PD - Il pepe verde

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PD - Il pepe verde
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Il Pepeverde
N. 3/2000
Rivista di letture
e letterature per ragazzi fondata da
Bruno Cicconi, Alessandro Compagno,
Ermanno Detti, Antonio Leoni
Comitato di direzione
Giuseppe Assandri,
Silvia Blezza Picherle, Bruno Cicconi,
Alessandro Compagno, Alberto Conte,
Alberto D’Amico, Valentina De Propris,
Ermanno Detti, Laura Detti,
Gaetano D’Onofrio, Liliana Dozza,
Franco Frabboni, Gioacchino Giammaria,
“Leggere per...” di Napoli (Silvia
Campanile, Annamaria Lovo, Maria
Rosaria Musella, Paola Parlato),
Antonio Leoni, Roberto Maragliano,
Ornella Martini, Anna Parola,
Marco Pellitteri,
Claudio Saba (art director)
Redazione
Carla Turri (caporedattore),
Ivan Quiselli, Anna Toccaceli
Direttore responsabile: Ermanno Detti
Progetto grafico: Claudio Saba
Copertina: illustrazione di
Emanuele Luzzati
Stampa: Arti Grafiche Tofani, Alatri (FR)
Redazione, amministrazione
e abbonamenti
Centro Servizi Culturali
del Comune di Anagni
Via Garibaldi 21, 03012 Anagni (FR)
Tel. 0775.730424 – fax 0775.730430
http://www.axa.it/pepeverde/
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Rivista periodica
Un numero: Lit. 15.000 e 7,75
Arretrati: Lit. 30.000 e 15,49
Abbonamento annuo:
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Anagni, Servizio di tesoreria,
03012 - Anagni (FR)
Registrazione Tribunale di Frosinone
n. 271 del 7/6/1999
L’Editoriale
Ermanno Detti, Il barometro
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Da Anagni
Alessandro Compagno, Un viaggio lungo e breve
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Interventi e interviste
Ermanno Detti, Biblioteche scolastiche? Formare gli operatori. Intervista al
ministro Luigi Berlinguer
Valentina De Propris, Chi sarà il nuovo bibliotecario scolastico?
Lucio Del Cornò, Leggere e scrivere. La biblioteca di lavoro
Ornella Martini, Le parole per narrare. Quando a decidere sono i grandi
Antonio Leoni, Che fenomeno, Harry Potter!
Anna Parola, Cosa succede in libreria. La febbre di libri.Intervista
a Piera Dattena
Luisa Piazza, Incontro con Daniel Pennac. Così nacque “Come un romanzo”
“Leggere per…”, La ricetta della contaminazione. Un altro leggere,
un altro scrivere
Luca Raffaelli, In famiglia. Dopo Giacomo. Quali libri per un figlio
appena nato
Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, Il poliziesco per i giovani. Ancora giallo
Silvia Blezza Picherle, Strategie di lettura. La magia delle parole
Rita Casadei Okada, Fiabe e racconti del Sol Levante. La letteratura
giapponese per ragazzi
Marco Pellitteri, Dalla parte dei giapponesi. Da Heidi a Goldrake
Antonio Leoni e Giuseppe Assandri, Una Casa Editrice in primo piano /
Franco Cosimo Panini. Con tutti i sensi
Valentina De Propris, L’Autore in primo piano / Susanna Tamaro.
Adoravo Rintintin
Maria Luisa Salvadori, L’Illustratore in primo piano / Emanuele Luzzati.
L’imprevedibilità dei limiti
Studi e ricerche
Carla Marotta, Itinerari per leggere l’ambiente
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Ragnatela
Le collane
Chiara Attolini, Valentina De Propris
Le schede
Valentina De Propris, Ermanno Detti, Gaetano D’Onofrio,
Stefania Faiocco, Antonio Leoni, Alessandro Petrone,
Aurelio Sparagna, Rita Tucciarelli, Elisa Zoppei
Gli strumenti
Giuseppe Assandri, Alessandro Compagno, Ermanno Detti,
Gaetano D’Onofrio, Antonio Leoni
Incontri vicini, a cura di Carla Turri
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Il barometro
di Ermanno Detti
Cari lettori,
questo editoriale è dedicato a coloro che credono nella creatività e nella forza
della fantasia.
A uno studente di fisica fu chiesto durante un esame: «Come si può determinare l’altezza di un edificio con un barometro?». Lo studente rispose:«Si porta
il barometro sul tetto dell’edificio; lo si lega a uno spago molto lungo; si cala il
barometro fino alla strada; dopodiché lo si ritira su e si misura la lunghezza
dello spago. Quella è l’altezza dell’edificio».
Poiché il professore voleva bocciare lo studente mentre lo studente riteneva di
meritare un buon voto, fu chiesto a un altro professere di intervenire. Il nuovo
professore chiese allo studente un’altra soluzione al problema, che però mettesse in evidenza le sue conoscenze della fisica. Il giovane rispose di avere molte
risposte. Ecco la prima: «Si porta il barometro sul tetto dell’edificio e lo si fa
sporgere oltre il bordo del tetto. Si lascia cadere il barometro e si misura il tempo di caduta con un cronometro. Poi, usando la formula per cui lo spazio percorso nella caduta è uguale a metà del prodotto dell’accelerazione di gravità per
il quadrato del tempo trascorso, si calcola l’altezza dell’edificio».
Il professore diede all’allievo un buon voto e poi chiese delle altre risposte. Lo
studente ne fornì diverse, come la seguente: «Per esempio, si può uscire con un
barometro in una giornata di sole, misurare l’altezza del barometro, la lunghezza della sua ombra e la lunghezza dell’ombra dell’edificio, e poi, mediante una
semplice proporzione, ricavare l’altezza».
Infine l’allievo soggiunse: «Ma se non m’impone soluzioni fisiche, ci sono molte altre possibilità. Una è quella di prendere il barometro, andare dal portinaio
e dirgli: “Caro signor custode, ecco qui un bellissimo barometro. Se lei mi dice
l’altezza di questo edificio glielo regalo...”».
Questo aneddoto è narrata nel volume di Murray Gell-Mann, Il quark e il giaguaro. Avventure nel semplice e nel complesso (Bollati Boringheri, Torino, 1996) e
mette bene in evidenza come di fronte a uno stesso problema le soluzioni possano essere diverse. Però a una condizione, che si usi la creatività. Questo è infatti alla base di ogni atteggiamento creativo: ragionare al di fuori degli schemi.
Ma oggi, ci chiediamo, esiste ancora la creatività? Qualcuno, e in particolare i
più giovani, conoscono il concetto di creatività secondo Bruno Munari o della
Grammatica della fantasia di Gianni Rodari? E il testo libero o il giornalino di
Freinet vengono ancora realizzati, magari utilizzando il computer? La nostra
impressione è che a furia di inseguire le nuove tecnologie, ci stiamo dimenticando che con un barometro si possono fare tante cose... C’è un solo dato
confortante, che i giovani leggono di più e leggere è, di per sé, un atto creativo.
