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16/1/2017
Chi sono questi giovani jihadisti ­ Islamitalia.it
Riferimento italiano di islamologia e spiritualità islamica
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MATR I MONI O
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MIST O &
ISLAMI CO
ISLAMI CA
IMMI G R AZI ONE
INFO & CONT AT TI
Chi sono questi giovani "jihadisti" ­ tra rivolta
generazionale personale nichilista, disagio sociale
e sete di violenza, l’Islām è solo un pretesto ­ Da
dove vengono le armi dei terroristi?
Profonda e attenta analisi sulle identità di questi giovani "jihadisti" dalle parole di
alcuni massimi esperti: Peter Harling (direttore del progetto del Crisis Group’s
Project per l'Iraq, il Libano e Siria e Senior consigliere per il Medio Oriente e Nord
Africa), Raphaël Liogier, (Direttore dell’Osservatorio delle religioni, docente
presso l’IEP di Aix), Oliver Roy, (noto orientalista e politologo francese, docente
presso l'Istituto Universitario Europeo e titolare della Cattedra Mediterranea al
Robert Schuman Centre for Advanced Studies), Mathieu Guidere, (islamologo,
docente universtario presso l'Università di Tolosa II e docente di business
intelligence presso l'Università di Ginevra), William McCants e Christopher
Meserole del Brookings Institution, Erin Marie Saltman e Melanie Smith,
dell'International Centre for the Study of Radicalization del King’s College di
Londra, Patrick Skinner, direttore dei Progetti Speciali per il Soufan Group,
Frédéric Pichon, professore di Geopolitica, Giuseppe Sacco, ordinario di
Relazioni e sistemi economici internazionali successivamente nelle Università di
Siena, Firenze, Luiss e Roma Tre, già direttore di divisione all’Ocse di Parigi e
docente presso l’Institut d’Etudes Politiques de Paris (Sciences­Po), già direttore
dell’European Journal of International Affairs e Stefano Allievi, docente di
sociologia all'Università di Padova ed esperto di Islam in Italia. Latest News
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Chi
sono
questi
jihadisti?
Charlie
Hebdo:
Aperta
26 marzo 2016 ‐ autore: Rachida Razzouk
condanna
Ultimo aggiornamento: 12 gennaio 2017
La
questione
della
"reciprocità" e
la
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libertà
religiosa, nel
contesto
dell'immigrazione in Italia ‐ Il
confronto Italia ‐ Marocco
Seminario:
Daesh,
lo
Stato
islamico:
dottrina,
politica,
strategie
Il nuovo Islam
italiano
al
Viminale
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Chi sono questi giovani jihadisti ­ Islamitalia.it
I numeri degli jihadisti europei che vanno in Siria e
in Iraq a combattere
Islam
e
terrorismo
La origini di
Secondo uno studio condotto dalle autorità di intelligence e di polizia tedesche, più di 800
Al‐Qaeda
persone (79% maschi e 21% femmine), hanno lasciato la Germania per la Siria o l'Iraq dall'inizio del
ISIS / Da'esh
e
conflitto siriano (2011), anche se non è possibile verificare se tutti abbiano, o meno, raggiunto la
regione. Circa un terzo di coloro che sono partiti sono persone già note alle forze dell'ordine e si
presume siano già tornate in Germania, di queste si pensa che 70 circa abbiano potuto
sperimentare la lotta armata con Stato islamico, o almeno una formazione militare. Circa 130
islamisti provenienti dalla Germania si presume siano stati uccisi nel conflitto. Il picco di partenze
Cerca nel sito
si è avuto nel terzo trimestre del 2013, mentre la quota femminile di coloro che sono partiti è
aumentata in modo significativo dopo la proclamazione del Califfato Islamico il 29 giugno 2014, da
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un 15% ad un sorprendente 38% post‐annuncio.
La fascia di età va da 15 a 62 anni, con una media aritmetica di 25,9 anni (25 per gli uomini e 21
per le donne) e la percentuale di minori (vale a dire gli individui di età inferiore ai 18 anni) va da
un 12% prima dell'annuncio del Califfato ad un 5% dopo).
Il 61% di coloro che sono partiti sono nati in Germania, ma ve ne sono anche dalla Turchia (6%),
Siria (5%), Federazione Russa (5%), e in Afghanistan (3 %). 116 su 800 sono convertiti.
Due terzi dei departees sono stati oggetto di indagini penali. 225 individui sono stati sospettati o
processati per reati relativi alla loro radicalizzazione islamista, con attacchi violenti (aggressioni,
rapine, ecc) e reati contro il patrimonio rappresentano il 29% ciascuno, seguiti da traffico di droga
(16%).
Il Belgio, focolaio jihadista d'Europa.
Il Belgio ha un numero spropositato di connazionali combattenti in Siria rispetto al numero della
popolazione: 300 belgi ammaliati dal richiamo del califfo su 11 milioni di abitanti sono un numero
eccessivo se si considera che il primo paese europeo di questa classifica è la Russia che conta 800
combattenti ma è un paese sterminato ed è seguito da altri grandi paesi, la Francia (700), la Gran
Bretagna (500), la Germania (400) e la Turchia (400) (fonte: International Center for the Study of
Radicalization, 2014).
Nel 2014 sono partite dal Belgio ben 440, persone pari a 40 ogni milione di abitanti, segue
Danimarca e Svezia, Francia al quarto posto come partenza di foreign fighters in relazione alla
popolazione, mentre rimane al primo posto come partenze in assoluto, con circa 1200 giovani
arruolati nelle file dello Stato islamico o del fronte an‐Nusra.
Un contributo considerevole al reclutamente di jihadisti per la Siria , ma anche per attacchi in
Europa è stato sicuramente quello fornito dall'associazione Sharia4Belgium, un'organizzazione
radicale salafita, nata nel 2010 e teoricamente sciolta nel 2012, con la pretesa di far diventare il
Belgio no stato islamico, il cui fondatore Fouad Belkacem (alias Abu Imran), è stato condannato
a 12 anni di carcere e una multa di 30 mila euro, nel febbraio 2015.
Nella propaganda jihadista dell'associazione «la Siria veniva pubblicizzata come un posto
meraviglioso con piscine e bella vita. Usavano Facebook, usavano foto della grande casa in cui
vivevano in Siria». Sharia4Belgium indicava alcune leggi del Belgio, per esempio quella del 2012
che vietava di indossare il velo facciale completo, come simboli dell’intolleranza verso i
musulmani.
Belkacem era convinto (e lo è ancora) che la Shar'ìah dominerà il mondo e che la democrazia sia
sbagliata, come ha dichiarato in un'intervista alla CBN News nel 2011.
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Nei manifesti pubblicitari provocatori del 2011, la figlia del leader del presidente del partito
belga di estrema destra, Ann Sophie de Winter ha posato con indosso un bikini sotto e sopra il
volto coperto in stile Niqab, con la scritta "Libertà o Islam?", trasformato poi, a pennarello, dagli
esponenti di Sharia4Belgium, cancellando la parola "libertà", lasciando solo Islam, aggiungendo:
"Welcome to Belgistan", oltre ad aver coperto di pennarello nero il corpo della Winter.
