Progetto Benessere Terza Età

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Progetto Benessere Terza Età
Marzo 2013
n.44
Primavera
Progetto Benessere Terza Età
Feste religiose importanti
Domenica 24 Marzo 2013 - Le Palme
Domenica 31 Marzo 2013 - Pasqua di Risurrezione
Mercoledì 1 Maggio 2013 - San Giuseppe Artigiano
Domenica 12 Maggio 2013 - Ascensione di Gesù
Domenica 19 Maggio 2013 - Pentecoste
Domenica 2 Giugno 2013 - Corpus Domini
Diamo il
a…………. Silvio Dao
Aria di primavera!
E’ tornata la primavera! Dopo il periodo invernale che non ci permette tanto di uscire
fuori, con l’arrivo della primavera sentiamo il desiderio di assaporare e respirare
all’aria aperta. E allora dopo le tante attività che vengono proposte all’interno di Casa
Don Dalmasso nel periodo invernale, ci prepariamo alle “uscite” fuori porta per il periodo primaverile ed estivo; pellegrinaggi, gite, eventi ed incontri con altre strutture
etc. E’ nostra intenzione, con l’aiuto di alcuni volontari, di proporre anche attività di
giardinaggio… che verranno in seguito comunicate.
E allora…tutti pronti a partire e a….ringiovanire!!!
Silvio Invernelli
Quando ci sentiamo affranti e deboli, tutto ciò
che dobbiamo fare è aspettare.
La primavera torna, le nevi dell’inverno si sciolgono e la loro acqua ci infonde nuova energia.
(Paulo Coelho, Aleph)
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13 marzo 2013 - Habemus Papam
Auguri “FRANCESCO”.
Con le dimissioni di Benedetto XVI, dopo appena 5 sedute di Conclave, i Cardinali hanno eletto il
nuovo Papa, Jorge Mario Bergoglio, argentino di 76 anni che prende il nome di FRANCESCO.
Dopo la fumata bianca di mercoledì sera sia in piazza San Pietro a Roma che in tutta la gente incollata sugli schermi televisivi, ci si interrogava se il nuovo Papa potesse essere o no un italiano. Nel pomeriggio sul comignolo della Cappella Sistina più volte si è posato un gabbiano, quasi fosse in attesa
dell’Habemus Papam, forse per indicare il presagio di un nome di significato importante e chiaro,
FRANCESCO; e sappiamo quanto San Francesco amava gli animali!
La gioia è esplosa, e non solo in Piazza San Pietro, quando si è capito che il nuovo Pontefice era il
Cardinale argentino Bergoglio, Arcivescovo di Buenos Aires, primo Papa che arriva dall’America Latina e la sua scelta di assumere il nome che richiama ai valori di San Francesco.
Il primo approccio del nuovo Papa ha rincuorato gli animi: le sue parole, semplici e sincere, ci hanno
dato subito l’impressione di “un Papa alla mano”, vicino alla gente comune, in particolare ai più poveri.
Questo vuol dire che la chiesa ha deciso di rifondarsi, di scegliere di stare dalla parte degli umili, dei
più poveri. Quel Papa “preso alla fine del mondo” con poche parole ha già dato un forte segnale ai
fedeli, che ne hanno subito recepito il messaggio, facendoli subito sentire protagonisti, chiedendo
loro di pregare per lui prima di impartire la benedizione.
Un Papa quindi molto alla mano, vicino agli altri, semplice (anche da Cardinale cammina per le strade, tra la gente, prende la metropolitana…), che in Argentina ha contribuito concretamente a portare
la pace con il governo.
Siamo uniti a te caro “Francesco” e preghiamo affinché tu possa essere “il Papa della pace” ripartendo da una chiesa non teorica, ma basata sulla tua esperienza pastorale.
Silvio Invernelli
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Il Signore è risorto! È veramente risorto! Alleluia.
Pasqua del Signore:
con Cristo risorgiamo a una «Vita nuova»
L’annuncio pasquale risuona oggi nella Chiesa: Cristo è risorto, egli vive al di là della morte, è il Signore dei vivi e
dei morti.
Fu questa la realtà testimoniata
dagli apostoli; ma l’annuncio
che Cristo è vivo deve risuonare continuamente. La Chiesa,
nata dalla Pasqua di Cristo, custodisce questo annuncio e lo
trasmette in vari modi ad ogni
generazione.
Scegliere Cristo significa operare per la vita.
Se «crediamo» in Cristo risorto, signore della vita, vincitore
dei male, dell’ingiustizia, della
morte, dobbiamo operare nel senso della sua risurrezione;
Ogni volta che il male è vinto e guarito, ogni volta che un
gesto di amicizia rivela ad un fratello l’amore del Padre, ogni volta
che si compie un sacrificio per l’
«altro», ogni volta che riusciamo a
vivere, o aiutiamo gli altri a vivere
una gioia più piena e più vera, realizziamo la Pasqua.
