Aprile 2011 - Programma LLP

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Aprile 2011 - Programma LLP
Erasmus…e dintorni
Rassegna stampa
Aprile 2011
Sommario
(Clicca sul titolo per accedere alla notizia)
Storia di Luigi, che studia e combatte
il primo ragazzo down in Erasmus
http://bologna.repubblica.it del 28 aprile 2011
Con Summer university
Europa a misura di giovani
www.ecodibergamo.it del 22 aprile
Voglia di un lavoro migliore
“Pronti a lasciare l'Italia”
http://miojob.repubblica.it del 19 aprile 2011
Scienze Politiche, la storia è qui
la contemporaneità anche
http://firenze.repubblica.it del 18 aprile 2011
Gli atenei migliori? Con tanti stranieri
Ma l'Italia è ben ultima in Europa
http://www.repubblica.it del 18 aprile 20111
"Occhio ai blog e ai falsi titoli il bluff non paga"
http://www.repubblica.it del 13 aprile 2011
In bici dalla Finlandia a Salerno
L'avventura di uno studente Erasmus
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it del 4 aprile 2011
Esami facili all'estero
preside Economia Bari cancella 2 paesi Erasmus
www.lagazzettadelmezzogiorno.it del 1° aprile 2011
Storia di Luigi, che studia e combatte
il primo ragazzo down in Erasmus/Video
Nel 2010 ha vinto la borsa di studio per prepararsi all'Università di Murcia, in Spagna; vive da solo,
con altri giovani. La sua famiglia: "E' come se avesse già preso dieci lauree"
di MICOL LAVINIA LUNDARI
Luigi studia. Prende un 26 e fa i salti di gioia. Un ostacolo
in meno verso la laurea. Luigi vive con altri ragazzi in un
appartamento a Bologna. Fa la vita del fuorisede: feste e
piatti da lavare. Luigi prende la valigia, e se ne va in
Erasmus: destinazione Spagna. Affronta
nta libri in una
lingua che non è la sua, tutto intorno è un mondo
apparentemente in salita. Tutto normale, Luigi "non è un
ragazzo eccezionale". No, ma detiene un primato.
primato.
IL TRAILER "Ci provo"
"E' tutto difficile, ma lottando so quello che voglio". Già, una laurea e chissà cos'altro sono i sogni
nel cassetto di Luigi Fantinelli, studente di Scienze della Formazione, il primo ragazzo down in
Italia a partire in Erasmus, alla volta dell'Europa. Un momento importante per ogni giovane, alla
scoperta di ciò che non si conosce, di ciò che attrae. Un viaggio che Luigi ha voluto affrontare. "E'
come se avesse già preso dieci lauree", spiegano i suoi parenti.
La sua storia, così straordinaria, è raccontata da un documentario firmato da Susana Pilgrim. Sullo
schermo scorrono i volti degli amici di Luigi, i compagni di festicciole e chi ha sudato con lui sui
libri, ma anche degli educatori che hanno avuto la fortuna di conoscere questo giovane guerriero. Sì,
perché, ribadisce Luigi, "lottando so quello che voglio". Una sfida che Luigi vince giorno dopo
giorno. "Ci provo", dice lui - e "Ci provo" è anche il titolo del documentario - ma la sensazione è
che spesso "ci riesca".
Tanti i successi che questo 22enne può vantare. Nell'ottobre 2009 Luigi è partito per Murcia col
progetto Erasmus, e nei 10 mesi seguenti ha portato avanti un percorso di autonomia e indipendenza
dalla famiglia rimasta in Italia. A Bologna, da novembre 2010, vive infatti con altri tre studenti (fra
cui Tommaso, un altro ragazzo con sindrome di Down) in un appartamento gestito dall'associazione
Vai (Verso una vita autonoma e indipendente).
"Casa Vai" è un progetto che vuole abbattere gli ostacoli della discriminazione. "Qui convivono
ragazzi con disabilità e non- spiega Michele, uno degli studenti della casa- siamo in quattro a
dividere l'appartamento, Luigi è uno dei due ragazzi con sindrome di Down che abitano qui. Altri
due studenti vengono a trovarci tutti i giorni e insieme a Tommaso e Luigi facciamo attività
ricreative che portino all'integrazione di questi due ragazzi".
