica di una continuazione della crescita, dopo altri 100 giorni
la massa raggiungerebbe il peso di 2 kg. Questo modello matematico rappresenta ovviamente una
esemplificazione; altri fenomeni intervengono a modulare la crescita come, ad esempio le frazioni
di crescita, ovvero le proporzioni di cellule che si dividono, e la proporzione di cellule che
muoiono.
Va precisato che questo modello si adatta alla crescita dei tumori solidi umani solo nelle fasi
iniziali; nelle fasi più avanzate la crescita è più lenta.
Latenza propriamente detta : la latenza in senso proprio è il periodo che intercorre tra il
completamento dell'induzione e la manifestazione/diagnosi del tumore; il termine indica il periodo
in cui il tumore, ormai instauratosi come tale, rimane clinicamente occulto. Studi sulla storia
naturale del tumore polmonare (Geddes 1979, Corrin 2000) hanno fornito suggerimenti circa il
tempo di reduplicazione dei principali istotipi e quindi sul tempo intercorrente tra il completamento
dell'induzione ed il raggiungimento delle dimensioni diagnosticabili.
Istotipo
latenza (anni) stimata in base alla
velocità di duplicazione in colture
cellulari
Ca squamoso
8.4
Adenocarcinoma
15.4
Ca anaplastico a grandi cellule
8.2
Ca a piccole cellule
2.8
In pratica gli unici eventi concretamente identificabili sono però rappresentati dall'inizio
dell'esposizione (con il quale potrebbe coincidere l'iniziazione, ma non il completamento
27
dell'induzione e la fase iniziale della crescita) e la manifestazione/diagnosi della malattia. Si usa
pertanto abitualmente il concetto empirico di latenza convenzionale
Latenza convenzionale: è il periodo che intercorre tra l'inizio dell'esposizione (identificabile
anamnesticamente o documentata) e la manifestazione/diagnosi della neoplasia.
Tra le prime manifestazioni cliniche e la diagnosi passano in genere pochi mesi. Tra l'inizio
dell'esposizione e la manifestazione del tumore possono intercorrere molti anni. Il periodo di
latenza convenzionale è ovviamente più lungo del periodo di latenza propriamente detto in quanto
comprende anche il periodo di induzione.
Per quanto riguarda specificatamente la cancerogenesi da amianto, si è assistito negli ultimi venti
anni ad un’evoluzione costante delle conoscenze. Un volume sul meccanismo d’azione delle fibre,
edito dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità) nel 1996, rappresenta la rassegna delle conoscenze più esaustiva e sistematica, e ad
esso si farà principalmente riferimento ([Kane, 1996]. Come estesamente discusso da Kane e coll. è
nota da tempo l’importanza di parametri quali lunghezza e diametro delle fibre, disponibilità di
ferro sulla superficie delle fibre, assorbimento di molecole esogene cancerogene e non (ad es.
idrocarburi policiclici aromatici) o endogene (ad es. immunoglobuline), nonché dei meccanismi
sottesi alla biopersistenza delle fibre nel polmone, in particolare nei siti di drenaggio linfatico della
pleura parietale, nelle biforcazioni delle vie aeree e nelle aree di fibrosi.
Sulla base di una vasta mole di dati sperimentali possono essere proposte cinque ipotesi sui
meccanismi della cancerogenicità da fibre:
a) Le fibre catalizzano la formazione di radicali liberi che possono causare un danno di tipo
genotossico interagendo col DNA.
b) Le fibre interferiscono con il fuso mitotico alterando la migrazione dei cromosomi nelle due
cellule figlie durante la riproduzione cellulare. Questo può portare alla comparsa di cellule
polinucleate e ad alterazioni del numero di cromosomi per cellula.
c) Le fibre stimolano la proliferazione cellulare come risposta ad un’azione tossica, attraverso la
stimolazione di segnali intracellulari che favoriscano la mitosi, mediante l’espressione di proto-
28
oncogeni che determinano una persistente stimolazione alla crescita, tramite induzione di fattori
di crescita.
d) Le fibre provocano una reazione infiammatoria cronica che porta al rilascio di radicali liberi,
citochine e fattori di crescita del polmone. La persistenza delle fibre nell’interstizio polmonare o
nel tessuto connettivo subpleurico può portare ad una reazione infiammatoria cronica
accompagnata da fibrosi.
e) Le fibre hanno un ruolo di cocancerogenesi come veicolo di cancerogeni chimici (questo è
legato in particolare ai meccanismi di interazione fra amianto e fumo di sigaretta
nell’insorgenza del cancro polmonare).
In questo quadro, le fibre possono danneggiare direttamente o indirettamente le cellule, anche con
meccanismi di tipo genotossico, e/o stimolarne la proliferazione. La stimolazione cronica della
proliferazione cellulare può portare ad un’accumulazione di mutazioni spontanee, che conferiscono
vantaggi proliferativi a popolazioni cellulari pre-neoplastiche. La persistenza delle fibre nel
connettivo può innescare il rilascio cronico di citochine e fattori di crescita da parte di macrofagi
attivati, determinando uno stimolo continuativo alla crescita cellulare.
Conclusioni in relazione al quesito:
Esiste la concreta possibilità per le fibre di amianto di causare sia l'avvio del processo di
trasformazione maligna sia di fornire alle cellule un successivo stimolo proliferativo. I
meccanismi proposti per la cancerogenicità delle fibre rispetto all’induzione del mesotelioma e
del tumore polmonare attengono quindi sia alle fasi iniziali (iniziazione) che alle fasi finali
(promozione). Se l'amianto è un agente in grado di agire su diverse fasi del processo di
cancerogenesi, è verosimile quindi che il rischio aumenti con il protrarsi dell'esposizione e con
l'aumento dell'intensità di esposizione. Pertanto devono essere considerati efficaci gli effetti
cumulativi della persistenza nel tempo delle esposizioni. In particolare, esposizioni anche
successive a quella iniziale, possono avere un valore contributivo importante riguardo allo
sviluppo dei tumori.
29
Tumore Polmonare
Tumore polmonare ed esposizione ad asbesto
C’è evidenza scientifica che le fibre di asbesto sono genotossiche, clastogeniche e mutagene e che
questi effetti possono portare all’attivazione di oncogeni e a disregolazione cellulari indotte da
citochine (Hillerdal 1997).
È noto dagli anni '40 (Wedler 1943) che vi è un eccesso di rischio di tumore del polmone tra i
lavoratori esposti ad asbesto e tale evidenza si è andata consolidando nel corso degli anni (Doll,
1955; Becklake 1976, Cotes 1992, Doll 1985).
All'asbesto, sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche (Mossman 1981, 1987,
Craighead 1982), viene attribuito un importante ruolo come fattore promovente il processo di
carcinogenesi. L'asbesto agisce quindi stimolando cronicamente la proliferazione di cellule già
iniziate (portatrici di alterazioni trasmissibili del DNA) aumentando la probabilità di ulteriori
mutazioni delle cellule proliferanti. I fattori inizianti potrebbero essere di varia natura,
fondamentalmente chimici ma anche fisici e virali. A conferma dell'importanza dell'azione
promovente dell’asbesto vi è il risultato di alcuni studi (Walker 1984, Sandem 1992) in cui, in
esposti a crisotilo, il rischio relativo potrebbe ridursi progressivamente dopo la cessata esposizione
per portarsi, dopo molti anni, al livello osservabile nella popolazione generale.
Tale azione fa si che l'effetto cancerogeno dell'asbesto sia cumulativo. Come riportato da autorevoli
fonti (INSERM 1997, Boffetta 1998) molti studi di coorte forniscono dettagli sufficienti per una
valutazione quantitativa del rischio di cancro del polmone in base all'azione cumulativa.
Relativamente al tumore polmonare non sussistono dubbi relativamente all'esistenza di una
relazione dose risposta tra rischio di neoplasia e dose cumulativa (Scansetti, 1985). In particolare
Boffetta (1998) propone una relazione dose-risposta fra esposizione ad amianto e cancro polmonare
con andamento lineare e senza soglia in cui l’aumento del rischio dipende da una costante di
proporzionalità specifica per tipo di fibra e industria in cui l’amianto è utilizzato.
In altre parole, alla luce di quanto sopra, il rischio aumenta in modo proporzionale
all'intensità dell'esposizione moltiplicata per gli anni di esposizione lavorativa. Pertanto in
caso di idonee esposizione successive, tutte devono essere considerate efficientemente
concorrenti in quanto l'effetto cumulativo aumenta il rischio, ovvero la probabilità del
completamento del processo di induzione.
30
Vengono qui di seguito approfonditi vari aspetti importanti al fine di meglio comprendere le
caratteristiche dell’associazione tra esposizione professionale ad asbesto ed insorgenza del tumore
polmonare.
Tipologia qualitativa di esposizione e Cancro polmonare
Il potere cancerogeno è diverso a secondo del tipo di asbesto considerato e risulta maggiore per gli
anfiboli (crocidolite, amosite, tremolite) e le più discusse evidenze riguardano il crisotilo. La
differenza tra le diverse fibre è meno evidente per il carcinoma che per il mesotelioma. Nel
complesso l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC 1973, 1977, 1984, 1987),
classifica tutti i tipi di asbesto tra i sicuri cancerogeni umani. Più in dettaglio riporta quanto segue
”l'esposizione occupazionale agli asbesti crisotilo, amosite, antofillite, e alle miscele contenenti
crocidolite risulta in un aumentato rischio di carcinoma del polmone così come l'esposizione a
minerali contenenti tremolite, actinolite e a materiale tremolitico commisto con antofillite e piccole
quantità di crisotilo”.
