L`indice di rifrazione

Transcript

L`indice di rifrazione
Quando un fascio di luce bianca
colpisce un oggetto possono avvenire
quattro
fenomeni principali:
-Riflessione speculare
-Riflessione diffusa o “scattering”
-Rifrazione
-Assorbimento selettivo
La riflessione è il fenomeno per cui la luce,
incontrando una superficie viene riflessa
propagandosi nello stesso mezzo da cui
proviene e alla stessa lunghezza d’onda.
I due casi limite della riflessione sono la
riflessione speculare e la riflessione diffusa
uniforme.
riflessione speculare
Si verifica in presenza di superfici speculari
(lisce, come il vetro)
Legge della riflessione:
L’angolo di incidenza (indicato come q1,
formato dal raggio incidente con la
perpendicolare al piano riflettente) è uguale
all’angolo di riflessione (q2).
riflessione diffusa
Se la superficie non e’ liscia ma
irregolare, il raggio incidente viene
riflesso in più direzioni e si verifica il
fenomeno della diffusione della luce
(superfici opache).
La riflessione diffusa uniforme,
è quella in cui la cui radianza
riflessa è uguale per ogni
angolo di osservazione:
Una superficie non liscia, scabra, presenta
riflessione diffusa.
La curva indicatrice di diffusione rappresenta la
radianza della superficie riflettente nelle varie
direzioni.
Un diffusore ideale è un diffusore perfetto
(cioè che non assorbe e non trasmette, ma
riflette diffusamente) e lambertiano (cioè
riflette la radiazione con radianza uguale per
ogni angolo di riflessione in cui la radiazione è
riflessa).
Una superficie di questo tipo non esiste nella
realtà. Le superficie che si avvicinano di più a
questo modello sono dette matte.
Quando un raggio di luce
colpisce un materiale
trasparente, una parte della
luce viene riflessa e una parte
attraversa il materiale, subendo
una deviazione nella direzione.
La deviazione del raggio rifratto
dalla direzione originale
dipende dagli indici
di rifrazione dei materiali (es.
aria, vetro) e dalla lunghezza
d’onda λ della luce incidente.
Si definisce indice di rifrazione di un mezzo 1 (per esempio il vetro) rispetto ad un
altro mezzo 2 (per esempio l’aria o il vuoto) il rapporto:
Dove V1 e V2 sono le velocità della luce nei rispettivi mezzi.
La “deviazione” della direzione di propagazione della luce quindi dipende
dalla velocità di propagazione della luce stessa. Nel vuoto, nell‟aria e nel
vetro la luce viaggia con differenti velocità. Fra questi mezzi, la velocità
sarà maggiore nel vuoto (V = 300.000 Km/s).
Se il raggio di luce passa da un mezzo ad indice di rifrazione più basso
(es. Aria) rispetto uno più alto (es. Vetro), il raggio si allontanerà dalla
superficie di separazione dei mezzi.
Viceversa si avvicinerà.
La deviazione del raggio rifratto dipende anche dalla lunghezza
d‟onda del raggio incidente.
Maggiore è la lunghezza d‟onda, minore sarà la deviazione.
In altre parole, le diverse lunghezze d'onda
che compongono la luce bianca (spettro)
sono rifratte diversamente: le radiazioni
rosse sono meno deviate mentre le blu
vengono piu' deviate.
Per questa ragione, quando la luce
attraversa un prisma, viene scomposta in
un arcobaleno. Allo stesso modo, quando
la luce di una stella e' osservata da un
telescopio rifrattore, viene affetta da
aberrazione cromatica ( aberrazione).
Ogni sostanza in relazione alla propria costituzione chimica e fisica
assorbe una certa quantità di radiazioni elettromagnetiche alle varie
lunghezze d‟onda, ciascuna secondo un proprio coefficiente di
assorbimento.
Ciò significa che diverse sostanze e per ogni lunghezza d‟onda esiste un
determinato coefficiente di assorbimento che “regola” la quantità di
radiazione elettromagnetica assorbita, quindi il colore della sostanza
stessa.
A
s
s
o
r
b
a
n
z
a
Spettro di
assorbimento
di un composto
di colore
VERDE
 = lunghezza d’onda (nm)
L'assorbimento selettivo di
lunghezze d'onda brevi può
rendere un oggetto giallo,
arancione o rosso, a seconda
dell'estensione
dell'assorbimento. Gli stati
condensati della materia
assorbono bande di lunghezza
d'onda ampie e continue, non
righe discrete.
 Ogni oggetto o corpo è soggetto, quando investito da luce, a tutti i
fenomeni fino ad ora descritti, e la luce può subire riflessione, diffusione,
rifrazione, assorbimento.
 Questi fenomeni possono verificarsi contemporaneamente.
 Da questi fenomeni dipendono quindi le “qualità ottiche” di un oggetto.
 Quello che a noi interessa e‟ l‟oggetto “pittorico”.
Tutti i fenomeni ottici visti finora possono
manifestarsi contemporaneamente e su tutti
gli strati pittorici.
Sono composti essenzialmente da:
→ intesi come materiali colorati in polvere finissima dispersi in un
→ inteso come legante trasparente omogeneo disposto su
→ intesa come fondo bianco o colorato.
Cos’è che determina
il colore?
L’insieme di
strati può
essere
ricoperto da
una
(sostanza
resinosa
trasparente)
Ovviamente i pigmenti in misura maggiore, perché
vernice e medium sono trasparenti e quasi incolori.
Il colore di un
pigmento dipende
dai vari coefficienti di
assorbimento della
luce bianca che
agiscono
selettivamente sulle
varie 
Anche i fenomeni di
scattering (riflessione
diffusa) e rifrazione
diventano importanti
data la suddivisione
del pigmento in
polvere finissima.
Opacità o
Potere
coprente del
film pittorico
Lo scattering dipende:
a. direttamente dalla granulazione del pigmento → più è macinato più
diffonde.
b. dal rapporto tra gli indici di rifrazione del pigmento e del medium in
cui è disperso → npigmento/nmedium grande  più opaco risulta il film
pittorico
Più macinato è un pigmento
più grande è il suo indice di
rifrazione rispetto al medium
maggiore capacità di coprire la
superficie del fondo su cui
viene disteso
In generale per un
pigmento:
Potere coprente =
f(indice di rifrazione
rispetto al medium,
dimensione media delle
particelle, tonalità del
colore)
Pigmenti chiari:
Potere coprente = f(indice di
rifrazione, granulazione)
Pigmenti colorati normali  i
3 fattori agiscono
contemporaneamente
Pigmenti scuri: Potere coprente =
f(assorbimento selettivo)
Va comunque considerato che alcuni pigmenti
colorati costituiti di per se da granuli molto
trasparenti se venissero macinati troppo finemente
aumenterebbero
il
potere
coprente,
ma
perderebbe qualità del colore perché sarebbe
predominante lo scattering della luce bianca
rispetto all‟assorbimento selettivo. Per questo tipo
di pigmenti bisogna quindi controllare attentamente
la granulometria raggiungendo un compromesso tra
i due fenomeni.
A questa categoria di pigmenti appartengono
AZZURRITE, LAPISLAZZULI, SMALTINO, etc.
per
esempio
Maggiore o minore potere
In genere le preparazioni sono
coprente fanno si che la
di tonalità bianca, ma ci sono
luce possa penetrare più o
casi in cui sul fondo
meno profondamente negli
preparatorio è stato steso uno
strati fino al sottofondo
strato colorato per ottenere
preparatorio che può
colorazioni particolari:
anch‟esso assorbire o
riflettere
il verdaccio era un colore fondamentale per gli
artisti del Pre Rinascimento come Giotto e del
Rinascimento come Leonardo, Michelangelo e
Raffaello. Era usato sotto gli strati pittorici
dell’incarnato.
Esiste un testo rinascimentale “IL LIBRO
DELL'ARTE DI CENNINO CENNINI” in cui viene
dettagliata la ricetta di preparazione del
verdaccio che prevede l’uso di una mescolanza
di colori: giallo ocra, un po’ di nero, bianco e
una punta di rosso (il bianco usato era quello
di san giovanni e il rosso era il cinabrese).
Queste preparazioni colorate si chiamano IMPRIMITURE o CAMPITURE DI FONDO.
Otticamente avevano lo scopo di far risaltare il film pittorico per contrasto oppure di
conferire al film pittorico particolari intonazioni utilizzando l’assorbimento selettivo
del fondo.
Gli antichi riponevano una notevole cura nella
preparazione dei supporti che dovevano
ricevere la pittura.
Il tipo di imprimitura dipendeva dal supporto e
dal materiale che veniva utilizzato.
Strati presenti su una
tavola antica. A:
strato di preparazione
- Gesso grosso; B:
strato di preparazione
- Gesso fine; C: strato
di imprimitura
Dipinto su tavola
I legni usati generalmente per le
tavole erano di pioppo (nella
scuola italiana con maggiore
frequenza) o di quercia (più usato
dai fiamminghi).
Per esempio la tavola di pioppo veniva preparata
applicando vari strati di gesso attentamente levigati
prima di essere ricoperti di colla. Una
imprimitura adatta per le tavole poteva per esempio
essere costituita da colla di formaggio (caseina) e gesso.
Si passava poi presumibilmente ad una seconda
imprimitura di grafite e di nero di vite sciolta in una
leggera quantità di olio. Quest'ultimo aveva una
funzione anche di riduzione dell'assorbimento del
gesso e quindi questo contribuiva ad una migliore
saturazione dei colori mantenendone una buona
brillantezza.
dipinto a olio su tavola di Leonardo da Vinci, databile al 1488-1490
Dipinto su tela
Tele di canape o di lino (già molto
prima del cinquecento si usavano
tele incollate alle tavole, anche il
Cennini ne parla: il loro uso era
antichissimo). Preferite alle pesanti
tavole perchè permettevano di
realizzare grandi quadri facilmente
trasportabili per la leggerezza.