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Anche oggi ci è chiesto l’impegno di
uscire ed annunciare la gioia di Cristo Risorto:
usciamo in campo aperto e prendiamo la strada del Vangelo... Seminiamo la gioia gridando silenziosamente
con il nostro comportamento che Cristo ci rende felici. Gridiamo con la vita che Cristo è vivo, e
che la Chiesa è il luogo e lo spazio ove si attesta che Lui è il
Signore Risorto... Questo è il modo più autentico di cantare
“l’Alleluia pasquale”.
Agli Ospiti, agli Operatori, ai Volontari, ai Parenti
e a tutti gli Amici e Benefattori di
Casa Don Dalmasso auguro
Silvio Invernelli
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Ricordiamo con gioia le persone che hanno condiviso un pezzo di
strada con noi e, in questo periodo, ci hanno lasciati per percorrere
una nuova VITA nel SIGNORE .
Streri Maddalena
Genesio Maddalena + 15 marzo 2013
+ 1 gennaio 2013
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Argomenti trattati a “Palestra di Vita”:
1 - Sant’Antonio Abate, protettore degli animali; e non solo...
C’è un proverbio che dice: “L’Epifania tutte la feste porta
via; Sant’Antonio le riavvia”.
Si tratta di San Antonio Abate, la cui festa ricorre il 17 di
Gennaio e da inizio al Carnevale.
San Antonio Abate è però soprattutto il protettore degli
animali. Viene sempre raffigurato con molti animali domestici attorno, tra i quali un bel porcellino.
Il suino è stato l’animale che in un certo modo ha traghettato l'Europa cristiana dal medioevo all’epoca contemporanea. La sua carne, fresca, salata, affumicata,
essiccata, insaccata, ha permesso la sopravvivenza dell’uomo, in un’epoca in cui
non c’era il frigo o il congelatore. Carne squisita, calorica e sempre disponibile, in
ogni stagione.
E tutta necessaria: “Del maiale non si butta via niente”… nemmeno la sugna, il
grasso più scadente, con la quale, oltre all'uso culinario, si ungevano le ruote dei
carri e ogni ingranaggio cigolante o forzoso.
A questo riguardo forse molti non sanno che per fare la porchetta si prendeva
proprio un “santantonio”, e cioè un maiale con qualche difetto, ma la cottura nel
forno a legna e la farcitura di aglio e spezie facevano della porchetta il modo più
appetitoso di gustare la carne suina.
Accanto a S. Antonio arde sempre un fuoco: "il fuoco di S. Antonio". La dolorosissima e pericolosa infiammazione virale era ed è comunemente così chiamata
perché per la guarigione si invocava Sant’Antonio Abate, che aveva sopportato
nel suo corpo piaghe dolorosissime scatenate da satana; un fuoco infernale, proprio come l'herpes zoster.
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2 - Proverbi e modi di dire
Esiste, riferita a Sant'Antonio, una sorta di giaculatoria scaramantica, abbastanza diffusa a livello popolare, nella quale si invoca il Santo per ritrovare
qualcosa che si è smarrito. Questo modo di dire si
trova nei luoghi dove c'è tradizionalmente maggiore devozione al Santo, e si declina in modi differenti secondo i dialetti e secondo le tradizioni.
Uno dei modi più strutturati si trova nel Comune
di Teora, in Irpinia e dice: "Sant'Antonio Abate, con
le calze rappezzate, con i pantaloni di velluto, fammi ritrovare ciò che ho perduto". In questa cittadina si tiene annualmente il "falò di Sant'Antonio" presso la
chiesa di San Vito ove alloggia la statua del Santo.
A Varese, in Lombardia, la festività di sant'Antonio Abate - qui detto sant'Antonio del porcello - è molto sentita; qui il detto si declina in
"sant'Antonio dalla barba bianca fammi trovare
quello che mi manca, sant'Antonio del porcello
fammi trovare proprio quello".
I n Piemonte è invece diffusa l'espressione
"sant’ Antòni pien ëd virtù feme trové lòn ch'i
l'hai perdu" ossia "sant'Antonio pieno di virtù
fammi trovare quel che ho perso", oppure si
dice: "sant'Antoni fame marié che a son stufia
d'tribilé" "Sant'Antonio fammi sposare che sono stufa di tribolare", invocazione che le donne
in cerca di marito fanno a sant'Antonio per
potersi presto sposare.
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Lo spazzacamino….ma chi se lo ricorda ancora?
Forse quelli della mia generazione, ma chi sa…..!
A cura di Margherita Giordanengo
Il mestiere di pulire i camini, nasce dalla povertà e dalla disperazione delle famiglie. Nelle nostre città ai piedi delle alpi, si vedevano gruppi di bambini che gestiti
da un adulto bussavano alle porte al grido di
“SPAZZACAMINOOOO SPACIAFURNEEEL” per offrire i loro servizi, un pò come gli
arrotini gli ombrellai ecc.
Questi bambini venivano in gran parte dalle
montagne, era la povertà di quei luoghi, la
disperazione di non avere da mangiare per
tutti a spingere le famiglie ad affidare il proprio figlio ad un padrone perchè lo portasse
in città, lontano, perchè si "facesse" il carattere e imparasse un "mestiere”, che mestiere
non era, o meglio, lo era per il padrone che sfruttava i bambini, i quali, crescendo
e non passando più nelle canne fumarie, venivano lasciati a casa, tranne i pochi
che rimanevano anno dopo anno ed aiutavano il padrone a procacciare il lavoro
per le case e a tenere sottomessi i più piccoli.
