BOZZA DI DECRETO DI RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA 2006
Transcript
BOZZA DI DECRETO DI RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA 2006
BOZZA DI DECRETO DI RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA 2006/123/CE RELATIVA AI SERVIZI NEL MERCATO INTERNO PROPOSTE E SUGGERIMENTI Roma Ottobre 2009 INDICE 1. FINALITA’, CAMPO DI APPLICAZIONE E SERVIZI CONNESSI A QUELLI OGGETTO DI ESCLUSIONE………………………………………………………..3 2. PROGRAMMAZIONE DELLE ATTIVITA’……………………………………………………….4 Esercizi di vicinato……………………………………………………………………………………..5 Grandi e medie strutture di vendita………………………………………………………….6 Commercio su aree pubbliche, su posteggio e in forma itinerante ……….6 Somministrazione di alimenti e bevande………………………………………………….7 Rivendita di giornali e riviste…………………………………………………………………….8 Forme speciali di vendita…………………………………………………………………………..9 3. ULTERIORI LIMITI ALL’ACCESSO ALL’ATTIVITA’ DI SERVIZI…………………10 Articolo 11…………………………………………………………………………………………………10 Articolo 12………………………………………………………………………………………………..10 Articolo 17…………………………………………………………………………………………………10 4. SERVIZI SUBORDINATI AD ISCRIZIONE AD ELENCHI O ALBI………………11 Articoli 19 e 20…………………………………………………………………………………………11 5. SEMPLIFICAZIONE DEI REGIMI AUTORIZZATORI ED ASPETTI DI RACCORDO CON LA NORMATIVA DI SEMPLIFICAZIONE DELLA P.A…….12 ALLEGATO 1…………………………………………………………………………………………….13 ALLEGATO 2…………………………………………………………………………………………….14 2 BOZZA DI DECRETO DI RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA SERVIZI (BOLKESTEIN) PROPOSTE E SUGGERIMENTI L’entrata in vigore della Direttiva Bolkestein in Italia comporterà un significativo impatto sulla normativa nazionale e regionale in materia di servizi. Le ripercussioni saranno molto significative soprattutto per quanto riguarda il settore distributivo, la cui regolazione è in parte determinata a livello nazionale per gli aspetti relativi alla tutela della concorrenza ed in parte attribuita al livello Regionale per effetto del decentramento di funzioni amministrative avvenuto nel 1998 poi confermato nel 2001 con l’attribuzione costituzionale alle Regioni delle competenze in materia di commercio. Le Regioni italiane, come anche lo Stato per la parte che gli compete, quindi saranno chiamati a rivedere la normative alla luce del recepimento della Direttiva servizi per adeguarla, qualora in contrasto, al dettato ivi sancito. Si prospetta il rischio di una mancanza di uniformità da parte dei vari livelli istituzionali coinvolti nell’approntare una nuova regolazione della materia e soprattutto è forte il timore dei riflessi che la costruzione di un quadro normativo frammentato comporterebbe soprattutto per le imprese del settore. Queste ultime infatti si potrebbero trovare ad operare in situazioni e legislazioni tanto diversificate da alterare i meccanismi della concorrenza non solo transfrontaliera, ma interna allo stesso Stato, il tutto contro la finalità generale di sostenere un equilibrato sviluppo del settore. Confcommercio, per evitare che gli operatori commerciali si trovino ad affrontare regole ingiustificatamente differenziate, ritiene opportuno esprimere alcune osservazioni sugli aspetti sui quali si ravvisa la necessità di addivenire ad una posizione unitaria, e intende fornire in tal modo al Ministero delle politiche comunitarie spunti da acquisire nella predisposizione del decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2006 123/CE (magari prevedendo il ricorso ad un’apposita intesa interistituzionale Stato-Regioni per definire criteri e linee guida cui le autorità competenti devono attenersi nella valutazione di compatibilità dei regimi normativi vigenti). I punti sui quali si richiama l’attenzione riguardano: 1. 2. 3. 4. 5. finalità, campo di applicazione e servizi connessi a quelli oggetto di esclusione; programmazione delle attività; ulteriori limiti alla prestazione di attività di servizio; servizi subordinati ad iscrizione ad elenchi o albi; semplificazione dei regimi autorizzatori ed aspetti di raccordo con la normativa di semplificazione della P.A. 1. FINALITÀ, CAMPO DI APPLICAZIONE E SERVIZI CONNESSI A QUELLI OGGETTO DI ESCLUSIONE Con riferimento alla finalità del provvedimento sembra importante richiamare il considerando 7 della direttiva laddove si mette in evidenza che la stessa intende istituire un quadro giuridico generale a vantaggio di un’ampia varietà di servizi basandosi su un approccio “ dinamico e selettivo” che consiste nell’eliminare in via prioritaria gli ostacoli che possono essere rimossi rapidamente e, per quanto riguarda gli altri ostacoli, nell’avviare un processo di valutazione, consultazione e armonizzazione complementare in merito a questioni specifiche grazie al quale modernizzare progressivamente i sistemi nazionali che disciplinano l’attività di servizi. 3 Per quanto riguarda il campo di applicazione l’art. 41, comma 1, lett. c) e d) prevede tra i principi di delega l’applicazione a tutti i servizi non esplicitamente esclusi e la definizione puntuale dell’ambito di applicazione. Quest’ultimo criterio appare tuttavia difficilmente traducibile poiché si scontra con la genericità della nozione di servizi identificati, secondo la definizione comunitaria, come attività non salariate/svolte senza vincolo di subordinazione e normalmente fornite dietro retribuzione/corrispettivo economico, attività soggette a continua evoluzione (come sottolineato nel considerando 33 ) e, per questo motivo, non riconducibili ad un elenco chiuso. Altrettanto complicata l’identificazione dei servizi esclusi, al di là di quelli esplicitamente citati dalla direttiva, soprattutto con riferimento alle attività accessorie, connesse o complementari a quelle oggetto di esclusione. Si condivide, pertanto, la scelta di rimandare la ricognizione delle tipologie di servizi da escludere dall’applicazione della Direttiva, come stabilito dall’articolo 2 comma 5 della bozza di decreto, ad un ulteriore provvedimento del Ministro per le Politiche Europee. Si raccomanda di prevedere al riguardo la preventiva consultazione delle Associazioni di Categoria nella ricognizione suddetta, in quanto maggiormente a conoscenza della realtà capillare delle attività di servizi, delle loro problematicità e del loro intrinseco legame con i settori (trasporti, sanità etc) per i quali si esclude l’applicazione. Si riportano nell’allegato 1 alcuni esempi di servizi su cui si avverte la necessità di una precisa decisione in merito all’esclusione dall’applicazione della Direttiva. 