Scarica - Ordine dei Medici Viterbo

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Scarica - Ordine dei Medici Viterbo
n. 1 2012
Attualità
Interviste
FNOMCeO
E.C.M.
Formazione e
aggiornamento
Mostre, Viaggi
Libri, Poesie,
Racconti
Registrazione Tribunale di Viterbo N. 449 del 07/07/97 - Spedizione in AP 70% Filiale di Viterbo - Art. 2 comma 20D legge 662/96 Fil. Viterbo
ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI DI VITERBO
della
Giornale Medico
TUSCIA
In questo numero:
“È possibile rilevare
l’area cerebrale del senso morale?”.
Un quesito del postmoderno.
S. Giovagnoli
Partoanelgesia: un sogno,
una possibile realtà
I. Mattozzi
La cataratta
F. Ricci
SOMMARIO
3
EDITORIALE
4
“È possibile rilevare l’area
cerebrale del senso morale?”.
Un quesito del postmoderno.
S. Giovagnoli
6
Partoanelgesia: un sogno,
una possibile realtà.
I. Mattozzi
10
Sindrome delle Apnee
Ostruttive nel Sonno o
Obstructive Sleep
Apnea Syndrome (OSAS)
P. Scavalli
12
La cataratta
F. Ricci
14
La terapia radiologica
del varicocele
M. Ortenzi, E. Pofi
18
Iter diagnostico-terapeutico
del paziente con aneurisma
dell’aorta addominale rotto
A. Borghetti
20
Rischio Psicosociale: aspetti
legislativi, preventivi, formativi
nei contesti sanitari
S. Apolito, S. De Simoni
27
Linee Guida in tema di abuso
sui minori | 2° parte
34
FNOMCEO
39
ECM
40
MOSTRE
46
POESIE
EDITORIALE
ORDINE DEI MEDICI
CHIRURGHI E ODONTOIATRI
DI VITERBO
Consiglio direttivo:
Dott. Antonio Maria Lanzetti
Dott. Luciano Sordini
Dott. Andrea Casella
Dott. Giulio Maria La Novara (odont.)
Dott. Bernardino Bernardini
Dott. Mario Gobattoni
Dott. Sandro Marenzoni
Dott. Claudio Picca
Dott. Mauro Rocchetti (odont.)
Dott. Luigi Trisciani
Dott. Enrico Zonghi
Presidente
V. Presidente
Segretario
Tesoriere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Commissione Odontoiatri:
Dott. Mauro Rocchetti
Dott. Enrico Arelli
Dott. Giulio Maria La Novara
Dott. Stefano Pesaresi
Dott. Alfredo Riccardi
Presidente
Componente
Componente
Componente
Componente
Revisori dei Conti
Dott. Domenico Caresta
Dott. Andrea Leoncini
Dott. Luciano Meschini
Dott.ssa Miriam Galletti
Presidente
Componente
Componente
Supplente
Il Giornale Medico della Tuscia è pubblicato dall’Ordine da diversi anni, con la collaborazione di Colleghi appartenenti a numerose specialità d’interesse comune, che hanno accettato
con entusiasmo di produrre elaborati a carattere divulgativo, dedicati all’approfondimento
di argomenti di attualità utili alle esigenze di aggiornamento di una classe medica che non
sempre riesce a seguire l’enorme mole di informazioni fornite dalla comunità scientifica. Gli
articoli, di norma brevi e di facile lettura, sono stati integrati da Linee Guida delle più importanti Società Scientifiche, dedicate a chi desidera conoscere gli argomenti in maniera esaustiva. A completamento del Giornale, una serie di comunicazioni estratte di volta in volta
dalle pubblicazioni più recenti della FNOMCeO, oltre ad annunci e resoconti di ECM, alla
rubrica delle mostre d’arte programmate in Italia e all’estero, e, infine, una serie di poesie
degli autori del mondo passato e recente, considerate oggi come veri e propri classici.
A tutti i Colleghi va un sentito e caloroso ringraziamento del Comitato di Redazione, e a
tutti va rinnovato l’invito a partecipare, inviando i loro articoli, preferibilmente se a contenuto divulgativo generale, senza però trascurare la possibilità di impegnarsi in argomenti
specifici di attualità.
A tutti i Colleghi che ricevono il Giornale Medico della Tuscia va l’invito della Redazione ad
esprimere i loro parere sul modello attuale, segnalando suggerimenti e modifiche che ritengono utili all’interesse generale.
Infine, un ringraziamento particolare ai Colleghi componenti del Consiglio Direttivo
dell’Ordine, per la supervisione e per le competenze d’indirizzo che consentono la realizzazione e la vita del giornale.
Il Comitato di Redazione
Il sito dell’Ordine dei Medici di Viterbo
è online all’indirizzo:
www.ordinemediciviterbo.it
Direttore responsabile
Dott. Vincenzo Gasbarri
Responsabile scientifico e delle iniziative culturali
Dott. Riccardo Paloscia
In copertina:
Attimi d’inverno
Progetto grafico e impaginazione:
Frasi di Silvia Cruciani
Comitato di redazione
Dott. Riccardo Paloscia
Dott. Giulio Maria La Novara
Dott. Mario Gobattoni
3
BIOETICA
BIOETICA
“È possibile rilevare
l’area cerebrale del senso
morale?”. Un quesito del
postmoderno.
Dr. Subino Giovagnoli
Scienza & Vita, Gruppo di Viterbo
A
terattiva crea il dialogo ma già intorno al 1928 Max Scheler, filosofo della
simpatia e dell’empatia, parlava di
“conoscenza emozionale” precorrendo i tempi.
Con i suoi studi su Phineas P. Gage, un
operaio che subì un gravissimo trauma cranio-encefalico nel 1848 a Cavendish, nel Vermont, e che perse il
senso morale, Damasio risulta come
"uno dei principali esponenti della tesi
che le emozioni sono fondamentali
per l'agire morale" (pag. 55). I risultati
più interessanti ai fini della ricerca
neuroetica stanno arrivando dagli studi sulla corteccia prefrontale ventromediale. La perdita di sostanza encefalica può significare sovvertimento
comportamentale e degenerazione
della vita etica.
La Prof.ssa Laura Boella che insegna
Filosofia morale presso l’università di
Milano ed è autrice del libro “Neuroetica, la morale prima della morale”,
si diffonde tra l’altro sulla scoperta dei
neuroni specchio da parte del nostro
Giacomo Rizzolatti (1995). La loro
presenza ha aperto nuove prospettive allo studio sulle relazioni tra emozione e percezione. «La scoperta dei
neuroni specchio, che fanno 'vivere' le
azioni altrui che vediamo, permette
poi di meglio apprezzare un sentimento chiave come l’empatia». Esiste cioè
una base biologica che spiega la possibilità di partecipazione agli eventi che
coinvolgono gli altri.
ntonio Rosa Damasio
portoghese è docente alla
University of Southern
Caliphornia, ed è autore
del libro L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, [Milano, Aldephi, 1995].
«Le neuroscienze non solo ci dicono
che le emozioni hanno grande rilievo
in molti nostri comportamenti, ma
che esse sono indispensabili per
quella che il senso comune ritiene
essere una condotta 'normale'. Pazienti che hanno subito lesioni ad
aree specifiche del cervello, in particolare quelli che hanno perso la capacità di coinvolgimento emotivo,
messi di fronte a dilemmi morali,
manifestano o un cinismo utilitaristico o un’acuta irrazionalità. Recuperare le emozioni equivale a ridare significato e valore al corpo, con i suoi
atteggiamenti originari di interesse,
empatia e cura verso l’altro».
La comunicazione partecipata ed in-
4
Ma anche la medicina psicosomatica
trova agganci strutturali per i suoi reperti clinici.
Lo stesso Damasio, con il concetto di
marcatore somatico, spiega infatti
l’origine psicosomatica dei messaggi
corporei: lo stomaco si contrae in caso di paura, le spalle sobbalzano per
una risata convulsa. Le emozioni di
base, frutto dell’evoluzione, non decidono per noi, bensì ci aiutano ad
orientarci nel mondo. Poi, tocca al nostro io spirituale la decisione.
D’altra parte la nostra mente è in grado di astrarre le idee, di giudicare e di
ragionare, cavalcando le emozioni, fino
a giungere ai principi universali di con-
dotta e di interpretazione del mondo,
e questa attività è impensabile a livello
del solo funzionamento del cervello,
considerato quale organo. Esso è a
disposizione della mente ma non vi si
identifica. Il puro neurologismo non
ha motivo di sussistere.
Anche sul problema della mediazione
chimica delle informazioni e dei sentimenti che elaboriamo di conseguenza, dobbiamo concludere che la neurobiologia spiega solo la prima parte
del discorso. Prendiamo ad esempio
un sistema di valore che rilascia il
neurotrasmettitore dopamina. Questo sistema si trova nei gangli della
base e nel tronco encefalico. Il rilascio
di dopamina agisce come un sistema
di ricompensa che facilita l’apprendimento, tramite l’incasellamento mnesico mediato dal glutammato e dall’NMD aspartato. Altri sistemi rilasciano neurotrasmettitori differenti;
quelli che rilasciano serotonina governano l’umore e quelli che rilasciano acetilcolina possono modificare le
soglie nello stato di veglia e nel sonno. (vedi anche adrenalina e nor-adrenalina). I sistemi di valore forniscono
le propensioni e le ricompense”.
[G.Edelman, Seconda natura. Scienza
del cervello e conoscenza umana,
Cortina, Milano 2007, pp. 26-27] .
Ma ricordiamoci che i desideri nascono dai bisogni, e che nell’uomo «breve
è la via dal bisogno alla bramosia». Per
questo consideriamo indispensabile un
esercizio etico e bioetico alla luce dei
valori. Senza la nostra possibilità di
scegliere coscientemente, quella cioè
che Aristotele ed Epitteto chiamavano
pro-airesis, non ci spiegheremmo in alcun modo le decisioni personali e le
infinite sfumature del mondo etico
comportamentale, comprese le difficili
situazioni legate alle aporie, gli eventi
senza sbocco risolutivo.
“Ciò che nel pensiero è affermazione
o negazione, nel desiderio è ricerca o
fuga, di modo che, siccome la virtù è
uno stato abituale che produce scelte,
e la scelta è un desiderio deliberato,
proprio per questo se la scelta è la
migliore, il ragionamento deve essere
vero e il desiderio corretto, e l’uno
deve affermare, e l’altro perseguire gli
stessi oggetti”. [Aristotele (Etica a
Nicomaco)]. Aristotele in sostanza
...le emozioni hanno
grande rilievo in molti
nostri comportamenti,
ma esse sono
indispensabili per quella
che il senso comune
ritiene essere una
condotta 'normale'.
Pazienti che hanno subito
lesioni ad aree specifiche
del cervello, in particolare
quelli che hanno perso la
capacità di coinvolgimento emotivo, messi di
fronte a dilemmi morali,
manifestano o un cinismo
utilitaristico o un’acuta
irrazionalità.
sapeva già che quando le cose vanno
per il verso giusto, ragioniamo sulle
buone emozioni e sui corretti desideri. Quello auspicato dallo Stagirita è
un equilibrato ragionamento empatico per raggiungere uno scopo, e basta
riflettere che noi ragioniamo meglio
se stiamo tranquilli e vigili, cioè in presenza di un minimo di mediatori deputati a mantenere lo stato di veglia.
In altre parole noi emettiamo un giudizio equilibrato solo se la coscienza
riposa in uno stato di stabile emotività
e mai sull’assenza di ogni emotività.
Le decisioni etiche richiedono poi un
sapere che non si dimentica, diverso
da quello tecnico, ma che neppure si
può apprendere perfettamente nei
minimi particolari, poiché si è costretti già dalla situazione, ad esercitare illico et immediato cioè “lì e subito”, la
propria Phronesis, la saggezza morale,
ogni volta che capiti, adattandosi con i
necessari accorgimenti ad ogni occasione (H.G. Gadamer).
Dunque, esistono aree cerebrali pre-
disposte e comuni, per un comportamento morale condiviso tra gli esseri
umani ognuno dei quali può scegliere,
e spesso, in condizioni drammatiche.
Ma non possiamo assumere che singole aree cerebrali siano responsabili
unicamente di funzioni mentali specifiche, né si può concludere che l'attivazione di quelle regioni ci dica cosa una
persona sta pensando. Perciò è anche
impossibile dire se l'aumento o la riduzione di attività in una particolare
regione del cervello debba essere
considerata “migliore” o “anormale”.
Non diversamente da quanto si potesse arguire fin dai primi anni del secolo scorso, quando Charles S. Sherrington (1857-1952) con il libro
“L’azione integrativa del sistema nervoso” del 1906, sostenne l’esistenza di
vari livelli cognitivi e decisionali attivati
con meccanismi integrativi e in tal
senso si può parlare oggi anche di
neurobioetica.
In ogni caso, tramite le tecniche di
neuroimaging, alcune aree sono ben
conosciute e mappate, quali lo striato
ventrale (ricompensa), la corteccia
prefrontale orbitomediale (volizione),
la corteccia prefrontale mediale (sentirsi connesso), la corteccia cingolata
anteriore (conflitto) e l'amigdala (paura / sfida); e si sa che esse si attivano
sinergicamente. [ cfr. E. Racine, O. BarIlan, and J. Illes, “fMRI in the Public
Eye.” Nature Reviews Neuroscience
6, no. 2 (2005): 159–64. (Functional
Magnetic Resonance Imaging).]
Siamo dunque ben lontani dal relativismo etico. Possiamo perciò superare
la separazione radicale tra ragione e
sentimento che ha caratterizzato molta parte della storia della filosofia.
La neuro-etica deve mettere insieme
le conoscenze di neurobiologia con i
sistemi valoriali umani, ed è perciò rischioso usare della stessa al di fuori
dei principi della bioetica. Ciò si dice
ad evitare la possibilità di separare
con artifici tecnici, i cervelli giudicati
malati e meno produttivi, da quelli cosiddetti sani, ai fini giuridici, legali e assicurativi, oltre a quelli strettamente
clinici. Il discorso merita un approfondimento che si spera di realizzare
quanto prima nelle nostre iniziative di
formazione professionale.
5
ATTUALITÀ
ATTUALITÀ
Partoanelgesia: un sogno,
una possibile realtà.
Dott. Ivano Mattozzi
AUSL Viterbo - Ospedale Acquapendente
Responsabile Ambulatorio di terapia del dolore e cure palliative Acquapendente (VT)
l parto è l’esperienza più alta della vita della donna, momenti in
cui alle emozioni forti di chi vive
l’evento in prima persona si associa la preoccupazione per l’evoluzione dello stesso.
Istanti in cui i sentimenti di gioia per
la nuova vita sono velati dal dolore
da travaglio; in queste fasi la donna
soffre senza che nessun sanitario,
nella maggior parte dei casi, le somministri un analgesico o, peggio ancora, le offra una parola di conforto
perché è ormai inveterata la convinzione che la madre che vuole alleviare il dolore del parto è una madre
«inadeguata». Alcune donne riescono
ad affrontare l'ansia e la paura legata
al parto e ad accettare il dolore del
travaglio mentre per altre donne il
dolore può rappresentare un evento
fortemente negativo che impedisce
di vivere la nascita di un bambino in
modo sereno.
La legge n° 38 del 15 marzo 2010
sancisce all’articolo 1 “….il diritto
del cittadino ad accedere alle cure
palliative e alla terapia del dolore”,
mettendo in risalto che nessun dolore può attendere.
I
Il dolore del travaglio di parto
Nel travaglio di parto la sintomatologia algica acuta, che spesso si protrae
per diverse ore, è caratterizzata da
tutte e tre le componenti del dolore
acuto (viscerale, somatico e riferito),
che insorgono in fasi diverse, fondendosi nei momenti finali della nascita.
Inoltre questo tipo di percezione è
gravato da una notevole valenza psicologica, tale da far attendere, e
temere, il momento del parto, fino a
diverse settimane prima.
I fattori che influenzano tale sintomatologia dolorosa possono essere
riassunti in:
OSTETRICI:
1) dimensioni fetali,
Alcune donne riescono ad
affrontare l'ansia e la paura legata al parto e ad accettare il dolore del travaglio mentre per altre donne il dolore può rappresentare un evento fortemente
negativo che impedisce di
vivere la nascita di un
bambino in modo sereno.
pegno del prodotto del concepimento
verso il canale vaginale: a questo
punto si raggiunge il massimo picco
della componente algica, venendosi ad
unire il dolore viscerale delle ultime
contrazioni uterine con il dolore
somatico determinato dalla distensione delle strutture del pavimento pelvico, fino al momento della nascita.
Lo stress algico del travaglio, oltre ad
avere connotazioni di stimolazione
adrenergica sulla partoriente (tachicardia, ipertensione, stimolazione
simpatica), può avere altresì ripercussioni negative anche sul nascituro: la
liberazione di catecolamine da una
parte (vasocostrizione utero placentare con riduzione del flusso ematico) e l’iperventilazione da dolore dall’altra (ipocapnia) possono aggravare
una situazione ipossica latente.
Analgesia epidurale lombare
L’epidurale rappresenta la tecnica
ideale per l’analgesia in travaglio di
parto per varie motivazioni quali l’efficacia, in quanto le contrazioni uterine vengono percepite senza dolore,
per la sicurezza sia materna che fetale, infatti i bassissimi dosaggi farmacologici e la possibilità di modulare la
quantità di analgesico a seconda della
fase del travaglio e dell'intensità del
dolore, non vengono ad influenzare le
dinamiche fisiologiche del travaglio e
del parto e non hanno alcun effetto
sul neonato e sull’allattamento.
Oggi il criterio per decidere quando
iniziare un’analgesia epidurale non è il
grado di dilatazione cervicale ma la
richiesta materna così che l’analgesia
può essere iniziata in qualsiasi momento del travaglio su richiesta della partoriente, indipendentemente dal grado di
dilatazione cervicale, ovviamente in
assenza di controindicazioni e previo
consenso informato. (American
Society of Anesthesiologists e ACOG).
Protocollo comportamentale
per l’esecuzione della analgesia
peridurale
Il blocco epidurale viene eseguito
dall’anestesista avvalendosi della collaborazione di un’ostetrica o di un’infermiera. Si incannula una vena peri-
ferica (cannula 17G o 18G) prima di
posizionare il catetere epidurale. Il
blocco epidurale può essere eseguito
con la donna in decubito laterale o
seduta. Non è necessaria pre-idratazione. Durante l’esecuzione del blocco vengono monitorate frequenza
cardiaca, pressione arteriosa e saturimetria in O2.
Dopo l’esecuzione del blocco (e
dopo ogni rifornimento epidurale) è
necessario il controllo della PA e
della FC ed il monitoraggio cardiotocografico per circa 30 minuti.
Il monitoraggio continuo di PA, FC
può essere necessario solo in particolari condizioni cliniche su indicazione dell’anestesista.
Il monitoraggio della SaO2 può essere richiesto nei primi 30 minuti se per
l’analgesia vengono utilizzati oppiacei.
Durante l’esecuzione del blocco è
buona regola mantenere sempre un
contatto verbale rassicurante con la
donna.. Se si usa una analgesia a basso
dosaggio è necessario ricordare alla
donna e all’ostetrica che tale tecnica è
compatibile con la deambulazione,
2) tipo di presentazione,
3) intensità e durata delle contrazioni,
4) rapidità della dilatazione cervicale,
5) durata della fase di riposo.
MATERNI:
1) fattori psicologici,
2) esperienze precedenti,
3) fatica,
4) ansia,
5) mancanza di sonno,
6) ambiente circostante.
È evidente che il combinarsi di tutte
queste variabili rende l’esperienza
del parto un evento praticamente
unico tutte le volte che si presenta.
Nel travaglio di parto si distinguono
normalmente diverse fasi:
a) la FASE PRODROMICA, che consiste nelle prime avvisaglie delle contrazioni uterini a sintomatologia algica (dolore viscerale),
b) il PERIODO DILATANTE, che
viene caratterizzato da dolore ingravescente con l’avanzare della dilatazione del collo uterino sotto contrazione (d. viscerale e riferito),
c) il PERIODO ESPULSIVO con l’im-
7
ATTUALITÀ
nell’osservanza delle opportune procedure di sicurezza. Tutta la procedura viene riportata su apposita cartella
contenente dettagliate informazioni
sulla tecnica ed i farmaci impiegati,
tutti i dati clinici rilevanti e le raccomandazioni post-analgesia.
Fuori travaglio
• sufentanil 10 gamma (o fentanil 50
gamma) in 10 ml di SF
Travaglio iniziale primipara (non
indotta)
• levobupivacaina 0,0625% 20 ml +
sufentanil 10 gamma in bolo.
