Fascicolo 1 - Anno 2012

Transcript

Fascicolo 1 - Anno 2012
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OMMARIO
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COMMENTARY
Ripartiamo con slancio e con alcune novità
di Claudio Romano
4
TOPIC HIGH LIGHT
Intervista ad Allan Walker
Intestino e batteri nel neonato: quale relazione?
di Mariella Baldassarre
7
CONTINUING MEDICAL EDUCATION ACTIVITIES
Gli Inibitori di Pompa Protonica
di Sabrina Cardile, Andrea Chiaro e Claudio Romano
12
PEDIATRIC HEPATOLOGY OUTSIDE BOX
Epatotossicità da farmaci. Il punto di vista del clinico
di Claudia Della Corte, Maria Rita Sartorelli, Donatella Comparcola e Valerio Nobili
16
PEDIATRIC NUTRITION OUTSIDE BOX
Il bambino con ipercolesterolemia: ruolo dell’alimentazione
di Irene Rutigliano, Clementina Calabrese, Massimo Pettoello-Mantovani e Angelo Campanozzi
20
TRAINING AND EDUCATIONAL CORNER
La Risonanza Magnetica dell’intestino:
valore diagnostico in età pediatrica
di Francesca Maccioni, Giulia Bella, Valeria Buonocore, Roberta Giovannone
e Mario Marini
IBD HIGHLIGHTS
26
La gestione delle stenosi nella Malattia di Crohn:
il punto di vista del pediatra e del gastroenterologo dell'adulto
di Arrigo Barabino, Andrea Michielan e Giacomo Carlo Sturniolo
NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY
31
La safety degli Inibitori di Pompa Protonica
di Paolo Andreozzi, Marco Della Coletta, Alessandra D’Alessandro e Rosario Cuomo
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34
OMMARIO
GASTROPED QUIZ
Una causa non comune di enteropatia proteino-disperdente
di Monica Paci, Anna Gissi e Paolo Lionetti
RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE
35
La genetica nella fibrosi cistica
Spunti della diagnostica di base in gastroenterologia
di Vincenzina Lucidi e Fabio Majo
ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY
38
Il trattamento endoscopico delle stenosi ileo-coliche
di Tamara Caldaro, Erminia Romeo e Luigi Dall’Oglio
41
PEDGL SNAPSHOTS
Le occlusioni intestinali
di Guglielmo Paradies, Antonio Orofino, Francesca Zullino e Francesco Caroppo
CONSIGLIO DIRETTIVO SIGENP
Presidente
Con il contributo di
Annamaria Staiano
Vice-Presidente
Valerio Nobili
Segretario
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Tesoriere
Flavia Indrio
Consiglieri
Giovanni Di Nardo, Daniela Knafelz,
Tiziana Guadagnini, Silvia Salvatore
COME SI DIVENTA SOCI DELLA
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L’iscrizione alla SIGENP come socio è riservata a coloro che,
essendo iscritti alla Società Italiana di Pediatria, dimostrano
interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e
Nutrizione Pediatrica.
I candidati alla posizione di soci SIGENP devono compilare
una apposita scheda con acclusa firma di 2 soci presentatopresentato
ri. I candidati devono anche accludere un curriculum vitae
che dimostri interesse nel campo della Gastroenterologia,
Epatologia e Nutrizione Pediatrica.
In seguito ad accettazione della presente domanda da
parte del Consiglio Direttivo SIGENP, si riceverà conferma di
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Soci ordinari e aderenti - Dall'anno 2012 i Soci potranno scegliere tra le seguenti opzioni:
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OMMENTARY
Ripartiamo con slancio e con alcune novità
È con enorme soddisfazione che mi appresto a preparare il primo editoriale del nuovo anno del Giornale di
Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica, organo ufficiale della SIGENP.
Raggiungere elevati standard di qualità e di gradimento è meno difficile rispetto all’obiettivo di mantenerli o migliorarli.
Claudio Romano
Direttore Editoriale Giornale SIGENP
Il Piano Editoriale del 2012 prevede una pubblicazione a cadenza trimestrale, mantenendo quasi inalterate le
rubriche o approfondimenti dei precedenti numeri, ad eccezione di qualche novità come l’inserimento di una
rubrica quale IBD Highlight che propone un "face to face" tra gastroenterologo pediatra e dell’adulto riguardo
approfondimenti in tema di Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, la presentazione di Casi Clinici didattici sotto forma di quiz, uno spazio dedicato a tutto ciò che può essere utile sapere per gestire una urgenza
"gastroenterologica" che spesso ci ritroviamo "out of hours" ed infine una rubrica dedicata alla Nutrizione.
Il Comitato Editoriale è stato in parte rinnovato con nuove, giovani ma qualificate presenze quali Fortunata
Civitelli, Monica Paci e meno "giovani" come Angelo Campanozzi, Osvaldo Borrelli e Valerio Nobili.
Si è deciso di mantenere una rigida linea editoriale (scelta selezionata di argomenti ed autori, approfondimenti nell’ambito di scienze trasversali alla gastroenterologia e pediatria, qualità grafica, capacità di sintesi, sistema di revisione controllata dei manoscritti) allo scopo di rendere questo Giornale, un prodotto editoriale moderno, facile da leggere per un aggiornamento, o consultare come supporto immediato nella pratica clinica.
Questi risultati sono stati raggiunti e sarà possibile mantenerli grazie al lavoro "di squadra" del Comitato Editoriale, alla presenza di Area Qualità che garantisce professionalità ed esperienza nella gestione di tutti gli
aspetti editoriali e commerciali ed al supporto del Consiglio Direttivo ed in maniera particolare del Presidente,
Annamaria Staiano, figura determinante per entusiasmo, stimoli e capacità di aggregare tutte le forze produttive di questa Società.
Anche quest’anno è stato rinnovato il contributo educazionale di Malesci, che supporterà il nostro Giornale e
che sarà vicina alla SIGENP anche nell’ambito di altre iniziative di tipo scientifico e culturale.
A questo punto non mi resta che augurarVi buona lettura sperando di non tradire le attese di Voi Soci SIGENP.
Claudio Romano
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I NTERVISTA AD A LLAN W ALKER
Intestino e batteri nel neonato:
quale relazione?
MARIELLA BALDASSARRE - U.O. di Neonatologia e T.I.N. del Policlinico Universitario di Bari
Il Professor Allan Walker
è uno dei maestri
della Gastroenterologia
Pediatrica a livello
mondiale. Il suo amore
per la ricerca e la scienza,
insieme all’amore
nei confronti dei piccoli
pazienti, lo ha reso uno
dei più importanti punti
di riferimento
nel campo delle malattie
gastrointestinali e della
nutrizione pediatrica.
Il suo laboratorio
al “Children’s Hospital”
di Boston, che si estende
su una superficie davvero
impressionante, è una
fucina attivissima di idee
e scoperte, oltre che luogo
di formazione di molti
giovani ricercatori.
Quando inizia la colonizzazione batterica nel neonato? Ora sappiamo che
il liquido amniotico non è sterile come si credeva, e poiché il feto ingerisce
ogni giorno piccole quantità di liquido amniotico è possibile che il contatto
tra la mucosa intestinale ed i batteri si verifichi già durante la vita fetale?
È stato effettivamente dimostrato che il liquido amniotico contenga batteri ma in
numero non sufficientemente elevato per poter fornire uno stimolo tale da attivare il
sistema immunitario. Vi è tuttavia uno studio molto interessante che riguarda donne
incinte, che vivono in campagna a contatto con animali di allevamento e che bevono
latte non pastorizzato: i loro neonati hanno una bassa incidenza di allergie e hanno
un incremento dei linfociti T-reg nel sangue del cordone ombelicale.
Tale evidenza suggerisce che il microbiota presente nell'intestino di queste madri
possa passare direttamente nel liquido amniotico o produrre sostanze solubili che
passano nel liquido amniotico e che possono influenzare lo sviluppo della tolleranza
orale in utero.
Abbiamo cominciato da poco uno studio multicentrico in collaborazione con l’Università di Monaco di Baviera che ha lo scopo di definire il microbiota di queste pazienti. Abbiamo anche in corso uno studio su modelli animali il cui scopo è proprio
quello di determinare quali sono i fattori nell'ambiente intrauterino ad influenzare
lo sviluppo della funzione immunitaria della mucosa intestinale. Ci sono ancora una
serie di domande senza risposta in questo campo, che è tra quelli che merita al momento molta attenzione.
In che modo la colonizzazione batterica influenza il sistema immunitario
del neonato?
Il neonato, quando nasce, proviene da un ambiente essenzialmente privo di germi.
Se attraversa il canale del parto, entra in contatto con un salutare bolo di batteri.
Questi batteri sono stimolati a proliferare
con la nutrizione orale, soprattutto con
l’assunzione di latte materno (1), e con lo
svezzamento, con il completamento della
colonizzazione batterica entro i primi dodici-diciotto mesi di età.
La maggior parte dei batteri comunica direttamente con le cellule epiteliali, con le
cellule dendritiche che penetrano attraverso l'epitelio e con le sottostanti cellule
linfoidi.
Il risultato di tale complessa interazione,
che si realizza principalmente attraverso i
toll-like receptors, è la maturazione delle
cellule linfoidi con l’estrinsecazione di una
risposta immunitaria appropriata che include la tolleranza orale (2).
Allan Walker
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Il Professor W. Allan Walker è Direttore della Divisione di Nutrizione della Harvard Medical
School, Professore di Pediatria e Nutrizione presso la Facoltà di Medicina di Harvard
e Direttore del Laboratorio di Immunologia Mucosale
del “Massachusetts General Hospital for Children” di Boston (USA).
Laureatosi in medicina cum laude nel 1963 presso la Washington University,
ha completato il suo tirocinio e la formazione specialistica in Pediatria
presso l'Ospedale Universitario del Minnesota a Minneapolis.
Nel 1971 è entrato a far parte della facoltà di Medicina di Harvard
ed è diventato professore di Pediatria nel 1982.
È stato a capo del programma combinato in Gastroenterologia e Nutrizione Pediatrica
presso il “Children’s Hospital” ed il “Massachusetts General Hospital for Children”
dal 1982 fino al 2001. Dirige la Divisione di Nutrizione presso
la “Harvard Medical School” dal 1996.
È stato “Editor-in-Chief” del “Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition”
e “Food Reviews “, ma ha ricoperto responsabilità editoriali per 15 testate scientifiche.
I suoi interessi di ricerca includono lo studio delle funzioni protettive
di alcuni nutrienti (omega-3, acidi grassi, probiotici) nei bambini,
lo studio delle funzioni immunologiche protettive del latte materno
e lo studio dell'interazione di batteri con la mucosa intestinale
come un mezzo per prevenire le malattie gastrointestinali.
Quali fattori causano una aberrante colonizzazione batterica nel
neonato?
I fattori che determinano una inadeguata colonizzazione iniziale sono essenzialmente tre. Il primo è la nascita attraverso il taglio cesareo, pratica molto comune nei
paesi sviluppati. Il secondo è l'uso eccessivo di antibiotici perinatali alla madre durante la gravidanza o al neonato nel periodo perinatale. II terzo è la nascita pretermine, sia con taglio cesareo che con parto spontaneo. In questo secondo caso, infatti, il passaggio attraverso il canale del parto avviene in modo così rapido che il
neonato non riesce ad entrare in contatto con un gran numero di batteri, oppure il
suo intestino non è in grado di rispondere alla colonizzazione batterica (3).
Quali malattie sono dovute ad una alterata colonizzazione batterica nel
neonato?
Nei bambini che sono nati con una inadeguata colonizzazione batterica iniziale è
stata evidenziata un'aumentata incidenza di malattie allergiche e malattie autoimmuni, tra cui il morbo di Crohn, il diabete di tipo 1, la sclerosi multipla e la malattia
celiaca. Ciò che oggi si ritiene valido è che la colonizzazione batterica deve realizzarsi nell’immediato periodo post-partum perché si verifichi un’appropriata risposta
immunitaria da parte della mucosa intestinale. In assenza di un'adeguata colonizzazione iniziale, nonostante si possano mettere in atto vari tentativi terapeutici per
ovviare a ciò, non si riesce a sortire sul piano immunitario lo stesso effetto rispetto a
quanto avviene con la colonizzazione nel periodo neonatale.
Come si può modulare il normale processo di colonizzazione?
Ci sono molti dati sperimentali, alcuni dei quali ottenuti dal nostro lavoro di ricerca,
che dimostrano come i probiotici somministrati ai neonati con inadeguata colonizzazione batterica iniziale possano contribuire a compensare tale inadeguatezza e a
stimolare la risposta immunitaria della mucosa. Abbiamo dimostrato, in studi clinici
condotti a Taiwan, che i probiotici utilizzati per prevenire l'enterocolite necrotizzan5
Topic High Light
ESPGHAN - NASPGHAN
Key Points
che
• Il contatto con il bolo di batteri
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vaginale e all’allattamento mat
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iniziale è stata evidenziata una
aumentata incidenza di malattie
allergiche e malattie autoimmuni
6
te hanno prodotto, sia in cellule umane “in vitro”, sia in colture d’organo che in
modelli di xenotrapianto, fattori solubili capaci di up-regolare alcuni geni implicati
nella modulazione di ogni tipo di risposta infiammatoria, che riteniamo un fattore
importante nella NEC (4,5).
BIBLIOGRAFIA
1. Rautava S, Lu L, Nanthakumar NN, Dubert-Ferrandon A, Walker WA.TGF-β2 induces
maturation of immature human intestinal epithelial cells and inhibits inflammatory cytokine
responses induced via the NF-KB pathway. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2011;2.
2. Kaplan JL, Shi HN, Walker WA. The role of microbes in developmental immunologic
programming. Pediatr Res 2011;69:465-72.
3. Nanthakumar N, Meng D, Goldstein AM, Zhu W, Lu L, Uauy R, Llanos A, Claud EC,
Walker WA. The mechanism of excessive intestinal inflammation in necrotizing enterocolitis:
an immature innate immune response. PLoS One 2011;6:e17776.
4. Ganguli K, Walker WA. Probiotics in the prevention of necrotizing enterocolitis.
J Clin Gastroenterol 2011;45:133-8.
5. Chen CC, Lin WC, Kong MS, Shi HN, Walker WA, Lin CY, Huang CT, Lin YC,
Jung SM, Lin TY. Oral inoculation of probiotics Lactobacillus acidophilus NCFM suppresses
tumour growth both in segmental orthotopic colon cancer and extra-intestinal tissue.
Br J Nutr 2011;30:1-12.
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There are safety and
efficacy data in pediatrics
for use PPIs. Many
disorders that are more
common than GERD can
cause gastroesophageal
symptoms in infants. Empiric
trials of acid-suppressive
medications may be given
in children for short periods
and with several caveats,
particularly with PPIs. If
patients do not respond, or
if they relapse off treatment,
diagnostic investigation is
required before committing to
longer-term treatment.
Acid-suppressive medications
are overprescribed
in children, especially
in infants, and a growing
body of evidence indicates
that acid suppression with
an H2RA or PPI results
in a higher rate of some
infections in children.
To manage the risk–benefit
balance, acid-suppressive
drugs should be used
with caution.
Gli inibitori di pompa protonica
Sabrina Cardile, Andrea Chiaro e Claudio Romano
Dipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Università di Messina
INTRODUZIONE
Gli inibitori di pompa protonica (IPP) sono tra i farmaci più utilizzati al mondo.
Negli ultimi anni si è assistito ad un significativo incremento del loro impiego anche
in età pediatrica con prescrizioni spesso empiriche ed off-label.
Gli IPP esercitano un potente effetto anti-secretorio bloccando i canali della pompa
H+K+-ATPasi. Si tratta di pro-farmaci che si accumulano nel lume delle cellule
parietali, si attivano nell’ambiente acido dei canalicoli ed inibiscono la pompa protonica, formando legami disolfuro stabili con il residuo di cisteina sulla superficie
luminale della pompa (1).
In commercio esistono 5 molecole di IPP (omeprazolo, esomeprazolo, lansoprazolo, rabeprazolo e pantoprazolo).
Le molecole con possibilità di prescrizione in età pediatrica sono:
• Omeprazolo (OME) ed Esomeprazolo (ESO) in Europa (bambini > 1 anno)
• Omeprazolo (OME), Esomeprazolo (ESO) e Lansoprazolo (LANSO) solo negli USA
(esclusi neonati e lattanti).
Le indicazioni principali al loro utilizzo sono relative al trattamento della patologia
acido-correlata quale l’Esofagite Erosiva (EE), la Malattia da Reflusso Gastroesofageo (MRGE), la Malattia Peptica gastrica e duodenale e le complicanze associate (2).
Farmacodinamica e farmacocinetica
Gli IPP sono metabolizzati dal citocromo P450 (CYP) a livello epatico, in particolare dalla isoforma CYP2C19, espresso nell’uomo con vari polimorfismi che può determinare enormi differenze nella farmacocinetica. I genotipi di CYP2C19 sono
classificati in 3 gruppi:
• Rapid extensive Metabolizer (RM)
• Intermediate Metabolizer (IM)
• Poor Metabolizer (PM).
La farmacocinetica e la farmacodinamica degli IPP dipendono dal genotipo di
CYP2C19 (3). Rispetto agli individui che posseggono il fenotipo RM, i PM hanno
un’esposizione maggiore dopo somministrazione di una dose terapeutica di IPP.
Queste differenze, tuttavia, non giustificano una determinazione del genotipo nella
pratica clinica. La farmacodinamica è correlata anche ai caratteri intrinseci delle
molecole. È stato dimostrato come ogni molecola è rapidamente assorbita dopo
somministrazione orale con un picco di concentrazione plasmatica (PPK) che si manifesta dopo 2-4 ore. La durata dell’acido-soppressione è relativamente lunga per
ogni molecola (48±72 h) in relazione al legame irreversibile della sulfanimide con la
pompa H+K+-ATPasi.
In età pediatrica, gli IPP sono rapidamente assorbiti subito dopo la somministrazione orale e anche rapidamente metabolizzati similarmente a quanto riportato per gli
7
Continuing Medical Education Activities
adulti. La clearance invece risulta apparentemente più veloce a causa della maggiore
capacità metabolica e delle differenze nella biodisponibilità (4). Il metabolismo prevalentemente epatico degli IPP attraverso la via del citocromo P450 induce a ipotizzare che la maturazione degli enzimi coinvolti (CYP3A4, CYP2C19), inizi immediatamente prima della nascita, ma si completi più tardi nel corso della vita. Pertanto,
differenti stati di maturazione possono essere responsabili di un’ampia variabilità
farmacocinetica nel lattante rispetto agli adulti e potrebbero anche spiegare la più
alta esposizione sistemica (bassa safety) osservata in un’età < 12 mesi.
In conclusione, dosi più alte pro/kg sono necessarie nel lattante e nel bambino < 3
anni di età allo scopo di ottenere una soppressione acida terapeutica.
Utilizzo in età pediatrica ed indicazioni
In età pediatrica l’utilizzo degli IPP è condizionato dalla fascia d’età. Nei bambini con
età < 1 anno il loro uso è considerato off-label, anche se negli ultimi anni è aumentato
l’utilizzo di questi farmaci come terapia di seconda linea, dopo il fallimento della terapia con anti-H2. Orenstein et al (5) hanno dimostrato in un trial condotto su 161
bambini di età inferiore ai 12 mesi con sospetta MRGE (pianto inconsolabile e irritabilità) che la risposta clinica dopo un ciclo con IPP era sovrapponibile tra gruppo trattato (4 settimane con lansoprazolo) e placebo (54%). Altri trials hanno in precedenza evidenziato come la terapia
“empirica” con IPP non è giustificata nel bambino < 12 mesi senza
che vi siano segnali d’allarme.
Nel bambino e nell’adolescente con sospetta MRGE l’approccio iniziale dovrebbe essere di tipo conservativo con modifiche dello stile di
vita, e se queste misure risultassero inefficaci, un trial empirico per
4 settimane con IPP (IPP test) sarebbe giustificato. Una buona
risposta clinica non consentirebbe comunque la conferma della
diagnosi (6).
Gli IPP si sono dimostrati efficaci nella guarigione dell’EE e nel
determinare sollievo dei sintomi da MRGE con superiorità in
termini di risultato rispetto ad altre molecole (anti-H2) (7). Le
dosi ottimali di IPP approvati per i pazienti pediatrici sono
compresi in un range da 0.7-3.5 mg/kg/die per l’omeprazolo e 0.2-1 mg/kg/die per l’esomeprazolo per 8-12 settimane utilizzando una strategia top-down (8).