I rappresentati si Sharia4Belgium irrompevano le studi delle trasmissioni televisive per
contestare il dialogo con i musulumani moderati presenti in studio, promuovono l'instaurazione
della pena di amputazione delle mani in caso di furto, la lapidazione delle donne adultere e la
condanna a morte degli omosessuali. L’altissimo tasso di natalità tra i musulmani che vivono nel
Paese sta cambiando lo scenario politico belga. Da quattro anni Mohammed è il nome più comune
per i bambini che nascono a Bruxelles.
VIDEO ‐ "Gli occidentali si preparino a un'onda di Sharia ed Islam":
il documentario choc dal quartiere islamico di Bruxelles ‐ Il messaggero.it (04/04/2016)
Chi sono questi giovani che diventano “jihadisti” e
si radicalizzano in pochi mesi o addirittura qualche
settimana?
Secondo Peter Harling, non è l’Islam il loro fine principale, bensì la loro sete di violenza.
Invocano Allah in ogni frase, ma per i “jihadisti” di nuova generazione, come quelli che hanno
insanguinato Parigi e Bruxelles, l’Islam è principalmente un pretesto per canalizzare un'intima
rivolta personale e una sete di violenza, così dicono gli esperti.
"La loro cultura islamica è sommaria, o quasi nulla". Ad affermarlo è Peter Harling, membro
del think tank International Crisis Group (ICG). “Infatti, coloro che hanno una cultura islamica
più solida sono quelli meno propensi a schierarsi con l’IS”.
Convertiti di recente, dotati di una scarsa o nulla conoscenza dell’arabo, questi giovani si servono
di
concetti
che, a malapena capiscono e di
cui
distorcono il significato, trovano
nell’organizzazione denominata “Stato Islamico” (IS) una struttura flessibile e pragmatica in cui
può realizzarsi il loro desiderio di radicalizzazione.
In un articolo intitolato “Uccidere gli altri, è uccidere se stessi”, Harling ritiene che “l’aspetto
più preoccupante dei massacri commessi a Parigi è che essi emergono da un'intima violenza”.
Daesh “ha offerto uno spazio concreto in cui una violenza pornografica potesse esprimersi,
cercarsi, disinibirsi e prendere slancio. Non è un caso che i convertiti europei ne sono stati i
principali agenti. In mancanza di esperienza militare, di formazione religiosa e di competenza
linguistica in generale, hanno definito il loro valore aggiunto in un’ultra‐violenza che evoca il
film di Stanley Kubrick "Arancia meccanica", per via del suo sadismo, messo in scena grazie al
talento istintivo di comunicatori addestrati nell’era di Facebook”, afferma Harling.
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"Vogliono esprimere il loro desiderio di essere antisociali". Una sorta di percorso anarchico
esistenziale che passa attraverso la violenza, quale mezzo per farsi sentire e per riscattarsi.
Il direttore dell’Osservatorio delle religioni, nonché docente presso l’IEP di Aix, Raphaël Liogier
ha studiato i profili di decine di jihadisti o aspiranti‐jihadisti francesi. “Nessuno di coloro che ha
operato su suolo francese, da Mohamed Merah a quelli del 13 novembre, è passato attrtaverso
una formazione teologica o una graduale progressione della pratica religiosa“, afferma Liogier
all’AFP. “Sono persone che vivono già nella violenza, e poiché l’Islam è attualmente sinonimo di
violenza anti‐sociale, vogliono esprimere il loro desiderio di essere antisociali”. “Prendono delle
impostazioni fondamentaliste, ma sono semplicemente delle impostazioni”, ha detto. “Vanno di
rado nelle moschee, pregano meno degli altri. Coltivano uno stile che io chiamo neo‐afghano,
alla ricerca di una sorta di romanticismo neo‐guerriero”.
Il reclutamento
Gli educatori e gli assistenti della zona di Molenbeek affermano: «la moschea non conta più
molto. Ha perso contro Youtube». Il luogo di reclutamento ormai è Internet. Una ricerca di Oxford
attribuisce la responsabilità del reclutamento di jihadisti in Europa a:
1. Legami sociali 75%
2. Famiglia 20%
3. Moschee con presenze salafite/wahabite 5%
"Negli anni ’80, sarebbero diventati punk o avrebbero simpatizzato verso qualche
movimento di estrema sinistra o estrema destra".
“Considerando il fatto che sono di origine nordafricana e gli viene detto che sono potenzialmente
musulmani e che l’Islam ha un’immagine negativa, questo diventa desiderabile per loro. Negli
anni ’80, sarebbero diventati punk o o avrebbero simpatizzato verso qualche movimento di
estrema sinistra o di estrema destra “, afferma Raphael Liogier. “Essi saltano direttamente
nel jihad, poiché hanno in comune la delinquenza, dei problemi d’infanzia e il desiderio di
essere dei pezzi grossi“.
Per quanto riguarda l'Italia, una vittima del reclutamento online è Maria Giulia Sergio alias
Fatima, la 28enne di Torre del Greco convertita nel 2008,trasferita in provincia di Milano e poi
partita per la Siria, di cui oggi non si hanno più sue notizie. Sulla base delle indagini ancora in
corso, sembra sia stata reclutata online da una certa Bushra Haik, nata a Bologna 30 anni fa da
una famiglia di origine siriana, sposata a Ryad con un imam saudita. La donna si è trasferita dal
2012 a Riad, in Arabia Saudita, da dove ha gestito il reclutamento di combattenti stranieri su
Internet, oggi continua a vivere nella capitale dell'Arabia Saudita pur avendo alle spalle un
mandato di cattura internazionale datato 29 giugno 2016. "Qui tagliamo le teste e presto lo
faremo anche a Roma" aveva scritto su Facebook. Il 7 gennaio 2015, giorno dell’attentato a Charlie
Hebdo, Bushra giustificava l’attacco dei terroristi a Parigi: respingendo le critiche degli imam
«alleati dei miscredenti».
Nel frattempo, il 19 dicembre 2016 la Corte d'Assise di Milano ha condannato Fatima a 9 nove di
reclusione con l’accusa di terrorismo internazionale, così come il padre (4 anni) e il marito Aldo
Kobuzi, a 10 anni. Altre condanne anche per la madre e la sorella del marito, tutti al momento in
Siria con Fatima: per loro 8 anni di carcere. Nei mesi scorsi era stata condannata anche la sorella
della ragazza, Marianna.
Non è sempre facile delineare il quadro completo dei contatti di ogni singolo jihadista attraverso
la rete fino a giungere ai memebri del Califfato. Spesso avviene per conoscenze nelle moschee
certamente, ma così come nei café, nelle palestre di arti marziali o boxe. Non è mai determinante
del tutto la moschea.