La pulitura veniva fatta per lo più a mano, arrampicandosi all'interno delle canne
fumarie e grattando con un ferro ricurvo la fuliggine, il bambino giunto in cima doveva gridare “spazzacamino” o sventolare il braccio fuori dal comignolo a riprova
che la pulitura era stata eseguita in tutta la lunghezza della canna.
La Val Vigezzo, in Piemonte, è chiamata la valle degli spazzacamini per il gran
numero di ragazzi che, soprattutto tra il Seicento e il Settecento, emigrarono in
nord Europa. A me piace ricordarli con tenerezza con lo stornello “Su e giù per le
contrade di qua e di là si sente la voce allegramente dello spazzacamin”
Adesso, quei piccoli ometti non servono più, ora ci sono i termosifoni molto più
comodi, ma meno belli che vedere un camino acceso.
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Lo spazzacamino
Filastrocca di Gianni Rodari
Quando è bianco lo spazzacamino?
Un poco alla festa, un poco al mattino.
Tutto il giorno se ne va
per paesi e per città,
in casa dei ricchi e dei poveretti,
su per le cappe e per i tetti
con le mani e con i ginocchi:
di bianco gli resta il bianco degli occhi.
Pesce d'Aprile:
una tradizione fatta di
scherzi e burle
Pesce d'aprile, una giornata dedicata agli
scherzi e alle prese in giro le cui origini, benché incerte, hanno dato vita a una serie di tradizioni diffuse in tutto il pianeta.
Il primo giorno di aprile è spontaneo guardarsi
alle spalle, prendere con le pinze le notizie più strambe che passano in radio e
TV e, soprattutto, correre il rischio di rimanere vittime di scherzi più o meno pesanti.
Ma da dove deriva l'usanza del pesce d'aprile? la teoria più accreditata, benché
non abbia mai trovato una piena conferma antropologica, trova come punto di
partenza la riforma gregoriana del calendario, avvenuta alla fine del 1500. Una riforma che 'riporta indietro' feste e usanze di qualche mese: se fino a quel
momento il capodanno veniva universalmente festeggiato tra il 25 marzo e il
primo aprile, la riforma gregoriana del calendario lo fa retrocedere fino al primo giorno di gennaio. Da quel momento in poi in Francia rimase la tradizione di recapitare, il primo giorno di aprile, pacchi regalo... vuoti!
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MUSSO GIOVANNI
“Questa è la mia vita”
(a cura di Pietro Piumetti)
Mi chiamo Giovanni, sono nato nel 1940 a Caraglio, mio padre si chiamava Simone (agricoltore, deceduto a 67 anni),
mia madre Teresa (casalinga, deceduta a 82 anni). Sono primogenito, avevo due fratelli Michele e Livio (quest’ultimo
faceva il portalettere, è deceduto di recente) e una sorella,
Rita, abita a Torino.
Ho conseguito la licenza elementare. Come insegnante, in prima e seconda elementare, avevo la
maestra Lerda Rosa, mi ricordo che spesso si addormentava sulla cattedra, dicevano che si ubriacava, con lei non ho imparato molto. Ho poi avuto il maestro Perotti, era molto severo ma insegnava bene, mi piaceva svolgere i problemi di aritmetica.
Terminata la scuola sono andato da “vachè”, in pratica mi guadagnavo
qualche soldo andando dai parenti a sorvegliare le mucche al pascolo.
Poi ho preso la patente per guidare le macchine agricole. Lavoravo alla
ditta Chiabò escavatrici di Cherasco, guidavo mietitrebbiatrici per grano e
meliga.
Il servizio militare l’ho svolto a Belluno, arruolato come alpino; il servizio di leva, in quel tempo
durava 18 mesi. In quel periodo mi sono proprio divertito, ricordo che facevamo il gavettone a
quelli che non ci andavano “a genio”; sistemavamo una casseruola piena d’acqua sopra la porta che
si azionava con una corda, appena il malcapitato apriva la porta si attivava il
marchingegno e gli cadeva l’acqua sulla testa, colpivamo anche i graduati. Ricordo l’addestramento che ci faceva fare il maresciallo, in particolare la prima
volta che abbiamo tirato la bomba a mano mi è scappata all’indietro, sfortunatamente proprio dove c’era il maresciallo, l’ho “grigliato”, come la carne alla
brace, fortunatamente se l’è cavata con le cure dell’ospedale militare, io però
sono stato punito con tre giorni di prigione. Terminato il militare ho ripreso il
lavoro in campagna, mi piaceva anche allevare colombi e canarini. Avevo la
passione per i cavalli; oltre ovviamente ad andare a cavallo, facevo le esposizioni e partecipavo alle
gare. Ricordo che organizzavo anche gite a cavallo con il comune di Caraglio, dove si mangiava, si
beveva e si stava con belle donne.