Pensiamo sia un patrimonio da incrementare e non disperdere.
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Un viaggio
lungo e breve
di Alessandro Compagno
Abbiamo fatto un lungo viaggio all’interno delle biblioteche dell’Associazione Intercomunale delle Biblioteche delle Valle del Sacco verso la fine del ’99. C’erano Ermanno
Detti, Antonio Leoni e Carla Turri. Dovevamo presentare
la nostra rivista “Il Pepeverde” direttamente alla realtà dove la rivista è nata: il nostro sistema bibliotecario.
Il pubblico trovato ad accoglierci nelle biblioteche era
composto soprattutto da insegnanti della scuola dell’obbligo e interessato alla nostra proposta. Partivo io spiegando
da che cosa la rivista era nata e cioè dalla promozione della
lettura, per arrivare a teorizzare la necessità di una ferrea alleanza tra insegnanti, bibliotecari e mondo dell’editoria.
Ermanno Detti metteva mano alle statistiche per spiegare
che un pubblico di lettori c’è ed è anche consistente: i
bambini e i ragazzi; passava poi ad illustrare le finalità e le
sezioni della rivista. L’attenzione era generalmente buona,
ma diventava veramente magnetica quando a parlare era
Antonio Leoni che si diffondeva sulle tecniche di promozione della lettura e, soprattutto, quando parlava di biblioteche e scuola, anzi di biblioteche scolastiche.
Era il tempo in cui si dovevano preparare le famose domande di finanziamento per le biblioteche scolastiche e
tutti gli insegnanti erano più che interessati all’argomento. Tutti ascoltavano le informazioni che ci scambiavamo
per formulare al meglio la famosa domanda al Provveditorato, perché tutti, dal centro più grande a quello più piccolo, serbavano la legittima aspettativa di un esito positivo
della richiesta. E pensare che i miliardi stanziati erano diciannove e massimo potevano essere accolte centonovantadue richieste per tutta l’Italia.
C’è di che riflettere su questo clima psicologico. Dal punto di vista del bibliotecario di base, che conosce la difficoltà di far vivere una biblioteca, che sa che una biblioteca
vive solo se esiste un continuo aggiornamento delle raccolte, la sistemazione ottimale dell’ambiente per accogliere gli utenti e, soprattutto, la professionalità del bibliotecario; a costui risulta difficile immaginare come possano
funzionare ed erogare servizi qualificati strutture bibliotecarie scolastiche che vivono necessariamente di scarse ri3
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sorse annuali e piani di sviluppo straordinari, ma di importi pur sempre limitati e, quindi, obbligatoriamente selettivi di un ristretto numero di progetti. Nonostante questo tutti gli insegnanti sono stati attenti e pronti ad elaborare al meglio il progetto da presentare.
Nella nostra città si è verificato un fatto che addirittura va
oltre il normale interesse per la partecipazione a questo
programma ministeriale. Rappresentanti dei vari istituti
scolastici di Anagni hanno fatto una riunione nella biblioteca comunale ed hanno inteso impostare il progetto di
sviluppo delle biblioteche scolastiche in forma cooperativa, incardinandolo nel sistema urbano delle biblioteche.
Sono stati quindi presentati due progetti: il primo riguardante la scuola dell’obbligo che individua la sede della biblioteca nel 1° circolo didattico con la specializzazione
nella divulgazione didattica e nella produzione editoriale
per ragazzi ed il secondo riguardante gli istituti medi superiori la cui scuola capofila è l’Istituto Magistrale. Il progetto della scuola dell’obbligo aveva come punto di forza
la consolidata esperienza della promozione della lettura
svolta da quasi un decennio dalle scuole di Anagni in collaborazione con la Biblioteca Comunale. È stato finanziato il progetto dell’Istituto Magistrale relativamente agli arredi. Ce ne siamo rallegrati, ma non abbiamo resistito alla
domanda: ma perché solo una parte del progetto?
Con in mente questo rovello continueremo nei prossimi
mesi a ricercare momenti di alleanza tra biblioteche e
scuola per la maggior gloria del libro e della lettura. Il
prossimo appuntamento in vista è tra metà febbraio e
metà marzo con un grande corso di aggiornamento ad
Anagni sulla “Produzione editoriale per bambini e ragazzi
degli ultimi venti anni”. Nel frattempo presenteremo la rivista a Napoli a Galassia
Gutenberg e a Roma alla Centrale per
ragazzi. Alla fine del corso poi con gli
insegnanti ed i bibliotecari che vi hanno partecipato prenderemo un pullman per raggiungere Bologna e la fiera
del libro per ragazzi edizione 2000.
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Biblioteche
scolastiche?
di Ermanno Detti
On. Ministro, con il Piano per le
biblioteche scolastiche il Ministero da
Lei diretto ha finalmente centrato la sua
attenzione anche nei confronti di questo
settore?
Credo di poter affermare con tutta tranquillità che il Ministero della PI aveva
già da tempo rivolto la propria attenzione alla lettura e al libro, che rimane il
suo principale strumento.
Infatti, già nello scorso anno scolastico,
attraverso il progetto “A scuola con l’Autore” avevamo invitato gli studenti e i
docenti delle scuole italiane di ogni ordine e grado ad ospitare a scuola, attingendo da un apposito elenco da noi predisposto in collaborazione con alcune associazioni di editori, un autore italiano, per
discutere con lui di letteratura, poesia,
dei suoi libri.
Quali sono stati i risultati di questa
iniziativa? Intendete riproporla?
Sono stati proprio i risultati ampiamente
positivi a rafforzarci nell’idea che era indispensabile, anzi improcrastinabile, che
il Ministero della PI, impegnato in un’azione di innovazione complessiva del sistema scolastico, avviata dalla sperimentazione dell’autonomia, intervenisse anche per promuovere la lettura. Il progetto “A scuola con l’Autore” ha fatto affiorare alla superficie l’enorme lavoro che
moltissime scuole portano avanti da anni
in questo settore delicatissimo e cruciale.
Non soltanto hanno risposto al nostro
invito, ma ci hanno fatto conoscere le
proprie autonome iniziative, hanno partecipato al forum via Internet attivato
per una settimana, hanno inviato messaggi alla videoconferenza organizzata il
23 aprile 1999, in occasione della “Giornata Mondiale del Libro” sotto il patrocinio dell’Unesco. Inoltre gli studenti
hanno inviato per iscritto le proprie riflessioni e recensioni sui libri letti e sugli
autori incontrati, partecipando ad un apposito concorso. Insomma, proprio la
massiccia partecipazione ad una iniziativa tutto sommato partita in sordina, ci
ha convinto che nelle scuole il libro e la
letteratura continuavano ad essere sentiti
come un utilissimo mezzo di conoscenza.