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Attraverso questi contatti c'è sempre qualcuno che conosce qualcun altro in Siria o in Turchia,
pronto a procurare loro la cosidetta "taskara", ovvero un lasciapassare (non tanto nel senso di
carte) ma di "corridoio" sicuro, quasi sempre attraverso la Turchia, attraverso un contatto di
Da'esh, fino ad arrivare nei territori dello Stato Islamico.
In molti casi nei contenuti dei messaggi recapitati dai membri di Da'esh ai jihadisti in Europa si
possono trovare poemi dal carattere epico che incitano alla violenza contro cristiani (ma non
solo), in nome di una presunta gloria, glorificazione di Dio.
In Germania, come in Belgio, si è potuto constatare la presenza di associazioni come la "Lies!" che
distribuiva il Corano in tedesco alla gente nelle strade, i cui soci sono sotto inchiesta, perché in
alcuni casi, i loro membri adottano un'ideologia assai discutibile e irrompente. E' un dato evidente
che i maggiori terroristi tedeschi si sono convertiti grazie al contatto con questa associazione.
Sognando il califfato
Falò
00:00 / 1:19:12
VIDEO ‐ "Sognando il Califfato":
Reportage che mostra la ricostruzione di una lunga indagine su un gruppo di jihadisti (o meglio, di
imbecilli criminali assassini) a cavallo fra Italia e Svizzera e Siria, per la TV svizzera RSI.ch ‐
RSI.ch (01/12/2016)
Il loro stile di vita non è certo degno di devoti
musulmani.
Un poliziotto specializzato ha riferito all’Agenzia di Stampa francese che, durante un
interrogatorio, un apprendista jihadista gli aveva detto:
“Io, del Corano me ne frego. Ciò che m’interessa è il jihād.”
E che significa? Mi rivolgo a te jihadista del cavolo. Non ha alcun senso ciò che dici. Se ritieni
importante il jihad (sempre che tu ne comprenda pienamente il vero significato anche e
sopratutto quello spirituale), che è ovviamente parte integrante della pratica di un musulmano,
allora è totalmente assurdo che ti possa anche solo permettere di non interessarti minimamente
del Corano, quale libro sacro dell'Islam e fonte principale di ogni pratica, di ogni precetto, di ogni
stile di vita islamico. Se avessi letto bene invece, prima il Corano, poi avresti capito meglio cos'è
il jihad.
Gli abitanti descrivono infatti i due fratelli Abdesalam, attori principali dell'attentato di
Bruxelles il 22 marzo 2016, come «forti bevitori, forti fumatori, non degli estremisti». Furti,
traffico di droga fino al carcere nel 2010 per Salah Abdesalam, in seguito ad una rapina in cui
compare anche il nome di Abdelhamid Abaaoud, di origine marocchina, ritenuto la presunta
mente degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, anche lui residente a Molenbeek, jihadista
in Siria nel 2013 e 2014, ucciso nel blitz di Saint‐Denis e amico di Mehdi Nemmouche. All'inizio
del 2015, i fratelli Abdeslam, già radicalizzati, erano stati interrogati dalla polizia belga perchè
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sospettati di volersi recare in Siria, ma erano poi stati rilasciati per mancanza di «prove di una
possibile minaccia».
Il 25 marzo 2016 alla fermata del tram vicino a Place Meiser, nel quartiere di Schaerbeek a
Bruxelles, viene arrestato Abderahman Ameroud, di origine algerine, ritenuto il «pesce grosso»
dell'attentato del 22 marzo, in occasione di un blitz delle forze dell'ordine in merito all'attentato
sventato ad Argenteuil nel 2005. Ameroud venne già condannato a 7 anni per complicità
nell'omicidio del comandante afghano Ahmad Shah Massoud, ucciso nel 2001 da due tunisini
originari di Molenbeek.
E’ una costante, quindi, i veri jihadisti moderni trincano e vanno a donne, specialmente la notte
prima di uccidersi come kamikaze. Mohamed Atta, il capo e coordinatore dei dirottatori arabi
dell’11 Settembre 2001, con i complici Al‐Shehhi, Nawaq Alhamzi, Ziad Jarrah, e – Hani
Hanjour, nell’agosto 2001, un mese prima di morire schiantandosi contro le Towers, fecero
parecchie visite al Pink Pony Nude Theater di Las Vegas, dove palparono a volontà le ballerine di
lap dance, quelle a seno nudo che si attorcigliano a un palo: pagavano, erano pieni di soldi. La
notte prima si produssero in bevute di vodka e Coke al rhum al Red Eye Jack Sports Bar di Daytona
Beach; minacciando: “Vedrete domani, l’America avrà il bagno di sangue”.
Nella notte tra l'11 e il 12 giugno 2016 Omar Mateen, cittadino americano di origini afghane,
guardia giurata per G4S, compì una strage in un club gay di Orlando (Florida): 50 morti,
successivamente crivellato da 8 colpi delle teste di cuoio. Tipo violento e instabile con un passato
di abuso di steroidi, già due volte indagato dall'FBI Mateen era dichiaratamente omofobo e
razzista, divorziato nel 2011 da Sitora Yusufiy, una donna di origini uzbeke conosciuta online, in
quanto la picchiava continuamente e le di parlare con la sua famiglia. Mateen aveva due diverse
licenze per il porto d’armi, una statale e una come guardia di sicurezza, ed entrambe sarebbero
scadute nel settembre del 2017.
Il 14 luglio 2016 Mohamed Lahouaiej‐Bouhlel, 31‐enne cittadino franco‐tunisino, nato a M'saken,
vicino Sousa (Tunisia), già noto alla polizia per piccoli casi di criminalità minore, in particolare
violenze e uso di armi, si scaglia contro la folla sulla promenade di Nizza: 87 morti. Bouhlel è
definito come taciturno, introverso, “violento”, “instabile”, “donnaiolo”, “bisessuale”, affetto da
problemi psichici tra il 2002 ed il 2004, installatosi in Francia nel 2008 con la moglie originaria di
Nizza da cui ha tre figli, in corso di divorzio, obbligato a pagare gli alimenti alla moglie per il
mantenimento dei tre figli, impiegato come autotrasportatore da un anno e mezzo dopo un periodo
di disoccupazione, è conosciuto alle forze dell’ordine solo per alcune violenze commesse tra il
2010 ed il 2016 e ha la patente per guidare i mezzi pesanti da 18 mesi circa. Personalità fragile e
manipolabile, che oscilla tra la violenza famigliare e la costante ricerca di nuove donne, tra
l’alcool ed i rapporti omosessualità.
In una recente intervista per il TGR Veneto, il professor Stefano Allievi, docente di sociologia
all'Università di Padova e uno dei massimi esperti dell'Islam in Italia, parla di "separatezza
culturale" latente in quei quartieri ddi Bruxelles e nelle nalieu di Parigi, dovuta essenzialmente
"alla presenza da 20, 30 anni di predicatori salafiti e di moschee fai‐da‐te", ma, nonostante
questo, la maggior parte degli jihadisti non aveva un rapporto con la religione, facevano vite
peccaminose dal punto di vista religioso".