Negli adulti la terapia di mantenimento con IPP si è dimostrata superiore al placebo nel mantenere la remissione dopo la guarigione dell’EE e nel prevenire le ricadute. Anche se il rischio
di ricaduta nel bambino è minore, una recente review ha dimostrato che, anche
nei bambini tra 1 e 17 anni, la terapia di mantenimento con IPP è associata a minor
tasso di recidive, con rari e non gravi effetti collaterali e favorevole rapporto rischiobeneficio. In bambini con EE, una terapia di mantenimento è giustificata ad oggi
però solo in alcune categorie a rischio (es. cerebropatici, pazienti con atresia esofagea operata), in questi soggetti, visto l’aumentato tasso di recidive, viene ritenuta
necessaria e comunque ben tollerata (9).
Effetti collaterali e safety
Negli ultimi anni diversi trials hanno dimostrato come gli IPP assunti per lunghi periodi, risultano sicuri e ben tollerati anche in età pediatrica. Gli effetti collaterali più
frequentemente riportati sono di tipo idiosincratico: diarrea, stipsi, cefalea e nausea,
presenti in oltre il 14% dei bambini in trattamento con IPP (10).
È stato dimostrato come gli IPP, inducendo una costante soppressione acida potrebbero determinare una iperplasia delle cellule parietali e delle cellule simil-enterocro8
Gli Inibitori di pompa protonica
maffini. In soggetti trattati con IPP a lungo termine è stata descritta, inoltre, un’aumentata incidenza di infezioni da Clostridium difficile, gastroenteriti acute,
polmoniti acquisite in comunità e di deficit di vitamina B12. Comunque, gli IPP anche se non ancora approvati in tutte le fasce di età, si sono dimostrati farmaci sicuri
e ben tollerati.
Obiettivo della revisione
Valutare l’uso dei PPI in età pediatrica, nelle varie fasce d’età, con particolare attenzione alla farmacocinetica e farmacodinamica, allo scopo di estrapolare indicazioni
per il corretto uso, posologia e modalità di somministrazione oltre eventuali effetti
avversi legati all’uso del farmaco nei disturbi acido-correlati.
Metodologia della ricerca bibliografica
È stata condotta una sistematica ricerca della Letteratura (PubMed/Medline and Cochrane Collaboration Database) allo scopo di identificare studi clinici controllati e randomizzati (RCT) e Reviews pubblicati negli ultimi 5 anni.
Le parole chiave utilizzate sono state:
• “inibitori di pompa protonica”
(Medical Subject Headings [MESH] and all fields)
• “reflusso gastroesofageo”
• “sintomi gastroesofagei”
• “sintomi extragastroesofagei”
• “esofagite”
• “MRGE”
• “lattanti”
• “bambini”
• “adolescenti”.
Risultati
Utilizzando questa metodologia di ricerca sono stati evidenziati 51 RCT e 23 Reviews, di cui solo 8 RCT e 12 Reviews corrispondevano ai criteri ricercati. Dai dati
estratti dagli studi, è emerso come sia di fondamentale importanza tener presente la
diversa farmacocinetica e farmacodinamica degli IPP in età pediatrica rispetto alla
popolazione adulta. Infatti non è possibile estrapolare prove di efficacia degli IPP
negli adulti, modulando la dose nei bambini, ma devono essere considerate le varianti individuali di diversa clearance, metabolismo e biodisponibilità in modo da raggiungere gli effetti terapeutici desiderati (livello di evidenza B).
Appare necessario, inoltre, utilizzare solo gli IPP che sono approvati per uso pediatrico ed attenersi alle strette indicazioni che ci vengono fornite dalle evidenze scientifiche, evitando un non corretto utilizzo di questa classe di farmaci. Non è sorprendente che gli IPP siano in grado di ridurre l’acidità gastrica, ma diversi RCT hanno
evidenziato come l’utilizzo empirico degli IPP nei lattanti non sia considerato efficace, rispetto al placebo, nel ridurre i sintomi da sospetto reflusso gastroesofageo
(livello di evidenza B).
In tale fascia di età non è indicato un loro utilizzo in assenza di adeguata conferma
dopo diagnostica strumentale (endoscopia) (livello di evidenza C).
Nel management del bambino e dell’adolescente con MRGE, il ruolo ed il corretto
timing per l’avvio della terapia con IPP è stato analizzato in molti studi ed è supportato da prove di efficacia (livello di evidenza A), anche se sono scarsi i dati relativi
alla terapia a lungo termine. Appare dimostrata l’utilità di uno svezzamento graduale dalla terapia (livello di evidenza B).
9
Continuing Medical Education Activities
Key Points
• La prescrizione degli IPP nel
bambino deve rispettare corrette indicazioni e devono essere
utilizzate solo molecole autorizzate per l’età pediatrica
• La farmacocinetica e la farmacodinamica degli IPP è variabile
e correlata al genotipo CYP2C19
• Non è approvato l’uso empirico
degli IPP nei lattanti con sintomi
suggestivi di reflusso gastroesofageo
• Gli IPP possono essere considerati
farmaci sicuri e ben tollerati anche
in età pediatrica con rari e non
gravi eventi avversi
• Sono necessari ulteriori studi
per stabilire l’efficacia long-term
di questa classe di farmaci nella
prevenzione delle complicanze
della MRGE
10
Conclusioni e prospettive
Gli IPP sono ormai largamente utilizzati nella pratica
clinica, anche se in molti casi non vengono rispettate le
corrette indicazioni e dosaggi, variabili fondamentali soprattutto in età pediatrica, dove la farmacocinetica e la farmacodinamica risultano indispensabili per ottimizzare la
risposta clinica. Malgrado il progressivo aumento nell’utilizzo di questi farmaci, sono necessari ulteriori studi per stabilire
l’effettiva durata del ciclo di terapia. Una migliore conoscenza
della storia naturale della MRGE e del rischio di complicanze a
lungo termine (esofago di Barrett) potrebbe chiarire il ruolo di
questa classe di farmaci, specie in età pediatrica.
BIBLIOGRAFIA
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Drug-induced liver disease
(DILD) is an under-recognized
cause of pediatric liver
disease. DILD can result
from dosage-dependent
hepatotoxicity or from
adverse reactions to
drug used in therapeutic
dosage. Early diagnosis
and prompt withdrawal of
the offending drug is the key
to successful management
of most DILD. Although
there are not controlled
trials, corticosteroids
and ursodeoxycholic acid
can be considered if no
improvement is seen after
discontinuation of drug.
Epatotossicità da farmaci
Il punto di vista del clinico
Claudia Della Corte, Maria Rita Sartorelli, Donatella Comparcola e Valerio Nobili
Reparto di Malattie Epato-Metaboliche, Ospedale Pediatrico "Bambino Gesù", IRCCS di Roma
Epidemiologia e patogenesi
L’epatotossicità farmaco-indotta (Drug Induced Liver Disease - DILD) rappresenta in età pediatrica una causa non trascurabile, anche se talora misconosciuta, di
danno epatico. Ad oggi non sono noti dati sistematici relativi all’incidenza di tale patologia nella popolazione pediatrica, sebbene negli ultimi anni sia stato registrato un
aumento dei casi segnalati (1).
Due sono i principali meccanismi di induzione di danno epatico:
1) dose-dipendente
in cui la tossicità è causata da un dosaggio inappropriato o da un uso prolungato del farmaco;
2) idiosincrasico
in cui la tossicità è dose-indipendente, dunque imprevedibile, e nella patogenesi del danno
i fattori legati all’ospite svolgono un ruolo cruciale.
Molteplici sono i meccanismi coinvolti nella patogenesi delle forme idiosincrasiche, quali
legame del farmaco a proteine cellulari o di membrana con conseguente deplezione di
fattori essenziali o blocco di particolari vie biochimiche, alterazione dei meccanismi di trasporto canalicolare della bile, biotrasformazione del farmaco con formazione di complessi
immunogeni. Inoltre, è stato descritto che alcuni farmaci sono in grado di influenzare i
meccanismi di apoptosi epatocitaria o l’attività mitocondriale e che anche cellule differenti dagli epatociti (cellule endoteliali, cellule di Kupffer e/o cellule stellate) possono essere
coinvolte nella patogenesi del danno epatico (2,3).
Quadro clinico
Lo spettro di patologia epatica indotta da farmaci è estremamente ampio, potendo
andare dall’isolato aumento degli enzimi epatici a quadri di epatopatia acuta e cronica, talora ad impronta colestatica, di variabile gravità, sino all’insufficienza epatica. È
stato infatti riportato che il 20% circa dei casi di insufficienza epatica acuta in età
pediatrica è causato dall’utilizzo di farmaci (nel 15% dei casi il farmaco coinvolto è il
paracetamolo, nel 5% dei casi si tratta di farmaci diversi, quali antiepilettici e/o antibiotici prevalentemente) (4).
I sintomi clinici precoci sono generalmente aspecifici (malessere, nausea, anoressia),
sebbene febbre, linfoadenopatia e rash possano essere presenti nelle forme da ipersensibilità. Nelle forme a prevalente danno colestatico l’ittero ed il prurito dominano il
quadro clinico, sebbene siano manifestazioni più tardive.
Diagnosi
La diagnosi di epatotossicità da farmaci è una diagnosi prevalentemente clinica e di
esclusione; elemento chiave è rappresentato da una accurata anamnesi che dovrebbe
coprire i seguenti aspetti:
12
• tutti i farmaci assunti nelle 6-8 settimane antecedenti la comparsa della sintomatologia
clinica, inclusi i prodotti da banco e quelli assunti accidentalmente
• dosaggio totale di farmaco assunto e modalità di somministrazione
• rapporto temporale tra comparsa dei sintomi ed assunzione del farmaco
• sintomatologia presentata (febbre, rash, nausea, vomito, iporessia…)
• eventuali fattori di rischio, quali precedenti reazioni a farmaci, storia familiare di farmacotossicità, assunzione di altri farmaci contemporaneamente, co-morbidità.
Come precedentemente detto, è indispensabile escludere tutte le altre possibili cause note di epatopatia. Ulteriore conferma diagnostica è data dalla risoluzione del quadro dopo
la sospensione del farmaco; il re-challange, ovvero la ricorrenza dei sintomi dopo la reintroduzione del farmaco,
Tabella 1 Principali farmaci coinvolti in segnalaconfermerebbe la diagnosi ma è generalmente controinzioni di epatotossicità in età pediatridicato (5).
ca e loro meccanismo d’azione
Sono state proposte alcune scale semiquantitative, come
il Rousse Uclaf Causality Assessment Method of the
Dose-dipendente
Idiosincrasico
Council of International Organization of Medical
Paracetamolo
Antiepilettici
Sciences (RUCAM/CIOMS), il Naranjo Probability
Scale e il Maria e Victorino Scale, al fine di migliorare la
Isoniazide
Antibiotici
specificità diagnostica nei casi di epatotossicità da farmaTetracicline (minociclina)
ci. Tali scoring systems si basano su: intervallo post-espoUreidopenicilline (piperacillina)
sizione, pattern biochimico, esclusione di cause alternative di danno epatico, presenza di manifestazioni cliniche
extraepatiche, re-challange e casi precedentemente descritti (6). Nonostante la loro relativa semplicità, queste scale non sono mai state realmente utilizzate nella pratica clinica
pediatrica ed il loro uso routinario non è raccomandato. I motivi alla base del loro mancato impiego sono molteplici. In primo luogo essi prendono in considerazione i livelli
fosfatasi alcalina (ALP), che sono ampiamente variabili nei bambini in fase di accrescimento per la produzione extraepatica di ALP nell’osso. Inoltre, taluni items di tali score,
non sono generalmente applicabili all’età pediatrica (abuso di alcool, gravidanza, malattie cardiovascolari) (5).
Esami di laboratorio
Dal punto di vista laboratoristico non esistono tests diagnostici; tuttavia, nei casi di epatotossicità da farmaci con meccanismo dose-dipendente, una diagnosi specifica può essere
posta sulla base delle concentrazioni plasmatiche del farmaco (paracetamolo, aspirina) (7)
oppure sulla base del riscontro di anticorpi specifici (alotano).
Un'alterazione caratteristicamente associata ad alcune forme di epatotossicità da farmaci è
l’eosinofilia periferica.
In caso di mancato miglioramento del quadro clinico-laboratoristico dopo la sospensione
del farmaco, la diagnosi di epatotossicità farmaco-indotta deve essere messa in discussione.
Biopsia epatica
Sebbene non esista un quadro istologico patognomonico, la biopsia epatica permette di
definire la severità istologica del quadro e consente di escludere alcune diagnosi differenziali (ad es: epatite autoimmune) (8).
13
Pediatric Hepatology Outside Box
Tabella 2 E patotossicità da paracetamolo
Dose tossica
≥ 150 mg/kg
Meccanismo d’azione
Dose dipendente (saturazione di tutti i meccanismi di detossificazione)
Precoce: anoressia, nausea, vomito e, talora, ipoglicemia e lattico acidosi
Sintomatologia
> 48 ore: danno epatico con citolisi massiva e colestasi; coagulopatia
3-5 gg: encefalopatia, insufficienza renale
Diagnosi
Basata sulla anamnesi e dosaggio dei livelli sierici di paracetamolo
Istologia
Prevalente necrosi pericentrovenulare
N-acetilcisteina (dose d’attacco 150 mg/kg ev, da ridurre nelle ore successive)
Trattamento
Il trattamento precoce si associa ad un outcome migliore
90-94% dei casi: guarigione
Outcome
6% dei casi: necessità di epatotrapianto o decesso
Le lesioni istopatologiche dell’epatotossicità da farmaci sono generalmente non specifiche e possono essere distinte in 3 gruppi sulla base del tipo di lesione prevalente:
• danno acuto epatocellulare con infiltrato infiammatorio
• danno colestatico
• danno con vanificazione dei dotti biliari.
Storia naturale
Generalmente la sospensione del farmaco tossico determina nella maggior parte dei
casi un progressivo miglioramento del quadro clinico-laboratoristico. Il tempo della
guarigione è variabile e dipende dal tipo di danno epatico instauratosi. Alcuni studi
hanno dimostrato che talora, anche a distanza di tempo dall’inizio della sintomatologia, persistono spie di danno epatico, quali alterazioni laboratoristiche o ecografiche; tale persistenza del danno è stata messa in relazione con il riscontro di fibrosi
epatica all’esordio o con la persistente assunzione del farmaco tossico (antinfiammatori non steroidei, farmaci psicotropi, antibiotici). La prognosi è molto variabile ed
in parte dipendente anche dal farmaco coinvolto. Ad esempio è stato dimostrato che
la prognosi migliore è associata alla tossicità da paracetamolo, rispetto ad altri farmaci, come ad esempio il valproato.
Trattamento
La precoce identificazione e sospensione del farmaco causale è il principale trattamento dell’epatotossicità da farmaco. Un trattamento specifico è raramente necessario. Due eccezioni sono rappresentate dalla tossicità da paracetamolo, trattata con
14
Epatossicità da farmaci. il punto di vista del clinico
somministrazioni di N-acetilcisteina, e dalla tossicità dal valproato di sodio, in cui la
carnitina può essere di beneficio. Sebbene ad oggi non siano stati ancora condotti
trials clinici sull’utilizzo di corticosteroidi o acido ursodesossicolico nelle epatopatie
da farmaci, ci sono alcuni reports aneddotici sulla loro efficacia. Teoricamente sembrerebbe appropriato ricorrere agli steroidi nei pazienti che hanno una epatopatia
severa con caratteristiche di allergia e che non migliorano dopo la sospensione del
farmaco-tossico. Allo stesso modo un ciclo di acido ursodesossicolico potrebbe essere
utile nelle forme ad impronta colestatica a decorso protratto (5,9).
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Key Points
•L’epatotossicità da farmaci può
presentarsi mediante un ampio
spettro di manifestazioni cliniche
che vanno dall’isolata ipertransaminasemia a quadri di epatopatia
acuta e cronica di variabile gravità, sino all’insufficienza epatica
acuta
•La diagnosi di epatotossicità da
farmaci resta ad oggi una diagnosi prevalentemente clinica e
di esclusione, non esistendo tests
biochimici e/o quadri istologici
patognomonici
•Il principale trattamento dell’epatotossicità da farmaci rappresentato dalla sospensione del farmaco tossico associata ad adeguate
misure di supporto; solo raramente
è disponibile una terapia specifica
(N-acetilcisteina per tossicità da
paracetamolo)
•Steroidi ed UDCA dovrebbero
essere considerati nelle forme non
responsive alla sospensione del farmaco. L’UDCA è da utilizzarsi principalmente nelle forme ad impronta
colestatica
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Hypercholesterolemia is
one of the most important
cardiovascular risk factor:
a strong relationship has
been shown between the
prevalence and extent
of the asymptomatic
atherosclerotic lesions and
plasma lipid concentrations
in children and adult.
Environmental factors,
such as diet, and genetic
predisposition are involved
in the pathogenesis of
hypercholesterolemia.
Dietary interventions and
lifestyle modifications
have been suggested,
either independently or as
adjuvant to drug therapy,
in hypercholesterolemic
children. We analyze the
effects of prenatal nutrition,
the positive role of breastfeeding, the impact of dietary
lipids and other dietary
supplementation in the
prevention and management
of childhood dyslipidemia.
Il bambino con ipercolesterolemia:
ruolo dell’alimentazione
Irene Rutigliano, Clementina Calabrese, Massimo Pettoello-Mantovani e Angelo Campanozzi
Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Foggia
INTRODUZIONE
Il ruolo dell’alimentazione nella prevenzione degli accidenti cardiovascolari è ormai accertato. L’ipercolesterolemia è considerata uno dei fattori di rischio più importanti: esiste,
difatti, correlazione statistica tra coronaropatia e livelli ematici di colesterolo. L’identificazione precoce di bambini ipercolesterolemici permette l’attuazione di misure correttive al fine di bloccare la progressione, verso un punto di non ritorno, dei processi di invecchiamento vascolare.
Programmazione Metabolica
Le perturbazioni insorgenti durante la vita intrauterina e nell’immediato periodo postnatale svolgono un ruolo centrale nell’omeostasi metabolica: gli squilibri nutrizionali
nella gestante possono condizionare lo sviluppo fetale e influire sul determinismo di patologie croniche (ipotesi di Barker-Thrifty Phenotype).
La placenta umana è relativamente permeabile agli acidi grassi e al colesterolo: una dieta ricca in grassi saturi durante la gestazione altera l’equilibrio energetico, intervenendo
sui meccanismi alla base della regolazione dell’appetito e predisponendo all’insorgenza
della sindrome metabolica. L’ipercolesterolemia materna, seppur limitata al periodo gestazionale, può determinare lesioni prearteriosclerotiche nell’organismo in via di sviluppo. Il profilo ematico di acidi grassi trans, omega 6 e omega 3 influisce sulla crescita fetale [Tabella 1] (1-2). L’adattamento dietetico materno è auspicabile per un adeguato
sviluppo del feto, con tutte le implicazioni intercorrenti in età adulta.
Tabella 1 P
rofilo lipidico materno ed effetti sulla crescita fetale
Profilo lipidico materno
Ridotte concentrazioni plasmatiche di acidi grassi ω3 e ω6
LC-PUFA DGLA (20:3n-6)
Aumento concentrazioni plasmatiche di acidi grassi ω6
LC-PUFA AA (20:4n-6)
Aumentato intake calorico di acidi grassi trans
nel II trimestre di gestazione
Effetti sulla crescita fetale
Maggiore rischio di neonato SGA
Maggiore rischio di neonato SGA
Maggiore rischio di neonato LGA
Alimentazione nei primi 2 anni di vita
L’allattamento materno è associato a riduzione del rischio cardiovascolare. Per
quanto i livelli di colesterolo ematico siano più elevati negli allattati al seno, si è riscontrata una colesterolemia più bassa negli adulti che hanno assunto latte materno nella
prima infanzia. Diversi sono i dubbi nell’interpretazione del meccanismo che sottende
tale condizione; si ritiene che le più alte concentrazioni di colesterolo presenti nel latte
materno rispetto al latte adattato, inducano una migliore regolazione del metabolismo
lipidico attraverso la down-regulation della HMGcoA reduttasi epatica (3).
Il periodo dello svezzamento rappresenta un momento critico. Non ci sono molti
studi che abbiano analizzato l’effetto della dieta nei primi due anni di vita sul rischio
cardiovascolare dell’adulto, perché i fattori di confondimento sono tanti. Di certo
l’eccessivo consumo proteico derivante da uno svezzamento inadeguato o precoce,
16
rappresenta una condizione predisponente alla comparsa di obesità.
L’American Academy of Pediatrics (AAP) non prevede restrizioni dietetiche nei bambini di età inferiore ai due anni, periodo di elevato fabbisogno metabolico, ma raccomanda l’uso di latte a ridotto contenuto lipidico in bambini di età superiore ai 12 mesi
con rischio elevato per obesità o con anamnesi familiare per dislipidemia (4).