Relativamente al crisotilo, in una recente revisione sugli effetti dell'esposizione a tale materiale
(Landrigan, 1999), si conclude che “.... è un materiale estremamente pericoloso. Studi clinici ed
epidemiologici hanno dimostrato incontrovertibilmente che il crisotilo causa il cancro del polmone,
il mesotelioma pleurico e peritoneale, il cancro della laringe........”. L’argomento è oggetto di
dibattito scientifico, anche in relazione all’evidenza fornita da studi recenti ma è di limitato
interesse per questa consulenza, dato che i lavoratori erano esposti a miscela di amianto contenente
tra il 10% ed il 30% di anfibolo.
Va infine rilevato il fatto che nella realtà il crisotilo è quasi universalmente contaminato da anfiboli
(in particolare da tremolite) e risulta perciò assai pertinente quanto affermato da Hyers (1992) circa
il fatto che "ogni argomento che tenti di separare la carcinogenicità del crisotilo da quella degli
anfiboli ignora il fatto che la maggior parte degli asbesti commerciali contiene i due tipi di fibre".
Livelli di esposizione ad asbesto e tumore polmonare
Per il carcinoma del polmone, è stata proposta una soglia di esposizione cumulativa praticamente
sovrapponibile a quella per l’asbestosi (25 fibre/ml/anni). Secondo alcuni autori al di sotto di tale
livello non si verificherebbe un aumento del rischio relativo di carcinoma del polmone
(Browne,1986, 1995). Invece, secondo il Consensus Report di Helsinki (1997), benché tale
esposizione cumulativa raddoppi il rischio, anche esposizioni più basse sono associate, per quanto
in minor grado, con un aumento del rischio. L'accertata linearità della relazione dose e rischio non
31
dimostra una soglia (Doll e Peto 1985, Boffetta 1998). Pertanto anche in presenza di basse
esposizioni non può essere escluso del tutto un effetto dell'esposizione ad asbesto nell'induzione del
tumore polmonare.
Latenza
Per i carcinomi polmonari da amianto i limiti superiori del “range” della latenza convenzionale
(periodo che va dall’inizio dell’esposizione alla manifestazione/diagnosi del tumore) sono stati
indicati raggiungere parecchi decenni, fino a 30-50 anni (Kobzik 1995, Cagle, 1995). Per quanto
riguarda la latenza convenzionale minima, i 19 esperti riunitisi ad Helsinki nel 1997 (Consensus
Report 1997) hanno stabilito che, per l’attribuzione di un carcinoma del polmone all’asbesto, il
tempo minimo dall’inizio dell’esposizione dovrebbe essere di 10 anni.
La maggior parte degli studi che hanno preso in considerazione il problema dose-risposta ha
evidenziato un rapporto approssimativamente lineare tra livelli di rischio e dosi cumulative di
esposizione ad asbesto. Gli intervalli di tempo intercorrenti tra inizio esposizione e diagnosi di
tumore sono in genere superiori a 15-20 anni.
Asbesto e tipologia di tumore polmonare
Circa i rapporti tra aspetti istologici del tumorale ed esposizione ad asbesto l'orientamento generale
emerso da studi condotti negli anni ‘80 e ‘90 è che tutti i quattro maggiori istotipi di tumore
polmonare sono rappresentati negli esposti ad asbesto (Churg 1998). In alcune casistiche si è notato
aumento della frequenza di adenocarcinomi negli esposti ad asbesto ma non si tratta di osservazioni
generalizzabili in quanto non confermate da studi successivi (Mollo 1990; Mollo, 1995).
In definitiva sull'argomento vale quanto affermato da Churg et al. (1998): “come regola generale,
nessun aspetto patologico permette….di concludere che un'esposizione occupazionale ha provocato
un particolare tumore”. Altro aspetto rilevante riguarda il fatto che “ i carcinomi bronchiali che
sono stati associati con esposizioni occupazionali coprono l'intero arco degli istotipi osservati nella
popolazione non esposta. Presumibilmente ciò è dovuto al fatto che le cellule bersaglio hanno una
limitata gamma di espressioni neoplastiche quando vengono a contatto con un insulto cancerogeno,
sia questo il fumo di tabacco o un carcinogeno occupazionale” (Harrington 1995).
Quindi si considera irrilevante la valutazione dell'istotipo al fine di stabilire connessioni tra tumore
polmonare ed esposizione professionale ad asbesto.
Relativamente alla sede di insorgenza del tumore non sembra esservi differenza tra forme a
localizzazione centrale e periferica tra soggetti esposti ad asbesto in confronto a non esposti (Churg
1998).
32
Carcinoma polmonare ed asbestosi
In letteratura è dimostrata una solida associazione tra asbestosi e tumore polmonare (Parkes 1982,
Cotes 1987 e 1995, Morgan e Seaton 1995 ….riportati circa 400 lavori sull'argomento).
C’è generale accordo che l’asbestosi (radiologicamente o istologicamente evidente) sia associata
con un significativo aumento del rischio di tumore del polmone. A tal riguardo Churg (1998)
afferma che “quando l’asbestosi è dimostrata dal punto di vista patologico o radiologico il
carcinoma dovrebbe esser riferito all'esposizione ad asbesto: questa pratica è del tutto in accordo
con i dati esistenti”.
Si ritiene pertanto che un carcinoma del polmone insorto in un individuo con asbestosi sia riferibile
all'esposizione ad amianto con legame quanto meno concausale.
È peraltro tuttora aperto il dibattito su quali siano i fattori di rischio implicati in questo fenomeno e
su quale sia il ruolo svolto dall’asbesto nei processi di genesi del tumore polmonare, se cioè,
l’asbestosi sia da interpretare come un indicatore di intensa esposizione o se invece la fibrosi
interstiziale che caratterizza l’asbestosi sia un precursore obbligato del tumore polmonare.
A tal riguardano si “fronteggiano “ tre diverse ipotesi:
-
il carcinoma dipende dalla fibrosi polmonare
-
il carcinoma è causato dall'amianto inalato in dose tale da poter causare l’asbestosi
indipendentemente dal riconoscimento della fibrosi polmonare (il fattore determinante è l’entità
dell’esposizione).
-
il carcinoma polmonare dipende dall'amianto: è sufficiente una esposizione cronologicamente
idonea.
L'ipotesi 1 si fonda soprattutto su studi di coorti di lavoratori esposti da cui emergeva aumento del
rischio di tumore polmonare solo in soggetti con asbestosi. In uno degli studi più citati (SluisCremer 1989) su una casistica autoptica su minatori del Sud Africa risultò assenza di significativo
aumento di carcinoma del polmone in assenza di asbestosi e aumento del rischio in correlazione alla
gravità dell'asbestosi, laddove presente. Risultati simili sono stati riportati da Hughes nel 1991.
Studi successivi e con maggiore potenza statistica hanno dimostrato un aumento del rischio di
asbesto tra i lavoratori esposti anche in assenza di asbestosi clinica (Roggli 2000). Analoghe
conclusioni sono state raggiunte con diversi altri studi basati su varie impostazioni metodologiche
(Wilkinson 1995, Egilman 1996, De Klerk 1996, Filkenstein 1997, Hillerdal 1997).
In una revisione della letteratura sull'argomento (Billings 2000) si conclude che è dimostrato che il
rischio di cancro del polmone negli esposti ad asbesto è aumentato sia in presenza che in assenza di
asbestosi.
33
Un ulteriore elemento di riflessione proposto da BOHS (1968) e Berry (1979) riguarda il fatto che
in lavoratori fortemente esposti ad asbesto si rileva una incidenza di asbestosi radiologicamente
evidente pari all'1% circa mentre l’incidenza cumulativa di carcinoma nei lavoratori esposti è stata
stimata intorno al 20% circa. Sembra pertanto che il rischio di carcinoma negli esposti sia superiore
al rischio di asbestosi.
Henderson e al. (1997), circa le relazioni tra asbesto e tumore polmonare, riportano le seguenti
considerazioni:
-
v’è generale accordo sul fatto che l'asbestosi istologica o radiologica è associata con un
significativo aumento di cancro polmonare anche se il disaccordo continua circa la questione se
l'asbestosi sia principalmente indicatore di esposizione ad alta dose o sia un precursore
obbligatorio per lo sviluppo del cancro polmonare;
-
la letteratura suggerisce che la capacità carcinogena e la capacità fibrogenica sono distinte, o
differenti risposte biologiche alle fibre d'asbesto;
-
è provato che le fibre di asbesto sono genotossiche, clastogeniche e mutagene e che questi effetti
(possibilmente mediati da radicali liberi e forse coadiuvati da citochine) possono portare
all’attivazione di oncogeni ed a sregolazione da citochine;
-
v’è una sostanziale modificazione dell'equilibrio delle prove a favore dell'affermazione che è il
carico di fibre di asbesto nei tessuti polmonari il maggiore determinante, anche se non il solo,
del meccanismo di carcinogenesi polmonare.
Alla luce di quanto sopra è ragionevole affermare che in presenza di asbestosi il tumore del
polmone sia da ascrivere all'esposizione professionale ad asbesto. Tale riferibilità va inoltre
accettata in caso di idonea esposizione professionale anche in assenza di asbestosi.
