SEQUOYAH TIGER "Ta-‐ta-‐ta-‐time", pubblicato dalla tedesca

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SEQUOYAH TIGER "Ta-‐ta-‐ta-‐time", pubblicato dalla tedesca
SEQUOYAH TIGER "Ta-­‐ta-­‐ta-­‐time", pubblicato dalla tedesca Morr Music, è il nuovo ep di Sequoyah Tiger, al secolo Leila Gharib. Si tratta di cinque brani composti in casa tra il 2013 e il 2015, mentre Leila si dedicava anche ad altri progetti come Barokthegreat, un progetto artistico che comprende musica e danza. In questa intervista ci racconta come nascono i suoi brani e come l'occuparsi di progetti artistici di ampio respiro la ispiri nella scrittura. Mi racconti da dove nasce il progetto Sequoyah Tiger?
Il mio primo progetto è stato Bikini The Cat, un gruppo post-rock o post-punk, quindi una formazione
classica tradizionale, dove ho sempre suonato voce e chitarra. Dopo aver pubblicato due dischi mi sono
avvicinata al mondo della danza e alla musica per la danza e ho fondato Barokthegreat, un gruppo di
performing arts con cui tutt’ora lavoro. Sequoyah è il risultato di queste due esperienze molto diverse
fra loro. Un tentativo di unire la parte di song writing a una dimensione più astratta che ho conosciuto
negli spazi teatrali con la luce e la coreografia. Ho iniziato due anni fa da sola a comporre canzoni
sintetizzando un po’ tutta la esperienza che fino a quel momento avevo raccolto.
Il titolo dell’ep, "Ta-ta-ta-time", da dove viene?
È parte di un inciso di "Five Chants" contenuta nell’ep, una sorta di suono grafico. È un tentativo di
riportare con le lettere la deformazione di una parola sonora, quindi racchiude tutta la ricerca sulla voce
che ho fatto con Sequoyah. La parola è tempo quindi è una distorsione del tempo, inteso sia in
senso ritmico sia anche della vita: percezione del tempo a livello fisico, non solo come annotazione
musicale.
Come nasce per te una canzone?
La canzone me la immagino, anche se detta così sembra una cosa un po’ psichedelica (ride). Mi viene
in mente una melodia, dopo di che intorno a questa melodia immagino una situazione, la prua di una
nave che solca l’oceano oppure un bar con le luci soffuse… una volta costruita l’immagine inizio a
pensare a quali sono i suoni che possono costruire questa immagine. Comunque la melodia o la parte
vocale sono sempre quelle che danno l’input a tutto il resto.
Nel progetto Barokthegreat componi le musiche? Cosa ha ereditato Sequoyah Tiger da questo
progetto coreografico?
Insieme a Sonia Brunelli, che è coreografa e danzatrice, curiamo l’ideazione degli spettacoli.
Successivamente io curo tutta la parte musicale, dal coinvolgimento di quali collaboratori o danzatori
alla scelta tra l’uso dell’elettronica registrata dalla regia oppure della musica suonata live. Il progetto di
Sequoyah, invece, eredita il modo di comporre tramite la costruzione di atmosfere. È una dinamica che
parte dall’immagine: cerco di trasformare un’immagine in un suono invece che avere una
referenza con altri gruppi o altri generi musicali. È anche uno sforzo, un esercizio che faccio per
riuscire a incontrare qualcosa di diverso.
Di che tipo di immagine parli?
Sia narrativa, di fiction diciamo, sia anche appartenente a una dimensione più astratta, immaginifica.
Mi metto alla prova e cerco di descrivere un’immagine, perciò penso a che suono potrebbe avere quella
particolare immagine che ho in testa e piano piano arrivo alla forma-canzone. È stato un metodo
interessante per uscire dalla forma classica degli accordi e della struttura armonica. Quando non ero
soddisfatta e non riuscivo più a trovare altri metodi per comporre, quello è stato un metodo per riuscire
a evocare qualcosa di più.
Mi sembra che Sequoyah e Barokthegrat abbiano in comune anche l’elemento
ritmico/percussivo.
Percepisco il ritmo come una necessità mia, una necessità di attitudine energetica, più che
contemplativa. Invece, grazie al suono atmosferico riesco a evocare una dimensione di fuga dalla
realtà. Quello che Sequoyah aggiunge a questi due elementi, che forse nascono proprio da
Barokthegreat, è l’elemento vocale legato alla canzone.
Cosa ti ha portato ad avvicinarti a questo metodo, dopo l’esperienza punk rock con Bikini The
Cat?
Chiudendo con quel progetto ho chiuso anche con il mondo delle scale: non riuscivo più a sopportare la
progressione armonica. Quindi ho avuto un desiderio di confusione, di noise diciamo, di suoni senza un
centro di frequenza ma solo rumore indefinito, che è ciò che ho sviluppato in tutto Barokthegreat. In
realtà ora mi piace sia la forma canzone sia l’atmosfera più astratta, faccio fatica a stare da una parte o
dall’altra: la cosa che preferisco è mescolare tutto.
È una mia impressione o c’è un riferimento ricercato alla scena noisey o shoegaze?
È stato più un processo a portarmi in quel mondo. È legato ad altre esperienze, proprio alla pratica dei
pedali da chitarra o degli effetti. Quindi è una cosa che viene più dalle macchine e dal metterci le mani
sopra, piuttosto che dalla ricerca di un suono particolare. Preferisco buttarmi a sperimentare piuttosto di
fare riferimento a una musica. Mi piace stare lì a ricombinare pedali insieme: è un lavoro pratico più
che mentale.
Questo elemento, diciamo “disturbante”, lo ritrovo anche nei video, che sono sempre come
glitchati.
Quell’aspetto è più consapevole ma è sempre legato al fare. Nel senso che i video sono ripresi con
varie tecniche sia digitali sia analogiche, ma tutti quei glitch e quell’effettistica è fatta a mano. È
un’estetica che è già stata indagata però la sento molto vicina alla parte sonora. Per il momento non ho
ancora fatto collaborazioni per i video, quindi un po’ continuo a fare la stessa cosa nei video di quello
che riesco a fare con la musica, con i limiti tecnici che ho.