Il documentario "Ci provo" sarà proiettato oggi alle 19.15 al cinema Nuovo Nosadella in via
Ludovico Berti, ma altre proiezioni sono previste a Rastignano, sempre giovedì, a Parma e
Forlimpopoli.
(28 aprile 2011)
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Con Summer university
Europa a misura di giovani
Studio, divertimento e risparmio: sono le parole chiave delle
Summer university (Su), il progetto di scambio culturale più
gettonato in Aegee (Association des etats généraux des etudiants
d'europe, ovvero Associazione degli stati generali degli studenti).
Una sorta di mini Erasmus, aperto anche a chi studente non lo è
più, ma ha voglia di viaggiare e migliorare le proprie competenze
linguistiche: per partecipare basta avere tra i 18 e i 35 anni e
naturalmente, essere membro Aegee.
Quanto alle Su - più di cento in tutta Europa, dal Portogallo alla Russia -, durano dai 10 ai 24 giorni
e sono davvero alla portata delle tasche degli studenti: si può partire da giugno a settembre e il costo
va dai 70 ai 180 euro, inclusi di vitto e alloggio, musei e attività ricreative. Inglese e francese sono
le lingue ufficiali delle Su.
L'obiettivo è quello di incrementare la coscienza internazionale, acquisendo una più profonda
conoscenza dello Stato visitato e delle culture degli abitanti. Tre i tipi di Su a cui si può partecipare:
Language course, Summer course e Travel summer university. Il primo è l'ideale per chi vuole
imparare un idioma da zero: un corso di lingua di livello base, della durata di 16 ore per due
settimane, organizzato dai ragazzi dell'antenna locale, al costo di 70 euro a settimana.
Se invece è più la cultura locale che interessa, ecco il Summer course: un modo per avvicinarsi in
modo divertente alla cultura del luogo - dalla mitologia greca alle tapas spagnole -, al costo di 70
euro per 10 ore totali di lezione. Per chi invece non vuole rimanere troppo a lungo nella stessa
località, c'è il Travel summer university: un tour culturale al costo di 90 euro, che tocca quattro città
europee.
Ultimi giorni per le iscrizioni, che scadono domenica. Per informazioni: www.aegeebergamo.eu .
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Voglia di un lavoro migliore
“Pronti a lasciare l’Italia
Nove persone su dieci tra chi ha già un impiego sono disposte
ad andare via dalla propria città pur di avere un'occupazione più
appagante. Anche i manager pronti a rinunciare al Belpaese per
cogliere altrove le migliori opportunità di carriera. La crisi ha
accentuato ancora di più un fenomeno già alimentato dalla
meritocrazia negata. TABELLA: la classifica mondiale.
SONDAGGIO: E TU LO FARESTI?
di FEDERICO PACE
Dopo i tanti giovani costretti a superare i confini pur di vedersi offerta una chance, anche chi un
lavoro già ce l'ha si dice pronto a impugnare un trolley e partire. Pur di avere un lavoro che dia
davvero soddisfazione e restituisca interesse. Gli italiani, forse per colpe non proprie, hanno
smarrito la passione per quel che sono chiamati a fare ogni giorno. Sopraffatti dalle tante ore in
ufficio e dal moltiplicarsi delle mansioni, si dicono disposti a lasciare molto di quel che hanno, pur
di trovare un impiego che soddisfi qualche bisogno in più, se non addirittura le esigenze profonde
della propria personalità.
L'idea di un lavoro più stimolante e interessante è una specie di ronzio remoto che suona nella
mente di molti. E' un avvertimento, una sollecitazione, un richiamo. In ogni parte del mondo, ne
subiscono la fascinazione impiegati, operai e manager. Da noi però questa seduzione sembra avere
una forza ancora maggiore. Più di quanto ne abbia in altre nazioni e in altre realtà produttive. Forse
perché la distanza di quell'idea, dal lavoro concreto e reale, è ancor più ampia che altrove. In questi
giorni, un terzo degli italiani che hanno un impiego si dice pronto a lasciare l'Italia. A questi si deve
aggiungere un altro 25 per cento che rinuncerebbe a vivere nell'attuale città di residenza o di
nascita. Solo in Indonesia, Messico, Malesia e Thailandia si registrano percentuali maggiori a quelle
italiane.