L'esigenza primaria delle imprimiture su tela
comunque a differenza di quelle su tavola era
evidentemente la necessità di una maggiore
elasticità probabilmente ottenuta con colle di
glutine e l'uso di olio nell'impasto. Quindi a
seconda del supporto e della bottega potevano
essere usate metodologie e dosaggi diversi. Tra
le numerose tipologie di imprimiture ve ne
sono anche di documentate con colla di farina
di frumento con l'aggiunta di gesso o creta
(carbonato di calce).
Per la tela nel corso del XVI secolo alla
preparazione tradizionale a colla e gesso (che
era una imprimitura chiara) seguirono sempre
più preparazioni colorate che andavano spesso
a sovrapporsi ad una prima imprimitura di
gesso e colla e contenevano anche dell'olio di
lino o di noce con l'aggiunta di pigmento
colorato.
“Diana e Atteone", un olio su tela grande di Tiziano
Per le tele la biacca e l'olio erano fondamentali per mantenerne l'elasticità.
Per le tavole invece l'imprimitura era fatta con gesso e colla.
Un imprimitura a gesso e colla è molto assorbente ed è più adatta alla
tempera. L'olio infatti su un imprimitura a gesso e colla viene assorbito in
gran quantità e dato che col tempo ingiallisce fa ingiallire anche un po' la
preparazione che lo ha assorbito. Molto importante per la conservazione
della luminosità di un quadro ad olio è il fondo bianco. Il quadro fatto con il
medium olio nel tempo ingiallisce e scurisce ed inoltre vi è una perdita di
capacità coprente. Se il fondo è bianco però la perdita di capacità coprente
compensa l'inscurimento dell'olio facendo affiorare il biancore
dell'imprimitura.
Comunque il grado di assorbenza e soprattutto la porosità dell'imprimitura
hanno un ruolo importante per l'aderenza degli strati pittorici.
La porosità perchè un fondo troppo liscio potrebbe far scivolare la pittura.
Per velatura si intende
l’uso di impasti pittorici
coprenti ridotti a spessori
minimi da apparire
semitrasparenti. Effetto
sfruttato, per esempio,
per realizzare le delicate
sfumature degli incarnati.
La tecnica della velatura si elevò a sommo grado con i pittori
fiamminghi. Quando si stende un colore su una superficie in realtà
non si fa altro che porre una pellicola su un piano che,
generalmente, in partenza è bianco. Questa pellicola, alla fine,
copre la superficie bianca, dandole il colore che l’artista intende
rappresentare. La differenza tra le tecniche pittoriche è che
alcune, già alla prima pennellata, danno una pellicola interamente
coprente, altre danno invece una pellicola semi-trasparente. In
questo secondo caso, la pennellata è chiamata appunto
«velatura». Con le velature il pittore maggiori possibilità: può
trovare molti più gradi di sfumature e può ottenere una maggiore
gamma cromatica. Sovrapponendo più velature può gradualmente
giungere al tono che preferisce, mentre sovrapponendo velature
di colore diverso può ottenere infinite gamme di colori intermedi.
L’unico «inconveniente», se così possiamo definirlo, è che una
pittura condotta per velature è molto lenta e laboriosa. Per fare
una buona velatura la pittura a olio è fondamentale. Non solo: i
colori ad olio risultano generalmente più brillanti e luminosi dei
colori a tempera, dando alla superficie finale del quadro un
aspetto più intenso e vivace.
Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck
Il suo fine primario è di protezione del dipinto, tuttavia dal punto di vista ottico agisce
attenuando fortemente lo scattering giocando sulla variazione di indice di rifrazione del
pigmento.
In sostanza riduce o elimina la diffusione biancastra della luce rendendo più apprezzabile il
colare di ogni pigmento.
Vernice deriva dal latino medievale veronix-icis,
resina odorifera, dal nome della città di Berenice in
Cirenaica, oggi Bengasi.
La sandracca è una resina estratta dal
Tetraclinis articulata (ginepro), albero della
famiglia delle Cupressaceae originario del
Nordafrica.
È usata per la preparazione di vernici e
lacche, talvolta pura, ma più spesso
miscelata ad altri componenti. Aggiunta
assieme ad altre resine alla gommalacca
diventa un ottimo prodotto per la
protezione di mobili e strumenti musicali.
Berenix (Bengasi) è la città dove i
Romani si procuravano una resina:
la sandracca. Berenix il nome della
città, veronix/ veronicis il termine
che indicava la resina fino al XV
secolo. Alla base della
formulazione di numerose vernici,
la sandracca, è solubile in alcool e
produce vernici dure, molto
lucide, che si ossidano
rapidamente e tendono a
diventare friabili. Per farle
assumere maggiore elasticità
veniva mescolata alla trementina
di Venezia. La sandracca così
trattata formava la vernice usata
nella laccatura dei mobili
veneziani, tecnica molto lunga e
laboriosa che raggiunse nel '700
livelli di grande maestria.
Uso della sandracca
Uso della sandracca
“…Con l’invecchiamento la sandracca creerà le caratteristiche crepettature. Deve essere usata
ben stagionata, sarà di colore paglierino e bisogna tenerne conto perchè cambierà i colori
delle decorazioni…”
Tuttavia la presenza dei film di vernice superficiali con il passare del
tempo è risultato una fonte di problemi conservativi, quali:
 cambiamento di colore con ingiallimento molto spinto a causa di
processi ossidativi dei componenti oleosi dovuti all’uso di stesure con
elevato spessore;
 il processo di degradazione ossidativa comporta anche la
contrazione o il ritiro dello strato con effetto deleterio (di tipo
meccanico) sugli strati pittorici sottostanti, essenzialmente dovuto alla
mancata polimerizzazione uniforme della componente oleosa su
spessori molto alti;
 insolubilità nei solventi più comuni a causa della formazione di un
polimero oleico reticolato, per cui la loro rimozione richiede l’uso di
solventi particolarmente aggressivi, non sempre controllabili.
La frazione
rimanente,
impoverita solo in
intensità, attraversa
lo strato di vernice e
subisce una prima
rifrazione.
Parte del
raggio viene
riflesso in
modo
speculare
La parte che ha
attraversato tutto lo
strato pittorico
raggiunge la
preparazione su cui
può essere ancora
diffusa o assorbita
selettivamente.
L‟occhio osserva tutte le
componenti che durante il
percorso sono state
riflesse o specularmente
o per scattering e
determinano l‟effetto
globale di percezione.
La luce rifratta raggiunge lo strato
pittorico e può essere in parte
diffusa e in parte assorbita
selettivamente. Può anche
attraversare turro lo strato subendo
un’altra rifrazione.
Esistono diverse tecniche pittoriche, che si differenziano per i materiali e gli strumenti
usati e per le superfici sulle quali è eseguita l'opera.
Le prime superfici sulle quali l'uomo realizzò primitive forme d'arte
pittorica, geometrica e figurativa, furono le pareti di una caverna oppure
di una casa o di un tempio.
Nel Medioevo il supporto preferito dai pittori era la tavola di legno, per poi passare
con il tempo alla tela, con la quale si ovviò al problema del peso e della relativa
instabilità del pannello ligneo.
Altri supporti possono essere: la carta, il metallo, il vetro, la stoffa, una parete e
qualunque altra superficie in grado di mantenere in modo permanente il colore;
infatti una eventuale degradazione del dipinto in un lasso di tempo breve
costituirebbe, più che un'opera pittorica, una performance artistica
La differenza esistente fra le varie tecniche pittoriche è identificabile nella tipologia del
liquido di cui ci si serve per preparare il colore: tale liquido dovrà infatti essere tanto più
capace di aderire alla superficie, quanto meno questa è disposta ad assorbirlo, come nel
caso della pittura a tempera o quella ad olio per le quali bisogna ricorrere all’uso di
sostanze agglutinanti che fermino il colore al supporto e lo rendano aderente ad esso.
Le principali tecniche pittoriche possono
essere considerate:
• Pittura murale a fresco
• Pittura murale a secco
• Pittura su tavola a tempera o olio
• Pittura su tela a tempera o olio
• Miniatura
• Acquarello
Un altro tipo di classificazione delle tecniche pittoriche può
essere fatta partendo dal supporto.
Sulle pareti abbiamo l'affresco, il murale e il graffito; una
forma particolare di arte figurativa su parete è data dal
mosaico.
Su tavola abbiamo la pittura a tempera, i colori ad olio ed i
colori acrilici.
Su carta abbiamo la pittura a tempera, l'acquerello e il guazzo
o guache.
Su tela abbiamo la tempera, la pittura ad olio e la pittura
acrilica.
La pittura avviene ad esecuzione diretta sulla
roccia, senza preparazione, sfruttando le
irregolarità rocciose ai fini della resa
dell'immagine. Cioè sporgenze, cavità e
asperità rocciose venivano spesso sfruttate per
far parte di una raffigurazione.
L' artista sceglieva il luogo dove
dipingere le sue immagini tenendo
conto della morfologia generale della
caverna, sfruttando sporgenze o
fessure che potessero ricordare forme
animali o parti del corpo animale.
In alcuni casi le incisioni o le pitture sono
state eseguite nei pressi dell'ingresso
delle caverne, dove la luce riusciva a
illuminare l„interno, ma nella maggior parte
dei casi, le opere venivano realizzate
all‟interno delle caverne, in luoghi bui e di
difficile accesso. Gli artisti disponevano
quindi
di
un'illuminazione
artificiale
(lucerne di pietra alimentate da grasso
animale con uno stoppino fatto di licheni,
muschio, corteccia o ramoscelli).
Uno dei bisonti di Altamira,
15.000-11.000 a. C.
Incisione: Graffito nel
Riparo Romito di
Papasidero, 19.00010.000 a.C.
Per le incisioni veniva utilizzato un bulino di
selce dalla punta robusta. Le immagini dipinte
venivano realizzate solamente con il contorno,
oppure con l'utilizzo di uno o due colori per
riempire lo spazio all' interno della figura. A
volte il contorno veniva tracciato prima a
incisione, poi veniva colorata la figura. In altri
casi si colorava prima l'immagine e poi veniva
rifinita incidendo tutta la figura o solo alcune
parti. Un altro modo per dipingere le figure era
l'utilizzo di un batuffolo di pelliccia, soprattutto
quando si voleva sfumare il colore. A Lascaux
ed Altamira è stata utilizzata spesso questa
tecnica.
