Parere svolto di diritto civile in tema di vendita

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Parere svolto di diritto civile in tema di vendita
PARERE svolto di diritto civile in tema di VENDITA :Garanzia per i vizi della cosa venduta
La s.p.a. Beta ha comprato dalla s.r.l. Gamma, in data 2.2.11, un macchinario per la
produzione di carta da imballaggi. Tale bene è stato consegnato il 4.5.11 tramite il vettore
Sempronio. In data 15.11.11. i tecnici di Beta costatano che tale macchinario presenta vizi
intrinseci i quali ne limitano la capacità produttiva, debitamente illustrata del dépliant
informativo
reso
pubblico tramite svariati siti telematici. Il difetto funzionale che precede viene comunicato
a
Gamma
dopo
un
mese
dall'accertamento
della
patologia.
Il
3.2.12 la società venditrice propone alla controparte di sostituire senza oneri, tramite i
propri tecnici, le componenti difettose della "restradita" al fine di ripristinare il suo
perfetto funzionamento. Beta accetta tale proposta con risposta scritta. Sennonché, la
promittente non dà esecuzione all'impegno assunto, nonostante plurime intimazioni
documentate in tre lettere raccomandate. Assunte le vesti di patrono di Beta,rediga il
candidato parere motivato, affrontando tutti gli istituti di diritto sostanziale sottesa dalla
questione di fatto.
-----Il 2 febbraio 2011 la s.r.l. Gamma ha venduto alla s.p.a. Beta un macchinario per la
produzione di carta da imballaggi. La consegna del bene è avvenuta, a mezzo vettore, il 4
maggio 2011.
Il susseguente 15 novembre la compratrice s’avvide che il bene negoziato presentava
difetti, che ne limitavano la capacità produttiva illustrata grazie al materiale informativo.
Tale patologia è stata denunziata dopo un mese dal suo accertamento.
A séguito di questa denunzia la venditrice si è impegna ad eliminare il difetto. Ma detta
promessa non è stata onorata.
Da quanto precede affiora che la società venditrice ha violato l’obbligazione di fornire al
compratore la cosa dotata delle qualità promesse (art. 1497, comma 1°, c.c.). È fuori
discussione che la capacità produttiva del macchinario in esame, documentata nelle
schede tecniche rese pubbliche dal produttore o dal rivenditore, integri gli estremi
dell’evocata promessa, da cui sorge il diritto dell’acquirente, innervato dal ragionevole
affidamento riposto sulla sua vincolatività, di pretendere che l’oggetto abbia le
caratteristiche documentate nel citato materiale illustrativo. L’idea d’assegnare alle
caratteristiche del bene rappresentate in brochure o dépliant il significato di qualità
promesse non è ignorato dalla giurisprudenza pratica. Essa ne ha fatto corretto esercizio in
una situazione nella quale la responsabilità ex art. 1497 c.c. è stata applicata a causa della
mancata corrispondenza del macchinario consegnato alle attitudini produttive enumerate
nel materiale illustrativo, sebbene quest’ultimo non sia poi stato espressamente richiamato
nell’ordine d’acquisto. Ciò in quanto la divulgazione dei menzionati attributi genera nel
compratore l’affidamento tutelabile del riscontro nella realtà delle performance così
propagandate (Cass., 3 aprile 1997, n. 2885).
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Ne consegue che se il bene consegnato è sfornito delle summenzionate caratteristiche, le
quali concorrono a determinare il suo valore economico, l’acquirente è senz’altro
legittimato ad esperire il rimedio della risoluzione, oppure – sebbene la predetta
disposizione sul punto sia muta – quello volto a chiedere la riduzione del prezzo (in senso
sostanzialmente conforme si veda Cass., 10 gennaio 1981, n. 247).
Ad ogni modo, anche per i difetti di qualità valgono i termini brevi di decadenza e
prescrizione cui sottostanno le c.d. azioni edilizie (art. 1497, comma 2°, c.c.). Ne consegue
che il compratore decade dalle tutele previste dal codice in ipotesi di difetti qualitativi
qualora non denunzi la difformità (occulta) entro otto giorni dalla scoperta (art. 1495,
comma 1°, c.c.), mentre l’azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) si prescrive in
un anno dalla consegna (art. 1495, ult. comma, c.c.).
Giova chiarire che, trattandosi di cosa mobile da trasportare, la società compratrice si è
liberata dall’obbligazione di consegna rimettendo il macchinario al vettore (art. 1510,
comma 2°, c.c.). Non deve però sfuggire che il termine annuale di prescrizione ex art. 1495,
ult. comma, c.c., decorre dal giorno in cui il compratore ha effettivamente ricevuto il bene
trasferito (art. 1511 c.c.).