Quando iniziare il trattamento dietetico
Il riscontro di un profilo lipidico alterato necessita di ulteriore controllo dopo circa tre settimane dalla prima valutazione; in caso di persistenza di alterazioni della lipidemia [Tabella 2]
va improntato un approccio dietetico (4).
Il trattamento non farmacologico dell’ipercoleTabella 2 Valori di riferimento delle concentrazioni plasmatiche di
sterolemia prevede non solo la riduzione delle
colesterolo totale e LDL nei bambini e adolescenti (4)
calorie totali provenienti dai lipidi, ma anche
Colesterolo totale
LDL
l’ottimizzazione dei grassi ingeriti e l’eliminazioLivello
Percentuale
mg/dl
mg/dl
ne di eventuali fattori di comorbilità quali obesità e fumo di sigaretta (abitudine crescente negli
Accettabile
< 75°
< 170
< 110
adolescenti, indagine SIP-SIMA 2010).
Borderline
75°-95°
170-199
110-129
Nelle forme di iperlipidemia primitiva le restriElevato
> 95°
> 200
> 130
zioni dietetiche inducono generalmente solo lieve riduzione delle LDL (soprattutto se >190
mg/dL), ma vanno intraprese per migliorare la risposta alla terapia farmacologica (5).
Riduzione delle calorie provenienti dai lipidi
La limitazione delle calorie provenienti dai lipidi rappresenta il primo passo della prevenzione nei soggetti a rischio. L’adeguatezza nutrizionale deve essere garantita per sostenere l’accrescimento dell’individuo.
L’approccio codificato dal National Cholesterol Education Progam prevede un intervento in due fasi (6). La prima si avvale di una dieta mirata alla ingestione di lipidi in quantitativo tale da non superare il 30% delle calorie giornaliere, di colesterolo non superiore
a 300 mg/die e di grassi saturi inferiore al 10% dell’intake energetico. In caso di persistenza di dislipidemia, dopo un periodo minimo di tre mesi di dieta, è possibile passare
alla seconda fase con riduzione degli acidi grassi saturi al 7% delle calorie totali e intake
giornaliero massimo di colesterolo pari a 200 mg.
Ottimizzazione dei grassi ingeriti
Il rischio cardiovascolare è correlato alla tipologia di grassi presenti nella dieta. L’eccessivo consumo di acidi grassi saturi induce aumento della colesterolemia, incremento delle
LDL e riduzione dell’attività dei recettori per le lipoproteine a bassa densità, responsabili della loro clearance.
Gli acidi monoinsaturi riducono la concentrazione ematica e la suscettibilità ossidativa
del colesterolo LDL, senza effetti sulle HDL.
Anche gli acidi grassi polinsaturi, classificati in base alla loro struttura in ω3 e ω6,
presentano effetti sulla colesterolemia. Il gruppo degli ω6 riduce i livelli ematici di LDL,
ma determina anche riduzione delle HDL. Inoltre, gli ω6 indirizzano il metabolismo
dell’acido arachidonico a trombossano A2, noto per le capacità trombogeniche e vasocostrittrici. Ad alte dosi aumentano la suscettibilità ossidativa delle LDL favorendone
l’accumulo nei macrofagi (7).
Gli acidi polinsaturi della serie ω3 contribuiscono alla riduzione della colesterolemia,
indirizzano positivamente il metabolismo delle prostacicline, responsabili di effetto vasodilatatore e antitrombogeno. Gli ω3 contenuti nell’olio di pesce (acido eicosapentaenoico) diminuiscono la trigliceridemia e il rischio cardiovascolare.
Tali osservazioni suggeriscono l’importanza di favorire l’assunzione alimentare di acidi
ω3, di preferire acidi grassi monoinsaturi ponendo attenzione alla loro origine: gli ali17
Pediatric Nutrition Outside Box
menti ricchi in monoinsaturi abbondano anche in acidi saturi, per cui la scelta deve ricadere su prodotti di origine vegetale [Tabella 3].
è stato riportato che ottimizzando l’intake di acidi grassi, aumentando l’introito di alimenti
di origine vegetale, modificando gli stili di vita, anche una dieta che contenga lipidi in ragione superiore al 30% delle calorie totali (non eccedendo il 35%) può risultare adeguata (7).
Gli acidi grassi trans, così definiti in base alla loro configurazione sterica, sono principalmente prodotti da processi di idrogenazione catalitica o da trattamenti termici indotti per
migliorare la palatabilità o il grado di solidificazione alimentare. Questi acidi industriali,
noti come idrogenati, inducono riduzione della colesterolemia HDL, incremento dei livelli di LDL e di lipoproteina a, fattore di rischio cardiovascolare indipendente. Il consumo
di acidi idrogenati è associato a rischio cardiovascolare: i livelli ematici di PCR e IL-6
risultano più elevati in soggetti che ne assumono maggiori quantità, per effetto pro-infiammatorio sulle cellule endoteliali (8). Le linee guida dell’American Heart Association,
codificate dall’AAP per l’età evolutiva (4), ne raccomandano un intake inferiore all’1%
delle calorie giornaliere.
Tabella 3 P
rincipali fonti alimentari di acidi grassi
Acidi grassi
saturi
Alimenti
Latte intero e latticini, burro, carni grasse, formaggi, burro di cacao, olio di palma, olio di cocco
monoinsaturi
Olio di oliva, olio di semi di girasole, olio di colza
polinsaturi ω6
Olio di arachidi, olio di mais, olio di lino, olio di soia
polinsaturi ω3
Olio di fegato di merluzzo, pesci grassi
idrogenati
Margarine, prodotti industriali (biscotti, merendine, snack)
Supplementi dietetici
Il termine fitosteroli comprende steroli (e stanoli) di origine vegetale. Assunti con la
dieta, interferiscono con l’assorbimento intestinale del colesterolo e ne modificherebbero
il sistema di clearance endogeno. Studi clinici hanno dimostrato che un intake di fitosteroli pari a 1.6 g/die riduce del 10% le LDL in bambini affetti da ipercolesterolemia familiare. L’effetto positivo sulla colesterolemia è stato di recente confermato in altre forme di
dislipidemia primitiva (9). Non sono noti gli effetti a lungo termine di una dieta arricchita in fitosteroli, per cui le evidenze correnti ne raccomandano l’utilizzo solo negli adulti.
Inoltre, è stato riportato che la supplementazione dietetica in fitosteroli ridurrebbe l’assorbimento intestinale di beta-carotene, mentre permangono controversie sugli effetti
indotti sulla concentrazione plasmatica di altre vitamine liposolubili (4,10).
Le fibre solubili (glucano, pectina, psyllium) sono presenti in cereali complessi, legumi,
frutta. Sono sostanze resistenti alla digestione enzimatica gastrointestinale, capaci di interferire con il circolo enteroepatico del colesterolo. L’assunzione quotidiana di fibre solubili presenterebbe effetto benefico sulla colesterolemia in soggetti ipercolesterolemici
(11). L’AAP ne raccomanda un consumo giornaliero calcolabile addizionando all’età del
bambino il valore di 5. Il risultato, espresso in grammi, riferisce la dose supplementare di
fibra da assumere nelle 24 ore (massimo di 20 g/die).
Conclusioni
L’adeguatezza nutrizionale va sostenuta sin dagli albori della vita: è auspicabile nella
gestante una corretta alimentazione per il benessere dell’organismo in accrescimento.
L’allattamento materno va sostenuto e incoraggiato. L’introito alimentare di grassi di
origine animale va limitato. Particolare attenzione deve essere rivolta al consumo di alimenti di origine industriale, fonte di grassi idrogenati; mentre va incentivata l’assunzione
di frutta, verdura, legumi, cereali integrali e pesce (fonte di omega 3).
18
Il bambino con ipercolesterolemia: ruolo dell’alimentazione
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Key Points
La prevenzione cardiovascolare
•
trova un ruolo importante nell’alimentazione: una dieta adeguata
interviene nell’ambito delle strategie
di riduzione del rischio di accidenti
cardiovascolari
•Lo stato nutrizionale e gli stili di vita
della donna durante la gestazione
influenzano lo sviluppo fetale con
ripercussioni sulla predisposizione ad
uno o più fattori di rischio per accidenti cardiovascolari nell’età adulta
•Il riconoscimento di bambini ipercolesterolemici permette l’attuazione di misure correttive: l’approccio
dietetico deve mirare non solo alla
riduzione delle calorie provenienti
dai lipidi, ma anche alla ottimizzazione della tipologia di grassi introdotti
con l’alimentazione quotidiana
•L’eccessivo consumo di prodotti
in commercio ricchi di acidi grassi
trans (o idrogenati) è associato ad
un elevato rischio di accidenti cardiovascolari
19
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BARA
La Risonanza Magnetica
dell’intestino: valore diagnostico
in età pediatrica
Francesca Maccioni, Giulia Bella, Valeria Buonocore, Roberta Giovannone e Mario Marini
Dipartimento di Scienze Radiologiche, Oncologia ed Anatomia Patologica, Policlinico Umberto I,
Università Sapienza di Roma
Magnetic resonance imaging
of the bowel is a diagnostic
modality increasingly used
in the study of inflammatory
bowel diseases such as
Crohn’s Disease and
Ulcerative Colitis. Its use
is also suitable for the
evaluation of celiac disease
and malformations.
Thanks to its panoramic field
of view and the absence of
biological hazards known,
it is particularly suitable for
the evaluation of pediatric
patients. The limits of this
technique are due to the high
management costs and poor
accessibility.
However, being an effective
diagnostic procedure,
non-invasive and repeatable,
it is hoped that in future
MRI might be more frequently
used in childhood,
thus offering a diagnostic
management of IBD
completely free
of radiation.
INTRODUZIONE
La Risonanza Magnetica (RM) è una metodica di imaging sempre più frequentemente utilizzata in età pediatrica, in primo luogo perché priva di radiazioni ionizzanti, un valore fondamentale per questi pazienti. È noto, infatti, che la popolazione pediatrica abbia una maggiore sensibilità agli effetti nocivi delle radiazioni ed un maggior rischio di effetti tardivi, che
possono evidenziarsi a distanza di decenni dall’evento radiante, per la lunga aspettativa di
vita (1). Accanto a tale indubbio vantaggio, la RM è caratterizzata da un elevato contrasto
tissutale, particolarmente adatto allo studio dei tessuti flogistici, dalla capacità di esaminare
in tutti i piani dello spazio e dalla disponibilità di numerosi parametri di valutazione, ad
esempio sequenze pesate in T1 o in T2 per esaltare i diversi tempi di rilassamento dei tessuti, ovvero con caratteristiche e valori diagnostici diversi e complementari. Inoltre, a differenza di altre metodiche, la RM è in continua evoluzione tecnologica e nuove possibilità di
imaging vengono continuamente sviluppate e introdotte clinicamente, come ad esempio
recentemente l’imaging in diffusione in grado di differenziare tessuti patologici sulla base
della diffusione delle molecole di acqua (Diffusion Weighted Imaging), o l’imaging basato sull’analisi spettroscopica di alcune molecole tissutali (MR Spectroscopy).
Soltanto fino ad alcuni anni fa la RM era considerata una metodica di limitata utilità nella
valutazione del piccolo e del grosso intestino, a causa dell’utilizzo di sequenze a lenta acquisizione, che determinavano artefatti dovuti ai movimenti respiratori e peristaltici dell’addome. I recenti progressi tecnologici (gradienti più potenti e veloci, bobine di superficie, disponibilità di sequenze veloci) hanno sensibilmente migliorato la qualità delle immagini RM
ampliandone le potenzialità diagnostiche sia a livello addominale che gastrointestinale. Le
nuove bobine phased-array (bobine di superficie in grado di ricevere il segnale con minore
dispersione) hanno notevolmente migliorato la risoluzione spaziale consentendo lo studio
della sottile parete intestinale; la disponibilità di sequenze veloci T1 e T2-pesate e l’introduzione di mezzi di contrasto intestinali positivi e negativi ha consentito la valutazione dell’intestino in condizioni migliori, fornendo nuovi criteri di diagnosi (2). Inoltre la recente velocizzazione di alcune sequenze rende possibile attualmente acquisire le immagini senza
trattenere il respiro (tecnica breath-hold free), di fondamentale importanza per i pazienti
pediatrici. Attualmente la RM è in grado di offrire uno studio completo sia degli organi addominali parenchimatosi (fegato, pancreas) che del tubo gastroenterico, comparabile, e per
alcuni aspetti superiore, a quello offerto dalla TC multistrato.
Aspetti tecnici
La RM viene eseguita con magneti ad alto campo (1 o 1.5 Tesla) che garantiscono una
qualità elevata delle prestazioni diagnostiche, generalmente superiore rispetto ad i magneti
a campo inferiore. Attualmente sono disponibili anche magneti a 3 Tesla, ma il loro uso
clinico rimane sperimentale, in particolare in età pediatrica, ed a tutt’oggi prevalentemente
focalizzato al neuro-imaging.
Uno studio adeguato del tubo gastroenterico con RM prevede l’uso di mezzo di contrasto
intestinale per distendere il lume ed ottenere un’omogeneizzazione del segnale endoluminale. Un’adeguata distensione intestinale può essere ottenuta sia somministrando mezzi di
contrasto per os (Entero-RM) sia utilizzando un sondino naso-digiunale (RM-Enteroclisi).
Il grado di distensione del piccolo intestino è superiore con l’enteroclisi, ma nei pazienti
20
pediatrici l’enterografia è generalmente preferita per la sua non invasività. I mezzi di contrasto intestinali da somministrare per os si dividono in due categorie:
1) bifasici, con comportamento simile all’acqua, rappresentati da soluzioni non assorbibili, generalmente polyethylenglicole (PEG) o mannitolo, con effetto negativo nelle sequenze T1
pesate e positivo nelle T2 (2,3);
2) negativi o super-paramagnetici, formati da particelle di ossido di ferro, rivestiti di silicone
in una soluzione non assorbibile, che producono un effetto negativo sia in T1 che in T2 (4).
Al momento attuale non vi è accordo sui mezzi di contrasto da considerare “ideali” in età
adulta o pediatrica ed entrambi sono ugualmente utilizzati con risultati soddisfacenti.
Sulla base della nostra esperienza riteniamo che il contrasto bifasico sia particolarmente
utile nello studio delle enteropatie come il morbo celiaco o le poliposi, mentre per le IBD
sia più efficace il contrasto negativo. Poiché la capacità di assumere contrasto per os è comunque limitata in età pediatrica, è bene valutare anticipatamente le possibilità di assunzione del bambino o dell’adolescente prima di eseguire l’indagine. Generalmente sotto i
6-7 anni è utile anche somministrare solo succhi di frutta o acqua per ottenere una minima
distensione.
Le sequenze T2-pesate sono fondamentali per lo studio dell’addome e dell’intestino in età
pediatrica, soprattutto perché prive di artefatti da movimento ed acquisibili anche senza
trattenere il respiro, grazie ai veloci tempi di acquisizione (inferiori ad un secondo per immagine). Utilizzando sequenze veloci è possibile anche eseguire studi dinamici-funzionali
sulla motilità intestinale, sia a livello gastroesofageo che del tenue (fluoro-RM), ottenendo
informazioni sulla peristalsi simili a quelle fornite in radiologia tradizionale dalla fluorosocopia.
È inoltre possibile eseguire studi contrastografici di “dynamic contrast-enhancement” durante la somministrazione endovenosa di Gadolinio, grazie alle sequenze T1-pesate ad
acquisizione veloce (un gruppo di immagini di 15-25 scansioni circa durante una singola
apnea respiratoria di circa 20 secondi), tuttavia maggiormente gravate da artefatti rispetto
alle sequenze T2-pesate; in questi casi può esser utile la somministrazione di farmaci spasmolitici prima del contrasto. La sedazione del paziente pediatrico sottoposto ad RM
dell’intestino non è generalmente mai necessaria poiché la presenza rassicurante di un genitore accanto al bambino è sempre possibile, per tutta la durata dell’esame.
Indicazioni
Certamente l’indicazione primaria alla RM dell’intestino è rappresentata dalle Malattie
Infiammatorie Intestinali Croniche (MICI o IBD).
La Risonanza Magnetica dell’intestino è una metodica sempre più utilizzata nello studio
delle malattie infiammatorie intestinali per la sua elevata sensibilità nei confronti dei tessuti
flogistici, per la panoramicità e l’assenza di rischi biologici noti, pertanto particolarmente
adatta all’età pediatrica.
Diversi studi hanno confermato l’efficacia diagnostica della RM nella valutazione della
Malattia di Crohn (MC) pediatrica, sovrapponibile a quella ottenuta nell’adulto. Anche nel
paziente pediatrico, la RM è in grado di valutare tutti i principali aspetti della malattia, in
particolare di identificare le sedi di attività nel piccolo e grosso intestino, di valutare le caratteristiche delle lesioni intestinali (ispessimento parietale, grado di stenosi, grado di attività
flogistica) e le principali complicanze loco-regionali, in particolare aderenze e fistole, ascessi e flemmoni (4-8). La RM consente, infatti, di identificare con elevata accuratezza (sensibilità 93%, specificità 90%) l’ispessimento parietale tipico della malattia, specie se superiore
ai 4 mm, sia a livello del tenue che del colon, inoltre di valutare il grado di edema parietale
e periviscerale con sequenze T2-pesate ed il potenziamento parietale dopo iniezione di
mdc (gadolinio) con sequenze T1 pesate (4-8) [Figura 1]. La valutazione integrata di tali
21
Training and Educational Corner
parametri (edema, vascolarizzazione ed
ispessimento parietale) fornisce sostanzialmente un giudizio sull’attività flogistica di
malattia. Numerosi studi di RM, per lo più
condotti su pazienti adulti, hanno dimostrato l’accuratezza di tale indagine nel valutare l’attività di malattia del Crohn, in
alternativa e ad integrazione degli indici
clinici ed endoscopici di attività più comunemente utilizzati (6,9,10). Inoltre, grazie
alla panoramicità della RM, con un solo
esame diagnostico è possibile valutare
estensione di malattia e complicanze dal
digiuno alla regione retto-anale. La malattia perianale rappresenta un evento frea)
b)
quente in età pediatrica, che spesso richiede rilevanti modifiche del programma
Fig. 1 a, b Immagini RM dell’addome acquisite su piano coronale, rispettivamente T2-pesata (a)
terapeutico e di non semplice valutazione.
e T1-pesata post-contrasto (b) dopo somministrazione di mdc negativo per os. Si osserva marcato
La RM è attualmente in grado di identifiispessimento parietale diffuso e concentrico (freccia a) a carico di un esteso tratto di ileo distale localizzato
in fossa iliaca destra. Tale tratto è caratterizzato da un’accentuazione del segnale di parete T1-post
care e stadiare anche la malattia perianale
Gadolinio, (freccia b) come per una condizione di flogosi di grado lieve-moderato.
con elevata accuratezza e senza invasività.
Concomita proliferazione fibroadiposa del tessuto adiposo loco regionale. Le restanti anse del tenue
presentano calibro e spessore parietale regolari
Tutte le complicanze della Malattia di
Crohn sono identificabili accuratamente
con RM, particolarmente ascessi e le fistole complesse, ad esempio tra diversi tratti
intestinali, tra intestino ed apparato genitourinario o strutture muscolari. Nella Rettocolite Ulcerosa (RCU), la RM ha un ruolo
importante soprattutto nella valutazione
delle forme severe, laddove sia controindic)
d)
cata l’esecuzione di un esame endoscopico
completo. In questi pazienti la RM è in
Fig.1 c, d Immagini RM dell’addome acquisite su piano assiale, rispettivamente T2-pesata (a) e T1-pesata
grado di valutare la severità della malattia,
post-contrasto (b). E’ possibile osservare con maggior dettaglio l’ispessimento parietale marcato dell’ileo
distale, con stenosi del lume ed evidente dilatazione a monte (freccia c e d)
la sua estensione colica e di monitorare
l’efficacia del trattamento, considerando
parametri analoghi a quelli valutati nella malattia di Crohn (11). Inoltre la RM può essere utile per valutare le pouch ileali dopo colectomia totale.
Altre patologie gastrointestinali
La RM ha potenzialità non ancora completamente esplorate nello studio di numerose altre
patologie intestinali, in particolare per alterazioni di tipo funzionale o malformativo. è stata preliminarmente utilizzata con risultati soddisfacenti nello studio di alterazioni disfunzionali gastroesofagee. Sono stati eseguiti studi di motilità intestinale anche nella malattia di
Crohn, per lo più in pazienti adulti. è possibile valutare mal rotazioni, diverticolo di Meckel, stenosi su base malformativa del duodeno o di altri segmenti.
La RM è stata utilizzata con successo per valutare le principali alterazioni morfologiche e
le alterazioni del rilievo plicale nella malattia celiaca (3).