La meritocrazia negata. I dati sono quelli dell'ultima indagine Kelly Global Workforce Index,
realizzata da Kelly Services, società di servizi per la gestione delle risorse umane. Coinvolti
nell'inchiesta sono stati 97 mila lavoratori in tutto il mondo. Seimila gli italiani interpellati. “In
Italia – spiega Stefano Giorgetti direttore generale di Kelly Services Italia - il criterio meritocratico
non sempre vince, pertanto in molti non escludono la possibilità di cercare altrove nuove
opportunità, che possano appagare al meglio le proprie ambizioni. Inoltre i programmi universitari
quali Erasmus e Progetto Leonardo, che nel nostro Paese hanno avuto un boom solo negli ultimi
anni, abituano i giovani fin dagli studi all'idea di viaggiare per migliorare il proprio background
professionale”.
I più stanziali. Anche in Svezia e Norvegia si dicono pronti a partire. Così come negli Stati Uniti e
persino in Germania. Ma in proporzioni decisamente inferiori. E mentre da noi solo l'11 per cento
non è disposto a trasferirsi, i norvegesi “stanziali” sono il 42 per cento, gli svedesi il 35 per cento,
gli statunitensi il 34 per cento e i tedeschi il 32 per cento. Se si dovessero varcare i confini, la metà
degli italiani preferirebbe andare in Europa mentre il 25 per cento esprime la propria preferenza per
gli Stati Uniti (vedi la tabella).
tabella
La propensione dei manager. Se è vero che sono soprattutto i giovani ad aver la maggiore
propensione a muoversi (quasi quattro su dieci di chi ha meno di 30 anni), desta qualche sorpresa
che molti sono anche quelli con un'età compresa tra 30 e 47 anni. “Ben tre professionisti su dieci
sarebbero pronti a rinunciare al Belpaese per cogliere le migliori opportunità di carriera - spiega
Stefano Giorgetti - Un dato che dovrebbe far riflettere imprenditori e responsabili delle risorse
umane, soprattutto in relazione al rischio di un impoverimento delle competenze manageriali
disponibili nel nostro Paese e di un conseguente ritardo nella ripresa e nello sviluppo si a livello di
singole aziende, sia a livello di sistema Italia”.
L'impegno e le mansioni. Per molti, d'altronde, il rapporto con il proprio impiego non è dei più
semplici. Quasi quattro italiani su dieci hanno nei confronti della loro condizione di lavoro una
sensazione di disagio. Tanto che la definiscono “non canonica”. Tra le ragioni c'è soprattutto
l'eccessivo numero di ore lavorate, gli orari non convenzionali ma anche le tante mansioni a cui si è
tenuti. La crisi, per chi rimane in azienda, ha finito per fare ricadere molti pesi su pochi.
“Attualmente, anche a livello manageriale -dice Giorgetti - si sta assistendo alla progressiva
attribuzione di più cariche e responsabilità a singoli individui. Si tratta di un fenomeno tangente al
tema della lean organization che ha trovato, nella crisi, un forte catalizzatore. Se da un lato questo
fenomeno permette vantaggi per le aziende, che possono contare su professionisti multi-tasking,
dall'altro rappresenta un aspetto che deve essere preso in considerazione sotto il profilo della
gestione delle risorse umane”.
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Scienze Politiche, la storia è qui
la contemporaneità anche
Franca Alacevich, preside della Cesare Alfieri, parla delle nuove sfide della facoltà frequentata da
Spadolini e Sartori
di GAIA RAU
E' la più antica facoltà di Scienze Politiche in Italia e, insieme a quella di Bologna, la più
prestigiosa. Fra i suoi allievi personalità del calibro di Giovanni Spadolini e Giovanni Sartori. Ma la
"Cesare Alfieri" è ancora all'altezza delle sfide imposte dai tempi? La preside, Franca Alacevich, è
convinta di sì.
Professoressa, con una laurea in Scienze politiche si trova lavoro?
"Sotto il profilo occupazionale non riscontriamo problemi particolari, fermo restando la crisi
generale. I dati di Alma Laurea ci dicono che, con un tasso di occupazione superiore al 70 per
cento, la Cesare Alfieri è la prima facoltà di Scienze politiche in Italia in quanto a capacità di
collocare i suoi laureati nel mondo del lavoro, oltre a non aver niente da invidiare ad altre che danno
titoli apparentemente più spendibili".