Anche per questo motivo sta per essere
rilanciato il “Progetto Lettura”, su nuove
e più larghe basi, e con la realizzazione di
accordi con enti prestigiosi quali la “Fondazione Bellonci”, la “Fiera del Libro” di
Torino, la “Fiera internazionale del Libro
per Ragazzi di Bologna”, “Galassia Gutenberg”, ed altre ancora.
Come si inserisce il Programma per le
biblioteche nel contesto dell’autonomia?
Il programma di sviluppo per le biblioteche scolastiche rientra appieno nel processo di autonomia organizzativa e didattica che è ormai da due anni in sperimentazione nelle scuole italiane, perché
tale processo, insieme alla legge sull’elevamento dell’obbligo scolastico, all’ormai imminente riforma
complessiva dei cicli, alle stesse indicazioni fornite dalla Commissione dei
saggi, hanno avviato quello che proprio
nel documento di lavoro sulle biblioteche scolastiche viene definito «Un circolo
virtuoso d’innovazione metodologica e
didattica finalizzata al successo formativo
per tutti gli studenti». In tale contesto la
biblioteca scolastica viene intesa come
opportunità di apprendimento e stimolo
all’informazione: essa assume un ruolo di
tutto rilievo, a condizione che recuperi la
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Formare gli
operatori
Intervista
al ministro
Luigi Berlinguer
funzione di luogo privilegiato per l’educazione alla lettura e per l’accesso all’informazione nella scuola. Privilegiato
significa, riferendoci alla vita scolastica,
che libro e lettura sono occasioni formative che devono garantire allo studente di
qualsiasi classe o grado di scuola l’accesso
immediato ad una raccolta organizzata di
informazioni e di saperi, come del resto
propongono gli orientamenti più aggiornati in tale campo, cui ci siamo ispirati
(su tutti le linee guida Ifla, ndr).
Da questa considerazione scaturisce un
altro elemento portante del nostro programma: rivalutare il ruolo delle biblioteche scolastiche, legandole alla opportunità di farne luoghi di accesso largo e diversificato all’informazione. In tal modo
la biblioteca scolastica, evolvendo verso il
modello prefigurato dalle norme internazionali, di centro multimediale di risorse
per l’apprendimento, diventa uno strumento strategico per l’aggiornamento dei
docenti e per l’apprendimento e l’orientamento degli studenti.
Si tratta, come è appunto detto nel programma, di «ricalibrare ruolo e funzioni
della biblioteca scolastica, tenendo conto
delle innovazioni cui va incontro la scuola» e degli studi di settore, tenendo anche
conto che la biblioteca scolastica può essere uno dei fattori della continuità educativa, realizzando una processualità dell’apprendimento di abilità informative,
indispensabili per realizzare la long life
learning. Ciò si lega anche con una diversa caratterizzazione della biblioteca rispetto al “contenitore” che è sempre stato considerato in passato. Essa deve diventare un centro multimediale di risorse
per l’apprendimento, parte integrante
del piano dell’offerta formativa della
scuola, centro vitale delle sue attività,
luogo d’incontro per e con gli studenti, e
tra questi ed esperti, critici, autori, in altre parole, “laboratorio culturale al servizio della didattica”.
Non Le sembra che il programma calchi
troppo l’accento sulla strumentazione e
sulla automazione? Non c’è il rischio che
si possa disperdere la funzione educativa
e didattica specifica delle biblioteche
scolastiche?
Al contrario, i dati attualmente a nostra
disposizione – è già stato predisposto un
adeguato monitoraggio della Bdp di Firenze – dicono che molte scuole non
avevano tanto bisogno di incrementare il
proprio patrimonio librario, quanto
piuttosto quello tecnologico e massmediale. D’altro canto il modello di biblioteca cui ci siamo ispirati è quello di un
centro che possa utilizzare tutte le diverse
tipologie di scrittura, da quella su supporto cartaceo a quelle su floppy disk o
cd-rom. Ribadisco che è nostra intenzione valorizzare il libro quale insostituibile
strumento di accesso al sapere, ma affiancandogli – non contrapponendogli –
altre modalità di lettura.
La biblioteca scolastica della scuola dell’autonomia deve offrire risorse di informazione e documentazione a supporto
dei processi di apprendimento e di aggiornamento nella scuola e, dunque, creare abilità di ricerca e di uso competente
dell’informazione, insomma deve costituire una risorsa informativa e culturale
per gli studenti e gli operatori scolastici e,
se necessario, per un’utenza extrascolastica. In questo senso è significativo che
metà dei finanziamenti per i progetti di
base siano stati assegnati a scuole elementari, medie e istituti comprensivi, senza
grosse differenziazioni tra nord e sud.
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Il programma sembra privilegiare i
progetti di collaborazione a rete di
scuole. Perché?
L’autonomia scolastica deve servire ad
aprire la scuola al territorio, ma in primo
luogo a rafforzare la collaborazione tra le
scuole che operano nello stesso territorio.
La biblioteca scolastica, come noi l’abbiamo delineata nel programma, deve servire a mettere in circolo risorse culturali e,
in primo luogo, a farle conoscere all’utenza scolastica ed extrascolastica. Perciò
è ovvio che creare progetti di collaborazione in rete tra scuole, e non solo tra
scuole, ma anche con biblioteche pubbliche, ha il vantaggio di mettere in comune le risorse, evitare sprechi e sovrapposizioni, in altri termini investire per migliorare, ampliare, specializzare, se necessario, il servizio di biblioteca scolastica.
Certo la garanzia di una razionale ed ottimale utilizzazione delle risorse può essere
raggiunta soltanto se le condizioni essenziali per il buon funzionamento della biblioteca scolastica in termini di personale,
infrastrutture e dotazioni si adegueranno
progressivamente ai parametri internazionali. In questo senso mi sembra che gli
sforzi finanziari stiano andando nella giusta direzione; anche per questo abbiamo
preteso dalle scuole garanzie in ordine alla
disponibilità di spazi idonei ad ospitare
un servizio dignitoso di biblioteca. Le
condizioni di lavoro e di studio in biblioteca sono anche importanti; allo stesso
modo è necessario disporre di personale
competente, in grado di gestire un centro
multimediale di risorse per l’apprendimento in conformità con gli standard internazionali, e di organizzare la propria
attività in funzione delle esigenze didattiche della scuola, di essere partner educativo nella programmazione del curricolo.
INTERVENTI E INTERVISTE
Quindi non un programma che finanzia
tutte le scuole, ma soltanto quelle che
hanno già maturato esperienze?
Infatti, almeno in questa fase di avvio.