2. PROGRAMMAZIONE DELLE ATTIVITÀ La bozza di decreto nel recepire la direttiva dispone all’articolo 9, che l’accesso alle attività di servizio ed il loro esercizio non è soggetto ad autorizzazione eccetto che nei seguenti casi: ferma restando la salvaguardia delle disposizioni fiscali, in materia ambientale, edilizia ed urbanistica, nonché quelle a tutela della sanità pubblica, della sicurezza dei lavoratori e dell’incolumità delle persone; quando sussistano “motivi imperativi di interesse generale”, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità, nonché delle disposizioni di cui al presente titolo; nei casi disciplinati da altre disposizioni specifiche di attuazione di norme comunitarie. Ove non diversamente previsto, ai fini dell’ottenimento del titolo autorizzatorio si applica l’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 che disciplina la Denuncia di Inizio Attività. Ad un sommario esame di questa disposizione appare forte il rischio di conflitti di competenza o di interpretazioni difformi nella misura in cui l'attuazione della direttiva impatta con la legislazione vigente, nazionale e regionale, in materia di distribuzione commerciale. Per contrastare tale timore occorre validare una interpretazione delle norme alla luce delle deroghe previste dall’articolo 7 della bozza del decreto in ordine ai “motivi imperativi di interesse generale” e delle disposizioni del d.lgs 114/98 che all’articolo 6 disciplina la programmazione della rete distributiva quale base su cui fondare il regime autorizzatorio. In particolare occorre riconoscere che la programmazione urbanistico- commerciale rientra a pieno titolo tra i motivi imperativi di interesse generale che la direttiva ed il decreto attuativo individuano quali deroghe alla soppressione delle autorizzazioni per l’esercizio delle attività (cfr. anche considerando 56 e 66 per il richiamo alla protezione dell’ambiente urbano quale motivo imperativo di interesse generale). Appare necessario citarla esplicitamente in quanto nella direttiva l’elenco dei motivi imperativi di interesse generale è più ampio, esemplificativo e 4 quindi aperto (v. considerando 40) mentre nella bozza di decreto se ne dà una definizione più ristretta. La programmazione commerciale, come disciplinata all’articolo 6 del d.lgs 114/98 e riproposta dalle diverse normative regionali a seguito dell’ attribuzione costituzionale della competenza in materia di commercio intervenuta nel 2001, fonda gli indirizzi generali per l'insediamento delle attività commerciali su alcuni criteri tra i quali : 1. la qualità dei servizi da rendere al consumatore;la compatibilità territoriale e ambientale degli insediamenti commerciali con particolare riguardo a fattori quali la mobilità, il traffico e l'inquinamento; 2. sulla riqualificazione del tessuto urbano, in particolare per quanto riguarda i quartieri urbani degradati al fine di ricostituire un ambiente idoneo allo sviluppo del commercio; 3. sulla salvaguardia e riqualificazione dei centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale; 4. sul favorire gli insediamenti commerciali già operanti sul territorio interessato, anche al fine di salvaguardare i livelli occupazionali. Anche i Comuni, nella predisposizione degli strumenti urbanistici comunali, sono tenuti al rispetto dei citati criteri di programmazione distributiva individuati dalle Regioni a cui sono correlati i procedimenti di rilascio delle autorizzazioni. Soprattutto per quanto riguarda l'apertura, il trasferimento di sede e l'ampliamento della superficie di medie e grandi strutture di vendita le autorizzazioni rispettivamente rese dal Comune o dalla Conferenza dei servizi sono rilasciate in base alla conformità agli obiettivi sopra richiamati nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia urbanistica ed edilizia. Appare pertanto evidente la perfetta coincidenza tra la declinazione della nozione di imperativi di interesse generale” di cui alla bozza di decreto in esame con quelle che attuali caratteristiche su cui si fonda il regime delle autorizzazioni commerciali, consentire il mantenimento dello stesso regime autorizzatorio, in ottemperanza a disposto dall’articolo 9 comma 2 del medesimo decreto. “motivi sono le tale da quanto All’interno della programmazione commerciale, dunque l’operatività delle grandi e medie strutture di vendita, le attività di distribuzione carburanti, il commercio su aree pubbliche, la somministrazione di alimenti e bevande, le rivendite di giornali e riviste, comportano la necessità di mantenere in capo agli Enti pubblici la definizione di modalità di programmazione tali da garantire assetti equilibrati dal punto di vista urbanistico, ambientale, infrastrutturale, di sicurezza stradale, di vivibilità sociale, che non compromette in alcun modo il rispetto della libertà di stabilimento, di circolazione e di esercizio dell’attività commerciale nel mercato interno. Esercizi di vicinato Per quanto riguarda gli esercizi di vicinato ed in accordo con quanto previsto in ambito regionale l’attuale quadro normativo evidenzia un’assenza di programmazione settoriale ed una tendenza ad una sempre maggiore semplificazione amministrativa in ottemperanza al recepimento delle più recenti disposizioni comunitarie che prevedono l’abolizione di barriere e limiti all’esercizio dell’attività. Occorre inoltre considerare lo scarso impatto ambientale/territoriale degli esercizi di vicinato. Il regime non prevede discriminazioni nei confronti dei prestatori, ma soltanto una differenziazione nell’istituto di semplificazione adottato, prevedendo alcune Regioni la d.i.a. ad efficacia differita ed altre quella ad efficacia immediata. 5 Grandi e medie strutture di vendita Come già esposto in premessa si ritiene che il mantenimento del regime autorizzatorio per le grandi e medie strutture di vendita sia pienamente giustificato da motivi imperativi di interesse generale. Lo sviluppo del settore distributivo infatti è strettamente correlato alle scelte di pianificazione urbanistico-commerciale soprattutto in considerazione dell’impatto sul territorio anche a livello sovraregionale. A questo deve aggiungersi il non meno forte impatto che una media e grande struttura produce di riflesso sul sistema ambientale sia esterno che interno alle città attraverso l’incremento del flusso di traffico che si ripercuote sulla vivibilità degli spazi urbani e della corretta distribuzione dei prodotti e dei servizi. Di conseguenza, la tutela della salubrità dell’ambiente diventa un aspetto fondamentale della valutazione amministrativa circa il sistema autorizzatorio. Inoltre occorre considerare come le normative regionali in materia oltre ai requisiti di carattere urbanistico ed al possesso di standard di parcheggio e viabilità, prevedono il rispetto anche di requisiti di qualità delle strutture, legati sia ad elementi di tutela ambientale che di confort per il consumatore. Alla luce delle disposizioni della Direttiva la cui ratio è quella di consentire parità