Si sente ripetere che questa facoltà insegna "tutto e nulla". Che dà un'ottima preparazione di
base ma non serve per apprendere un mestiere.
"E' uno stereotipo corrente, ma non pienamente giustificato. Sicuramente Scienze politiche dà una
formazione interdisciplinare, prepara a un enorme campo di professioni e non a una in particolare, e
in questo senso orientarsi può non essere facile. Ma io sono sociologa del lavoro e so bene cosa
chiede il mercato del lavoro da almeno dieci anni: soggetti in grado di trovare metodologie e
informazioni, persone che sappiano dialogare con esperti di varie provenienze disciplinari.
Insomma, tutta una serie di competenze trasversali a cui questa facoltà prepara perfettamente. Il che
non significa essere tuttologi".
Ci saranno cambiamenti, da settembre, nella vostra offerta formativa?
"No. Continueranno ad esserci due corsi di laurea triennale, Scienze politiche e Sociologia e
politiche sociali, e sei corsi di laurea magistrale. Stiamo mantenendo ferma la situazione in vista di
cambiamenti più importanti che nei prossimi anni investiranno la struttura e l'architettura
istituzionale degli atenei. Anche perché cambiare ogni anno è sconfortante, soprattutto per gli
studenti e le famiglie".
E Scienze politiche negli ultimi anni è cambiata molto.
"Il passaggio dal quadriennio 'classico' (due anni uguali per tutti e due anni di specializzazione) al
3+2, nel 2001, ha avuto un effetto benefico sulla riduzione del numero degli studenti fuori corso,
ma forse abbiamo esagerato con l'offerta formativa. Il cambiamento più importante in questo senso
è stato nel 2008 con il passaggio al regime 270 che ci ha permesso di approfittare di questo
miglioramento e di raddrizzare l'eccessiva proliferazione dei corsi. Personalmente sono molto
contenta del ritorno a un unico corso di Scienze politiche, che raccoglie cinque corsi precedenti".
Ha sollevato il problema dei fuori corso. Sono molto numerosi?
"Non sono pochi, ma spesso si tratta non tanto di studenti in ritardo, quanto di studenti lavoratori
che, per necessità, ci mettono più tempo degli altri a laurearsi. Purtroppo è ancora poco conosciuta
(nel nostro caso riguarda soltanto il 10 per cento degli iscritti) la figura dello studente 'part time',
grazie alla quale è possibile scegliere di conseguire meno crediti ogni anno pagando contributi
ridotti".
Scienze politiche ha corsi di laurea a numero chiuso?
"No, ma abbiamo come tutte le altre facoltà un test di ingresso obbligatorio ma non vincolante ai
fini dell'iscrizione, che nel nostro caso è nazionale. La prova si articola in quattro sezioni e se non
viene superata in maniera soddisfacente lo studente ha la 'matricola bloccata', nel senso che non può
presentarsi agli esami finché non ha seguito un corso di recupero".
Quali lacune emergono dai test di ingresso?
"Le maggiori difficoltà riguardano la sezione dedicata al ragionamento logico. Sul mercato ci sono
tanti prontuari, ma non credo esista un modo in particolare per prepararsi: la logica dovrebbe essere
una capacità acquisita nel corso degli anni. I corsi di recupero, però, danno ottimi frutti".
Statistica e Inglese: si dice che per passare questi due esami ci vogliano anni.
"Anche questa è una leggenda comune. Io consiglio agli studenti di seguire il percorso prestabilito,
che prevede Statistica al primo anno e Inglese al secondo, perché è un processo logico, che ha un
senso".
La facoltà è celebre per l'alta percentuale di studenti che vanno in Erasmus.
"Siamo primi in ateneo quanto a flusso in entrata e in uscita di studenti Erasmus. E questo per noi
continua ad essere un 'in più' importantissimo. Inoltre secondo Alma Laurea siamo, insieme a
Bologna, una delle sedi che attraggono più studenti dalle altre regioni".
Quanti sono gli iscritti al primo anno?
"Circa mille (oltre ai 400 che frequentano un corso in collaborazione con l'Arma dei carabinieri),
con una piccola flessione rispetto all'anno scorso".
E il rapporto studenti/docenti?
