Guantigialli

Transcript

Guantigialli
 Guantigialli La prima volta che l’avevo visto era stato quasi due mesi prima. Una faccia nuova. Uno dice “Bella forza, con la crisi…hai voglia di gente nuova, insospettabile, che ti arriva in mensa”. Già perché io il mercoledì sono sempre di turno alla mensa dei frati Francescani, quella dopo il ponte di via Farini. Dove distribuiscono anche gli abiti e hanno lo Sportello Lavoro, per aiutare quelli che non sono proprio alla frutta. Io sono uno di quelli. Ora faccio il giardiniere per una ditta di manutenzione del verde di Cesano Boscone e il mercoledì ho mezza giornata libera e la passo scodellando alla mensa. Ancora dopo due anni da reinserito ritrovo vecchi amici, giro un deca ogni tanto e offro il caffè al bar a fianco. Nelle ultime settimane, però, era successo qualcosa di nuovo e volevo indagare. A fondo. Io il fiuto l’ho sempre avuto. E credetemi se dico che quel tizio allampanato, ancora giovane, qualcosa che ricordava Gregory Peck dei suoi tempi peggiori, in mezzo a noi non ci azzeccava niente. Certo, quell’aria distinta poteva anche significare che era un nuovo povero, un professore, un ex bancario che perde insieme moglie e lavoro. Quanti ne avevo visti! Tutti molto a disagio, all’inizio, i signorini. Un poco schifiltosi, pure. Però, in guanti gialli nessuno si era mai presentato prima di lui. Proprio guanti di cuoio, di un giallo vissuto, belli spessi. La fatica che faceva Guantigialli ad afferrare la sbobba! E come ispezionava il vassoio, sniffava il rancio e lo portava soffrendo alla bocca. ‘Sto Guantigialli qua era forte! Le prime volte arrivava con quel suo cappottone nero, occhi a terra, e gomiti in fuori a creare la sua barriera personale. Mangiava sempre talmente poco e con un tale schifo che Vincenzo il panzone si piazzava sempre vicino a lui. Appena Guantigialli mollava il vassoio, quasi pieno, Vincenzo, una saetta umana di 120 chili, lo arpionava e finiva gongolante il pasto. Però, iceberg in primavera, anche Guantigialli, col tempo, cominciò a sciogliersi. Così sono riuscito a mettere insieme la sua storia. Si chiama Marco, trentasei anni, divorziato lasciato in mutande da moglie esosa, stessa trafila del sottoscritto con la bottiglia, perdita del posto di manager in una multinazionale e…benvenuto tra noi, fratello! Intanto erano passati due mesi e lui adesso portava dei guanti, sempre gialli, ma di nappa leggerissima. Primo indizio: man mano che si ambientava i guanti diventavano più leggeri. Ma dico. Non c’hai una lira, ti arrabatti a una pompa di benzina a San Giuliano e ogni due o tre settimane…zac! Escono fuori dal cilindro guanti, sempre gialli e sempre della tua misura, ogni volta più sottili? Eh no, bello mio, qui c’è qualcosa che non quadra! Sapete com’è la curiosità, che ti rosica finché non l’accontenti? È stato così che ho cominciato a seguirlo. Diventavo la sua ombra, appena usciva dalla mensa. L’andatura cambiava, sempre più baldanzosa, lo sguardo non più fisso a terra. Lo seguo e lo segui finché non mi porta in una zona figa di Milano: Corso Venezia! Siamo a maggio inoltrato, vorrà provare l’ebbrezza di una notte in panchina, nei giardini di Palestro? Invece, guarda a lungo un portone sciccosissimo sul Corso, poi prende una viuzza laterale piena di alberi e, con la sua chiave! entra dal retro del palazzo. Darà una mano al custode, per le scale, la rotazione sacchi, mi dico. Però è strano che un custode lascia le chiavi a un avventizio, e così male in arnese, poi! 2 E allora, Alvaro, tocca aspettare: dovrà pure uscire! Oh, ma quale