di accesso ai servizi ad ogni operatore, occorre specificare come detta finalità sia completamente in linea con il mantenimento del regime autorizzatorio dal momento che questo non risulta essere discriminatorio nei confronti del prestatore, non presentando discriminazioni tra prestatori nazionali e prestatori transfrontalieri e trovandosi in piena conformità con il principio di proporzionalità. Infatti in considerazione di quanto fino ad ora detto circa gli impatti urbanistici e ambientali verrebbe automaticamente ad escludersi la possibilità di adottare misure alternative, quali ad esempio le verifiche a posteriori, come succederebbe estendendo la DIA, per il rischio evidente di produrre seri danni al territorio ed all’ambiente. Proprio riguardo alla salubrità e vivibilità dell’ambiente è difficile pensare ad un sistema procedurale meno restrittivo in quanto l’esercizio indiscriminato del diritto di apertura delle tipologie commerciali in esame determinerebbe la prevedibile compromissione dei diritti dei destinatari dei servizi (consumatori) e degli interessi della collettività in genere. Il regime autorizzatorio vigente, inoltre, persegue altresì l’obiettivo di garantire sia adeguate condizioni di vivibilità nei centri storici attraverso una articolata e diffusa presenza di attività commerciali, sia l’equilibrio nella presenza di tutte le tipologie distributive (vicinato, medie e grandi strutture) a tutela del consumatore ed a garanzia della concorrenza . Commercio su aree pubbliche, su posteggio e in forma itinerante L’applicazione della direttiva 2006/123/CE in materia di commercio ambulante e su aree pubbliche, se realizzata in maniera pedissequa e indiscriminata, contribuirebbe a generare il caos generalizzato all’interno del settore, tenuto conto che l’attività viene esercitata – anche quando svolta in forma itinerante – su porzioni di suolo pubblico allo scopo destinate e così individuate nei piani di insediamento urbanistico-commerciali. Molto opportunamente il Legislatore italiano ha previsto, anche al fine di salvaguardare l’impatto del commercio ambulante e su aree pubbliche con l’ambiente urbano, un filtro all’ingresso del settore, basato sulla disponibilità di suolo pubblico destinata dagli strumenti urbanistici all’esercizio dell’attività. Il regime autorizzatorio in vigore, integrato con la concessione – per lo più decennale e rinnovabile - del posteggio, appare oltremodo giustificato dai motivi di interesse generale richiamati dalla Direttiva ed in particolare dall’articolo 9 commi 2 e 3. E’ anche il caso 6 di soggiungere che la legislazione vigente sia statale che regionale non prevede discriminazioni fra operatori italiani e operatori stranieri per quanto riguarda l’accesso all’attività. La programmazione dell’attività di commercio su aree pubbliche, così come prevista dalla legislazione vigente, pone alla base proprio i motivi di interesse generale richiamati dalla Direttiva che si concretizzano nell’equilibrio della rete, nella tutela degli interessi dei consumatori, nella protezione dell’ambiente urbano e nel rispetto delle limitazioni attribuibili a superiori interessi di carattere pubblico. Ed infatti l’autorizzazione amministrativa che viene rilasciata per l’esercizio del commercio in forma itinerante rappresenta sostanzialmente un atto dovuto, per il rilascio del quale non sono previste particolari limitazioni se non il possesso dei requisiti morali. In questo senso sono previsti procedimenti semplificati. E’ ovvio comunque che anche questo genere di autorizzazioni è strettamente correlato all’utilizzo del suolo pubblico e quindi al rispetto dei divieti connessi. Ancora l’utilizzo del suolo pubblico, rappresentato dal rilascio di una apposita concessione (strettamente connessa all’autorizzazione amministrativa)di una porzione di suolo pubblico, è alla base dell’inapplicabilità della norma prevista dall’articolo 16 comma 1 lettera b) e 17 comma 1 lettera e) dello schema di decreto per l’attuazione della Direttiva. Il suolo pubblico è infatti una proprietà collettiva che l’Ente amministratore concede, dietro corrispettivo, in misura limitata e predeterminata anche al fine di non favorire posizioni predominanti. Il Legislatore italiano, statale e regionale, ha ritenuto di dover assolvere a questo imperativo limitando il numero delle concessioni di posteggio utilizzabili contemporaneamente e/o sullo stesso mercato. Sussistono dunque intatte le motivazioni di interesse generale di validità delle norme attualmente vigenti circa le limitazioni alla concessione di posteggi in capo alla medesima azienda. Si pone infine la questione della forma giuridica dell’impresa, liberalizzata in forza del dispositivo di cui all’articolo 17 comma 1 lettera b) dello schema di decreto. In tal senso si osserva che il Legislatore italiano ha voluto riservare questa attività di distribuzione alla microimpresa, soprattutto a quella di carattere familiare tenuto conto della modestia dei capitali investiti, della partecipazione diretta del titolare alla gestione dell’impresa, della estrema flessibilità delle modalità di esercizio. In questo senso i motivi di interesse generale sono agevolmente individuabili nella necessità di mantenere un equilibrio fra le diverse tipologie distributive e non consentire, anche in questo caso, che la disponibilità di risorse finanziarie a monte provochi una concorrenza distorsiva e la formazione di posizioni predominanti nel settore. Somministrazione di alimenti e bevande Analogo discorso, con particolare attenzione alle problematiche della tutela della salute e di igiene alimentare dei prodotti strettamente connesse con il trattamento di cibi e bevande, viene ribadito anche sul mantenimento del regime autorizzatorio legato alle attività di somministrazione . Il regime autorizzatorio è indubbiamente posto all’interno dei motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori, la prevenzione delle frodi, la sostenibilità urbana, nonché il collegamento del settore con la materia dell’ordine pubblico. A questo deve aggiungersi che gli esercizi pubblici distribuiscono alcolici e che il mantenimento del regime delle licenze preventivamente autorizzate è richiesto dalla stessa Comunità Europea (vedasi comunicazione della Commissione europea COM (2006) 625 def, del 24 0tt0bre 2006). Con l’occasione si ricorda che quelle in parola sono anche autorizzazioni di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 86 del TULPS come d’altro canto ribadito, da ultimo, dall’articolo 23 della legge comunitaria 2008. Inoltre si ritiene debbano continuare ad essere sottoposte ad autorizzazione preventiva le attività di trattenimento e spettacolo disciplinate, ai fini della sicurezza e dell’incolumità 7 pubblica dagli