"E' il nostro problema maggiore, perché abbiamo perso molti docenti mentre le iscrizioni sono
rimaste sostanzialmente stabili. Il problema è che, se prendiamo la triennale in Scienze politiche,
con 550/600 iscritti tutti gli anni, ogni corso dovrebbe essere suddiviso in tre parti".
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Gli atenei migliori? Con tanti stranieri
Ma l'Italia è ben ultima in Europa
Solo 57mila iscritti nelle nostre università. La maggior parte sono albanesi, poi cinesi, rumeni
e dai paesi africani. Pochissimi casi di politiche per attrarre ragazzi di altri paesi. E meno di
60mila sono gli italiani all'estero di CORRADO ZUNINO
ROMA - Le nostre università non sono internazionali né vogliono
diventarlo. Solo 57 mila 447 sono gli studenti stranieri iscritti nei
settantasette atenei italiani, 746 ragazzi a testa (in media). E nelle
classifiche di riferimento europee siamo sempre in fondo: ultimi o
penultimi nel confronto con i quattro big continentali (Inghilterra,
Germania, Francia e Spagna) e gli Stati Uniti. Simile, al di sotto dei
60 mila, è il numero degli italiani all'estero, un'anomalia nel contesto
Ue che, nei suoi paesi più sviluppati, presenta saldi ampiamente
positivi: una nazione all'avanguardia spinge sempre i suoi giovani
verso gli atenei del mondo. E nel mondo - la fonte è la Banca mondiale - ci sono 3 milioni e 343
mila studenti all'estero e oltre 627 mila, il 19% del totale, sono ospitati negli Stati Uniti.
L'Inghilterra, con un decimo degli universitari stranieri nelle sue aule, e la Francia e la Germania,
con il 7,3% a testa, hanno quattro-cinque volte la capacità attrattiva dell'Italia, oggi al 2%.
Perché è importante valutare la tensione internazionale di un singolo ateneo e del sistema
universitario italiano? Perché l'internazionalizzazione - in entrata e in uscita - è un parametro che
indica la competitività dell'università e aiuta a misurare due valori decisivi come "insegnamento" e
"ricerca". Il fenomeno inverso, chiamiamolo la "capacità Erasmus", ovvero spingere studenti in
atenei oltre i confini, mostra invece la propensione alla sfida dei nostri ragazzi e quindi la voglia di
crescere di un paese intero. Il think thank della società italiana "Vision", che ha curato la ricerca con
un gruppo di cinque persone basandosi sui dati nazionali e internazionali di cinque istituzioni,
considera il "fattore Erasmus" uno dei più importanti per spingere all'innovazione gli istituti
universitari.
La comunità studentesca più numerosa in Italia è, sorprendentemente, quella albanese: nelle nostre
università ne sono iscritti 10.961, quasi il venti per cento del totale. La comunità studentesca
albanese in Italia è quindici volte più grande di quella francese e trentaquattro volte più grande di
quella spagnola. Spesso, sono giovani immigrati di seconda generazione che hanno svolto i propri
studi da noi dalla scuola di base dopo l'ondata migratoria da Tirana che esplose alla fine degli anni
Novanta. Nella classifica dei gruppi etnici presenti nelle università italiane si trovano, a seguire, le
comunità studentesche cinese e rumena. L'Italia è un approdo, quindi, per giovani del mondo
africano e arabo: camerunensi, iraniani, marocchini. Ecco, gli studenti stranieri che approdano in
Italia sono considerati meno qualificanti poiché non provengono, perlopiù, dai quattro paesi europei
più sviluppati (Inghilterra, Germania, Francia e Spagna, appunto), dagli Stati Uniti (sono 368
l'anno), né dai quattro paesi emergenti più dinamici (Cina, India, Brasile e Russia). Dalla Cina
arrivano da noi cinquemila giovani ogni anno quando in Germania sono 25 mila le matricole cinesi.
Dall'India approdano in Italia 627 studenti l'anno quando verso l'Inghilterra ne salgono 26 mila. Gli
studenti tedeschi che ospitiamo, in classifica, sono al quattordicesimo posto.
Restiamo ultimi, ma qui le distanze si assottigliano, anche sull'Erasmus vero e proprio: gli
universitari che studiano all'estero per un periodo contingentato. L'Italia viene scelta dall'8,8% dei
giovani europei, la Spagna dal doppio (favorita comunque dalla maggior diffusione della lingua).