All’età di 48 anni, mia madre era molto malata, ho assunto una badante che si era proposta di assisterla, si chiamava Donatella, ci siamo presto innamorati e poi sposati… All’età di cinquant’anni
abbiamo avuto la figlia Silvia. Abitavamo a Paschera di Caraglio continuando a lavorare la campagna, tutto procedeva bene.
I problemi sono iniziati a seguito dell’ictus con emiplegia sinistra, che mi ha paralizzato mezzo
corpo. Gradualmente il rapporto con mia moglie si è deteriorato fino alla separazione. Fortunatamente ho trovato la Residenza “Casa Don Dalmasso” che mi ha capito e aiutato a rimettermi in
“carreggiata”. Attualmente, a parte i problemi fisici che mi costringono sulla carrozzella, sono contento della mia vita perché mi sono divertito molto e perchè ho una figlia che mi vuole bene, tutte
le settimane viene trovarmi.
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PELLEGRINO ROSINA
“Ho 94 anni”
(a cura di Pietro Piumetti)
Il mio nome di battesimo è Rosa ma sono conosciuta come Rosina, sono
nata a S. Bernardo di Cervasca l’8 marzo del 1919 e sono contenta di avere 94 anni. I miei genitori avevano la campagna, mio padre si chiamava
Sebastiano e mia madre Rosa, proprio come me, ecco perché mi hanno
poi chiamato Rosina. Avevo due sorelle Maria e Lucia, ero ultimogenita,
purtroppo ci sono solo più io. A San Bernardo ho conseguito la licenza
della scuola elementare, ricordo che la maestra si chiamava Castellino,
era brava ma severa, quando disturbavamo la lezione ci faceva mettere le
mani sul banco e ci bacchettava le dita “che male che faceva!”.
Dopo la scuola aiutavo la mamma in casa e il papà
nei campi, avevamo anche 3 o 4 mucche, ricordo anche le galline e il maiale. Mi sono sposata a 19 anni
con Daniele Giuseppe, macellaio, ricordo che spesso le famiglie di San Bernardo lo chiamavano per
aiutarle a fare i salami, la pancetta, il lardo, ma anche per acquistare rane e lumache, che lui andava a
raccogliere. Dal matrimonio abbiamo avuto il figlio
Raimondo, che è molto bravo, mi vuole bene, mi dice sempre di ringraziare il Signore che mi ricordo di
tutto. Raimondo ha studiato come elettrauto e attualmente gestisce un distributore di benzina nella “discesa bellavista” a Cuneo; è sposato con
Donatella, anche lei molto brava, hanno due figli: Paolo (è un ragazzo serio e bravo) e Simone
(studia ragioneria, è un ragazzo elettrico che mi fa ridere). Donatella, quando compio gli anni, mi
compra sempre dei bei vestiti.
Sono entrata nel pensionato di “Casa Don Dalmasso”
per avere la compagnia e anche un po’ di assistenza; mi
trovo bene, il figlio Raimondo, la nuora Donatella e i
nipoti Paolo e Simone vengono spesso a trovarmi. Qui
mi piace cantare, cantavo già da giovane in chiesa, mi
piace anche la ginnastica e andare a Palestra di
Vita.
Credo che la cosa che conta di più nella vita è volersi bene e aiutare le persone che non possono più farcela da soli, quando posso
anche qui cerco di dare una mano a chi ha più bisogno di me, anche solo scambiando due parole in allegria.
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Profumi e Sapori della Primavera
Le virtù culinarie e salutarie delle erbe spontanee
La primavera è in arrivo e con sé porta letteralmente una ventata di freschezza.
A livello interiore, si sente ormai il desiderio di sole e di caldo. Mentre fino a Natale il freddo
è ancora piacevole e la neve ha un qualcosa di romantico, ora non ne possiamo più e tutti
siamo in attesa di giornate più lunghe e soprattutto più calde.
Fortunatamente, la natura ci viene incontro, annunciando l’imminente primavera con il fiorire di alcune erbe spontanee nei prati e nei boschi, come le primule, le violette e il tarassaco.
Sono davvero tante le erbe che in primavera rendono vivi i prati e richiamano gli insetti, e la
loro funzione non è solo estetica, perché, come vedremo a breve, esse contengono preziosissime sostanze per l’uomo.
Occorre però fare una premessa importante: le erbe spontanee possono essere più velenose dei funghi, e di conseguenza è fondamentale conoscerle bene.
Bisogna quindi prestare grande attenzione perché l’evenienza di scambiare una pianta innocua con una velenosa è più frequente di quanto non si pensi.
Vediamo ora alcune di queste erbe più famose e anche più facilmente riconoscibili:
Primula: il suo nome latino ci dice proprio che è il primo fiore a comparire nei prati. E’ inconfondibile perché giallo intenso, con foglie alla base larghe e rugose. La primula ha
numerose proprietà benefiche: è calmante, antispasmodica,
diuretica, espettorante, lassativa, pettorale, sudorifera, emostatica, sedativa. Si consumano i fiori crudi in insalata mentre le foglie sono ideali in minestre, frittate e torte verdi.