Dall’esposta costellazione normativa affiora che al momento in cui la s.p.a. Beta denunziò
il difetto alla controparte, il termine di otto giorni era ormai spirato, con la consequenziale
possibilità – spettante alla trasferente – di eccepire l’estinzione del diritto di beneficiare
della tutela correlata alla mancanza delle qualità promesse.
Sta di fatto che l’impegno assunto dalla s.r.l. Gamma, avente ad oggetto l’eliminazione del
lamentato difetto qualitativo, ha determinato una duplice conseguenza:
a) anzitutto ha posto un argine all’effetto estintivo, intrecciato al mancato rispetto del
termine appena menzionato, che sarebbe potuto discendere dall’esercizio della potestà
riconosciuta al venditore dall’art. 2969 c.c. Quest’idea trae la propria base logica dalla
seguente considerazione: come – ai sensi dell’art. 1495, comma 2°, c.c. – il riconoscimento
del vizio o del difetto vanifica l’onere della denunzia ove il medesimo atto ricognitivo sia
antecedente allo scadere del termine di otto giorni, così, invece, la sopravvenienza della
denunzia al termine precitato importerà la rinuncia al diritto di eccezione ex art. 2696 c.c.
per la ragione che il sistema non può tollerare condotte contraddittorie (venire contra
factum proprium nulli conceditur) (cfr. Cass., 16 luglio 2002, n. 10288);
b) in seconda battuta ha altresì generato una nuova obbligazione – la cui fonte costitutiva
(promessa unilaterale o patto accessorio) è collegata al contratto (principale) di vendita –
governata dalle regole ordinarie in materia di vicende estintive (si allude all’art. 2946 c.c.).
Riservandoci di tornare su quest’ultima obbligazione, occorre adesso appurare se sia
maturato il termine annuale di prescrizione ex art. 1495, ult. comma, c.c. La risposta
positiva all’interrogativo presuppone che possa ritenersi sufficiente a realizzare
l’interruzione della prescrizione la denunzia del difetto fatta dalla compratrice dopo un
mese dal suo accertamento. Ai sensi dell’art. 2943, ult. comma, c.c., la prescrizione è
interrotta da ogni atto utile alla costituzione in mora del debitore. A tale proposito sembra
essere necessaria e sufficiente una dichiarazione fatta per iscritto, con la quale il
compratore richiede l’esatto adempimento, ossia l’eliminazione del difetto (conf. D.
Rubino, La compravendita, 2a ed., in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1971 p. 846; C.M.
Bianca, 1053 ss.). Bisogna però tener conto che in senso contrario si muove una parte della
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giurisprudenza forense, secondo cui la norma adesso considerata non sarebbe estensibile
ai diritti potestativi suscettibili di esercizio tramite domanda giudiziale (Cass., 27
settembre 2007, n. 20332; Id., 3 dicembre 2003, n. 18477; ma in senso opposto v. Id., 19
settembre 1999, n. 9630, a parere della quale ove il compratore comunichi alla controparte
che intende far valere il diritto alla garanzia, interrompe la prescrizione inerente a tale
diritto e, come non è necessaria l’individuazione del tipo di tutela che intende chiedere in
giudizio, così è irrilevante, ai fini della idoneità all’interruzione, la «riserva di scelta del
tipo di tutela, in quanto non è riserva di far valere un diritto diverso da quello in relazione
al quale s’interrompe la prescrizione»; conf. Cass., 3 agosto 2010, n. 18035).
Si noti per inciso che non sembra possibile scansare i problemi suscitati dall’art. 1495 c.c.
richiamando la categoria dell’aliud pro alio, che – è noto – affranca il compratore dai brevi
termini di decadenza e prescrizione, in quanto sono assenti i presupposti per ravvisare
tale categoria patologica, siccome il difetto che incide sulla capacità produttiva non pare di
per sé adatto a trasformare la res tradita in alia res.
Qui giunti, occorre considerare quanto disposto dall’art. 2944 c.c., che attribuisce al
riconoscimento del diritto per opera del venditore la capacità d’interrompere la
prescrizione. Ebbene, se si ritiene che la proposta di riparazione a titolo gratuito
sottintenda il riconoscimento del diritto spettante al compratore di esperire i rimedi ex art.
1497, comma 1°, c.c. (cfr. D, Rubino, op. loc. cit., sul fronte del diritto vivente si veda Cass.,
25 marzo 1988, n. 2586; Id., 13 giugno 1996, n. 5434), è allora ragionevole e logico
concludere che il termine annuale nella specie decorra ex novo dall’accettazione della
proposta.