Sale di un punto percentuale (è al 9,8%) la quota di studenti italiani che usa il tram dell'Erasmus per
studiare all'estero: peggio di noi solo gli inglesi.
Per lungo tempo i giovani italiani sono stati, insieme ai tedeschi, i più importanti migranti per
studio: negli ultimi otto anni, però, abbiamo perso mezzo punto in percentuale, a dimostrazione di
una stasi del paese che si è pietrificata nell'ultimo periodo. "Oltre a non avere studenti
internazionali", sostiene Vision, "non abbiamo una strategia di attrazione nei loro confronti, non c'è
alcun piano". C'è solo lo sforzo solitario di alcuni atenei come l'Università per gli stranieri di
Perugia, in testa alla classifica "internazionalizzazione", seguita dalla Bocconi di Milano, dall'altra
università per stranieri di Siena e dai grandi Politecnici di Torino e di Milano.
E' interessante, per spiegare la politica autonoma dei singoli atenei, seguire l'arrivo in Italia degli
studenti cinesi, figli dell'economia più dinamica sulla terra e in questa fase storica "outgoing" per
eccellenza: il 15,3% per cento degli studenti all'estero nel mondo sono cinesi. E la dinamica dei loro
arrivi ci spiega come siano pochi e molto virtuosi gli atenei italiani impegnati a calamitare stranieri:
il Politecnico di Torino, il Politecnico di Milano e l'Università di Bologna ospitano il 37% degli
studenti cinesi in Italia e tutti e tre hanno costruito questo percorso solo negli ultimi cinque anni. E'
possibile, ecco, fare università moderna e attraente anche da noi, ma lo fanno in pochi.
In questo campo, la spinta all'internazionalità, vanno puntualmente male le università del Sud (la
prima è quella del Sannio, al sedicesimo posto) e sono posizionati bene gli atenei piccoli e
specializzati rispetto alle università grandi e generaliste (La Sapienza di Roma è al 19° posto). In
cima alla lista ci sono, oltre, abbiamo visto, alle due specializzate di Perugia e Siena, l'Università di
Bolzano vicina al confine con l'Austria (offre corsi in tre lingue), l'Università di Trieste vicina al
confine con la Slovenia e atenei come la commerciale Luigi Bocconi e i due politecnici di Torino e
di Milano. Solo undici istituti su settantasette hanno iscritti provenienti dai quattro paesi emergenti
(Bric) e dall'occidente avanzato per un peso maggiore dell'1%.
Che fare per deprovincializzare le università d'Italia, il paese che ha inventato le università?
"Vision" suggerisce, fra le altre cose, di inserire fra i parametri che determinano l'assegnazione di
incentivi anche quelli specifici dell'"internazionalizzazione", quindi chiede di rendere obbligatorio
in ogni ateneo l'esperienza dell'Erasmus e, soprattutto, di proporre ai talenti stranieri e italiani
opportunità di impegno per l'Italia e in Italia.
(continua)
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“Occhio ai blog e ai falsi titoli il bluff non paga”
Paolo Citterio è il presidente nazionale di Gipd, con una trentennale esperienza nella selezione del
personale.
A cosa deve stare più attento un neolaureato se non vuole compromettere le chance di essere
assunto?
"Non deve mai scrivere o riportare su internet che vuole rimanere nella propria città. Un problema
che hanno tutti. Anche al nord. Conosco dei giovani che non vogliono muoversi da Parma per
andare a lavorare a Torino. Piuttosto, ha senso mettere in evidenza un'esperienza all'estero con
l'Erasmus o dei brevi periodi di lavoro in azienda".
E con i blog come si devono comportare?
"Direi di stare molto attenti ad aprire un blog e a connotarsi troppo in termini di idee politiche.
Meglio cercare di non parlare di politica. Meglio agnostici".
Cosa non deve fare mai invece un manager?
"Mai inventarsi incarichi non ricoperti o che non si ricoprono più. Ci sono manager, anche direttori
delle risorse umane, che per attrarre chi fa ricerca, si inseriscono su Linkedin con un titolo che non è
più attuale. Poi finisce che la pagano".
Chi è stato licenziato o si è dimesso "spontaneamente" a cosa deve stare attento?