Nel recente trattato di Corrin e Nicholson (2006) la questione è sintetizzata sulla base dei Criteri
di Helsinki fondati sull’accertamento di consistente esposizione. Per l’attribuzione di un
carcinoma del polmone all’asbesto si richiede:
1) l’asbestosi, diagnosticata clinicamente, radiologicamente o istologicamente
oppure
un conteggio minimo, per grammo di peso secco, di 5.000 corpuscoli dell’asbesto, o di
2.000.000 di fibre anfiboliche più lunghe di 5 μm, o di 5.000.000 di fibre anfiboliche più lunghe
di 1 μm;
oppure
una stima di esposizione cumulativa pari ad almeno 25 fibre/ml/anni;
34
oppure
una storia occupazionale di 1 anno di pesante esposizione, o di 5-10 anni di moderata
esposizione;
2) una latenza minima di 10 anni dall’inizio dell’esposizione
Sinergismo d'azione tra fumo di tabacco e asbesto
Sotto il profilo epidemiologico fin dagli anni ‘60 (Selikoff 1968, 1980, Hammond 1979) si
evidenziarono marcati incrementi di rischio tra i fumatori esposti ad asbesto rispetto ai fumatori non
esposti. Questa interazione tra asbesto e fumo è stata successivamente confermata in molti studi.
Vainio e Boffetta (1994) evidenziarono il fatto che asbesto e fumo sono carcinogeni complessi e
che agiscono in varie fasi del processo di carcinogenesi. L’effetto combinato dipende dalla relativa
entità di ognuno dei due fattori ad ogni step del processo. Secondo questo modello a più stadi fumo
e asbesto agiscono in diverse fasi con una interazione di tipo moltiplicativo.
L'effetto statistico di tipo moltiplicativo è considerato come tipico di cancerogeni ciascuno dotato di
capacità d'azione in diversi stadi del processo di carcinogenesi (come nel caso di fumo e amianto)
(Vainio e Boffetta 1994). Fumo e amianto possono essere fattori concausali non obbligati (Thomas
1982) in quanto si può avere eccesso di rischio di tumore del polmone sia in fumatori non esposti ad
asbesto che in esposti ad asbesto non fumatori.
Sono stati proposti vari possibili meccanismi di interazione tra asbesto e fumo di sigaretta, i
principali dei quali sono (Henderson 1997):
-
il fumo di tabacco e l'asbesto interagiscono in modo sinergico nell'induzione del cancro
polmonare e la sinergia in molti studi si avvicina al modello moltiplicativo;
-
il fumo di tabacco può interferire con la rimozione dell’asbesto dai polmoni: sono state infatti
notate (Churg 1998) maggiori concentrazioni di asbesto, in particolare di fibre corte, nelle vie
aeree di soggetti fumatori rispetto ai non fumatori esposti ad amosite (6 volte) e a crisotilo (50
volte) mentre tali differenze non si sono notate o si sono notate in misura molto ridotta nei
tessuti polmonari.
-
il tabacco può facilitare la penetrazione delle fibre di asbesto nelle pareti bronchiali.
-
sostanze cancerogene presenti nel fumo di sigaretta possono essere adsorbite dalle fibre di
asbesto: in particolare è stato dimostrato che crisotilo e crocidolite facilitano il trasporto e la
ritenzione cellulare del Benzo-a-pirene. (Eastman, 1983)
-
acidi grassi liberi del tabacco possono trasferire ferro dalle fibre di crocidolite ed amosite nelle
35
membrane cellulari, con aumento della sensibilità cellulare ad ossidanti quali le specie attive
dell'ossigeno.
In una metanalisi degli studi sull'argomento (Lee, 2001) si conclude che “ le prove indicano
chiaramente che, purché l'esposizione sia sufficiente ad aumentare il rischio della popolazione
totale e siano studiati abbastanza non fumatori, può essere dimostrato un aumentato rischio di
carcinoma del polmone nei non fumatori esposti ad asbesto. La grandezza dell'aumento dipende dal
grado e dalla natura dell'esposizione”.
In caso di esposizione ad entrambi i fattori di rischio è oramai consolidata l'evidenza scientifica di
un potenziamento reciproco di azione con modello moltiplicativo o comunque più che additivo.
Tumore polmonare ed esposizione ad asbesto - Criteri di Nesso di causalità
Alla luce di quanto esposto nei paragrafi precedenti deve essere riconosciuto con elevato
grado di probabilità logica un nesso causale tra tumore primitivo del polmone ed
esposizione ad asbesto nelle seguenti situazioni:
1. In soggetti non fumatori in presenza di asbestosi (radiologicamente o istologicamente
evidente) o di documentata elevata esposizione ad asbesto (vedi criteri)
2. In soggetti fumatori, anche in assenza di evidenza di asbestosi e in presenza di
esposizione documentata ma anche di minore intensità e durata. Il fumo di sigaretta va
considerato cofattore nella genesi del tumore polmonare o concausa: in un soggetto
fumatore esposto, se è verisimile che la neoplasia avrebbe potuto insorgere anche in
assenza di esposizione lavorativa, vi è evidenza che l’esposizione ad amianto con elevato
grado di probabilità logica, aumenta significativamente il rischio e riduce i tempi di
latenza.
Prerequisito necessario è, in ogni caso, un congruo periodo di latenza tra inizio dell’esposizione e
insorgenza della neoplasia (indicativamente superiore a 15 anni).
36
Mesotelioma Maligno
Il Mesotelioma Maligno è un tumore delle sierose. Può essere di tipo epiteliale (tubulo-papillare,
epitelioide, adenomatoide, desmoplastico), sarcomatoso (fibrosarcomatoso, desmoplastico) o misto.
Questo tumore insorge più frequentemente a livello pleurico ma può manifestarsi in altre sedi in cui
è presente tessuto mesoteliale: in particolare peritoneo, pericardio, tunica vaginale del testicolo.
Eziologia ed aspetti epidemiologici
L’amianto è considerato oggi il fattore di rischio prioritario per lo sviluppo del mesotelioma; nei
confronti di tale patologia agisce come cancerogeno completo (Churg, 1985), in quanto dotato di
azione sia iniziante che promovente.
Una revisione della vecchia letteratura e degli archivi del Massachusetts General Hospital a
cominciare dal 1896 ha portato ad affermare la “mancanza di prove” che indicassero una
significativa incidenza di base del mesotelioma maligno prima della diffusione dell’uso
commerciale dell’amianto (Mark 1991). Il rapporto tra l’insorgenza del tumore e l’esposizione
all’asbesto è stato considerato così stretto da considerare la neoplasia come “evento sentinella” di
tale esposizione (Mullan 1991).
Negli studi epidemiologici la frequenza con la quale è stata riportata una pregressa esposizione
all’amianto tra gli ammalati di mesotelioma maligno dipende dalle caratteristiche della popolazione
esaminata, e soprattutto dalla esaustività dell’indagine anamnestica. Le percentuali di esposizione
riferite in letteratura variano tra il 60% e l’88% (Orenstein 2000). Il rischio attribuibile all’amianto,
in una ampia casistica statunitense di mesoteliomi maligni della pleura, è risultato pari all’88%
(Spirtas 1994). In Italia, in un gruppo di 654 mesoteliomi maligni della pleura raccolti da 8 gruppi
di indagine, interviste mirate hanno accertato esposizione professionale all’amianto nell’82% dei
casi (Merler 1992). Nel periodo 1993-96, secondo i dati raccolti da 5 Centri Operativi Regionali e
conferiti all’ISPESL (Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza del Lavoro), su 438 casi con
diagnosi istologica il 66,4% erano di definita origine professionale, il 9,1% da imputare ad
esposizioni ambientali, il 3,9% causati da esposizioni domestiche (Nesti 2001): complessivamente,
il 79,4% erano riferibili all’amianto.
Analoghe prevalenze di esposizione ad amianto si osservano in studi condotti in altri paesi. Ad
esempio, tra i casi del Registro Tedesco dei Mesoteliomi, circa il 90% sono stati accertati come
riferibili all’amianto (Krismann 2004).
E’ ormai documentato un aumento del rischio di mesotelioma anche in conseguenza di esposizione
ad amianto di tipo ambientale (Hansen 1998, Magnani et al 2000 e 2001) e domestica (Howel 1997,
37
Bourdes e Boffetta 2000; Magnani et al 1993, 2000 e 2001).
In sintesi si può stimare, da un punto di vista generale, che è abituale riconoscere una associazione
con l’amianto in gran parte dei casi di mesotelioma. Osservano Motley et al. nel recente trattato di
Roggli, Oury e Sporn (2004 ): “con più approfondite ricerche, esposizione all’asbesto può quasi
sempre essere scoperta nello studio di un mesotelioma a fini processuali”.
L’evidenza relativa a possibili altri fattori di rischio per il mesotelioma, diversi dall’esposizione a
fibre di amianto, è limitata. E’ nota l'insorgenza di mesoteliomi in esposti ad altri materiali fibrosi
con struttura simile agli amianti anfibolici, quali erionite, un minerale non facente parte della
famiglia dell'asbesto (Rhol 1982, Baris 1987, Emri 1999) e fluoroedenite (Comba et al, 2003). Sono
segnalati alcuni casi nella letteratura internazionale dopo irradiazione del torace per il trattamento di
linfoma di Hodgkin o altre neoplasie (Hillerdal, 1999).
Alcuni autori hanno sostenuto un ruolo dei fattori genetici e della familiarità, in particolare nel caso
dell’epidemia di mesotelioma conseguente ad esposizione ad erionite (Roushdy-Hammadi 2001) ma
tale ipotesi non sembra convincente rispetto alla più semplice ipotesi di comune esposizione
domestica o ambientale (Saracci e Simonato, 2001, Ascoli et al. 2001).