Mi sembra del resto che in un campo così complesso, ove da anni sono in atto
interessanti esperienze di collaborazione
tra scuola e biblioteche pubbliche, fosse
importante dare spazio a chi si era già
mosso, pur con diversi livelli di complessità progettuale, nella direzione del programma.
Per la prima volta, un progetto
ministeriale non distribuisce
finanziamenti a pioggia. Ci spiega il
senso di questa novità?
Mi sembra una novità relativa, perché la
stessa logica è stata utilizzata in questi ultimi tempi per altri progetti, tuttavia essa
è pienamente in linea con lo spirito dell’autonomia. Le scuole hanno presentato
progetti, molti dei quali di grande qualità: noi avevamo fissato, solo per i progetti “di base”, un tetto massimo di finanziamento, basato sull’incremento dei
documenti, tenendo conto di quanto già
posseduto dalla scuola e di alcuni standard internazionali. Le scuole erano invitate, di fatto, a proporre il finanziamento
loro necessario a raggiungere tali standard.
Si è trattato di una grande apertura di
credito nei confronti delle singole istituzioni scolastiche e di chi ha dovuto selezionare i progetti da finanziare, ovvero i
nuclei provinciali di sostegno all’autonomia. La risposta è stata confortante: infatti, al contrario di quanto affermato
polemicamente da qualcuno, la gran
parte delle scuole ha dichiarato ciò di
cui realmente aveva bisogno, e ciò ha
consentito di finanziare ben più delle
144 biblioteche previste, in quanto le
economie hanno sostenuto, nell’ambito
dello stesso territorio, altre decine di
scuole.
Ma per le altre scuole, quelle che, per
così dire, sono ancora ferme al palo, c’è
qualche iniziativa ulteriore. Intendete
intervenire?
Certamente. Ho detto che nella prima
fase il programma ha finanziato le istituzioni scolastiche già pronte per partire
con azioni di adeguamento delle proprie
strutture e anche con l’apertura di un
servizio per il territorio. È molto probabile che la seconda fase del programma,
attualmente allo studio da parte dell’apposito gruppo tecnico, si rivolga anche al
sostegno delle scuole che intendano puntare nel proprio piano dell’offerta formativa proprio alla rivitalizzazione della biblioteca scolastica quale centro di risorse
didattiche.
Lei stesso ha affermato che per
funzionare le biblioteche scolastiche
hanno bisogno anche di personale
idoneo. Il Programma cosa prevede in
proposito?
Intanto non vorrei che si dimenticasse il
lavoro di tanti operatori che già da tempo operano splendidamente in molte
realtà scolastiche. Il programma intende
valorizzare la formazione e l’aggiornamento del personale che finora si è occupato – a vario titolo e secondo diversi
profili professionali – del lavoro in biblioteca. Però è anche necessario provvedere a formare i responsabili delle biblioteche che hanno avuto accesso al finanziamento. Per gli uni e gli altri sono previste delle azioni di formazione, secondo
modalità già elaborate dal gruppo di studio operante nell’ambito del coordinamento per l’autonomia. Si tratterà di iniziative di formazione che vedranno il
coinvolgimento non soltanto del mondo
della scuola, ma dell’università e degli
specialisti del settore, e secondo modalità
che si avvarranno tanto di incontri frontali quanto di modalità a distanza.
Chi sarà il nuovo bibliotecario scolastico?
Gli interventi a favore delle biblioteche scolastiche hanno suscitato l’interesse
non solo della scuola, ma di tutti gli enti coinvolti nel mondo delle biblioteche.
L’Aib – Associazione Italiana Biblioteche – ha organizzato il 13 dicembre 1999
un incontro sul tema “Biblioteche scolastiche in una prospettiva internazionale”,
affrontando tra le altre la delicata questione della formazione dei futuri bibliotecari scolastici.
Nel suo intervento Luisa Marquardt, vicepresidente della sezione Lazio dell’Aib,
ha sottolineato la doppia vocazione della biblioteca scolastica, quella didattica e
quella della promozione della lettura, e la sua duplice apertura, verso la scuola e
verso il territorio; la biblioteca scolastica deve diventare il luogo dove si creano i
nessi e le relazioni tra i documenti, gli utenti e le informazioni. Il bibliotecario
scolastico dovrà assumere le caratteristiche di un «docente di educazione all’informazione», un teaching partner con un ruolo e delle competenze specifiche,
capace di fornire agli studenti la bussola per orientarsi nel mare vasto della cultura contemporanea.
Tra le esperienze “sul campo” presentate sono particolarmente interessanti quella
presentata da Luigia Michelangeli, che ha illustrato il funzionamento della rete
di biblioteche scolastiche creata tra gli istituti superiori di Ascoli Piceno, e quella
di Cristiana Lombardi, che gestisce la biblioteca scolastica del Liceo Scientifico
Morgagni di Roma, aperta anche il pomeriggio e frequentata dagli utenti di tutto il territorio.
Chi sarà (e se ci sarà) il bibliotecario scolastico del Duemila è un interrogativo
ancora aperto, dato che la formazione è proprio l’anello debole della catena nei
provvedimenti ministeriali. Sarà prevista una figura professionale autonoma, da
istituire ad hoc, o saranno destinati a svolgere le funzioni del bibliotecario scolastico gli inabili all’insegnamento che usufruiscono della legge 113? A chi sarà affidato il compito di formare gli addetti, che devono affiancare alle competenze
didattiche le indispensabili conoscenze biblioteconomiche? In che modo biblioteche scolastiche e biblioteche di base interagiranno nell’offerta culturale e formativa, senza inutili sovrapposizioni?
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Leggere e scrivere
La biblioteca
di lavoro
di Lucio Del Cornò
La favola di Leonardo
È da genio, e non poteva essere diversamente, la favola di Leonardo (da Vinci)
del foglio di carta che credette di essere
imbrattato di inchiostro da una penna
maleducata e invece si ritrovò scritto, rivestito di simboli, trasformato in messaggio, e per questo salvato dal fuoco perché, contrariamente ad altri pezzi di carta, costituiva ormai una memoria, una
testimonianza di intelligenza. Il racconto
ci dice che prima c’è la scrittura (la capacità di simbolizzare) e poi la lettura, prima la produzione e poi il consumo. Rodarianamente, c’è prima la fantasia e poi
la grammatica, e non si dà grammatica
che non sia grammatica della fantasia.
Il lavoro con gli operatori di scuole dell’infanzia e asili nido e direttamente con i
bambini fino a cinque anni (compresi,
perché no, e in modo massiccio, i primi
anni dei miei tre figli, ed oggi i tre anni
della prima nipote) mi hanno dimostrato
che nella nostra evoluzione e nei nostri
processi di apprendimento prima scriviamo e poi procediamo a leggere. Quando
suggerisco questo approccio e conseguente metodologia a insegnanti della scuola
di base (anche nei corsi di alfabetizzazione
per adulti, almeno che non siano corsi di
seconda lingua) o a operatori di biblioteche ragazzi o di laboratori di scrittura/lettura per i più piccoli vi è una certa meraviglia, ed una certa resistenza basata sull’abitudine, ad accogliere tale impostazione e poi ad applicare tale metodologia.