Col termine "a fresco" o "buon fresco" si
intende la pittura murale nella quale i colori
vengono stemperati in acqua e stesi sopra un
intonaco fresco, ossia appena steso. Così
operando, per reazione tra la calce
dell'intonaco e il carbonio dell'aria, i colori
vengono a fissarsi fino a divenire insolubili e
acquistano una forte solidità.
Giotto di Bondone
La fuga in Egitto, 1303-1306 circa
tecnica: affresco su muro
Padova, Cappella degli Scrovegni
Raffaello: La scuola di Atene
Stanza della Segnatura in Vaticano.
L'affresco é costituito da più strati distinti :
Primo strato, l'arricciato, costituito da un
misto di calce spenta e sabbia grossa (malta
grezza composta di sabbia grossa, acqua e
calce e stesa con la cazzuola)  (rapporto
legante/inerte = 1/3)
Secondo strato, l'intonaco, costituito da calce
spenta e sabbia fine ben setacciata (malta
con sabbia fine acqua e calce steso sul
rinzaffo asciutto)  (rapporto legante/inerte
= 1/2).
Terzo strato, tonachino (malta con sabbia
fine, polvere di marmo, calce e acqua) su cui
veniva realizzato l'affresco vero e proprio,
costituito da pigmenti diluiti in acqua pura
applicati in più strati con un pennello 
(rapporto legante/inerte=1/1).
L'ultimo strato, la calcina (una crosta
vetrosa), é il risultato della carbonatazione
della malta di calce che, disidratandosi
produce un involucro protettore trasparente
che ingloba i pigmenti e li fissa
definitivamente.
– veniva steso giorno per giorno sulla superficie che il pittore riusciva a dipingere
– Per questo si parla di pittura “a giornate”
– Se il pittore non riusciva a dipingerlo tutto veniva rimosso
E' malta di calce e sabbia fine (in particolare è un impasto fatto con sabbia di fiume fine,
polvere di marmo, o pozzolana setacciata, calce ed acqua) ed è la parte su cui si dipinge.
Il suo spessore è di pochi millimetri. La superficie dell'intonaco deve essere spianata e
levigata.
Ai tempi di Vitruvio (ufficiale sotto Cesare ed architetto, scrive tra il 27 ed il 23 a.C. un
trattato, il "De Architectura", in cui spiega dettagliatamente come realizzare intonaci di
buona qualità, che garantiscano solidità, lucentezza e resistenza nel tempo) la
preparazione per l'affresco era costituita da ben tre strati di arriccio e tre di intonaco con
sabbia di granulazione sempre più fina come per la lavorazione del marmorino. In
seguito, dal II secolo d.C., si usò un solo strato di arriccio ed uno di intonaco. Gli intonaci
di Pompei erano molto spessi e raggiungevano i 7-8 cm. e così essi trattenevano a lungo
l'umidità e permettevano di dipingere grandi superfici che si mantenevano fresche per
molto tempo.
Per conservare ancora più a lungo l'umidità, i pittori dell'antichità introducevano nell'impasto della
paglia, o cocci o stoppa. Non si tratta mai, comunque, di regole fisse, perché le soluzioni cambiano a
seconda delle disponibilità e delle necessità.
Vi sono infatti anche dei casi in cui il rinzaffo e l'arriccio mancano del tutto e l'affresco è eseguito su
un sottilissimo strato di malta stesa sulla pietra: alcuni esempi ad Assisi nella basilica di S. Francesco
(sec. Xlll), a Feltre nel santuario di S. Vittore (sec. XIII), a Firenze sulle colonne della ex chiesa di S.
Pietro Scheraggio (sec. XIII) ora incorporata nell'ingresso della Galleria degli Uffizi, a Utrecht
(cappella del vescovo Guy d'Avennes, sec. XVI).
La calce viva (ossido di calcio CaO) viene preparata a per cottura (calcinazione
o arrostimento) della pietra da calce (CaCO3). Essa si decompone liberando
anidride carbonica e trasformandosi in calce viva.
CaCO 3
C
900

 CaO 
Carbonatodicalcio
Ossidodicalcio
CO 2
Anidride Carbonica
A contatto con acqua questa si trasforma con una reazione esotermica in calce
spenta.
CaO  H 2O 
 Ca OH 2
Ossidodicalcio
Idrossido di calcio
Con una quantità di H2O pari a 1/2 il peso dell’ossido di calcio, si forma la
di idrossido di calcio Ca(OH)2
Se alla calce spenta in polvere aggiungiamo 3 o 4 parti di acqua, cioè acqua in
eccesso, otteniamo
dalla consistenza fluida e colloidale.
è
costituita da grassello e 2 o 3 parti di sabbia di fiume
La calce fa presa in diverse fasi: inizialmente perde acqua per evaporazione,
cioè cristallizza, in seguito si ha la carbonatazione, che avviene solo negli strati
più esterni e richiede più tempo, in questo processo si riforma carbonato di
calcio (la calcina).
E’ il risultato di una reazione chimica che prende il nome di "carbonatazione della calce“:
Ca(OH)2 + CO2 →CaCO3 + H2O
cioè l'idrato di calcio si combina con l'anidride carbonica e si ottiene carbonato di calcio
+ acqua che evapora. Nella fase di asciugamento della malta, l'acqua che va verso
l'esterno porta alla superficie dipinta buona parte dell'idrossido della calce per formare
quella pellicola che diventerà carbonato di calcio colorato. La carbonatazione avviene
entro tre ore dalla stesura dell'intonaco.
La calce mescolata ad acqua e sabbia si
indurisce progressivamente formando
carbonati a contatto con l'anidride carbonica
dell'aria. L'indurimento ricostituisce in parte il
calcare d'origine formando carbonato di
calcio, che fissa i colori dell'affresco.
La carbonatazione è un processo veloce in
superficie ma lento nella massa perché
ci vogliono mesi per permettere all'anidride
carbonica atmosferica di penetrare nella
preparazione e all'acqua dell’interno per
arrivare all'esterno per evaporare.
Si compongono di due fasi: essiccamento e
carbonatazione.
Essiccamento ↔ va via gran parte dell'acqua
contenuta nell'impasto.
Carbonatazione ↔ una reazione chimica lenta tra la
calce spenta e l'anidride carbonica atmosferica.
Tale reazione avviene nella soluzione satura di
Ca(OH)2, perché l'acqua che si produce stabilizza la
calce: tale processo è lento tanto più interna è la
calce nel muro. Sempre parlando di
carbonatazione, quando si forma CaCO3, precipita
nella microgoccia contenente sabbia, e si formano
reticoli, cosicché la massa di sabbia acquista
coerenza e compattezza. Se c'è del pigmento, tale
processo coinvolge lo strato pittorico.
Gli affreschi, in ambienti chiusi sono molto stabili,
ed il processo di presa, nel tempo, non altera molto
il colore dell'affresco, anche se è chiaro che se
siamo in presenza di un solido microsuddiviso, se
questo è umido acquista colori più "vivi".
Nella tecnica del “buon fresco”, dei pigmenti
minerali vengono stesi sull‟intonaco ancora
umido senza aggiunta di leganti. I pigmenti,
stemperati in acqua, si applicano nel momento
in cui l‟intonaco “tira”. Non è il pigmento a
penetrare nell‟intonaco (o nell‟intonachino),
bensì è il carbonato di calcio che si forma
alla superficie che lo ingloba.
Affresco che rappresenta la
mezza figura della Madonna col
bambino Gesù in collo su fondo
ovale - E' attribuito a Fra
Giovanni Angelico
La
è la fase dell'affresco consistente nel disegnare con della terra rossa (in
origine proveniente da Sinope, sul Mar Nero) un abbozzo preparatorio per l'affresco
eseguito subito dopo l'arriccio.
Una volta completata questa fase, il disegno viene progressivamente ricoperto con
l'ultimo strato di intonaco.
Della sinopia si è fatto largo uso fino ai
primi anni del Cinquecento, quando è
stata gradualmente sostituita dal
graffito (segni ottenuti premendo sul
contorno del disegno preparatorio) e
dello spolvero (disegni eseguiti su
cartoni poi forati lungo i contorni e
spolverati con polvere di carbone in
modo da far apparire linee
punteggiate sulla parete).
.
Per questa particolare metodologia si ha bisogno di un foglio di
carta, sul quale, disegnate le sagome, queste verranno ripassate
tramite piccoli fori praticati con un ago.
In seguito,creato un tampone con un panno e postovi all’interno
della polvere di carbone, sul muro rimarrà impresso un tracciato
dell’ immagine che noi vogliamo riprodurre.
Un altro metodo molto utile per
realizzare un affresco è quello
del
. Infatti, disegnato il
soggetto su un foglio di carta, si
appoggia quest’ultimo sulla
parete e tramite una punta
metallica o di legno si tracciano i
contorni in modo che
rimangano impressi, tramite
piccole incisioni, sull' intonaco
ancora fresco.
I monaci Basiliani hanno sempre privilegiato la
tecnica dell'affresco per meglio far comprendere
il loro kerygma. Una delle caratteristiche tecniche
dell'affresco bizantino è il tracciamento delle
linee principali del disegno sull'intonaco fresco,
con l'ausilio di una punta di legno o d'osso,
l'intonaco da affrescare é levigato prima
dell'applicazione dei colori, non dopo, come
avviene nelle tecniche più recenti.
La levigazione preliminare comporta una risalita
dell'acqua della calce in superficie e costringe
l'artista a un lavoro rapido ma, allo stesso tempo,
garantisce una maggiore nitidezza dei tratti e
potenza espressiva dei colori; per questo gli
affreschi realizzati dai monaci basiliani sono
giunti sino a noi conservando colori brillanti e
compatti.
La Fuga in Egitto (XII secolo).
San Vito dei Normanni, chiesa rupestre di San
Biagio: Presentazione al Tempio (affresco del
XII secolo).