• dopo 30m’ (se l’analgesia è adeguata) iniziare l’infusione continua
mediante pompa infusionale con levobupivacaina 0,0625% + sufentanil 0,5
gamma/ml alla velocità 10ml/h.
• se l’analgesia non è adeguata somministrare boli di levobupivacaina 1015 ml a concentrazione maggiore:
0,0833%, 0,1% . 0,125% (senza sufentanil)
Travaglio iniziale primipara indotta e
Travaglio pluripara (qualsiasi stadio)
• iniziare con bolo 20 ml levobupivacaina 0,1% o 0,125% + sufentanil 10
gamma e continuare con pompa infusionale alla concentrazione 0,0625%
come descritto sopra
• se analgesia non adeguata: boli levobupivacaina 0,125% 10 ml (senza
sufentanil)
• se iniziale o parziale blocco motorio sospendere infusione continua
• quando si inizia l’analgesia con una
dilatazione del collo uterino maggiore
di 6-7 cm non somministrare oppiacei.
Per l’episiorrafia: quando necessario
lidocaina 2% 6 -7 ml (latenza 5-10 m’).
Inconvenienti, reazioni indesi-
8
ATTUALITÀ
derate, complicazioni
Come in tutti gli atti medici, anche
nell’analgesia del parto possono
manifestarsi reazioni indesiderate,
inconvenienti e complicazioni legati
alla tecnica della perdurale.
Tra gli inconvenienti e le reazioni
indesiderate possono esservi:
comparsa di parestesie, cioè scosse e
formicolii, al sacro e agli arti inferiori;
comparsa di vertigini e brividi;
realizzazione di una analgesia monolaterale o non uniforme.
Questi eventi possono talvolta
richiedere la ripetizione della puntura e in casi estremi l’abbandono della
tecnica. In ogni caso nel 3% dei casi
l’analgesia può risultare inefficace. Le
complicanze della peridurale sono
rare, la loro percentuale è bassissima,
ma devono essere menzionate per
una scelta consapevole.
Complicanze neurologiche
minori
La cefalea è una complicanza che può
seguire la puntura accidentale della
dura madre. La sua frequenza è compresa tra lo 0,2 è il 4% dei casi. In
genere si manifesta dopo circa 24
ore dalla puntura perdurale, in sede
occipitale, compare in posizione
eretta e scompare in posizione supina. Può durare circa una settimana. In
alcuni casi vi possono essere associati, nausea, vomito e disturbi visivi o
auditivi. Il trattamento richiede riposo a letto, idratazione e somministrazione di farmaci antinfiammatori.
Dopo il parto una percentuale di
donne compresa tra il 20 e il 40%
lamenta dolori di schiena e talvolta
dolori di tipo sciatico e ciò indipendentemente dal fatto di avere eseguito una peridurale. Nella maggior
parte dei casi questi fenomeni sono
legati allo stress cui è sottoposta la
colonna vertebrale e i nervi della
regione pelvica durante il travaglio e
il parto e alle prolungate ed anomale
posizioni assunte dalla paziente sul
lettino. Talvolta questi disturbi precedono il parto e generalmente si risolvono dopo alcune settimane.
Solo raramente nel post-partum un
dolore limitato alla sede della puntura con una durata inferiore a 3-4
giorni può essere attribuito alla tecnica epidurale ed essere legato ai
ripetuti tentativi nel reperimento
dello spazio epidurale.
Il mio sogno è di
promuovere la nascita
di una equipe anestesiologica all’interno
dell’ospedale di Viterbo,
autonoma, che pratichi
la parto-analgesia...
Complicanze neurologiche maggiori
dovute al trauma diretto dell'ago e/o
del catetere; ad infezione; ad effetti
tossici degli anestetici locali o di altre
sostanze iniettate nello spazio peridurale; ad ischemia e a compressione da
ematoma perdurale. In campo ostetrico le segnalazioni di incidenti neurologici maggiori in donne che hanno partorito con la peridurale sono molto
rare con una incidenza variabile tra lo
0 e 1 caso su 6000. Tutti questi inconvenienti e complicazioni sono assai
rari e la grande maggioranza delle
nostre pazienti è soddisfatta di avere
scelto di partorire con l’analgesia.
Conclusioni
Il mio sogno è di promuovere la nascita di una equipe anestesiologica all’interno dell’ospedale di Viterbo, autonoma, che pratichi la parto-analgesia,
posto che il travaglio è un elemento di
stress psicologico e fisiologico tanto
per la partoriente quanto per il feto, (
articolo 2 comma 1h “ assistenza specialistica di terapia del dolore”), così
da restituire al parto il solo momento
della felicità per il lieto evento, così da
rispondere al diritto di ogni donna di
scegliere di partorire senza dolore,
garantendo gli standard di sicurezza
per l’unità materno fetale, attraverso
un team anestesiologico dedicato, utilizzando la tecnica epidurale, attualmente il gold standard per il controllo del dolore da parto.
Requisiti
Team anestesiologico dedicato H24
Team di sala parto: ginecologo, pediatra o patologo neonatale, ostetrica,
infermiere professionale
Organizzazione
Per far sì che ogni donna possa acce-
dere alla parto-analgesia in modo
semplice, consapevole e in sicurezza,
sarà organizzato un “ PERCORSO”
che si articola nelle seguenti tappe:
Conferenza informativa
La conferenza è tenuta da uno specialista in Anestesia e Rianimazione
che dopo avere illustrato i principali
aspetti medici, tecnici e organizzativi
della parto-analgesia come è praticata presso il nostro ospedale, risponderà ai quesiti che gli verranno posti
sull’argomento in questione. La partecipazione alla conferenza è libera,
gratuita e non richiede alcuna prenotazione, ma è indispensabile per
poter poi ricevere la parto-analgesia.
Visita preparto
Dopo aver partecipato alla conferenza informativa, le donne che desiderano partorire in analgesia devono
sottoporsi ad una visita personalizzata con l’anestesista che valuterà la
situazione clinica della futura madre
e prescriverà, se non già eseguiti,
alcuni esami clinici.
Esami clinici
Per poter ricevere la parto-analgesia
è necessario avere eseguito i seguenti esami del sangue: PT, PTT, PIASTRINE, FIBRINOGENO. Gli esami non
sono indispensabili al momento della
visita preparto, ma lo sono prima dell'esecuzione dell'analgesia.
Consenso informato
Qualunque trattamento sanitario,
medico o infermieristico, necessita
del preventivo consenso del paziente. Il fine della richiesta del consenso
informato è quello di promuovere
l'autonoma scelta dell'individuo nell'ambito delle decisioni mediche. La
parto - analgesia potrà quindi essere
effettuata solo dopo che la futura
madre, che ha ricevuto e compreso
le informazioni fornite durante la
conferenza preparto, avrà firmato il
modulo del consenso informato
Bibliografia
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2. Gribble RK, Meier PR. Effect of epidural
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4. Sharma SK, Sidawi JE, Ramin SM, Lucas
MJ, Leveno KJ, Cunningham FG. Cesarean
delivery: a randomized trial of epidural versus patient-controlled meperidine analgesia
during labor. Anesthesiology. 1997 Sep;
ANALGESIA PERIDURALE NEL TRAVAGLIO DI PARTO
PROTOCOLLO OPERATIVO SALA TRAVAGLIO
RICHIESTA DELLA DONNA
OSTETRICA
- Accoglie la richiesta di analgesia o ne individua il bisogno
- Valuta il reperto ostetrico
- Monitorizza e valuta i parametri materni ostetrici e fetali
GINECOLOGO
-Verifica le condizioni ostetriche (anamnesi ostetrica, score di Bishop)
-Verifica benessere fetale (tracciato CTG: attività uterina, BCF)
ANESTESISTA
-Verifica le condizioni cliniche (anamnesi)
-Verifica le condizioni permittenti (parametri vitali: PAO, Fc, Sat % O2,
esami di laboratorio, terapie farmacologiche recenti)
- Richiede il consenso informato
Quindi l’equipe assistenziale (ostetrica + ginecologo + anestesista)
-verifica le condizioni permittenti
-decide i tempi del posizionamento peridurale
-monitorizza l’evoluzione del travaglio.
87(3): 487-94.
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the Friedman active phase of labor.
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Epidural analgesia in association with
duration of labor and mode of delivery: a
quantitative review. Am J Obstet
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9
ATTUALITÁ
ATTUALITÁ
Sindrome delle Apnee Ostruttive
nel Sonno o Obstructive Sleep
Apnea Syndrome (OSAS)
Patrizia Scavalli
Asl Viterbo - Servizio di Fisiopatologia Respiratoria ed Allergologia | Centro per la cura dei disturbi respiratori sonno-correlati (DRSC)
disturbi respiratori del sonno, in
particolare la Sindrome delle
Apnee Ostruttive del Sonno
(OSAS), costituiscono un problema frequente e di rilevanza crescente nella popolazione generale sia
per il rischio di incidenti, lavorativi e stradali, dovuti alla sonnolenza diurna, sia per le conseguenze
cardiovascolari e neurologiche che
essa comporta. L’OSAS si può manifestare in tutte le età, con una prevalenza pari al 4% negli uomini e al 2%
nelle donne tra i 30 e i 60 anni.
Il principale fattore di rischio per
OSAS è la condizione di sovrappeso e/o obesità, seguita dalle anomalie anatomiche del nasofaringee, quali
l’ipertrofia adenotonsillare (specie
nell'età pediatrica) e la deviazione del
setto nasale. Altre condizioni, come
il collo corto, la retrognazia e la
macroglossia sono meno frequenti.
Sul piano fisiopatologico l’OSAS si
caratterizza per il collasso delle vie
aeree superiori ed episodi ciclici di
chiusura parziale o completa dell'ipofaringe, che si traducono nella presenza di eventi apnoici e/o ipopnoici (Fig.
1) e, allo stesso tempo, alla riduzione
della saturazione in ossigeno del sangue arterioso (SpO2) (ipossiemia); i
successivi sforzi inspiratori messi in
atto dal soggetto per consentire il passaggio dell'aria possono provocare
micro-risvegli ripetuti durante il sonno
che rendono quest’ultimo inefficace.
A tali meccanismi sono dovuti i sintomi frequentemente lamentati dai
pazienti con OSAS, e cioè il russamento e l’eccessiva sonnolenza
diurna. Il russamento è un sintomo
diffuso nella popolazione generale
essendone affetti il 35-45% degli uomini e 15-28% delle donne; pertanto, da
solo è poco predittivo di OSAS, diventando più specifico qualora associato
alla presenza di pause respiratorie e
I
10
Il principale fattore di
rischio per OSAS è la
condizione di sovrappeso
e/o obesità, seguita dalle
anomalie anatomiche del
nasofaringee...
Fig 1. Normale pervietà
delle vie aeree
agli altri sintomi. La sonnolenza eccessiva è il sintomo diurno più frequente:
essa è dovuta ad un peggioramento
della qualità del sonno e la sua entità
può essere valutata in modo soggettivo ed oggettivo utilizzando appositi
questionari standardizzati, autosomministrati, quali la Epworth Sleepness
Scale (EES). Tale scala prevede la somministrazione di 8 domande a ognuna
delle quali viene attribuito un punteggio da 0 a 3: un punteggio totale superiore o uguale a 10 è indicativo di
eccessiva sonnolenza diurna e deve
indurre pertanto ad un approfondimento diagnostico. Tale sintomo può
avere gravi conseguenze essendo
responsabile di incidenti stradali e
lavorativi dovuti ad improvvisi colpi di
sonno. Altri sintomi tipici di OSAS
sono: cefalea e secchezza delle
fauci al risveglio, alterazione dell’umore, del comportamento e della
funzione cognitiva (facile irritabilità,
deficit di memoria, attenzione e
concentrazione), incontinenza uri-
naria e ritardi di crescita (nei bambini).
L’OSAS è largamente sottodiagnosticata: si stima che essa non sia individuata nel 93% delle donne e nell'82%
degli uomini con sindrome moderata-grave: in molti casi ciò è dovuto
alla sottovalutazione dei sintomi da
parte del paziente. Segni clinici spesso associati alla presenza di OSAS
sono: indice di massa corporea
(BMI) > 29 Kg/m2, circonferenza
collo > 43 cm (maschi) o > 41
cm (femmine), anomalie orofaringee in grado di determinare riduzioni del calibro delle prime vie aeree,
quali ad esempio, deviazione del
setto nasale, ipertrofia dei turbinati e ipertrofia tonsillare.
La presenza di OSAS deve essere
sospettata sulla base della presenza
dei sintomi e segni suddetti.
La polisonnografia (PSG) rappresenta il gold-standard per la conferma
diagnostica. Essa consiste nella registrazione durante il sonno del flusso
aereo nasale, del russamento, dell’attività toraco-addominale, della SpO2,
della posizione corporea, del ritmo
cardiaco, associato o meno alla valutazione dell’attività cerebrale. Tale
esame può essere eseguito, a seconda
delle esigenze, in ambito ospedaliero o
domiciliare. La PSG permette di quantificare la severità del problema valutando il numero di apnee (interruzioni
del flusso aereo per una durata non
inferiore a 10 secondi, associate ad
una caduta della SpO2≥4%) ed ipopnee (riduzioni del flusso aereo superiore al 50% del valore basale per una
durata non inferiore a 10 secondi,
associate ad una caduta della
SpO2≥4%. Si definisce Indice di
Apnea-Ipopnea (AHI) il numero
totale di episodi per ora di sonno: un
valore > 5/ora di sonno suggerisce la
possibile presenza di OSAS.
La terapia dell’OSAS prevede, a
Fig. 2. Terapia notturna con
cPAP ostruzione al flusso aereo
nell’OSAS
seconda della severità e della causa
sottostante, l’attuazione di specifiche
norme comportamentali, l’esecuzione della ventilazione non-invasiva
(NIV), il ricorso a interventi chirurgici mirati. Tra le misure comportamentali il dimagrimento è sicuramente l’elemento più importante:
una riduzione di solo il 10% del peso
corporeo è spesso in grado di migliorare in maniera clinicamente significativa l'indice di apnea-ipopnea. Altre
misure utili sono il decubito notturno sul fianco, l’astensione da alcool e
sedativi prima di coricarsi, la limitazione dell’abitudine al fumo.
La NIV durante il sonno rappresenta
il cardine terapeutico dell’OSAS,
essendo spesso l’unica terapia efficace
per la risoluzione immediata delle
apnee e della sintomatologia diurna.
Essa consiste nell’erogare una pressione positiva continua (cPAP) durante il sonno in modo da favorire il mantenimento della pervietà delle vie
aeree superiori (Fig. 2). Il trattamento chirurgico dell’OSAS è rivolto
alla correzione di eventuali difetti anatomici o di anomalie ostruttive delle
vie aeree superiori, generalmente
indicato dal chirurgo maxillo-facciale
o dallo specialista otorinolaringoiatra.
Gli interventi più frequenti sono a
carico del naso e quelli di tonsillectomia, in particolare nei bambini.
L’OSAS: esperienza presso il DRSC
di Civita Castellana Nel settembre del
2008 è stato instituito presso il nostro
centro di Fisiopatologia Respiratoria a
Civita Castellana il Servizio di
Polisonnografia (PSG) per la cura dei
disturbi respiratori sonno-correlati
(DRSC). Da allora ad oggi, Dicembre
2011, sono state effettuate oltre 750
polisonnografie. Fra i pazienti per cui
è stata posta diagnosi di OSAS (oltre
il 75%) il 72% erano uomini, il 28%
donne; l’età media era di 50 anni
(range: 30-70) negli uomini e di 55
anni nelle donne (range: 40-60); il
BMI medio era di 38 Kg/cm2 negli
uomini e di 32 Kg/cm2 nelle donne
(Tab 1). I pazienti affetti da OSAS
erano per lo più pensionati, impiegati in vari settori e autisti. Il 46% dei
pazienti avevano una OSAS grave, il
26% una OSAS moderata ed il
restante 28% una OSAS lieve (Tab 1).
Circa 100 pazienti risultati affetti da
OSAS (46%) sono stati sottoposti a
terapia con NIV (CPAP e/o Bi-Level)
presso il nostro centro; i restanti
pazienti o non hanno aderito alla
terapia o sono stati inviati presso gli
specialisti otorinolaringoiatri per
intervento chirurgico mirato o sono
stati seguiti da altri centri (Tab 1).
Tra i pazienti trattati presso il nostro
Servizio, il 90% ha mostrato un’ottima compliance alla NIV ed ottenuto
un controllo ottimale della patologia,
dimostrato dalle PSG e dalle pulsos-
simetrie notturne periodiche di controllo; nel restante 10% il controllo
della patologia non è risultato ottimale, anche a causa della mancata
messa in atto delle misure igienicocomportamentali da parte dei
pazienti (Fig 1).
Bibliografia
L. Ferini-Strambi, R. Manni, O. Marrone, S.
Mondini, C. Spaggiari. Linee Guida di
Procedura Diagnostica nella Sindrome delle
Apnee Ostruttive nel Sonno dell'Adulto.
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current status. Clin Respir J. 2008
Oct;2(4):197-20.
Tab 1. Caratteristiche dei pz
affetti da OSAS presso il nostro
centro
Uomini
Donne
Sesso (%)
72
28
Età (aa)
50
55
BMI medio
(Kg/cm2)
38
32
Distribuzione severità OSAS (%)
Lieve
28
Moderata
26
Grave
46
11
ATTUALITÀ
ATTUALITÀ
La cataratta
Dr. Francesco Ricci, oculista
Ospedale San Carlo, Roma
Villa Santa Margherita - Villa Serena Montefiascone
l’intervento in assoluto più
praticato dopo il parto; in Italia ne vengono effettuate circa
300000 l’anno, delle quali il
99% avvengono oramai senza necessità di ricovero. Che cos’è la cataratta?
Alcuni pazienti credono che sia un velo che scende da non si sa bene dove!
È
In realtà, si tratta di un fenomeno
legato alla progressiva opacizzazione
del cristallino.
Generalmente questo processo
avviene progressivamente e molto
lentamente dopo i sessanta anni,
anche se si osservano sempre più di
frequente cataratte in soggetti giovani. Una volta opacizzatosi il cristallino, si verifica una riduzione significativa del visus con la comparsa di difficoltà nella guida e nella maggior
parte delle attività quotidiane.
L’unica soluzione è l’intervento chirurgico. La tecnica chirurgica è da diversi
anni standardizzata, possiamo suddividere l’intervento in due step: rimozione e sostituzione del cristallino catarattoso con un cristallino artificiale.
È l’intervento in assoluto
più praticato dopo il
parto; in Italia ne vengono effettuate circa
300000 l’anno,
delle quali il 99% avvengono oramai senza
necessità di ricovero.
12
Attualmente
consigliamo di
operare quando i
disturbi iniziano a
limitare la qualità
Fig 1. Cristallino con cataratta
pre-op
Fig 3. incisione per introduzione del
cristallino artificiale
Fig 2. Visione paziente
con cataratta
Fig 4. Lenti accomodative
Negli anni 90 alcune case farmaceutiche hanno a messo in commercio
alcuni colliri “anti-cataratta”, ma seppur “incoraggiate” da alcuni pazienti
restii a farsi operare, i risultati sono
stati molto deludenti.
Una domanda importante a cui gli
oculisti si trovano a dover rispondere a molti pazienti è: “Quando va
operata la cataratta?”.
della sutura.
Attualmente consigliamo di operare
quando i disturbi iniziano a limitare
la qualità di vita del paziente (difficoltà nella guida notturna, presenza di
aloni, visione doppia). In altre parole
la decisione viene presa dal medico
su “indicazione” del paziente.
Fino a qualche anno fa si attendeva che
la cataratta divenisse “matura”, in
poche parole si aspettava il suo indurimento completo per facilitarne
l’asportazione in toto attraverso una
grande incisione chirurgica, questo
comportava qualche giorno di degenza ospedaliera, un lungo periodo di
convalescenza (spesso senza potersi
piegare in avanti...) e la necessità di
tornare in ospedale per la rimozione
La tecnica che ha rivoluzionato questo tipo di chirurgia prende il nome
di facoemulsificazione mediante
ultrasuoni. I vantaggi possono essere
riassunti in:
1. ridotto trauma chirurgico (incisione
i cornea chiara di circa 2.2- 2.8 mm)
2. rapido recupero visivo (minimo
astigmatismo indotto);
3. impianto di cristallini artificiali
sempre pieghevoli ed efficienti (possibilità di azzerare difetti visivi da vici-
di vita del paziente
Fig 6. Cristallino per miopie elevate
Fig 8. Cristallino artificiale posizionato nel bulbo (fine intervento)
Fig 5. Iniettore da microincisione
Fig 7. Cristallino artificiale
multifocale
Fig 9. Rimozione cristallino con
facoemulsificatore
no o da lontano o entrambi);
4. anestesia sempre più superficiale
(molto più sicura per pazienti anziani
o in cura con farmaci anticoagulanti)
5. intervento ambulatoriale senza
ricovero;
6. assenza suture.
cendo in maniera drastica i tempi di
recupero. Si rese conto dal suo dentista che gli ultrasuoni erano la chiave per risolvere il problema.
ancora a sufficienza. Di pari passo con
lo sviluppo tecnologico delle macchine, negli ultimi anni abbiamo assistito
ad un’evoluzione incredibile dei cristallini artificiali pieghevoli; fino a
pochi anni fa era possibile correggere
solo alcuni difetti visivi, con una qualità visiva appena accettabile.