"Non deve mai omettere le esperienze passate. Anche quelle di cui non è orgoglioso. Meglio
spiegare. Il bluff non ha domani. Soprattutto ora. E mai esprimere opinioni, anche se vere, sulla
negatività di ambienti, superiori e colleghi".
E un over 45 che vuole rientrare nel mercato del lavoro cosa potrebbe inventarsi?
"Deve aprire un sito web in cui racconta in dettaglio il percorso compiuto e fare capire, con
professionalità, che non disdegna una posizione non collimante con il suo ultimo impiego o con una
retribuzione per lui non congrua".
(f. p.)
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In bici dalla Finlandia a Salerno
L'avventura di uno studente Erasmus
Il 23enne Giuseppe D'Acunti ha compiuto un’impresa spericolata percorrendo 1600 chilometri sulle
due ruote
SALERNO - Dalla Finlandia in Italia in bici. Un’impresa spericolata lunga
1600 chilometri che solo adesso che si è conclusa Giuseppe D’Acunti, 23
anni, studente di informatica all’Università di Salerno, si è reso conto di
avere affrontato e superato. Con una buona dose di incoscienza giovanile.
Dalla Finlandia in Italia in bici. Sfidando le avversità meteorologiche, le
difficoltà economiche e una fauna umana non proprio irreprensibile. Tutto è
cominciato quando il 18 agosto 2010 Giuseppe, originario di Montesano
sulla Marcellana ma residente per motivi di studio a Mercato San Severino,
si trasferisce a Tampere, città finlandese che sorge su un istmo tra due laghi.
«Per sei mesi -racconta -ho seguito un tirocinio del progetto Erasmus dando
esami in lingua inglese. Nel tempo libero andavo un po’ in palestra però mi
annoiavo» . Due settimane prima di partire l’idea: acquistare una bicicletta.
«Vedevo che tutti per spostarsi l’usavano e allora penso che sarebbe tornata comoda anche per me».
Settecento euro e la mountain-bike californiana è sua. Sorgono però subito i primi problemi: come
si fa a portarla in Italia? «Non l’avrebbero mai fatta salire sul treno o sull’aereo, l’unico modo era
usarla. E allora decisi: me ne torno a casa in bici» .
È la mattina presto del 31 gennaio quando Giuseppe, salutato dagli amici finlandesi che poi lo
seguiranno nella sua avventura «on the road» attraverso le praterie di facebook, parte. «All’ora di
pranzo arrivo a Turku dove prendo il traghetto destinazione Stoccolma» . In tasca un cellulare che
gli fa da computer di bordo attraverso Google map e una carta di credito con mille euro. «Del primo
giorno di viaggio -riprende D’Acunti -ricordo che faceva un freddo pazzesco, eravamo a -18 ° e
l’acqua si era ghiacciata. Chiesi a un uomo che stava scaricando della legna qualcosa da bere, mi
diede una bottiglia da un litro e mezzo piena di un alcol che usano sul lavoro al posto dell’acqua» .
La notte passa sul traghetto chiacchierando con un alcolista finlandese che racconta la sua vita. «Per
raggiungere Malmo, nella parte più meridionale della Svezia, devo prendere il treno ma è vietato
salire con la bici. Allora acquisto cinque scatoli di cartone e del nastro adesivo e mi imballo tutta la
bicicletta che provvedo a smontare. Purtroppo il pacco, per 20 centimetri in più, è rifiutato. E allora
sono costretto a noleggiare un’auto» . Da Malmo a Copenaghen ma stavolta in treno. «Cercavo un
posto per dormire, trovo un ostello a 28 euro a notte, mi ci fiondo e vedo gente strana sdraiata a
terra, ubriaca, drogata. Chiedo a una donna se posso fermarmi a dormire. La risposta è «qua non si
dorme, c’è solo sesso da fare» .