Il supporto pittorico è simile a quello dell’affresco
Mentre all'affresco viene attribuito un ruolo più importante, la pittura murale a secco viene
utilizzata per le decorazioni più marginali o per ritoccare eventuali errori nelle stesure degli
affreschi. Questo diverso ruolo è dovuto al diverso grado di difficoltà delle due tecniche;
infatti, mentre l'affresco è considerata, una tecnica di alto livello, la pittura murale a secco
viene un po’ surclassata per la sua relativa semplicità di esecuzione.
Il pigmento viene steso sull’intonachino secco (cioè carbonatato) e fissato
mediante un legante (olii siccativi, proteine, acqua di calce [soluzione
satura di Ca(OH)2 allo 0.16% a 20°C]
L’intonaco deve essere preparato in modo tale che la superficie sia
particolarmente liscia, compatta (si chiudono i pori del intonaco) e
compatibile col legante organico del pigmento.
E’ possibile avere una gamma cromatica più ampia: si possono utilizzare
pigmenti non utilizzabili nelle altre tecniche per l’elevata causticità
(basicità) dell’idrato di calcio
(orpimento, cinabro, azzurro della Magna, minio, verderame, biacca etc)
Nella pittura murale a secco i pigmenti vengono mescolati a delle sostanze
collanti per farli aderire all'intonaco asciutto e prendono il nome di tempera, a
differenza dell'affresco in cui i pigmenti vengono mescolati direttamente con
acqua.
La preparazione delle tempere è un processo molto lungo che segue una
procedura ben precisa: innanzitutto si deve mescolare il pigmento con acqua e
lasciarlo "marcire" per un periodo di qualche settimana, dopodiché viene
aggiunta alla soluzione la sostanza collante.
Fino ai primi anni del 1500 il collante era generalmente a base di uovo, che
veniva usato intero o solamente il rosso diluito in acqua, oppure si trattava di
colle naturali ottenute in vario modo (per esempio la colla di "carnicci"
ottenuta facendo bollire dei ritagli di carta pecorina in acqua), invece dopo
questo periodo iniziano a nascere le prime tempere a olio, che usavano come
collante olio di lino che veniva aggiunto all'uovo o usato tal quale.
Alla tempera cosi ottenuta veniva aggiunto dell'aceto per
diminuire la carica batterica e impedire che il collante irrancidisse
perdendo la sua efficacia e comportando il distacco del pigmento
dalla superficie murale.
L'intonaco nella pittura murale a secco deve essere evidentemente
asciutto prima di poter applicare il colore.
Questo diverso tipo di modo di operare comporta un'altra conseguenza,
infatti mentre nella pittura murale a secco la tempera aderisce grazie al
collante, nell'affresco i pigmenti vengono intrappolati dall'intonaco che
asciuga comportando una variazione cromatica del colore rendendo molto
difficile il lavoro dell'artista.
Comunque anche la pittura murale a secco richiede alcuni accorgimenti,
infatti come si è detto in precedenza, l'adesione della tempera avviene
grazie al collante, ma per permettere ciò devono essere eliminate tutte
le possibili fonti di assorbimento dalla superficie.
A tale scopo viene steso sull'intonaco un primo strato di una soluzione
costituita dal medesimo collante della tempera a cui viene aggiunta un po‟
di calce, sul quale viene steso un secondo strato di collante puro che ha
lo scopo di isolante fra l'intonaco e la tempera.
L'encausto è una tecnica pittorica di grande efficacia e molto antica che risale addirittura ai
tempi delle prime civiltà greche. Questa tecnica, che veniva adottata principalmente in
tutte le zone che si affacciavano sul bacino del Mediterraneo, consiste nell'impiego di
. A dispetto dei suoi splendidi e pregevoli risultati, questa
tecnica fu soppiantata dell'affresco e, a parte qualche testimonianza medievale, dovette
attendere molti secoli prima di ottenere una parziale ma meritata rivalutazione. Ci è
finalmente stata trasmessa e talvolta viene confusa con l'affresco, poiché quest'ultimo
qualche volta veniva sottoposto, a fine lavoro e dopo l'essiccazione, ad una manipolazione
con cera vergine di api, che lo rendeva così molto simile all'encausto.
La tecnica pittorica dell'encausto viene
applicata, oltre che su muro, su marmo, legno,
avorio e terracotta. I pigmenti dopo essere
stati mescolati con la cera, vengono stesi sul
supporto con la tecnica del pennello o della
spatola, quindi fissati con procedimento a
caldo con attrezzi di metallici (cauteri o cestri).
Ritratto dal Fayum, inizi del II secolo (Santa Monica, Getty
Museum)
I pigmenti venivano mescolati con cera d'api, il
composto veniva sciolto e, ancora caldo, steso
su un supporto di legno (non di rado preparato
con gesso o con lino indurito con colla animale);
in base alle esigenze, si potevano aggiungere al
composto resina (come il mastice di Chio), uovo
o olio di semi di lino. Per stenderlo si
utilizzavano sia pennelli (con la punta usata
calda o fredda) sia spatole.
L'effetto finale è quello di una pellicola pittorica
compatta e brillante; e anche piuttosto
resistente.
'ritratti funerari' scoperti in Egitto,
dove le particolari condizioni
climatiche ne hanno permesso la
conservazione. Molti di questi
provengono dall'oasi del Fayum, che
si trova a occidente della valle del
Nilo (a circa cento km a sudovest del
Cairo), per questo sono conosciuti
come ritratti del Fayum.
La pittura ad encausto deve essere distinta dalla
cosiddetta encausticazione, un procedimento
molto usato, ad esempio, sulle pitture parietali
di Pompei.
Sembra, infatti, che quelli pompeiani non siano
dei veri affreschi e che i colori venissero stesi
sull'intonaco asciutto. L'eccezionale vivezza
cromatica deriverebbe perciò, oltre che dalla
perizia nell'esecuzione del dipinto, dall'uso di
stendere sulla pittura murale realizzata della
cera fusa stemperata con dell'olio (ecco perché
'encausticazione'). Non solo. La superficie veniva
lucidata con dei panni asciutti, ottenendo il
duplice effetto di rendere lucenti i colori e di
proteggerli.
Pompei, Villa dei Misteri
Le pitture a tempera più antiche di
cui abbiamo traccia in Italia sono
quelle risalenti al periodo etrusco (le
decorazioni delle tombe etrusche).
Purtroppo non ci sono giunte quelle
di origine ellenica, ma sappiamo che
in Grecia la tempera fu comunque
usata, come fu usata la tecnica
dell’encausto (pigmenti mescolati a
caldo con la cera). Anche i romani
conoscevano la tempera, come
dimostrano alcune pitture parietali
pompeiane. Un esempio di raffinate
pitture di epoca romana sia ad
encausto che a tempera è costituito
dagli splendidi ritratti su legno
ritrovati in Egitto nelle necropoli
della zona del Fayum (secoli I III d.C.).
Tutti gli affreschi romani erano realizzati "a
secco", vale a dire che la tempera non veniva
stesa sull'intonaco ancora umido, come oggi; la
loro tecnica è ancora oscura ed ancor più lo è il
fatto che le opere così realizzate si siano
conservate fino a noi in quanto ogni tentativo
di realizzare un affresco a secco dal
Rinascimento in poi si è rivelato catastrofico:
infatti dopo pochi anni la pittura si screpola.
Per tempera - o come si diceva in italiano
arcaico “tèmpra” - si intende il modo con
cui mescolare e far solidificare il colore
attraverso l’uso di alcuni ingredienti. Il
vocabolario della lingua italiana Zingarelli
così definisce la tèmpera o tèmpra:
“mescolanza di colori nella colla o nella
chiara d’uovo, per dipingere su legno,
gesso, tela e più specificatamente
per le scene e decorazioni teatrali”.
Questa definizione indica come veicoli
per il colore la colla e la chiara dell’uovo.
In realtà la chiara non è affatto
l’elemento base della vera tempera
all’uovo, come fa ben notare anche Eric
Hebborn nel suo libro “Il manuale del
falsario”. La tempera alla chiara d’uovo fu
invece largamente usata per la miniatura
e per i messali, nonché come vernice
finale provvisoria, sfruttando la sua
rapida capacità di essiccamento e
indurimento.
Francesco di Giorgio Martini
miniatura a tempera su pergamena, 59 x 44
Chiusi, Museo del Duomo
La pittura a tempera si riferisce a tutte le tecniche che utilizzano come
medium al posto dell’olio, sostanze organiche quali colle animali e vegetali
e leganti sintetici come per esempio gli acrilici.
Pur non presentando la stabilità e la profondità di materiale colorato dell'affresco,
ha il vantaggio, contrariamente ai colori ad olio, della stabilità delle tinte che
resteranno sempre uguali a se stesse variando solamente in maniera impercettibile
dal momento della stesura alla piena asciugatura.
 ha avuto largo
impiego in particolare nell’ambito
della decorazione di pareti e più
recentemente per la scenografia
 sistema misto tra
l’encausto e la tempera. Una sorta di encausto
a freddo. Nel Medio Evo fu sperimentata
l’introduzione della cera e delle resine nella
pittura a tempera. E’ certo che produce una
pittura molto resistente anche all’umidità. Per
poter utilizzare questa tempera si doveva
rendere la cera miscibile con l’acqua e per tale
scopo veniva utilizzata la calce in funzione di
alcale. In età moderna si è utilizzata allo stesso
scopo l’ammoniaca.
 La tempera dei quattrocentisti italiani tramandata grazie
al “Libro dell’arte” del pittore e scrittore d’arte Cennino Cennini (1370-1440). In
questo trattato l’autore descrive come gli artisti del tempo preparavano i supporti
sui quali dipingere, come dipingevano, e in particolare come si faceva la tempera
(capitolo LXXII).