Questo tipo di tecnologia ha reso la
chirurgia più prevedibile e sicura con
un recupero visivo molto rapido nel
post-operatorio. Ma come funziona il
Facoemulsificatore?
Il primo ad utilizzare questa metodica applicata all’Oculistica è stato il
Dr Kelman alla fine degli anni 60’, il
suo fine era quello di trovare un
modo per asportare la cataratta
attraverso una piccola incisione, eliminando la necessità di ricovero
ospedaliero, anestesia generale, ridu-
Attualmente utilizziamo la facoemulsificazione per frantumare e rimuovere il cristallino catarattoso direttamente nel sacco capsulare, inserendo
con un iniettore nel sacco una lente
pieghevole (o cristallino artificiale
con un’ottica di circa 5mm).
Le moderne macchine ci consentono
di utilizzare basse potenze di ultrasuoni e una grande potenza della fluidica
con grande sicurezza e una notevole
riduzione dei tempi chirurgici. Le tecniche Aqualase, l’energia Laser e
l’energia Sonica sono in competizione
con la tecnica ad Ultrasuoni, ma a mio
parere non sono state sviluppate
Oggi possiamo correggere praticamente tutti i difetti visivi contestualmente alla rimozione della cataratta
con lenti di grande qualità ottica.
Le ultime novità tecnologiche sono
rappresentate dalle lenti Toriche (in
grado di correggere l’Astigmatismo
preoperatorio), dalle lenti Multifocali
(in grado di correggere miopia o
ipermetropia e la presbiopia) dalle
lenti da microincisione (1,8 mm) e
dalle lenti accomodative.
13
ATTUALITÁ
ATTUALITÁ
La terapia radiologica
del varicocele
Dott. Mariano Ortenzi, Dott. Enrico Pofi*
- Direttore Struttura Semplice di Angiografia e Radiologia Interventistica Ospedale
Belcolle Viterbo
- * Direttore Struttura Complessa Diagnostica per Immagini e Radiologia
Interventistica Ospedale Belcolle Viterbo
Introduzione
Il varicocele è una patologia varicosa
che interessa la vena spermatica
interna, estendendosi al plesso pampiniforme intorno al testicolo.
Nella maggior parte dei casi si sviluppa a sinistra ed è asintomatico;
tuttavia può essere responsabile di
fastidio, sensazione di pesantezza e
dolore inguino-scrotale o compromettere la spermatogenesi.
La terapia si basa sulla chiusura della
vena spermatica interna. Esistono
diverse opzioni chirurgiche: legatura
retroperitoneale, legatura inguinale,
sub-inguinale, tecniche microchirurgiche, interventi di legatura e sclerotizzazione, tecnica laparoscopica. La
moderna alternativa alla chirurgia è
la terapia radiologica che consiste
nell’occlusione della vena spermatica
interna mediante sclerotizzazione o
sclero-embolizzazione, eseguita per
via percutanea in regime ambulatoriale. Si tratta di una procedura interventistica minimamente invasiva, realizzata sotto controllo fluoroscopico
in anestesia locale, senza le complicazioni che si possono riscontrare nell’intervento chirurgico e nell’anestesia generale. Può essere effettuata
con le stesse modalità anche su bambini o su adolescenti. Rispetto alla
chirurgia ha una maggiore percentuale di successo, minore percentuale di
recidive, ridotto costo e scarse complicanze e pertanto può essere considerata l’approccio terapeutico di
prima istanza. Presso l’Ospedale di
Belcolle, la terapia radiologica del
varicocele è realizzata con ottimi
risultati nella sezione di Angiografia e
Radiologia
Interventistica
del
Reparto di Diagnostica per Immagini.
Anatomia e fisiopatologia del
varicocele
Le vene testicolari (superficiali e pro-
14
Fig 1. Schema di accesso trans
femorale con cateterismo selettivo
della vena spermatica interna sinistra
fonde) si uniscono e dopo aver raccolto le vene dell'epididimo, risalgono ed entrano a far parte del funicolo spermatico costituendo il plesso
pampiniforme. Da quest’ ultimo origina la vena spermatica interna che, a
destra, sbocca nella vena cava inferiore ad angolo acuto e a sinistra confluisce nella vena renale ad angolo
retto. Le vene spermatiche presentano lungo il loro decorso rare valvole
spesso incomplete e sono accompagnate da vene satelliti, variabili per
numero, dimensioni e lunghezza,
variamente anastomizzate con la
vena principale. La relazione tra
incontinenza della vena spermatica,
dilatazione del plesso pampiniforme
e ipofertilità maschile è stata dimostrata in vari lavori della letteratura
(11). Il varicocele è ritenuto la causa
più frequente d’ infertilità nell’uomo
e colpisce il 9-15 % circa della popolazione maschile (6). Il varicocele
interessa prevalentemente la vena
spermatica sinistra; la causa di ciò è
imputabile alle modificazioni che il
sistema venoso addominale subisce
durante il periodo embriologico (17
). Tale processo, che comporta il
rimaneggiamento del sistema venoso
di sinistra, può determinare: il decorso più lungo della vena renale, l’assenza o l’insufficienza del sistema valvolare rispetto al lato destro, la variabilità di sbocco e di morfologia della
vena spermatica interna, la compressione della vena renale sinistra ad
opera dell’arteria mesenterica superiore. Ne consegue l’instaurarsi di un
regime ipertensivo a livello della vena
renale sinistra con reflusso nella vena
spermatica interna, sia per mancanza
della valvola, sia per sfiancamento
dell’ostio valvolare nella vena renale,
sia per rifornimento aberrante
garantito da uno o più rami del seno
venoso renale. Il reflusso determina
nel tempo la progressiva dilatazione
della vena spermatica e la comparsa
del varicocele. Diverse ipotesi sono
state formulate per spiegare il danno
testicolare che si sviluppa come conseguenza del varicocele, manifestandosi con ipotrofia del didimo ed alterazione della spermatogenesi.
Tra le più citate ricorrono: ipossia
locale-ischemica, diffusione intratesticolare di radicali liberi, aumento
della temperatura intra-scrotale,
reflusso di metaboliti renali e surrenalici, aumento della pressione interstiziale. Queste alterazioni possono
associarsi a difetti molecolari-genetici che incidono sul grado d’infertilità
(19). Molti studi in letteratura suggeriscono la rimozione precoce del
varicocele, anche in età adolescenziale, prima dell’instaurarsi del danno
cronico (2-7-8-9). L’età migliore per il
Grado
Dilatazione venosa >
3 mm diametro
I
II
III
assente
presente
presente
Reflusso venoso
+ alla manovra di Vaslava
+ alla manovra di Vaslava
presente a riposo
Tabella 1. Grado ECD Varicocele; tratta da Gandini e modificata
Fig 2. Cateterismo selettivo della
vena spermatica sinistra che appare
marcatamente ectasica; paziente con
varicocele di III grado; presenza di
vene satelliti dilatate; si effettua sclerotizzazione.
Fig 3. Varicocele di II grado; cateterismo selettivo della vena spermatica
di sinistra per via trans-femorale;
presenza di vene satelliti dilatate. Si
effettua sclerotizzazione.
Fig 4. Presenza di varicocele sinistro
alimentato anche da vene aberranti
ectasiche provenienti dal seno renale;
si effettua sclerotizzazione.
trattamento è tra i 16 ed i 20 anni;
oltre i 35 anni la malattia si considera stabilizzata.
le all’inguine o di una vena della piega
del gomito; non necessita di anestesia
né di sedazione.
Il paziente, giunge al reparto di radiologia con gli esami ematochimici
necessari per l’iniezione di mezzo di
contrasto (MDC) (creatininemia,
elettroforesi proteica, emocromo,
valori coagulazione AP e PTT); viene
quindi posizionato supino sul letto
radiologico. Nell’approccio femorale
si effettua una piccola anestesia locale. L’accesso trans-brachiale è realizzato a livello della vena basilica (1316). Sotto guida fluoroscopica,
mediante un filo guida metallico ed
un idoneo catetere del calibro di 2-3
millimetri (4-5 French), si raggiunge la
vena cava inferiore, si incannula la
vena renale sinistra e poi la vena
spermatica interna (Fig 1); con una
iniezione di MDC si realizza la venografia che permette di valutare l’ectasia della vena spermatica interna, la
presenza di circoli collaterali, di vene
satelliti e la dilatazione del plesso
pampiniforme (Fig 5).
Se il varicocele è localizzato a destra
la vena spermatica si incannula direttamente dalla vena cava inferiore.
Si possono evidenziare 4 tipi morfologici secondo la classificazione di
Lenz: I) vena spermatica interna con
ramo unico con o senza sottili rami
collaterali; II) duplice sbocco della
vena spermatica interna nella vena
renale; III) precoce sdoppiamento
della vena spermatica interna in uno
o più rami collaterali di consistenti
dimensioni; IV) duplice sbocco della
vena spermatica interna: uno nella
vena renale e uno nel seno renale
(14) (Fig. 4). Una volta analizzata
l’anatomia si procede alla sclerotizzazione mediante iniezione di farmaco
sclerosante nel lume della vena spermatica attraverso il catetere in precedenza posizionato in modo selettivo (4-6 ml di Atossisclerol al 3%:
Kreussler & Co. Chemische Fabrik
GmbH, o 2-4 ml di Fibro-Vein al 3%:
STD Pharmaceutical Products Ltd,
comunemente utilizzati per il trattamento delle varici degli arti inferiori)
(Fig 2). Per favorire il contatto della
sostanza sclerosante con le pareti
della vena si crea una schiuma miscelando il farmaco con una piccola
quantità d’aria (1-3-4). Al fine di evitare il reflusso della sostanza sclerosante nel plesso pampiniforme con
possibile flebotrombosi, si può attuare una moderata compressione
esterna del plesso venoso lungo il
canale inguinale con un apposito
dispositivo meccanico.
Normalmente, durante l’iniezione
del farmaco sclerosante, il paziente
non avverte dolore; in alcuni casi è
riferita modesta dolenzia in sede
lombare di breve durata.
Dopo qualche minuto, attraverso il
catetere ancora in sede, si esegue
l’iniezione di controllo con MDC che
Diagnostica
L’esame obiettivo permette di rilevare l’ectasia del plesso testicolare
come uno sfiancamento del sacco
scrotale e la presenza di un tessuto
soffice alla palpazione, costituito dai
gomitoli venosi posti lungo il cordone spermatico, nel canale inguinale e
nello scroto. La classificazione di
Dubin, basata sull’esame obiettivo,
prevede tre gradi di malattia: I grado,
in cui la dilatazione è palpabile solo
durante la spinta addominale; II grado
(diametro 1-2 cm), facilmente rilevabile alla palpazione; III grado ( diametro maggiore di 2 cm), grave, già visibile alla sola ispezione visiva. La diagnosi strumentale è effettuata con
l’eco-color-doppler testicolare che
consente di valutare le dimensioni
del didimo, la dilatazione del plesso
pampiniforme e l’entità del reflusso
venoso (tabella 1) (3).
L’esame del liquido seminale è indispensabile per stabilire la presenza di
alterazioni del numero, della motilità
e della morfologia degli spermatozoi
e per individuare una condizione di
ipo-infertilità (18).
Terapia radiologica
Si esegue in regime ambulatoriale
mediante puntura della vena femora-
15
ATTUALITÁ
Fig 5. Sclero-embolizzazione effettuata con posizionamento di due spirali metalliche nella vena spermatica
interna di sinistra.
visualizza la chiusura della vena prodotta dell’azione sclerosante del farmaco. Il farmaco, a contatto con le
pareti del vaso, determina una reazione infiammatoria acuta che prosegue per alcuni giorni fino alla chiusura completa della vena principale e
dei vasi collaterali per trombosi.
Nelle vene molto dilatate, oltre al
farmaco sclerosante, possono essere
posizionate una o più spirali metalliche embolizzanti (Fig 5) fino all’arresto del flusso ematico (sclero-embolizzazione). Il catetere viene quindi
rimosso e si attua la compressione
manuale del punto di iniezione percutaneo. Il paziente è tenuto in
osservazione per circa 1 ora nel
reparto di radiologia e successivamente dimesso con la seguente prescrizione: 3 giorni di terapia antiinfiammtoria orale (2 dosi da 100
mg/d di nimesulide; 5 giorni di terapia
antibiotica (1 g/d di amoxicillina); 3
giorni di riposo. Il follow-up è effettuato con controlli a 6 - 12 mesi
mediante eco-color-doppler. La chiusura del varicocele è dimostrata dall’assenza di reflusso nel plesso pampiniforme durante la manovra di
Valsalva. Il successo tecnico della
procedura si osserva nel 90-95% dei
16
ATTUALITÁ
casi di varicocele di II-III grado.
Il mancato incannulamento selettivo e
profondo della vena spermatica per
ragioni anatomiche è raro e non consente l’esecuzione della procedura;
esso può essere conseguente alla presenza di valvole continenti, alla tortuosità della confluenza venosa, alla presenza di vene collaterali ectasiche, alle
variabilità anatomiche della confluenza, a rifornimenti aberranti (13). Le
complicanze sono infrequenti( 4,5%);
si tratta di complicanze minori che
consistono prevalentemente nella perforazione o rottura della vena spermatica interna ( non comporta dolore né
comparsa di ematomi retroperitoneali) e nello spasmo venoso che impedisce la prosecuzione dell’esame; la flogosi acuta del plesso pampiniforme
(0,5% ) è trattata con terapia antiinfiammatoria per 10 giorni.
L’intera procedura ha una durata di
30-45 minuti con una media fluoroscopica variabile da 3 a 10 minuti
(15). In caso d’insuccesso non è preclusa la terapia chirurgica.
Terapia chirurgica
E’ effettuata in regime di ricovero.
-Legatura retroperitoneale (soprainguinale): è la tecnica più diffusamente utilizzata per la cura chirurgica del
varicocele. Presenta il vantaggio di
essere semplice e gravata da poche
complicanze. E’ realizzata in anestesia
generale e prevede l'apertura della
parete muscolare. Si esegue un'incisione di circa 4-5 cm in fossa iliaca
poco sotto all’ombelico.
Può essere effettuata la sola legatura della vena spermatica interna
(Ivanissevich 1960), o la legatura in
blocco di tutto il fascio vascolare
(Palomo 1949).
La prima ha lo svantaggio di determinare una chiusura spesso incompleta
delle vene satelliti e collaterali che,
mantenendo il reflusso venoso verso
il testicolo, portano in breve tempo
alla recidiva del varicocele (circa il
20% dei casi). La seconda ha una percentuale di successo più alta (95%),
ma può causare l'interruzione dei vasi
linfatici del testicolo con conseguente
idrocele (circa il 12% dei casi).
-Legatura a livello inguinale: questa
metodica ha il vantaggio di poter ispezionare ed eventualmente legare anche
le vene extrafunicolari come la spermatica esterna, che possono essere
responsabili di recidive dopo legatura
della spermatica interna. Tuttavia, dentro il canale inguinale le vene sono
molto numerose e quindi risulta più
difficile separarle dall'arteria; per questo motivo la legatura presenta una più
alta percentuale d’insuccesso. Richiede
inoltre un maggior tempo d’esecuzione per il numero di vene da legare e
una elevata accuratezza da parte dell’operatore per evitare di ledere le
strutture del funicolo; consente però
l’individuazione di tutte le vene ectasiche sia intra che extrafunicolari.
-Legatura a livello sub-inguinale: l’intervento non comporta l’incisione
del piano fasciale, unitamente ad una
minima incisione cutanea; ha il vantaggio di permettere una rapida
ripresa del paziente e può essere
eseguita in anestesia locale.
E’ descritta come il trattamento chirurgico a più bassa incidenza di recidive e complicanze se l'operazione
viene condotta con l'ausilio del
microscopio (tecniche microchirurgiche). Tuttavia l’impiego di quest’ultimo ne limita l'utilizzo e comporta
tempi operatori più lunghi, spesso
necessitando di anestesia generale.
-Tecnica laparoscopica: la laparoscopia,
non comporta un miglioramento dei
risultati né una riduzione dell'invasività, essendo sempre necessaria l'anestesia generale. Esistono però i potenziali rischi, anche se rari, di perforazione accidentale di organi endoaddominali e i costi sono nettamente superiori alle tecniche tradizionali per l'utilizzo di apparecchiature sofisticate.
Sono raramente utilizzate le seguenti tecniche:
-anastomosi microchirurgiche: la
vena spermatica viene collegata con
la vena grande safena (intervento di
Ishigami 1970) o con la vena epigastrica (intervento di Belgrano 1984);
-interventi di legatura e sclerotizzazione (Tauber 1994, Marmar 1994) : in
anestesia locale si isola il funicolo spermatico, si incannula una delle vene dilatate e si inetta mezzo di contrasto
verificando l’opacizzazione della vena
spermatica sino allo sbocco in vena
renale; si inietta la sostanza sclerosante (sclerotizzazione anterograda) e
dopo aver rimosso l’agocannula si procede alla legatura delle vene isolate. In
generale le tecniche chirurgiche comportano una percentuale d’insuccesso
che arriva al 25%. Le complicanze pos-
sono essere precoci (edema scrotale,
idrocele temporaneo da stasi linfatica,
parestesie della faccia interna della
coscia e dello scroto da irritazione del
nervo ileo-inguinale, ematoma a livello
del canale inguinale) con tempi di risoluzione intorno ai 10 gg.
Le complicanze tardive sono costituite
da idrocele persistente (conseguente
alla legatura dei vasi linfatici), atrofia
testicolare (per danno dell’arteria
testicolare), persistenza di varicocele.
Indicazioni alla terapia radiologica e conclusioni
La terapia del varicocele deve essere
effettuata:
nel paziente giovane, che presenta alterazione della morfologia, del numero e
della motilità degli spermatozoi;
nel paziente con dolore scrotale, o
con fastidio e pesantezza lungo la faccia interna della coscia;
nel paziente con varicocele recidivo
dopo terapia chirurgica.
L’esame eco-color-doppler deve
dimostrare un varicocele di II-III
grado. Il varicocele di I grado, in assenza di sintomi e di alterazioni del liquido seminale, in genere non richiede
intervento ed è controllato nel tempo.
Il trattamento radiologico del varicocele è una procedura interventistica
percutanea mini-invasiva che richiede
solo l’anestesia locale nella sede di
puntura. L’approccio trans brachiale
è preferito dal paziente rispetto
all’approccio trans femorale e consente il trattamento del varicocele
bilaterale con un solo catetere.
La visualizzazione delle vene ectasiche
in fluoroscopia durante l’iniezione di
MDC dal catetere, consente di dosare
la quantità di farmaco sclerosante che
andrà a distribuirsi nei rami satelliti e
collaterali o di usare le spirali embolizzanti, producendo l’occlusione completa della della rete venosa spermatica, riducendo così il rischio di recidiva.
Anche le donne, più raramente, possono presentare dilatazione delle vene
ovariche ed in particolare della sinistra; il quadro che ne deriva è descritto come varicocele pelvico o ovarico;
si manifesta clinicamente con dolori
pelvici aspecifici, sensazione di pesantezza pelvica, dolori da congestione
durante il rapporto sessuale; il varicocele pelvico è documentabile con l’
ecografia trans vaginale e beneficia
dello stesso trattamento radiologico
di sclero-embolizzazione analogamente al varicocele maschile (12). I dati
della letteratura sono concordi nel
dimostrare che la terapia radiologica
del varicocele, con sclerotizzazione o
sclero-embolizzazione determina:
-il miglioramento significativo del
numero e della motilità degli spermatozoi nei pazienti con alterazioni del
liquido seminale;
- l’ aumento sostanziale del numero
di gravidanze in caso di pazienti con
alterazioni degli spermatozoi nel pretrattamento (10);
- la riduzione o scomparsa del dolore nel varicocele sintomatico;
- la riduzione delle recidive rispetto
al trattamento chirurgico(5).