Il prof. Mathieu Guidere, massimo esperto francese di terrorismo e islamologia, ritiene che sia
proprio dietro le sbarre che Abaaoud, ucciso poi dalla polizia francese, abbia insegnato la sua
«teologia della clandestinità per eludere i servizi di sicurezza e di controllo dell'intelligence».
Esiste anche un vero e proprio decalogo di vita per i jihadisti in Europa o comunque per coloro che
vivono in occidente. A marzo del 2015, la propaganda dello Stato islamico dà alle stampe un libro
intitolato "Come sopravvivere in Occidente". Una vera e propria guida per i jihadisti in
occidente. In esso vengono spiegate le tecniche per mischiarsi agli occidentali senza essere
riconosciuti. L’autore del libro è sconosciuto. Si sa solo – perché è lui stesso a dircelo
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nell’introduzione del libro che introduce il «jihad globale da più di dieci anni. Per questo motivo
conosce i diversi gruppi jihadisti nel mondo e sa come hanno raggiunto il successo».
Alcuni ritengono che lo stile di vita non propriamente islamico che spesso si riscontra nei vari
autori di atti terroristici, come il caso di Salah Abdeslam, che a Molenbeek frequentava bar gay e
beveva alcool nasca dalla volontà o comunque dall'ordine impartito di camuffarsi nell'ambiente
occidentali adottando stili di vita tipicamente occidentali nella loro vita pubblica e, invece, avere
una vita parallela privata dedita al jihadismo. L’aspirante terrorista non deve dare nell’occhio:
deve rappresentare una cellula dormiente «che si attiva nel momento giusto, non appena l’Umma
ne ha bisogno», così cita il libro .
Le istruzioni date dal libro continuano ribadendo l'importanza di conservare la propria privacy su
internet, non farsi identificare, cercare solamente cose normali su internet, controllare la mail,
giocare online e cercare qualche ricetta. Mai cercare le parole «jihad» o «Stato islamico». Per
questo tipo di ricerche c’è Tor, «un sistema di comunicazione anonima per Internet basato sulla
seconda generazione del protocollo di rete di onion routing». Anche utilizzando Tor è necessario
non dare mai il proprio nome né la propria mail. «Utilizza il succo di limone come inchiostro per le
tue lettere private». Risulterà così invisibile a occhi indiscreti. Chi vorrà leggere il testo, dovrà
semplicemente mettere una fiamma sotto il foglio. Il secondo consiglio dell’anonimo è quello di
«parlare attraverso i vestiti». Se devi incontrare qualcuno coordinati in modo che sappia qual è il
tuo abbigliamento. «Trova degli alleati tra coloro che si sono convertiti all’islam e che non hanno
fatto sapere questo loro cambiamento».
Il Jihadismo è una rivolta generazionale e nichilista.
Questa tesi della strumentalizzazione dell’Islam da parte di giovani estremisti che cercano un
ideale violento è sostenuta anche dall’autorevole esperto di Islam, Olivier Roy, che in un articolo
intitolato “Il jihadismo è una rivolta generazionale e nichilista“, ha detto che “Daesh attinge a
una grande riserva di giovani francesi radicalizzati, che a prescindere dalla situazione in Medio
Oriente sono già in dissidenza e sono alla ricerca di una causa, di un’etichetta, di una grande
narrazione su cui apporre la firma sanguinaria della loro rivolta personale”.
Grazie a Daesh questi giovani perduti della mondializzazione, frustrati ed emarginati, si
ritrovano improvvisamente investiti di un sentimento di onnipotenza grazie alla propria
stessa violenza che permette di legittimare ogni azione compiuta. "Non è la radicalizzazione dell’Islam, ma è l’islamizzazione del radicalismo".
Una rivolta generazionale e nichilista che nulla ha a che vedere, quindi, con il radicalismo
religioso che ma che va cercata nelle radici stesse della globalizzazione, della
frammentazione dell’individuo, nella frustrazione e emarginazione delle seconde generazioni e
dei nuovi Europei “convertiti”, commento O. Roy.
“Il problema principale per la Francia non è dunque il califfato del deserto siriano, che prima o
poi evaporerà come un miraggio diventato un vecchio incubo. Il problema è la rivolta dei
giovani“, ha aggiunto O. Roy. “Questa non è la radicalizzazione dell’Islam ma l’islamizzazione del
radicalismo“. I leader del gruppo denominato “Stato islamico”, tra i quali ci sono degli ex membri
dei servizi segreti iracheni dell’era di Saddam Hussein, hanno capito come incanalare e utilizzare
al meglio questa violenza.
"Non si tratta di una rivolta dell’Islam o dei musulmani ma di un grave problema sociale che
concerne gli immigrati di seconda generazione e i nuovi europei convertiti".
«I giovani radicalizzati, per quanto si appoggino a un immaginario politico musulmano (la
umma dei primi tempi) sono in deliberata rottura sia con l’islam dei loro genitori che con le
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culture
delle
società musulmane. […] Si muovono nella cultura occidentale della
comunicazione, della messa in scena e della violenza, incarnano una rottura generazionale (ormai
i genitori chiamano la polizia quando i figli partono per la Siria), non sono inseriti nelle comunità
religiose locali (moschee di quartiere), praticano l’autoradicalizzazione su Internet, cercano un
jihad globale e non si interessano alle lotte concrete del mondo musulmano (Palestina). Dunque
non si occupano di islamizzare la società, ma di realizzare il loro fantasmatico eroismo malsano»,
conclude Oliver Roy. "Questo è un movimento molto flessibile, che può recuperare molte dinamiche", aggiunge ancora
P. Harling. "Si passa da una base ideologica solida e si riesce a rappresentare molte cose diverse
per molte persone molto diverse".
Questi jihadisti cercano di dare una dimensione islamista (quale ricerca delle loro origini)
all'atteggiamento di ribellione giovanile, che unito ad una non adeguata educazione familiare,
ad una minoranza islamica poco integrata, un alto tasso di disoccupazione, una diffusa
disponibilità di armi in un paese che, pur essendo europeo, nutre un certo lassismo verso la
microcriminilità, «che per sua natura attira attività illegali», osserva Brice De Ruyver, ex
consigliere per la sicurezza dell'ex premier Guy Verhofstadt al giornale Les Echos.
La francofonia come fattore cocorrente nel jihadismo.
Un altro fattore quanto meno interessante da approfondire, (oltre al fatto che i jihadisti godono
quasi sempre di uno status sociale medio, uno stile di vita alquanto liberale e sempre
connessi nella rete), è quello illustrato in un articolo intitolato "The French Connection",
pubblicato sulla rivista "Foreign Affairs", da William McCants e Christopher Meserole del
Brookings Institution, un prestigioso istituto di studi americano, i quali affermano che il pericolo
rappresentato dai jihadisti è maggiore in Francia e Belgio che nel resto d'Europa e questo sarebbe
dovuto anche al fatto che proprio Francia e Belgio sono due paesi francofoni, (Belgio, per il 45%
francofono), come lo è anche per la Tunisia, Algeria, Siria e Marocco.