Il Cennini spiega che ci sono due maniere di fare la tempera, una migliore
dell’altra. La prima consiste nel battere il tuorlo d’uovo con le mozzature dei rami
di fico. Il liquido che fuoriesce dai giovani ramoscelli tagliati va mescolato al
tuorlo d’uovo in quanto ritarda l’essiccazione dei colori sulla tavolozza, favorendo
la coagulazione e la conservazione dell’uovo, pare inoltre che abbia un’azione
antisettica.
Il secondo metodo indicato dal Cennini per fare la tempera è quello di mescolare
il solo rosso d’uovo con i colori, e questa tempera è per l’autore buona per
dipingere su qualsiasi superficie: muro, tavola o ferro.
Miniatura, tratta dalla Bibbia di Belbello da Pavia,
Collezione privata, Tempera (all'uovo) su tavola 16.5x11 cm.
Con la tempera si può dipingere su tutte le superfici tradizionali della pittura: tele,
tavole e cartoni. Anticamente si dava preferenza alla pittura su tavola, che per la sua
solidità è il supporto più indicato per questa pittura.
La preparazione dei supporti è detta “imprimitura”
In genere consiste nello stendere sul supporto una miscela di idrato di gesso calcinato o
solo gesso con un collante
Nei paesi del nord Europa si utilizzavano
soprattutto il Rovere, un legno duro, e
l'Abete. In Italia a partire dal XII secolo si fece
un largo uso del Pioppo mentre erano meno
utilizzati il Noce, il Salice, il Tiglio e l'Abete.
In Spagna si usavano perlopiù Pioppo,
Quercia, Abete e Noce.
Gli intarsi che decorano spesso questi dipinti
erano ottenuti da alberi da frutto come il
Pero ed il Ciliegio.
Primo periodo → (Medioevo) la raffigurazione delle figure era resa
per sovrapposizioni successive di colore. Una volta segnati i profili
delle figure, l'artista stendeva in maniera uniforme i colori,
determinando in seguito le particolarità, i rilievi e le cavità delle
figure con l'andamento delle pennellate: partendo quindi da una
tinta base il pittore procedeva colore per colore, aggiunte su
aggiunte alla resa del soggetto.
Prima della stesura dei colori sulla tavola l'artista applicava un
fondo in oro e c’erano molteplici tecniche di doratura.
Alle tavole stuccate veniva applicata una lamina sottile, la foglia d’oro. Gli artigiani del
medioevo, non vincolati da leggi a protezione della moneta, si fabbricavano
la foglia d’oro battendo ripetutamente le monete, fino a renderle quasi senza peso.
Gli artigiani specializzati in questo lavoro si chiamavano battiloro e fino al XX secolo
misuravano il peso della foglia d'oro sulla base del ducato, moneta d'oro dell'Italia
medievale: lo spessore era determinato dal numero di foglie (ognuna di circa 8,5 cm2)
ricavate da un unico ducato.
Albume, gomma, miele o succhi vegetali erano usati per far aderire la foglia d’oro alle
pergamene, venivano chiamati mordenti all’acqua, ovvero sostanze solubili in acqua
che “mordenzavano” cioè mordevano (fissavano) l’oro.
Poiché l’umidità stacca i mordenti al’acqua
occorreva fissare con una vernice, in
alternativa si usavano i mordenti all’olio.
La superficie veniva poi lisciata con un oggetto
duro, per riacquistare lo splendore del
metallo.
Madonna con Bambino, Simone Martini, 1310-45, tempera su tavola,
cm. 67,5 x 48,3, Metropolitan Museum, New York. Questo dipinto
propone alcune caratteristiche comuni del periodo: fondo d'oro,
Bambinello drappeggiato di rosso e la Vergine in blu
L´oro deve essere cioè steso prima dei colori sulla
tavola già preparata. Per preparare il supporto a
riceverlo si incide il contorno della parte da dorare,
quindi, secondo la procedura, si stendono su di essa
quattro mani di un composto costituito da acqua,
chiara d´uovo montata a neve e
cosiddetto
(un´argilla untuosa e rossiccia finissima). E´
quest´ultima che riaffiora comunemente in seguito alla
caduta dello strato d´oro, rimanendo in vista in molti
dipinti del XIII, XIV e XV secolo.
Dopo aver fatto asciugare la tavola protetta dalla
polvere con un panno, si procede con la brunitura
(una sorta di lucidatura) del bolo mediante pietre
dure levigate (pietra d´agata) oppure con strumenti
ricavati da denti di animali. Le sottili foglie d´oro
zecchino, ricavate da una lamina battuta con un
martello tra due strati di pelle ad opera dei
, sono poste ad una ad una su un pezzo di
carta e lasciate scivolare con il pennello sul bolo
precedentemente inumidito. A questo punto
sull´oro brunito si possono apporre decorazioni
incise o impresse con dei timbri detti "punzoni",
l´uso e la diffusione dei quali contribuisce non poco
al risultato finale del dipinto.
Esempio di provino di ricostruzione sulla
tecnica della tempera ad uovo su tavola,
tipica del ‘300, con particolari riferimenti
alle fasi della doratura.
1 - Preparazione della tavola
2 - Doratura a “guazzo” con foglia d’oro
3 - Colorazione di rifinitura delle
ombreggiature
4 - Preparazione del fondo con bolo per la
doratura
5 - Preparazione del supporto ligneo (vari
strati: gesso, colla, imprimiture colorate)
6 - Preparazione del disegno a spolvero.
7 - Esempio di stesura tratteggiata tipica
della tempera ad uovo
8 - Colorazione base “incarnato” (ocre,
biacca, cinabro, nero)
9 - Punzonatura sulla doratura
10 - Lumeggiatura
11 - Colorazione di rifinitura a base rosso
cinabro
12 - Colorazioni di preparazione per
decorazione del tessuto
“Santo Stefano”, Giotto, tempera su
tavola, Firenze, Fondazione H. P. Horne.
Oltre alla stesura dell´oro a bolo, la doratura di
alcune parti dei dipinti medievali si ottiene anche
con le tecniche a missione ed a conchiglia,
generalmente riservate a zone più minute. La
prima era ottenuta stendendo con un pennellino
sulle parti da dorare
, cioè una colla
fatta di olio di lino, una resina e, talvolta, un
pigmento essiccante. Quando la colla cominciava a
far presa vi si metteva sopra la foglia d´oro,
premendola con la bambagia affinché aderisse, e
quindi la si spolverava con un pennello morbido
per togliere l´oro in esubero.
era invece ottenuta mescolando la
polvere d´oro con un legante come la gomma
arabica e stendendola a pennello. Nei dipinti
medievali si fa spesso ricorso anche a decorazioni
a pastiglia: si tratta di decorazioni in rilievo fatte
con gesso e colla proteica, oppure gesso e colla di
farina, spesso estese a parti di carpenteria anche
prive di figurazione, come pilastrini laterali di
polittici o aureole di santi stese sulla preparazione
del dipinto.
L'affresco della Deposizione di
Giotto nella cappella degli
Scrovegni, con dettagli in oro
Un dipinto su tavola se visto in sezione si compone
schematicamente di un supporto, di una preparazione, della
stesura pittorica vera e propria e di uno strato di vernice. Tali
strati corrispondono in realtà ad altrettante fasi di
realizzazione dell’opera. La prima di queste è la realizzazione
della tavola e quindi la sagomatura il consolidamento ed il
trattamento del supporto ligneo. Seguono le fasi di
preparazione dello strato pittorico ossia la copertura del
legno con una tela su cui viene poi applicata un
"imprimitura" di gesso su cui tratteggiare il disegno e
stendere i colori. Questi vengono realizzati con minuziosi
trattamenti dei pigmenti (terre minerali e materiali di altra
origine) resi fluidi ed aderenti a mezzo di opportuni leganti
("tempere") e infine stesi con vari tipi di pennelli.
Parallelamente ove necessario si procede all’applicazione
della foglia d’oro nei fondi e nei piccoli dettagli che talvolta
vengono decorati ad incisione o a mezzo di punzoni. Il
dipinto a tempera così terminato viene infine di norma
trattato con varie vernici che hanno la funzione di lucidarlo e
proteggerlo
Scenes from the Life of Saint
John the Baptist (Francesco
Granacci; ca. 1506–1507),
egg tempera, oil, and gold on
wood; 77.6×151.1 cm.
Bottom: Cross Section of
paint layers from Scenes from
the Life of Saint John the
Baptist, 20x objective, DIC
light
Si nota la presenza di quattro strati:
1° strato: base preparatoria bianca
(gesso e colla)
2° strato: colla animale
3° strato: biacca
4° strato: pigmento verde rame
(acetato di rame)
Analisi condotta con il microscopio ottico a
luce riflessa (30x).
Giorgio Vasari, Cristo in casa di Marta e
Maria, olio su tavola,1539-1540
La tavola deve essere di legno ben stagionato;
le specie da privilegiare sono il pioppo (che
viene addirittura chiamato "albero" essendo di
gran lunga il più impiegato in Italia centrale) il
tiglio, il salice.
– Assemblaggio delle tavole a coda di rondine
(1) per evitare le spaccature dovute alla
normale trazione del legno "vivo"
– Impannaggio (2) la superficie viene ricoperta
di una tela intrisa di colla
– Stesura di una miscela di gesso e colla (3)
– Imprimitura (4) manto di gesso fine e colla
– Su questa superficie si riportava il disegno
preparatorio con carboncino o inchiostro
– Sulle zone da dorare venivano stese e fatte
aderire le foglie d’oro (5)
– Successivamente si dipingeva il resto della
scena
Sezione stratigrafica di una
policromia dorata su tavola
Analisi al SEM di una policromia dorata
Secondo periodo → compreso fra il
Trecento ed il primo Quattrocento, in
cui l'uso del colore avveniva per graduato
accostamento, e non per aggiunzione;
Giotto, Cacciata di Gioacchino dal
tempio, Cappella degli Scrovegni,
Padova
Terzo periodo → corrisponde alla
seconda metà del Quattrocento, che
vede le figure e gli oggetti rappresentati
nei dipinti indagati con molta minuzia.