Ipotesi che riconoscevano un'origine virale (virus SV40) nella genesi di mesoteliomi, proposte da
alcuni autori (Carbone 1994, Pepper 1996), non sono state confermate da studi successivi (Strickler
1996, Mulatero 1999, Emri 1999, Lopez-Rios 2004). L’argomento non è ancora definito dal punto
di vista della ricerca scientifica ma comunque non costituisce una spiegazione del rischio di
mesotelioma tra gli esposti ad amianto (Magnani 2005).
Mesotelioma e livelli di esposizione ad amianto
Nelle popolazioni generali (comprendenti soggetti professionalmente esposti) l’incidenza 2 del
mesotelioma varia con la dispersione ambientale ad asbesto e col numero di lavoratori: in Italia è
stimata a 2,17/100.000 nei maschi e 0,67/100.000 nelle femmine (Vercelli 1992)
In popolazioni in cui non esiste esposizione professionale l’incidenza é stimata pari a 0,10,2/100.000 (Peto 1981, McDonald 1993; McDonald 1996)
In lavoratori professionalmente esposti ad alte dosi l’incidenza cumulativa può raggiungere il 10%
dei decessi: il rischio relativo é nell’ordine dei 1000; la frazione eziologica tra gli esposti (cioè la
2
incidenza: numero di casi di malattia di nuova diagnosi in un anno in rapporto al numero di soggetti della popolazione
in cui questi si verificano (in queso caso 100.000 persone.
38
quota di tumori dovuta ad asbesto tra gli esposti) é praticamente pari al 100%. (Kobzich 1995,
Spirtas 1994).
E' stato più volte suggerito che il mesotelioma pleurico possa insorgere anche a seguito di
esposizioni ad asbesto di modesta entità (occasionale o extralavorativa) nel lontano passato
(particolarmente durante l'infanzia): l'evidenza patologica e quella epidemiologica mostrano che
esiste comunque una relazione dose/risposta (Peto 1979, 1982, 1995): il rischio tende ad aumentare
con la durata e l’intensità dell'esposizione. La malattia si svilupperebbe in individui esposti a dosi
significativamente minori di quelle richieste per lo sviluppo della fibrosi polmonare; il caso tipico è
quello di mogli di lavoratori dell’industria dell’amianto che ne lavavano i vestiti da lavoro (Peto
1979, Vianna 1978, Magnani 1993) o soggetti abitanti in zone limitrofe a miniere, a fabbriche di
asbesto, a fabbriche tessili o di cemento amianto, a cave, abitanti di centri urbani con alta
concentrazione di cantieri navali, etc. (Koike 1992, Magnani 1995, 2000 e 2001).
In conclusione, relativamente al mesotelioma esiste evidenza scientifica che documenta
l'incremento del rischio di contrarre la malattia con l'aumento dell'esposizione. (Scansetti, 1985).
Esaminiamo dapprima i singoli studi e quindi le formule proposte per mettere in relazione il rischio
di malattia con le caratteristiche dell'esposizione. Le prime indicazioni di una relazione dose
risposta per il mesotelioma risalgono agli anni '70.
Studi di coorte
I dati di Newhouse and Berry dimostrano un raddoppio dell'incidenza di mesotelioma per gli
uomini che avevano avuto esposizione elevata ad amianto rispetto a quelli che avevano avuto
esposizione modesta o lieve (Newhouse 1976). Diversi altri studi di coorte sono successivamente
giunti alla medesima conclusione (Dement 1983; McDonald 1982; Finkelstein 1985).
Doll e Peto (1985) formularono sulla base delle osservazioni raccolte sui lavoratori inclusi in uno
studio di coorte una stima della variazione del rischio in relazione a latenza, durata ed intensità di
esposizione. In particolare stimarono che l'incidenza di mesotelioma è proporzionale all'intensità di
esposizione moltiplicata per una costante e per la quarta potenza del tempo dall'inizio
dell'esposizione. La formula che proposero ha avuto un'ampia diffusione e verrà discussa nei
prossimi paragrafi.
Studi con la stima della concentrazione di fibre di amianto nel polmone
Un particolare contributo è stato fornito dalle pubblicazioni sulla relazione tra la concentrazione di
fibre di amianto nel polmone ed il mesotelioma. Rogers et al. (1991) hanno documentato un
39
aumento del rischio di mesotelioma con l’aumento del carico polmonare di fibre di amianto con uno
studio caso-controllo che ha incluso 221 casi di mesotelioma e 359 controlli appaiati per età e sesso.
Per la valutazione del carico polmonare di fibre è stata condotta un'analisi con esame in microscopia
elettronica a trasmissione (TEM) di un'aliquota di tessuto polmonare non interessato dalla
neoplasia. I metodi analitici applicati erano corretti e non sono stati oggetto di critica
successivamente alla pubblicazione del lavoro. Tutti i risultati erano coerenti nell'indicare un forte
aumento del rischio di mesotelioma con l'aumento della concentrazione di fibre di amianto, sia che
si trattasse di fibre con lunghezza superiore a 10 micron sia di fibre più corte. Inoltre l'incremento
del rischio si osservava per tutti i tipi di amianto, compreso il crisotilo.
Albin et al (1990) hanno documentato la relazione dose risposta tra esposizione ad amianto e
frequenza di mesotelioma maligno, relazione che si osserva tenendo conto sia della durata di
esposizione sia della dose cumulativa. E' stata analizzata la concentrazione di fibre di amianto nel
tessuto polmonare di 172 persone, di cui 96 controlli, 69 lavoratori del cemento amianto deceduti
per varie cause e 7 lavoratori del cemento amianto deceduti per mesotelioma. In sintesi, si è
osservato che i casi di mesotelioma avevano una concentrazione di fibre di amianto nei polmoni
superiore a quella dei lavoratori del cemento amianto deceduti per altre cause. Questi ultimi
presentavano a loro volta concentrazione superiore a quella osservata per i controlli. La
concentrazione di fibre era strettamente correlata alla durata di esposizione in entrambi i gruppi.
Rodelsperger et al. hanno osservato, in uno studio condotto su 66 casi e 66 controlli, un analogo
risultato, con aumento del rischio di mesotelioma all'aumentare della concentrazione di fibre di
amianto nel polmone. Tale risultato è stato più evidente nel caso di esposizione ad anfiboli
(Rodelsperer 1999).
McDonald et al. (2001) hanno valutato la variazione del rischio di mesotelioma in individui sotto i
50 anni, in relazione alla concentrazione di fibre di amianto nel tessuto polmonare. Il loro studio ha
compreso 69 casi e 57 controlli per cui è stata misurata la concentrazione di fibre di amianto in
campioni di tessuto polmonare non interessato dalla neoplasia. Anche in questo studio le fibre di
amianto sono state misurate con il microscopio elettronico a trasmissione (TEM). Lo studio ha
evidenziato un aumento statisticamente significativo del rischio di mesotelioma maligno con
l'aumento della concentrazione delle fibre di amianto.
Studi caso-controllo con la stima dell'esposizione in base ad interviste
I risultati degli studi condotti usando quale indicatore di esposizione la concentrazione di fibre di
amianto nel tessuto polmonare sono analoghi a quelli degli studi condotti con la stima
dell'esposizione ad amianto sulla base di informazioni anamnestiche. Qui vengono riferiti solo gli
40
studi principali tra quelli di quest'ultimo tipo.
Iwatsubo et al (1998) hanno condotto uno studio caso controllo con 405 casi e 387 controlli.
Ciascuno è stato sottoposto ad un'intervista sulla storia professionale e sulle caratteristiche
dell'attività svolta. Un esperto igienista industriale ha stimato intensità e durata di esposizione. Lo
studio ha osservato un aumento del rischio di mesotelioma con l’aumento dell’intensità e della
durata di esposizione ad amianto. Il trend si osserva sia per l'esposizione intermittente sia per quella
continua ma è più marcato per l'esposizione continua. Lo studio di Iwatsubo et al. non ha osservato
un gradiente del rischio con latenza ed età all'inizio dell'esposizione e quindi non viene a sostegno
della teoria della dose scatenante.
Rodelsperger et al (2001) hanno osservato un aumento del rischio di mesotelioma con l’aumento
dell’intensità di esposizione ad amianto stimata sulla base di interviste. Lo studio ha considerato
125 casi e 125 controlli appaiati. Ciascuno è stato sottoposto ad un'intervista sulla storia
professionale e sulle caratteristiche dell'attività svolta. Un esperto igienista industriale ha stimato
intensità e durata di esposizione. Si è osservato un incremento del rischio di mesotelioma in
relazione sia all'aumento della durata dell'esposizione sia alla dose di esposizione cumulativa.
In conclusione, l'evidenza scientifica attuale, fondata su indagini condotte in diversi paesi
europei e nordamericani, condotte dai maggiori ricercatori sull'argomento e con l'uso di
diverse tecniche per la stima dell'esposizione, depone in modo chiaro e coerente per una
relazione dose risposta tra rischio di mesotelioma ed esposizione ad amianto.
Il modello matematico proposto da Doll e Peto
In base ai risultati di studi epidemiologici su coorti di lavoratori, Doll e Peto (1985) hanno
formulato il seguente modello matematico che mette in relazione l’incidenza di mesotelioma con
età, esposizione ed intervalli dall'inizio e dalla fine dell'esposizione.