La facilità d’esecuzione in regime ambulatoriale, l’assenza di anestesia, il ridotto
costo, l’alta percentuale di successo, il
basso tasso di recidiva e di complicazioni, fanno della sclero-embolizzazione
radiologica la terapia di prima scelta nel
trattamento del varicocele.
Ringraziamenti:
si ringraziano i colleghi ed i collaboratori TSRM e IP che hanno permesso la realizzazione di questo lavoro.
Riferimenti: dott. Mariano Ortenzi,
Ospedale Belcolle Viterbo,
Diagnostica per Immagini e
Radiologia Interventistica, Tel–fax
0761.338205; mail: [email protected]
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to varicoceles MarmarJ, Benoff S. J Urol
2003; 170: 2371-73
17
ATTUALITÁ
ATTUALITÁ
Iter diagnostico-terapeutico del paziente
con aneurisma dell’aorta addominale rotto
Dott. Alfredo Borghetti
Dirigente U.O. C. Pronto Soccorso POC Ospedale Viterbo
AL PRONTO SOCCORSO
CON L’ANEURISMA
DELL’AORTA ADDOMINALE
ROTTO…
PREMESSA
Negli USA, ogni anno muoiono circa
15.000 persone a causa della rottura
di un aneurisma dell’aorta. La predilezione è per il sesso maschile. Il picco
di incidenza nei maschi si ha intorno
ai 70 anni di età, mentre molti studi
condotti dimostrano che la prevalenza di AAA nei soggetti maschi di 60
anni è di circa il 2-6%, con un'altissima
differenza tra i fumatori e i non fumatori (8 a 1) e tra sesso maschile e
sesso femminile (4-6 a 1). La rottura
di un AAA avviene nel 1-3% dei soggetti di sesso maschile di età uguale o
superiore ai 65 anni, con una mortalità del 70-95%.
Brevissimo riepilogo anatomofisiopatologico…
Il calibro dell’aorta sottoaddominale
è 1,5-2 cm; quando è maggiore di due
volte e mezzo questo valore (quindi
4 cm) si parla di aneurisma; quando,
di converso è inferiore ai 4 cm si
parla di ectasia. Gli aneurismi dell'aorta addominale si localizzano
generalmente distalmente alla biforcazione delle arterie renali e possono assumere un aspetto sacculato o
fusiforme. Il diametro può raggiungere anche i 15 cm con una lunghezza
variabile fino a 25cm. Quando il processo patologico si continua caudalmente si può avere l'interessamento
aneurismatico delle arterie iliache.
Possono inoltre essere distinti 2 ulteriori tipi di AAA:
a) gli aneurismi infiammatori dell’aorta addominali, caratterizzati da fibrosi e infiltrazione macrofagica ad eziologia ignota.
b) gli aneurismi micotici dell'aorta
addominale in cui la placca ateromasica
viene infettata da microrganismi circolanti come la Salmonella, provocando
18
Gli aneurismi dell'aorta
addominale si localizzano generalmente distalmente alla biforcazione
delle arterie renali e
possono assumere un
aspetto sacculato o fusiforme.
un indebolimento della tonaca media e
un'accelerazione del processo aneurismatico. L'aorta addominale è la più
coinvolta dall'aneurisma. Tale reperto
può essere spiegato in base alle tipiche
condizioni idrodinamiche che caratterizzano il flusso ematico attraverso il
segmento addominale dell'aorta.
Condizioni genetiche
La sindrome di Marfan aumenta il
rischio di AAA, in accordo con la
maggiore lassità del tessuto connettivo che caratterizza questi soggetti.
Inoltre, soprattutto negli individui di
genere maschile, si può riconoscere
una certa familiarità per gli eventi critici aneurismatici.
Condizioni emodinamiche
Il flusso nell'aorta toracica e nella
prima sezione dell'aorta addominale
è un flusso laminare, in accordo con
la previsione stabilita dal calcolo del
numero di Reynolds. Tuttavia, si può
facilmente prevedere che distalmente alle arterie renali, che accolgono il
20% della gittata cardiaca, vi sia un
certo grado di flusso turbolento provocato dallo scompaginamento operato dalla biforcazione di tali vasi
sulle lamine di flusso.
Il flusso turbolento che si genera nella
porzione distale alla biforcazione delle
arterie renali rende disarmonico lo sviluppo della pressione idrostatica operata dalla colonna ematica; in particola-
re, un flusso turbolento genera una
pressione sulla parete di svariate volte
superiore rispetto a quella operata
dalla flusso laminare, condizione che
predispone e sostiene lo sfiancamento
delle pareti aortiche. Non solo; mano a
mano che il diametro in aorta aumenta, si ha un aumento della tensione
radiale esercita dalla pressione sanguigna in accordo con la legge di Laplace.
Si consideri inoltre che con l'aumento
del diametro del vaso, viene consensualmente ad aumentare una variabile
che condiziona positivamente il numero di Reynolds; questo porta ad una
turbolenza sempre maggiore, con progressione della malattia vascolare.
Condizioni anatomiche
La parete dell'aorta è vascolarizzata da
capillari (vasa vasorum) che diminuiscono nel tratto sottorenale, che quindi risulta essere meno vascolarizzato.
Con il tempo questo tratto è maggiormente predisposto a sclerosi con conseguente ulteriore diminuzione della
perfusione (soprattutto per fattori di
rischio quali fumo, diabete, ipertensione) e maggiore predisposizione.
RICORDIAMO QUINDI CHE…
Gli aneurismi dell’aorta addominale,
sono comuni tra gli anziani,
Aumentano in frequenza e dimensioni con l’età. Si espandono molto più
rapidamente degli aneurismi dell’aorta toracica. Circa il 98% degli aneurismi dell’aorta addominale è sottorenale in origine e, spesso, coinvolge le
arterie iliache comuni prossimali.
Meno del 2% degli aneurismi dell’aorta addominale si estende sopra il
livello delle arterie renali, che colpiscono la porzione toracoaddominale
dell’aorta, l’asse celiaco, l’arteria
mesenterica superiore o le arterie
renali. Gli aneurismi dell’aorta addominale devono essere distinti sempre
dalla DISSECAZIONE AORTICA.
Gli aneurismi aortici sono quasi sempre silenti, finché non raggiungono o
sono vicini al punto di rottura. Una
rottura di solito, inizia come una piccola perforazione, tamponata per
ore o anche giorni dalla pressione di
un coagulo ematico retroperitoneale
In un contesto anamnestico ed
obiettivo suggestivo, la diagnosi di
AAA si fonda sulla tomografia assiale
computerizzata con e senza mezzo
di contrasto, in grado di dare informazioni sull'estensione dell'aneurisma, sulla possibile rottura o dissecazione e sulla presenza di trombosi. La
TAC deve essere eseguita con sezioni di 3 mm per conoscere bene le
misure del colletto prossimale, del
colletto distale, dell'aneurisma e del
calibro, per sapere di che misura
deve essere la protesi.
Tre sintomi:
• Shock,
• Massa addominale pulsante,
•Distensione dell’addome da
emoperitoneo, cioè accumulo di
sangue nel peritoneo.
All’esame obiettivo l’unica tecnica di
dimostrato valore per l'individuazione di un AAA risulta la palpazione
dell'addome mirata alla rivelazione di
un'aorta aumentata di diametro.
Anche se un reperto positivo all'esame obiettivo aumenta notevolmente
la probabilità di avere un AAA, meno
della metà dei pazienti ad alto rischio
con sospetto clinico avranno una
conferma diagnostica, e solo un quarto avranno un elevato rischio di rottura (diametro > 5 cm).
Pertanto qualora si sospetti una rottura dell'aneurisma, gli studi di imaging si impongono a prescindere dai
reperti obiettivi addominali. Infine sia
l'obesità (in particolare una circonferenza vita >100cm) che una palpazione addominale non mirata sembrano
ridurre la sensibilità della palpazione.
Uno degli errori da evitare è quello di
cercare di correggere lo stato ipotensivo. Ci si trova davanti ad un pz che ha
80 mmHg di PAO e 120 di freq e si
può pensare che sia corretto somministrare farmaci che aiutino a riportare la pressione a valori migliori, di normotensione. Questo è un grandissimo
errore, perché aumentando la pressione del pz si eleva anche il rischio di
emorragie. Quindi anche se la PAO del
pz è a 60-70 mmHg non si devono
usare farmaci atti ad incrementare la
pressione arteriosa. L’accuratezza del
solo esame obiettivo, nel porre la dia-
gnosi precisa di aneurisma dell’aorta
addominale, va dal 30 al 90%, e nei
rimanenti casi, che potremmo definire
“sintomatici”. Il quadro clinico esordisce con DOLORE ADDOMINALE
vago, non continuo e poco localizzato.
Se c’è una veloce espansione dell’aneurisma, il sintomo “dolore” diventa importante, e dipende dalla trazione
che la massa pulsante esercita sul
retroperitoneo. Di solito, il dolore è
EPIGASTRICO, diviene costante e si
irradia posteriormente, al rachide dorsolombare. La ROTTURA dell’aneurisma deve essere sospettata dove il
dolore si associ ai segni dello shock.
L’aneurisma comprime le strutture
vicine, e ciò provoca sintomi, quali la
LOMBOSCIATALGIA. Può coesistere
erosione-compressione di un certo
numero di vertebre, disturbi della
canalizzazione intestinale, da compressione, ( in pratica, l’aumento di volume
dell’aorta crea una pressione sull’intestino e il transito degli alimenti in
parte assorbiti, e in parte trasformati
in materiale fecale, è ostacolato). Altro
reperto compatibile è rappresentato
da IDRONEFROSI, dovuta a compressione ureterale. Pezzettini di
trombo aneurismatico possono essere causa della formazione di un embolo, con conseguente ischemia acuta
degli arti inferiori (in pratica, alle
gambe giunge una quantità di sangue
minore - insufficiente). Si può dire che
la patologia aneurismatica progredisce
in modo asintomatico, generalmente,
finché non si arriva alla rottura, che
inevitabilmente si manifesta. La rottura
dell'aneurisma può portare a morte in
tempi brevissimi.
IL QUADRO CLINICO CHE SI
PRESENTA ALL’ACCESSO IN
PRONTO SOCCORSO
Se la rottura dell’aneurisma si realizza direttamente nel cavo addominale,
rapidamente si crea un quadro di
shock emorragico. Se le strutture
anatomiche vicine all’aneurisma riescono a tamponare l’emorragia, il
paziente può giungere al TAVOLO
OPERATORIO, anche se in condizioni gravi, e con una mortalità del 50%.
Un aneurisma può essere sospettato
a volte, dopo che è stata eseguita una
rx addominale per altri motivi. Una
proiezione anteroposteriore può indicare una calcificazione aortica curvilinea vicina alla linea mediana, ma la cal-
cificazione può essere vista meglio in
una proiezione laterale, che può evidenziare il profilo delle pareti calcifiche, anteriore e posteriore, dell’aneurisma. L’ecografia è il metodo di scelta
per confermare la diagnosi. Essa è virtualmente accurata nel 100% dei casi,
fornendo informazioni precise su
dimensioni, forma e localizzazione
dell’aneurisma. La probabilità di rottura è direttamente correlata al diametro trasverso e a quello anteroposteiore dell’aneurisma e inversamente
correlata alla sua lunghezza. La rottura non è probabile quando il diametro
è < 5 cm; quando il diametro è maggiore, la frequenza di rottura aumenta
rapidamente. Qualche volta, il primo
sintomo è rappresentato dal crearsi di
una fistola aorto – enterica (tra aorta
e intestino), causata dall’erosione, da
parte dell’aneurisma, della terza porzione del duodeno, con perdita di sangue attraverso il cavo orale e le feci, il
tutto accompagnato da dolore addominale e lombare.
LA DIAGNOSI
La diagnosi di AAA si basa sull’esame
obiettivo e su tecniche diagnostiche
per immagini, la ECOTOMOGRAFIA,
la ECO-COLOR DOPPLER, la TC,
SPINALE, l’AORTOGRAFIA RADIOGRAFICA, la RISONANZA MAGNETICA e l’ANGIO-RISONANZA
MAGNETICA, tecniche che permettono anche di misurare l’aneurisma.
ASINTOMATICI SINTOMATICI:
DOLORE EPIGASTRICO, DOLORE
LOMBARE, COMPRESSIONE VIE
URINARIE, TUBO GASTROENTERICO, ISCHEMIA ACUTA PERIFERICA-TROMBOEMBOLIA, AAA ROTTO, SCHOK + DOLORE ADDOMINALE PIU’ LOMBARE, SCHOK +
SANGUINAMENTO INTESTINAELE, EDEMI ARTI INFERIORI SCOMPEMSO CARDIACO.
BIBLIOGRAFIA
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19
ATTUALITÁ
ATTUALITÁ
Rischio Psicosociale: aspetti legislativi,
preventivi, formativi nei contesti sanitari
Dr. Simona Apolito - Psicologa, psicoterapeuta
Dr. Simona De Simoni - Psicologa, psicoterapeuta AUSL VT
PRIMA PARTE
1.La salute in ambito lavorativo: un bene individuale e collettivo irrinunciabile
2.Il rischio da stress lavoro correlato e la normativa legislativa
3. Definizione dello stress e dello stress lavoro correlato: responsabilità dei datori
di lavoro e dei lavoratori
4. Conclusioni
SECONDA PARTE
1. I Corsi ECM sul rischio psicosociale per medici, psicologi e personale socio-sanitario
svolti all’ Ordine dei Medici di Viterbo
2. Conclusioni
3. Bibliografia
PRIMA PARTE
La salute in ambito lavorativo:
un bene individuale e collettivo
irrinunciabile
La salute è di sicuro il bene più prezioso che abbiamo, tale da non poter
essere scambiato neanche con dei
reali bisogni occupazionali.
Pertanto è fondamentale per i professionisti avere e mantenere una
qualità della vita lavorativa soddisfacente, capendo, affrontando e prevenendo i fattori che a volte possono
ostacolare il benessere lavorativo
causando stress lavoro correlato.
Schopenhauer afferma nei suoi
Aforismi: “I nove decimi della nostra
felicità si fondano sulla salute. Quando
siamo in buona salute tutto diventa
sorgente di piacere, mentre, al contrario, nessun bene esteriore di qualsiasi
natura esso sia, è godibile; perfino gli
altri beni soggettivi (le qualità dello
spirito, dell’animo, del temperamento)
vengono ridotti e guastati da una salute cagionevole”… “La maggiore tra
tutte le sciocchezze è quella di sacrificare la salute per qualsiasi cosa sia,
guadagni, promozioni, cultura, fama,
per non parlare poi dei piaceri e dei
godimenti passeggeri”.
In termini di stress l’operatore socio-
20
sanitario si trova a dover gestire con
le proprie risorse, spesso limitate,
incertezze personali, familiari, lavorative e sociali. Il Sistema Sanitario
Nazionale attraversa un periodo di
profonda trasformazione con l’identificazione di nuove regole di gestione e di funzioni che si ripercuotono
sulla vita dell’operatore chiamato ad
adattarsi a questa nuova situazione e
riprogrammare obiettivi e progetti
futuri, sia personali sia aziendali. Le
stesse tensioni vengono vissute nelle
istituzioni private dove regole apparentemente più rigide disciplinano i
contratti di lavoro. Il patrimonio delle
aziende che erogano servizi per la
salute è fondamentalmente costituito
da persone, tanto che il “capitale
umano” è considerato oggi un bene
prezioso da tutelare e incentivare.
Molti sono gli studi di settore nell’ambito delle risorse umane.
La produttività e il benessere nei luoghi di lavoro sono al centro dell’attenzione degli psicologi sociali e del
lavoro al fine di conoscere e approfondire quali siano i fattori e i meccanismi che sostengono l’agire umano
e determinano il benessere individuale e collettivo. Ai fini dell’intervento è cruciale saper identificare e
valorizzare le variabili individuali e di
gruppo (atteggiamenti, convinzioni,
disposizioni, motivazioni e comportamenti) che negli specifici contesti
organizzativi possono concorrere al
conseguimento degli obiettivi e rafforzare il legame tra individuo e
organizzazione, assicurandone la
migliore integrazione. Le categorie di
lavoratori più esposti a sviluppare
stress correlato al lavoro sono le helping professions che richiedono particolari competenze e una precisa
propensione al rapporto umano e
all’empatia; in questi casi il carico
emotivo ha un peso maggiore connesso alla tipologia stessa della mansione svolta, anche quando l’operatore appare ben motivato e soddisfatto
della scelta professionale.
Nei due corsi ECM sul Rischio
Psicosociale (Rischio psicosociale:
strumenti e tecniche di valutazione,
prevenzione e intervento e Rischio
psicosociale: aspetti legislativi, informativi, preventivi e formativi nei contesti sanitari) tenuti nel 2011 presso
la Sala Conferenze dell’Ordine dei
Medici di Viterbo che gentilmente ha
accolto la nostra richiesta, mostrandosi sensibile ad un tema di fondamentale risonanza sociale e culturale
e organizzando in breve tempo ben
due corsi ECM, abbiamo affrontato
temi come: l’importanza della comunicazione efficace nella relazione
operatore paziente, la comprensione, la valutazione e la prevenzione
dei fattori individuali ed organizzativi
riguardanti lo stress lavoro correlato.
Inoltre sono state introdotte tecniche psicopedagogiche formative per
una conoscenza esperienziale.
Il rischio da stress lavoro correlato e
la normativa legislativa. Lo stress da
lavoro è considerato, a livello internazionale, un problema sia dai datori di lavoro che dai lavoratori. Avendo
individuato l’esigenza di un’azione
comune specifica in relazione a questo problema e anticipando una consultazione sullo stress da parte della
Commissione, le parti sociali europee hanno inserito questo tema nel
programma di lavoro del dialogo
sociale 2003-2005.
Lo stress, potenzialmente, può colpire in qualunque luogo di lavoro e
qualunque lavoratore, a prescindere
dalla dimensione dell’azienda, dal
campo di attività, dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro.
Lo scopo dell’accordo è migliorare la
consapevolezza e la comprensione
dello stress da lavoro da parte dei
datori di lavoro, dei lavoratori e dei
loro rappresentanti, attirando la loro
attenzione sui sintomi che possono
indicare l’insorgenza di problemi di
stress da lavoro.
L’obiettivo di questo accordo è quello
di offrire ai datori di lavoro e ai lavoratori un modello operativo che consenta di individuare e di prevenire o
gestire i problemi di stress da lavoro.
Lo stress lavorativo è definito come
lo squilibrio che viene a crearsi in un
individuo tra le risorse disponibili e
le richieste che provengono sia dal
mondo interiore sia dall’esterno, non
riuscendo più a rispondere in modo
adeguato ai propri obiettivi e alle
richieste della struttura e del paziente. Da ciò deriva un decremento in
termini di produttività che si rivela
frustrante per l’operatore e dannoso
per colui che dovrebbe usufruire del
servizio erogato, ossia il paziente.
L’attuale quadro normativo di tutela
della salute e sicurezza sui luoghi di
lavoro, costituito dal Decreto
Legislativo 81/2008 e successive
modifiche ed integrazioni, oltre ad
aver specificamente individuato lo
“stress lavoro-correlato” come uno
La maggiore tra tutte
le sciocchezze è
quella di sacrificare
la salute per qualsiasi
cosa sia, guadagni,
promozioni, cultura,
fama, per non parlare
poi dei piaceri e dei
godimenti passeggeri
dei rischi oggetto sia di valutazione,
secondo i contenuti dell’Accordo
europeo dell’8 ottobre 2004, puntualmente richiamato dal decreto
stesso, sia di una conseguente adeguata tutela, ha altresì demandato alla
Commissione Consultiva permanente per la salute sicurezza del lavoro, il
compito di “elaborare le indicazioni
necessarie alla valutazione del rischio
stress lavoro-correlato”.
La valutazione del rischio stress lavoro-correlato va condotta secondo le
indicazioni già individuate per altri
rischi lavorativi poiché è parte integrante della valutazione generale dei
rischi, sulla base del modello consolidato previsto dai recepimenti delle
direttive europee. La valutazione del
rischio, di per sé, non riduce lo stress
lavoro-correlato, ma facilita il percorso finalizzato all’adozione di misure
correttive. Questo sottolinea l’importanza di integrare la componente
psicologica della dimensione collettiva delle organizzazioni e la sicurezza
dei luoghi di lavoro.
Deve essere effettuata dal datore di
lavoro avvalendosi del responsabile del
Servizio di Prevenzione e Protezione
(RSPP). Si articola in due fasi:
- valutazione preliminare oggettiva:
somministrazione di questionari per la
rilevazione dell’indicatore del livello di
rischio stress lavoro correlato e produzione del DVR, se risulta dagli indicatori un rischio lieve, il lavoro termina e ci si riserva di fare solo dei
monitoraggi a distanza di un anno.