Gli insegnanti obiettano che hanno fatto
un grande sforzo, e appunto una grande
rivoluzione metodologica, per superare lo
“scrivere senza senso” (una paginetta di
“a”; una paginetta di “ape” una paginetta
di “l’ape abita nell’alveare”; la prima lettera di auguri natalizi per il primo natale
della prima classe), dando un primato al
verbale sullo scritto e al leggere sullo scrivere: prima dobbiamo avere qualcosa da
dire, poi possiamo metterlo per iscritto. I
bibliotecari, con ciò intendendo gli animatori di biblioteche ragazzi, sono più
aperti a sperimentare formule miste, in
quanto hanno ben presente che si dà luogo a diversa lettura per tipo di lettore (e
un tipo è il “giovanissimo lettore in apprendimento della stessa tecnica di lettura”), che ogni tipo di lettore leggendo
scrive in effetti un proprio libro, che non
a caso dobbiamo distinguere i vari generi
di scrittura corrispondenti in qualche
modo ai vari tipi di lettori; ma non rinunciano, per coerenza deontologica, al
primato del piacere di leggere rispetto al
piacere della scrittura nell’orientare le attività dei ragazzi in biblioteca.
Insegnanti a righe e quadretti
Certamente introdurre anche sociologia
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dello scrittore e sociologia del lettore
aiuta l’approccio più di marca psicologia
che sto suggerendo. Così come poi il ricorso al meglio della pedagogia attiva –
sperimentale e non accademica, in continua sperimentazione e non mummificata in canoni classici – può essere
d’aiuto.
Rimane il fatto che è nella cultura media
degli insegnanti (di lettere, o “a righe”
per distinguerli dagli insegnanti di matematica che sono “a quadretti”: non vi dice niente questa semplice classificazione,
per almeno supporre il primato della
scrittura rispetto alla lettura?) e dei bibliotecari lo stabilire un rapporto di causa/effetto tra l’essere un buon lettore e
quindi saper scrivere bene.
Rovesciare questa convinzione e le prassi
che ne conseguono è stato un obiettivo
di quella che già abbiamo richiamato come pedagogia attiva, antipedagogia, prassi di autoapprendimento e di reciproco
INTERVENTI E INTERVISTE
aiuto, cooperazione educativa, coscientizzazione comunitaria, quanto meno
scuola aperta nel senso di ritenere il territorio come risorsa per l’apprendimento
sia nel senso di “uscire” sul territorio sia
nel senso di far “entrare” le regole e i soggetti del territorio nell’attività didattica
quotidiana.
Non solo per lo scrivere, ho potuto constatare la produttività di questo approccio anche in casi specialistici (neuropsicologia) di fronte a traumi o deficit
strutturali, in cui l’équipe formata da
professionalità terapeutiche e professionalità socioeducative consente risultati al
menomato più difficilmente raggiungibili con approcci non integrati. Mi riferisco, come è facile capire, in particolare a
handicap sensoriali o motori, che hanno
immediata incidenza sullo scrivere e sul
leggere, e rispetto ai quali la (ri)conquista dello scrivere e del leggere (eventualmente ausiliato) ha a sua volta forte incidenza sulla situazione generale di handicap. Come sappiamo, la particolare attenzione, i particolari accorgimenti a cui
dobbiamo ricorrere in situazione di handicap, ci aiutano a capire come le cose
funzionano (e a farle funzionare meglio)
anche in situazioni normali.
E questo ci aiuta a capire perché dobbiamo cercare di non finire per essere normotici.
Ricordo il lessico di questa pedagogia attiva: il rifiuto del libro di testo (unico,
per materia), e l’alternativa della biblioteca di classe e d’istituto a doppia porta
(sull’attività didattica, e sulla strada per il
quartiere), o meglio della biblioteca di
lavoro e cioè del laboratorio di scrittura
messo a disposizione di tutti gli altri laboratori in cui si articola l’attività didattica; lo scrivere con senso, e quindi nelle
forme del diario di bordo, di giornale di
classe e di istituto, di corrispondenza interscolastica, di manuale delle esperienze
condotte, di relazione sulle ricerche svolte, e così via, di tipografia – e oggi le
molteplici tecnologie elettroniche di
stampa e di comunicazione – quale fondamentale laboratorio didattico.
Di questo scrivere con senso, mi riporta
ad osservare come situazioni di handicap
ci aiutino a porci l’interrogativo, e a risponderci su che senso ha il senso.
Ancora alcune specificazioni sulla
biblioteca di lavoro.
Partirei dalla situazione emotiva, prendendo in prestito un neologismo proposto da Manuel Vázquez Montalbàn (Il
premio: non a caso si tratta di un premio
letterario): letterobleso, si dice di persona
ossessionata dalla letteratura al punto di
viverla morbosamente con una ferita da
cui non desidera guarire.
Con la “biblioteca di lavoro” ho bisogno
di scrivere o di repertoriare cose scritte
da altri, e si tratta di scritti di cui si ha
bisogno, per le altre attività, per relazionarsi con gli altri, per capirsi e capire gli
altri e le situazioni in cui ci troviamo, direi per vivere.
La biblioteca di lavoro non ha indicazioni bibliografiche, non esistono cioè le
cento o le dieci, o anche l’unica pubblicazione di cui una biblioteca di lavoro
non può fare a meno. I libri debbono ancora essere scritti.
Non è nemmeno detto che una biblioteca di lavoro debba contenere libri o pubblicazioni cartacee tradizionalmente intese. La biblioteca di lavoro deve contenere
tutti gli strumenti utili ad affrontare gli
altri laboratori di cui sia costituito un
percorso d’apprendimento. Con uno slogan, la biblioteca di lavoro è il laboratorio dell’apprendere ad apprendere.
Naturalmente, come ogni biblioteca, è
articolata in sezioni specializzate, e ogni
biblioteca di lavoro prediligerà una o più
specializzazioni.
Basta, smettetela di leggere: è tempo che
vi mettiate a scrivere anche voi.