Francia e Belgio sono forse i paesi, in Europa, il cui laicismo è forse più virulento.
"L'approccio francese al secolarismo è più incisivo rispetto, ad esempio, l'approccio britannico.
Francia e in Belgio, per esempio, sono l'unico paese europeo a vietare il velo integrale nelle
scuole pubbliche", ciò, unito ai retaggi di riscatto dal colonialismo e dai suoi effetti e alla
mancanza di una vera identità europea di questi giovani, comporterebbe, un ulteriore fattore di
aggravamento del risentimento nei confronti del mondo occidentale.
Sotto lo pseudonimo di Said Ramzi, un 29‐enne giornalista francese di origini arabe ha potuto
condurre un'inchiesta da infiltrato con una telecamera nascosta per 4 mesi all'interno del
cosiddetto Stato Islamico, riuscendo a pubblicare il tutto in un documentario chiamato: "Les
soldats d’Allah", andato in onda sulla TV francese Canal+ il 02 maggio 2016.
In questo straordinario reportage si parte inizialmente da un aspetto molto interessante: è stato
proprio "criticando i salafiti sono riuscito a farmi accettare da quelli dell’Is", afferma Said,
mentre tentatva di farsi reclutare ancora quando era in Francia. Gli imam salafiti stessi avevano
contatti e parlavano regolarmente con gli agenti della Direction Générale de la Sécurité Intérieure,
proprio per questo Said era già stato segnalato. Riesce così ad agganciare un certo "Abou
Ossama", cittadino franco‐turco di Chateauroux, fiero del suo "curriculum" giudiziario in Francia,
in regime di sorveglianza stretta, con obbligo di firma e fedina penale bruciatache gli racconta la
sua storia.
Ciò che emerge da questa inchiesta è che all’origine delle svolte jihadiste di questi personaggi, ci
sono sempre alcuni fattori comuni:
«un rifiuto della società verso i giovani musulmani o arabi che è molto difficile da
accettare», afferma Said, che sta alla base di una sensazione di non appartenenza a nessun
gruppo etnico, culturale, né religioso.
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una ricorrente tematica riguardante il rapporto con il sesso femminile: «Sono rimasti
bloccati a quello stadio là, quando sei adolescente e hai voglia di avere tutte le donne per
te» ‐ «sono delle persone che hanno visto dei film porno e si sono immaginati al posto
dell’attore protagonista. Quando Dae'sh ha promesso loro che avrebbero avuto tutto ciò
nella forma del paradiso prêt‐à‐porter affollato di vergini, o “houri” è stato un successo
immediato». «Una volta Oussama ha cominciato a parlarmi delle vergini del paradiso, con gli
occhi persi nel vuoto. E ha concluso che quella sera sarebbe stato da solo in camera sua,
mentre avrebbe potuto essere in paradiso con le famose vergini se, armato di coltello,
avesse assaltato un commissariato quello stesso giorno».
una diffusa e profondamente radicata ignoranza, superficialità e disinteressamento per
quanto riguarda lo studio della religione islamica. «La religione per loro è solo un
pretesto. Se ne fregano alla grande, della religione. Te lo dicono anche, senza rendersene
conto. Se credono in Allah, è solo perché Allah gli ha promesso le vergini. E basta. Credono
di rispettare la religione, ma non hanno né rispetto, né religione».
una costante attenzione comunque al mondo moderno, dalla tecnologia al marchio delle griffe
della moda, la musica pop e rap, profondamente consumistico che conquista anche le donne,
sopratutto giovanissime.
«Dae'sh ha molti più legami con la pornografia e con il suicidio che con l’Islam. Anzi, è
riconducibile proprio all’alleanza diabolica tra queste due nozioni», conclude Said nella sua
inchiesta.
Il pensiero jihadista moderno legato a Dae'sh, fa leva anche sulla rottura delle frontiere, come
quelle tra Iraq e Siria, edificate dapprima dalle potenze coloniali ed in seguito sostenute dal
nazionalismo arabo post coloniale dittatoriale e puntando invece sugli antichi legami tribali in
nome di una ummah unita e globale.
Anche se, nonostante vi sia questa idea di uno "stato" unico "islamico" c'è da dire che all'interno
permangono comunque delle rivalità nazionalistiche, dove ad esempio, nelle gerarchie dello Stato
Islamico gli iracheni, specie quelli che hanno servito nell’esercito di Saddam Hussein, occupano
un posto più in alto dei corrispondenti siriani.
La solitudine interiore ­ profilo psicologico
Erin Marie Saltman e Melanie Smith, dell'International Centre for the Study of
Radicalization del King’s College di Londra, in un dossier sul tema del terrorismo e
dell'integralismo islamico orientano anche loro le proprie conclusioni su questi punti chiave:
l’isolamento sociale e/o culturale causato dall’essere donne molto spesso di origini
mediorientali che vivono in società occidentali,
la sensazione di fare parte di una comunità ‐ quella musulmana ‐ sotto attacco e
perseguitata e la rabbia e la frustrazione dovute alla mancanza di sensibilità della
comunità internazionale di fronte a questo attacco, (ma allo stesso modo di non farne
parte totalmente, in quanto spesso seconde o terze generazioni)
l’utopia di uno stato (il Califfato) nel quale le donne potranno vivere secondo le regole
dell’Islam, sarebbe la vita ideale, in quanto lì ci sarebbero le leggi di Allah. Utopia
rivelatrice della profonda crisi che attraversa il mondo islamico.
la possibilità di trovare uno sposo e un combattente cui dare dei figli che saranno a loro
volta dei piccoli leoni del Califfato (per le donne).
Non ultimo, McCants e Meserole sottilineano sempre il fattore di sub‐urbanizzazione come
componente concorrente al disagio giovanile, nello specifico dell'interazione tra i tassi di
urbanizzazione e di disoccupazione tra i giovani. Quando il tasso di urbanizzazione si aggira dal 60
all'80%, con una percentuale di giovani inoccupati dal 10 al 30% appare sistematicamente un
aumento dell'estremismo sunnita. http://www.islamitalia.it/islamologia/chi_sono_jihadisti.html
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In alcuni sobborghi di Parigi, (Montrouge, Saint Denis) ma anche Tourcoing, Lyon, Toulouse in
Francia e Molenbeek e Verviers in Belgio o così come Ben Guerdane (Tunisia) in proporzione
generano un numero "estremamente importante" per i candidati per la jihad. Essi di fronte a
questo cocktail, combinano cultura politica francese, (che porta con sé urbanizzazione e
disoccupazione giovanile) a ipotetici valori identitari arabo‐islamici. "Partiamo dal presupposto
che quando ci sono alte percentuali di giovani disoccupati, alcuni dei quali sono destinati alla
delinquenza. Se vivono in città, hanno più opportunità di incontrare persone che hanno
abbracciato una dottrina radicale. e quando queste città si trovano in paesi francofoni con
concezione virulenta della laicità, mentre l'estremismo sunnita appare più attraente".
Mancati rapper o mancati soldati dell'esercito.