La tempera ebbe il suo periodo di
massimo splendore nel Rinascimento,
anche se la pittura a tempera dei pittori
del „400 non è generalmente ad uovo
puro. Infatti era già in uso un sistema di
pittura, definito ad emulsione, dove
all'uovo venivano aggiunti olii, essenze e
vernici. In questo senso si potrebbe
affermare che non fu Van Eych a introdurre
in senso assoluto la pittura ad olio in Europa.
SPOSALIZIO DI MARIA VERGINE
Maestro di Santa Verdiana
1390 - 1399
La Pala di Annalena è una
tempera su tavola
(108×202 cm) di Beato
Angelico, databile al 1430
circa
L‟impiego della tela come supporto di manufatti artistici è antichissimo,
basti pensare che i primi esemplari di tele raffigurate risalgono al I secolo
d.C. Nel Medioevo fu ampiamente utilizzata nella preparazione delle tavole
per la pittura a tempera e a partire dalla seconda metà del „500 divenne il
supporto principe della pittura ad olio, in quanto la tela come supporto
elastico dotato di una superficie scabrosa si adattava ad un tipo di pittura
rapida e non eccessivamente accurata.
Amico Aspertini. Pietà e
Santi. 1519 ca.,
tempera su tela,
Bologna, San Petronio
Il misantropo, tempera su tela di Pieter Bruegel il Vecchio
Si dice che la pittura a tempera su tela sia nata nel XV secolo nei Paesi Bassi quando si iniziò
a dipingere su tela, un supporto che aveva l'innegabile pregio della maggior trasportabilità, la
relativa economicità e l'ottima resa. Gradualmente la tela si diffuse in tutta Europa e in Italia
si affermò nel XVI secolo.
Tradizionalmente la tela è formata dall'intreccio di fibre di lino, di canapa o juta ma, con l'età
moderna è largamente invalso anche l'uso del cotone e delle fibre sintetiche.
Le diverse trame dei tessuti hanno una notevole influenza sulla resa pittorica: trame fini
come quella del lino consentono finiture più minuziose (come quelle a velatura della pittura
fiorentina del Rinascimento), la canapa o la juta sono invece adatte ad esecuzioni
pittoriche più libere o a opere di grandi dimensioni (come nella pittura di scuola veneta).
Originariamente la tela veniva applicata mediante colle sulle tavole di legno (se di grandi
dimensioni costituite da più tavole opportunamente saldate tra loro con incastri) ed aveva la
funzione di uniformare la superficie nonché di ovviare ai problemi legati alle escursioni cui è
soggetto il legno per il calore o l'umidità.
Solo a partire dal Rinascimento la tela comincia ad essere inchiodata e tesa su telai mobili,
dotati di chiavi per garantirne la tensione, creando il tipo di supporto che ancora oggi è il più
largamente diffuso tra gli artisti. Questo sistema garantisce una tensione costante della tela,
consente di sostituire il telaio nel caso di deformazioni col passare del tempo e facilita il
trasporto delle opere, in quanto la tela può essere agevolmente rimossa dal telaio e
arrotolata riducendone notevolmente l'ingombro.
La tela è un tessuto ottenuto tramite la tessitura o intreccio su un telaio
di filati provenienti da fibre in massima parte vegetali (lino, canapa,
cotone), in alcuni casi animali (lana, seta) ed eccezionalmente minerali
(argento, oro).
In una tela sono caratteristiche la grana ( più o meno pronunciata in
funzione della maggiore o minore sezione del filo ) e la densità ( più o
meno fitta a seconda del numero di fili per cm2 ).
Individuando la fibra impiegata, le caratteristiche dei filati sia nella
trama che nell‟ordito e del tessuto ( tipo di armatura, densità, regolarità,
ecc. ) è possibile ottenere informazioni sull‟epoca e zona di realizzazione
dell‟opera.
E‟ importante conoscere le modalità di preparazione della tela e di
tensionamento sul telaio perché influiscono sulle caratteristiche fisicomeccaniche del supporto, quindi sul suo comportamento nel tempo e di
conseguenza sullo stato di conservazione del dipinto.
I due sistemi di fili costituenti il tessuto sono l’ordito e la trama; l’ordito è costituito da
un filo longitudinale parallelo attraverso cui si introduce ad angolo retto il filo lungo e
continuo della trama, procedendo da sinistra verso destra. Il modo con il quale sono
intrecciati i due sistemi di fili si dice armatura, questa può essere:
: è la più semplice e la più
usata da sempre in cui ciascun filo
di trama passa alternativamente
sopra e sotto i successivi fili di
ordito;
: la trama passa
sopra due o più fili di ordito e uno
sotto;
: deriva dalla
diagonale e presenta un
caratteristico disegno a zig-zag.
Da questa è stata
La classificazione dell’intreccio avviene
attraverso l’utilizzo dello stereomicroscopio
che permette di identificare la categoria di
appartenenza dei vari tessuti in base alla loro
armatura (intreccio tra ordito e trama).
L’analisi della fibra viene effettuata tramite il
microscopio ottico, con l’utilizzo di coloranti e
reattivi chimici specifici, identificandone le
caratteristiche morfologiche.
Fibre di lino. Osservate al
microscopio ottico appaiono
cilindriche, uniformi e con striature
che si estendono trasversalmente,
sovente in forma di X, e che sono
una peculiarità delle fibre di lino.
Fibre di canapa.
Fibre di cotone. Si presentano
appiattite, a nastro e con
convoluzioni nel senso della
lunghezza
La fibra più comune nelle prime tele è quella
di lino e la più pregiata è la tela rensa, cioè
un sottile tessuto di lino, prodotto a Reims,
sottoposto a processi di imbianchimento per
eliminare il colore naturale della fibra.
E’ nella Venezia della seconda metà del ‘400
che la diffusione del supporto in tela
diventa assoluta e rapidissima, favorita
soprattutto dalla fiorente produzione tessile.
Il grande sviluppo della pittura su tela a
Venezia è motivato dalla constatazione
dell’inadeguatezza del clima lagunare, umido e
salmastro, per la conservazione di
affreschi. Al contrario le tele montate su un
telaio costituivano una superficie separata
dalla parete e quindi meno soggette ai danni
indotti dall’assorbimento dell’umidità per
risalita capillare delle murature.
LA TEMPESTA (1504 circa)
Giorgione (1477-1510) - Galleria
dell’Accademia - Venezia - XVI secolo Tela cm.
82 x 73
Il lino rimase la fibra più comune anche nei supporti tessili della Venezia del
‟400-500 per le buone proprietà meccaniche (deboli variazioni di lunghezza ed i
graduali movimenti delle sue fibre in relazione alle variazioni
termoigrometriche ) basti pensare alle condizioni ambientali della laguna.
A differenza della tela rensa, il lino era lasciato allo stato grezzo per
consentire una migliore adesione degli strati sovrastanti e per conservarne la
robustezza altrimenti indebolita dalle operazioni di sbiancamento; occasionale
fu la produzione di supporti di canapa mista a cotone.
Ciò che varia nel tempo nei supporti di lino è la struttura e tessitura. Infatti i
primi supporti erano tessuti in maniera serrata, ordinata e regolare, con un
filato leggero e sottile. La semplicità dell‟intreccio e la sottigliezza di queste
tele rispondevano alle esigenze di una tecnica pittorica caratterizzata da una
stesura dettagliata del colore e da uno strato pittorico sottile. Verso la metà
del ‟500 le innovazioni tecniche e nuove forme espressive da parte dei pittori
portarono all‟uso delle nuove
, che
avendo una superficie più robusta e scabrosa ma anche elastica meglio si
prestavano ad un tipo di pittura a pennellate dense ed irregolari.
Il diffondersi della pittura su tela aprì il campo a
nuove sperimentazioni riguardanti la
scelta dei possibili tessuti utilizzabili come supporti
pittorici, vennero così usati damascati di seta,
tovagliati a losanghe o a righe e tele d’argento.
Nel ‘600 l’esigenza di avere una superficie scabra e più
adatta ad una pittura veloce e corposa, ma soprattutto
la necessità di far fronte ad una maggiore richiesta di
tele quali supporto pittorico determinò la realizzazione
di tele più economiche e meno accurate nella
lavorazione caratterizzate da una grana grossa e da
una trama larga; il principale centro di produzione fu
Napoli.
Il lino venne sostituito dalla canapa e questa rimase la
fibra più usata nel tempo in quanto, il cotone era troppo
sensibile all’umidità, la lana fortemente igroscopica e la
seta troppo fragile polverizzava a contatto con gli oli
siccativi.
Nella seconda metà del ‘700 ricompaiono tele di qualità
più fine, con tessitura più fitta e realizzate in lino e
canapa.
 Armatura: definisce il tipo di intreccio tra i
fili della trama e dell’ordito;
 Peso o grammatura: indica la pesantezza del
tessuto e viene riferito al m2;
 Riduzione: indica la fittezza del tessuto ed è
data dal numero di fili al cm nei sensi della
trama e dell’ordito;
 Densità: rappresenta la fittezza globale del
tessuto ed è data dal prodotto del numero di
fili/cm nelle due direzioni;
 Titolo filato: indica le dimensioni del filato
ed è dato dal suo rapporto lunghezza/peso;
 Torsione: è l’indice di coesione fra le fibre
che costituiscono il filato ed è responsabile
della sua resistenza a trazione. La torsione può
essere singola (se ad un solo capo) o ritorta (se
a più capi) e si riferisce al m;
 Carico di rottura: è il carico massimo a cui si rompe una striscia di tela sottoposta a
trazione;
 Tenacità: è il rapporto tra il carico di rottura ed il peso della tela (g/den) e consente il
confronto delle caratteristiche di tele con peso diverso;
 Allungamento a rottura: indice della rigidità della tela viene utilizzato per valutare
l’efficienza dei trattamenti di tensionamento ed incollaggio. Espresso in % è dato dal
rapporto tra l’allungamento subito dalla tela al momento della rottura e la sua
lunghezza iniziale;
 Modulo di elasticità o di Young: indica la deformabilità elastica della tela sottoposta a
sollecitazioni minori del punto di snervamento. E’ definito dalla pendenza della curva
sforzo/deformazione nella parte lineare e consente il confronto di tele differenti per
struttura, materiali o tensionamento;
 Curva carico/allungamento o diagramma sforzo/deformazione: descrive graficamente
il comportamento della tela durante la prova a trazione e consente di dedurre tutti i
parametri meccanici sopra indicati.