8
IL PEPEVERDE
n. 3/2000
Tracce bibliografiche
M. Baldini, Manuale del perfetto scrittore,
Mondadori, Milano, 1997;
C. Baudelaire, Consigli ai giovani scrittori, Besa, Nardo, 1998;
W. Burroughs, La scrittura creativa, Sugarco,
Milano, 1981;
V. Cerami, Consigli a un giovane scrittore, Einaudi, Torino, 1996;
C. De Luca, Adesso vi conto una storia... Raccolta di note critiche sulle fiabe italiane e internazionali, Il Serratore, Corigliano Calabro, 1998;
D. Demetrio, Raccontarsi, R. Cortina, Milano, 1996;
G. De Rienzo, Guida alla scrittura, Bompiani, Milano, 1994;
R. Dynes, Scrittura creativa in gruppo, Erikson, Trento,1996;
U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi,
Bompiani, Milano, 1994;
G. Garcia Marquez, Come si scrive un racconto, Giunti, Firenze, 1997;
A. Gide, Consigli a un giovane scrittore, R. Archinto, Milano, 1993;
N. Gordimer, Scrivere ed essere, Feltrinelli,
Milano, 1996;
L. Grimaldi, Il giallo e il nero, Pratiche, Parma, 1996;
P. Highsmith, Come si scrive un giallo, Minimum Fax, Roma, 1998;
M. Kundera, L’arte del romanzo, Adelphi, Milano, 1998;
R. La Capria, L’apprendista scrittore, Minimum Fax, Roma, 1996;
D. Lodge, Il mestiere di scrivere, Fazi, Roma,
1998;
L. Malerba, Che vergogna scrivere, Mondadori, Milano, 1996;
M.V. Montalbàn, Il premio, Feltrinelli, Milano, 1996;
G. Mozzi, Ricettario di scrittura creativa,
Theoria, Roma, 1997;
B. Pitzorno, Manuale del giovane scrittore
creativo, Mondadori, Milano, 1996;
B. Pitzorno, Storia delle mie storie, Pratiche,
Parma, 1996;
G. Rodari, La grammatica della fantasia, Einaudi, Torino, 1973;
G. Rodari, Il cavallo saggio. Poesie Epigrafi
Esercizi, Editori Riuniti, Roma, 1990;
M.T. Serafini, Come si scrive un romanzo,
Bompiani, Milano, 1996;
G. Simenon, L’età del romanzo, Lucarini, Napoli, 1990;
E. Wharton, Scrivere narrativa, Pratiche, Parma, 1996;
J. Zipes, Inventare e raccontare storie, Erikson,
Trento, 1996.
(su suggerimenti di /bao’bab/ spazio giovani
scritture della Biblioteca di San Pellegrino a
Reggio Emilia)
Le parole per narrare
Quando
a decidere
sono i grandi
di Ornella Martini
Spigolature “pedagogical correct”
Primavera 1998. Per pochissimo tempo è
comparso sugli schermi televisivi uno
spot realizzato per conto del Ministero
della PI per promuovere l’immagine dell’esame di maturità rinnovato, il nuovo
esame di Stato con tutte le materie e la
commissione composta per metà da
membri interni. La scena si svolgeva in
un teatro: la commissione al completo
già schierata sul palco, uno studente dietro le quinte ad aspettare il suo turno.
Poi lo studente entrava in scena, faceva
per sedersi, e in quel momento dal pubblico presente si sentiva pronunciare un
fatidico: «In bocca al lupo!». Al che lo
studente si voltava verso la platea, quindi
verso lo spettatore televisivo, e rispondeva: «Crepi!». Lo spot è stato quasi immediatamente tolto dalla circolazione a causa di una sorta di censura “animalista” richiesta da gruppi di ambientalisti, con la
motivazione che quel modo di dire nascondeva un’opinione errata sull’indole
del lupo, e dunque un’immagine negativa e perciò sbagliata di questo animale.
Autunno 1999. Con orgoglio una responsabile della Melevisione (la tivvù per
i più piccoli, in onda su Rai Tre ogni
giorno dalle 15.00 alle 16.00), a proposito della cura pedagogica con la quale sono soliti confezionare il loro programma,
affermava con orgoglio (in una scheda
pubblicata sul “Venerdì” de “La Repubblica” dal significativo titolo, Melevisione.
Dove vincono i bambini): «Stiamo molto
attenti al linguaggio dei nostri cartoni.
In redazione c’è una persona che si occupa solo di questo. Le parole veicolano
tanti concetti e i bambini recepiscono
tutto. Così se in lingua originale un personaggio dice: ‘Non urlare non sono sordo’ noi lo facciamo diventare: ‘Non urla-
zia dei Gatti, cioè delle piccole creature
sottovalutate e deboli, che sanno imporsi
ai potenti».
Rodari mi è venuto in mente perché fin
da quando lessi il libro mi sembrò strano
che qualcuno dovesse impegnarsi a difendere le fiabe. Eh sì che sappiamo bene quanto lui per primo si sentisse chiamato a lavorare sul piano ideologico e
morale, tanto da sentire, in quella occasione, il dovere di ricamare articolati ragionamenti per convincere combattivi
genitori nell’esercizio delle loro funzioni;
evidentemente, però, lo faceva spinto dal
desiderio di far valere le ragioni del fantastico.
Chi ha paura delle parole?
Il caso, direi paradigmatico tanto è eccessivo e vagamente demenziale, del Gatto
con gli stivali lo associo, quindi, a tutti i
tentativi, effettuati e/o riusciti, di regolamentare, per via ideologica e/o pedagogica, l’entrare in rapporto con la lingua,
con le storie e con le cose del mondo, da
parte dei bambini (anche se la storia
dell’“In bocca al lupo!” allarga a macchia
d’olio la fascia d’età ritenuta destinataria
del messaggio), misurando con certosina
e caparbia acribìa filologica il giusto e lo
sbagliato, il permissibile e il “vietando”.
E ogni volta mi domando proprio: perché c’è bisogno che qualcuno si faccia garante della legittimità del senso e del significato delle cose, e soprattutto delle
parole usate per esprimerli? Non vale per
ciascuno di noi l’adozione di una personale chiave di lettura e valutazione, naturalmente sempre anche mediata dalla
partecipazione all’identità collettiva di un
certo luogo e di un certo tempo? Ad
esempio, io personalmente evito di parlare male dei lupi, o di usare la parola “ani9
IL PEPEVERDE
n. 3/2000
re ci sento benissimo’, perché dietro la
parola “sordo” si nasconde la discriminazione verso esseri umani più sfortunati».