Omar Ismail Mostefai, prima di diventare uno dei kamikaze del Bataclan, aveva sognato una
carriera da rapper. Stesso sogno per Cherif Kouachi, uno dei due fratelli uccisi dopo l'assalto a
Charlie Hebdo.
Tutti questi casi sembrano accomunati più da un tratto psicologico più rilevante di quello
ideologico o religioso. Disturbo narcisistico della personalità. Sono individui incapaci di
percepire il dolore altrui e accomunati da un desiderio di fama e grandezza che non riesce a
fare i conti con la vita grigia di ogni giorno.
In queste menti disturbate, fallite la altre possibilità, la sola occasione di esprimere il proprio ego
ipertrofico, sembra essere un suicidio spettacolare, tragico, che infligga dolore agli innocenti e
apra le edizioni straordinarie dei TG. La stessa motivazione sembra muovere i rich‐kids autori
della strage di Dacca, i foreign fighters che si uniscono all'ISIS, i folli che assaltano cinema USA
indossando la maschera di Joker.
Viviamo un tempo di solitudini. Viviamo un tempo di aspettative infinite e irrealizzabili.
Siamo bombardati da un consumismo delle aspettative nutrito ogni momento dal mercato, da
tanta politica, dal populismo, da buona parte del sistema mediatico, dai social network, da un
senso comune che ci esorta ad esagerare, a desiderare troppo, che non ammette sconfitte,
separazioni, dolore, perdenti.
Depressione, sottostima, percezione negativa del rifiuto, il senso di smarrimento e la
perdita di senso dell’esistenza fino al sentirsi già fisicamente morti, sono caratteristiche e
sintomi comuni riscontrati nei soggetti che si sono resi autori di atti terroristici. Queste patologie
si sommano spesso a regimi carcerari alquanto deboli e per nulla restrittivi dove spesso
avvengono incontri che rivelano determinanti per la radicalizzazione di molti individui, in
alcuni casi vi sono precedenti di satanismo che si uniscono a suggestive ricostruzioni
fantastiche dell'aldilà dettate principalmente da ignoranza e iper‐credulità, in merito a vaghe
e del tutto fantastiche prospettive che rasentano il mito escatologico di un aldilà ricco di ogni
desiderio umano, talvolta proibito in terra. Ecco comparire le vergini come riscatto al martirio.
Sono giovani, giovanissimi che, pur vivendo ai margini della società, spesso in contesti popolari
ghettizzati più che altro dall'aspetto economico che dalla loro origine, sono molto legati alla
tecnologia, sempre connessi a Internet, (utilizzano molto i social media, ma generalmente
mascherano le loro conversazioni sfruttando applicazioni come Telegram o chat della
Playstation, che grazie alla crittorgrafia riescono a non farsi intercettare), amano ritrovarsi al
McDonald's, conoscono marginalmente o per nulla la lingua araba, non conoscono, il Corano,
né si impegnano a leggerlo. Non solo Da'esh ma tutti i gruppi terroristici islamici sanno pochissimo
dell'Islam e non sono fanatici estremisti religiosi benche' in maggioranza sono reclutati dalla massa
meno colta e piu' bisognosa.
L'esperto di sicurezza americano Patrick Skinner afferma che "la maggior parte delle reclute
cerca un senso di appartenenza, di notorietà e di eccitazione". Solo il 5% ha una conoscenza
approfondita del credo islamico e "a farsi saltare in aria solo raramente sono persone che hanno
una buona conoscenza dell'Islam". Per questi giovani
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Il jihad, per loro, è visto come lo strumento attraverso cui purificarsi dalla contaminazione
prodotta dal contatto con le nostre società. Questi giovani jihadisti cedono alle tentazioni
(radicali) non vedendo altre strade verso la dignità umana: la morte diventa per loro una atto per
riscattarsi non avendo compiuto niente di significante nella loro vita, una morte piena di senso non
avendo offerto niente di concreto alla società.
Il sesso è anche parte dominante dei pensieri di questi ragazzi, sembrebbe cosa normale vista la
loro età, ma inconsciamente vivono una frustrazione interna dovuta forse a regole inconsce che
recepiscono sin da piccoli nell'ambiente familiare, sebbene vivendo in un contesto occidentale,
vedendo gli altri ragazzi come si comportano. Il sesso, se ne parla certo continuamente ma viene
visto spesso come ricompensa di un sacrificio in chiave di visione escatologica tradizionalista
storpiata e dai caratteri leggendari emitologici.
La religione offre loro una risposta sul chi sono, sulle loro radici, ma si avvicinano solamente
perché attratti da un mondo illusorio e tradizionalmente fantastico, permeato da tradizioni
mitologiche che si provengono dalla cultura araba‐nomade per‐islamica.
Molti giovani sono stati attratti dalla vita nello Stato Islamico grazie a stipendi impensabili finora
e con in mano un'arma che gli da il potere e la forza nel suo ambiente per distinguersi. Chi ha
organizzato queste guerre ha centrato gli obiettivi che i giovani volevano sentire, ma scopo
principale è quello di deformare il concetto base della religione Islamica.
Gli obbiettivi del terrorismo internazionale di dichiarata matrice islamista, contro il mondo
occidentale sono sempre rivolti verso popolo e i poveracci, mai contro i palazzi di potere, mai
contro chi governa questo occidente, mai contro la finanza capitalista. E ciò ci fa capire
quanto in realtà proprio queste perverse ideologie assassine sia veramente interessate a colpire il
mondo occidentale, quanto invece siano veramente
Alimentare lo scontro di civiltà fra i poveri e far credere che il problema sia il disoccupato
musulmano che runa lavoro e condiziona la vita al disoccupato "cristiano" autoctono.
Anche il linguaggio usato dai membri di Da'esh è interessante da studiare. Esso è permeato
costantemente da termini di uso antico e modi di dire che riflettono il mito di un ancestrale
glorioso periodo califfale, quasi a rieccheggirare un mix fra l'impero ottomano e i primi califfati
(Khilafat al‐Rashidun). Gli sciiti, ad esempio, spesso, vegono chiamati "nuovi safavidi", in
riferimento alla dinastia‐confraternita mistica di lingua e cultura turca, originari del Kurdistan
persiano,
Oppure per indicare gli alawiti, la branca dello sciismo cui membri appartengono al clan al potere
in Siria a partire dal presidente da circa mezzo secolo nusayri In epoca moderna e
contemporanea, tale termine è rimasto nell’uso locale e quotidiano, ma ha assunto un significato
dispregiativo.(bestemmiatori di Dio)
Oltre all'emarginazione, alla ghettizzazione, al
disagio sociale, alle disuguaglienze, vi sono le
conseguenze di una mancata integrazione delle
migrazioni che porta il peso di un neocolonialismo
laicista che concepisce il flusso migratorio (e le
successive generazioni) solo come manodopera
da assimilare
Non si tratta quindi solamente di emarginazione interna e disuglianze della popolazione
musulmana nei paesi occidentali (come la Francia, la Germania e il Belgio) segnati dalla crisi
economica e da una massiccia disoccupazione, quanto piuttosto i dubbi esistenziali della società
ospite:
i
giovani
discendenti
degli
immigrati,
spesso
cittadini
europei
si
mostrano
apparentemente più "religiosi" dei loro genitori, ma fanno proprio un senso tutto loro di religiosità.