I(t) = K * E * [(t-t1)beta -(t-t2)beta]
I(t) indica l’incidenza di mesotelioma al tempo t (anni) dall’inizio dell’esposizione. Si preferisce
utilizzare l'incidenza invece che il rischio relativo data la rarità della malattia tra i non esposti, che
renderebbe instabile la stima del Rischio Relativo.;
E indica l’intensità di esposizione (f/ml);
K è una costante che indica il tipo di amianto;
t è l'età a cui viene misurata l'incidenza;
t1 è il tempo di latenza;
41
t2 è il tempo dalla cessazione dell'esposizione;
beta è l'esponente a cui elevare latenza e tempo dalla cessazione.
Secondo questo modello il rischio di mesotelioma all'età t [I(t)] è proporzionale alla esposizione
media (E), ad una costante (K) specifica per il tipo di azienda e di amianto e ad una funzione del
tempo [(t-t1)beta -(t-t2)beta].
La funzione del tempo vede le componenti latenza e tempo dalla fine dell'esposizione, entrambe
elevate ad un coefficiente (beta) che viene stimato con valore tra 3 e 4.
Doll e Peto sottolineano come la formula corrisponda ad un incremento della frequenza di malattia
in relazione lineare con l'intensità media di esposizione ed in relazione esponenziale con il tempo.
Boffetta (1989) ha presentato una revisione del modello, secondo la quale il rischio di mesotelioma
all'età t (I(t)) è proporzionale alla esposizione media (E), ad una potenza (beta) del tempo (t-t°) e ad
una costante (K) specifica per il tipo di azienda e di amianto.
Im (t) = Km E (t-t0)β
Ancora in tema di ruolo dei livelli di esposizione è stato suggerito (Browne 1995) che un possibile
effetto della dose sia quello di ridurre i tempi di latenza dell'insorgenza del tumore.
In tema di basse esposizioni è stato da tempo e ripetutamente affermato il rischio di mesotelioma
aumenta già con esposizioni molto lievi e brevi, senza con questo voler contraddire la relazione
dose risposta precedentemente sottolineata (Bertazzi 1985; Scansetti 1985; De Vos Irvine 1993). E'
stata suggerita per gli anfiboli una soglia “nella regione” delle 5 fibre/ml di aria/anni (Browne,
1991), ma secondo un'ampia indagine epidemiologica condotta in Francia (Iwatsubo 1998) “un
significativo eccesso di mesoteliomi è stato osservato per livelli di esposizione cumulativa
parecchio al di sotto dei limiti adottati in molti paesi industriali negli anni ‘80”: i risultati di questi
autori indicavano che “casi di mesotelioma erano occorsi al di sotto di una esposizione cumulativa
di 5f/ml/anni e forse al di sotto di 0,5/f/ml/anni.
E’ importante ricordare infine che ancora oggi, come già osservavano Doll e Peto nel 1985, “non
v’è prova di un livello soglia al di sotto del quale non vi sia rischio di mesotelioma” (Hillerdal,
1999). E concludono Hodgson e Darnton (2000): “Il tentativo (Illgren e Browne, 1991) di dedurre
una “soglia” dall’identificazione della più bassa dose stimata esser stata ricevuta da qualunque
caso osservato è un nonsenso logico. Inoltre, l’esistenza di zero casi in una categoria di dose
42
(umana o animale) non dovrebbe essere automaticamente interpretata come rischio zero. La diretta
conferma di una soglia in base ai dati umani è virtualmente impossibile”.
Mesotelioma e tipo di esposizione ad asbesto
Tra i vari tipi di amianto gli anfiboli sono stati considerati più dannosi del crisotilo soprattutto in
riferimento al mesotelioma. Tuttavia deve essere sottolineato che tutti gli amianti commerciali sono
da considerare cancerogeni secondo l’autorevole giudizio della IARC (1987): “mesoteliomi sono
stati osservati dopo esposizione occupazionale a crocidolite, amosite, materiale tremolitico e
crisotilo”. Si deve inoltre tenere conto del fatto che le fibre di crisotilo sono “quasi
universalmente” contaminate dall’anfibolo tremolite, e “ogni argomento che tenti di separare la
carcinogeneticità del crisotilo da quella degli anfiboli ignora il fatto che la maggior parte degli
asbesti commerciali contiene i due tipi di fibre” (Hyers 1992). L’argomento del rischio di
mesotelioma associato con l’esposizione a crisotilo è di notevole interesse scientifico e pratico ma
non viene ulteriormente approfondito poichè lo stabilimento Fibronit utilizzava la consueta miscela
di crisotilo e crocidolite utilizzata in tutti gli stabilimenti italiani produttori di cemento amianto
(Magnani et al, 1996; Luberto et al, 2004).
Latenza tra esposizione ad asbesto ed insorgenza di mesotelioma
La latenza di un tumore è il tempo intercorrente fra l'inizio dello sviluppo e la manifestazione di
questa patologia; il tempo di induzione è il periodo trascorso fra l'inizio dell'esposizione all'agente
cancerogeno e l'inizio della malattia tumorale. L'inizio dell'esposizione e l'evidenza della malattia
manifesta sono databili, ancorché con qualche approssimazione; non è invece possibile distinguere
il tempo di induzione dal tempo di latenza. Per quanto attiene la datazione dell'inizio dell'induzione,
essa può essere desunta dall'anamnesi lavorativa; per quanto riguarda la datazione dell'"evidenza
della malattia manifesta" è prassi consolidata farla coincidere con il momento dell'effettiva diagnosi
del tumore e della sua malignità, analogamente a quanto avviene negli studi di sopravvivenza. Il
tempo di induzione-latenza così definito (o per semplicità "latenza” o “latenza convenzionale")
rappresenta quindi un "massimo teorico", assumendo che l'induzione inizi con l'inizio
dell'esposizione.
Circa la più probabile epoca di insorgenza dei primi processi di cancerogenesi, alcuni contributi
epidemiologici (Peto 1982) possono essere utili per definire dei criteri valutativi:
− l’incidenza aumenta in modo esponenziale (fattore 3-4) con il tempo intercorso dall'inizio della
esposizione e in modo lineare con il tempo di esposizione, almeno per esposizioni fino a 10 anni
43
− la bassissima incidenza osservata nei primi 10-15 anni seguenti all'inizio della esposizione fa
ritenere che siano necessari molti anni prima che il tumore raggiunga uno stadio diagnosticabile.
La latenza convenzionale del mesotelioma maligno ha, per comune esperienza, limiti superiori che
sono stati registrati fino a 60-70 anni (Roggli, 1994; Churg, 1995). In una revisione della letteratura
operata da Orenstein (2000) si riportano periodi di latenza da 5 a 72 anni. In pratica si può dire che i
potenziali limiti superiori della latenza convenzionale coincidono con i potenziali limiti superiori
della vita dell’uomo (Bianchi 1997). Peraltro il picco di maggior frequenza della
manifestazione/diagnosi è stato riportato, ad esempio in una ampia serie di coibentatori, intorno ai
30-40 anni dall’inizio dell’esposizione (Selikoff 1980): con l’aumentare dell’età del soggetto
esposto, aumenta anche la probabilità che lo stesso venga a morte per altre cause. Una metanalisi
degli studi di coorte occupazionale ha osservato che la mediana della distribuzione del tempo di
latenza era 32 anni (Lanphear e Buncher, 1992).
Soprattutto la definizione dei limiti inferiori può essere importante nella pratica. Già nel 1991 il
periodo di latenza convenzionale minima considerato dall’Health Effects Institute di Cambridge, e
citato da Boffetta in una revisione circa la valutazione quantitativa degli effetti patogeni
dell’asbesto (1998), corrispondeva a 10 anni. Casi eccezionali a parte, per il mesotelioma da
amianto la latenza convenzionale minima è stata stimata intorno ai 15 anni per la massima parte dei
casi (Lanphear e Buncher, 1992; Roggli, 1994; Churg, 1995, Bianchi et al, 1997); ma anche
nell’esperienza dei primi tra questi autori è stata osservata occorrenza di un periodo di 11 anni tra
l’inizio dell’esposizione e la diagnosi. Magnani (1996) ha verificato una latenza convenzionale
inferiore a 10 anni in 7 su 53 casi di mesotelioma occorsi a lavoratori del cemento-amianto presso
lo stabilimento ETERNIT di Casale Monferrato.
Secondo stime da parte di 19 esperti di vari paesi (Consensus Conference, 1997) la latenza
convenzionale minima è stata indicata intorno ai 10 anni.
Per quanto riguarda il mesotelioma, non sono note in letteratura indicazioni dirette circa la durata
della latenza propriamente detta. Si può dire tuttavia, in base a quanto precedentemente ricordato,
che: se la durata minima della latenza convenzionale (tra inizio della esposizione e
manifestazione/diagnosi) è di una decina o al massimo di una quindicina di anni e se all’interno di
questi 10-15 anni devono, per definizione, essere compresi sia l’induzione sia la latenza, allora
quest’ultima non può superare i 10 anni circa.
In caso di successive e diverse esposizioni, a parità di altre condizioni, la probabilità che in una di
esse abbia avuto inizio il processo di carcinogenesi è più alta per la prima in quanto è ragionevole
ipotizzare che questo comporti maggiori probabilità che microeventi biologicamente rilevanti si
44
possano concatenare per dar luogo allo sviluppo del processo tumorale. Tale processo non è peraltro
irreversibile in assenza di una promozione successiva nel tempo: entro certi limiti non precisamente
noti, l’aumento della dose (come intensità o durata) aumenta la probabilità della malattia tanto da
suggerire con ragionevole grado di sicurezza una concausalità tra le esposizioni successive. La dose
e gli stimoli prolungati favoriscono eventi carcinogenetici che, sommandosi nel tempo, aumentano
la probabilità di tumore e/o accelerano la sequenza dei processi che portano alla manifestazione.