Questi due casi mi hanno fatto venire in
mente quello a cui Gianni Rodari, nel
suo Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, nel 1973
(che sembra lontanissimo nel tempo e
invece… sembra oggi), dedicò (sarei tentata di dire “fu costretto” a dedicare) una
scheda: la “Difesa del Gatto con gli
stivali”. Ricordate? Nel numero di dicembre del 1971 dell’irriducibilmente
pedagogico “Giornale dei genitori”, era
comparso uno scritto a firma Sara Melauri Cerrini sulla morale del Gatto con
gli stivali. L’autrice accusava la fiaba di
farsi portatrice di una morale così riassumibile: con l’astuzia, con l’inganno, si
può divenire potenti come i re. E se non
c’è nessun altro che ci può aiutare bisogna affidarsi a chi conosce i trucchi dei
potenti, nella fattispecie un essere furbo
e politico come il gatto. Per argomentare
la sua difesa della morale della fiaba, Rodari utilizzava Propp e il suo apparato
analitico, i riti iniziatici con la presenza
di animali-protettori nella loro funzione
di spiriti guardiani, e la testimonianza di
Laura Conti che, a sua volta, aveva composto una nuova “Difesa del Gatto con
gli stivali”. Rodari scriveva: «Il bambino
riesce forse a sentire che il nocciolo più
autentico della fiaba non è la carriera del
falso marchese di Carabas, ma il rapporto tra il giovane e il gatto, tra l’orfanello
e l’animale». E la Conti citata da Rodari:
«Non il “contenuto” ma il “movimento”
era l’essenziale della fiaba. Il contenuto
poteva anche essere conformista, reazionario, ma il movimento era ben diverso,
poiché dimostrava che nella vita quel che
conta non è l’amicizia dei Re ma l’amici-
INTERVENTI E INTERVISTE
male” o “beduino” per offendere qualcuno, perché amo profondamente gli animali e sono affascinata da ogni forma di
cultura nomade, ma non mi verrebbe
mai in mente di imporre queste mie scelte come regola linguistica generale. Ancora meno lo farei laddove si trattasse di
raccontare delle storie, tanto più che la
lingua, nonostante le sue modificazioni
continue, possiede delle stratificazioni e
di memoria e d’uso che nessun censore o
educatore possono espungere liberamente con un tratto di matita blu.
Penso, infatti, che si tratti più di contrattare continuamente sensi e usi del linguaggio, che d’imporre quelli ideologicamente considerati validi, come ad esempio la difesa della reputazione del lupo
per gli ambientalisti, il rispetto nei confronti dei sordi per i programmisti televisivi, o il vero significato di cui è simbolo
il Gatto con gli stivali, per un manipolo
di democratici genitori targati Settanta.
Sto parlando di una scelta filosofica – il
filosofo Remo Bodei enuncia l’idea della
«realtà come equilibrio di molteplici possibilità in continuo movimento» – aperta
alla provocazione e all’ironia. Difficile,
d’altra parte, da riscontrare nel mondo
delle cose da “grandi”. Quasi impossibile
da trovare nel mondo dei bambini pensato e costruito dai grandi.
Mi, e vi domando, perché? Perché gli
adulti sono convinti che i bambini siano
deboli e indifesi, che abbiano quindi bisogno di qualcuno che li aiuti e li sostenga nel lavorio di costruzione della loro
idea di realtà, e di pratica del rapporto
della realtà con la finzione? Da dove viene questo bisogno di tenere lontani i
bambini da tutto ciò che gli adulti pensano possano turbarli? Questa necessità
di costruire realtà senza ombre, ripulite
dalle contraddizioni, dalle emozioni forti, sbiancate dai dubbi e dai conflitti?
Direi che sono piuttosto gli adulti ad
avere bisogno di preservarsi dai bambini,
dal loro potere di esercitare in modo “fisiologico” l’aggressività. È come se cercassero di tenere a bada l’invidia che provano nei confronti di questa assoluta primordiale libertà dei piccoli. Come se
sentissero di doversi difendere, e stendendo un velo “eufemizzante” sulle emozioni tentassero di negare la naturalità
dei sentimenti più forti.
Per i bambini gli adulti dettano legge, e
le loro norme tentano di imporre alle e
sulle cose un ordine morale indubitabile,
una ragion d’essere certa, una natura
buona, con ciò cercando di porre freno
al caos e alla turbolenza delle forze e degli umori.
È buffo, e assai inquietante, pensare che
normalmente i grandi sono convinti di
fare le scelte che fanno soltanto per il bene dei bambini: imbellettare, tagliuzzare,
nascondere, negare, caramellare il mondo, tutto pur di non riconoscere che i
bambini per primi sono le nature meno
caramellose e melodiose spuntate un
giorno sulle gobbe dell’universo. Creature meravigliosamente complicate e contraddittorie, forze esplosive per troppo
contrasto, i bambini ci insegnerebbero
l’ironia, la relatività delle cose e delle parole, il miscuglio vitale e inseparabile di
intelligenza istintuale e di intelligenza razionale. Troppo spesso, invece, si scelgono per loro soluzioni semplificatrici e pacificatorie, per esempio attraverso proposte di lettura “adatte”.
Non vedevo l’ora di arrivare a questo
punto del mio ragionamento per poter
parlare di una lettura frutto di ripensamento in età adulta, quando ho via via
scoperto che quasi soltanto adulti citano
Il Piccolo Principe di Antoine de SaintExupéry nel loro repertorio di letture per
ragazzi fatte da grandi, e che, per lo più,
lo fanno affermando una sua ineluttabile
necessità pedagogica. Si tramanda, cioè,
la convinzione che i bambini, per crescere sani e belli, non possano e non debbano fare a meno di letture pulite e profonde come questa: insomma è lo stesso
meccanismo che ha comportato il successo straordinario di una storia come La
Gabbianella e il Gatto (in questo caso
però invertendo la storica presunta gerarchia tra testo e trasposizione cinematografica, rapporto sul quale m’intratterrò
nel mio articolo per il prossimo numero).
Oggi io sono convinta che Il Piccolo
Principe sia un libro fastidioso, pochissimo adatto ai bambini i quali, infatti, a
meno di non doverlo leggere per amore o
per forza, beatamente lo ignorano. A
scrivere queste cose, devo confessare, mi
sento un po’ come quegli emigrati italiani che spesso incontriamo sui treni: rabbiosi nei confronti del paese che li co10
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strinse ad andarsene, e aggressivi per non
dover soffrire troppo di nostalgia. La frase tratta dalla dedica: «Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di
essi se ne ricordano)», per anni è stata
per me una sorta di imperativo morale, e
anche ora che non sono sicura di sapere
bene cosa significhi, tuttavia mi colpisce
ancora, non posso negarlo.
In ogni caso: su quella “soglia” del testo
che è la quarta di copertina c’è scritto testualmente: «Il Piccolo Principe è un capolavoro della letteratura infantile, che,
come i suoi grandi predecessori, da Peter
Pan a Pinocchio, dai racconti di Perrault
e di Andersen ad Alice nel Paese delle Meraviglie, si rivolge a piccoli e grandi». Il
gioco, dunque, è fatto: quel libro è diventato per decreto “capolavoro della letteratura infantile” a imperitura esperienza e memoria delle generazioni a venire.
Che effettivamente corrisponda, d’altronde come gli altri citati nella presentazione che ho riportato, alle aspettative, ai
gusti, ai percorsi di esperienza e di crescita di lettori reali, bambini in carne ed ossa, non interessa più, credo non sia mai
interessato veramente, a Saint-Exupéry
per primo.