articoli 68, 69 ed 80 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773. Le Regioni hanno introdotto programmazioni comunali legate esclusivamente a standard e requisiti di qualità (essenzialmente strutturali) degli esercizi, con particolare riguardo all’impatto sul territorio/ambiente delle attività. Va invece ribadito esplicitamente che sono escluse dalla programmazione e dal relativo regime autorizzatorio le attività di somministrazione di alimenti e bevande effettuate dagli esercizi posti nelle aree di servizio delle autostrade, all’interno di stazioni ferroviarie, aeroportuali o marittime nonché in strutture ospedaliere, militari e scolastiche poiché per queste tipologie la programmazione delle attività o è in capo al concessionario o risponde a peculiari modalità di fornitura del servizio. Rivendite di giornali e riviste Il comparto della commercializzazione della stampa quotidiana e periodica è disciplinato, a livello nazionale, da una normativa di settore costituita dal decreto legislativo 24 aprile 2001, n. 170. Il decreto 170 delinea un sistema di vendita della stampa quotidiana e periodica costituito da una serie di disposizioni a tutela della libera manifestazione del pensiero, della libertà di stampa e del pluralismo nell’informazione, assicurando altresì la sempre più capillare diffusione della stampa quotidiana e periodica e la possibilità per tutti gli utenti di accedere all’informazione a mezzo stampa in condizioni di parità e sulla base di una adeguata rete di vendita. Il sistema si fonda su due pilastri che sono: a) il principio di parità di trattamento tra le diverse testate (quotidiani e periodici) ed il correlativo obbligo per i rivenditori di porre in vendita tutte le pubblicazioni presenti sul mercato senza variarne il prezzo di vendita b) la capillarità della rete di vendita rispetto alle esigenze dell’utenza a garanzia del diritto di accedere ad una informazione pluralista. In particolare il decreto 170 prevede un sistema autorizzatorio per i punti vendita esclusivi sulla base di una serie di piani comunali di localizzazione che garantiscono la diffusione della stampa anche in aree marginali o economicamente non appetibili assicurando un livello essenziale ed uniforme di accesso all’acquisto di quotidiani e periodici ed un sistema autorizzatorio per i punti vendita non esclusivi, svincolato dai piani di localizzazione, che consente la vendita di quotidiani ovvero periodici anche ad esercizi commerciali diversi dalle edicole senza pregiudizio per le attività commerciali esistenti. Ne consegue che il numero totale di autorizzazioni (per esclusivi e non esclusivi) non è contingentato. Il sistema è costituito da una serie di norme funzionalmente e teologicamente collegate che devono essere considerate come un unicum inscindibile: l’eliminazione di una soltanto delle disposizioni sopra brevemente richiamate comprometterebbe il sistema nella sua globalità. Deve sottolinearsi sul punto la centralità della questione della capillarità della rete di vendita rispetto al pluralismo dell’informazione ed al diritto dell’utenza di accedere ad una informazione pluralista. In difetto di pianificazione comunale, sarebbe probabile il rischio di zone del territorio prive del servizio di vendita di quotidiani e periodici ovvero di un servizio limitato ad alcune soltanto delle pubblicazioni presenti sul mercato. L’assetto normativo sopra delineato, anche in considerazione dei primari interessi pubblici cui è teleologicamente orientato, ha un carattere di specialità rispetto alla disciplina generale del commercio e comunque appare pienamente compatibile con la Direttiva 2006/123/CE. La Direttiva infatti, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma 4, “non pregiudica le misure adottate dagli stati membri” per quanto riguarda “la protezione o la promozione … del pluralismo dei media”. Non vi è dubbio che il sistema adottato dal legislatore nazionale sia a tutela del pluralismo dell’informazione. Il legislatore ha tutelato il pluralismo in una chiave propositiva e cioè come diritto alla diffusione di una pluralità di testate in condizione di parità ed anche in una prospettiva recettiva e cioè come diritto dell’utente ad accedere “facilmente” ad una pluralità di testate. Peraltro il citato comma 4 dell’art. 1 non è stato riproposto nel 8 decreto legislativo attuativo della Direttiva ed invece sarebbe, a nostro avviso, opportuna una specifica menzione di tale disposizione. Va inoltre osservato che il meccanismo autorizzatorio previsto dal decreto 170 è conforme agli artt. 9ss. della Direttiva e quindi deve essere mantenuto. Nel caso di specie le condizioni della non discriminazione, della necessità e della proporzionalità risultano soddisfatte. Quanto al principio della necessità sussiste certamente un “motivo imperativo d’interesse generale” che giustifica l’adozione del meccanismo autorizzatorio. Ed infatti il considerando 40 della Direttiva precisa che la nozione di motivi imperativi di interesse generale compre “almeno” “gli obbiettivi di politica culturale, compresa la salvaguardia della libertà di espressione … il mantenimento del pluralismo della stampa”. Sul punto, si chiede che tali motivi vengano espressamente riportati nella definizione di cui alla lett. h dell’articolo 7 del Decreto di attuazione. Quanto al principio della non discriminazione l’accesso al titolo abilitativo non sembra essere in alcun modo discriminatorio, in quanto non sono previste discriminazioni tra prestatori nazionali e prestatori transfrontalieri. Quanto infine al principio della proporzionalità si osserva che in mancanza del sistema autorizzatorio sopra descritto, si avrebbero zone del territorio nazionale non servite dal servizio di vendita di quotidiani e periodici che risulterebbe assente e comunque non uniforme con una evidente lesione del principio di libera manifestazione e diffusione del pensiero, del pluralismo nella stampa e del diritto ad essere informati. Per le ragioni sopra esposte si giustifica altresì la limitazione teorica al numero di titoli abilitativi: per far sì che anche le autorizzazioni in zone svantaggiate diventino appetibili è necessario limitare il numero globale dei titoli abilitativi rilasciati e valutare comunque la domanda di mercato al fine di consentire che l’esercizio dell’attività di vendita di quotidiani e periodici in tali zone svantaggiate sia economicamente sostenibile. Da ultimo alcune considerazioni sul ricorso al meccanismo della D.I.A. e del silenzio assenso che risultano incompatibili con il sistema sopra delineato che non può che attuarsi attraverso bandi pubblici che assicurino la selezione imparziale dei candidati e comunque sulla base di provvedimenti espressi e motivati dall’amministrazione sulla base di adeguata istruttoria. Forme speciali di vendita Per queste tipologie è opportuno sottolineare come le procedure sono state già semplificate, prevedendo in tutti i casi un regime di d.i.a. ed escludendo ogni programmazione. La disciplina non è discriminatoria in quanto non sono previste differenziazioni tra prestatori nazionali e prestatori transfrontalieri. 