In conclusione, considerato che il rischio relativo di morte per mesotelioma maligno nei
sogetti professionalmente esposti risulta nell’ordine di migliaia di volte maggiore di quello
medio dei soggetti della popolazione generale, e almeno di decine di migliaia di volte maggiore
di quello così detto “naturale”, nei casi in cui sia accertata una esposizione lavorativa
qualitativamente, quantitativamente e cronologicamente idonea (latenza convenzionale
superiore ai 10 anni) la probabilità che il mesotelioma sia da riferire all’amianto è tale da
poter essere considerata nell’ambito della “ragionevole certezza”.
Si ritiene inoltre che tutte le esposizioni attive fino a induzione completata cioè fino all’inizio
della latenza propriamente detta devono essere considerate efficienti in senso neoplastico.
Si rimarca inoltre il fatto che tutti i tipi di amianto debbono essere considerati cancerogeni ai
fini dell'induzione dell'insorgenza del mesotelioma.
Mesotelioma – Criteri Diagnostici
La diagnosi, di norma è basata su:
-
quadro radiologico (Rx torace standard, eventuale HRCT) caratterizzato da presenza di
ispessimenti irregolari, lobulati con o senza versamento associato (reperto non specifico,
permette cioè di avanzare solamente un sospetto diagnostico);
-
in caso di versamento pleurico, dimostrazione di cellule mesoteliali maligne nel liquido
pleurico. A tal riguardo va segnalato il fatto che oggi viene data una maggiore importanza
rispetto al passato al ruolo di tecniche di diagnosi microscopica morfologica e
immunoistochimica su materiale cellulare;
-
esame istologico di un consistente prelievo bioptico mirato ottenibile in corso di
pleuroscopia/toracoscopia o intervento operatorio. Anche in questo caso risultano utili i
contributi delle tecniche immunoistochimiche.
Il decorso clinico è caratterizzato da: inizio subdolo dei sintomi (dolore, perdita di peso, dispnea
ingravescente) associati ad aumento della velocità di eritrosedimentazione (VES); andamento
45
rapidamente evolutivo (il tempo di sopravvivenza dall’epoca della diagnosi è in media inferiore
all’anno); possibile riscontro di metastasi (Roberts 1997). Spesso il riscontro di versamento pleurico
rappresenta il primo segno clinico. Dopo la diagnosi l’evoluzione del mesotelioma prosegue in
modo rapido. I risultati della terapia, sia chirurgica sia medica, sono molto limitati. In un recente
studio italiano la sopravvivenza cumulativa a due anni dalla diagnosi era il 13,2 % (Magnani et al,
2002). I risultati degli altri studi pubblicati in letteratura sull’argomento sono analoghi.
Per quanto riguarda gli aspetti istologici la proliferazione neoplastica è per lo più caratterizzata da
cellule atipiche globose di aspetto epiteliomorfo (circa 60% dei casi), e da cellule più fusate di
aspetto simil sarcomatoso (circa 10% dei casi). La commistione dei due aspetti (con varie
prevalenze a seconda dei casi) dà luogo alle forme miste o bifasiche. La netta prevalenza di aspetti
similepiteliali caratterizza le forme epiteliomorfe, spesso con formazione di tubuli e papille nelle
varietà tubulo-papillari. La netta prevalenza di aspetti similsarcomatosi caratterizza le forme
sarcomatoidi, talora con produzione di abbondante connettivo stromale nelle varietà
desmoplastiche. In casi rari possono comparire locali differenziazioni riferibili a istogenesi
mesodermica (osteoblastiche, condroblastiche, mioblastiche, linfoblastiche, ecc.).
Nella vecchia letteratura v’era chi riteneva la diagnosi di mesotelioma maligno non
sufficientemente comprovata se non dopo l’autopsia, ma oggi la maturazione delle conoscenze e
soprattutto lo sviluppo e l’approfondimento delle tecniche immuno-citochimiche (particolarmente
nell’ultimo decennio) sono tali che la diagnosi istologica, almeno per chi abbia esperienza in
proposito, non pone problemi sostanzialmente diversi da quelli che si possono incontrare in molti
altri campi della patologia.
Circa la possibilità di basare la diagnosi sull’esame di materiale citologico, un autorevole contributo
(Battifora e al 1994) ha riportato quanto segue:
-
l'accurata applicazione di tecniche di immunocitochimica può risolvere uno dei maggiori
problemi, cioè quello della riferibilità delle cellule atipiche al mesotelio; un importante
avanzamento a questo proposito è stato determinato dalle metodiche di centrifigazione del
versamento pleurico o peritoneale con successiva inclusione ed analisi immunoistochimica delle
cellule;
-
l’esame citologico può comportare il non riconoscimento di mesotelioma nel 20-40% dei casi
(bassa sensibilità) ma raramente il riscontro di risultati falsamente positivi (alta specificità).
46
La diagnostica dei mesoteliomi oggigiorno si avvale dell’uso di markers per riconoscere il tessuto di
origine della neoplasia. In un importante testo (Churg 1998) viene affermato che, al momento, sono
disponibili molti maker tumorali che sono in genere positivi nei carcinomi e generalmente negativi
nei mesoteliomi. Un limitato numero di marcatori danno reazioni opposte, pochi sono applicabili su
sezione paraffinate.
In tabella (da Churg 1998 – mod.) sono riportati i marcatori maggiormente in uso.
Antigene
mesotelioma
carcinoma
Keratin
+
+
EMA
+
+
CEA
-
+
Leu M1
-
+
B 72. 3
-
+
HMFG
+
+
ER-EPA
+/-
+
Secretory component
-
+
Human placental lactogen
-
+
Lewis Blood group antigens
-
+
Thrombomodulin
+
+
K1
+
+
ME1
+
+
HBME1
+
+
Calretinin
+
-
Nel testo citato viene inoltre sottolineato il fatto che le reazioni crociate sono piuttosto comuni e che
pertanto va posta molta cautela nella interpretazione dei risultati.
Riportiamo la sintesi di una recente rassegna che ha valutato sensibilità e specificità dei diversi
anticorpi nella diagnosi differenziale tra carcinoma e mesotelioma epitelioide (King et al, 2006).
Antigene
Marker di carcinoma
Sens
Spec
CEA
83
95
Ber-EP4
80
90
47
B 72. 3
80
93
Leu M1 (CD-15)
72
93
MOC-31
93
93
E-caderin
86
82
TTF-1
72
100
Lewis Blood group antigens
93
93
Marker di mesotelioma
Sens
Spec
CK5/6
83
85
Vimentin
62
75
Calretinin
82
85
HBME-1
85
43
Thrombomodulin
61
80
N-caderin
78
84
WT1
77
96
Non è noto dunque alcun anticorpo il cui impiego sia da considerare in se stesso assolutamente
dirimente: non esiste una reazione che dia risultati sempre e soltanto positivi nei mesoteliomi,
sempre e soltanto negativi negli altri tumori. La diagnosi deve scaturire – oltre che dai dati clinicoradiologici e macroscopici – dagli aspetti strutturali e citologici con la colorazione ematossilinaeosina, e dalla conferma in base alla valutazione d’insieme delle reazioni istochimiche e
immunoistochimiche. I risultati delle più comuni di queste (non abitualmente applicate – né da
applicare necessariamente – nella loro totalità) sono in genere riportati come segue:
-
PAS-reazione: risultato per lo più positivo sia nei mesoteliomi sia nei carcinomi; nei
mesoteliomi si negativizza previo trattamento con diastasi;
-
CK 5 (CK 5-6): abitualmente positivo in mesoteliomi, ma per lo più non reagisce in materiale
fissato in formalina e incluso in paraffina;
-
CK coktail (pancitocheratina): abitualmente positivo in cellule mesoteliali e anche epiteliali, per
lo più perinucleare in mesoteliomi, citoplasmatico diffuso in carcinomi ;
-
CK7 + CK20: abitualmente positivo per ambedue in alcuni carcinomi, negativo per ambedue in
altri carcinomi, positivo per CK7 e negativo per CK20 nei msoteliomi e in alcuni carcinomi,
negativo per CK7 e positivo per CK20 in alcuni carcinomi.
-
CAM5.2 : marcatore di cheratine a basso peso molecolare, abitualmente positivo in cellule
epiteliomorfe e mesenchimomorfe dei mesoteliomi, negativo in fibroblasti;
-
EMA: abitualmente positivo sia in cellule mesoteliali (di membrana), sia in cellule epiteliali
48
(citoplasmatico diffuso);
-
CALRETININA: abitualmente positivo nei mesoteliomi soprattutto nelle forme epiteliali;
-
E-CADERINA (HECD-1): abitualmente positivo nelle cellule epiteliali e negativo nelle
mesoteliali;
-
N-CADERINA: secondo alcuni (ma non secondo altri) Più spesso positivo in cellule mesoteliali
che in cellule epiteliali;
-
CEA: abitualmente positivo in cellule epiteliali, negativo in cellule mesoteliali;
-
HMFG-2: abitualmente positivo in cellule di adenocarcinoma e negativo in cellule di
mesotelioma, peraltro con discordanze di interpretazione;
-
ESA (BerEp4): abitualmente positivo in cellule epiteliali, negativo in cellule mesoteliali;
-
B72.3 (TAG-72): abitualmente positivo nelle cellule epiteliali, negativo nelle mesoteliali;
-
LEUM1 (CD 15): abitualmente positivo nelle cellule epiteliali, negativo nelle cellule
mesenchimali.
-
HBME-1: abitualmente positivo in cellule mesoteliali, ma anche in tumori mesenchimali e
carcinomi.