- valutazione secondaria soggettiva:
se da questa risulta un livello di rischio
medio si realizzano interventi di informazione e formazione di gruppo
rivolti a tutto il personale di ciascun
livello dell’azienda in esame, se il
rischio è alto vengono realizzati interventi diagnostici psicologici individuali.
E’ importante definire uno strumento
di rilevazione delle dimensioni psicosociali delle organizzazioni del lavoro.
Lo strumento deve avere un’attendibilità e una validità statistica, garantire
una valutazione oggettiva, una affidabilità nel tempo. Inoltre è fondamentale
una verifica e un monitoraggio periodico sull’andamento del fenomeno.
2.1 Attuazione e controllo nel
tempo
In base all’art. 139 del Trattato questo accordo-quadro europeo volontario impegna i membri dell’UNICE/
UEAPME, del CEEP e della CES (e del
Comitato di Collegamento EUROCADRES/CEC) ad implementarlo in
accordo con le procedure e le pratiche proprie delle parti sociali nei vari
Stati membri e nei paesi dell’Area
21
ATTUALITÁ
ATTUALITÁ
La situazione lavorativa
rafforza la salute e il benessere personale e l’accesso al mercato del lavoro e il mantenimento
del posto di lavoro migliorano globalmente la salute della popolazione.
Economica Europea. I firmatari invitano anche le loro organizzazioni affiliate nei paesi candidati ad attuare
questo accordo. L’implementazione
di questo accordo sarà effettuata
entro tre anni dalla data della sua
firma. Le organizzazioni affiliate notificheranno l’applicazione dell’accordo al Comitato del dialogo sociale.
Nel corso dei primi tre anni successivi alla firma dell’accordo il
Comitato del dialogo sociale predisporrà una tabella annuale riassuntiva
della situazione relativa all’implementazione dell’accordo. Nel corso del
quarto anno il Comitato redigerà un
rapporto completo sulle azioni intraprese ai fini dell’attuazione dell’accordo. I firmatari valuteranno e riesamineranno l’accordo in qualunque
momento su richiesta di uno di loro
una volta trascorsi cinque anni dalla
data della firma. In caso di domande
in merito al contenuto dell’ accordo
le organizzazioni affiliate interessate
possono rivolgersi congiuntamente o
separatamente ai firmatari che
risponderanno loro congiuntamente
o separatamente. L’attuazione di questo accordo non costituisce un valido motivo per ridurre il livello generale di protezione concesso ai lavoratori nell’ambito di questo accordo.
2.2 Decreto Legislativo del 9
Aprile 2008
Premettiamo che già ai sensi del D.Lgs
626/94 i risultati della valutazione dei
rischi dovevano essere esposti in una
relazione obbligatoria nota come
“Documento di Valutazione dei
Rischi” (DVR), la quale doveva necessariamente contenere i criteri adotta-
22
ti per la valutazione, nonché le eventuali misure preventive e correttive
ritenute più idonee a garantire nel
tempo i livelli di sicurezza. In base alle
norme contenute nel D.Lgs 9 aprile
2008, n. 81 e le indicazioni della
Commissione consultiva permanente
per la salute e sicurezza sul lavoro
nominata dal Ministero del Lavoro,
elaborate nel documento del 17
novembre 2010 affermano che la valutazione del rischio stress lavoro correlato è parte integrante della valutazione generale dei rischi presente
negli ambienti di lavoro e deve essere
effettuata (come per tutti gli altri fattori di rischio) dal datore di lavoro,
avvalendosi del Responsabile del
Servizio di Prevenzione e Protezione
(RSPP) e previa consultazione del
Rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza (RSL). Inoltre viene previsto
che la data del 31 dicembre 2010,
decorrenza dell’obbligo previsto dall’articolo 28, comma 1-bis del D.Lgs n.
81/2008, debba essere intesa come
data di avvio delle attività di valutazione del rischio stress lavoro correlato.
Definizione dello stress e dello
stress da lavoro –
Responsabilità dei datori di
lavoro e dei lavoratori
Alcuni autori definiscono lo stress
come: “Una reazione aspecifica dell’organismo a quasi ogni tipo di esposizione, stimolo e sollecitazione”
(Seyle 1936); “Reazioni fisiche ed
emotive dannose che si manifestano
quando le richieste lavorative non
sono commisurate alle capacità,
risorse o esigenze del lavoratore”
(National Institute for Occupational
Safety and Health, NIOSH 1999).
Stress e Lavoro: alcuni dati europei
-- Lo stress è il secondo problema di
salute legato all’attività lavorativa
riferito più frequentemente.
-- Il 22% dei lavoratori dichiara di
essere soggetto a stress (dopo il mal
di schiena col 28%).
-- Dagli studi condotti emerge che
più del 50% di tutte le giornate lavorative perse è dovuta allo stress.
-- Il costo economico dello stress
legato all’attività lavorativa nell’UE è
di circa 20 Miliardi di EURO.
-- Il numero di persone che soffrono
di stress legato all’attività lavorativa è
destinato ad aumentare.
Oltre 2 milioni e 800 mila persone
riconoscono proprio nell’attività
lavorativa le cause dei propri problemi di salute.
Le donne, con il 5,4%, mostrano una
maggiore esposizione degli uomini
(4,1%). Se si guarda all’età dei lavoratori più vulnerabili dal punto di vista
psicologico, si trovano soprattutto
persone di 35-44 anni.
Altri dati interessanti:
Il 50% degli insegnanti dichiara di soffrire di stress lavoro correlato
Il 35% delle Forse dell’Ordine
Il 30% del personale che lavora in
Sanità
Il 20% degli operai
In Europa il 22% dei lavoratori che
lavora in Sanità dichiara di soffrire di
stress lavoro correlato
In Italia il 27% dei lavoratori che lavora in Sanità dichiara di soffrire di
stress lavoro correlato
In Europa un lavoratore su tre circa
soffre di stress lavoro correlato e
vengono persi in Europa circa il 50%
di giorni lavorativi per assenze dovute a motivazione collegate allo stress
lavoro correlato
Da Fulvio Giordana (Palermo 2011)
Cosa stressa di più gli operatori sanitari:
Non ricevere aiuto per i propri problemi personali (38%)
Non riuscire a non prendersela per
le critiche (33%)
Non sentirsi a proprio agio quando si
è al centro dell’attenzione (16%)
Non sentirsi una persona con i nervi
saldi (13%)
Non riuscire a concentrarsi (13%)
Non sentirsi calmi e rilassati (12%)
Sentirsi inferiori agli altri (12%)
Le donne tendono ad essere più stressate degli uomini (Gigantesco 2004)
Conclusioni
Dai dati sovraesposti si evince che lo
stress da lavoro oggi è un fenomeno
purtroppo presente in maniera consistente e preoccupante all’interno
delle organizzazioni.
In particolare sono maggiormente a
rischio le professioni socio sanitarie,
dove è quotidianamente presente il
contatto con la sofferenza umana.
Per far fronte a tale problematica la
Commissione Europea imposta una
nuova strategia comunitaria 20072012 che conferma la necessità di
promuovere un approccio globale al
benessere sul luogo di lavoro.
La situazione lavorativa rafforza la
salute e il benessere personale e l’accesso al mercato del lavoro e il mantenimento del posto di lavoro migliorano globalmente la salute della popolazione. Occorre perciò promuovere il
mutamento dei comportamenti dei
lavoratori e approcci orientati alla
salute presso i datori di lavoro.
Ogni professionista sanitario nel suo
lavoro clinico accanto al lavoro tecnico svolge un’attività basata soprattutto sulla comunicazione e sulla
relazione con i pazienti.
Il lavoro clinico prevede per l’operatore il coinvolgimento di aspetti
emotivi, comportamentali e cognitivi.
È importante pertanto tenere in
considerazione l’aspetto di prevenzione e valutazione. In particolare,
come già detto sopra, con il D.Lgs 9
Aprile 2008/n.81, la valutazione del
rischio stress lavoro correlato è
parte integrante della valutazione
generale dei rischi presente negli
ambienti di lavoro e deve essere
effettuata (come per tutti gli altri fattori di rischio) dal datore di lavoro,
avvalendosi del Responsabile del
Servizio di Prevenzione e Protezione
(RSPP) e previa consultazione del
Rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza (RSL) che devono vigilare
sulla sua corretta applicazione, nella
tutela della salute dei lavoratori.
SECONDA PARTE
La nostra esperienza
con medici, psicologi e
personale socio-sanitario ECM presso la Sala Conferenze
dell’Ordine dei Medici
Nel primo corso ECM rivolto a
medici, psicologi, psicoterapeuti e
infermieri che abbiamo condotto
presso la Sala Conferenze dell’Ordine dei Medici di Viterbo, dal titolo
Rischio psicosociale: strumenti e tecniche di valutazione, prevenzione e
intervento, sono state affrontate le
diverse tematiche inerenti l’ambito
dello stress lavoro correlato.
Questo Corso si è svolto in quattro
giornate, 30 aprile, 14 e 28 maggio, 11
giugno 2011 e ha riguardato il tema
del rischio psicosociale, illustrandone
gli strumenti, le tecniche di valutazione, prevenzione e intervento.
Nella prima giornata ci sono state
esposte le seguenti relazioni:
Epidemiologia ed incidenza del
rischio psico-sociale nel personale
sanitario: il costo per le aziende (Dr.
G. Cimarello)
La comunicazione nel rapporto operatore-paziente: valutazione, strumenti e tecniche di intervento (Dr. S.
De Simoni)
Neurobiologia dello stress e terapie
appropiate (Dr. A. Bisogno)
Aspetti relazionali nel modello assistenziale (A. Corsetti).
La prevenzione del disagio lavorativo,
valutazione e strumenti (Dr. S.Apolito)
Al termine dell’ultima relazione e collegato al tema degli incontri successivi riguardante gli interventi formativi,
abbiamo presentato uno strumento
valutativo: il questionario S.A.R. “Scala
Alessitimica Romana”. Si tratta di uno
strumento messo a punto dai ricercatori Baiocco, Giannini e Laghi
dell’Università “La Sapienza” di Roma,
Facoltà di Psicologia, nel 2005. La
S.A.R. valuta le capacità di riconoscere, esprimere e verbalizzare le proprie
emozioni e individua una modalità
relazionale basata su uno specifico
stile cognitivo-affettivo.
Questo questionario viene usato con
gli operatori e con gli studenti delle
professioni socio-sanitarie al fine di
individuare l’insorgenza dello stress
lavoro correlato, dato che in questi
ambiti dove il contatto continuativo
con la sofferenza può diventare particolarmente stressante, soprattutto
per chi ha più difficoltà a tenere sotto
controllo le emozioni.
Lo strumento prende in esame cinque fattori:
1. Espressione somatica delle emozioni
2. Difficoltà ad identificare le proprie
emozioni
3. Difficoltà a comunicare agli altri le
proprie emozioni
4. Pensiero orientato esternamente
5. Mancanza di empatia
Abbiamo chiesto ai partecipanti se
erano d’accordo a compilare in forma
anonima i questionari e a riconsegnarceli per la siglatura e l’elaborazione,
questo al fine di evidenziare eventuale
elementi di rischio lavoro correlato e
poter quindi intervenire a livello formativo attraverso le tecniche presentate negli incontri successivi, tutti i
partecipanti si sono dimostrati favorevoli alla proposta e si è realizzata la
somministrazione.
Presentazione dei risultati – calcolo
dei punteggi.
I nostri risultati.
In Europa il 22%
dei lavoratori che lavora
in Sanità dichiara di
soffrire di stress lavoro
correlato...
23
ATTUALITÁ
Considerazioni
Nel campione in esame prevale il
genere femminile, con un 62% di
donne e un 38% di uomini ed è presente una netta prevalenza di medici
(71%) seguiti da psicologi (21%) e
infermieri (8%).
I risultati rivelano punteggi orientati
su un rischio sostanzialmente basso
in tutti e cinque i fattori, concentrandosi in generale su un livello medio.
Osservando il confronto tra i fattori
si denota nel primo fattore “espressione somatica delle emozioni” un
punteggio di disagio “lieve” del 78%,
“normale” del 22%, evidenziando
una difficoltà ad esprimere le proprie
emozioni e ad essere in contatto con
il proprio Sé interiore. Nel secondo
fattore “identificare le proprie emozioni”, il disagio “lieve” è notevolmente più basso, 44%, e prevale un
punteggio “normale” (56%).
Nel terzo fattore “difficoltà a comunicare agli altri le proprie emozioni”
compare un disagio del 6%, un disagio lieve dell’83% e normale dell’11%.
Questo indica in maniera evidente la
difficoltà nella comunicazione delle
proprie emozioni. È un dato interessante, innanzitutto perché, come
abbiamo detto, il campione è per la
maggior parte composto da medici,
in secondo luogo perché evidenzia
uno dei maggiori fattori di rischio
stress lavoro correlato: la carenza di
una
adeguata
comunicazione.
Pertanto, come diremo in seguito, in
questo caso sono necessari interventi di formazione basati sull’apprendimento di una comunicazione efficace: la comunicazione assertiva. Ogni
operatore socio sanitario nel suo
lavoro clinico, accanto alla professionalità tecnica, svolge un’attività in cui
gli aspetti della comunicazione e della
relazione sono essenziali. È infatti in
queste professioni che si realizza un
entrare in contatto con l’altro attraverso diversi livelli contemporanea-
24
ATTUALITÁ
mente presenti: verbale, paraverbale,
analogico. Nell’analisi del quarto fattore “pensiero orientato esternamente” compare un disagio del 6%,
un disagio lieve del 39% e normale
del 55%. Meno differenze dunque
rispetto al precedente fattore tra i
livelli “lieve” e “normale”, ma comunque è presente un disagio del 6%, ad
indicare quanto scarso sia il contatto
con il Sé e quanto prevalgano gli
aspetti pratici su quelli simbolici.
Nel quinto fattore “mancanza di
empatia” il punteggio si orienta su un
livello normale per il 61 % e lieve per
il 39%. Di fatto il nostro campione si
è rivelato piuttosto empatico nel
contatto con gli altri. Il confronto tra
i cinque fattori è illustrato dal grafico
6. Nelle successive giornate si è parlato del modello dell’Ipnosi
Ericksoniana, del Modello Cognitivo,
del
Problem
Solving,
dello
Psicodramma Analitico, del RolePlaying e del Focus Group. Facendo
partecipare i discenti a lezioni che si
sono svolte sia attraverso l’esposizione di concetti teorici che attraverso esercitazioni esperienziali. Si è infine parlato delle tecniche di rilevazione del rischio-psicosociale e di
modelli teorici di intervento sulla
comunicazione operatore-paziente.
Abbiamo proposto diversi orientamenti teorici per permettere
all’utente partecipante al corso di
avvalersi di una metodologia quanto
più vasta possibile di formazione sia
teorica che esperienziale.
Ricordiamo che la formazione è
un’attività educativa sul sapere il cui
obiettivo è educare in merito alle
relazioni e alla comunicazione tra
individui in un gruppo di lavoro.
Riguarda la tutela della salute poiché
si occupa del benessere degli individui in ambito lavorativo. Nei percorsi formativi si lavora sulle difficoltà o
sui problemi di comunicazione, che
possono riguardare: le dinamiche di
gruppo, i problemi con i pazienti e/o
con i familiari, la gestione di un problema lavorativo. I risultati del corso
sono stati sorprendenti in termini di
apprendimento da parte dei partecipanti, sia per quanto ha riguardato la
parte teorica, sia la parte pratica.
Siamo perciò contenti di poter dire
che il nostro ECM ha rappresentato
non solo una necessaria informazione su un tema tanto attuale e necessario, ma anche la trasmissione di
modalità nuove ed efficaci di prevenzione e gestione dello stress lavoro
correlato. Il secondo ECM si è svolto
il 27 giugno 2011 e ha preso in esame
il rischio psicosociale negli aspetti
legislativi, informativi, formativi e preventivi nei contesti sanitari. Era più
specificatamente rivolto ai datori di
lavoro e ai direttori sanitari, ma sono
stati presenti anche molti medici con
funzioni diverse e altre figure professionali appartenenti all’ambito sanitario. Il corso si è aperto con la presentazione del dott. G. Cimarello che ha
esposto l’incidenza del rischio psicosociale nel personale sanitario, illustrando i costi per le aziende.
Successivamente la dott.ssa De
Simoni ha presentato una panoramica sui possibili interventi informativi,
preventivi e formativi nei contesti
sanitari. Tra gli interventi formativi,
oltre alla già citata tecnica del roleplaying, si utilizza anche la tecnica del
Focus Group. Questo metodo consiste in una discussione guidata in piccolo gruppo con la presenza di un
moderatore su un argomento che si
vuole indagare in profondità. Serve a
conoscere le percezioni, atteggiamenti, opinioni, emozioni di un gruppo riguardo a un tema specifico;
pone l’attenzione sugli aspetti psicologici e culturali. Favorisce la discussione, il confronto interpersonale e
la comunicazione tra i partecipanti.
Questa tecnica formativa è stata
scelta dalla Commissione Consuntiva
del Ministero del Lavoro, come tecnica elettiva per gli interventi correttivi nei confronti dello stress lavoro
correlato. La successiva relazione,
della dott.ssa Apolito, ha riguardato
la presentazione di diversi strumenti di valutazione usati nell’ambito
della prevenzione del disagio lavorativo. In seguito si sono svolte esercitazioni pratiche e discussioni di casi
clinici seguiti da una prova finale.
Conclusioni
L’esperienza da noi vissuta come organizzatori e docenti dei corsi ECM
“Rischio Psicosociale: strumenti e tecniche di valutazione, prevenzione e
intervento”; “Rischio Psicosociale:
aspetti legislativi, interventi informativi,
preventivi, formativi nei contesti sanitari” ci ha arricchito sia come professionisti che come formatori.
Parlare di stress correlato al lavoro è
oggi quanto mai attuale e purtroppo
in moltissime, forse troppe istituzioni, una difficile realtà quotidiana.
È importante per le aziende essere a
conoscenza, come da obbligo di legge,
delle normative relative alla valutazione del rischio da stress, considerato,
ripetiamo, al pari degli altri fattori di
rischio. Infatti i datori di lavoro hanno
l’obbligo di compilare il DVR e di procedere alla valutazione del rischio. In
seguito, in base al grado di rischio rilevato – alto, medio, basso - si applicano
le relative misure: interventi di informazione , di formazione per tutto il
personale, fino a interventi di diagnosi individuale. Non si tratta per le organizzazioni solo di un obbligo di legge,
ma di sensibilizzazione umana volta
alla tutela della salute dei lavoratori, e
questo in ultima analisi può anche
essere letto in termini di vantaggi per
le aziende, poiché il lavoratore che sta
bene e non è stressato assiste meglio
il paziente. Le tecniche da adottare nel
caso di interventi formativi possono
essere diverse, sia teoriche che espe-
rienziali. Noi abbiamo proposto quattro fondamentali modelli teorici a confronto: il gruppo psicodinamico e la
tecnica del Role-Playing, la teoria
cognitiva e il Problem Solving, l’Ipnosi
Ericksoniana e il Focus Group.
Con notevole soddisfazione da parte
nostra, abbiamo ottenuto un piacevole
riscontro dei partecipanti, sia nella
proposta diversificata in quanto a teorie di riferimento, sia nelle tecniche
mostrate, tutte esperienziali, pratiche
e di immediata attuazione. Il gruppo si
è amalgamato in modo produttivo e
ha creato lui stesso proposte innovative e funzionali come soluzioni a problemi legati a stress lavoro-correlato.
Siamo inoltre stati soddisfatti di aver
raggiunto gli obiettivi che ci eravamo
inizialmente proposti: fornire ai partecipanti un aggiornamento normativo,
medico, formativo, informativo in
merito alle conoscenze del medico su
questo interessante argomento di
rilevanza sociale, permettendo l’indispensabile apprendimento di strumenti e tecniche per prevenire il rischio
psico-sociale e attuare una corretta
dimensione comunicativo-relazionale
sia con i pazienti che con ifamigliari
che con i colleghi.
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25
LINEE GUIDA
LINEE GUIDA
LINEE GUIDA
IN TEMA DI ABUSO SUI MINORI
• PARTE 2°
8. Procedure operative
8.1 La rete: organizzazione dei
servizi integrati
Data la complessità e i possibili livelli di gravità delle situazioni di abuso,
nell'affrontare il problema è possibile
pensare agli interventi sugli abusi
all'infanzia in rapporto a due diverse
condizioni:
A) Intervento in Urgenza
B) Intervento Programmabile
A) Intervento in Urgenza
Tipologie delle urgenze
Urgenze oggettive: sono situazioni
oggettive di maltrattamenti fisici (sindrome bambino battuto, ustioni,
ecc.), di abusi sessuali o patologie
della somministrazione delle cure (in
particolare condizioni di abbandono,
incidenti domestici legati a violenza o
incuria, Sindrome di Munchausen per
26
procura, chemical abuse).