Concentriamo ora la nostra attenzione sulla rilevanza dell’accordo obbligante la venditrice
all’eliminazione del difetto al fine di assicurare la promessa capacità produttiva del bene
trasferito. Vengono alla luce i tratti tipici del collegamento negoziale di matrice gerarchica:
l’emptio-venditio si pone quale fattispecie principale, la cui validità condiziona l’accordo
successivo impegnante alla riparazione del bene consegnato. All’interno dei confini
appena delineati entra dunque in gioco la massima «simul stabunt, simul cadent».
L’additata autonomia dà credito alla convinzione che la suddetta obbligazione di facere
sia governata dalla disciplina di diritto comune; per questo motivo non si scorge alcun
termine di decadenza, mentre sul fronte della prescrizione vale quello ordinario.
Poste queste basi, nasce il dubbio se l’accordo accessorio sia riconducibile nell’area del
contratto di novazione inerente l’oggetto della prestazione di garanzia. In altre parole,
l’intesa qui esaminata ha o no determinato l’estinzione della «garanzia» legale ex art. 1497
c.c., con la consequenziale costituzione di una tutela pattizia fondata sulla prestazione di
fare? Il problema gravita attorno all’elemento soggettivo del contratto novativo
rappresentato dal c.d. «animus novandi», che si sostanzia nell’inequivocabile
determinazione delle parti di generare il duplice effetto estintivo e costitutivo. Superata
l’errata suggestione di chi professa una specie di automatismo tra il patto di riparazione e
la dualità di effetti appena evocata, è evidente che il problema assume un rilievo di puro
fatto risolvendosi nella verificazione dell’elemento volitivo, sì da costringere il giudice ad
appurare se le parti abbiano effettivamente inteso perfezionare una vicenda abrogativa
della garanzia legale per difetti di qualità, con la contestuale costituzione di un rimedio
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atipico rappresentato dalla promessa di riparazione, la quale – secondo l’orientamento
dominante – è estranea alle prestazioni dovute ex lege dal trasferente.
Dall’indagine della vicenda su cui stiamo riflettendo non è dato riscontrare alcun elemento
utile a suffragare l’ipotesi della novazione oggettiva per diversità dell’oggetto.
Segnatamente, manca la non equivoca intesa preordinata alla sostituzione del rimedio
tipico con quello atipico (o convenzionale). Ragion per cui si deve fondatamente ritenere
che l’impegno di riparare il bene, ordinato dalla disciplina di diritto comune, affianca le
tutele dettate dallo statuto sulla compravendita, le quali restano invero soggette alla
norma-«capestro» di cui all’art. 1495 c.c. (così Cass., Sez. un., 13 novembre 2012, n. 19702;
né valga come smentita di questo dictum l’obiter sbrigativamente espresso da Cass., 25
giugno 2013, n. 15992). Per rafforzare questa conclusione è appena il caso di notare che, in
linea di principio, non vi è alcuna incompatibilità tra la tutela tipica e quella atipica qui
esaminata, potendo ambedue coesistere nello stesso rapporto negoziale.
Prima di avvicinarci alla conclusione del discorso è essenziale accertare quali rimedi possa
dunque esperire la società compratrice.
Richiamate incidentalmente le considerazioni sopra sviluppate quando trattammo dei
rimedi legali (art. 1497 c.c.), facendo perno sull’inadempiuto accordo impegnante
l’alienante a riparare il bene è giusto riconoscere che il creditore, stante la rilevanza e
gravità della trasgressione (art. 1455 c.c.), sia legittimato ad avvalersi dei rimedi di diritto
comune forgiati nell’art. 1453 c.c. Pertanto, potrà alternativamente chiedere la risoluzione
del contratto oltre ai danni pari al costo delle riparazioni e al mancato profitto, oppure il
suo esatto adempimento in aggiunta ai pregiudizi patrimoniali cagionati dall’imperfetto
funzionamento del macchinario compravenduto. Siffatte domande accessorie, consistenti
nel pagamento del danno differenziale (art. 1223 c.c.), sono anch’esse soggette alla
disciplina comune perché traggono titolo dal negozio accessorio alla compravendita, non
potendosi pertanto applicare la regola di cui all’art. 1494 c.c., la quale, essendo legata ai
rimedi fissati negli artt. 1492 e 1497 c.c., è quindi sottoposta ai termini sigillati nell’art. 1495
c.c. (la regola è ius receptum: Cass., 6 dicembre 2001, n. 15481; Id., 3 agosto 2001, n. 10728;
Id., 24 marzo 1993, n. 3527; Id., 13 marzo 1980, n. 1696).
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