-
TROMBOMODULINA: abitualmente positivo in mesoteliomi, ma talora anche in carcinomi.
-
DESMINA: caratteristicamente positivo nelle cellule muscolari, e più frequentemente positivo
nelle cellule mesoteliali reattive e nei carcinomi che in cellule di mesotelioma maligno.
-
VIMENTINA: per lo più negativo nelle cellule epiteliali, per lo più positivo nelle cellule
epiteliomorfe dei mesoteliomi; caratteristica per i mesoteliomi la co-espressione con
citocheratine, ma attendibilità assai discussa negli anni recenti; soprattutto in reazioni senza
HIER (recupero degli epuitopi indotto dal calore).
Si deve ancora sottolineare che, per la diagnosi di malignità di cellule riconosciute come mesoteliali
ma per le quali non sembri sufficientemente accertata la natura neoplastica, “è imperativo basare la
diagnosi in tali casi su una accurata valutazione del complessivo quadro clinico”(Battifora nel
trattato dello Sternberg, 1999).
Infine in caso di non dimostrazione istologica o immunocitochimica della natura dell'affezione
neoplastica si può ritenere ragionevole la diagnosi clinica di mesotelioma:
-
in presenza di anamnesi positiva per esposizione ad asbesto
-
se l’insieme dei dati anatomo-clinici è significativo ed è possibile, come spesso si verifica nella
valutazioni medico-legali a posteriori, anche la ricostruzione completa della storia fino alla
morte, con dimostrazione del carattere maligno dell’affezione
49
-
senza alcun elemento per ipotizzare che si tratti di neoplasia pleurica secondaria
In conclusione, si rimarcano i seguenti elementi, necessari a stabilire nessi di causalità con
pregresse esposizioni ad asbesto (Cotes J. 1995):
-
storia di pregressa esposizione ad asbesto: si ricorda che si hanno evidenze di eccesso di rischio
anche in presenza di esposizioni piuttosto brevi. E' noto che anche esposizioni inferiori ad un
anno possono causare lo sviluppo del mesotelioma.
-
periodo di latenza convenzionale di circa 15 anni. Sono eccezionali latenze inferiori a 10 anni.
Mesotelioma maligno e Tumore polmonare nel comparto produttivo del cemento amianto
La relazione tra esposizione nel settore industriale del cemento amianto ad asbesto ed insorgenza
del mesotelioma maligno e del tumore polmonare è ampiamente documentata da numerosi indagini
epidemiologiche. Il riscontro di una mortalità elevata per tumori della pleura e del polmone è
comune a quasi tutte gli studi effettuati in questo contesto (Tabella 3). Hanno dimostrato un eccesso
di mesoteliomi e di tumori polmonari (utilizzando diversi indicatori di rischio) le indagini condotte
in Canada (Finkelstein, 1983), Stati Uniti (Hughes e coll, 1987), Svezia (Albin et al 1990),
Norvegia (Ulvestad et al 2002), Danimarca (Raffn et al 1989; Raffn et al 1996), Francia (AliesPatin et al, 1985), Polonia (Szeszenia-Dabrowska et al, 2002), Israele (Tulchinski et al 2000) e
presso i maggiori poli industriali italiani a Casale Monferrato (Magnani et al 1996), Reggio Emilia
(Luberto et al 2004) e Bari (Coviello et al 2002).
Rischi inferiori si sono osservati dagli studi su esposti a solo crisotilo: l’indagine eseguita da
Thomas e coll (1982) in Galles ha potuto riscontrare solo due casi di mesotelioma (uno deceduto nel
1962 e l’altro nel 1974) e nessun eccesso di mortalità per tumore sia pleurico che polmonare. Anche
dall’indagine condotta da Gardner MJ (1986) in due stabilimenti in Gran Bretagna non emerge
alcun rischio.
Diversa è la situazione di alcuni studi condotti in Italia che non rilevano alcun eccesso di queste
neoplasie poichè il tempo di osservazione della coorte era troppo breve, come nel caso dello studio
condotto da Sarto e coll. (1982) in provincia di Padova. In alcuni casi come nello studio di Pettinari
e coll. tra i lavoratori dello stabilimento di Senigallia emerge una mortalità aumentata solo per
tumore polmonare (SMR: 276; 23 casi osservati) con una relazione dose risposta positiva con il
tempo di induzione latenza e con la durata dell’esposizione.
Oltre che per gli operai sono stati documentati nella letteratura scientifica anche due tipi di
esposizione non occupazionale: domestica (o paraoccupazionale) e ambientale (o residenziale). E’
50
stata cioè segnalata una relazione positiva tra insorgenza di neoplasie pleuriche e amianto anche nei
familiari dei dipendenti di stabilimenti per la produzione del cemento amianto e per i residenti nelle
vicinanze degli impianti. L’esposizione domestica o paraoccupazionale si verifica quando per
qualche motivo le fibre si liberano in ambiente domestico generalmente dagli indumenti di persone
esposte a livello lavorativo oppure dall’uso di materiali contenenti asbesto nelle abitazioni.
L’esposizione para-occupazionale è stata documentata in Italia, da Magnani e coll. (1993), in una
indagine svolta sulla mortalità per tumore maligno della pleura in una coorte di 1964 mogli di
operai impiegati in uno stabilimento per la produzione di cemento amianto. L’eccesso di mortalità
(4 osservati su 0.5 attesi) è stato attribuito alle fibre che si liberavano dagli indumenti che gli uomini
riportavano a casa per il lavaggio dal luogo di lavoro dove non era presente una lavanderia.
L’inquinamento ambientale da amianto derivante dagli stabilimenti per la produzione di manufatti
in cemento amianto si può verificare sia a causa della dispersione diretta delle fibre nell’ambiente
sia attraverso l’uso improprio dei materiali di risulta delle lavorazioni, in forma umida o secca,
utilizzati per la pavimentazione di strade, sentieri, cortili, campi sportivi e come materiali da
costruzione in genere.
Non si conoscono dalla letteratura scientifica internazionale molte stime dei livelli ambientali di
fibre di amianto disperse. Marconi et al. (1989) hanno riportato valori di concentrazione di fibre
(con lunghezza superiore a 5µm) di 11 f/l nelle vicinanze di uno stabilimento di produzione di
manufatti in cemento amianto e 1 f/l nelle aree più lontane della città dove quest’ultimo era
collocato (il 15-30 % erano fibre non serpentine).
Una indagine effettuata tra i residenti di una cittadina del New Jersey, sede del più grosso impianto
industriale del Nord America, ha documentato il carico di mortalità per mesoteliomi derivante
dall’esposizione non occupazionale ad amianto. Una volta rilevati tutti i casi occorsi tra il 1979 e il
1990, attraverso il registro tumori operante nell’area, sono stati rintracciati ed esclusi i casi di
origine professionale. Il numero di casi osservati non professionalmente esposti eccedeva in
maniera significativa il numero di attesi calcolati in base ai tassi di incidenza per la contea per
entrambi i sessi (SIR 3 rispettivamente = 10.1 ; CI95% = 5.8-16.4 e 22.4 ; CI95% = 9.7-44.2). In
Italia con un approccio metodologico simile è stata riscontrato una elevato numero di casi non
ascrivibile ad esposizione occupazionale o para-occupazionale a Casale Monferrato, sede di uno dei
poli più importanti dell’industria del cemento amianto. L’incidenza dei mesoteliomi maligni con
diagnosi confermata istologicamente tra i residenti era di 4.2 x 100,000 p-a (26 casi) negli uomini e
3
Standardized Incidence Rate : rapporto standardizzato d’incidenza o rapporto tra il numero di casi incidenti (di nuova
diagnosi in un anno) osservati e il numero di casi attesi sulla base dei tassi d’incidenza nella popolazione dell’intera area
(forniti in questo caso dal registro regionale dei tumori).
51
2.6 x 100,000 p-a (18 casi) per il periodo 1980-1991. I tassi del periodo 1985-1989 apparivano
aumentati rispetto al quinquennio precedente e per il 1990-1991 le stime erano simili alle precedenti
(Magnani et al, 1995). In uno studio successivo sempre nella stessa zona è stato dimostrato un
rischio elevato tra i soggetti residenti nell’area compresa entro i 1000 m di distanza dalla fabbrica
(OR = 11.9; IC95% = 4.0 – 35.5) non esposti a livello professionale (Magnani et al, 2001). In una
coorte di lavoratori polacchi 4 casi di mesotelioma osservati tra 1987 e il 1998 si sono verificati con
tempo di latenza molto breve, inferiore a 15 anni. Il sospetto di fonti di esposizione misconosciute
ha indotto i ricercatori ad una analisi più approfondita di questi casi permettendo di documentare
l’associazione della patologia con l’esposizione a fibre derivante dall’utilizzo massivo che era sta
fatto degli materiale di scarto della fabbrica in attività improprie, come per la pavimentazione
stradale (Szezenia-Dabrowska, 2002).