Limiti
I principali limiti della RM sono rappresentati dai costi elevati dell’esame e dalla sua scarsa
accessibilità. L’uso della RM per esami sull’apparato addominale e gastrointestinale in genere è relativamente limitato rispetto agli esami neuro-radiologici che ne rappresentano
l’indicazione principale. Inoltre occorre ricordare che i risultati diagnostici sono fortemente
22
La Risonanza Magnetica dell’intestino: valore diagnostico in età pediatrica
condizionati dall’aggiornamento tecnologico e dall’esperienza dell’operatore. Infatti, solo le
attrezzature più recenti dispongono dell’hardware e software in grado di eseguire esami di
elevato valore diagnostico nello studio dell’intestino. Inoltre, per ottenere risultati diagnostici utili ai fini clinici, è indispensabile una specifica esperienza clinica e tecnica del radiologo.
La RM offre, infatti, molte e diverse possibilità di esecuzione; l’esame dell’intestino è difficilmente standardizzabile e deve esser modulato di volta in volta dal radiologo gastrointestinale in base alla richiesta clinica ed alla condizione specifica del paziente. Per tali motivi
tale esame dovrebbe essere eseguito prevalentemente in centri di riferimento dedicati.
I limiti diagnostici nella valutazione della MC sono relativi e possono includere una minor
accuratezza nella valutazione delle lesioni digiunali rispetto alle altre localizzazioni del tenue
e colon, ed una possibile sottostima delle stenosi di basso grado e di piccoli tramiti fistolosi,
specie quando il contrasto intestinale viene somministrato per os piuttosto che per enteroclisi.
Infine esistono rare controindicazioni all’esame che includono la claustrofobia e la presenza
di dispositivi elettronici impiantati nel corpo del paziente (es. neuro stimolatori o pace-maker).
ITER DIAGNOSTICO
Come è noto la diagnosi e la stadiazione della malattia di Crohn (MC) è estremamente
complessa, sia nel paziente adulto che pediatrico, a causa della localizzazione segmentaria
delle lesioni sia nel piccolo che nel grosso intestino e per l’estensione trans-murale del processo flogistico. Pertanto nei bambini, come nei pazienti adulti, l’identificazione e la valutazione delle lesioni intestinali è basata sull’associazione di varie indagini diagnostiche, che
includono l’ecografia, l’ileo-colonscopia, la capsula endoscopica, eventualmente il tenue
seriato e/o il clisma opaco, la scintigrafia, la TC e recentemente la RM. Con l’introduzione
della RM nell’iter diagnostico, molti esami basati sull’uso di radiazioni ionizzanti possono
esser evitati e lasciati eventualmente come esami di terzo livello. Attualmente è possibile
ipotizzare un iter diagnostico completamente “radiation-free” nel MC in età pediatrica.
L’ecografia, essendo in grado di fornire informazioni sulla caratteristica estensione trans
murale della malattia, rimane sicuramente l’indagine di prima linea, per la sua disponibilità, mancanza di invasività e alta accuratezza (sensibilità 84%, specificità 92%) sia nella fase
diagnostica iniziale che nel follow-up dei pazienti pediatrici (7). L’endoscopia integrata dalle biopsie fornisce importanti dati riguardanti il versante endoluminale della malattia e
mantiene un ruolo imprescindibile sia nella fase iniziale diagnostica che nel follow-up. Le
informazioni ottenute con la RM possono, infatti, completare e integrare i dati morfologici
ecografici e quelli endoluminali forniti dall’endoscopia, come un esame di riferimento di
secondo livello.
Nei pazienti pediatrici la RM attualmente può, quando disponibile ed accessibile, sostituire
la TC e gli studi con bario nella maggior parte dei casi. In particolare, l’uso della TC multistrato deve essere il più possibile limitato in pazienti pediatrici, visto il non irrilevante rischio da danni da radiazioni che si associa all’esposizione ripetuta a scopo diagnostico in età
pediatrica. In particolare, il ruolo della RM appare fondamentale in tutti i casi in cui si sospetti una riacutizzazione della malattia o l’insorgenza di complicanze che potrebbero modificare il programma terapeutico. Inoltre, nei pazienti pediatrici ancor più che negli adulti, appare sempre più importante monitorizzare con una modalità accurata di imaging
l’attività di malattia e gli effetti dei farmaci immunosoppressori e biologici a breve e mediotermine.
CONCLUSIONI
Grazie all’elevato contrasto tissutale ed all’assenza di radiazioni ionizzanti, la RM rappresenta una modalità di imaging potenzialmente ideale per lo studio di patologie addominali e gastrointestinali in età pediatrica ed in particolare nello studio della MC. Infatti,
essendo una procedura diagnostica efficace, non invasiva e ripetibile è particolarmente
adatto allo studio e follow-up di una patologia benigna cronica recidivante. Con l’introduzione di tale metodica è possibile ipotizzare in età pediatrica un iter diagnostico com23
Tabella 1 R
uolo diagnostico integrato delle metodiche diagnostico-strumentali
Training and Educational Corner
efficaci nella valutazione del morbo di Crohn pediatrico, inclusa la
RM dell’intestino
Diagnosi
Primaria
Stadiazione
Primaria
+++
++
++
++
RM
+
+++
+++
+++
Esami radiologici
con bario
+
+
-
+
TC
+
+
+
+
Scintigrafia
++
+
+
+
Ileocolonscopia
+++
++
++
++
Ecografia (HRUS)
con color Doppler
Attività
di malattia
Stadiazione-rivalutazione
in corso di riacutizzazione
pletamente privo di radiazioni nella malattia di Crohn e rettocolite. Occorre
ricordare che la RM dell’intestino rappresenta un esame altamente specialistico, generalmente eseguito in centri di
riferimento. Nei casi in cui la RM non
sia disponibile, gli esami radiologici con
uso di radiazioni, in particolare gli esami
contrastografici con bario ed occasionalmente la TC, mantengono certamente un ruolo diagnostico importante
[Tabelle 1 e 2].
+++ Fondamentale
++ Molto utile
+ Occasionalmente utile
Tabella 2 Ruolo diagnostico integrato delle metodiche diagnostico-strumentali
efficaci nella valutazione del morbo di Crohn pediatrico, in cui la RM
dell’intestino sia esclusa perché non disponibile.
Diagnosi
Primaria
Stadiazione
Primaria
+++
++
++
++
++
++
-
+
TC
+
+
+
++
Scintigrafia
++
+
++
++
+++
++
++
++
Ecografia (HRUS)
con color Doppler
Esami radiologici
con bario
Ileocolonscopia
Key Points
• La RM dell’intestino ha un ruolo
crescente nello studio delle
malattie gastrointestinali in età
pediatrica
a• La RM può valutare accurat
mente sede, estensione, attività
di
e complicanze della malattia
i
iatric
ped
enti
pazi
Crohn in
• è possibile ipotizzare un iter diagnostico privo di radiazioni nello
n
studio della malattia di Croh
pediatrica, integrando ecografia, endoscopia e RM
24
Attività
di malattia
Stadiazione-rivalutazione
in corso di riacutizzazione
+++ Fondamentale
++ Molto utile
+ Occasionalmente utile
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NEL PROSSIMO NUMERO
• Intervista a G. Furuta
Il ruolo degli eosinofili nella patologia gastrointestinale
• I dolori addominali ricorrenti - M. Benninga
• La colelitiasi in età pediatrica - D. Falchetti
• La gestione domiciliare del bambino in nutrizione
enterale - A. Diamanti
• Lo svuotamento gastrico scintigrafico - L. Biassoni
• La mesalazina: cosa c’è di nuovo? - G. Guariso e W. Fries
• Il DHA - C. Agostoni
• Quiz Caso Clinico - da “La Sapienza” di Roma
• La Steatosi epatica DHA e il meccanismo molecolare - V. Nobili
• L’EUS in età pediatrica - B. Bizzarri
• La rettorragia - G. Lombardi
Il Giornale è on line in versione
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Entrando dalla Sezione “EDITORIA”
Commissione Editoria SIGENP
Responsabile di commissione VALERIO NOBILI - Roma
Direttore Editoriale Giornale SIGENP CLAUDIO ROMANO - Messina
Direttore Responsabile Giornale SIGENP G. Clerici, EDITORE AREA QUALITÀ - Milano
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La gestione delle stenosi nella
Malattia di Crohn: il punto di vista
del pediatra e del gastroenterologo
dell’adulto
IL PUNTO DI VISTA DEL GASTROENTEROLOGO PEDIATRA
Arrigo Barabino - Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, IRCCS G. Gaslini di Genova
Development of strictures in pediatric Crohn’s disease is common.
Ultrasonography and MRI are the main used diagnostic tools. Strictures
refractory to medical treatment can be managed by endoscopy dilatation,
resection or strictureplasty.
Clinica
Il restringimento del lume intestinale nella malattia di Crohn (MC) è dovuto sia
all’infiltrazione infiammatoria della parete, sia alla fibrosi transmurale. Il processo
fibrotico è conseguenza della flogosi cronica a tutto spessore che induce una proliferazione delle cellule mesenchimali “collagen-expressing” sotto lo stimolo di citochine come il TNF-α, con conseguente incremento della sintesi e della deposizione di
collagene extra-cellulare. Si ipotizza una predisposizione genetica allo sviluppo di
fibrosi.
L’insorgenza di stenosi nella MC del bambino è una complicanza associata a maggior
rischio di prima chirurgia. Essa è più frequente nei soggetti diagnosticati tra i 6 e 17
anni di età rispetto a quelli al di sotto dei 6. L’incidenza cumulativa di stenosi nel tempo varia in età pediatrica in relazione alla localizzazione iniziale di malattia. A 1, 5, 10
anni dalla diagnosi corrisponde rispettivamente al 5.9%, 12.9%, 39.3% nella MC
ileale, al 6.4%, 17.1%, 18.7% in quella ileo-colonica e al 1.5%, 7.7%. 11.4% nell’interessamento esclusivamente colonico (1).
Un’ostruzione parziale del lume intestinale causa dismotilità, inappetenza, nausea,
dolore addominale, diarrea (secondaria a contaminazione batterica dell’intestino) o
stipsi. Nelle stenosi serrate si delinea invece il quadro clinico dell’occlusione intestinale meccanica, con meteorismo e dolorabilità addominale, coliche severe, alvo
chiuso a feci e gas, vomito biliare o fecaloide e presenza, all’RX diretta dell’addome,
di sovradistesione delle anse a monte della stenosi con livelli idro-aerei.
Diagnosi strumentale
La presenza di stenosi, se in sede accessibile, dovrebbe essere documentata dall’endoscopia, mentre la moderna diagnosi radiologica si avvale dell’ultrasonografia
(US), dell’entero-TC e dell’entero-RM. Tali indagini puntualizzano grado, lunghezza e tortuosità della stenosi e forniscono informazioni sulla componente fibrotica o
infiammatoria della stessa, potendo in parte indirizzare la terapia medica o chirurgica. Per la non invasività, il basso costo, l’assenza di radiazioni e l’ampia disponibilità, l’US è diventata metodica molto in uso per l’imaging delle malattie infiammatorie intestinali del bambino, pur con i limiti legati alla sua operatore-dipendenza e
alla difficoltà nell’evidenziare l’intestino nella sua interezza.
Le recenti innovazioni tecnologiche ed il ricorso a mezzi di contrasto orali anecoici
non assorbibili (PEG), che favoriscono la distensione delle anse, ne hanno migliorato
le performance diagnostiche (SICUS da “small intestinal contrast ultra-sonography”).
26
La stenosi è individuata come un ispessimento di parete con lume ristretto (<1 cm),
variabilmente associato a dilatazione (>2.5 cm) e aumentata peristalsi dell’ansa prestenotica. La sensibilità dell’US nell’identificazione delle stenosi è del 74-80%, con
un’accuratezza maggiore per quelle ileali (85%) rispetto alle coliche (59%). L’incremento del segnale Doppler suggerisce infiammazione, mentre la scarsa vascolarizzazione con segni di retrazione di anse adiacenti depone per fibrosi (2).
Sia per la Tomografia Computerizzata (TC) che per la Risonanza Magnetica (RM)
dell’intestino è richiesta la distensione delle anse mediante abbondante quantità
(500-750 cc in bambini di età > a 10 anni) di mezzo di contrasto (PEG) da assumersi per via orale o mediante sondino naso gastrico nei bambini non collaboranti. In
entrambe le metodiche è necessario anche un contrasto endovenoso per evidenziare
il “contrast enhancement” (CE), tanto più marcato quanto più è preminente la componente infiammatoria della stenosi. Poiché in età pediatrica la TC è poco utilizzata
per l’eccessiva esposizione a radiazioni ionizzanti, la RM è diventata l’indagine di
scelta. La stenosi è di agevole individuazione considerando che il normale lume intestinale è di circa a 2.5 cm di diametro e che spesso è presente una dilatazione prestenotica. Il riscontro di una parete intestinale ipointensa e senza un significativo CE
indica una stenosi fibrotica di lunga data (2).
Terapia
Bambini sintomatici, senza chiare evidenze di ileo meccanico, con stenosi a preminente componente infiammatoria possono rispondere alla terapia nutrizionale o steroidea associata alle tiopurine. Nelle stenosi infiammatorie non rispondenti a tali
terapie e non raggiungibili endoscopicamente può essere tentata la terapia biologica
con anti TNF-α. Le stenosi refrattarie alla terapia medica o a prevalente componente fibrotica possono essere trattate per via endoscopica o chirurgica mediante stritturo-plastica o resezione.
La dilatazione endoscopica con pallone, anche se metodica efficace e conservativa,
è condizionata dalle possibili complicanze ad essa correlate, dalla lunghezza e tortuosità della stenosi e dalle frequenti recidive. Uno studio pediatrico prospettico,
randomizzato, in doppio ceco ha dimostrato che l’iniezione intralesionale di triamcinolone post-dilatazione endoscopica è efficace nel ridurre la necessità sia di ulteriori
dilatazioni che di chirurgia (3).
Tale procedura è stata recentemente applicata nel bambino anche a stenosi ileali
raggiungibili mediante enteroscopia con singolo pallone (4). Un’indagine retrospettiva, che ha paragonato nel bambino la resezione verso la stritturo-plastica, non ha
dimostrato differenze significative nel tasso di recidive a lungo termine tra le due
metodiche (5). Considerata la natura recidivante della malattia e l’aumento del rischio di intervento chirurgico nel corso del tempo, una chirurgia conservativa dovrebbe sempre essere auspicata.
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27
IBD Highlights
IL PUNTO DI VISTA DEL GASTROENTEROLOGO DELL’ADULTO
Andrea Michielan, Giacomo Carlo Sturniolo - Dipartimento di Scienze Chirurgiche
e Gastroenterologiche, Università degli Studi di Padova
Stricturing phenotype is often the ultimate expression of Crohn’disease and
considering the relapsing course of the disease avoidance of resective surgery
is fundamental to preserve the gut length and function.
Therefore conservative techniques like stricturoplasty or balloon dilatation have
been developed but the challenge for the gastroenterologist is to minimize
the risk of recurrence and stricture.
Clinica
La maggior parte dei pazienti adulti con Malattia di Crohn (MC) presenta un fenotipo infiammatorio alla diagnosi, ma con il tempo va incontro ad una modifica del
comportamento di malattia e dopo dieci anni circa il 40% evolve in una forma stenosante (1). Negli ultimi trent’anni si è assistito ad un aumento esponenziale dell’uso
di farmaci immunosoppressori cui non ha corrisposto una riduzione del numero di
pazienti sottoposti a resezione intestinale (2). È quindi verosimile che la progressione
della malattia stenosante sia associata ad una fibrosi irreversibile o ad un fallimento
della terapia steroidea associata ad immunosoppressori.
La sfida per il gastroenterologo è quella di individuare le stenosi in cui la componente infiammatoria sia ancora suscettibile di terapia medica, anche più precoce ed
aggressiva ad esempio con farmaci biologici, al fine di risolvere il quadro clinico del
paziente e di evitare la successiva evoluzione fibrotica. Nella pratica clinica ci si deve
basare su parametri radiologici, laboratoristici (PCR, calprotectina o lattoferrina
fecale, test di permeabilità intestinale ai tre zuccheri) e clinici (febbre, calo ponderale o diarrea).
Terapia
Per lungo tempo l’unico approccio terapeutico alla malattia stenosante era costituito
dalla resezione chirurgica. Solo negli anni ’80 è stato dimostrato che l’asportazione
completa del segmento intestinale malato non proteggeva da una successiva recidiva
(3). Pertanto l’atteggiamento è mutato verso una chirurgia di risparmio, anche in
considerazione del decorso recidivante della malattia con rischio di sindrome dell’intestino corto in caso di resezioni troppo ampie e/o ripetute. È in questo contesto che
sono state applicate la stritturoplastica e la dilatazione endoscopica tramite
pallone. Le prime stritturoplastiche applicate sono state quelle del tipo HeinekeMikulicz (incisione longitudinale del segmento stenotico seguita da una sutura trasversale del viscere). Oltre a risparmiare intestino, questo evita la creazione di un’anastomosi che è una delle sedi più frequenti di recidiva di malattia. Tale tecnica è
ancora oggi applicata nelle stenosi brevi, mentre per stenosi più lunghe si usano altri
tipi di stritturoplastica (secondo Finney, Jaboulay o Michelassi) con creazione di una
anastomosi tra due anse intestinali coinvolte.
La dilatazione endoscopica tramite pallone era tradizionalmente riservata a stenosi
dell’ileo terminale o del colon; oggi l’enteroscopia a singolo e doppio pallone consente di raggiungere anche segmenti intestinali più prossimali (4).
La stritturoplastica presenta un’efficacia sovrapponibile alla dilatazione endoscopica, con una percentuale di ricorrenza di malattia intorno al 25%. Per quanto riguarda la sicurezza, la stritturoplastica è gravata da un più alto numero (5% contro 3%)
di complicanze maggiori (deiscenza anastomotica, ascessi, fistole, sepsi, emorragie,
28
La gestione delle stenosi nella Malattia di Crohn:
il punto di vista del pediatra e del gastroenterologo dell’adulto
ileo) rispetto alla dilatazione endoscopica (perforazione e sanguinamento severo) (5).
Le due tecniche quindi sono oggi considerate complementari per le stenosi brevi,
con le uniche limitazioni per le stenosi su anastomosi (in cui è da preferirsi la dilatazione endoscopica) e le stenosi del colon (in cui la resezione è considerata più sicura
per il maggior rischio di neoplasia) (6). La scelta della tecnica deve tenere conto di
diversi fattori tra cui l’età, l’esperienza del centro, la sede della stenosi e le preferenze
del paziente che può non volere sottoporsi ad un intervento chirurgico.
La gestione della MC stenosante sembra quindi ancora di pertinenza prevalentemente chirurgica o di endoscopia interventistica, ma è lecito chiedersi quale sia oggi
il ruolo della terapia medica. Fino a qualche anno fa si riteneva che i pazienti
con sintomi subocclusivi potessero giovarsi di un ciclo di steroidi per trattare la presunta componente infiammatoria della stenosi. Parallelamente si riteneva che terapie mediche più aggressive e più precoci, come i farmaci biologici, comportassero
una guarigione troppo rapida con formazione di fibrosi e quindi aggravamento della stenosi. Studi più recenti hanno invece dimostrato che i fattori di rischio per lo
sviluppo o l’aggravamento di una stenosi sono la durata e la severità di malattia, la
localizzazione ileale e una terapia steroidea di recente introduzione (7). Un ciclo di
steroidi può quindi essere rischioso oltre che inefficace, almeno nei pazienti che non
siano steroidodipendenti. Crescente importanza è stata riconosciuta ai farmaci biologici anche perché diminuiscono il rischio di complicanze settiche intra-addominali postoperatorie (ascessi, fistole, deiscenze) sia nei pazienti sottoposti a resezione che
a stritturoplastica (8). Bisogna infine considerare il ruolo della terapia medica nel
ridurre il rischio di recidiva chirurgica.
I pazienti possono essere stratificati in base al loro rischio di recidiva:
• basso rischio se malattia di lunga durata con primo intervento chirurgico per stenosi breve
• rischio intermedio se malattia di durata inferiore ai 10 anni, sottoposta a chirurgia
per stenosi lunga o per fenotipo infiammatorio
• alto rischio se malattia fistolizzante o se già sottoposta ad almeno due interventi
per stenosi.
I pazienti a rischio alto e intermedio richiedono una terapia più aggressiva e precoce, senza attendere la recidiva endoscopica, che si deve avvalere rispettivamente dei
farmaci biologici e delle tiopurine.