9 3. ULTERIORI LIMITI ALL’ACCESSO ALL’ATTIVITA’ DI SERVIZI Articolo 11 L’articolo 11, comma 1 prevede che "l’autorizzazione deve permettere al prestatore di accedere all’attività di servizio e di esercitarla su tutto il territorio nazionale" . Questo assunto relativo all’estensione territoriale dell’autorizzazione appare sicuramente contraria non solo al citato sistema autorizzatorio in materia commerciale, il cui mantenimento - come abbiamo visto - è giustificato dai motivi imperativi di ordine generale, ma anche e soprattutto all’assetto federalista verso cui è decisamente orientato il nostro ordinamento costituzionale. Tuttavia, occorre in questo caso richiamarsi a quanto previsto dalla medesima norma che consente espressamente la salvaguardia di autorizzazioni specifiche o limitate territorialmente sempre per i motivi imperativi di interesse generale sopra esposti. ARTICOLO 12 La formulazione di questa disposizione apre delle problematiche in relazione alla materia delle concessioni demaniali marittime. Il sistema legislativo italiano è l’unico, nell’ambito degli stati membri, a regolamentare il demanio marittimo attraverso l’istituto della concessione. Per la particolarità del bene oggetto della concessione - è un bene appartenente allo Stato, ai sensi dell’art.822 c.c., destinato tra l’altro a soddisfare pubblici interessi - tale istituto non può essere meramente ricondotto alla disciplina e ai principi che regolano gli appalti di lavoro o le concessioni di servizi. Va anche considerato che l’attività svolta dalle imprese concessionarie balneari rientra in un comparto socio-economico, quello turistico, che ha titolo per essere considerato di interesse primario nell’ambito dell’economia del Paese. Se dunque è vero che le spiagge sono patrimonio dello Stato, è anche vero che la gestione privata delle imprese balneari è divenuta strategica per la qualità del turismo che, basandosi sugli investimenti di questi operatori, non può dipendere da una asettica riassegnazione periodica delle licenze con semplici bandi di gara. Occorre infatti salvaguardare chi ha investito su un bene pubblico e, in definitiva, tutelare chi tutela il bene pubblico accrescendone il valore. Non si può non tenere conto del fatto che, sino ad oggi, i concessionari di beni con finalità turistico-ricreative hanno attivato investimenti per la riqualificazione delle strutture confidando nella stabilità del rapporto concessorio, stabilità che deve essere garantita alla luce sia della natura che della rilevanza degli investimenti effettuati. Articolo 17 L’articolo prevede il divieto (tranne che giustificato da motivi imperativi di interesse generale) di subordinare l’accesso all’attività di servizi tra gli altri ai seguenti limiti: i) limiti relativi alla superficie massima di stabilimenti commerciali; l) limitazioni circa gli orari ed i giorni di svolgimento dell’attività. Detti requisiti, inseriti nella bozza di decreto ma non previsti nella Direttiva, contrastano con la disciplina vigente in materia di commercio soprattutto per quello che concerne la definizione e la relativa autorizzazione delle diverse formule distributive quali esercizi di vicinato, medie strutture di vendita e grandi strutture di vendita che si differenziano tra loro proprio in relazione ai limiti di superficie. 10 Poiché la legislazione commerciale è da considerarsi in linea con la ratio e le previsioni contenute nella Direttiva si richiede che detti limiti, così come quelli riferiti agli orari, vengano stralciati dal decreto in quanto eccedono rispetto al dettato della Direttiva stessa (si richiama anche il considerando 9 secondo cui la direttiva si applica unicamente ai requisiti che influenzano l’accesso all’attività di servizi o al suo esercizio). Dal punto di vista redazionale occorre poi valutare se inserire in rubrica o al primo comma dell’art. 17 anche la rispondenza ai criteri di non discriminazione e proporzionalità dei requisiti elencati, così come previsto dall’art. 15, comma 3 della direttiva. 4. SERVIZI SUBORDINATI AD ISCRIZIONE AD ELENCHI O ALBI Articoli 19 e 20 Gli artt. 19 e 20 dettano il regime per la libera prestazione dei servizi. In particolare l’art. 19 dispone che i requisiti applicabili ai prestatori di servizi stabiliti in Italia si applicano ai cittadini comunitari che prestano attività temporanea e occasionale di servizi solo se sussistono ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente, nel rispetto dei principi di non discriminazione e proporzionalità, mentre l’art. 20 dispone il divieto generale di subordinare l’attività di prestazione di servizi a tutta una serie di requisiti. Tra questi si segnala, in particolare, il divieto – di cui al comma 1, lett. b) - di prevedere per il prestatore l’obbligo “di ottenere un’autorizzazione dalle autorità competenti, compresa l’iscrizione in un registro o a un ordine professionale nazionale” , salvo i casi previsti dal decreto o da altre disposizioni comunitarie o giustificati da gravi motivi imperativi di interesse generale richiamati nell’art. precedente. Si tratta di norme di cui occorre valutare attentamente l’impatto sull’ordinamento vigente per evitare da un lato il rischio di discriminazione dei prestatori stabiliti in Italia, dall’altro il pericolo che da un’eccessiva differenziazione della disciplina applicabile allo stabilimento e alla libera prestazione derivi un sostanziale aggiramento delle norme favorito dalla genericità ed indefinitezza dell’elemento discriminante dato dalla “temporaneità e occasionalità” della prestazione. Con la prescrizione del divieto, per gli Stati membri, di imporre al prestatore l’ ottenimento di autorizzazioni alle quali è, invece, obbligato chi esercita la sua attività nel proprio paese d’ origine o di essere iscritto in registri o ordini professionali (art. 16, lettera b della direttiva) si profila anche il rischio di mancanza di tutela per i destinatari della prestazione . Le professioni il cui esercizio richiede un’ autorizzazione amministrativa o l’ iscrizione in albi o elenchi costituiscono in genere attività nelle quali, per la loro delicatezza o specificità, lo Stato ha ritenuto necessario svolgere maggiori controlli, al fine di tutelare i destinatari delle stesse. Il divieto di applicare tali controlli a chi, pur svolgendo una di quelle attività per così dire sensibili, provenga da un paese d’origine diverso e sia quindi soggetto a regole diverse può costituire una penalizzazione del diritto dei destinatari ad essere garantiti dalle verifiche pubbliche della sussistenza di tutti i requisiti prescritti. Sotto il profilo interpretativo ed applicativo già in passato sono sorte ad esempio problematiche con riferimento ad una proposta ministeriale consistente nella unificazione dei profili professionali di agente di affari in mediazione, agente immobiliare, agente d'affari, agente e rappresentante di commercio, mediatore marittimo, spedizioniere e raccomandatario marittimo nella nuova categoria degli intermediari commerciali e di affari nonché nell’eliminazione di albi o ruoli e nella trasformazione del titolo autorizzatorio in DIA per queste attività di servizio. 