Tabella 3 - pagina seguente: rassegna degli studi di coorte di popolazioni di lavoratori
dell’industria del cemento amianto in tutto il mondo con le relative misure della mortalità o
incidenza (SMR, RR, SIR ecc.) per i tumori del polmone e della pleura, i periodi di osservazione e
di follow-up
52
(MM) numero di
Tempo
casi di mesotelioma
di
maligno (pleurico o latenza
peritoneale) e
mesotel
relativi tassi
iomi
Autori
LUOGO (nazione
in cui lo studio è
stato effettuato)
Numerosità dei
lavoratori della
coorte
Laquet LM et
al , 1980
BELGIO
N=1963
No
Sarto F et al
1982
ITALIA
(PADOVA)
N = 176
M =132
F=44
No
Thomas H, et
al, 1982
GRAN
BRETAGNA
(GALLES)
N=1592(M) +
378(F)
MM=2 (SMR=93)
Finkelstein
MM, 1983
Alies Patin
AM et al,
1985
CANADA
FRANCIA
numero di tumori (TP)
polmonari e relativi tassi
Tempo di
latenza
tumori
polmonari
-
No
-
-
TP=7 (M) SMR 5.38
(IC95%2.16-11.10)
19611980
TP = 27+1 (SMR=93)
19361977
25aa
N = 339 (186 operai
MM = 10 (5 pleurici (DS±3.
ad esp. elevata; 58
+ 5 peritoneali) +1=
8
manutentori; 87
11
range17
operai a esp. bassa)
-30)
N = 1506
MM=3(>20aa da
prima esp.) e 1
peritoneale (<20aa
da prima esp.)
25aa
TP=20
TP = 9(>20aa da prima
esp.)+3(<20aa da prima esp.)
Ohlson CG et
al 1985
SVEZIA (1)
N=1176
0
TP=11 (SMR=128)
Gardner MJ et
al., 1986
GRAN
BRETAGNA
(INGHILTERRA)
N = 2167
MM= 1
TP=41 (O/E=0.92;IC95%:
0.64-1.27)
Hughes J et al
1987
USA
N=5492
MM=10
TP=155
SMR 2.3-2.9 (x 100)
Perio
do di Esposizione a fibre:
follo tipo e concentrazioni
w-up
25½ aa
(>20aa) e
13 aa
(<20aa)
Solo eccesso
tumori
Gastrointestinali
19631977
25aa
1948(DS±3.6
1980
range17-29)
Crisotilo, crocidolite
1-8 f/cc(1977)
Solo crisotilo
0.1-20f/ml (’60)
<2f/ml (’70-’80)
Crisotilo e crocidolite
in percentuale
indeterminata
3 gruppi di esp
cumulativa media
(almeno 12 mesi):
A: 44f-y/ml
B :92f-y/ml
C :180f-y/ml
(Conc tra 40 e 0.3
f/ml)
1940
– 82
1970: 10 mg/m3
1976: 5 mg/m3(1ff/ml)
Amfiboli 1%
dell’asbesto totale
utilizzato
19411984
ANNOTAZIONI
Solo crisotilo, no
corcidolite
70-100 ff/anno (1-2
1940f/ml) – 3% crocidolite,
1969
1% amosite
Assunti da almeno
9 anni e prima del
1960
Tempo dalla prima
esposiz. almeno di
20 anni (N=941) di
cui impiegati per 520 anni N= 357 e
più di 20anni
N=584
No relazione dei
TP e degli MM con
l’esposizione
Confronto tra due
stabilimenti
53
Raffn E et al
1989
DANIMARCA
Albin M et al
1990
SVEZIA (2)
Inserra A et al
Neuberger M,
Kundi M
1990
ITALIA
(SIRACUSA)
AUSTRIA
N=
7,996(M)+584(F)
MM = 10
(O/E = 5.46 IC95%
2.62-10.05)
TP = 162 (O/E=1.80
IC95%1.54-2.10)
19281984
N = 2898
MM = 13
TP=27
19071986
N = 646
MM=4
TP=5
19551990
N = 2816
MM = 4
TP=52 SMR =1.72, ma 1.04
non significativo dopo
aggiustamento per consumo
di sigarette anche per esp.
cum. >25 ff/ml/anno
Pettinari et al.
1994
ITALIA
(SENIGALLIA)
N=561
No
Magnani et al
1996
ITALIA (CASALE
M.)
N = 3367
M = 2605
F = 762
MM (M) = 53 obs vs
1.7 exp
MM (F) = 21 obs vs
0.4 exp
Tulchinsky T
et al 1999
ISRAELE
SzeszeniaDabrowska N
et al
POLONIA
N = 3057
N = 3,220
- 2,616(M)
MM = 26 ; SIR >
5,676 (3,242-8,088)
SMR(M) = 2,846 ;
MM = 5
SMR (F) = 11,275 ;
19501981
23 (IC95%: 175.2-414.8)
1948
1984
TP=162(M)(SMR=247.6;
IC95%211289)+9(F)(SMR=282,3;IC95
%129-536)
1950
1980
26.0aa
(ES±5.
TP=28; SIR = 135 (85-185) ;
2, range
15-34)
22,4aa
1953(DS±7.1;
1992
range 6-36)
no
no
no
1960
al
1980
Crisotilo 89%
Amosite 10%(’50-’80)
Crocidolite 1%(’50’60)
50-800f/ml(’48)
10-100f/ml(’57)
>2f/ml(1973)
Crisotilo>95%
Crocidolite <3-4%
Valutata relazione
(1966)
dose-risposta con
Amosite<18% (’60)
esp.cumulativa e
1.5-6.3 f/ml(’50)
periodo intercorso
0.3-5f/ml(’60)
dalla prima
0.9-1.7f/ml(‘70)
esposizione.
esp.mediana:1.2f/ml
2,3 f-y/ml
Crisotilo, amfiboli
fino al 2ff/cc
Crisotilo
prevalentemente;
Mesoteliomi con
crocidolite dal 1920
alta esposizione a
1977 (produzione di
crocidolite
tubi), amosite dal
1970 al 1986
Incremento della
mortalità per
Crisotilo, amosite,
tumori vescicali;
crodiolite fino al 50%;
Relazione dose risp
1979-80:<2ff/cc
per tumore
polmonare
Crisotilo
Crocidolite
20-200f/cc(1971)
0.15-2.09f/cc(197879)
Crisotilo 90%
Crocidolite10%
1.5-14f/cc (’60-’70)
0.3-40 f/cc; <0.4f/cc
(’80)
Crisotilo e crocidolite
(dal1985)
54
2000
Ulvestad B et
al 2002
Coviello et al
2002
MM = 2
NORVEGIA
ITALIA
(BARI)
Luberto et al,
ITALIA
2004
(REGGIO EMILIA)
Smailyte G et
al, 2004
LITUANIA
N=545
N = 417
MM=18(SIR:52.5;
IC95% 31.1-83.0)
TP=33 (SIR:3.1; IC95% 2.14.3)
MM=3pl-SMR
=1,560 con
>30ann
IC95%431-4,081 + 2
i
per-SMR=1,705 (con
IC95%=303-5,367)
N=3358
M=2712
F=646
MM=18
N=1887 – 1282 (M)
MM=1(Att:0.3)
14 a
TP=20 (SMR=191
IC95%=126-277)
SMR max
per 35aa di
latenza
19531999
Crisotilo, anfiboli in
piccolissima
percentuale;
1964:100-1900ff/ml
1973: <5ff/ml
1972
1995
Crisotilo 70-80%,
crocidolite15-20% e
amosite;
Esp.:4-19 f/cc
TP=90 SMR 157
SMR max
per latenza
superiore a
30 anni
1952/
731987
TP=30 (M:SIR:0.9; IC95%
0.7-1.3)
n.a.
19782000
Crisotilo
Impiegati per
almeno un anno dal
1941 al 1976
Relazione doserisposta positiva
per tempo di
induzione latenza e
durata
Confronto tra
diversi stabilimenti
nelle prov. di
Reggio Emilia
Aziende in
funzione dal 1956
55
Malattie associate ad esposizione ad amianto nel comune di Broni e nei comuni limitrofi.
Una indagine epidemiologica sulla mortalità per Tumore Maligno della Pleura in Italia per il
periodo 1980-1987, aveva segnalato un elevato carico di mortalità specifica, non solo per la
popolazione residente a Broni, ma anche per quella dei comuni limitrofi di Cigognola, Redavalle e
Stradella (Di Paola et al, 1992). Un’analoga indagine riguardante il periodo successivo condotta per
il periodo 1988-1994, ha rilevato un eccesso statisticamente significativo, rispetto alla regione
Lombardia, sia a Broni (SMR* =1640; IC95% 657 – 3380) che a Voghera (SMR = 247; IC95% =
135-414) (Di Paola et al., 2000). La stessa patologia è stata anche oggetto di studio in termini di
incidenza, per il periodo 1980-1989. Fu evidenziato in questo caso un tasso, standardizzato per età,
di 16.2 (x100,000 persone-anno) per gli uomini e di 9.2 (x100,000 p-a) per le donne (Magnani et al.
1994). Secondo un’indagine più recente (Amendola et al. 2003) la mortalità per tumore maligno
della pleura confrontata con i valori attesi è risultata elevata per l’intera ex-USSL di Voghera.
L’eccesso riguardava soprattutto il comune di Broni, dove è stato riscontrato uno scostamento tra
casi osservati e attesi particolarmente elevato, soprattutto negli anni successivi al 1990, in entrambi
i sessi e in modo relativamente più marcato per le classi di età più giovani (sotto i 50 anni di età).
Altri comuni limitrofi, in particolare Stradella, Redavalle, Bastida Pancarana, nella stessa indagine
hanno mostrato di essere gravati da un elevato carico di mortalità per tumore pleurico maligno.
data__________________
prof. Corrado Magnani
dott. Pavilio Piccioni
prof. Pietro Comba
dott. Plinio Amendola
*
Il Rapporto standardizzato di Mortalità è in questo caso il rapporto fra i decessi osservati e quelli attesi
calcolati in base ai tassi standardizzati per età e per sesso nella regione Lombardia moltiplicato per 100.
56
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