Da queste caratteristiche dipende il comportamento del supporto quando è
sottoposto a sollecitazioni di trazione dovute all’uso.
Sono per la maggior parte macromolecole organiche che tendono a legarsi fra loro con legami
trasversali, generalmente deboli legami intermolecolari come i legami di Van der Waals, i legami
dipolari ed a ponte idrogeno. Questo allineamento porta ad un ordinamento tridimensionale delle
catene polimeriche con formazione di cristalliti.
Il sistema polimerico di una fibra tessile
prevede:
- peso molecolare elevato,
- linearità delle macromolecole,
- orientamento delle macromolecole,
- punto di fusione alto,
- presenza di zone cristalline e zone
amorfe.
Per esempio nella cellulosa le catene sono disposte
parallelamente le une alle altre e si legano fra loro per mezzo di
legami ad idrogeno molto forti, formando fibrille, catene molto
lunghe, difficili da dissolvere.
La diffrazione a raggi X ( XRD) di questi polimeri ha evidenziato elementi di simmetria
relativi ad un certo grado di cristallinità, con zone cristalline inglobate in zone amorfe.
La distinzione tradizionale:
fibre naturali (animali, vegetali e minerali)
artificiali (da polimeri di origine biologica)
sintetiche (da polimeri di sintesi).
Oggi si preferisce parlare di fibre naturali e di fibre chimiche o manmade.
Fibre Naturali
Sostanze filabili esistenti in
natura
Animali
Da secrezione coagulata
di lepidotteri
baco da seta:
SETA
Dal vello della pecora:
LANA
Vegetali
Da produzione
epidermica dei
mammiferi
Minerali
Da seme:
COTONE
Da fusto: LINO,
CANAPA, JUTA,
RAMIE’, IBISCO
Dal vello di altri
mammiferi:
ANGORA
(coniglio),
MOHAIR (capra
d‘angora),
CASHMERE
(capra del Tibet),
CAMMELLO,
VIGOGNA,
LAMA, ALPACA
Amianto
Da foglie: SISAL,
ABACA, ALFA
Da frutto:
COCCO, KAPOK
Il lino è una fibra proveniente dal fusto della pianta
Linum usitatissimum di natura
cellulosica multicellulare dall’aspetto cilindrico. E’
costituita per il 60% di cellulosa, 15%
di emicellulose, 4% di sostanze pectiche, 3% di
lignina, 10% di acqua, 2% di cere e
grassi, 6% di altre sostanze solubili in acqua. Il
sistema polimerico è più cristallino del
cotone e dopo la lavorazione è composto al 78-80%
da cellulosa.
Il cosiddetto “Parnaso” Andrea
Mantegna (tempera su tela, 150
x 192 cm., 1497)
Girolamo di Giovanni (su cartone di
Giovanni Angelo d'Antonio?),
Madonna della misericordia, 1463,
tempera su tela, 206 x 125 cm,
Camerino, Pinacoteca e Museo Civici
La cellulosa è simile all’amido - entrambi sono
polimeri di unità di glucosio. Tuttavia, le
molecole di amido possono avere catene
ramificate, mentre la cellulosa è un polimero di
unità di glucosio.
Al fine di formare una fibra, un polimero deve essere in grado di formare
lunghe catene ordinate e le catene devono essere in grado di allinearsi in
questo modo:
Se le catene non si possono
allineare, non possono formare
una fibra. Quando le molecole
della fibra sono molto ordinate si
dice che la sostanza è cristallina.
Il grado di polimerizzazione della
cellulosa nelle pareti cellulari
primarie è ~2,000-6,000 unità di
glucosio, mentre è di ~10,000
residui in quelle secondarie. In
generale I polimeri di cellulosa
sono impaccati parallelamente tra
loro in strutture dette
microfibrille composte da ~36
catene polimeriche di cellulosa.
Nelle pareti secondarie le
microfibrille si associano tra loro
ultriormente formando
macrofibrille.
A triple strand of cellulose showing the
(cyan lines) between glucose
strands
Lungo la fibra di cellulosa ci sono
diversi gruppi OH. Questi gruppi
hanno due funzioni importanti
nella fibra polimerica: si legano
debolmente tra loro, mantenendo
legate insieme le molecole di
polimero, e trattengono le
molecole d'acqua.
Le fibre di cotone e di lino contengono una quantità piuttosto
grande di acqua. L'acqua agisce un po‘ come plastificante –
lubrifica le catene polimeriche in modo che possano muoversi
l’una accanto all'altra più facilmente, mantenendo la struttura
flessibile.
Se una parte dell'acqua si perde,si formano più legami tra le
catene del polimero rendendo la struttura più simile a una rete.
Photomicrograph of linen fibers.
Proprietà fisiche: è una fibra igroscopica, più
del cotone ma meno di lana e seta (12% di
contenuto di acqua a 21°C e 65% di umidità
relativa ).
Resiste bene al calore, cambia colore a 280°C e
comincia a decomporsi a 310°C; ha
un’ottima conducibilità termica e come il
cotone è una fibra antistatica, cioè non
trattiene le cariche elettriche accumulatesi
sulla superficie.
E’ una fibra non elastica e molto rigida; è
insensibile all’invecchiamento e molto
resistente anche grazie ad una tenacità che
varia tra i 5 e i 6.1 g/den ed aumenta del
40% se la fibra viene bagnata; questa proprietà
è dovuta alla struttura della fibra di lino
che è un polimero cristallino lungo e con un
numero elevato di legami idrogeno tra
polimeri adiacenti.
Comportamento chimico: a
differenza del cotone, il lino è più
resistente all’azione degli
acidi mentre è più sensibile verso
gli alcali ed agenti ossidanti ; si
scioglie con difficoltà
nel reattivo di Schwaitzer.
Il lino grezzo, diversamente da
quello trattato, non dà luogo a
colorazioni ma tende ad
ingiallire con il tempo.
Il reattivo di Schweitzer è formato da
solfato di rame CuSO4 al 10% e NaOH al
10% con ammoniaca concentrata (
NH3). Quando si immerge nel reattivo
la lana non si scioglie e si colora, la
seta e le fibre vegetali invece si
sciolgono rapidamente.
Tutti i materiali organici si deteriorano. Ciò vale anche per i supporti tessili che durante
il processo di invecchiamento perdono robustezza ed elasticità.
I danni sono principalmente dovuti ad alcune caratteristiche negative della cellulosa:
1) si ossida a contatto con l'aria, assorbe energia luminosa che innesca reazioni
fotochimiche frammentando le fibre,
2) viene aggredita dagli acidi presenti nell'atmosfera,
3) può essere terreno di coltura per microrganismi,
4) reagisce in maniera sensibile alle sollecitazioni meccaniche,
5) è fortemente igroscopica.
In particolare quest'ultima proprietà è il fattore più evidente delle deformazioni di un
supporto tessile. Infatti le fibre assorbono umidità dall'aria, così si gonfiano, si
inspessiscono e si accorciano. Ciò causa l'ingenerarsi di tensioni spesso molto forti che,
unendosi a tutti gli altri fattori, può rompere i fili intrecciati. Invece quando il tessuto
cede umidità si dilata rilassandosi modificando la planarità della tela (la cosiddetta
deformazione sotto carico – l’effetto CREEP che si ha a causa della forza di gravità
esercitata dai materiali sulla tela, evidenziando l’impronta dei lati interni del telaio sulla
superficie dipinta e crettature in particolare in alto ed al centro)
e producendo una perdita di tensione che può manifestarsi con il distacco degli strati
pittorici.
Come operazioni di prevenzione si dovranno adottare precauzioni soprattutto riguardo
le condizioni climatiche. Quelle ottimali ottimali sono per una tela 18°c con un umidità
relativa del 45-65%.
Prima di essere dipinta la tela necessita di due operazioni:
l'
, con cui viene stabilizzata la trama della tela ed eliminati eventuali
peli presenti sulla superficie utilizzando una miscela di colla e gesso
l'
che costituisce il primo fondo di materia atto a ricevere la pittura,
generalmente uno strato ad olio di colore omogeneo, nei primi tempi era
costituito da biacca e olio di lino al fine di impermeabilizzare la preparazione a
gesso e colla sottostante. In alternati casi potevano applicare più mani di
colla animale (collatura)
Le tele fatte con questo materiale erano
utilizzate nel medioevo per fare
l’incamottatura delle tavole, cioè creare uno
strato di tela tra la tavola e la preparazione a
gesso e colla (ammannitura) per formare uno
strato correttivo dei difetti del legno come i
nodi e le giunture, ed inoltre per formare un
ulteriore strato elastico capace di
ammortizzare i movimenti del legno
proteggendo così il film pittorico. Tale pratica
già nel trecento risultò andare in disuso
passando a pratiche più economiche quali
l’“impannatura” e poi all’uso di stoppa.
Si dice che alla fine del
Cinquecento si sia diffusa in
Italia una nuova tecnica
pittorica, attribuita
generalmente ad artisti
fiamminghi. Questa tecnica è
detta ad olio perché il mezzo
legante è costituito da oli
siccativi, come l'olio di lino, di
noce e di papavero.
Tuttavia le origini della pittura a olio
affondano le radici nell'antichità; ne
davano notizia già Galeno, Vitruvio e
Plinio il Vecchio. Teofilo monaco la
riporta nel “De diversis artibus”, un
celebre ricettario della prima metà del
XII secolo e, alla fine del Trecento, la
cita Cennino Cennini nel Libro dell'Arte.