I pazienti con basso rischio non necessitano invece di modifiche terapeutiche nel
post-operatorio. In tutti i casi è comunque indicata una stretta sorveglianza endoscopica: colonscopia di controllo dopo i primi 6-12 mesi dall’intervento che, in assenza
di segni di ripresa di malattia tali da dover modificare la terapia, potrà essere ripetuta ogni 1-3 anni (9). Infine tra i fattori di rischio di recidiva post-chirurgica nell’adulto bisogna ricordare il fumo di sigaretta: i fumatori, e particolarmente le donne,
hanno un rischio di recidiva clinica e chirurgica che è più del doppio dei non fumatori. Tuttavia tale rischio viene minimizzato qualora i pazienti smettano di fumare.
Studi recenti sembrano non confermare un effetto negativo del fumo sul decorso
della malattia ma le popolazioni in esame comprendono un’alta percentuale di pazienti in terapia immunosoppressiva (10). È quindi fondamentale incoraggiare sempre la sospensione del fumo di sigaretta.
Conclusioni
Gli interventi chirurgici sono purtroppo ancora molto frequenti nella MC, particolarmente nel fenotipo stenosante, sia in età pediatrica che nell’adulto. L’unica possibilità di modificare la storia naturale è rappresentata probabilmente da una diagnosi precoce e da una terapia di attacco più aggressiva nei pazienti a maggior rischio.
29
IBD Highlights
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Key Points
renze tra l’adulto ed il
ne non presenta sostanziali diffe
• La gestione di questa condizio
bambino
attraverso i dati bioumote è fondamentale identificare,
• Nei pazienti con MC stenosan
infiammatoria della
ente
tem
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prev
ente
pon
com
rali e strumentali, quelli con una
pia medica
stenosi, ancora suscettibile di tera
erite le metodiche
dovrebbero essere sempre pref
osi
sten
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• Per la caratterizzazio
iatrica
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la US e la MR, soprattutto in età
di imaging non invasive, come
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sempre raccomandato nelle sten
rappresenta• L’uso di corticosteroidi non è
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logic
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accurato follo
minor rischio
tre i farmaci biologici, sotto un
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ne
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side
terapeutica, anche in con
no oggi una efficace strategia
post-operatorio
due valide alternative
la stricturoplastica costituiscono
• La dilatazione endoscopica e
chirurgica è riservata
e
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rese
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e lunghezza, mentre
di terapia per le stenosi di brev
alle stenosi lunghe
omandato un approccio
recidiva post-chirurgica è racc
• Nei pazienti ad alto rischio di
terapeutico più aggressivo
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• La cessazione del fumo di siga
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Come è consuetudine in
questa rubrica ospitiamo
un contributo proveniente
dalla gastroenterologia
dell’adulto su tematiche
di estrema attualità
ed in cui può essere utile
una comparazione con le
esperienze o le evidenze
presenti in età pediatrica.
La safety degli Inibitori di
Pompa Protonica
è ampiamente dimostrata
nel bambino e non vi sono
segnalazioni di importanti
eventi avversi. L’articolo di
Cuomo et al, rappresenta
un update riguardo
eventuali reazioni acute
e croniche riferibili
esclusivamente all’adulto.
La safety degli inibitori
di pompa protonica
Paolo Andreozzi, Marco Della Coletta, Alessandra D’Alessandro e Rosario Cuomo
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università “Federico II” di Napoli
Proton pump inhibitors are the most commonly prescribed class of drugs to treat
patients with acid-related disorders because of their safety and effectiveness.
However, as other drugs classes, they has a potential for side effects. In this article
we examined available data on the adverse effects of short-term and long-term
therapy and on the most recently findings regarding drugs interactions.
INTRODUZIONE
Gli inibitori di pompa protonica (IPP) sono una classe di farmaci che sopprime la produzione gastrica di acido cloridrico attraverso il blocco irreversibile dell’enzima H+K+ATPasi (pompa protonica) localizzato sulle membrane delle cellule parietali gastriche.
Gli IPP sono diventati un presidio terapeutico indispensabile nel trattamento delle patologie acido-correlate ed hanno sostituito quasi completamente farmaci quali gli antiacidi e gli antagonisti del recettore H2 dell’istamina. L’elevata efficacia associata all’elevata prevalenza della patologia peptica rendono ragione del largo consumo di IPP in Italia
e nel mondo.
Tuttavia, proprio a causa del loro ampio utilizzo, negli anni sono state segnalate reazioni
avverse sia nel trattamento a breve che a lungo termine.
Tali reazioni si possono classificare in acute e croniche e queste ultime, a loro volta, in
gastrointestinali ed extra-gastrointestinali (1). La loro patogenesi è correlata, per quelle
acute, prevalentemente a fenomeni idiosincrasici ed immunomediati, per le croniche al
meccanismo d’azione del farmaco che determina sia innalzamento del pH gastrico con
ipergastrinemia secondaria che interferenza con il metabolismo citocromo P450 (CYP
450)-dipendente.
Effetti Acuti
Gli effetti collaterali acuti compaiono entro poche ore o giorni dall’assunzione del farmaco e consistono prevalentemente in reazioni lievi come nausea, diarrea, mal di testa,
vertigini, rash cutaneo e prurito. Studi recenti dimostrano che il rischio di effetti collaterali a breve termine varia intorno all’1-3%, senza significative differenze tra le varie molecole. Reazioni severe sono invece estremamente rare: in letteratura una casistica che
raccoglie le segnalazioni dal 1992 al 2007 riporta 64 casi di nefrite acuta interstiziale associati all’utilizzo di omeprazolo. Tale complicanza è probabilmente il risultato di un’ipersensibilità mediata da meccanismi cellulari ed umorali. Infine sono riportati rari casi
di epatite acuta e disturbi visivi (2).
Effetti cronici sull’apparato gastrointestinale
L’utilizzo cronico di IPP, con la correlata ipergastrinemia, può portare alla comparsa di
alterazioni sia funzionali che morfologiche a carico dell’apparato gastrointestinale, ed in
particolare dello stomaco.
Infatti l’azione trofica esercitata dalla gastrina induce la crescita e la proliferazione delle
31
News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology
cellule parietali e delle cellule enterocromaffini che producono istamina. La brusca sospensione del trattamento con IPP può determinare un aumento della secrezione gastrica, noto come “effetto rimbalzo”, che può essere prevenuto attraverso la graduale riduzione del dosaggio prima della sospensione.
Tuttavia l’attenzione dei ricercatori si è focalizzata soprattutto sulle modificazioni morfologiche a carico della mucosa gastrica indotte dalla stimolazione in senso ipertrofico ed
iperplastico della gastrina: è stata infatti ipotizzata ed è oggetto di studio l’associazione tra
gli IPP e i polipi ghiandolari del fondo gastrico.
Queste formazioni rappresentano un reperto endoscopico frequente (circa 2% nella popolazione generale) ed è stata osservata un’aumentata incidenza in pazienti in terapia
con IPP da oltre 12 mesi. I dati disponibili suggeriscono la natura benigna di tali polipi
senza evidenza di rischio di displasia e senza quindi necessità di monitoraggio nel tempo
e di rimozione endoscopica.
Non è stata osservata una diretta correlazione tra l’uso di IPP e lo sviluppo di gastrite
atrofica in assenza di infezione da Helicobacter Pylori (Hp). Tuttavia la prolungata soppressione acida altera il quadro della gastrite in soggetti Hp-positivi facilitando l’evoluzione di
una forma antrale verso una gastrite del corpo gastrico, con peggioramento dell’atrofia
ghiandolare. Quest’ultima predispone alla metaplasia intestinale che rappresenta un fattore di rischio per l’adenocarcinoma gastrico.
Ciò ha indotto ad ipotizzare che l’uso prolungato di IPP in pazienti con infezione da
Hp possa predisporre al cancro gastrico, non esistono però ad oggi studi di coorte che
abbiano confermato tale ipotesi. Nonostante ciò, a scopo precauzionale, la Consensus
di Maastricht raccomanda l’eradicazione dell’Hp prima di iniziare una terapia cronica
acido-soppressiva (3).
Tabella 1 R
eazioni avverse acute
Inoltre, la ridotta attività battericida del succo gastrico insieme alla riduzione
della funzione granulocitaria indotta dagli IPP, soprattutto in età precoce o
Tipo di reazione
Effetto
avanzata ed in presenza di malattie croniche ed immunodepressione iatrogena,
Nausea
può favorire una modificazione in termini quantitativi e qualitativi della flora
Diarrea
batterica intestinale.
Intolleranza al farmaco
Mal di testa
Questo spiegherebbe l’associazione con la sindrome da sovracrescita batterica
Vertigini
Prurito
del piccolo intestino e con l’incrementato rischio di infezioni enteriche, in particolare da Clostridium difficile (2).
Prurito
Infine, negli ultimi anni si è ipotizzato un possibile ruolo degli IPP nella
Rash cutaneo
Reazione IgE-mediata
Orticaria
patogenesi delle allergie alimentari: la riduzione della denaturazione proAngioedema
teica del succo gastrico, associato all’aumentata permeabilità intestinale
Reazioni anafilattiche
indotta dalla terapia acido-soppressiva, favorirebbe l’incontro tra gli allerReazioni idiosincrasiche
Nefrite acuta interstiziale
geni alimentari e le cellule del sistema immunitario (4). La relazione esistente tra l’aumentata incidenza di patologie come l’esofagite eosinofila e
Tabella 2 Reazioni avverse croniche
Sito
Effetti gastrointestinali
Effetti extra-gastrointestinali
32
Meccanismo patogenetico
Effetto
Riduzione del pH gastrico
con ipergastrinemia secondaria
Effetto rimbalzo alla sospensione del trattamento
Polipi ghiandolari del fondo gastrico
Infezioni enteriche (in particolare da C. difficile)
Aumenta permeabilità intestinale ed allergie
Ridotto assorbimento intestinale
dei nutrienti
Osteoporosi con aumento del rischio di fratture
spontanee dell’anca
Aumentata colonizzazione batterica
Riduzione delle difese immunitarie
Polmoniti di comunità in pazienti con trattamento
< 30 giorni
La safety degli inibitori di pompa protonica
la diffusione dell’uso degli IPP, soprattutto tra i bambini, supporta tale ipotesi, la cui
validazione richiede ulteriori studi (5).
Effetti extra-gastrointestinali
L’acidità gastrica gioca un ruolo importante nel processo di assorbimento della vitamina
B12 e del ferro. Tuttavia gli studi non hanno confermato che l’uso prolungato di IPP possa determinare stati carenziali: non è stata osservata una significativa riduzione dei livelli
sierici di B12, tranne che nei soggetti anziani e nei pazienti con sindrome di ZollingerEllison, e non sono stati riportati casi di anemia e neuropatia indotti da deficit vitaminico
né stati ferro-carenziali (1).
La terapia cronica con IPP è stata associata ad un aumentato rischio di osteoporosi, in
particolare di fratture spontanee dell’anca. Si ipotizza che la riduzione della densità ossea
sia il risultato dell’interazione di diversi meccanismi quali la riduzione dell’assorbimento
del calcio a livello intestinale e l’ipergastrinemia secondaria che favorirebbero i processi
di riassorbimento osseo mediante la stimolazione delle ghiandole paratiroidi. Sebbene
siano necessari ulteriori studi per comprendere i meccanismi patogenetici vi sono evidenze sufficienti per innalzare l’attenzione nei soggetti a rischio, come pazienti anziani o in
terapia con corticosteroidi (2).
Resta infine da stabilire il rapporto tra i fenomeni broncopneumonici e la terapia con
IPP. La crescita batterica osservata nell’ambiente gastrico dei soggetti che fanno uso di
IPP, favorirebbe la colonizzazione delle piccole vie aeree attraverso fenomeni di microaspirazione del succo gastrico. Diversi studi hanno osservato un’aumentata incidenza di
polmoniti di comunità. Uno studio caso controllo britannico ha tuttavia evidenziato la
relazione inversa tra rischio di processi infettivi e durata della terapia: l’utilizzo di IPP per
un tempo inferiore ai 30 giorni sembra aumentare il rischio di polmoniti rispetto ad un
uso per più di 6 mesi (6).
Interazioni farmacologiche
Key Points
ori
•Le reazioni acute severe da inibit
sono
di pompa protonica (IPP)
ismi
rare e coinvolgono meccan
immuno-allergici ed idiosincrasici
polipi
•Esiste un’associazione tra IPP e
a
ghiandolari del fondo gastrico senz
tica
plas
neo
e
uzion
evol
evidenza di
cter
•L’eradicazione da Helicoba
re
pylori è necessaria prima di inizia
la
per
IPP
con
ica
cron
ia
una terap
enza
possibile predisposizione all’insorg
di adenocarcinoma dello stomaco
erica
•La sindrome da sovracrescita batt
ciata
del piccolo intestino è asso
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all’utilizzo di IPP che determin
a
ericid
batt
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attiv
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dell’ambiente gastrico e
dello
funzione granulocitaria mucosale
stomaco
con
•Possibili associazioni tra terapia
onici
IPP e fenomeni broncopneum
ento
ed osteoporosi con aum
e
del rischio di fratture spontane
dell’anca
azioni
•Necessità di valutare inter
rel) in
idog
Clop
(es.
he
farmacologic
e di
caso di concomitante assunzion
CYP
lismo
abo
met
con
aci
farm
e
IPP
450-dipendente
Una nota infine sulle possibili interazioni farmacologiche degli IPP, mediate principalmente dalla ridotta biodisponibilità di farmaci che richiedono un ambiente acido per
l’assorbimento (ketoconazolo o itraconazolo) o all’inibizione competitiva del CYP 450,
rilevante soprattutto per farmaci con metabolismo epatico e dotati di un ristretto intervallo terapeutico quali il diazepam, la fenitoina o il warfarin.
Infine di interesse è l’interazione tra IPP e clopidogrel: l’inibizione competitiva del sistema enzimatico bloccherebbe l’attivazione del farmaco a livello epatico, esponendo i soggetti in trattamento al rischio di eventi cardiovascolari. Tuttavia i dati in letteratura sono
discordanti e necessitano di ulteriori studi (7).
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33
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CL
Una causa non comune
di enteropatia proteino-disperdente
Monica Paci, Anna Gissi E Paolo Lionetti
Dipartimento di Scienze per la Salute della Donna e del Bambino, Università di Firenze
S.O.D. Gastroenterologia Pediatrica, A.O.U. Meyer di Firenze
PRESENTAZIONE CLINICA
S. è una bambina di 4 anni con diagnosi di Istiocitosi a cellule di Langherans sistemica (LCH) all’età di 2 mesi, trattata con prednisone,
vinblastina e 6-mercaptopurina e successiva chemioterapia con citarabina e 2-clorodeossiadenosina con totale remissione di malattia. A
1 mese dal termine comparsa di diarrea (3-10 scariche/die) associata ad addominalgia anche notturna ed arresto ponderale. Agli esami
ematici rilievo di anticorpi anti-tranglutaminasi (tTG) a medio-alto titolo, confermati a più controlli, anticorpi anti endomisio negativi. Viene
eseguita biopsia duodenale che risulta nella norma e determinazione HLA negativa per entrambi gli aplotipi DQ2 e DQ8. In attesa di tali
referti viene iniziata dieta senza glutine (DSG) con apparente remissione dei sintomi. Il regime dietetico viene proseguito su richiesta della
famiglia nonostante la scarsa evidenza di celiachia ma i tTG persistono positivi nonostante la DSG seguita scrupolosamente. La bambina
rimane in benessere clinico per i successivi 16 mesi, quando (4 anni) compare febbre ricorrente, modesto aumento degli indici di flogosi
e positività di Anticorpi anti-nucleo, anti cardiolipina e del lupus anticoagulant. Viene valutata in Reumatologia per sospetta sindrome infiammatoria con componente autoimmune e viene trattata con boli di steroidi dopo aver effettuato aspirato midollare risultato nella norma.
Viene interrotta la DSG ma la madre riferisce repentina comparsa di diarrea per cui la riprende senza però miglioramento. Per tale motivo
giunge alla nostra attenzione.
ESAME OBIETTIVO
Condizioni generali mediocri. Peso 15 Kg, Altezza 91 cm. Pallore cutaneo. Nulla da segnalare all’obiettività cardiaca e toracica. L’addome
è teso, meteorico, con fegato palpabile 3 dita dall’arcata costale e milza all’ombelicale traversa.
SVILUPPO DEL CASO CLINICO PRIMA PARTE
Gli oncologi, sulla base degli esami ematici sostanzialmente negativi, e di una recente RM addome negativa, escludono una ripresa di
malattia. S. mostra però progressivo peggioramento clinico con diarrea, ipoproteinemia, progressivo aumento degli indici di flogosi e febbre. All’esame delle feci Rotavirus positivo.
IPOTESI DIAGNOSTICHE
• Diarrea infettiva?
• Enteropatia associata ad Istiocitosi?
• Celiachia?
• MICI?
La soluzione del caso clinico a pagina 43
34
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Cystic Fibrosis is an
autosomal recessive
disease caused by
mutations in the CFTR gene.
Clinical manifestations,
however, are influenced
by a host of complex
interactions with other
genes, with physical and
sociocultural environment
in which the patients
lives, and by the efforts
of healthcare providers.
Studies on CF animal
models clarified some
pathogenetic mechanisms
of the disease.
La genetica nella fibrosi cistica
Spunti della diagnostica di base
in gastroenterologia
Vincenzina Lucidi e Fabio Majo
U.O.C. di Fibrosi Cistica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS di Roma
INTRODUZIONE
Il gene CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane conductance Regulator), responsabile
della fibrosi cistica (FC), è stato identificato nel 1989. Attualmente sono state riconosciute circa 1900 mutazioni (1). La proteina codificata dal gene CFTR costituisce il canale
del cloro posizionato sulla membrana apicale delle cellule epiteliali differenziate. Le caratteristiche cliniche principali della FC sono l’insufficienza pancreatica e la malattia
polmonare progressiva. Altre caratteristiche della malattia sono l’ostruzione dei dotti biliari con conseguente cirrosi biliare ed ipertensione portale, ridotta fertilità soprattutto
maschile, ostruzione intestinale, sinusopatia cronica con poliposi recidivante e diabete.
Attualmente risulta paradossale come nonostante la notevole conoscenza della FC e delle sue caratteristiche non sia ancora del tutto chiaro il processo etiopatogenetico alla base
della malattia.
Inizialmente si è ipotizzato che mutazioni di CFTR causassero semplicemente una disfunzione del canale per il trasporto del cloro sulle pareti delle cellule epiteliali esocrine. Sebbene ancora oggi tutti i test diagnostici per l’FC siano basati su valutazioni delle anomalie nel
trasporto degli ioni cloro (test del sudore, studio della differenza dei potenziali nasali, studio
elettrofisiologico della mucosa rettale: ICM - Intestinal Current Measurement) emerge un
ruolo fisiopatologico della proteina CFTR molto più complesso. Infatti la gravità della
malattia polmonare non correla con il residuo funzionale del canale del cloro: forme mild
di malattia con test del sudore borderline e spesso diagnosi tardiva possono evolvere in
insufficienza respiratoria grave. È stato dimostrato che la proteina CFTR interagisce con i
canali del sodio (ENaC) e con altri canali del cloro, non CFTR.
Studi di correlazione genotipo-fenotipo in gemelli affetti da FC hanno dimostrato l’importante ruolo di geni modificatori nella complessità della espressione clinica e nella risposta
alla terapia preventiva (2). Anche la capacità del sistema immunitario “adattivo” ed “innato” può contribuire a modificare le manifestazioni del difetto di base del gene CFTR (3).
A determinare l’importante variabilità fenotipica della FC contribuiscono però in una
percentuale molto significativa molti fattori non genetici come l’ambiente (pollution, fumo,
microrganismi patogeni), aspetti socio demografici, culturali, contesto familiare e capacità di accettazione delle cure piuttosto che le possibili barriere all’accesso delle cure (4).
Il primo modello di topo FC era in grado di riprodurre solamente gli aspetti polmonari
della malattia. Solo recentemente con la realizzazione di maiali FC (CFTR -/-) è stato
possibile studiare i meccanismi fisiopatologici responsabili del danno evolutivo in particolare dell’apparato gastrointestinale: infatti il maiale FC sviluppa precocemente le lesioni gastrointestinali tipiche della malattia nel 100% dei feti.
Infiammazione pancreatica
L’infiammazione pancreatica era stata già descritta dalla stessa Andersen nel 1938 quando per la prima volta la FC veniva definita come nuova entità nosologica. Gli studi sul
maiale FC confermano la presenza negli stadi iniziali di aggregati di neutrofili e macrofagi principalmente dentro gli acini dilatati e nei dotti ectasici, soprattutto nelle aree di
distruzione pancreatica più grave. Questo quadro “pancreatitico” inizia con depositi di
zimogeno eosinofilico (rappresentato dagli enzimi secreti nel lume) che frammisto al mu35
Recent Advance in Basic Science
co denso, dilata i dotti, formando “cisti” con progressivo ispessimento dell’epitelio e metaplasia mucosa.