11 Nell’allegato 2 al presente documento si segnalano più dettagliatamente le criticità rilevate con riguardo ad alcune di queste attività. 5. SEMPLIFICAZIONE DEI REGIMI AUTORIZZATORI ED ASPETTI DI RACCORDO CON LA NORMATIVA DI SEMPLIFICAZIONE DELLA P.A. In relazione a questo punto è possibile in via generale evidenziare come sia indispensabile prevedere un ampio raccordo tra le disposizioni previste nella Bozza di decreto di recepimento e quanto già in via di definizione in materia di semplificazione amministrativa. In particolare ci si riferisce ai due provvedimenti di attuazione dell’art. 38 del decreto-legge 112/08, esaminati in via preliminare dal Consiglio dei Ministri lo scorso 26 giugno ed in attesa di ricevere i pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza Stato-regioni, in materia di requisiti e modalità di accreditamento delle Agenzie per le imprese e di semplificazione e riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive. Sul punto va evidenziato che la recente legge 69/09 (cfr. art. 40) ha espressamente statuito che le disposizioni dell’art. 38 citato costituiscono adempimento della direttiva 2006/123/CE. Appare pertanto indispensabile che il decreto di recepimento in oggetto tenga conto di questo aspetto operando il necessario coordinamento. In caso contrario, diventerebbe altamente probabile il rischio di uno sfasamento che, inevitabilmente, originerà confusione per il sistema delle imprese e notevoli problemi di gestione per gli enti e le autorità regionali e locali creando, ad esempio, difficoltà di ordine linguistico nella comunicazione con le autorità o i prestatori di servizi di altri Stati membri o ancora nel riconoscimento di certificati, attestati o altri documenti rilasciati ai prestatori di servizi in un altro Stato membro e quindi in una lingua diversa. Altrettanto dicasi per l’ordinato svolgimento delle procedure in via telematica. 12 Allegato 1 Servizi esclusi Alcune perplessità riguardano le disposizioni previste dalla bozza di decreto che da attuazione alla direttiva. Ci si chiede in sostanza se, nell’ambito delle esclusioni, previste per le reti di comunicazione rientrino o meno alcune attività specifiche legate in qualche modo ai settori considerati esclusi. Ad esempio: Servizi di comunicazioni (art. 4) servizi tipo call center; servizi consulenza informatica necessari all’accesso alle reti (internet provider etc.); servizi di abbonamento a banche dati, pay tv. Servizi di trasporto (art. 5) Il decreto non considera servizi di trasporto ma servizi alla persona - e quindi rientranti nel campo di applicazione della direttiva - le seguenti attività: - scuola guida; trasloco; noleggio veicoli e unità da diporto; pompe funebri; fotografia aerea. A tal proposito occorrerebbe prevedere una serie di correttivi in considerazione dell’interpretazione che recentemente la Commissione europea ha fornito in merito al noleggio di auto con conducente, che è stato equiparato al servizio taxi e, quindi, escluso dall’applicazione della direttiva. In tal senso si ritiene che anche il trasporto funebre della salma, debba essere ricondotto alla fattispecie di noleggio di auto con conducente. Inoltre occorrerebbe sapere come debbano essere inquadrati servizi quali quelli relativi allo smaltimento dei rifiuti speciali, dei servizi di ormeggio negli scali commerciali e nei porti turistici (Servizi Portuali). Servizi sanitari (art. 6) Si richiede se i servizi legati al trasporto di sangue o di organi, sia aerei che su strada, debbano essere ricondotti al settore trasporti oppure più propriamente ai servizi legati al settore sanità, come del resto viene fatto per il trasporto farmaci che viene quindi escluso dall’applicazione della direttiva. Diverse perplessità riguardano altre tipologie di servizi che, seppur effettuati dietro corrispettivo, rientrano tuttavia tra le categorie delle esclusioni. Un esempio riguarda ancora il settore sanitario ovvero ci si chiede se nell’esclusione debbano essere ricompresi anche quei servizi quali ad esempio il telesoccorso o la convenzione aziendale per l’effettuazione del check –up medico, nonché tutti i servizi nel campo della salute e del benessere (trattamenti termali convenzionati, fisioterapie etc, case di cura private; residenze per anziani). 13 Allegato 2 Criticità derivanti dall’applicazione dei principi di libera prestazione dei servizi di cui agli artt. 19 e 20 per alcune categorie di attività con riferimento alla legislazione vigente Agenti e rappresentanti di commercio Per quanto attiene agli agenti e rappresentanti di commercio, in passato si è argomentata la proposta di soppressione del relativo ruolo con la motivazione che la soppressione è prevista “in attuazione della direttiva 86/653/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1986”. Un tale indirizzo potrebbe dare origine ad una serie di problematiche applicative in merito alla permanenza, a seguito della soppressione del ruolo, della necessità dei requisiti di accesso alla professione di agente e rappresentante di commercio di cui all’art. 5 L 204/85. Per meglio valutare i termini della questione occorre prendere le mosse dalla direttiva 86/653/CEE – relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti di commercio - adottata dal legislatore comunitario solo due anni dopo la L. 204/85 – legge recante la disciplina dell’attività di agente e rappresentante di commercio - ed alla interpretazione che della stessa ha fornito la giurisprudenza comunitaria ed italiana. Tale direttiva, al dichiarato fine di proteggere gli agenti commerciali nelle relazioni con il preponente, non prevede alcuna condizione per l’esercizio dell’attività di agente, lasciando ai legislatori nazionali esclusivamente la facoltà di disporre, quale unico presupposto per la validità del rapporto contrattuale di agenzia, la forma scritta. La Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità della normativa italiana con la normativa comunitaria, ha affermato che “la