Tarassaco: inconfondibile per il suo fiore giallo intenso e pieno e per le foglie che assomigliano alla rucola, è amaro-stomachico, colagogo, coleretico, diuretico, lassativo e tonico. I
fiori si consumano crudi in insalata, insieme alle foglie più piccole che possono anche essere cotte in frittate e minestre.
Violetta mammola: si riconosce per il suo fiore viola a forma
di cuore, purgativa, antispasmodica, calmante della tosse , cicatrizzante, depurativa, diaforetica, diuretica, emolliente, espettorante, lassativa, sudorifera e tonica. Di nuovo, i fiori sono ottimi in insalata, oppure si possono usare per deliziosi
dessert, marmellate e sciroppi.
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Ortica: dal latino “urere” che significa bruciare o irritare. Impressionanti sono le sue proprietà: antidiarrea, antireumatica,
antitermica, astringente, depurativa, digestiva, diuretica, emostatica, epatoprotettrice, ipoglicemizzante, ipotensiva, nutrivita,
repulsiva, risolutiva, rimineralizzante (ricchissima di ferro), stimolante e tonica, antiforfora e antiseborroica. Si consumano le
foglie più tenere cotte in minestre, risotti, frittate, torte verdi e
ripieni per ravioli.
Borragine: il fusto e le foglie hanno setole pungenti. E’
emolliente, depurativa, diuretica, espettorante, sudorifera. Le foglie si consumano crude in insalata oppure lessate si usano come gli spinaci, in ripieni, frittate, zuppe,
torte di verdura.
Erba cipollina: fa parte della famiglia dell’aglio e delle cipolle, solo che è spontanea. Le
foglie sono aghiformi e cilindriche, e si raccolgono per aromatizzare molte pietanze. Le
sue proprietà sono notevoli: antiscorbutica, antisettica, antibatterica, calmante della tosse, callifuga, cardiotonica, cicatrizzante, diuretica, emolliente, espettorante, ipoglicemica,
lassativa, revulsiva, risolvente, stimolante.
Parietaria: dal latino “paries” che significa parete proprio
perché questa pianta cresce sui muri. Si riconosce per un
fusto corto al quale sono appesi i fiori rossastri. E’ anticalcolosi, emolliente, diuretica e pettorale. Si consumano le
foglie più tenere crude in insalata oppure cotte nelle zuppe
e nelle minestre.
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Il mio lavoro al setificio Costa
Margherita Fantini
Revello 04/09/1955
A cura di Margherita Fantini
con l’aiuto di Olga Bertaina (volontaria)
Ho iniziato il lavoro in setificio nel
1932, avevo 13 anni, era il mio
primo lavoro. La lavorazione, a
partire dai bozzoli, portava al
prodotto finale della seta per fare
camicie da uomo e camicette da
donna. Parte della produzione, però (quella più fine), serviva anche
per le ali di elicotteri e aerei. Per arrivare a questo filato occorreva
avere 5 bozzoli, 2 nuovi perché all’inizio il filo è più consistente e 3
di seguito perché alla fine il bozzolo è più debole.
►
Il vero bozzolo di seta pura.
Inizio cernita bozzoli per la
preparazione del lavoro.
Questo filato è doppio
e semplice. Filato doppio e semplice
Per questi
(Revello 1952 - 1958)
filati il titolo
è “150” Questa descrizione vuol dire : 125
bozzoli, compresi il doppio e il semplice
Forbici normali di lavoro
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09/12/1952 - Fabbrica del “doppio”
Revello
in Via Valle Po
Questa foto rappresenta un momento della benedizione tenuta
dal parroco ”Don Lerda” di Revello, con la presenza di “Costa
Andrea” nuovo proprietario della fabbrica cedutagli dal fondatore, avvocato Musso di Torino,
del direttore Daniele di Boves e
di tutta la dirigenza di Genova.
Seta pura derivata dai bozzoli
40% lana 60% acrilico -
(Cuneo - anno 1958)
prodotta a Cuneo dal 1958 al 1976
Margherita Fantini
Revello Ottobre 1956
Forbice per sveltezza nel lavoro
40% lana 60% acrilico Colorata e frisa
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La cenere e la lisciva:
il detersivo naturale che usavano le nostre nonne.
Non credevate che le sue proprietà fossero tante e tanto efficaci, vero? Invece a volte i
consigli degli antichi andrebbero ripresi.
Lisciva, o liscivia è il nome con cui si definisce una soluzione
liquida formata da cenere e utilizzata come smacchiature e
sbiancante per tessuti e bucato e, diluita, anche per la pulizia del corpo.
Oltre a questi due impieghi, la liscivia era ampiamente adoperata anche per le pulizie domestiche, specialmente per le sue
proprietà di sgrassante.