Ben note sono le pancreatiti ricorrenti in pazienti con sufficienza pancreatica e più raramente in pazienti con insufficienza pancreatica (2.8% dei casi). A volte la pancreatite è il
primo sintomo di una forma classica ad inizio tardivo di FC (test del sudore con Cl >60
mEq/l e/o genetica positiva) o di forme atipiche di FC (Cl >30 ma <60 mEq/l con due
mutazioni CFTR e/o studio della differenza dei potenziali nasali positivo). Le mutazioni
del gene CFTR sono state comunque riscontrate nelle pancreatiti ricorrenti e croniche
in un’alta percentuale di casi (oltre il 40%) a testimoniare il ruolo patogenetico della attivazione precoce del tripsinogeno a tripsina all’interno dei dotti pancreatici causa il rallentamento del flusso pancreatico (pancreatiti CFTR correlate).
la Malattia epatica
La malattia epatica è la seconda causa di morte nei pazienti con FC. Il malfunzionamento del gene CFTR che si esprime su tutte le cellule epiteliali dei dotti biliari, causa lesioni
caratterizzate da proliferazione biliare, fibrosi e infiammazione fino alla formazione di
cirrosi multi lobulare in oltre il 17% dei pazienti. Ciò si realizza già prima della pubertà,
confermando il coinvolgimento di altri geni. Questo meccanismo patogenetico ben evidente nel modello animale con ostruzione da plugs mucocellulari (un insieme di cellule
infiammatorie, detriti cellulari e muco) frammisti a concrezioni di bile principalmente nei
dotti biliari più grandi. Lo stesso accade nella colecisti con una prevalenza maggiore di
colecistiti con o senza calcolosi (circa il 30% dei pazienti) probabilmente legata alla frequente ostruzione del dotto cistico.
l’ileo da meconio
L’ileo da meconio è un’ostruzione dell’ileo terminale causata da meconio ispessito che può
associarsi o meno ad atresia, necrosi e perforazione della parete ileale. Nel passato l’ileo da
meconio era considerato strettamente correlato al gene CFTR poiché circa l’80-90% dei
neonati con ileo risultavano essere affetti da FC. L’eziopatogenesi dell’ileo in assenza della
FC non è ancora molto chiara anche se è stato dimostrato da Toyosaka e più recentemente
da Yoo che possono intervenire altre cause come l’immaturità del plesso mioenterico e delle
cellule interstiziali di Cajal, ambedue dimostrate predisponenti lo sviluppo dell’ileo da meconio (5)
Studi recenti sembrano invece sottolineare che l’ileo da meconio rappresenti l’epifenomeno
di uno spettro ampio di patologie in cui il gene CFTR è responsabile solamente in poco più
della metà dei casi (6). Sicuramente i pazienti omozigoti del F508 sono a più alto rischio di
sviluppare ileo, spesso complicato, mentre i pazienti con mutazioni G551D e R117H presentano una incidenza significativamente minore. Inoltre è stato dimostrato che geni modificatori localizzati sul cromosoma 4 (4q35.1), 8 (8q23.1), 11 (11q25) e 19 (19q13) contribuiscono allo sviluppo dell’ileo da meconio del neonato con FC. (7)
I neonati con FC hanno un rischio di atresia intestinale 200 volte maggiore della popolazione caucasica generale ma il meccanismo patogenetico che produce atresia non è
ancora oggi ben chiarito (ostruzione meconiale che predispone ad alterazioni vascolari?).
la diverticolosi del colon e dell’appendice
La diverticolosi del colon e dell’appendice è stata documentata nel passato con una prevalenza del 7-14% nei pazienti FC in una età media molto precoce (13 anni). Le cause potrebbero essere l’aumento di distensione e pressione della parete intestinale causata da ristagno intraluminale ed ipertrofia della muscolatura liscia già durante la vita fetale, come
confermato anche nei maiali FC (8).
Un ultimo aspetto derivante dallo studio dei maiali FC offre un interessante spunto di
36
La genetica nella fibrosi cistica
Spunti della diagnostica di base in gastroenterologia
riflessione: a differenza di quanto avviene per l’intestino i polmoni dei maiali knockout
CFTR sono simili a quelli dei maiali wild-type e non presentano infiammazione. Le cellule FC sono sicuramente responsabili di una risposta infiammatoria eccessiva ma è possibile, pertanto, che l’infiammazione non sia una caratteristica innata ma che rappresenti
una risposta esagerata a stimoli esterni.
L’alta frequenza di sintomi gastrointestinali nei pazienti affetti da FC è stata correlata al
malassorbimento del lattosio, confermato da breath test dopo carico orale di lattosio (9) e dalla bassa attività di lattasi nelle biopsie intestinali di FC. La recente ricerca del
gene della lattasi (LCT-MIM 603202) predisponente l’ipolattasia tipo adulto (ATH), studiata in 289 pazienti con FC non ha invece evidenziato alcuna differenza rispetto ai
soggetti sani nella percentuale di mutazioni del gene LCT (31,5 vs 32,5%). Anche il malassorbimento di lattosio è risultato sovrapponibile tra le due popolazioni (6.9 vs 7,2%).
Questi risultati sono molto importanti perché dimostrano che la diagnosi di malassorbimento al lattosio non è affidabile se si utilizzano criteri clinici e si dimostra che spesso le
restrizioni dietetiche utilizzate potrebbero non essere necessarie.
È noto da tempo che il portatore di mutazione CFTR è più resistente a fattori che causano diarrea determinando nel passato un grosso impatto sulla sopravvivenza della popolazione generale. Ciò potrebbe aver dato un vantaggio selettivo sufficiente a mantenere una più alta frequenza degli alleli FC nella popolazione (10)
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Key Points
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Da quando è stato identifica
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fisiopatologiche che sono alla
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mentre la presenza e la severità
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intestinale
L’epitelio
•
il trasporto di nutrienti, elettroliti
ed acqua ed il CFTR presente
abbondantemente sulla mem
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e
incrementa la secrezione di Na
altera l’assorbimento di nutrienti
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FC
Gli outcomes della malattia
•
sono il risultato di una interazio
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ambientali e capacità di cura
37
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Il trattamento endoscopico
delle stenosi ileo-coliche
Tamara Caldaro, Erminia Romeo e Luigi Dall’Oglio
U.O.C. Chirurgia ed Endoscopia Digestiva, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS di Roma
A 14 year-old female underwent, in a Surgical Unit of another Hospital, esplorative laparoscopy for suspected
appendicitis because of vomiting, abdominal distension and fever with a suspect of Crohn’s disease.
She was admitted to our Digestive and Endoscopy Unit for the same clinical presentation; she underwent lower
endoscopy and the diagnosis confirmed the suspect of Crohn’s disease with ileo-cecal valve stricture.
Surgical treatment was assumed.
Presentazione del caso CLINICO
M.G, femmina di 14 anni, giunta a ricovero
presso altra struttura per dolore addominale, vomito, alvo chiuso a feci e gas, febbre; nel sospetto di appendicite acuta, la
paziente veniva sottoposta a laparoscopia
esplorativa con riscontro di parete dell’ileo
terminale edematosa e stenotica con lieve
dilatazione dell’ansa a monte. Nel sospetto
di malattia di Crohn, la paziente veniva trasferita alla nostra UOC.
Esame obiettivo all’ingresso: addome modicamente disteso, trattabile, dolente alla
palpazione profonda in fianco e fossa iliaca destra; aumento degli indici di flogosi,
leucocitosi neutrofila. Eseguita colonscopia
che evidenziava ulcerazioni della mucosa
a livello del ceco, con stenosi della valvola
ileo-cecale (VIC).
Nella necessità di valutare le caratteristiche
della stenosi ileale (lunghezza, numero delle
stenosi, ascessi o fistole intestinali), la paziente è stata sottoposta a Risonanza Magnetica
Nucleare (RMN) [Figura 1] dell’addome ed
a SICUS (Small Intestine Contrast Ultrasonography) [Figura 2]. Gli esami radiologici
avevano evidenziato ispessimento transmurale dell’ultima ansa ileale con riduzione
di calibro e lieve dilatazione a monte, coinvolgimento della valvola ileo-cecale e del
ceco e del tessuto adiposo mesenterico periviscerale, non ascessi intra-addominali.
Figura 1 RMN addome
38
Figura 2 SICUS: stenosi ileo terminale
Figura 3 Dilatazione endoscopica della valvola
ileo-cecale con dilatatore idrostatico
Figura 4 Valvola ileo-cecale dopo la
dilatazione idrostatica
Sviluppo del caso clinico
In considerazione dell’esito degli esami radiologici, si iniziava terapia
corticosteroidea e nutrizionale esclusiva con dieta polimerica per 2 mesi.
In seguito all’insorgenza di un nuovo episodio sub-occlusivo a circa un
mese dalla sospensione degli steroidi, si effettuava colonscopia con visualizzazione della stenosi ileo-colica; previo posizionamento di un filoguida sotto controllo radiologico è stato inserito un dilatatore idrostatico
da 15 mm nel lume e, mediante iniezione di mezzo di contrasto idrosolubile con progressiva insufflazione del dilatatore, si è ottenuta la risoluzione della stenosi a carico della VIC. Rimosso il dilatatore idrostatico, si è
iniettato mezzo di contrasto idrosolubile nel lume intestinale dilatato per
controllare l’assenza di perforazione intestinale [Figure 3 e 4].
Figura 5 Stricturoplastica secondo Heineke-MikuDopo la dilatazione, si faceva progredire l’endoscopio nell’ileo distale il cui calicz Modificato da Kumar D, Alexander-Williams J.
libro appariva sub-stenotico; iniettato mdc idrosolubile, si visualizzava sub steCrohns Disease and Ulcerative Colitis: Surgical
Management. London, United Kingdom: Springer;
nosi della lunghezza > 5 cm pertanto si decideva di soprassedere ad ulteriore
1993:89-101.
dilatazione idrostatica e effettuare nuovo ciclo di terapia steroidea. Dopo circa
3 mesi di benessere clinico, la paziente presentava episodio sub-occlusivo per
cui, in considerazione delle caratteristiche della stenosi ileale, si procedeva a stricturoplastica secondo Mikulicz [Figura 5].
39
Endoscopy Learning Library
CONCLUSIONI E MESSAGGI PRATICI
Le indicazioni all’intervento chirurgico nella malattia di Crohn sono limitate al trattamento delle complicanze (stenosi intestinali, fistole entero-enteriche/entero-vescicali/entero-cutanee, ascessi e fistole perianali) ed alle situazioni non controllabili con la terapia medica e/o nutrizionale.
Nella malattia di Crohn stenosante, la risoluzione della stenosi è richiesta nei casi di sub-occlusione/occlusione intestinale.
La scelta del trattamento più idoneo è secondaria alla definizione di sede, numero, lunghezza della stenosi intestinale, mediante indagini ecografiche e radiologiche.
La terapia chirurgica diventa di prima scelta nei pazienti con sintomi ostruttivi, refrattari ad una iniziale terapia steroidea,
o in assenza di segni di attività di malattia. In questi pazienti le caratteristiche della parete intestinale a livello della stenosi
suggerirebbero un processo fibroso.
In presenza di stenosi infiammatorie, coliche, ileo-coliche o anastomotiche, con indici di attività di malattia, di lunghezza inferiore a 5-8 cm si può tentare dilatazione idrostatica per via endoscopica, mentre per stenosi di lunghezza maggiore o stenosi multiple, è indicato l’intervento chirurgico di stricturoplastica o resezione intestinale da effettuarsi c/o Centri pediatrici
dedicati. La resezione rappresenta un intervento demolitivo che comporta riduzione della superficie intestinale assorbente con possibile conseguente sindrome da intestino corto. La stricturoplastica, invece, preserva la lunghezza dell’intestino e,
a seconda della lunghezza e del numero di stenosi presenti, sono possibili diverse tecniche chirurgiche.
In conclusione, nella malattia di Crohn stenosante e sintomatica è fondamentale definire la tipologia della stenosi per un
corretto programma terapeutico.
Key Points
• Le principali complicanze della malattia
di Crohn sono rappresentate da stenosi,
fistole, ascessi
le
• La terapia chirurgica è rivolta a risolvere
complicanze
• Le stenosi infiammatorie possono essere
trattate endoscopicamente mediante
dilatazione idrostatica
40
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Le occlusioni intestinali
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MARIELLA
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Guglielmo Paradies1, Antonio Orofino1, Francesca Zullino2 e Francesco Caroppo1
1U.O. Chirurgia Pediatrica Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico P.O.“Giovanni XXIII” di Bari
2U.O. Chirurgia Pediatrica P.O.“F. Ferrari” di Casarano (LE)
The child with an intestinal occlusion requires a thorough history
and physical examination followed by a focused laboratory and imaging evaluation.
When to operate immediately, when to observe,
and when not to operate at all represent major challenges in the management
of a child with an intestinal occlusion.
INTRODUZIONE
L’occlusione intestinale è una patologia dell’apparato gastrointestinale causata da anomalie
congenite di sviluppo del tubo digerente o secondaria ad altre condizioni cliniche. Si può
identificare e distinguere questa condizione a seconda della fascia di età in cui si manifesta
(neonato, lattante, bambino). Tale distinzione ha particolare significato pratico sia per la
differente eziopatogenesi in relazione all’età, sia per la diversità delle problematiche assistenziali e tecniche che ne conseguono. In Tabella 1 sono riportate le più comuni cause di
occlusione intestinali nel neonato. La sede dell’occlusione alta o bassa, a seconda del distretto anatomico interessato, condiziona i tempi di insorgenza della sintomatologia [Tabella 2].
Le cause più frequenti di occlusione intestinale nel lattante di età compresa tra i 4 e 12 mesi
possono essere considerate l’invaginazione intestinale [Tabella 3], l’ernia strozzata e il volvolo
intestinale su diverticolo di Meckel [Tabella 4-5]. Nel bambino più grande le cause di occlusione possono essere correlate ad aderenze intestinali (in quei pazienti sottoposti precedentemente ad interventi di chirurgia addominale), tumori intestinali o extraintestinali (retroperitoneali), volvoli, morbo di Crohn, stipsi funzionale o organica, corpi estranei, parassiti.
Tabella 1 Occlusioni neonatali
Atresia esofagea
Atresie duodenali
Atresie ileali
Volvolo completo dell’intestino tenue
Ileo da meconio
Malattia di Hirschsprung
Malformazioni ano rettali
Tabella 2 Algoritmo delle Occlusioni Intestinali
PedGl Snapshots
Segni o sintomi clinici suggestivi di occlusione intestinale
(Vomito biliare, distensione addominale etc)
Indagini di laboratorio
Vomito
Biliare
Gastrico
Iperamilasemia ed
Iperlipasemia + dolori
addominali
Rx Addome
Rx Addome
Ecografia dell’addome
Normale distribuzione
del meteorismo
Ostruzione
Ostruzione prossimale
Ostruzione distale
Approccio medico o chirurgico
Osservazione
Studio radiologico
del transito
Studio radiologico
del transito
Clisma opaco con
mdc iodato?
Approccio chirurgico
appropriato
Approccio chirurgico
appropriato
Approccio chirurgico
appropriato
41
PedGl Snapshots
Tabella 3 Algoritmo delle Invaginazioni
Sospetto di Invaginazione
PedGl Snapshots
Ecografia
Rx diretta addome
Contrastografia
Invaginazione
Negativa
Riduzione idrostatica
Osservazione
Risoluzione
Non risoluzione
Ricovero
in osservazione
Riduzione chirurgica
VLS - Open
Tabella 4 Algoritmo della Malrotazione e/o Volvolo
Obiettività clinica
Sospetto Clinico
Contrastografia del tratto superiore
Normale
Dubbio
Considerare
altre patologie
Ecografia
Ulteriori indagini
Strozzamento/Volvolo
Inizio graduale della sintomatologia
Sintomatologia acuta
Vomito (gastrico poi biliare o fecaloide)
Dolore
Chiusura a feci e gas
Vomito
Possibile broncoaspirazione
Ileo paralitico
Ileo paralitico
Shock
Disidratazione
Sangue e muco nelle feci
42
Senza volvolo
Intervento chirurgico
Tabella 5 Diagnosi differenziale tra occlusione e strozzamento/volvolo
Occlusione
Malrotazione
Con volvolo
Approccio chirurgico
in urgenza
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Soluzione del caso clinico di pagina 34
Una causa non comune di enteropatia proteino-disperdente
Monica Paci, Anna Gissi E Paolo Lionetti
Dipartimento di Scienze per la Salute della Donna e del Bambino, Università di Firenze
S.O.D. Gastroenterologia Pediatrica, A.O.U. Meyer di Firenze
SVILUPPO DEL CASO CLINICO SECONDA PARTE
Vengono eseguiti esami endoscopici: alla EGDS mucosa duodenale con
aspetto grossolano dei villi ed evidenti discromie biancastre [Figura 1]; alla
colonscopia aspetto analogo dell’ileo terminale e mucosa di tutto il colon
edematosa, con aree eritematose e discromie biancastre, perdita della austrature e scomparsa del pattern vascolare. L’esame istologico mostra nella
lamina propria strutture ghiandolari iperplastiche con incremento della componente infiammatoria costituita da elementi di media e grossa taglia che
all’indagine immunoistochimica risultano diffusamente positivi con la proteina SI00 e con l’anticorpo anti-CD lA.
Tali caratteristiche morfologiche ed immunoistochimiche associate
al quadro clinico, consentono di porre diagnosi di
Enteropatia associata ad Istiocitosi a Cellule di Langherans.
Figura 1 Mucosa duodenale con aspetto grossolano
dei villi ed evidenti discromie biancastre
PUNTI CRITICI DELLA DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE
La LCH può complicarsi con un quadro di enteropatia proteino-disperdente, ma non viene solitamente indicata tra le possibili cause di questa condizione. Pazienti con diagnosi nota di LCH dovrebbero essere attentamente valutati in tal senso ma esiste anche la possibilità che i
soli sintomi gastrointestinali caratterizzino l’esordio di malattia. L’interessamento intestinale da LCH è una condizione non comune ma ha
una prognosi infausta e dovrebbe quindi essere considerato nella diagnostica differenziale di bambini con sintomi gastrointestinali refrattari, in particolare in chi presenta una proteino-dispersione. In questi casi la biopsia intestinale è fortemente raccomandata per una diagnosi
precoce. L’aumento dei soli anticorpi anti-tTG, invece, può essere aspecifico e presente in pazienti neoplastici, in patologie infiammatorie
croniche e autoimmuni.