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Nelle società europee post‐moderne, sottolinea il prof. Frédéric Pichon, ordinario di geopolitica
e autore di "Syrie: Pourquoi l’Occident s’est trompé", paesi come la Francia, paladina della
difesa dello spirito repubblicano laico e universalista, che, in realtà, tende sempre più verso una
sorta di indifferenziazione sociale, hanno presupposto di integrare i nuovi arrivati senza
tener conto del loro background culturale e religioso. Sempre più finalizzate a condurre una sorta di "neocolonialismo mentale", le élite francesi,
hanno portato al fallimento di ogni progetto mirato all'integrazione sociale, convinte che le culture
sarebbero confluite e manipolate nel grande universo globale. Ciò ha rivelato tutta l'incapacità di
considerare le attitudini e le esigenze religiose degli immigrati e dei loro discendenti, senza
invece coltivare tali diversità come costruzioni culturali, nel quadro di una Europa sempre più
multiculturale.
La ghettizzazione delle popolazioni musulmane ha portato inevitabilmente alla "costituzione di
una controsocietà", continua il prof. Pichon, in cui i riferimenti alle origini prevalgono e
distorgono le basi della cultura occidentale spesso con radicali interpretazioni relative al controllo
sociale, come ad esempio attraverso la «protezione» del corpo femminile o il rapporto con i
cristiani. Questa sorta di controsocietà si rivela al minimo contrasto e pretesto, laddove le
ingiustizie nei confronti dei musulmani che persistono nei paesi di origine e di fratellanza di fede,
come in Palestina, ad esempio, si ripercuotono nella società europea, dando orgine ad una sorta
di "muro di reciproca incomprensione".
Il prof. Pichon sottolinea, quindi, come si assista, quindi, ad una lotta antitetica civile interna
che vede da una parte una cultura dell’irriverenza, della mancanza di rispetto verso le diversità,
dall’altra il letteralismo, quale risposta dettata da una cultura per la quale la sacralità è radicata
al suo interno e per la quale alcuni punti fermi come l'onore, la vendetta, l'interepretazione
dogmatica, fanno parte delle sue convenzioni social, in risposta alla decadenza della sacralità in
occidente.
Allo stesso modo, in merito al terrorismo in Francia, il prof. Giuseppe Sacco, ordinario di
Relazioni e sistemi economici internazionali, sostiene che proprio "l’ideologia laicista" avrebbe
"prodotto una coorte di giovani alienati cui la République non sa e non vuole parlare". Una buona
dose di responsbilità indiretta sarebbe quindi da attribuire alla società e alla politica
francese investita di "estremismo laicista", e abbia così applicato ai migranti e alle successive
generazioni, una sorta di "assilmilazione socio‐culturale laicista", prima ancora di assistere il
flusso migratorio di persone nei problemi economici e sociali, prima ancora di potersi esprimere,
concependo l'immigrazione come un "flusso di possibili soldati" destinati alla manodopera.
E' indubbio, quindi, che alla base di ogni radicalizzazione vi siano delle condizioni di disagio
sociale, dovute a numerosi fattori quali "l'incompleto radicamento socioculturale", (come
giustamente afferma il prof. Sacco), la disoccupazione, la non accettazione da parte della
società laicista europea, la scarsa partecipazione politica, l'emarginazione della popolazione
carceraria, agevolando così di fatto le basi per il reclutamento da parte dell'estremismo islamico,
(sia esso dal carcere, in moschea, per strada o in Internet), alla ricerca non solo di
un'accettazione, ma anche alla ricerca delle proprie origini, alla ricerca anche di un riscatto
sociale, anche grazie ad azioni eclatanti che facciano parlare di sé e trovino un'auto‐
giustificazione in quell'insana e deviante interpretazione radicale che concepisce un mondo
utopistico e illusorio del tutto privo di dovuta spiritualità.
Da dove vengono le armi usate dai terroristi ?
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Un
rapporto
di
Amnesty
International
denuncia il fatto che in Siria e in 'Iraq i
jihadisti di Da'esh utilizzano armi e munizioni
provenienti da almeno 25 paesi, tra cui tutti
i paesi membri del Consiglio di sicurezza
dell’Onu e l’Italia.
La maggior parte delle armi usate dal
gruppo jihadista è stata sottratta dai
depositi di armi in Iraq dopo la conquista di
Mossul nel giugno del 2014, di cui una gran parte di esse era stata fornita all’esercito iracheno
dagli Stati Uniti. Tra il 2011 e il 2013 gli Stati Uniti hanno concluso contratti miliardari con il
governo iracheno per la fornitura di armi e verso la fine del 2014 sono state inviate munizioni e
armi leggere per un valore di 500 milioni di dollari. Mentre in Siria gran parte delle armi che usano
i ribelli sono state sottratte all'esercito regolare siriano tramite coloro che hanno disertato, in gran
parte sono armi di fabnbricazione sovietica.
La guerra tra Iran e Iraq, tra il 1980 e il 1988, ha dato inizio al mercato nero delle armi in Iraq.
Per quanto riguarda, invece, le armi usate dai terroristi islamisti in Europa, gran parte di esse
provengono dal mercato nero dell'Est Europa. I due mitra che imbracciava Ahmed Coulibaly, nel
suo assalto nel supermercato kosher Hyper Cacher a Parigi, il 09 gennaio 2015, erano del tipo
Ceska VZ 58, provengono dalla Cecoslovacchia comunista. Uno è stato fabbricato nel 1961, l'altro
è un modello extracorto del 1964. Secondo gli investigatori francesi, si tratta di armi rottamate
dall’esercito, in cattivo stato, ma ancora capaci di esplodere colpi mortali. I due fucili d’assalto
hanno il marchio KolArms, una fabbrica di armi slovacca. Uno era stato disattivato e trasformato
in un'arma a salve nel 2013 da KolArms; l'altro modificato un anno dopo, reca inciso il numero di
serie 63622, che scrive L'Espresso. Molte di queste armi erano poi riattivate da armaioli al servizio
delle organizzazioni criminali.
Molto spesso, quindi, si tratta di armi demilitarizzate legali vendute anche regolarmente, talvolta
dichiarate come "giocattoli", ma che diventano illegali con una semplice modifica della canna.
Queste armi, in gran parte, provengono dai magazzini statali slovacchi della polizia e dell'esercito.
Dopo il crollo del blocco comunista, ne sono state vendute migliaia a società come KolArms, che
ha trasformato strumenti di morte in armi giocattolo: innocue, da un punto di vista legale, ma per
i criminali un'opportunità da trasformare in strumenti di morte.