La lisciva è un detersivo naturale, ottenibile con un procedimento casalingo semplice, che non richiede impianti imponenti
e lavorazioni complesse. Da questa antica procedura deriva
l’espressione di “fare il bucato”. Si preparava la lisciva buttando la cenere in un grosso pentolone pieno d’acqua e la si faceva bollire per ore. La biancheria veniva disposta in un recipiente bucato in fondo(da qui
l’espressione), con un tappo. Si faceva quindi colare la lisciva attraverso un telo posto in
cima al recipiente bucato e la si lasciava agire per qualche ora. Si recuperava quindi il liquido togliendo il tappo e si faceva bollire di nuovo la lisciva.
Tra la cenere veniva comunque fatta una cernita: si adoperava prevalentemente il renno,
ovvero la cenere di legname particolarmente stagionato che bruciava con una certa facilità in maniera quasi completa, lasciando pochi residui incombusti e, perlopiù, di grosse dimensioni, quindi facilmente separabili dal resto.
Comunque, per evitare problemi legati alle macchie di
cenere, soprattutto quando si lavavano i panni dei nobili, si adoperava un cencio di canapa tessuto a mano
o un vecchio lenzuolo, dove veniva deposta la cenere,
poi sopra era versata dell'acqua calda, in modo che il
panno fungesse da filtro per tutte le impurità scure;
l'acqua calda dissolve i carbonati di cui la cenere è ricca e, in particolare, il carbonato di sodio che ha notevole effetto sgrassante, questi passavano direttamente al bucato.
Questa acqua filtrata contenenti alcuni carbonati della cenere era proprio la liscivia.
In alcuni casi la liscivia era fatta in pani come il sapone da bucato, in questo modo se ne
faceva scorta per un po', anche perché il procedimento era piuttosto lungo.
Nonostante tutti questi fattori naturali, ricordiamoci che la liscivia è comunque da considerarsi un detersivo a tutti gli effetti!
L'acqua bollita, infatti, genera una reazione che fa assumere all'acqua un potere detergente, ma anche corrosivo; il tutto amplificato dall'azione della cenere dava vita ad un
composto molto aggressivo nei confronti dei grassi.
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La cenere distrugge qualsiasi tipo di grasso avendo un pH decisamente basico intorno al
10.0, mentre, come tutti sappiamo, la pelle gradisce un 5.5, cioè appena acido, quindi il
contatto tra i due è devastante (per la pelle), questo il motivo per cui le lavandaie di un
tempo avevano le mani così rovinate: veniva completamente rimosso tutto lo strato grasso che le ricopre proteggendole, lasciandole secche e sfibrate.
La Cenere come concime
Fin dall’antichità i residui della combustione del legno sono usati come fertilizzanti, a dimostrazione di come in natura sia
difficile buttar via qualcosa, trovando sempre il modo di riciclare gli elementi. La cenere quindi assume un grande valore
nell’economia della coltivazione e diventa pressoché indispensabile per alcune colture.
Bisogna fare dei distinguo in proposito e ricordare che molte sostanze del legno vengono
bruciate nel processo di combustione, perdendo in efficacia.
Il potassio ed il fosforo, però, rimangono in grande quantità anche quando il legno è
completamente bruciato, così come alcune piccole (o grandi, dipende dal tipo di legno)
dosi di rame, zinco, manganese e fluoro. Questi elementi sono utilissimi alle nostre
piante e possono rappresentare un’ottima alternativa al fertilizzante che troviamo nei negozi, facendoci risparmiare tempo e denaro.
Da ricordare inoltre che la cenere non può essere utilizzata per tutti i tipi di piante, essendo un fertilizzante a pH basico e quindi poco indicato per colture di tipo acido (vedi rododendri, azalee, camelie, ortensie, orchideee e simili). I suoi impieghi però sono innumerevoli, a cominciare da quello che riguarda l’orto, per concimare carote, rape e radici in
genere.
La cenere può essere aggiunta al terreno prima
della lavorazione o inserita direttamente nei solchi
durante la semina o ancora posta alla base di alberi da frutta. E’ un ottimo fertilizzante anche per
le rose e per il prato. Una precisazione, per concludere: quando si parla di combustione del legno, ci si riferisce a materiale non trattato con
agenti chimici, vernici o laccature, i cui residui
potrebbero risultare mortali per le vostre piante e
dannosi per la salute.