Urgenze soggettive sono situazioni
di sospetto o di convinzione di
abuso soggettivamente tenute da
familiari o da professionisti con connotazione emotiva di preoccupazione ed angoscia.
L'intervento
Le situazioni di urgenza richiedono
disponibilità di strumenti facilmente
accessibili, e strutture in grado di fornire un adeguato e pronto intervento nella situazione oltre ad un attento lavoro di collegamento tra i
Servizio Territoriale, le Strutture
Ospedaliere e l'Autorità Giudiziaria.
Obiettivi dell'intervento in
urgenza
• Diagnosi medica, medico-legale, psicologica e sociale.
• Terapia medica, sostegno psicologico
e iniziative di protezione (se ne sussistono le necessità) (Caffo, 2003 b).
• Adempimento degli obblighi di
legge: segnalazione di sospetto o
accertato abuso e/o maltrattamento
alla Procura della Repubblica presso
il Tribunale Ordinario che può attivare, se lo ritiene necessario, gli opportuni interventi di tutela del minore.
Competenze delle strutture
ospedaliere e dei servizi
territoriali rispetto allo
specifico intervento
1) Strutture Ospedaliere
Il D.E.A. o le U.O. con guardia pediatrica 24 h e di Neuropsichiatria infantile procedono a ricoverare il minore:
a) in presenza di segni fisici importanti;
b) qualora non sia chiaramente
garantita la protezione del minore o
in assenza di un genitore o parente
27
LINEE GUIDA
protettivo; Se il medico ritiene indispensabile il ricovero che non viene
accettato dal genitore e legale
responsabile, occorre trattenere il
bambino e inoltrare richiesta urgente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni per
essere autorizzati alla temporanea
non consegna del bambino.
All'interno di questo intervento va
svolto un iter diagnostico secondo le
modalità descritte al punto
B) (Intervento Programmabile). Ciò
richiede che la struttura sanitaria sia
fornita di risorse per l’attuazione del
processo diagnostico previsto.
Svolto l'iter diagnostico, se viene
confermata l'ipotesi di abuso, è
necessario:
• un ulteriore collegamento con
l'Autorità Giudiziaria, secondo gli
obblighi di legge, e con il Tribunale
per i Minorenni, al fine di attivare
ulteriori strumenti di tutela per il
bambino;
• un collegamento tra la struttura
ospedaliera e i servizi territoriali per:
1. fornire informazioni, raccolte
durante il ricovero, ai Servizi territoriali che già hanno in carico il caso
soprattutto se vengono assunte iniziative di protezione o per la successiva presa in carico.
2. strutturare il percorso di dimissione e concordare la sequenza delle
iniziative da attivare in collaborazione con le Strutture Territoriali.
2) Strutture territoriali
Le strutture operative NPI in collaborazione con i pediatri svolgeranno
un iter diagnostico secondo le modalità descritte nel capitolo sui criteri
di valutazione clinica.
Gli operatori predisporranno il ricovero:
a) quando il bambino presenta segni
fisici la cui diagnosi sia realizzabile
solo in ambito ospedaliero o nel caso
in cui presenti segni fisici importanti
b) quando non sia presente un genitore protettivo e non sia possibile
l'affidamento a strutture residenziali
adeguate In entrambi i casi, qualora
l'intervento non venisse accettato dal
genitore legale responsabile. è necessario fare richiesta urgente alla
28
LINEE GUIDA
La collocazione del bambino presso la famiglia di
origine corrisponde ad
uno specifico diritto riconosciuto dalla legge italiana (art. 1, L. 184/83) e
dalla Convenzione di
New York e, sino a prova
contraria, si deve presumere che la famiglia
desideri trattenere il figlio
presso di sé.
Procura della Repubblica presso il
Tribunale per i Minorenni, per essere
autorizzati alla temporanea non consegna del bambino.
Raccomandazione 8.1.1
(Opzione Clinica. Forza della
Evidenza: Sufficiente. Forza della
Raccomandazione: Sufficiente)
I provvedimenti di allontanamenti del
bambino dall’ambiente familiare sono
per loro natura provvisori, ma
rischiano, qualora non si fondino su
elementi di realtà sufficientemente
corroborati di produrre conseguenze gravi e durature sull’equilibrio psichico e adattivo del bambino stesso,
legate alle angosce di separazione e
agli effetti traumatici generati da un
distacco brusco e prolungato dai
genitori. Inoltre, le statistiche più
recenti dimostrano che i periodi di
lontananzadall’ambiente familiare
tendono a prolungarsi per periodi
anche molto lunghi. L’esperienza di
collocazione extrafamiliare dovrebbe
infatti avere durata temporanea ed
essere accompagnata da un progetto
globale sul nucleo familiare che definisca anche i tempi del rientro del
bambino nella famiglia di origine, sulla
base del lavoro psicologico al quale la
famiglia stessa ha accettato di sottoporsi (ivi compreso il genitore che si
sia reso autore di comportamenti
abusanti, maltrattanti o gravemente
trascuranti). Questo tipo di decisioni
dovrebbe quindi essere assunto solo
dopo che gli elementi raccolti configurino l’esistenza di un reale, concreto pregiudizio per la salute psicofisica del minore, e dopo che si sia
esclusa la possibilità di attivare e
sostenere le risorse presenti nei
famigliari stessi.
La collocazione del bambino presso
la famiglia di origine corrisponde ad
uno specifico diritto riconosciuto
dalla legge italiana (art. 1, L. 184/83) e
dalla Convenzione di New York e,
sino a prova contraria, si deve presumere che la famiglia desideri trattenere il figlio presso di sé. Pertanto,
qualora si ritenga indispensabile
allontanare un bambino o un ragazzo
dalla propria famiglia, chiunque sia
chiamato ad intervenire è tenuto a
verificare:
- che il minore di età sia effettivamente danneggiato e si trovi in situazione di pericolo;
- che l’attuale situazione del minore
non possa essere modificata in modo
autonomo;
- che l’allontanamento sia meno dannoso della permanenza in famiglia.
Raccomandazione 8.1.2
(Opzione Clinica. Forza della
Evidenza: Sufficiente. Forza della
Raccomandazione: Sufficiente)
Anche per quanto riguarda gli interventi di tutela ed i trattamenti di
natura psicosociale si pone il problema di attuare ricerche cliniche volte
a valutare gli esiti in relazione alla
loro efficacia, attraverso studi controllati e confronti tra i diversi tipi di
intervento che si dimostrano più utili
a seconda della situazione ambientale e delle problematiche psicopatologiche presenti nel bambino.
Raccomandazione 8.1.3
(Opzione Clinica. Forza della
Evidenza: Sufficiente. Forza della
Raccomandazione: Sufficiente)
Risulta auspicabile una differenziazione degli interventi di controllo, effettuati in collaborazione con la
Autorità giudiziaria minorile secondo
il c.d. principio di legalità, e degli
interventi di sostegno con finalità
trattamentali, da svolgersi secondo il
consenso informato dell’utente sotto
l’egida del c.d. principio di beneficità.
B) Intervento Programmabile
L’Intervento Programmabile si basa
sui criteri di valutazione clinica
descritti per gli abusi fisico, psicologico ,per la patologia delle cure e per
l’abuso sessuale e prevede la centralità dell’intervento dei Servizi territoriali sanitari e sociali.
L’ intervento territoriale sugli abusi ai
minori richiede una specifica programmazione nell’ambito dei servizi
di Neuropsichiatria Infantile delle
ASL strettamente coordinati con i
Servizi Sociali dei Comuni.
Il modello d’intervento territoriale
nasce dall’esigenza di affrontare il
problema dell’abuso e maltrattamento ai bambini e ragazzi, in termini sia
di prevenzione sia di intervento psicosociale, nella realtà territoriale
dove il problema nasce e si evidenzia.
La realizzazione di un progetto di
intervento territoriale, deve rispondere ai seguenti obiettivi prioritari:
• rappresentare un sostegno alla relazione genitori-figli, per il contrasto
alla violenza in famiglia e la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
• attuare gli interventi di prevenzione
(primaria, secondaria e terziaria) possibili e necessari per contenere il fenomeno dell’abuso e maltrattamento;
• mettere in comune gli strumenti
per cogliere i segnali di allarme tra gli
operatori che, per motivi diversi,
sono in contatto diretto con i bambini e con le famiglie; • garantire, in
situazioni di dubbio, un percorso
protetto per i bambini per i quali l’avvio di procedure cliniche e legali, se
non guidato e definito, può accrescere e aggravare il trauma.
L’aspetto innovativo e centrale di un
progetto di intervento territoriale
risiede nel tentativo di integrare coerentemente esigenze territoriali e
multidisciplinarietà della risposta specialistica, al fine di ottenere sinergie
L’équipe del Centro di
Consulenza deve essere
costituita da neuropsichiatri infantili, psicologi
e assistenti sociali dotati
di specifica competenza
e formazione in tema
di abusi in età evolutiva,
e svolge attività di
psicodiagnosi clinica,
consulenza, documentazione e formazione.
operative nuove tra Istituzioni ed Enti
e restituire così ai minori abusati un
ambiente armonico e realmente protettivo (si pensi ad esempio alla difficoltà di armonizzare la fase investigativa della magistratura con quella riabilitativa del trattamento psicoterapico
della vittima e della famiglia). Gli aspetti relativi alla connotazione territoriale e all’ integrazione dell'intervento si possono concretizzare nelle
seguenti iniziative:
B.1 Centro di Consulenza a valenza
aziendale o interaziendale;
B.2 costituzione di équipe multidisciplinari;
B.3 attuazione di percorsi di formazione integrata.
B.1 Il Centro di Consulenza aziendale o interaziendale Il Centro di
Consulenza aziendale o interaziendale deve essere collocato nel territorio cui è destinato possibilmente
all’interno di una struttura non connotata a valenza socio-sanitaria o
sociale (ad es. centro per la famiglia,
consultorio); deve essere dotato di
personale competente e strumenti
idonei per l’accoglienza, l’osservazione e la consulenza ai bambini e alle
famiglie e per l’incontro e la formazione degli operatori (che dovrà
essere comune e integrata).
Il Centro rappresenta quindi uno
spazio intermedio e neutrale che
permette la separazione dei luoghi
dell’accertamento da quelli della cura
(rispettivamente sotto l’egida del c.d.
principio di legalità e del c.d. principio
di
beneficità
vedi
Raccomandazione 8.1.3) consentendo una più facile presa in carico successiva ad opera dei servizi del territorio. L’équipe del Centro di
Consulenza deve essere costituita da
neuropsichiatri infantili, psicologi e
assistenti sociali dotati di specifica
competenza e formazione in tema di
abusi in età evolutiva, e svolge attività di psicodiagnosi clinica, consulenza, documentazione e formazione.
Intervento clinico del Centro di
Consulenza - L’assessment psicodiagnostico presso il Centro ha la doppia finalità di fornire una valutazione
psicodiagnostica del minore e della
famiglia, con relativa proposta di
intervento operativo, e valutazione
psicologico-forense utile all’Autorità
Giudiziaria e al Tribunale per i
Minorenni nel percorso giudiziario. Il
percorso diagnostico si realizza
attraverso la valutazione clinica (valutazione delle capacità genitoriali,
valutazione dei fattori di rischio e
protettivi presenti nel minore, valutazione dei pattern di attaccamento)
già descritta al punto 7.2.
Al termine dell'assessment psicodiagnostico il Centro restituisce -con
documentazione scritta - il caso al
servizio territoriale competente per
la presa in carico terapeutica, con
specifiche indicazioni relative alle
risorse psicologiche del minore e
della famiglia (fattori prognostici
positivi e negativi in ordine alle capacità genitoriali) ed all'eventuale programma di trattamento. Gli operatori del Centro forniscono inoltre una
consulenza diretta agli operatori dei
competenti Servizi territoriali.
Servizio di Documentazione
Un’adeguata prevenzione dei fenomeni di maltrattamento ed abuso può
essere pensata solamente attraverso
una integrazione tra aspetti di ricerca,
di intervento sociale e di formazione
29
LINEE GUIDA
degli operatori coinvolti nel campo.
Per questo motivo si ritiene importante che presso il Centro di consulenza sia predisposto un Servizio di
Documentazione multimediale sull’infanzia e l’adolescenza con archivio
informatizzato per la catalogazione e
la consultazione di libri e periodici
scientifici, su argomenti di psicologia
giuridica e psichiatria forense, psicopatologia dell’età evolutiva, politiche
sociali, diritto minorile e della famiglia
e nel campo della tutela dell’infanzie e
dell’adolescenza (per il censimento di
strutture residenziali, semi-residenziali destinate al recupero di minori
devianti).
B.2 L’Equipe multidisciplinare
La costituzione dell’équipe multidisciplinare nasce dalla constatazione
della molteplicità e della varietà di
interventi degli operatori appartenenti alle diverse istituzioni che a
vario titolo entrano nel percorso di
rilevazione, diagnosi e trattamento
delle situazioni di abuso ai minori.
L’équipe multidisciplinare è costituita da:
•
referenti
dei
Servizi
di
Neuropsichiatria Infantile delle Asl;
• referenti dei Servizi Sociali dei
Comuni;
• insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado;
• rappresentanti delle Forze
dell’Ordine e della Magistratura.
La funzione delle équipe multidisciplinari all'interno della rete di lavoro sul
child abuse- Le realtà locali risultano
in larga parte prive di una reale sinergia tra interventi medici, sociali, psicoeducativi e di ordine pubblico sul
child abuse. Le attuali politiche per
l’infanzia, però, spingono gli operatori territoriali - attraverso il confronto plurispecialistico - verso un
modello operativo di lavoro condiviso che, in quanto tale, facilita lo scambio di informazioni tra le diverse istituzioni coinvolte (la famiglia, la scuola, i servizi socio-sanitari, le forze dell’ordine e la magistratura).
La carenza maggiore nell’affrontare le
problematiche dell’età evolutiva e, a
maggior ragione, quelle relative alla
30
LINEE GUIDA
Il problema «abuso»
va affrontato non solo
come un problema
clinico, giuridico e di
ordine pubblico
(per quanto concerne
la prevenzione e
repressione del
possibile reato),
ma anche da un
punto di vista di
informazione-formazione della popolazione e degli operatori
che a diverso titolo se
ne occupano.
violenza sull’infanzia, sembra corrispondere alle difficoltà di realizzazione di un intervento unico-unificato
intorno ad un minore, come se le
istituzioni non si rivolgessero ad uno
e ad un solo soggetto, ma piuttosto a
più parti dello stesso, tante quanti
sono i Servizi che se ne occupano.
La costituzione delle équipe multidisciplinari risponde a questo obiettivo. Il suo scopo è, infatti, quello di
integrare coerentemente le esigenze
territoriali e la multidisciplinarietà
della risposta specialistica nel child
abuse, determinando sinergie operative nuove e più funzionali tra
Istituzioni ed Enti.
Gli operatori della équipe multidisciplinare lavorano in stretta collaborazione con l'équipe degli specialisti del
Centro di Consulenza Aziendale o
interaziendale, per la definizione di
un percorso diagnostico e della presa
in carico congiunto. Si mira così, pur
mantenendo ciascuno le singole
competenze, a garantire il massimo
sforzo perché il trattamento della
vittima (e della sua famiglia) ad opera
dei servizi territoriali competenti
abbia successo. Negli incontri delle
équipe multidisciplinari viene favorita
la crescita personale e istituzionale
attraverso la rilettura gruppale della
situazione problematica, allo scopo di
promuovere la giusta distanza emotiva assolutamente necessaria all'operatore coinvolto per rappresentarsi
la situazione in modo da potere operare una trasformazione adeguata
alla funzione del compito istituzionale che egli deve svolgere.
In tale contesto gruppale, l’integrazione del lavoro degli operatori territoriali mira alla creazione di un progetto di presa in carico basato su una
diagnosi plurispecialistica all’interno
della quale interpretare e contestualizzare il fenomeno dell’abuso. Tutto
questo lavoro si dovrebbe svolgere
all'interno di un delicato equilibrio
tra provvedimenti legislativi ed interventi psicologici ed
assistenziali, che rappresentano lo
specifico “setting” per affrontare
l'abuso in modo integrato.
Per questo è necessario promuovere
una nuova competenza nei servizi
territoriali, basata sulla condivisione
multidisciplinare “in rete” della specifica problematica dell’abuso e degli
interventi che lo riguardano. Il filo
conduttore che soggiace a tale sforzo di leggere gli eventi e di unificare
gli interventi il più possibile, è la consapevolezza del danno iatrogeno che,
ad un minore già abusato, comporta
il ripetersi delle visite, degli accertamenti e delle interviste da parte dei
diversi “esperti”.
B.3 La formazione integrata
Occuparsi della formazione degli
operatori in equipe multidisciplinare
è importante soprattutto al fine di
costruire un linguaggio comune e
condiviso dai diversi professionisti
coinvolti: medici, magistrati, psicologi,
insegnanti, forze dell'ordine, avvocati,
operatori sociali, ecc.
Spesso, infatti, le differenti specificità
professionali possono produrre
fraintendimenti e divergenze sostanziali su aspetti di primaria importanza, come la tutela dei minori o l'apertura di procedimenti civili e penali a
carico degli adulti.
Il problema «abuso» va affrontato
non solo come un problema clinico,
giuridico e di ordine pubblico (per
quanto concerne la prevenzione e
repressione del possibile reato), ma
anche da un punto di vista di informazione-formazione della popolazione e degli operatori che a diverso
titolo se ne occupano.
Questi diversi aspetti devono essere
considerati elementi di un unico
tema che, se affrontato con un taglio
multidisciplinare, può permetterci di
conoscere meglio il fenomeno, di
realizzare una valutazione epidemiologica e, insieme, di disporre efficaci
mezzi di prevenzione, rilevazione,
diagnosi e, quando necessario, di
terapia. L’intervento psicosociale,
infatti, acquista senso solo quando
nasce dalla integrazione reale dei
diversi soggetti coinvolti e viene condotto con la consapevolezza che le
vittime di abuso appartengono
comunque ad una realtà familiare e
sociale complessa e articolata. Per
garantire la massima integrazione
degli interventi, i membri delle équipe multidisciplinari e gli operatori del
Centro di Consulenza condividono
incontri di formazione e spazi comuni di incontro per la definizione di
protocolli operativi e la verifica dei
risultati offrendo così un’opportunità
in più per l'aggiornamento degli operatori sociosanitari sul tema specifico
delle violenze sui minori.
8.2 Percorso del caso nel modello territoriale
L’attuazione di un modello di intervento territoriale prevede, dopo una
prima fase di rilevazione delle caratteristiche sociodemografiche del territorio, l'articolazione di itinerari specifici per la prevenzione, la diagnosi e
la cura degli abusi in età evolutiva.
8.2.1. Fase valutativa
La segnalazione precoce dei casi di
abuso, identificati dagli operatori dei
diversi presidi Asl o delle scuole,
viene raccolta dalle équipe multidisciplinari e gestita in modo da assicurare la massima coerenza e compatibilità dei mezzi e delle finalità terapeutico-riabilitative con le esigenze
investigative della Magistratura.
Quando nel contesto territoriale si
verifica una segnalazione o anche
solamente emerge una ipotesi o un
dubbio di un abuso di qualsiasi natura nei confronti di un minore, l'équipe multidisciplinare:
• dispone l’indagine socio ambientale;
• invia il minore per l'approfondimento diagnostico alla équipe clinica del
Centro di Consulenza aziendale o
interaziendale, nel caso in cui l'accertamento clinico lo richieda;
• dispone se necessario il ricovero
ospedaliero (o anche in day hospital);
• effettua contestualmente la segnalazione all’Autorità Giudiziaria
31
LINEE GUIDA
La fase valutativa -svolta in spazi neutri (famiglia, scuola) e presso la sede
del Centro con l’ausilio di mezzi
audiovisivi - avviene attraverso una
valutazione globale, clinico-osservativa ed ambientale.
Alla fine dell' assessment l'équipe clinica del Centro riferisce sull'esito
dell'indagine clinico-forense svolta
sul minore e sulla famiglia, restituendo il caso al Servizio Territoriale di
competenza per la realizzazione dell'intervento clinico.