Nella stessa notte tra il 3 e il 4 febbraio Giuseppe rifiuta le profferte di una prostituta e di un
tizio che voleva vendergli cocaina. «Passo la notte alla stazione con un pakistano» . Dopo una greve
sosta a Kiel l’intrepido ciclista giunge pedalando ad Amburgo dove in un ostello cucina la
carbonara per polacchi, spagnoli e australiani. «Ad Amburgo ho qualche problema, fuoriesce olio
dal freno posteriore» . Altri 140 chilometri in sella e il 7 febbraio Giuseppe arriva a Brema dove fa
amicizia con un gruppo di inglesi. L’itinerario dei giorni successivi è Osnabruck («pioveva pure» ),
Colonia, Maastricht e Bruxelles. A San Valentino arriva a Lille e la sera stessa prende il treno per
Parigi e da qui per Ginevra. L’avventura si conclude a Milano, dalla sorella, dove Giuseppe
smaltisce la stanchezza e si ricarica in vista dello sprint finale: i 178 chilometri che separano
Mercato San Severino da Montesano sulla Marcellana. «L’anno venturo -non demorde l’Erasmus a
due ruote -ho già in programma di fare il percorso di Santiago de Compostela con Fede» . Con chi?
«Con Fede, è il nome della mia bici. Sta per Federica ma anche proprio Fede. Perchè non ve l’avevo
detto?».
Gabriele Bojano
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Esami facili all'estero
preside Economia Bari cancella 2 paesi Erasmus
di Luca Barile
BARI - L’attesa degli studenti è finita. Il nuovo bando Erasmus per i viaggi studio all’estero è stato
pubblicato ieri, scatenando la gioia dei ragazzi che aspettavano l’opportunità dell’esperienza in
Europa. Ma è finita anche la pacchia di chi, probabilmente, ha abusato per anni di questa
opportunità. Nell’elenco delle destinazioni straniere, infatti, mancano le dodici sedi rumene e
polacche che erano state messe sotto accusa nella facoltà di Economia. Sono state depennate dalla
lista delle destinazioni possibili per il prossimo anno accademico, come aveva richiesto il preside
della facoltà, Vittorio Dell’Atti, dopo aver ricevuto diverse segnalazioni sui meccanismi poco chiari
con cui si sarebbero finora svolti questi viaggi.
Insospettito dalla grande richiesta degli studenti di potersi recare in alcune università della Polonia e
della Romania, Dell’Atti aveva avviato i controlli, grazie ai quali era riuscito ad accertare diverse
irregolarità. La gran parte dei ragazzi che si recavano in quei luoghi, in pratica, sostenevano in
massa gli stessi esami e, coincidenza per la quale il preside non ha creduto al caso, si trattava di
esami particolarmente difficili, che solitamente contano molti bocciati ad ogni appello, come la
temutissima prova di Matematica per l’economia. Il sospetto, quindi, era che nelle università
straniere quelli stessi esami risultassero molto più abbordabili per gli studenti, che ne avrebbero così
approfittato per accelerare i loro studi e procedere più spediti verso il conseguimento della laurea.
L’allarme lanciato ad Economia ha messo in allerta l’ufficio Erasmus dell’Ateneo e perfino
l’agenzia nazionale per l’Erasmus, che sovrintende in Italia al programma internazionale. Di
conseguenza, l’Università ha depennato dal nuovo bando di concorso (anno accademico 2011/2012)
tre università e un politecnico di Bialystok, una di Olsztyn, una di Stettino e un’altra di Katowice, in
Polonia, nonché l’Università Ioan Cuza, di Iasi, l’accademia di studi economici di Bucarest,
l’Università Petrol gaze di Ploiesti, l’università di Suceava e quella di Timisoara, in Romania. Per
tutte queste destinazioni è vietato candidarsi al soggiorno Erasmus per il prossimo anno.
Quelle mete, così gettonate dagli studenti, sono state successivamente congelate, in attesa che
l’Università procedesse ad annullare definitivamente le convenzioni che regolano gli scambi di
studenti, come richiesto da Dell’Atti. Inoltre, il preside aveva proposto che non fosse più possibile
sostenere in nessun’altra sede estera gli esami del primo anno dei corsi di laurea triennali di
Economia, tra cui il già citato esame di Matematica per l’economia che è un po’ la bestia nera degli
studenti baresi. Le convenzioni, però, non sono state annullate, per consentire agli studenti rumeni e
polacchi di arrivare comunque a Bari, ma impedendo di fatto ai baresi di andarci.
Nel frattempo, anche la facoltà di Medicina si è attivata per capire se al suo interno ci siano
situazioni simili. Il preside, Antonio Quaranta, ha disposto a febbraio scorso un controllo su tutte le
sedi sospette, di cui si attendono i risultati.
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