Le pistole Tokarev TT33, le stesse che Coulibaly portava con sé, sono più costose. Risalgono
rispettivamente al 1951 e al 1952 ed erano state trasformate da KolArms nel 2014, prima di essere
riattivate da terzi. Esse provenivano dalla regione di Marsiglia nel 2012 e arrivate a Parigi nel
luglio del 2014.
Gran parte dell'arsenale di Coulibaly proveniva dal negozio AFG Security nella città slovacca di
Partizanske. Quest'ultimo è un seminterrato di un condominio a due piani, nei pressi di una
ferrovia. Un giornalista di “Der Spiegel” lo ha visitato, ma i proprietari si sono rifiutati di
rispondere a qualsiasi domanda.
La storia delle provenienza di queste armi ha veramente del paradossale, come scrive il
settimanale L'Espresso: nel 2014, un pacco proveniente dalla Germania e destinato a un gangster
inglese, Alexander M., alias Smokey, ladro di Londra che ora sconta una condanna a vita. Il
pacco conteneva fucili mitragliatori del tipo VZ61 noti anche come Skorpion. Smokey li aveva
ordinati dal carcere, attraverso il suo smartphone. L'intermediario tedesco sarebbe stato un
certo Max Mustermann, che controllava il traffico di armi su un sito commerciale sulla cosidetta
“dark net”, chiamato Agorà. Nel gennaio 2015, gli agenti della polizia tedesca irrompono
nell'appartamento di un certo Christoph K., studente di 20 anni, della città bavarese di
Schweinfurt a cui facevano riferimento i numeri di identificazione delle email. Christoph K. stava
riattivando armi acquistate dall’AFG nella sua cantina per poi venderle con un profitto dieci volte
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superiore al prezzo a cui le aveva comprate. Fu condannato a quattro anni e tre mesi di carcere.
Anche un certo Alexander R. era nella lista di queste email, che faceva affari con una rete
neonazista collegata con il Wehrsportgruppe Hoffmann, un gruppo di estrema destra fuorilegge
che praticava sport armati. Venne condannato a quattro anni di prigione, una volta uscito,
Alexander R. compra ancora molte armi da AFG.e viene arrestato di nuovo.
Un altro grosso cliente del negozio AFG era un certo Claude Hermant, paramilitare, ex membro
del Front National, che era finito in carcere in Congo dopo aver preso parte a un colpo di Stato
fallito. Egli gestiva un survival‐shop vicino a Lille (Francia settentrionale) e acquistava armi di
E' inevitabile, quindi, che il mercato delle armi nell'Europa dell'Est stia alimentando il terrorismo
in occidente, mentre bande criminali utilizzano scappatoie legali e frontiere aperte per
contrabbandarle. Nonostante gli avvertimenti sui rischi per la sicurezza, la politica della libera
circolazione delle merci ha facilitato la vendita di armi:
L'inchiesta realizzata da un pool di giornali europei
Fonti e approfondimenti:
"Moi, le Coran, je m'en tape": les jeunes djihadistes français dirigés par une révolte
personnelle et l'ultraviolence, pas par l'islam ‐ RTL INFO BELGIO (27/11/2015)
“Io, del Corano me ne frego.”: I giovani “jihadisti” tra rivolta personale e sete di violenza,
l’Islam è solo un pretesto ‐ Islam Torino (24/03/2016)
Oliver Roy ‐ Quella dei jihadisti è una rivolta generazionale e nichilista ‐ Le Monde
pubblicato in versione italiana da Internazionale (27/11/2015)
Marco Cesario ‐ Jihadisti? Una rivolta generazionale e nichilista. La tesi di Olivier Roy‐
eastonline
Seminario: Daesh, lo Stato islamico: dottrina, politica, strategie ‐ Università di Ca' Foscari
Venezia (15/12/2015)
Oliver Roy ‐ Global Muslim ‐ Le radici occidentali del nuovo Islam (2003)
Seyyed Hossein Nasr ‐ Ideali e realtà dell'Islam, trad. it. di D. Venturi, Rusconi, Milano 1988,
pp. 28‐30
Tous les terroristes sont musulmans excepté 99,6 % d'entre eux qui ne le sont pas ‐ ajib.fr
Mathieu Guidere ‐ facebook profile
OLJ/AFP/Sébastien BLANC ‐ La francophonie, facteur clé de la radicalisation jihadiste, selon
des chercheurs ‐ L'orient le Jour.com (26/03/2016)
Ludovico Camposampiero ‐Da dove vengono i jihadisti? ‐ RSI News (18/11/2015)
Da dove vengono le armi usate dai jihadisti dello Stato islamico ‐ Internazionale (09/12/2015)
Daniel H. Heinke ‐ ICSR Insight – German Jihadists in Syria and Iraq: An Update ‐ ICSR
(29/02/2016)
Le condanne contro Sharia4Belgium ‐ Il Post (11/02/2015)
Massimo Campanini, Alfredo Mantica, Anna Vanzan ‐ L’Islam, il terrorismo e il continente
europeo ‐ Spazio transnazionale ‐ Radio radicale.it (28/03/2016)
European Investigative Collaborations ‐ Le armi dei terroristi del Bataclan comprate a 200
euro nel cuore d'Europa ‐ L'Espresso (18/03/2016)
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European Investigative Collaborations ‐ Così la politica Ue sulle armi ha aperto la porta agli
attentati e dato gli strumenti ai terroristi ‐ L'Espresso (18/03/2016)
Paolo Mastrolilli ‐ Così il mercato nero delle armi alimenta il terrorismo in Europa ‐ La
Stampa (21/11/2015)
Angela Geraci ‐ Coulibaly comprò le armi in Belgio Con un mutuo e a meno di 5mila euro ‐
Corriere della Sera (14/01/2015)
Filippo Ortona‐ Io infiltrato in una cellula del Califfo ‐ L'Espresso (01/08/2016)
Marta Serafini ‐ Velo e kalashnikov, chi sono le «foreign fighters» di Isis ‐ Corriere della Sera
Paolo Biondani ‐ Ancora libera in Arabia Saudita la terrorista ricercata dall’Italia‐ L'Espresso
(18/11/2015)
Roberto Von Flüe e Mariano Snider ‐ Trasmissione "Falò" ‐ Sognando il Califfato ‐ RSI.ch
(01/12/2016)
Matteo Carnieletto e Andrea Indini ‐ I manuali dello Stato islamico‐ Gli Occhi della Guerra
(28/11/2016)
Anthony Torres ‐ Un rapport officiel belge souligne les liens entre la police et les terroristes
de Bruxelles ‐ Mondalisation.ca (04/05/2016)
Oliver Roy ‐ L’islam face au terrorisme, Le Monde, (10/01/2015)
Giuseppe Sacco ‐ La Francia e i suoi figliastri ‐ Dopo Parigi che guerra fa ‐ Limes n. 01/2015
‐ ISBN: 9788888240558
F. Pichon ‐ Laicité cattolica e jihadisti secolari: la maionese francese è impazzita ‐ Dopo
Parigi che guerra fa ‐ Limes n. 01/2015 ‐ ISBN: 9788888240558
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