Oggetto di valutazione non sono
solamente le dinamiche relazionali
patologiche che connesse all'abuso,
ma anche le risorse evolutive del
nucleo malfunzionante: senza mai
cadere nella mera colpevolizzazione
dei genitori. Occorre riuscire a definire la loro responsabilità nelle dinamiche relazionali non funzionali al
bambino; se a questo punto viene
riscontrata la disponibilità da parte
dei genitori di modificare tali dinamiche, la famiglia in difficoltà deve essere aiutata a cambiare.
Il Centro di Consulenza, oltre a produrre una diagnosi ed un progetto
terapeutico, sulla base della valutazione prognostica sulla famiglia, riferisce, direttamente o indirettamente
attraverso
i
servizi
di
Neuropsichiatria infantile della Asl,
alla Magistratura competente circa
l'esito della valutazione. L'intervento
giudiziario dovrebbe permettere di
risolvere la dicotomia tra aiuto e
controllo, collocando ad un livello
logico e gerarchico superiore il controllo, sotto l’egida del principio di
legalità, all'interno del quale si inseriscono tutti gli interventi di sostegno
ed aiuto secondo il principio di beneficità. Il mandato del Tribunale, inoltre, permette di confrontarsi apertamente con la famiglia sul malessere
dei bambini e sulle responsabilità
genitoriali, consentendo quella trasparenza di rapporto necessaria ad
un serio lavoro di valutazione.
8.2.2. Fase del Trattamento
Modello terapeutico territoriale
32
LINEE GUIDA
Lo Spazio Neutro si
qualifica come intervento relativamente
breve, mirato a
verificare la possibilità
che il processo di
riavvicinamento
possa evolvere e
proseguire in ambiti
più naturali,
comunque supportato
dal lavoro degli
operatori territoriali.
integrato- Attraverso il modello territoriale integrato si auspica di poter
offrire al bambino vittima di abuso
una cornice terapeutica che lo metta
al riparo da possibili reiterazioni del
reato o di qualsiasi altra forma di
predazione dei suoi diritti.
Si tratta di un passaggio propedeutico verso il ripristino di un luogo di
rappresentazione degli affetti che la
condizione di abuso spesso ha ridotto, distorto o eliminato, promuovendo nuovi patterns di relazione senza
correre il rischio di introdurre elementi inducenti o suggestivi e mantenendo -a favore della Magistratura
stessa- una visione quanto più possibile obiettiva sui fenomeni osservati.
Per quanto concerne la attuazione
degli interventi psicosociali di terapia, si rimanda al punto 7.3.
Area dello Spazio Neutro
Questo servizio prende avvio dal-
l’esigenza di disegnare e costruire
uno spazio mirato a facilitare il riavvicinamento relazionale ed emotivo
tra i genitori (o adulti diìùriferimento) e i figli che abbiano avuto un’interruzione di rapporto, determinata
da dinamicheì gravemente conflittuali interne al nucleo familiare o conseguenti a provvedimenti dell’Autorità
Giudiziaria. Si tratta di uno spazio
relazionale protetto, nell’ambito del
quale la presenza di un operatore
assume anche la funzione di sostegno
emotivo al bambino, facilitando il
concretizzarsi delle condizioni per
un incontro positivo. Esso si propone
quindi come un contenitore “qualificato”, un luogo terzo, uno spazio e
un tempo intermedi, lontani dal quotidiano, in grado di offrire ed implementare risorse e possibilità più che
di ingiungere meccanismi di controllo rivolti alla famiglia. Lo Spazio
Neutro si qualifica come intervento
relativamente breve, mirato a verificare la possibilità che il processo di
riavvicinamento possa evolvere e
proseguire in ambiti più naturali,
comunque supportato dal lavoro
degli operatori territoriali. In caso
contrario, preso atto dell’impossibilità di contribuire ad attivare per il
bambino condizioni adeguate di relazione, i Servizi proposti dovranno
ipotizzare una prosecuzione d’intervento di tutela con risorse diverse.
I bambini interessati appartengono a
nuclei sottoposti a provvedimenti
dell’Autorità Giudiziaria (alla quale si
è tenuti a riferire) e sono a carico sia
ai Servizi Sociali del Comune sia ai
Servizi Socio-sanitari. La molteplicità
degli interventi impone l’individuazione di un percorso d’intervento
che tenga conto della necessità della
collaborazione tra i diversi Servizi e
istituzioni in termini funzionali
all’obiettivo comune: far emergere le
potenzialità di sviluppo di una sana
relazione tra minori e adulti di riferimento. Il focus è posto sul riconoscimento del bisogno del bambino di
veder protetta, per quanto e fin
quando possibile, la relazione affettiva ed educativa con entrambi i genitori, al di là delle vicende che potreb-
bero impedirne la continuità, come
condizione che maggiormente garantisce una prospettiva di crescita sana
ed equilibrata e l’acquisizione di
un’identità adulta adeguata.
Principale destinatario dell’intervento è il bambino e il diritto del bambino stesso “separato da uno o da
entrambi i genitori a mantenere relazioni personali e contatti diretti in
modo regolare con entrambi i genitori, salvo quando ciò è contrario al
maggior interesse del bambino”
(ONU, Convenzione sui diritti del
fanciullo, art. 9, New York 1989).
La tipologia di questo tipo di intervento va dalle situazioni familiari multiproblematiche, in presenza di
decreti gravemente limitativi della
potestà genitoriale, con interventi
sostitutivi al nucleo d’origine, a situazioni che presentano una pesante
conflittualità di coppia dovuta quasi
esclusivamente al processo di elaborazione della separazione coniugale.
Nel caso di minori in affido eterofamiliare, la complessità e le difficoltà
relazionali tra le famiglie può esigere,
per gli incontri tra bambini e famiglia
d’origine, un accompagnamento, un
supporto e un luogo fisicamente
diverso dalle rispettive dimore.
Un’altra area d’intervento specifica è
quella del mantenimento della relazione tra bambino e genitore in carcere o con provvedimenti limitativi la
libertà personale conseguenti a procedimenti penali in seguito a violenze
sui minori. Area della prevenzione nel
modello territoriale- La letteratura
nazionale e internazionale utilizza
con molta cautela il termine “prevenzione” in riferimento al problema
degli abusi all’infanzia.
Nella definizione di un modello di
intervento territoriale, è necessario
prevedere uno spazio per la informazione /formazione degli insegnanti
tenuto conto del fatto che la Scuola
rappresenta uno dei luoghi più
importanti di rilevazione del fenomeno Il problema dei maltrattamenti
Il focus è posto sul
riconoscimento del
bisogno del bambino di
veder protetta, per
quanto e fin quando
possibile, la relazione
affettiva ed educativa
con entrambi i genitori,
al di là delle vicende
che potrebbero impedirne la continuità,
come condizione che
maggiormente garantisce una prospettiva di
crescita sana ed
equilibrata e l’acquisizione di un’identità
adulta adeguata.
all’infanzia viene spesso affrontato
con molti pregiudizi da parte del
mondo adulto. È per questo che un
intervento informativo e preventivo
deve prima di tutto mirare alla promozione di una nuova cultura dell’infanzia, intesa come una maggiore
conoscenza da parte degli adulti del
bambino, con le sue emozioni, i suoi
sentimenti, le sue passioni – ma
anche con la sua maggiore fragilità e
vulnerabilità La prevenzione dei maltrattamenti e la difesa dei bambini,
infatti, si realizza in primo luogo creando un clima di reciproca fiducia. Se
il bambino non riceve ascolto, attenzione e cure adeguate sarà più vulnerabile e tenderà in misura maggiore
ad esporsi a situazioni rischiose.
L’acquisizione di una sua autonomia e
capacità di giudizio critico della realtà, invece, gli permetterà più facilmente di proteggersi o di chiedere
aiuto in caso di bisogno. Proprio per
questo la scuola che costituisce non
solo il luogo in cui bambini e adolescenti passano molte ore della giornata per diversi anni, ma che rappresenta anche un osservatorio privilegiato sulla condizione del bambino e
del ragazzo, riveste un’importanza
fondamentale nella prevenzione degli
abusi e nella protezione dei bambini.
La scuola dovrebbe quindi poter promuovere programmi di prevenzione
e informazione per tutte le fasce di
età, adeguando tali programmi al
bambino, compresi eventuali percorsi adeguati e corretti (e condivisi con
le famiglie) di educazione sessuale. Si
tratta non solo di informare, ma
anche fornire strumenti utili (ad
esempio giochi e programmi educativi adeguatamente e specificamente
predisposti) per affrontare in maniera adeguata tali tematiche e permettere ai bambini, attraverso il coinvolgimento in situazioni interattive con
coetanei o adulti, di sperimentare imparando a discriminarle tra lorosituazioni di pericolo e/o situazioni
fisiologiche che possono essere valutate di volta in volta con l’aiuto della
figura adulta. Quest’ultima avrà il
compito di chiarire e confrontare il
bambino progressivamente con
situazioni-tipo, dirigendolo nell’acquisizione di un maggior spirito critico e
quindi di una maggiore conoscenza e
consapevolezza dei propri diritti
relazionali così come sono sanciti
dalla Convenzione ONU dei Diritti
del Fanciullo di New York (1989, ratificata dal nostro ordinamento legislativo nel 1991).
33
FNOMCeO
34
FNOMCeO
Camici bianchi tra
stress, precarietà e
paura del futuro
La “carica rosa”: verso il
ricambio totale dei medici
di medicina generale
Burocrazia, stress e cattivi rapporti
con Asl e Regione avvelenano il presente dei medici italiani. L'insicurezza
e la paura, invece, rabbuiano il futuro.
La fotografia di una professione sempre più in crisi d'identità emerge da
un'indagine dell’Enpam, l'ente previdenziale dei camici bianchi, condotta
su un campione di 2.055 iscritti e tesa
a esplorare le aspettative della categoria. Tre su quattro sono molto preoccupati per la pensione, più di uno
su tre è insoddisfatto della relazione
con le aziende sanitarie e le amministrazioni locali, oltre il 21% considera
seriamente l'ipotesi del pensionamento anticipato. Un desiderio di
fuga alimentato dalla delusione: il
livello di stress è alto, l'insofferenza
verso il “modo in cui oggi si lavora”
anche. Il presidente FNOMCeO,
Amedeo Bianco, ammette: “È lo specchio di un vissuto professionale particolarmente difficile, dominato dall'incertezza”.che penalizza soprattutto i giovani. Lo studio dell'Enpam,
come già detto, è stato condotto su
2.055 medici estratti dal totale degli
iscritti all'archivio Enpam, il 12,2% dei
quali è già in pensione: il 44% del
campione è composto da dipendenti
Ssn, il 35% da liberi professionisti, il
12,9% da Mmg, il 4,4% da pediatri di
libera scelta e il 3,5% da specialisti
ambulatoriali. I segnali della crisi sono
già tutti nei primi dati: la percentuale
di soddisfatti del proprio lavoro è
pari al 72,5% del totale ma cala progressivamente dal 95,7% degli over
66 (i pensionati, appunto, condizionati dalla nostalgia del passato) al 63,7%
degli under 35 e dall'82,4% di chi ha
un reddito oltre i 90mila euro al
53,8% di chi guadagna meno di
30mila euro. In sintesi: sono i giovani
i più delusi, sia a livello economico sia
a livello di aspettative professionali. E
Più giovani e più donne. In vent'anni la
medicina generale cambierà radicalmente pelle: sarà ancora in servizio
appena il 12% dei medici di famiglia
attivi oggi. E le dottoresse saranno la
maggioranza, come d'altronde si prevede per la professione nel suo complesso. A interrogarsi sul presente e
sul futuro dei camici bianchi generalisti
è stata la Fimmg, il maggior sindacato
di categoria, che ha lavorato su più
fonti: l'archivio dati dell'Enpam, l'ente di
previdenza dei medici, I'annuario statistico 2010 del Ministero della Salute, il
sito del Ministero del Lavoro, l'archivio
Fimmgest e le informazioni fornite
direttamente dalle segreterie regionali. Obiettivo: prevedere il più accuratamente possibile quale avvenire aspetta
la galassia della medicina generale, per
arrivare preparati alla "rivoluzione"
demografica. Al 2010 i medici di famiglia in servizio erano 43.932: la
Lombardia è la Regione con il più alto
numero di Mmg (6.727), seguita da
Lazio e Sicilia, con oltre 4mila professionisti. Il numero medio di pazienti
per medico di base varia molto. E’
legato da un lato alla scelta dei cittadini, dall'altro alle politiche regionali sul
rapporto ottimale (fissato dalla convenzione nazionale a un medico per
1.000 abitanti), come evidenziato da
Tommasa Maio della Fimmg che ha
curato la raccolta e l'elaborazione dei
dati. Non a caso a livello nazionale il
numero di pazienti per camice bianco
è costantemente aumentato, passando
da poco più di 1.092 del 2000 a 1.124
del 2008. In media, il 64% dei generalisti percepisce indennità per l'adesione
a forme associative, anche in questo
caso con una forte variabilità territoriale: si va dal 33% della Calabria
all'82,5% del Piemonte. Gli uomini oggi
sono la netta maggioranza: rappresentano il 72% dei medici di famiglia,
31.795 in valore assoluto contro
12.137 donne. Contano sul proprio
territorio più di mille dottoresse di
base soltanto un pugno di Regioni:
“...la percentuale di
soddisfatti del proprio
lavoro è pari al 72,5%
del totale...”
la delusione aumenta quando si tocca
il tasto dolente dei rapporti con Asl
e Regione: la quota dei soddisfatti
precipita al 32,9%, quella degli insoddisfatti sale al 36,7%. Il malumore è
alto soprattutto tra i convenzionati,
ma anche per il 32,4% dei dipendenti
la relazione non è soddisfacente.
L'incertezza sul futuro è palpabile: il
35% (con punte del 40,5% tra i liberi
professionisti e del 35,1% tra i dipendenti) non riesce a fare alcuna previsione sull'ammontare netto mensile
della propria pensione. I più ottimisti
sono ancora i pediatri; il 61,7% pensa
di incassare tra i 1.500 e i 3.000 euro,
il 21,6% fino a 4.500 euro.
Di nuovo i giovani, invece, sono i più
spaesati: quasi la metà degli under 35
e il 46% di chi ha tra 36 e 45 anni non
riesce a fare alcuna previsione, contro
il 26,3% di chi ha tra 56 e 65 anni. Al
contrario, i più anziani riferiscono
aspettative o realtà retributive più elevate. L'insicurezza fa anche paura: il
76,3% dei camici bianchi è preoccupato per la pensione. Ma il ricorso a
forme integrative è ancora scarso:
riguarda appena il 30% delle interpellati. Il 53%, di contro, ha un'assicurazione sulla vita e i più anziani si dotano frequentemente di un'assicurazione sanitaria. Non solo: il 20,6% già
versa contributi facoltativi per migliorare la pensione, il 14,1% ci sta pensando e il 32,7% ancora la decisione
alla valutazione del rendimento.
Emilia Romagna, Veneto, Piemonte,
La¬zio e Lombardia (che ne annovera
poco più di 2mila). In percentuale,
però, le donne superano il 30% della
categoria solo in Emilia Romagna,Valle
d' Aosta, Lombardia, Friuli Ve¬nezia
Giulia, Piemonte e Sardegna (nell'isola
raggiungono il 35% del totale).
Guardando all'anno di nascita, già si
intravede come la situazione vada
verso il capovolgimento: dai nati nel
1965 in poi il numero di donne raggiunge quello degli uomini, fino a superarlo a partire dai nati negli anni
Settanta. Le nuove forze della categoria, per intendersi, sono femminili: tra
gli under 50 le dottoresse oggi sono
già la maggioranza. Specularmente, tra
gli uomini, gli over 60 sono ben il 32%.
Ultima nota,: il reddito medio de¬gli
uomini è di 64.482 euro, quello delle
donne è di 56.723 euro. Le dottoresse
guadagnano il 13,7% in meno. E’ dalle
previsioni della Fimmg su chi esce e chi
resta in servizio che arrivano le sorprese maggiori. Tra dieci anni sarà
ancora in servizio il 74% dei medici
attivi oggi. Ma tra 15 anni quella quota
si abbasserà drasticamente al 34% fino
a raggiungere il 12% tra vent'anni. In un
modello teorico ideale in cui l'immissione nella professione avviene a circa
30 anni e la pensione a 70, dopo 40
anni di attività, in 20 anni si dovrebbe
realizzare la quiescenza del 50%. Nell’
ipotesi della Fimmg, invece, si verifica il
pensionamento dell'88% di chi oggi è
attivo. Ed è una previsione ottimistica
sirnulando che tutti decidano di attendere i 70 anni. I nuovi ingressi saranno
con tutta probabilità soprattutto al
femminile, se già oggi nelle scuole di
formazione in medicina generale le
donne sono il 69% del totale. La tendenza è europea: in tutti i Paesi Ue la
maggioranza dei giovani laurea¬ti in
medicina tra i 25 e i 34 anni è ormai
composta da dottoresse.
35
FNOMCeO
FNOMCeO
REPORT: diminuiscono
gli operatori del SSN
Oltre 5.200 unità di personale in
meno in un solo anno nel Ssn: -0,75%
nel 2010 rispetto al 2009. In realtà,
però, a ridursi drasticamente da un
anno all'altro sono soprattutto i medici e i dirigenti non medici che perdono rispettivamente l'1,3 e il 7% delle
forze lavoro. Soprattutto quelle di
sesso maschile visto che le donne
au¬mentano invece di quasi 2mila
unità, di cui 880 dottoresse (il 45%).
L'appello degli organici del Ssn (e di
tutta la Pa) lo fa il Conto annuale 2010
della Ragioneria generale dello Stato,
appena pubblicato. Un anno, per la
prima volta, tutto col segno meno per
Ie varie categorie di operatori della
salute, con le perdite percentuali più
pesanti tra i dirigenti amministrativi
che perdono il 5,11% di organici, con
un forte calo percentuale per i direttori generali (-8%), che nel 2010 sono
57 in meno rispetto al 2009.
Ma nonostante il calo rispetto al 2009,
alcune categorie di personale sono più
numerose di quelle in servizio nel
2004, anno di riferimento per il conte-
nimento di spesa previsto nelle varie
manovre estive che detta un tetto pari
alla spesa di quell'anno meno l'1,4%. II
personale in genere nel 2010 è "solo"
lo 0,14% in più del 2004, ma mentre
tutte le categorie sono in calo (i dirigenti del ruolo amministrativo anche
del 18,9% e i profili del ruolo professionale del 19,3%), i medici aumentano
dell'1,92%, con un altro segno "più"
solo per il personale sanitario non
medico. Rispetto agli altri comparti del
pubblico impiego, tra quelli che perdono personale nel 2010 rispetto al 2009
il Ssn è a metà classifica (la riduzione
maggiore e il -5,3% della carriera penitenziaria), ma ci sono anche tre comparti che invece aumentano gli organici: forze armate (+0,8%), Afam (un settore del ministero dell'Università,
+4,7%) e presidenza del Consiglio
(+7,6%).
Ssn in testa invece per il numero di
operatori stabilizzati: 4.892 di cui 50
dai lavori usuranti su un totale nel
2010 di circa 10mila: il 49%. Ma il Ssn
ha anche un altro primato: quello delle
assenze. Nel 2010, con 26,5 giornate
medie tra retribuite e non retribuite,
Asl e ospedali sono primi in classifica
con i corpi di polizia al secondo posto
(25) e una media di tutta la Pa di 21,7
giornate. Infine il capitolo delle retribuzioni. II costo del personale nel 2010 è
stato di 41,3 miliardi: il Ssn è il secondo comparto della Pa in quanto a
numerosità del personale dopo la
scuoIa e lo è anche, sempre dopo la
scuola, per i costi delle retribuzioni. In
realtà, però, la retribuzione media
annua del settore sanitario non è tra le
più alte. Si ferma a 38.773 euro nel
2010, contro gli oltre 43mila euro degli
enti pubblici non economici o i 42mila
degli enti di ricerca. AI top ci sono i
quasi 133mila euro della magistratura,
circa 94mila euro della carriera diplomatica e 86mila di quella prefettizia.
Metà classifica invece per quanto
riguarda il tasso di crescita delle retribu¬zioni che nel 2010 rispetto al 2009
è stato dell’1,15 contro il 14,7%
dell'Afam e sul versante opposto il 1,6% delle agenzie fiscali.