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Key Points
cellule di Langherans
• Pensare anche all’istiocitosi a
eino-disperdente
prot
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se
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43
XIX
CONGRESSO
NAZIONALE SIGENP
Il tratto gastrointestinale e non solo:
il gastroenterologo e gli altri specialisti del bambino
Parma, 11-13 ottobre 2012
Hotel Parma & Congressi
Presidenti del Congresso
Annamaria Staiano
Gian Luigi de’ Angelis
Vice Presidente
Sandra Brusa
Comitato Scientifico
Consiglio Direttivo SIGENP
Presidente: Annamaria Staiano
Vice Presidente: Valerio Nobili
Segretario: Sandra Brusa
Tesoriere: Flavia Indrio
Consiglieri: Giovanni Di Nardo
Daniela Knafelz, Tiziana Guadagnini
Silvia Salvatore
Segreteria permanente
SIGENP
Area Qualità
Via Comelico, 3
20135 Milano
Tel/Fax: 025512322
e-mail: [email protected]
www.sigenp.org
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ECON Srl
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1° CORSO PRECONGRESSUALE DI TECNICHE ENDOSCOPICHE AVANZATE
2° CORSO PRECONGRESSUALE DI EPATOLOGIA E NUTRIZIONE
Parma, 10 ottobre 2012
Il programma e successivi aggiornamenti saranno disponibili sui siti:
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RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. DIOSMECTAL 3 g polvere per sospensione orale. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Una bustina
contiene: principio attivo: diosmectite 3 g. Per l’elenco completo degli eccipienti vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Polvere per sospensione
orale. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. Numerose sono le esperienze cliniche condotte con diosmectite nell’adulto e nel bambino, con affezioni del: - tratto digerente
superiore, che sono di tipo prevalentemente funzionale o iatrogeno: ipersecrezione acida, associata a ridotta attività protettiva della mucosa gastroduodenale,
reflusso gastroesofageo e/o duodeno-gastrico, discinesie, assunzione di farmaci potenzialmente lesivi a carico delle mucose; - tratto digerente inferiore, che sono
di tipo prevalentemente infettivo: virulentazione della flora batterica saprofita e/o colonizzazione da parte di agenti patogeni. La patologia funzionale o iatrogena è
più frequente nell’adulto, mentre quella infettiva è dominante nel bambino. I risultati di queste esperienze sono concordi nel riconoscere un’elevata incidenza di
guarigioni o di miglioramenti marcati della sintomatologia ottenuti con diosmectite rispetto a quelli dei gruppi omogenei di confronto trattati con farmaci attivi di pari
indicazione e, soprattutto, a quelli trattati in doppio cieco con placebo. 4.1. Indicazioni terapeutiche. • trattamento sintomatico orale della sintomatologia dolorosa
delle affezioni esofago-gastro-intestinali, quali reflusso esofageo e sue complicazioni (esofagite), ernia dello hiatus, gastrite, ulcera gastroduodenale, bulbite, colite,
colopatie funzionali, meteorismo. • trattamento delle diarree acute e croniche nei bambini (inclusi i neonati) e negli adulti , in aggiunta ai trattamenti con soluzioni
reidratanti saline. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. Posologia Trattamento della diarrea acuta: Bambini:e neonati: - al di sotto di 1 anno: 2 bustine
al giorno per 3 giorni, poi 1 bustina al giorno fino a completa risoluzione della diarrea, per un periodo di trattamento massimo di 14 giorni; se l’episodio di diarrea
acuta non si risolve dopo 7 giorni di trattamento, si consiglia di consultare il medico. - al di sopra di 1 anno: 4 bustine al giorno per 3 giorni, poi 2 bustine al giorno
fino a completa risoluzione della diarrea, per un periodo di trattamento massimo di 14 giorni; se l’episodio di diarrea acuta non si risolve dopo 7 giorni di trattamento,
si consiglia di consultare il medico. Adulti: - la dose giornaliera raccomandata è di 6 bustine al giorno Trattamento delle altre indicazioni: Bambini e neonati: - al
di sotto di 1 anno:1 bustina/die; - da 1 a 2 anni:1-2 bustine/die; - al di sopra dei 2 anni:2-3 bustine/die. Adulti: - in media 3 bustine al giorno. Modo di somministrazione:
Il contenuto della bustina deve essere disperso in sospensione poco prima dell’uso. Si consiglia di somministrare preferibilmente dopo i pasti nella esofagite ed a
distanza dei pasti nelle altre indicazioni. Bambini e neonati: Il contenuto della bustina può essere disperso in sospensione nel biberon in 50 ml di acqua e suddiviso
in 2-3 dosi nel corso della giornata o mescolato con qualsiasi altra bevanda o alimento semiliquido. Adulti: Per ottenere una sospensione omogenea, versare
lentamente la polvere in mezzo bicchiere di acqua e mescolare. 4.3. Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4.
Avvertenze speciali e precauzioni di impiego. La somministrazione di altri eventuali farmaci orali deve essere effettuata a distanza dall’assunzione di
DIOSMECTAL. Usare con prudenza nell’adulto con storia pregressa di stipsi cronica grave. Il trattamento della diarrea acuta nei bambini deve essere associato
ad una somministrazione precoce di sali minerali (integratori salini orali) per evitare la disidratazione. Negli adulti, il trattamento con Diosmectal non esime dalla
reidratazione, quando questa appaia necessaria. L’entità della integrazione con sali minerali e della reidratazione, eventualmente anche per via venosa, deve
essere adattata sulla base della gravità della diarrea ed in funzione dell’età e del quadro clinico del paziente. Il medicinale contiene glucosio monoidrato quindi i
pazienti affetti da rari problemi di malassorbimento di glucosio-galattosio, non devono assumere questo medicinale. 4.5. Interazioni con altri medicinali e altre
forme di interazione. Il suo elevato potere adsorbente può interferire con l’assorbimento gastrointestinale di alcuni farmaci somministrati per via orale. Le altre
eventuali terapie orali devono, pertanto, essere assunte a distanza da DIOSMECTAL. 4.6. Fertilità, gravidanza e allattamento. Diosmectal non viene assorbito.
Pertanto, non presenta limitazione d’impiego nelle suddette condizioni. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non pertinente.
4.8. Effetti indesiderati. Gli effetti indesiderati riportati durante gli studi clinici con le seguenti frequenze, sono sempre stati lievi e transitori ed hanno interessato
il sistema gastrointestinale: - non comune (≥ 1/1.000, ≤ 1/100): episodi di stipsi. Questi episodi sono migliorati dopo aggiustamenti individuali della posologia.
Ulteriori informazioni derivanti dall’esperienza post-marketing includono casi molto rari (frequenza non nota) di reazioni di ipersensibilità, inclusi orticaria, rash,
prurito o angioedema. 4.9. Sovradosaggio. Non sono segnalati casi di sovradosaggio o di intossicazione. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà
farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: adsorbenti intestinali, codice ATC: A07BC05. DIOSMECTAL possiede proprietà gastroprotettive in quanto
interagisce con le glicoproteine del film mucoso che riveste la parete gastroduodenale, modificandone le caratteristiche fisico chimiche in modo tale da accentuare
le funzioni protettive nei confronti dell’ipersecrezione acida, che è implicata nella patogenesi dell’ulcera gastroduodenale, degli enzimi proteolitici, di talune sostanze
gastrolesive e di microrganismi patogeni. Possiede inoltre attività antifermentative, legate essenzialmente alla sua struttura cristallina in lamelle sovrapposte che
gli conferisce un elevato potere adsorbente. Questo potere si esercita nei confronti di sostanze neutre o ionizzate, della flora e delle tossine microbiche, dei gas
intestinali. Infine ha la proprietà di attivare alcuni fattori della coagulazione (VII, VIII, XII) che può risultare utile in sede locale in caso di sanguinamento da erosioni
o ulcerazioni della mucosa. È radiotrasparente e non influisce sul tempo di transito gastrointestinale. I risultati dei dati combinati di due studi clinici randomizzati in
doppio cieco controllati con placebo condotti su 602 bambini di età compresa tra 1 e 36 mesi con diarrea acuta ai quali è stato somministrato Diosmectal o placebo
in combinazione con integratori salini orali, hanno mostrato una diminuzione significativa nelle prime 72 ore della emissione di feci nella popolazione complessiva:
in media 94,5 (deviazione standard 74,4) g / kg nel gruppo di pazienti trattati con diosmectite rispetto a 104,1 (94,2) g / kg nel gruppo di pazienti trattati con placebo
(p = 0,0016). Nella sotto-popolazione (n = 91) positiva a rotavirus, la media di emissione di feci (g / kg di peso corporeo) è 124,3 (deviazione standard 98,3) nel
gruppo di pazienti trattati con diosmectite rispetto a 186,8 (147,2) nel gruppo di pazienti trattati con placebo (p = 0,0005). Un terzo studio in doppio cieco controllato
con placebo condotto su 243 bambini di età compresa tra 2 e 36 mesi con diarrea acquosa acuta trattato con disomectite in combinazione con integratori salini
orali non ha mostrato alcuna significativa differenza nell’emissione media di feci: la quantità media (± Deviazione standard) cumulativa nelle prime 48 ore è stata
di 98.5 ± 78.0 g/kg di peso corporeo nel gruppo trattato con diosmectite rispetto a 112.1 ± 91.8 g/kg di peso corporeo nel gruppo trattato con placebo (NS). Tuttavia,
l’endpoint secondario “diminuzione della durata degli episodi di diarrea” è stato raggiunto in maniera significativa nel gruppo trattato con diosmectite: mediana
[range] 43 ore (10-289) nel gruppo trattato con diosmectite, 72 ore (12-287.5) nel gruppo placebo (p=0.0263). I risultati di uno studio randomizzato in doppio cieco
effettuato su 329 adulti con diarrea acquosa acuta hanno evidenziato un significativo decremento della durata della diarrea nel gruppo di pazienti trattati con la
diosmectite (mediana di 53.8 ore [3,7 – 167,3] rispetto al gruppo di pazienti trattati con placebo (mediana di 69 ore [2,2-165,2]), p=0.029. 5.2. Proprietà
farmacocinetiche. Studi sperimentali e clinici hanno dimostrato che il preparato non supera la barriera gastroenterica neppure nei pazienti con alterazioni
funzionali e strutturali della mucosa gastroenterica, che potrebbero costituire un fattore favorente sull’assorbimento. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Gli studi di
tossicità cronica condotti nel ratto e nel cane per un periodo di un anno, dimostrano che il principio attivo del preparato anche a dosi 10-15 volte superiori a quella
terapeutica non induce modificazioni ed alterazioni specifiche a carico di organi e funzioni, in considerazione anche del suo non assorbimento. Si sono registrate
in alcuni animali modificazioni a carico del metabolismo lipidico in particolare aumento di trigliceridemia alle alte dosi che non trovano una spiegazione ragionevole
ma che in ogni caso non sono mai dose-dipendente, spesso regrediscono nel tempo e non raggiungono livelli patologici. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE.
6.1. Elenco degli eccipienti. Saccarina sodica, glucosio monoidrato, aroma vaniglia, aroma arancio. 6.2. Incompatibilità. Nessuna, ad esclusione delle
interferenze in fase di assorbimento nei confronti di alcuni altri farmaci somministrati contemporaneamente. 6.3. Periodo di validità. 3 anni a confezione integra.
6.4. Precauzioni particolari per la conservazione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. 6.5. Natura e contenuto del
contenitore. Astuccio di cartone contenente 30 bustine termosaldate da 3,760 g. Astuccio di cartone contenente 20 bustine termosaldate da 3,760 g. Astuccio di
cartone contenente 10 bustine termosaldate da 3,760 g. è possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo
smaltimento e la manipolazione. Per ottenere una sospensione omogenea, versare lentamente la polvere in mezzo bicchiere di acqua e mescolare regolarmente.
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. Istituto Farmacobiologico Malesci S.p.A. - Via Lungo l’Ema, 7 - Bagno a Ripoli FI.
Su licenza: SCRAS S.A. - Parigi (Francia). 8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. AIC n. 028852010 (30 bustine). AIC n.
028852034 (20 bustine). AIC n. 028852022 (10 bustine). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. Data di prima
autorizzazione: - 30 bustine: 31.10.1995. - 10 e 20 bustine: 18.11.1999. Data dell’ultimo rinnovo: 31.10.2010. 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Luglio 2011.
CONFEZIONI
3 g 30 bust.
PREZZO AL PUBBLICO
13,40
CLASSE
C
Prezzo comprensivo delle riduzioni temporanee di cui alle determinazioni AIFA 30 dicembre 2005, 3 luglio 2006 e 27 settembre 2006.
NOTA
-
10 mg
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. LUCEN 10 mg granulato gastroresistente per sospensione orale, in bustina. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E
QUANTITATIVA. Ogni bustina contiene: 10 mg di esomeprazolo (come magnesio triidrato). Eccipienti: saccarosio 6,8 mg e glucosio 2,8 mg. Per l’elenco
completo degli eccipienti vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Granulato gastroresistente per sospensione orale, in bustina. Granuli fini giallo
pallido. Possono essere visibili granuli bruni. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1. Indicazioni terapeutiche. Lucen sospensione orale è principalmente
indicato per il trattamento della malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) nei bambini da 1 a 11 anni di età. Malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE)
- trattamento dell’esofagite da reflusso erosiva dimostrata endoscopicamente; - trattamento sintomatico della malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE).
Lucen sospensione orale, può essere usato anche nei pazienti che hanno difficoltà a deglutire le compresse gastroresistenti dispersibili di Lucen. Per le
indicazioni nei pazienti dai 12 anni di età si rimanda al Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto di Lucen compresse gastroresistenti. 4.2. Posologia e
modo di somministrazione. Per la dose da 10 mg, svuotare il contenuto di una bustina da 10 mg in un bicchiere contenente 15 ml di acqua. Per la dose da
20 mg, svuotare il contenuto di due bustine da 10 mg in un bicchiere contenente 30 ml di acqua. Non usare acqua gasata. Mescolare il contenuto fino ad
ottenere la dispersione del granulato e lasciare addensare per alcuni minuti. Mescolare di nuovo e bere il contenuto entro 30 minuti. I granuli non devono
essere masticati o frantumati. Sciacquare il bicchiere con 15 ml di acqua per assumere tutti i granuli. Per i pazienti con sondino nasogastrico o gastrico: vedere
paragrafo 6.6 per la preparazione e le istruzioni per la somministrazione. Bambini da 1 a 11 anni di età con peso corporeo ≥ 10 kg Malattia da reflusso
gastroesofageo (MRGE) - Trattamento dell’esofagite da reflusso erosiva dimostrata endoscopicamente Peso ≥ 10 - <20 kg: 10 mg una volta al giorno per 8
settimane. Peso ≥ 20 kg: 10 mg o 20 mg una volta al giorno per 8 settimane. - Trattamento sintomatico della malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) 10
mg una volta al giorno fino ad 8 settimane. Dosi superiori a 1 mg/kg/die non sono state studiate. Adulti ed adolescenti dai 12 anni di età Per la posologia
nei pazienti dai 12 anni di età si rimanda al Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto di Lucen compresse gastroresistenti. Bambini al di sotto di 1 anno
di età o < 10 kg Lucen non deve essere impiegato nei bambini al di sotto dell’anno di vita o nei bambini con peso < 10 kg in quanto non sono disponibili dati.
Pazienti con funzionalità renale ridotta Nei pazienti con ridotta funzionalità renale non sono necessari adattamenti di dosaggio. In considerazione della
limitata esperienza clinica, i pazienti con grave insufficienza renale devono essere trattati con cautela (vedere paragrafo 5.2). Pazienti con funzionalità
epatica ridotta Nei pazienti con compromissione epatica lieve o moderata non è richiesto un adattamento della dose. Nei pazienti di età ≥ 12 anni con
compromissione epatica grave non deve essere superata la dose massima di 20 mg di Lucen. Nei bambini di 1-11 anni con compromissione epatica grave
non deve essere superata la dose massima di 10 mg (vedere paragrafo 5.2). 4.3. Controindicazioni. Ipersensibilità nota verso l’esomeprazolo, verso i
sostituti benzimidazolici o verso qualunque altro componente della formulazione. L’esomeprazolo non deve essere usato in concomitanza con nelfinavir
(vedere paragrafo 4.5). 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. In presenza di qualsiasi sintomo allarmante (per esempio significativa perdita di
peso non intenzionale, vomito ricorrente, disfagia, ematemesi o melena) e quando si sospetta o è confermata la presenza di un’ulcera gastrica, la natura
maligna dell’ulcera deve essere esclusa in quanto la terapia con Lucen potrebbe alleviare i sintomi e ritardare la diagnosi. Pazienti trattati per un lungo periodo
(in particolare quelli sottoposti a trattamento per più di un anno) devono essere controllati regolarmente. Il trattamento a lungo termine è indicato negli adulti
e negli adolescenti (dai 12 anni di età in poi, vedere paragrafo 4.1). I pazienti in regime terapeutico di trattamento al bisogno devono essere istruiti a contattare
il loro medico qualora i sintomi avvertiti dovessero assumere un carattere diverso. Il trattamento al bisogno non è stato studiato nei bambini e quindi non è
indicato in questo gruppo di pazienti. Nei pazienti che seguono questo regime terapeutico devono essere tenute in considerazione le implicazioni dovute alle
fluttuazioni delle concentrazioni plasmatiche dell’esomeprazolo per le interazioni con altri farmaci (vedere paragrafo 4.5). La specialità medicinale contiene
saccarosio e glucosio. I pazienti affetti da rari problemi ereditari di intolleranza al fruttosio, da malassorbimento di glucosio-galattosio, o da insufficienza di
sucrasi isomaltasi, non devono assumere questo medicinale. La co-somministrazione di esomeprazolo e atazanavir non è raccomandata (vedere paragrafo
4.5). Se l’associazione di atazanavir con un inibitore di pompa protonica è inevitabile, si raccomanda uno stretto monitoraggio clinico in associazione ad un
aumento della dose di atazanavir a 400 mg con 100 mg di ritonavir; la dose di esomeprazolo non deve superare i 20 mg. L’esomeprazolo è un inibitore del
CYP2C19. All’inizio o alla fine del trattamento con esomeprazolo deve essere considerata la potenziale interazione con farmaci metabolizzati dal CYP2C19.
È stata osservata un’interazione tra clopidogrel e omeprazolo (vedere paragrafo 4.5). La rilevanza clinica di questa interazione è incerta. A titolo precauzionale,
deve essere scoraggiato l’uso concomitante di esomeprazolo e clopidogrel. 4.5. Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione. Influenza
dell’esomeprazolo sulla farmacocinetica di altri farmaci. Prodotti medicinali con assorbimento dipendente dal pH La ridotta acidità intragastrica
correlata al trattamento con esomeprazolo può aumentare o diminuire l’assorbimento di alcuni farmaci, se il loro meccanismo di assorbimento è influenzato
dall’acidità gastrica. Come osservato per altri inibitori della secrezione acida o antiacidi, l’assorbimento di ketoconazolo e itraconazolo può diminuire durante
il trattamento con esomeprazolo. Sono state segnalate interazioni tra omeprazolo e alcuni inibitori della proteasi. La rilevanza clinica e i meccanismi di tali
interazioni non sono sempre noti. Un aumento del pH gastrico durante il trattamento con omeprazolo può modificare l’assorbimento degli inibitori della
proteasi. Altri possibili meccanismi di interazione avvengono attraverso inibizione del CYP2C19. È stata segnalata una diminuzione dei livelli sierici di
atazanavir e nelfinavir quando somministrati con omeprazolo e pertanto la somministrazione concomitante non è raccomandata. La somministrazione
concomitante di omeprazolo (40 mg/die) con atazanavir 300 mg/ritonavir 100 mg nei volontari sani determina una sostanziale riduzione dell’esposizione ad
atazanavir (una diminuzione di circa il 75% dell’AUC, Cmax e Cmin). Un aumento della dose di atazanavir a 400 mg non compensa l’impatto dell’omeprazolo
sull’esposizione ad atazanavir. La co-somministrazione di omeprazolo (20mg/die) atazanavir 400 mg/ritonavir 100 mg in volontari sani è risultata in una
diminuzione di circa il 30% nell’esposizione ad atazanavir rispetto all’esposizione osservata con atazanavir 300 mg/ritonavir 100 mg/die senza omeprazolo 20
mg/die. La co-somministrazione di omeprazolo (40 mg/die) ha ridotto l’AUC, la Cmax e la Cmin medi di nelfinavir del 36–39% e l’AUC, la Cmax e la Cmin medi del
metabolita farmacologicamente attivo M8 del 75–92%. Sono stati segnalati aumentati livelli sierici (80-100%) di saquinavir (in co-somministrazione con
ritonavir) durante il trattamento concomitante con omeprazolo (40 mg/die). Il trattamento con omeprazolo 20 mg/die non ha avuto effetti sull’esposizione di
darunavir (in co-somministrazione con ritonavir) e amprenavir (in co-somministrazione con ritonavir). Il trattamento con esomeprazolo 20 mg/die non ha avuto
effetti sull’esposizione di amprenavir (con e senza co-somministrazione di ritonavir). Il trattamento con omeprazolo 40 mg/die non ha avuto effetti sull’esposizione
di lopinavir (in co-somministrazione con ritonavir). La co-somministrazione di esomeprazolo e atazanavir non è raccomandata e la co-somministrazione di
esomeprazolo e nelfinavir è controindicata a causa degli effetti farmacodinamici e delle proprietà farmacocinetiche simili di omeprazolo ed esomeprazolo.
Farmaci metabolizzati dal CYP2C19 L’esomeprazolo inibisce il suo principale enzima metabolizzante, il CYP2C19. Quando l’esomeprazolo è associato ad
altri farmaci metabolizzati attraverso il CYP2C19, come diazepam, citalopram, imipramina, clomipramina, fenitoina, ecc., le concentrazioni plasmatiche di
questi farmaci potrebbero essere aumentate e potrebbe rendersi necessaria una riduzione delle dosi. Ciò va tenuto in particolare considerazione quando
l’esomeprazolo viene prescritto al bisogno. La somministrazione concomitante di esomeprazolo 30 mg promuove una riduzione del 45% della clearance del
diazepam, substrato del CYP2C19. La somministrazione concomitante di 40 mg di esomeprazolo promuove nei pazienti epilettici un innalzamento dei livelli
plasmatici minimi della fenitoina del 13%. Si raccomanda di monitorare le concentrazioni plasmatiche della fenitoina quando si inizia o si sospende il trattamento
con esomeprazolo. L’omeprazolo (40 mg/die) aumenta la Cmax e l’AUCt del voriconazolo (substrato del CYP2C19) rispettivamente del 15% e del 41%. La
somministrazione concomitante di 40 mg di esomeprazolo a pazienti in trattamento con warfarin ha evidenziato, in uno studio clinico, che i tempi di coagulazione
rimanevano entro un intervallo di normalità. Tuttavia, dopo la commercializzazione del prodotto, durante il trattamento concomitante, sono stati segnalati alcuni
casi isolati di innalzamento dei valori di INR di rilevanza clinica. Si raccomanda il monitoraggio del pazienteall’inizio ed al termine del trattamento concomitante
con esomeprazolo durante la terapia con warfarin o altri derivati cumarinici. Nei volontari sani, la somministrazione concomitante di esomeprazolo 40 mg e
cisapride promuove un innalzamento del 32% dell’area sotto la curva concentrazione plasmatica/tempo (AUC) e un prolungamento del 31% dell’emivita di
eliminazione (t½), ma non un aumento significativo dei picchi di concentrazione plasmatica della cisapride. Il lieve prolungamento dell’intervallo QTc osservato
dopo somministrazione della cisapride da sola non è ulteriormente allungato in seguito all’ associazione di cisapride ed esomeprazolo. È stato dimostrato che
l’esomeprazolo non ha effetti clinici rilevanti sulla farmacocinetica di amoxicillina e chinidina. Non sono state evidenziate interazioni farmacocinetiche
clinicamente rilevanti negli studi a breve termine in cui è stata valutata la somministrazione concomitante di esomeprazolo con naprossene o con rofecoxib.