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LA GOTTA
La gotta è la più comune forma di artrite, e colpisce in modo assai più frequente il
sesso maschile. Già nota nell’antichità e conosciuta come podagra, colpisce in
modo particolare l’articolazione del primo dito
del piede. A tal proposito, una delle testimonianze storiche più significative ci viene offerta dalle parole di Sofocle che, nel Filottete, fa
una descrizione quasi perfetta del dolore del
paziente gottoso. Filottete era un guerriero acheo abbandonato sull’isola di Lemno dai
compagni d’armi a causa dell’invalidante male che affliggeva il suo piede. Sofocle, nel descrivere la sua sofferenza, deve essersi ispirato proprio all’attacco acuto di gotta: ne riporta infatti tutte le caratteristiche quali l’intensità e il carattere trafittivo del dolore (il termine allucinante deve il
suo nome proprio dall’alluce di Filottete!). Molti i gottosi illustri!: Alessandro Magno,
Giulio Cesare, Carlo Magno, Voltaire, Newton, Darwin, Leonardo, Luigi XIV… Gli
antichi Romani curavano la patologia attraverso gli estratti di colchico, dai forti effetti lassativi, che apportava effettivamente evidenti miglioramenti, dovuti alla presenza al suo interno della colchicina, sostanza che si rivelò ottima nel tenere sotto
controllo gli effetti dell’iperuricemia. Ciò che causa la gotta è un aumento
dell’acido urico. A tal proposito, occorre ricordare che la purina è un composto
chimico presente in tutte le cellule dell’organismo; quando esse si dividono e si
moltiplicano, il corpo la elimina e riutilizza i suoi componenti per costruire nuove
cellule. La purina in eccesso viene espulsa dall’organismo con l’urina sotto forma di
acido urico. In alcuni casi (dieta particolarmente ricca di cibi che contengono purine
o difficoltà dell’organismo su base genetica ad eliminare le purine) i livelli di acido
urico nel sangue possono essere insolitamente elevati: questo disturbo viene definito per l’appunto iperuricemia. L’acido urico presente nell’organismo in eccesso
formerà dei cristalli, proprio come avviene quando si versa troppo sale in un bicchiere d’acqua. All’inizio il sale si scioglie e si mescola con l’acqua ma, aggiungendone poi sempre di più, si formano cristalli che tendono a precipitare sul fondo del
bicchiere.
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Al microscopio i cristalli di acido urico appaiono appuntiti e assomigliano a minuscoli aghi. In alcuni casi i cristalli di acido urico si depositano nelle articolazioni,
mentre in altri, e soprattutto nelle forme croniche, si possono accumulare a livello
della cute, formando una massa palpabile sottocutanea, che prende il nome di
tofo.
L’attacco di gotta esordisce rapidamente, e
l’articolazione colpita si presenta calda, gonfia ed molto dolente. E’ in genere scatenato da un eccessivo
consumo di alcool, birra, selvaggina, salumi e frutti di mare. Anche alcuni farmaci, come i diuretici,
possono causare una improvvisa crisi gottosa. Oltre
all’alluce, altre articolazioni colpite dalla gotta sono la
caviglia, il tallone, le ginocchia, i polsi, le dita delle mani. Gli attacchi di gotta di solito durano alcuni giorni e benché assai dolorosi tendono a guarire spontaneamente. Peraltro, se il paziente non assume farmaci in
grado di abbassare il livello di acido urico nel sangue, con il passare del tempo
essi possono diventare sempre più frequenti e durare a lungo. Se la gotta infatti
non viene trattata adeguatamente, tende a recidivare. Lo stadio finale, oggi peraltro grazie ai farmaci assai raro, è la cosiddetta gotta tofacea. Le articolazioni possono subire danni permanenti e anche i reni possono essere danneggiati in modo
rilevante con la formazione di multipli calcoli. Recenti studi hanno messo in correlazione l’aumento di acido urico con una maggiore frequenza di malattie cardiovascolari (infarto e scompenso cardiaco).
La terapia della gotta in fase acuta si basa sull’utilizzo della Colchicina, già nota
nell’antichità, e di farmaci antiinfiammatori. La terapia di mantenimento invece su
di un gruppo di farmaci in grado di abbassare il livello di Acido Urico nel sangue.
Marco Giraudo
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Angolo del Buonumore
Ridere, fa bene alla salute
Esperti e studiosi di tutto il mondo sono arrivati alla conclusione che il
vecchio detto “una mela al giorno toglie il medico di torno” sia incompleta: per limitare al massimo ogni rischio ci vogliono anche almeno 10 minuti di risata quotidiana.
La risata non costa nulla, è gratuita, non esiste altro farmaco che faccia così bene anche
alle nostre tasche.
Pensate che esiste una vera e propria scienza,
la gelotologia, che studia la risata e le emozioni
positive in funzione di prevenzione, riabilitazione
e formazione.
Il suo fine ultimo è quello di migliorare la qualità della vita, diminuire ansia, stress e dolore. Ridere mette in moto almeno 20 muscoli facciali
Quando ridiamo, i muscoli vengono attivati, mentre quando smettiamo di
ridere si rilassano. Poiché la tensione muscolare aumenta il dolore, molte
persone afflitte da artrite, reumatismi e altri stati dolorosi traggono grande
beneficio da una bella risata.
Gli effetti di una risata sono fantastici, provare per credere.
Scoperte
Sai, mammina confida il piccolo Luca, ho scoperto a chi assomiglia il nostro “bull-dog”.
Davvero, caro? E a chi assomiglia?
Alla zia Carolina. Via via, Simone, non si devono dire certe cose.
Oh, mammina, non credo che il cane abbia capito.
Quoziente di intelligenza
Qual’ è l’animale più stupido? Il tasso perché gli piacciono le tasse
Colmi
Qual’ è il colmo per Dio???
Pur essendo eterno ha fatto due testamenti
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Nuova attività ludica per tenere in “forma” la mente.
La primavera con i suoi piacevoli
cambiamenti del tempo, invita anche noi a cambiare e rinnovare.