Stipendi dei medici in Europa:
i camici bianchi italiani
possono sorridere
I medici dipendenti d'Italia secondo un
rapporto della Fems non si possono
affatto lamentare, anzi non possono
che sorridere guardando le tasche
degli altri colleghi d'Europa. I nostri
carnici bianchi hanno, difatti, gli stipendi tra i più alti nel Vecchio Continente:
siamo addirittura terzi dopo belgi e
danesi nella classifica dei salari massimi. E quinti dopo olandesi, belgi (che
però negli ospedali hanno un rapporto
libero-professionale), danesi e francesi
36
“I medici dipendenti
d'Italia secondo un
rapporto della Fems
non si possono affatto
lamentare, anzi non
possono che sorridere...”
per quelli minimi. A fare i conti in
tasca, è proprio il caso di dirlo, ai dottori dipendenti in Europa è un'indagine
curata dalla Fems, la “Federazione
europea dei medici salariati”, che non
senza qualche difficoltà e con le cautele del caso sulla precisione dei dati ha
messo in fila tutte le buste paga. Un
confronto con diverse sorprese, questo, che è stato presentato nei giorni
scorsi a Catania durante l'incontro
sulle condizioni di lavoro del medico in
Europa, organizzato
dall'Anaao
Assomed insieme alla Fems, a cui il sindacato aderisce e che tiene a precisare come il taglio degli stipendi dei
medici non è la giusta via per risparmiare, ma solo per abbassare la qualità
delle cure. Ebbene, come detto, i medici che lavorano nei nostri ospedali
arrivano a guadagnare al massimo della
loro carriera 10mila euro al mese lordi
(9.425 se il dato si aggiusta con il potere d'acquisto), escludendo ovviamente
altri introiti importanti come la libera
professione. I valori riportati, precisa la
Ferns nel suo documento, sono da
intendersi prima delle imposte sul reddito e delle trattenute previdenziali,
ma questa seconda voce, a causa di differenti regole nella struttura del salario, nei singoli Paesi, possono essere
assenti. Si guadagna di più indossando
un camice (almeno ai livelli massimi)
solo in Belgio (16.600 euro che diventano 15.901 in base al potere d'acquisto) e Danimarca (13.330 euro che
diventano 9.491 in base al costo della
vita). Guadagnano di meno, tra gli altri,
i medici inglesi, olandesi, francesi, svedesi e spagnoli. Quest'ultimi per gli sti-
pendi massimi possono contare su
buste paga che sono la metà dei colleghi italiani. Per quanto riguarda gli stipendi minimi i medici italiani sono al
quinto posto con 4.569 euro lardi al
mese (che diventano 4.241 in base al
potere d'acquisto): si guadagna di più
in Danimarca, Olanda, Belgio e Francia.
Ma sono dietro di noi, tra gli altri,
Germania, Finlandia, Spagna, Svezia e
Inghilterra. Il documento messo a
punto dalla Federazione europea dei
medici ha poi messo a confronto gli
stipendi dei dottori con i salari medi
nazionali guadagnati in ognuno dei
Paesi preso in esame. E anche qui le
sorprese non mancano. In alcuni casi
(Finlandia, Francia, Germania, Polonia
Slovenia), scrive il documento, il salario
minimo dei medici è pari al salario
medio nazionale; in Belgio, Danimarca,
Italia, Olanda e Slovacchia il salario
minimo dei medici è superiore al salario medio nazionale; in Austria, Irlanda,
Portogallo, Romania, Spagna, Svezia e
Regno Unito, il salario medio è collocato fra i valori minimo e massimo dei
salari dei medici; in alcuni casi il salario
massimo dei medici è uguale al salario
medio nazionale (Grecia e Malta) o
persino inferiore (Repubblica Ceca e
Ungheria). Dallo studio risulta anche
che dove si spende di più per il
Welfare si guadagna di più come medico: La protezione sociale, sottolinea la
Fems, è maggiore nei Paesi membri
dove anche i salari sono maggiori.
Nel mirino delle critiche della Fems
c'è l'ipotesi a cui molti Governi stanno pensando, e cioè di tagliare gli stipendi dei medici per risparmiare: i
salari, negli ospedali, incidono per il
60-65% dei costi totali, perciò il loro
taglio rappresenterebbe un metodo
immediato per risparmiare conseguente riduzione della qualità delle
cure. Altro aspetto e non ultimo da
considerare, è il grande problema rappresentato dalle differenze esistenti
fra i salari dei diversi Stati membri: la
libera circolazione dei professionisti,
nel nostro particolare caso dei medici, può produrre forti spinte migratorie da Paesi con più basse condizioni
di lavoro e di salari, verso Paesi con
carenza di medici, dove le condizioni
sono molto migliori.
Nel mirino delle
critiche della Fems
c’è l’ipotesi a cui
molti Governi stanno
pensando, e cioè
di tagliare gli stipendi
dei medici
per risparmiare...
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ECM
FNOMCeO
Comunicazione n. 8
Ai Presidenti degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri
Ai Presidenti degli iscritti per le commissioni all'albo degli odontoiatri
Cari presidenti,
facendo seguirò alla Comunicazione n. 1 del 3 gennaio 2012 si ritiene opportuno segnalare che nella
seduta di giovedì 19 gennaio 2012 le commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio della Camera
dei Deputati durante l'esame degli emendamenti riferiti al DL 216/2011 recante "Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative" - C. 4865A Governo - hanno approvato un emendamento presentato dall'On. Anna Margherita Miotto che fissa al 30 giugno 2012 il termine per lo svolgimento dell'attività libero professionale intramurali, recependo, quindi, il parere approvato i sede consultiva dalla
Commissione Affari Sociali nella seduta del 18 gennaio 2012 (All. n. 1)
è stato approvato inoltre un ulteriore emendamento presentato dall'On. Anna Margherita Miotto che
fissa al 30 giugno 2012 il termine per consentire alle regioni di completare il programma finalizzato
alla realizzazione di strutture sanitarie per l'attività professionale intramuraria.
In conclusione si rileva che nella seduta di venerdì 20 gennaio 2012 le Commissioni riunite I e V hanno
deliberato di conferire ai relatori Gianclaudio Bressa, per la I Commissione, e Gioacchino Alfano, per
la V Commissione, il mandato a riferire all'Assemblea in senso favorevole sul provvedimento in esame
come modificato per effetto degli emendamenti approvati dalle Commissioni riunite. Nella seduta del
24 gennaio 2012 l'Assemblea della Camera dei Deputati ha votato il rinvio in Commissione del disegno di legge di conversione del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante proroga di termini
previsti da disposizioni legislative (C 4865-A9.
Amedeo Bianco
216/2011 : Proroga di termini previsti da disposizioni legislative, C 4865 Governo.
Parere approvato dalla Commissione
La XII Commissione,
esaminato, per le parti di competenza, il disegno di legge C 4685 Governo, recante "Conversione in
legge del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante proroga di termini previsti da disposizioni
legislative",
esprime:
PARERE FAVOREVOLE
con le seguenti osservazioni:
a) all'articolo 2, valutino le Commissioni di merito l'opportunità di abbreviare il termine del 30 settembre 2012 fino al quale è stato prorogato l'incarico del Commissario straordinario della Croce
rossa italiana;
b) all'articolo 10, comma 2, valutino le Commissioni di merito l'opportunità di abbreviare il termine
del 31 dicembre 2012, di proroga della facoltà di utilizzazione straordinaria del proprio studio professionale per l'esercizio dell'attività libero-professionale intramurali;
c) valutino le Commissioni di merito l'opportunità di inserire una disposizione volta a prorogare il
termne di cui all'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 207 del 2001.
38
ECM
Come è noto Il nostro Ordine professionale è stato accreditato Provider
dalla Commissione Nazionale Formazione Continua e propone, come
ogni anno, per i propri iscritti eventi
che danno la possibilità di acquisire i
crediti formativi ECM.
Si ricorda che la Commissione Nazionale ECM ha stabilito per il triennio
2011/2013 che ogni professionista
della sanità deve acquisire 150 crediti
formativi.
Il Comitato scientifico dell’Ordine dei
Medici Chirurghi e degli Odontoiatri
della Provincia di Viterbo ha proposto
per l’anno 2012 la seguente programmazione:
• CORSO BLS-D PER ESECUTORE
E ISTRUTTORE;
• NEUROETICA: NEUROSCIENZE
E PERSONA;
• STRESS FISICO E MENTALE
NELLO SPORT E NELL’AMBIENTE
LAVORATIVO;
• LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA. ATTUALI
ORIENTAMENTI;
• ODONTOIATRIA PEDIATRICA;
• LA SINDROME METABOLICA
NELL’ADOLESCENZA E NELLA
TERZA ETA’;
• STROKE E COMPLICANZE.
Al fine di migliorare la fruibilità dei servizi dell'Ordine gli interessati potranno
iscriversi agli eventi formativi organizzati dal nostro Ordine direttamente
collegandosi sul sito web, all'indirizzo
www.ordinemediciviterbo.it (sezione
AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE - LISTA EVENTI).
Direttamente da casa, dal proprio studio o da qualsiasi altro luogo, si potranno quindi esaminare l’elenco dei corsi
ECM proposti, e selezionando l’evento
di proprio interesse, procedere direttamente alla preiscrizione.
Bisogna seguire le indicazioni dell'apposita area e compilare un modulo-on
line.
I dati fondamentali allo scopo dell'iscrizione sono quelli anagrafici, codice
fiscale, dati d'iscrizione all'albo, il codice EMPAM e la e-mail.
La nostra attenzione per rendere sempre più fruibili i servizi dell'ordine è
massima.
Il nostro personale è a disposizione
per ogni richiesta di chiarimento.
Se ancora non si è provveduto ti
ricordo di comunicare la e-mail per
poter ricevere le nostre comunicazioni riguardanti gli eventi formativi ECM.
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MOSTRE, VIAGGI, LIBRI, POESIE E RACCONTI
MOSTRE
CEEZANNE ET PARIS
BORGHESE I MARMI
RITROVATI
CARAVAGGIO, QUADRI
DALLE COLLEZIONI DEI
MUSEI ITALIANI E
VATICANI
IL SETTECENTO A
VERONA
CEEZANNE ET PARIS
Celebra il nero dei quadri di
Cézanne, che richiama in qualche
modo anche Rembrandt, parla della
creazione del mondo, delle nature
morte.
Un suo detto:”il colore è il luogo in
cui il nostro cervello e l’universo si
incontrano”.
Dove: Parigi, al Palais de Luxembourg
Quando: fino al 26 febbraio 2012
www.museumdeluxembourg.fr
BORGHESE I MARMI
RITROVATI
Tornano a casa 60 statue della famiglia Borghese vendute da Camillo
Borghese, marito di Paolina
Bonaparte al cognato Napoleone nel
1807. All’epoca la vendita riguardava
695 opere, “una foresta di statue”
come l’aveva definita il Bernini.
Le statue saranno ricollocate dove lo
erano in passato, nell stanza del
Moro, nella Stanza delle 3 Grazie,
nella Stanza del Centauro e così via.
Dove: Roma, Galleria Borghese
Quando: dal 7 dicembre al 9 aprile
2012 INFO: 06/32810
www.mondomostre.it
CARAVAGGIO, QUADRI
DALLE COLLEZIONI DEI
MUSEI ITALIANI E VATICANI
Al museo Puskin di Mosca 11 opere
del grande maestro in omaggio all’anno degli scambi culturali Italia-Russia.
Grande folla di cittadini curiosi e
desiderosi di sapere come il personaggio così stravagante abbia potuto
dipingere simili opere.
Dove: Mosca Museo Puskin, fino al
29 gennaio 2012
Info: www.mondomostre.it
IL SETTECENTO A VERONA
Tiepolo, Cignaroli, Rotari
La nobiltà della pittura in esposizione
nella città preziosa ed elegante, colta
ARTEMISIA
GENTILESCHI, STORIA
DI UNA PASSIONE
ESPRESSIONISMO
MAURIZIO CATTELAN
ALL
MONDRIAN,
L’ARMONIA PERFETTA
NEL SEGNO DI
MICHELANGELO E
DI RAFFAELLO
IL SIMBOLISMO
IN ITALIA
ROMA AL TEMPO DI
CARAVAGGIO
VAN GOGH E IL
VIAGGIO DI GAUGUIN
CEZANNE, LES
ATELIERS DU MIDI
40
41
MOSTRE
MOSTRE
e aperta al confronto tra il maestro e
i pittori della sua epoca.
il più celebre e quotato degli artisti
italiani contemporanei.
Dove: Verona, Palazzo della Gran
Guardia
Quando: dal 26.11.2011- 9 .4. 2012
Info: 0458062611
www.settecentoaverona.it
Dove: New York, Museo Guggheneim
Quando: fino al 22 gennaio 2012
Info: Box Office at 212 423 3587.
ARTEMISIA GENTILESCHI,
STORIA DI UNA PASSIONE
Contesa da tutti i maggiori potentati
d’Europa, celebre piuttosto che per
le sue opere, per un processo di stupro a suo danno perpetrato da un
collega del padre, Orazio gentileschi,
tenuto nel 1612. Era l’emblema della
emancipazione femminista.
Per lungo tempo dimenticata, ma
attualmente riabilitata come l’unica
donna in Italia che abbia mai saputo
cosa sia pittura, impasto e colore, e
altre essenzialità (Roberto Longhi).
Dove: Milano, Palazzo Reale
Quando: fino al 29 gennaio 2012
Info: www.mostrartemisia.it
ESPRESSIONISMO
Oltre 100 opere in arrivo dal museo
berlinese Bruck-museum, organizzata
dalla Regione Friuli Venezia Giulia, che
riconoscono le loro origini nel movimento - comunità di artisti fondatori
del movimento DIE BRUCK (il
Ponte), inizialmente sconfessati e
combattuti, per lavori e sperimentazioni che sono alla base dell’espressionismo.
Dove: Passariano di Codroipo
(UDINE) Villa Manin
Quando: fino al 4 marzo 2012
Info: 0422429999
MAURIZIO CATTELAN ALL
130 opere del grande artista verranno legate al soffitto del Museo
Guggenheim di New York, per celebrare la sua capacità di prendersi
gioco di tutti, maestro dello sberleffo
e dell’elusione, nell’ambito della
postmodernità. E’ considerato come
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MONDRIAN, L’ARMONIA
PERFETTA
Una mostra che racconta l’ossessione del pittore olandese verso il progresso, e l’origine del suo stile definito neoplasticismo. Presenza di artisti
contemporanei.
Dove: Roma,Vittoriano, Piazza Venezia
Quando: fino al 29 gennaio 2012
Info: 066780664
www.comune.roma.it
NEL SEGNO DI MICHELANGELO E DI RAFFAELLO
180 opere in mostra dei due grandi
maestri a Palazzo Sciarra, protagonisti del Rinascimento, da Papa Giulio II
a Clemente VII, con l’organizzazione
della Fondazione Roma. Tra le opere,
Michelangelo ritratto da Sebastiano
dal Piombo e Federico Zuccari.
Dove: Roma Palazzo Sciarra
Quando: fino al 12 febbraio 2012
Info: 06 697645 599
IL SIMBOLISMO IN ITALIA
100 opere provenienti da privati e
stranieri, a celebrare il simbolismo,
con 8 sezioni a tema, dal Realismo al
Decadentismo, con temi condivisi
sulle grandi questioni dell’umanità, da
Pellizza da Volpedo a Alberto Martini,
fino al più grande Arnold Bocklin, il
padre nobile dei simbolisti.
Dove: Padova, Palazzo Zabarella
Quando: fino al 12 febbraio 2012
Info : 0498753100
ROMA AL TEMPO DI CARAVAGGIO
La mostra, a cura di Rossella Vodret,
intende rispondere a questa domanda ricostruendo per la prima volta,
attraverso l'esposizione di circa 140
dipinti provenienti dai maggiori
musei italiani ed esteri, alcuni mai
esposti in Italia, il tessuto connettivo
del panorama artistico della Città
eterna in cui visse e operò il grande
genio lombardo.
Dove: Roma, Palazzo Venezia
Quando: Fino al 5 febbraio 2012
Info : 0632810
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MOSTRE
MOSTRE
VAN GOGH E IL VIAGGIO DI
GAUGUIN
80 capolavori della pittura europea e
americana del XIX e del XX secolo e
una decina di lettere originali di Van
Gogh - ha come tema il viaggio, che
si può interpretare anche come
avventura interiore.Al centro dell'esposizione sono 40 opere di Van
Gogh e il celebre quadro di Paul
Gauguin Da dove veniamo? Chi
siamo? Dove andiamo?, che il museo
di Boston presta solo per la seconda
volta in Europa. Inoltre Rothko,
Turner, Morandi, Kandinsky, Monet e
tanti altri protagonisti della scena
artistica degli ultimi due secoli.
Dove: Genova, Palazzo Ducale
Quando: fino al 15 aprile 2012
Info: 0422 429999
www.lineadombra.it
CEZANNE, LES ATELIERS
DU MIDI
In occasione dell’anniversario della
morte di Paul Cézanne, a Milano si
tiene la prima mostra che vuole ricostruire il lavoro svolto dal maestro tra
i 2 Ateliers du Midi (Jas de Bouffan e
Lauves. La mostra è costituita da 60
dipinti e 30 opere su carta, tra ritratti,
paesaggi e nature morte.
Dove: Milano, Palazzo Reale
Quando: fino al 26 febbraio 2012
Info: 0292800375
www.mostracezanne.it
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POESIE
POESIE
Archiloco fu il primo lirico della letteratura greca:
egli fece entrare nella sua poesia elementi di vita che possono definirsi
autobiografici e fu profondamente criticato da Crizia (fr. 295 W = test. 46 T)
e da Pindaro (Pitica 2,54), per il fatto che parlò malissimo di sé stesso
e che utilizzava un linguaggio troppo aggressivo.
Tuttavia proprio in queste tematiche e in questo linguaggio si può riconoscere
l’originalità di un genere nuovo contrapposto all’epica, i cui massimi rappresentanti
erano stati Omero ed Esiodo.
Nella produzione di Archiloco compaiono una tecnica e un’etica militare del
tutto nuova, la presenza di ambienti e situazioni che niente hanno di eroico
e la rappresentazione dell’amore fisico e del sesso che in Omero era completamente
bandita. Il poeta toccò anche una gamma assai vasta di reazioni umane,
dall’amore, all’odio al dolore, riprendendo tematiche nobilitate dall’epos.
POESIE DI ARCHILOCO
Malattia d'amore
Giaccio in preda all'amore, disperato,
senza respiro, da dolori atroci
per volontà divina
trafitto nelle ossa.
Smarrimento
Tale voglia d'amore, abbarbicandosi
al di sotto del cuore, mi versò
fitta nebbia sugli occhi e,
come un ladro,
strappò dal petto l'anima indifesa.
Esortazioni a se stesso
Cuore, cuore sconvolto da tormenti
che non hanno rimedio, risollevati,
resisti ai tuoi nemici, protendendo
contro di loro il petto, e resta saldo
nel corpo a corpo. Non mostrarti troppo
arrogante se vinci, e non abbatterti,
se vinto, fra i lamenti e ai mali affliggiti
senza strafare, impara a riconoscere
quale alterna vicenda regge gli uomini.
Con una fronda di mirto
Con una fronda di mirto giocava
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ed una fresca rosa;
e la sua chioma
le ombrava lieve e gli òmeri e le spalle.
Forza mio cuore
Cuore mio, devastato da mali senza fine,
svegliati! c'è da lottare, ai nemici
fa' guerra,
faccia a faccia combattili, sta' duro!
Non esaltarti se vinci, se perdi
non chiuderti in casa
a piangere: sii allegro, sii anche amaro
ma sii sempre te stesso: tu lo sai
sotto quale destino l'uomo lotta.
Con la grande coppa vieni spesso
tra i banchi
Con la grande coppa vieni spesso
tra i banchi
della nave veloce, e togli i tappi
agli orci panciuti;
fino alla feccia spilla il vino rosso:
noi, in questa guardia,
non potremo essere sobri.
Sul banco della nave sta la mia focaccia
impastata; sul banco
della nave sta il vino d'Ismaro;
disteso sul banco io bevo.
Non v'è cosa che l'uomo
non possa aspettarsi
Non v'è cosa che l'uomo non possa
aspettarsi, o negare giurando,
o che desti stupore, da che Zeus,
il padre degli dèi nell'Olimpo,
fece notte nel mezzo del giorno,
occultando la luce al sole splendente.
E una triste paura sugli uomini venne.
Tutto da allora è degno di fede,
tutto dall'uomo può essere atteso:
nessuno di voi si stupisca, nemmeno se
vede le fiere scambiar coi delfini
il pascolo marino, e che ad esse le onde
echeggianti del mare siano più gradite
della terra, così come ai delfini
il monte boscoso.
Non amo un generale alto...
Non amo un generale alto,
che sta a gambe larghe,
fiero dei suoi riccioli e ben rasato.
Uno basso ne voglio,
con le gambe storte,
ma ben saldo sui piedi,
e pieno di coraggio.
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www.ordinemediciviterbo.it
Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Viterbo
Via Genova, 48 • 01100 Viterbo • Tel. 0761 342980
E-mail: [email protected]