direttiva osta ad una normativa nazionale che subordini la validità del contratto di agenzia alla iscrizione dell’agente di commercio in un apposito albo” (sent. 30 aprile 1998 causa C-215/97). L’assunto è di estrema rilevanza sul piano applicativo se solo si pensa, venendo all’assetto normativo nazionale, che l’iscrizione al ruolo presuppone che il soggetto possieda i requisiti formali e di qualificazione professionale di cui all’art. 5 L.204/85. Il riconoscimento della possibilità di esercitare l’attività da parte di un agente non iscritto quindi se da un lato assolverebbe alla funzione di protezione nei rapporti contrattuali stipulati dallo stesso – con ciò assolvendo all’intento comunitario - dall’altro finirebbe sostanzialmente con il consentire a soggetti privi dei necessari requisiti di svolgere l’attività (profilo questo di cui la Corte non ha avuto modo di occuparsi). La legge 204/85 pertanto, anche se non abrogata espressamente, di fatto verrebbe svuotata di significato e quindi vanificata nella sua portata applicativa. Sul piano della prassi giurisprudenziale, la Cassazione una volta affermata, a seguito del dictum comunitario, la validità dei contratti stipulati dagli agenti anche se non iscritti al relativo ruolo, non si è fatta tuttavia carico di esaminare i risvolti di tale assunto sotto il profilo della necessità del possesso dei requisiti di cui alla normativa interna (Cass. civ., sez lavoro, 19 maggio 2003 n.7844; Cass.civ., sez. lavoro, 18 maggio 1999 n.4817, Cass. civ., sez lavoro, 14 settembre 2005 n.18202, Cass. civ., sez lavoro, 18 marzo 2002 n.3914, Cass. 23 febbraio 2001 n.2617, Cass. 12 novembre 1999 n.12580). Così la Cassazione ha finito con il consentire sostanzialmente che l’esercizio della professione possa essere svolto indistintamente sia da parte di coloro che, iscritti al ruolo, abbiano i 14 requisiti prescritti, sia da parte di coloro che, non iscritti al ruolo, di tali requisiti non siano in possesso. In assenza di una formulazione legislativa espressa nel senso della necessità dei requisiti prescritti dall’art. 5 L.204/85, la prassi giurisprudenziale sviluppatasi a seguito della entrata in vigore della direttiva 86/653/CEE potrebbe indurre ad una interpretazione della proposta in esame nel senso di un riconoscimento legislativo della possibilità di svolgere l’attività in oggetto anche in assenza degli stessi. Né potrebbe ritenersi dirimente nel senso della necessità dei requisiti l’espresso riferimento alla necessità che la DIA sia “corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti soggettivi, morali, professionali, tecnici e finanziari” nonché al potere di verifica degli stessi da parte delle CCIAA. La norma, infatti, si riferisce alla intera categoria della “Attività di intermediazione commerciale e di affari” di cui l’attività di agente e rappresentante di commercio costituisce solo un tassello, al quale soltanto si applica la disciplina specifica di cui alla L. 204/85 e alla direttiva 86/653/CEE. Qualcuno potrebbe sostenere, pertanto, che limitatamente a tale categoria i requisiti non sarebbero più necessari. A tale paventata conclusione potrebbe portare sia la lettura della giurisprudenza di Cassazione sia la specificazione contenuta nella norma circa la necessità dei requisiti solo “ove prescritti dalla legislazione vigente” nonché l’ulteriore argomento della formulazione letterale dell’art. 5 L 204/85 che indica sì dei requisiti, ma solo “ai fini della iscrizione al ruolo” e non direttamente ai fini dello svolgimento della attività (assolvendo a tale compito, nella architettura della legge, la disposizione che sancisce – o meglio sanciva, posto che viene costantemente disapplicata in sede giurisdizionale - il divieto di esercizio per i non iscritti). Come non ha mancato di evidenziare la Cassazione invece il divieto di esercitare l’attività di agente per i soggetti non iscritti e quindi senza i requisiti richiesti è volto “a proteggere non solo gli interessi della categoria professionale degli agenti, ma anche quelli generali della collettività, alla quale non sono indifferenti determinati requisiti subiettivi degli agenti, quali il grado di preparazione, il possesso di comprovata probità e la specifica capacità professionale, verificati all’atto dell’iscrizione nell’albo, al fine di assicurare l’auspicabile correttezza delle operazioni commerciali” (Cass. Civ, sez lav, 30 agosto 2004 n.17350; Cass. 4 novembre 1994 n. 9063). Alla luce di quanto sopra si ritiene pertanto necessario introdurre nella eventuale norma di soppressione del ruolo una formula legislativa che faccia espressamente salvi i requisiti di accesso alla professione di cui all’art. 5 L. 204/85. Requisiti formali e di qualificazione posti dalla legge a tutela del consumatore e della professionalità degli operatori. Tale esplicitazione, lungi dall’essere pleonastica, solleverebbe l’interprete da eventuali dubbi in sede applicativa circa il mantenimento dei “requisiti professionali come elemento necessario dell’accesso alle professioni”. Altri profili problematici potrebbero derivare da un effetto di Estensione dell’obbligo di iscrizione all’ENASARCO (Ente Nazionale di Assistenza degli Agenti e Rappresentanti di Commercio) qualora lo stesso non riguardasse solo gli agenti e rappresentanti di commercio, ma anche tutte le altre attività eventualmente ricomprese nella nuova categoria “Attività di intermediazione commerciale e di affari”. Ciò darebbe vita ad una serie di problematiche applicative, in quanto si creerebbe un vuoto normativo in ordine al sistema decisionale, all’organizzazione interna dell’ente, alla rappresentatività e quant’altro con evidente lesione dei diritti delle categorie interessate anche sotto il profilo della disparità di trattamento. 