L’invito a pensare a cose nuove, ci è
giunta dopo il gradito dono da parte di una persona, particolarmente
sensibile, di tre scatole di giochi, pensati e articolati, proprio per i “giovani” della “terza età”.
E’ così che, con l’aiuto di alcuni volontari, siamo partiti con questa nuova attività.
Ci troviamo il lunedì pomeriggio e, cercando di allenare la mente, scopriamo parole che giocano a nascondino. Grazie
all’entusiasmo dei partecipanti si è creato un clima accogliente e
rilassante.
Grazie quindi agli ospiti e, in particolare, alla collaborazione di Eva e Mariagrazia per l’energia nel creare questo
simpatico e affiatato gruppo!!!!!!!!!!
Dimenticavo, l’attività naturalmente si
chiama:
ALLENA – MENTE
Patrizia
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INIZIA LA PALESTRA MULTISENSORIALE
RITROVARE “SENSO” ATTRAVERSO I 5 SENSI
Ciao! Sono Cinzia…. Dalle pagine del giornalino colgo l’occasione per raccontarvi e presentarvi “ufficialmente” questa nuova attività che è iniziata a fine febbraio.
A conclusione del mio percorso di specializzazione universitaria in Psicologia
dell’Invecchiamento con il metodo Palestra di Vita, metodologia ormai “storica” presso Casa
Don Dalmasso, ho pensato di proporne una modalità particolare, La Palestra di Vita Multisensoriale che, pensata per un gruppo ristretto di persone (fino a un massimo di 6) si caratterizza per la necessità di creare un ambiente, rassicurante e rilassante. A questo proposito, ho scherzato con alcuni ospiti divertiti dal fatto di vedermi “portare a spasso la vaschetta
con i pesci rossi”, “trasferendoli” dalla sala da pranzo a quella delle attività occupazionali,
quasi fossero cagnolini! In realtà la vasca con i pesci fa parte dei materiali necessari per la
sperimentazione, così come il registratore per l’ascolto di musica strumentale, la luce blu, la
tovaglia verde. Ma cos’è la Palestra Multisensoriale? Rappresenta un’attività di assistenza
psicologica di gruppo che facilita l’espressione di emozioni, affetti, sentimenti, attraverso la
stimolazione adeguata dei cinque sensi e la restituzione di un “senso” all’esperienza condivisa durante l’attività. Si potrebbe definire una sorta di viaggio nella memoria emotiva, alla
ricerca di ricordi affettivi che sappiano promuovere, nelle persone coinvolte, sentimenti positivi e benessere biopsicosociale. Si propone come obiettivi: ridurre l’agitazione e l’ansia,
migliorare il tono dell’umore, contenere il declino cognitivo, favorire l’adattamento e il rilassamento.
Attraverso la stimolazione dei 5 sensi si recuperano emozioni del passato, dialogando o semplicemente comunicando con uno sguardo, una
“smorfia”, un sorriso. Vengono sottoposti stimoli
tattili, olfattivi, gustativi e sonori, precedentemente preparati, pensando alla storia di vita della persona. Ad esempio Pina predilige foto con
animali (in particolare i cani), mentre Rosina ha
scelto l’immagine di una signora che ballava con
un operatore: “Amavo ballare da giovane ma non potevo andarci perché mio padre non voleva! Adesso che potrei andarci sono vecchia e non riesco più!”.
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Questo ha generato il commento di Simone che
ha ricordato di quanto gli piacesse danzare con
sua sorella, durante le feste in casa, in famiglia.
Tra gli stimoli tattili ho provato a portare la farina
che ha suscitato un commento di Pina: “Facevo i
tajarin”. Sentendo la fisarmonica Simone ricorda
un maestro di musica di Palermo che veniva in
vacanza al suo paese e insegnava ai ragazzini a
cantare, così, per gioco…poi comincia a intonare “Femmena”. Anche chi è più compromesso dal punto di vista verbale può comunque essere stimolato dalla presentazione di oggetti significativi, esprimendosi attraverso il linguaggio non verbale.
Ringrazio la Direzione e lo psicologo Pietro Piumetti
che mi hanno dato l’opportunità di sperimentare
concretamente questa proposta di intervento riabilitativo che si concluderà a fine maggio, il personale
OSS per la collaborazione e la…pazienza (arrivo
nell’ora un po’ caotica della merenda!) e in particolare gli ospiti che, partecipando, mi hanno concesso di
conoscerli meglio, “affidandomi” i propri ricordi. Io, raccogliendoli e custodendoli con rispetto, mi auguro che questi momenti “un po’ nostri” possano davvero diventare gradualmente,
uno spazio non solo fisico, ma soprattutto affettivo, dove percepire e vivere sentimenti di
riconoscimento, valorizzazione, benessere. Perché in fondo, ad ogni età, uno dei più grandi desideri dell’Uomo è proprio questo: essere accolto per ciò che è, per ciò che può dare
all’altro.
Grazie a tutti perché, a Casa Don Dalmasso, mi sento sempre accolta,
un po’ come “in famiglia”!
A presto!
Cinzia
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Buona Pasqua
Buona Pasqua
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