Non è pertanto da prendere alla lettera
la leggenda, riportata anche dal Vasari
nelle sue Vite, secondo cui Jan Van Eyck
fu l'inventore dei colori ad olio; è certo,
invece, che i pittori fiamminghi del XV
secolo perfezionarono questa «nuova e
prodigiosa maniera di colorire», ovviando
ad alcuni inconvenienti
Si dice che il primo veneziano a far uso della
pittura ad olio fu Antonello da Messina
(1430-79), che portò la conoscenza della
tecnica direttamente dalle Fiandre, dove aveva
conosciuto i fratelli Van Eyck. La preparazione
da lui usata consisteva nello stendere una
prima patina sulla tavola preparata a gesso
duro, poi su una mano di olio cotto stendeva i
colori, e usava ancora dell’olio per ottenere
una leggera fusione; lasciava seccare e
compieva in forma definitiva, usando per
diluente l’essenza di trementina.
L’Annunciata di
Antonello da
Messina
Ecce Homo di
Antonello da
Messina
Gli oli siccativi sono dei grassi
vegetali in cui i pigmenti si
stemperano facilmente
dando per essiccamento all’aria un
film sottile elastico resistente
all’acqua. La pittura può così essere
stesa a pennello su una
preparazione secca su muro, su
tavola, su tela, su stucco, ecc.
L'olio è un ottimo legante, fluido e resistente;
la possibilità di creare finissime velature,
trasparenti e lente ad asciugare, permetteva di
creare effetti di luce e di consistenza
impossibili con le altre tecniche pittoriche.
Consentiva inoltre di ampliare la gamma
cromatica, ammorbidire le sfumature e
potenziare il modellato. I colori impastati con
l'olio, una volta asciutti, garantivano una lunga
durata, soprattutto rispetto alla tempera, e
mantenevano pressoché inalterati i valori
cromatici. Grazie a queste caratteristiche, la
pittura ad olio si diffuse velocemente, favorita
anche dai commerci dei mercanti che ne
apprezzarono i vantaggi pratici e la diffusero in
tutta Europa; infatti, le tele arrotolate erano
molto più facili da trasportare delle rigide
tavole di legno.
Antonello da Messina,
Ritratto virile, National
Gallery, Londra
L’olio deve essere raffinato con cura perché
asciughi in modo soddisfacente , a volte
vengono usati agenti essiccanti come sali
di metalli, in ogni caso l’asciugatura è più
lenta di quella della tempera d’uovo:
richiede ore o giorni invece di minuti. Il
processo di essiccamento consiste in un
meccanismo di polimerizzazione con
formazione di una rete tridimensionale.
Questi oli erano usati già dai
romani, la trasparenza della
pittura ad olio era usata per
ricoprire di un sottile strato
di rosso (velatura) l’oro per
farlo sembrare più brillante.
Allora quale fu la “grande scoperta” di Van
Eyck ?
In pratica si rese conto che il procedimento
di velatura poteva avere un enorme valore
per l‟artista, si potevano ottenere colori
profondi, ricchi e stabili, mai eguagliati dalla
sola tempera all‟uovo. Egli stese i colori ad
olio su un fondo a tempera abbinando la
l’asciugatura rapida di quest’ultima alla
possibilità di mescolanze offerte dagli oli.
Il processo di polimerizzazione è determinato dalla reazione dell’ossigeno atmosferico con
le catene di acidi grassi presenti negli oli formando specie radicaliche molto reattive (RO• e
ROO•) con una serie di reazioni a catena:
Nell’olio ogni particella di pigmento è isolata da uno strato di fluido, per cui
pigmenti che nella tempera possono reagire tra di loro,
sono combinati stabilmente nell’olio. Il fatto che asciughi lentamente permette
di sfumare i toni e i contorni, cosa che si addice particolarmente alla
rappresentazione delle tonalità della pelle. L’indice di rifrazione dell’olio è
diverso da quello del tuorlo d’uovo: i pigmenti non mantengono
necessariamente lo stesso colore.
Moretto, San Francesco di Paola
(1550 circa, collezione privata,
Brescia), dipinto a olio su rame
La pittura a olio può essere eseguita su supporti vari:
sin dal Trecento, come riferisce il Cennini, si usano
tavole di legno, fino alla comparsa, nel secolo
successivo, delle tele. La tela, come è noto, aveva il
pregio della leggerezza e della relativa semplicità di
preparazione, affermandosi nel corso del XVI secolo
come supporto privilegiato per la pittura.
Altri supporti, più rari, sono il cuoio, diffuso nella
Venezia del XVI secolo, il rame, o la carta, di solito
adeguatamente preparati per permettere ai colori di
fissarsi saldamente alla superficie; oggi si trovano in
commercio cartoni telati o carte speciali, a grana
grossa e con scarsa permeabilità.
Infine, sono usati anche altri materiali, soprattutto
per fini decorativi: metalli (oro, argento, platino),
dipinti in modo tale da non coprire del tutto lo
sfondo, per sfruttarne la brillantezza in giochi di
trasparenza o alternanza luminosa; pietra (marmi,
ardesia etc.); seta; vetro; legni, preziosi per l'effetto
decorativo delle loro venature.
Solitamente, si preferisce dipingere su uno strato di imprimitura che renda
uniforme il supporto e che limiti l'assorbimento dell'olio, per lavorare con
facilità il colore. L'imprimitura più usata, fin dai secoli passati, è il gesso,
mescolato con colla, di caseina o di coniglio, e una piccola parte di olio di
lino cotto: la miscela deve essere densa per formare spessore, ma allo
stesso tempo abbastanza fluida da poter essere stesa. Questa imprimitura
può essere utilizzata sia sulle tele che sulle tavole. Spesso, soprattutto in
epoca antica, l'imprimitura era distribuita su più strati, applicati in maniera
ortogonale tra l'uno e l'altro (ad esempio uno dall'alto al basso e uno da
destra a sinistra, ecc.)[1]. Talvolta, su questa preparazione bianca o chiara
si stendeva un ultimo strato colorato, o un velo d'olio[1]. Questo
accorgimento facilitava la realizzazione successiva di un disegno
preparatore a chiaroscuro, in cui alla tonalità media di base occorreva
aggiungere i chiari e gli scuri che creavano effetti di plasticità e volume, o
particolari effetti di luce.
La carta o il cartone possono essere preparati con una stesura di olio di
lino cotto, colla, vernice, oppure con i residui di colori a olio presenti sulla
tavolozza, ben impastati. Oggi si trovano in commercio imprimiture
acriliche, chiamate impropriamente "gesso", poiché sono composte da
medium acrilico e bianco di titanio.
Anonimo
Le storie di Giona, VI secolo
Basilica di Aquileia
Il mosaico è una decorazione parietale o
pavimentale ottenuta accostando e
variamente componendo cubetti, o
frammenti colorati di pietra, vetro e simili.
I primi mosaici dai requisiti formali degni
di un'opera d'arte risalgono all'antica
cultura egea, che impiegava questa
tecnica
essenzialmente
per
le
pavimentazioni: tradizione questa, che si
protrasse sino all'epoca romana. Nel
periodo bizantino il mosaico raggiunse,
utilizzando al massimo le possibilità
cromatiche delle tessere in vetro fuso,
quella raffinatezza tecnica e formale che
magistralmente
interpretò
lo
stile
dell'epoca.
I colori, quasi sempre di tonalità calde (rossi, ocra bruni, oltre a nero) erano pigmenti ricavati da minerali e
vegetali presenti nell'ambiente: ossidi di ferro e manganese per la gamma dall'ocra scuro al giallo. Il nero si
otteneva con il carbone e fuliggine, il bianco con terre argillose.
I pigmenti si ottenevano da tali sostanze minerali e vegetali, e dopo essere state macinate e ridotte in polvere
(mediante lo sfregamento di pietre levigate) venivano conservati in conchiglie o ossa cave.
Potevano essere usati a secco, fregati direttamente sulle rocce, similmente agli odierni disegni a carboncino o
gessetto, o liquidi, mescolati con acqua, applicati con le dita o con pennelli fatti con piume, fibre vegetali,
bastoncini appuntiti (pittura vera e propria).
Altre tecniche già usate erano quella della tamponatura, dello spruzzo mediante cannucce, e dello stampo (una
specie di timbratura).
A queste si aggiunge la tecnica dell'incisione, un procedimento a metà tra il disegno e la scultura, che consisteva
nell'incidere in profondità le pareti rocciose mediante pietre scheggiate e appositamente appuntite.
I contorni delle figure potevano essere incisi o colorati e sono presenti anche vari esempi di tecniche miste.
La conservazione di questi dipinti antichissimi è dovuta all'umidità delle rocce: l'evaporazione permette la
cristallizzazione dei carbonati in un naturale processo di fissaggio dei colori.
I colori utilizzati erano pigmenti naturali : minerali terrosi come le ocre
per i colori dal giallo chiaro ( limonite ) al rosso chiaro ( ocra rossa ,
ematite )al bruno scuro ( ocra rossa mescolata al biossido di
manganese ) , il nero venita fatto con carbone di legna o il biossido di
manganese. Il blu e il verde non sono documentati nell' arte paleolitica
, il giallo e il bruno sono più rari rispetto al nero e al rosso. Ai colori si
univa un legante : acqua , grasso animale , uova. Il colore veniva steso
con un pennello ( il suo uso ha lasciato tracce ben visibili ) , con le dita
( su alcuni dipinti si notano le impronte digitali ) e con la tecnica dello
"spruzzo" : l' ocra rossa o gialla veniva masticata e poi soffiata o
sputata sulla parete , in modo da ottenere un riempimento della figura
a tinta piena , oppure poteva essere eseguita riempiendo un tubicino
di osso riempito di colore.
Nello strato pittorico sono i materiali che contribuiscono maggiormente
al “colore”
Il potere coprente o opacità di un pigmento dipende da diversi fattori:
-Granulazione del pigmento (minore la dimensione delle particelle del
pigmento, maggiore è il fenomeno di diffusione della luce → opacità)
- Indice di rifrazione del pigmento rispetto all‟indice di rifrazione del
medium
- Tonalità del colore del pigmento
- Concentrazione del pigmento nel medium
: prevale l’indice di rifrazione nel determinare
il potere coprente
: prevale l’assorbimento selettivo
: tutti i fenomeni avvengono
contemporaneamente