15 In tale contesto, si sottolinea per esempio come, sotto il profilo delle modalità di pagamento dei contributi, solo gli agenti e i rappresentanti di commercio hanno case mandanti che pagano una quota della contribuzione dovuta al citato Ente per le prestazioni pensionistiche e per il Fondo Indennità di Risoluzione rapporto (FIRR) e solo nei loro confronti trova applicazione l’Accordo Economico Collettivo. Alla luce di quanto sopra sarebbe auspicabile esplicitare che l’obbligo di iscrizione all’ENASARCO è confermato per i soli soggetti attualmente tenuti, ossia gli agenti e rappresentati di commercio. Raccomandatari e mediatori marittimi Preliminarmente rispetto ad una analisi dell’impatto delle disposizioni relative alla libera prestazione di servizi in materia di attività svolta da agenti e mediatori marittimi, andrebbe chiarito se la categoria sia riconducibile o meno nel novero delle attività libero professionali e intellettuali. Una tale premessa appare infatti necessaria al fine di stabilire se anche tra le disposizioni del decreto di recepimento della direttiva servizi che riguardano l’adeguamento dei procedimenti autorizzatori di competenza statale per l’iscrizione in albi, registri o elenchi per l’esercizio di professioni regolamentate, ci può essere posto per la previsione di modifiche alla legge che disciplina l’attività degli agenti marittimi. Secondo le definizioni di cui all’art. 7 della bozza di decreto in esame per “professione regolamentata” si intende un’attività professionale o un insieme di attività professionali ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (l'attività, o l'insieme delle attività, il cui esercizio e' consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi o in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, se la iscrizione e' subordinata al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento delle specifiche professionalità). Alcune caratteristiche sembrerebbero avvicinare le due figure. In particolare l’agente marittimo: - per esercitare la propria attività deve superare un esame di ammissione dopo aver svolto due anni di tirocinio (art. 9 l. n. 135/77); - deve iscriversi all’elenco dei raccomandatari marittimi presso le Camere di commercio (art. 6 l. n. 135/77); - svolge un’attività che è subordinata al controllo di una commissione che vigila sull’operato degli agenti e che dispone di poteri sanzionatori (art. 7 l. n. 135/77). D’altra parte sussistono altri e più importanti elementi di diversità: nell’attività dell’agente marittimo prevalgono le caratteristiche dell’imprenditore, tanto è vero che, a differenza del professionista, l’agente è anche soggetto al fallimento a norma dell’art. 18 l. n. 135/77. Tutto quanto sopra premesso, si rileva in ogni caso che l’attuale disciplina dell’attività del Raccomandatario Marittimo, così come regolamentata dalla legge n. 135/1977 e dagli articoli del C.N., già risponde al dettato degli artt, 43 e 49 del Trattato UE, che prevedono la libertà di stabilimento e la libera circolazione e non discriminazione dei prestatori. Infatti è previsto che l’attività possa essere svolta da qualsiasi cittadino comunitario, residente o che abbia il domicilio professionale in Italia, ed al contempo non è previsto alcun limite numerico/quantitativo per l’iscrizione nei relativi elenchi. Rimane solo il vincolo, di carattere generale, dello svolgimento dell’attività esclusivamente nella località di residenza o domicilio professionale: ciò per evidenti ragioni di interesse generale nonchè di specifico e superiore interesse dello Stato per l’ordinato e sicuro svolgimento del traffico marittimo, agendo il Raccomandatario nell’ambito di un rapporto strettamente fiduciario con l’armatore, oggetto di accertamento da parte dell’Autorità Marittima. 16 L’applicazione ai prestatori transfrontalieri dei requisiti previsti dalla vigente regolamentazione per l’attività del raccomandatario marittimo, ai sensi dell’art. 19, comma 2 della bozza di decreto di recepimento della direttiva servizi, può essere giustificata in relazione alla sussistenza di ragioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza cui sono riconducibili i sopra richiamati interessi generali dello Stato per la tutela dei traffici marittimi. In particolare, tra gli interessi tutelati, si richiamano quelli relativi a: - tutela dei creditori (E’ il raccomandatario marittimo che assicura all’Autorità vigilante la disponibilità di valuta per il pagamento delle obbligazioni assunte dalla nave durante la sosta in porto); - tutela dei lavoratori (E’ il Raccomandatario marittimo che, per l’ingaggio di marittimi su navi di bandiera diversa dalla nazionalità degli stessi,si assicura che siano previste le stesse condizioni di trattamento giuridico-economico e le stesse tutele previste per i marittimi italiani); - ordine, sicurezza ed incolumità pubblica (E’ il Raccomandatario che fa da tramite tra l’Armatore e la Autorità Statale per il rispetto di tutte le normative e disposizioni locali e nazionali in merito alla sicurezza della nave,degli equipaggi,dei passeggeri,delle merci sia per quanto attiene alla navigazione ,sia per quanto attiene a minacce all’incolumità pubblica provenienti dall’esterno). Ad ulteriore testimonianza della specifica natura dei servizi prestati da agenti e mediatori marittimi si evidenzia come l’esercizio dell’ attività degli stessi sia sottoposta alla vigilanza del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. Agenti di affari in mediazione Nel nostro ordinamento gli agenti immobiliari e agenti merceologici sono iscritti nel ruolo di cui alla legge 39/89 . Ferme le premesse già svolte con riferimento agli agenti di commercio, ai raccomandatari e mediatori marittimi in tema di tutela del mercato ed interessi dei consumatori, si evidenza che per quanto riguarda in particolare la disciplina dell’attività di intermediazione immobiliare la tutela del destinatario del servizio assume un’importanza precipua visto che nella maggior parte delle ipotesi si tratta di un servizio che ha per oggetto un bene primario quale la casa di abitazione. L’ordinamento italiano prevede, in forza di quanto sopra, che il prestatore “stabile” debba possedere una serie di requisiti che ne comprovino una preparazione tale da garantire la predetta sicurezza del consumatore (titolo di scuola media superiore, partecipazione ad un corso e sostenimento di un esame abilitativo, obbligo di non svolgere altre attività, ecc.), nonché dimostrare di possedere i requisiti di onorabilità e probità. Posto che pare che tutti detti requisiti non potranno essere pretesi nei confronti del prestatore occasionale, quantomeno si richiede che lo stesso debba, al pari del prestatore stabile, disporre di un’assicurazione professionale (obbligatoria ex lege nazionale per il prestatore stabile) a copertura dei danni che potrebbe arrecare al destinatario del servizio, nonché debba essere assoggettato al rispetto degli obblighi antiriciclaggio (tenuta dell’apposito registro, ecc.) per garantire la funzione di sicurezza pubblica a cui è soggetto il prestatore stabile, nonché infine abbia estesa la responsabilità per l’omessa registrazione dei contratti oggetto della sua attività professionale, del pari del prestatore stabile, a garanzia dell’interesse pubblico al pieno rispetto delle discipline in materia fiscale e tributaria. 17 Ed infine, al pari del prestatore stabile, sia esteso allo stesso il divieto di svolgere, seppur occasionalmente, altre attività che non siano quelle di mediazione, onde evitare un evidente pregiudizio concorrenziale agli interessi del prestatore stabile, che secondo l’ordinamento nazionale non può svolgere alcun altro tipo di attività al di fuori di quella di mediazione. 18