uscire, aspetta e aspetta …nisba, Guantigialli è scomparso. Il mercoledì successivo conto di beccarlo all’uscita. Macché. Di Marco neanche l’ombra. A un certo punto la mia malandata vescica non ha retto, il bar più vicino era sul Corso e ho sommato le cose e ordinato una piadina da mangiare mentre ero di guardia. Per andare al bar son dovuto passare davanti al portone principale di Corso Venezia. In quel momento è uscito un uomo giovane, elegantissimo, un manager sputato, alto, magro e col passo dell’uomo di potere. Mi ricorda Gregory Peck al massimo della forma e mi ricorda …! Porca vacca! Lui, Guantigialli, in forma strepitosa e con l’odore di soldi che gli esce dalle orecchie! Che razza di storia è questa? O la risolvo o do fuori di matto! Così non mi resta che ontinuare ad essere la sua ombra. Corso Venezia, via Palestro e, poi via Manzoni. Subito dopo Montenapo, Marco ripulito svolta in via Bigli e qui si ferma davanti a un portone marmo e granito, lussuoso quanto quello di prima. Appena sparisce nell’androne mi fiondo a leggere le targhette. Qualche professionista, ingegnere… avvocato… notaio… psicoterapeuta… Psico… un medico del cervello! E se non è svalvolato l’amico Marco, dico io! Così mi armo di pazienza e aspetto il tempo, pagato a peso d’oro, che i dottoroni concedono agli svitati. Lui viene fuori esattamente un ora e cinque minuti dopo. Mi piazzo davanti a lui:‐ Ehi, come va Guantigialli? ‐ e ghigno pensando a come salterà su per la sorpresa. Invece mi sorride tranquillo e infila il braccio sotto il mio: ‐ Oh, eccoti qua, Alvaro!‐ hai fatto bene ad aspettarmi. Ceniamo insieme? Te lo meriti dopo tutti questi pedinamenti. – Ride vedendo la mia espressione sbalordita, e mi dà un buffetto sulla spalla: ‐ Certo che me ne sono accorto. Sai noi 3 fobici abbiamo gli occhi anche dietro la nuca.‐ A tavola, saletta appartata del Re pescatore, che quanto mai mi sarei potuto permettere, Marco mi svela il mistero. È grazie anche a me, mi dice, che c’è l’ha fatta ad uscire da una situazione bella tosta e che durava da troppo tempo. Grazie a me, a Vincenzone e alla sbobba che si era costretto a mandar giù per vincere la sua fobia dello sporco. Mi racconta:‐ È stata la terza volta che ero lì, terrorizzato dal cibo davanti a me e dall’umanità brulicante. Mentre Vincenzone guardava famelico i piatti ancora intatti sul mio vassoio, tu ti devi essere scocciato delle mie manfrine, hai preso un bel pezzo di spezzatino con i piselli e me lo hai cacciato in bocca, dicendomi E mangia bello mio…mangia. Quello che non strozza ingrassa! La frase magica, il momento da cui tutto comincia a cambiare è stato quello. ‐ Marco, dopo un matrimonio disastroso e una moglie che gli ha fatto la guerra per gli alimenti, ha cominciato a sviluppare una fobia tostissima per lo sporco, vedeva germi appostati in ogni angolo. Si era rivolto al miglior psicoterapeuta sulla piazza, ma non è che fosse servito a molto. Finché una sera lo scienziatone, secondo me, ormai stufo pure lui, era sbottato e gli aveva detto che ci sarebbe voluta una bella terapia d’urto in un caso ostinato come il suo. Per esempio, andando a mangiare a una mensa dei poveri. Marco si era aggrappato alla frase e aveva deciso che andava presa alla lettera. La settimana dopo era sbarcato da noi Guantigialli. Uscendo dal ristorante Marco si avvicina a un furgone nuovissimo, giallo canarino. Mi consegna chiavi e libretto e mi dice:‐ Il vecchio Wolskswagen sta proprio “tirando gli ultimi”, no? Come dici sempre tu. Mettetelo a riposo, è sempre poco rispetto a quello che voi avete fatto per me.