In uno studio clinico cross-over, clopidogrel (dose di carico 300 mg seguita da 75 mg/die) è stato somministrato per 5 giorni in monoterapia e con omeprazolo
(80 mg somministrati insieme a clopidogrel). L’esposizione al metabolita attivo di clopidogrel è diminuita del 46% (giorno 1) e del 42% (giorno 5) quando
clopidogrel e omeprazolo sono stati co-somministrati. Quando clopidogrel e omeprazolo sono stati co-somministrati si è avuta una diminuzione del 47% (24
ore) e del 30% (giorno 5) dell’inibizione media dell’aggregazione piastrinica (IPA). In un altro studio è stato dimostrato che la somministrazione di clopidogrel
e omeprazolo in tempi differenti non previene la loro interazione, che sembra guidata dall’azione inibitrice dell’omeprazolo sul CYP2C19. Sono stati segnalati
dati non univoci, provenienti da studi osservazionali e clinici, sulle implicazioni cliniche di questa interazione farmacocinetica/farmacodinamica in termini di
eventi cardiovascolari maggiori. Influenza di altri farmaci sulla farmacocinetica dell’esomeprazolo L’esomeprazolo è metabolizzato attraverso il CYP2C19
e il CYP3A4. Il trattamento concomitante con esomeprazolo e un inibitore del CYP3A4, claritromicina (500 mg b.i.d.) promuove un raddoppio dell’esposizione
(AUC) all’esomeprazolo. La somministrazione concomitante di esomeprazolo ed un inibitore combinato del CYP2C19 e del CYP3A4 può portare ad
un’esposizione di esomeprazolo più che raddoppiata. Il voriconazolo, inibitore del CYP2C19 e del CYP3A4, innalza l’AUCt dell’omeprazolo del 280%. Un
adattamento della dose di esomeprazolo non è regolarmente richiesto in entrambe le sopra menzionate situazioni, tuttavia, deve essere preso in considerazione
nei pazienti con compromissione epatica grave e nei casi in cui è indicato un trattamento a lungo termine. Il trattamento a lungo termine è indicato negli adulti
e negli adolescenti (dai 12 anni di età in poi, vedere paragrafo 4.1). 4.6. Gravidanza e allattamento. Per Lucen i dati clinici sull’esposizione in gravidanza
sono insufficienti. Con l’omeprazolo, miscela racemica, non sono state osservate malformazioni o effetti fetotossici negli studi epidemiologici condotti su un
vasto numero di donne in gravidanza. Studi condotti negli animali con esomeprazolo non indicano effetti dannosi diretti o indiretti a carico dello sviluppo
embriofetale. Studi condotti negli animali con la miscela racemica non indicano effetti dannosi diretti o indiretti sulla gravidanza, parto o sviluppo postnatale.
La prescrizione del farmaco a donne in gravidanza deve avvenire con cautela. Non è noto se l’esomeprazolo venga escreto nel latte materno. Non sono stati
condotti studi nelle donne che allattano, pertanto Lucen non deve essere usato durante l’allattamento. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso
di macchinari. Non è stato osservato nessun effetto. 4.8. Effetti indesiderati. Le seguenti reazioni avverse sono state identificate sospettate durante gli studi
clinici condotti con l’esomeprazolo e dopo la commercializzazione. Nessuna di queste è risultata dose-correlata. Le reazioni sono state classificate in base alla
frequenza: molto comune > 1/10; comune >1/100, <1/10; non comune ≥1/1000, <1/100; raro ≥1/10.000, <1/1000; molto raro < 1/10.000; non nota (la
frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Rare:
malessere, aumentata sudorazione. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche Rare: broncospasmo. Patologie del sistema emolinfopoietico
Rare: leucopenia, trombocitopenia. Molto rare: agranulocitosi, pancitopenia. Patologie del sistema nervoso Comuni: cefalea. Non comuni: capogiri,
parestesia, sonnolenza. Rare: disturbi del gusto. Disturbi del sistema immunitario Rare: reazioni di ipersensibilità quali ad esempio febbre, angioedema e
reazione/shock anafilattico. Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Non comuni: dermatite, prurito, eruzione cutanea, orticaria. Rare: alopecia,
fotosensibilità. Molto rare: eritema multiforme, sindrome di Stevens-Johnson, necrolisi epidermica tossica (TEN). Patologie epatobiliari Non comuni:
innalzamento dei valori degli enzimi epatici. Rare: epatiti con o senza ittero. Molto rare: insufficienza epatica, encefalopatia nei pazienti con malattia epatica
preesistente. Patologie gastrointestinali Comuni: dolore addominale, costipazione, diarrea, flatulenza, nausea/vomito. Non comuni: secchezza della bocca.
Rare: stomatite, candidosi gastrointestinale. Disturbi del metabolismo e della nutrizione Non comuni: edema periferico. Rare: iponatriemia. Molto rare:
ipomagnesiemia. Patologie del sistema muscolo-scheletrico e del tessuto connettivo Rare: artralgia, mialgia. Molto rare: debolezza muscolare. Patologie
renali e urinarie Molto rare: nefrite interstiziale. Disturbi psichiatrici Non comuni: insonnia. Rare: agitazione, confusione, depressione. Molto rare:
aggressività, allucinazioni. Patologie dell’apparato riproduttivo e della mammella Molto rare: ginecomastia. Patologie dell’occhio Rare: offuscamento
della vista. Patologie dell’orecchio e del labirinto Non comuni: vertigini. 4.9. Sovradosaggio. L’esperienza sul sovradosaggio intenzionale è attualmente
molto limitata. Sintomi gastrointestinali e debolezza sono stati descritti in relazione all’assunzione di 280 mg. Dosi singole di 80 mg di esomeprazolo non hanno
causato conseguenze. Non è noto un antidoto specifico. L’esomeprazolo è ampiamente legato alle proteine plasmatiche e pertanto non è velocemente
dializzabile. Come in tutti i casi di sovradosaggio, il trattamento deve essere sintomatico, adottando misure di supporto generiche. 5. PROPRIETÀ
FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: inibitori della pompa acida. Codice ATC: A02BC05. L’esomeprazolo
è lisomero S dell’omeprazolo e riduce la secrezione acida gastrica mediante un meccanismo di azione specifico e selettivo. L’esomeprazolo è un inibitore
specifico della pompa acida a livello della cellula parietale. Entrambi gli isomeri dell’omeprazolo, R e S, hanno attività farmacodinamica simile. Sito e
meccanismo di azione L’esomeprazolo è una base debole ed è concentrato e convertito nella forma attiva nell’ambiente fortemente acido dei canalicoli
intracellulari della cellula parietale, dove inibisce l’enzima H+K+-ATPasi - pompa acida promuovendo un’inibizione della secrezione acida basale e stimolata.
Effetti sulla secrezione acida gastrica Dopo la somministrazione orale di esomeprazolo da 20 mg e 40 mg, l’effetto sulla secrezione acida si manifesta entro
1 ora. Dopo somministrazioni ripetute con esomeprazolo da 20 mg una volta al giorno per 5 giorni, il picco medio di secrezione acida dopo stimolazione con
pentagastrina risulta ridotto del 90% quando valutato 6-7 ore dopo la dose del quinto giorno. Dopo 5 giorni di somministrazione orale con esomeprazolo da 20
mg e 40 mg, il pH intragastrico viene mantenuto a valori superiori a 4 rispettivamente per un tempo medio di 13 e 17 ore su 24 nei pazienti con malattia da
reflusso gastroesofageo sintomatica. La proporzione dei pazienti che mantiene il pH intragastrico a valori superiori a 4 per almeno 8, 12 e 16 ore è
rispettivamente pari al 76%, 54% e 24% per l’esomeprazolo da 20 mg, e pari al 97%, 92% e 56% per l’esomeprazolo da 40 mg. È stata dimostrata una
correlazione tra l’esposizione al farmaco e l’inibizione della secrezione acida usando l’AUC come parametro surrogato della concentrazione plasmatica. Effetti
terapeutici sull’inibizione acida L’esomeprazolo da 40 mg promuove la guarigione dell’esofagite da reflusso in circa il 78% dei pazienti dopo 4 settimane e
nel 93% dopo 8 settimane. Altri effetti correlati all’inibizione acida Durante il trattamento con farmaci antisecretori è stato osservato un innalzamento dei
livelli sierici di gastrina in risposta alla diminuita secrezione acida. Un aumento del numero delle cellule ECL, possibilmente correlato ad un aumento dei livelli
della gastrinemia, è stato osservato in alcuni pazienti durante il trattamento a lungo termine con esomeprazolo. Durante il trattamento a lungo termine con
farmaci antisecretori, è stato osservato un aumento della frequenza di comparsa di cisti ghiandolari gastriche che rappresentano la fisiologica conseguenza
della pronunciata inibizione della secrezione acida. Dette formazioni sono di natura benigna e appaiono reversibili. Bambini con malattia da reflusso
gastroesofageo (MRGE) da 1 a 11 anni di età In uno studio multicentrico a gruppi paralleli, 109 pazienti con MRGE dimostrata endoscopicamente (da 1 a
11 anni di età) sono stati trattati con Lucen una volta al giorno per 8 settimane al fine di valutare la sicurezza e la tollerabilità. Il dosaggio per peso corporeo
del paziente era il seguente: Peso < 20 kg: 5 mg o 10 mg di esomeprazolo una volta al giorno. Peso ≥ 20 kg: 10 mg o 20 mg di esomeprazolo una volta al
giorno. I pazienti sono stati caratterizzati endoscopicamente in base alla presenza o assenza di esofagite erosiva. 53 pazienti avevano al tempo basale
esofagite erosiva. Dei 45 pazienti sottoposti a follow-up endoscopico, 43 (93,3%) erano guariti dall’esofagite erosiva durante le 8 settimane di trattamento. 5.2.
Proprietà farmacocinetiche. Assorbimento e distribuzione L’esomeprazolo è sensibile all’ambiente acido ed è somministrato per via orale in forma di
granuli gastroresistenti. In vivo, la conversione a R-isomero è irrilevante. L’assorbimento dell’esomeprazolo è rapido, con picchi di livelli plasmatici riscontrabili
approssimativamente 1-2 ore dopo l’assunzione della dose. La biodisponibilità totale è pari al 64% dopo una singola somministrazione di 40 mg ed arriva
all’89% dopo somministrazioni giornaliere ripetute. Per il dosaggio da 20 mg di esomeprazolo i valori corrispondenti sono pari rispettivamente al 50% e al 68%.
Il volume di distribuzione apparente allo stato stazionario nei soggetti sani è di circa 0,22 l/kg di peso corporeo. Il 97% di esomeprazolo si lega alle proteine
plasmatiche. L’assunzione di cibo ritarda e diminuisce l’assorbimento dell’esomeprazolo, sebbene questo non abbia alcuna significativa influenza sull’effetto
dell’esomeprazolo sull’acidità intragastrica. Metabolismo ed eliminazione L’esomeprazolo è metabolizzato completamente dal sistema del citocromo P450
(CYP). La maggior parte del metabolismo dell’esomeprazolo è dipendente dal CYP2C19 polimorficamente espresso, responsabile della formazione di idrossie desmetil metaboliti di esomeprazolo. La parte restante dipende da un’altra isoforma specifica, CYP3A4, responsabile della formazione di esomeprazolo
sulfonato, che rappresenta il principale metabolita plasmatico. I parametri sotto riportati riflettono principalmente la farmacocinetica negli individui metabolizzatori
rapidi, forniti di un enzima CYP2C19 funzionante. La clearance plasmatica totale è pari a circa 17 l/h dopo una singola dose e pari a circa 9 l/h dopo
somministrazioni ripetute. L’emivita di eliminazione plasmatica dell’esomeprazolo è di circa 1,3 ore dopo somministrazioni giornaliere ripetute. La
farmacocinetica dell’esomeprazolo è stata studiata fino a dosi di 40 mg b.i.d. L’area sotto la curva concentrazione plasmatica/tempo aumenta con la
somministrazione ripetuta di esomeprazolo. Questo aumento è dose dipendente e porta ad un aumento dell’AUC più che proporzionale alla dose dopo
somministrazioni ripetute. Questa dose-dipendenza e tempo-dipendenza sono dovute alla diminuzione dell’effetto di primo passaggio metabolico e della
clearance sistemica, probabilmente dovuta all’inibizione dell’enzima CYP2C19 causata dall’esomeprazolo e/o dal suo metabolita sulfonato. Nell’intervallo di
tempo tra le somministrazioni, l’esomeprazolo è completamente eliminato dal plasma e non ha tendenza all’accumulo quando somministrato una volta al
giorno. I maggiori metaboliti dell’esomeprazolo non hanno effetti sulla secrezione acida. Quasi l’80% di una dose orale di esomeprazolo viene escreto come
metaboliti nelle urine, il rimanente si ritrova nelle feci. Meno dell’1% del farmaco di origine si ritrova nelle urine. Popolazione di pazienti particolari
Approssimativamente il 2,9±1,5% della popolazione, denominata metabolizzatori lenti, ha una funzionalità insufficiente dell’enzima CYP2C19. In questi
individui è probabile che il metabolismo dell’esomeprazolo sia principalmente catalizzato attraverso il CYP3A4. Dopo somministrazioni giornaliere ripetute di
40 mg di esomeprazolo, la media dell’area sotto la curva concentrazione plasmatica/tempo era approssimativamente più alta del 100% nei metabolizzatori
lenti rispetto ai soggetti con l’enzima CYP2C19 funzionante (rapidi metabolizzatori). Il picco medio di concentrazione plasmatica era aumentato di circa il 60%.
Queste osservazioni non hanno implicazioni sulla posologia dell’esomeprazolo. Il metabolismo dell’esomeprazolo non è modificato significativamente nei
soggetti anziani (71-80 anni). Dopo una singola somministrazione di 40 mg di esomeprazolo, la media dell’area sotto la curva concentrazione plasmatica/
tempo è approssimativamente più alta del 30% nelle donne rispetto agli uomini. Dopo somministrazioni giornaliere ripetute non è stata osservata alcuna
differenza tra i sessi. Queste osservazioni non hanno implicazioni per la posologia dell’esomeprazolo. Il metabolismo dell’esomeprazolo nei pazienti con
disfunzioni epatiche lievi – moderate può essere compromesso. La velocità metabolica è diminuita nei pazienti con gravi disfunzioni epatiche con conseguente
raddoppiamento dell’area sotto la curva concentrazione plasmatica/tempo dell’esomeprazolo. Quindi nei pazienti con disfunzione grave non deve essere
superata la dose massima di 20 mg. L’esomeprazolo e i suoi metaboliti principali non mostrano alcuna tendenza all’accumulo quando somministrati una volta
al giorno. Non sono stati condotti studi nei pazienti con ridotta funzionalità renale. Poiché il rene è responsabile dell’escrezione dei metaboliti dell’esomeprazolo
ma non dell’eliminazione del composto di origine, si ritiene che il metabolismo dell’esomeprazolo non venga modificato nei pazienti con funzionalità renale
ridotta. Popolazione pediatrica Adolescenti dai 12 ai 18 anni di età: Dopo somministrazioni ripetute di esomeprazolo da 20 mg e 40 mg, l’esposizione totale
(AUC) ed il tempo di raggiungimento della massima concentrazione plasmatica del farmaco (tmax) negli adolescenti di 12-18 anni sono risultati simili a quelli
osservati negli adulti. Bambini da 1 a 11 anni di età: Dopo somministrazioni ripetute di 10 mg di esomeprazolo, l’esposizione totale (AUC) osservata all’interno
dell’intervallo di età da 1 a 11 anni è risultata simile, e l’esposizione era simile a quella degli adolescenti e degli adulti trattati con la dose di 20 mg. Dopo
somministrazioni ripetute di 20 mg di esomeprazolo, l’esposizione totale (AUC) era più elevata nei bambini da 6 a 11 anni rispetto a quella osservata negli
adolescenti e negli adulti trattati con la medesima dose. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Gli studi preclinici convenzionali di tossicità, genotossicità e tossicità
della riproduzione con somministrazioni ripetute non hanno evidenziato particolari rischi per l’uomo. Gli studi di cancerogenesi nei ratti trattati con la miscela
racemica hanno evidenziato un’iperplasia delle cellule gastriche ECL e carcinoidi. Tali modificazioni osservate nei ratti sono il risultato di un’elevata e
pronunciata ipergastrinemia secondaria all’inibizione acida e sono state osservate nel ratto dopo trattamenti protratti nel tempo con gli inibitori della secrezione
acida gastrica. Rispetto a quanto osservato negli animali adulti, non sono stati osservati effetti tossici nuovi o inattesi nei ratti e nei cani giovani in seguito a
somministrazione di esomeprazolo per 3 mesi. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1. Elenco degli eccipienti. Granuli di esomeprazolo: Glicerolo
monostearato 40-55, Idrossipropil cellulosa, Ipromellosa, Magnesio stearato, Acido metacrilico etile acrilato copolimero (1:1) dispersione al 30%, Polisorbato
80, Saccarosio sfere (saccarosio e amido di mais), Talco, Trietil citrato. Granuli inerti: Acido citrico anidro (per la regolazione del pH), Crospovidone, Glucosio,
Idrossipropil cellulosa, Ferro ossido giallo (E172), Gomma Xantana. 6.2. Incompatibilità. Non pertinente. 6.3. Periodo di validità. 3 anni. Il prodotto deve
essere assunto entro 30 minuti dalla ricostituzione. 6.4. Precauzioni particolari per la conservazione. Non ci sono istruzioni particolari per la conservazione.
6.5. Natura e contenuto del contenitore. Confezione da 28 bustine. Bustine (contenenti granuli) formate da 3 strati: polietilene tereftalato (PET), alluminio,
polietilene a bassa densità (LDPE) che protegge i granuli dall’umidità. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione. Per i pazienti
con sondino nasogastrico o gastrico: 1) Per somministrare una dose di 10 mg, aggiungere il contenuto di una bustina da 10 mg a 15 ml di acqua. 2) Per
somministrare una dose di 20 mg, aggiungere il contenuto di due bustine da 10 mg a 30 ml di acqua. 3) Mescolare. 4) Lasciare addensare per alcuni minuti.
5) Mescolare di nuovo. 6) Prelevare la sospensione con una siringa. 7) Iniettare attraverso il sondino, di diametro pari a 6 French o superiore, nello stomaco
entro 30 minuti dalla ricostituzione. 8) Riempire di nuovo la siringa con 15 ml di acqua per la dose da 10 mg e con 30 ml di acqua per la dose da 20 mg. 9)
Agitare ed iniettare il contenuto rimasto dal sondino nasogastrico o gastrico nello stomaco. La sospensione non utilizzata deve essere scartata. 7. TITOLARE
DELL’AutORIzzAzIOnE ALL’IMMISSIOnE In COMMERCIO. Istituto Farmacobiologico Malesci S.p.A. Via Lungo L’Ema 7 – 50015 Bagno a Ripoli (FI). 8.
nuMERO DELL’AutORIzzAzIOnE ALL’IMMISSIOnE In COMMERCIO. Lucen 10 mg granulato gastroresistente per sospensione orale, confezione da 28
bustine – AIC: 035367554/M. 9. DAtA DELLA PRIMA AutORIzzAzIOnE/RInnOVO DELL’AutORIzzAzIOnE. Prima autorizzazione: 02 Aprile 2009. Data
dell’ultimo rinnovo: 10 Marzo 2010. 10. DAtA DI REVISIOnE DEL tEStO. Febbraio 2011.
CONFEZIONI
10 mg 28 bustine
PREZZO AL PUBBLICO
18,42*
CLASSE
A
*Prezzo comprensivo delle riduzioni temporanee di cui alle determinazioni AIFA 30 dicembre 2005, 3 luglio 2006 e 27 settembre 2006.
NOTA
48+1