Sarebbe molto interessante, invece, capire meglio perché i bambini e i ragazzi, a
meno di non essere stati preventivamente “corrotti” da una edificante ragione
educativa, non ritengono quel libro cosa
loro. Per quanto mi riguarda, associo il
lavoro da non esperto di scrittura narrativa per ragazzi di Saint-Exupéry a tante
prove di giovani studenti-scrittori di belle speranze, convinti di poter fare palestra di scrittura adulta indirizzando i loro
fragili tentativi ai bambini, considerati,
in questo caso, adulti in piccolo meno
esigenti. Niente di più sbagliato. In tutti
quei casi si tratta, di solito, di testi caratterizzati dall’assenza di un vero e proprio
ritmo e respiro narrativo, perché intessuti essenzialmente di articolazioni psicologiche e/o morali che, non soltanto rallentano, o addirittura sospendono il movimento del racconto, ma anche e soprattutto si affermano come il vero “collante” narrativo. Riporto, a titolo d’esempio, due frammenti de Il Piccolo
Principe, ma basta aprire a caso il libretto
per trovarne continuamente:
«“Tu vieni dunque da un altro pianeta?”
QUANDO A DECIDERE SONO I GRANDI
Scrollò gentilmente il capo osservando
l’aeroplano.
“Certo che su quello non puoi venire da
molto lontano…”
E si immerse in una lunga meditazione.
Poi, tirando fuori dalla tasca la mia pecora, sprofondò nella contemplazione del
suo tesoro.
Voi potete ben immaginare come io fossi
incuriosito da quella mezza confidenza
su gli altri pianeti. Cercai dunque di tirargli fuori qualche altra cosa:
“Da dove vieni ometto? Dov’è la tua casa? Dove vuoi portare la mia pecora?”
Mi rispose dopo un silenzio meditativo:
“Quello che c’è di buono, è che la cassetta che mi hai dato, le servirà da casa per
la notte”» (pp. 19-20 dell’edizione Tascabili Bompiani).
Oppure, a proposito della ragion d’essere
sua e del suo pianeta piccolissimo invaso
dai baobab:
«”È una questione di disciplina”, mi diceva più tardi il piccolo principe.
“Quando si è finito di lavarsi al mattino,
bisogna fare con cura la pulizia del pianeta. Bisogna costringersi regolarmente a
strappare i baobab appena li si distingue
dai rosai ai quali assomigliano molto
quando sono piccoli. È un lavoro molto
noioso ma facile”» (p. 30).
Basta. Vi ricordate il personaggio principale di Palombella Rossa di Nanni Moretti? A un certo punto gridava disperato:
«Ma io non parlo cosììì!».
Una volta, non mi ricordo più dove lessi
questa cosa ma la ricordo bene perché mi
colpì molto, Alessandro Baricco, un narratore di grande esperienza e sapienza,
tanto bravo quanto considerato ambiguo
da molta critica purista, citò una sorta di
formula da utilizzare per capire se un testo letterario è buono o no: si dovrebbe
misurare quanto spazio della storia è occupato dalla descrizione delle psicologie, dei
movimenti interiori dei personaggi, dei loro principi morali e delle loro motivazioni
all’azione. Se lo spazio occupato da tutti
questi aspetti supera quello lasciato all’andamento della storia, che invece dovrebbe
essere capace di suggerirli al lettore senza
esplicitarli, la storia non è buona.
Forse la proposta sarà pure provocatoria,
ma aiuta a farsi un’idea di molta produzione narrativa, in particolar modo di
quella destinata ai bambini.
Diamo i voti a Il Piccolo Principe in
cd-rom
Restiamo ancora nel mondo del piccolo
principe, passando però a ragionare sulle
caratteristiche qualitative del cd-rom a
lui intitolato: la mia valutazione sulla
qualità letteraria del testo di partenza è
separata da quella sulla sua traduzione in
versione multimediale. Sottolineo questa
separazione perché, come ho già avuto
modo di affermare nel mio articolo sul
primo numero de “Il Pepeverde”, i rapporti tra un testo e le sue varie trasposizioni (per esempio cinematografiche o
multimediali appunto) non dipendono
necessariamente dalla qualità del primo:
questo significa, per esempio, che si sarebbe potuto realizzare un bel cd-rom su
Il Piccolo Principe. Potrebbe valere la stessa cosa anche per l’audiocassetta incisa
da Fabio Concato, chi può dirlo? Certo
possiamo dire che, solitamente, quanto
più un testo trascina con sé intenzionalità pedagogiche tanto più le sue traduzioni multimediali rischiano di ruotare
intorno a tali nuclei moralizzanti e moralistici, e quindi di non essere bello. Il che
vale anche in questo caso, almeno secondo il mio giudizio. Ma ci arriviamo.
Il cd-rom è una pubblicazione delle Éditions Gallimard, mentre l’edizione italiana è delle Edizioni Pontaccio. L’opera
viene presentata così: «Un percorso poetico, ludico ed educativo nell’universo
straordinario de Il Piccolo Principe di
Saint-Exupéry».
Dunque, noi del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive (Dipartimento di
Scienze dell’Educazione, Università Roma Tre), citiamo spesso la definizione
che Nicholas Negroponte ha dato di un
buon prodotto multimediale. Lui dice,
più o meno: perché un oggetto multimediale sia ben confezionato devono essere
presenti contemporaneamente tre componenti fondamentali: la profondità della scrittura, la suggestiva fluidità della televisione, e il grado di interattività. Soltanto il loro mix armonioso può dare la
misura della creatività e ricchezza di un
cd-rom, e ciò anche indipendentemente
dalle ragioni specifiche per cui è stato
realizzato.
Nel caso de Il Piccolo Principe direi che la
sua versione multimediale fa perdere al
testo originario quel po’ di fascino che la
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piccolezza e semplicità volutamente ingenua e pauperistica del volumetto trasmette come un profondo valore pedagogico da non perdere. Per diventare soltanto mortalmente noioso.
Allora: per quanto riguarda la presenza
della scrittura, il libro si può leggere in
forma lineare cliccando sull’angolo in
basso a destra (sulla pagina a sinistra per
tornare indietro), e in modo minimamente reticolare cliccando sull’uccellino
azzurro che riporta all’indice dei capitoli.
La storia si può anche ascoltare, in questo caso stordendosi completamente davanti allo schermo fissando la riproduzione delle pagine, nel tentativo di seguire la voce sospirosa e uniforme del leggente ispirato dall’elevatezza (non so se si
può dire ma mi piacerebbe lasciarlo comunque) del testo. E qui saremmo al
punto uno della presentazione: il “percorso poetico”.
Passiamo al percorso “ludico” chiamando
in causa, perciò, la dinamicità della sintassi televisiva e l’interattività: il risultato
non potrebbe essere più disarmante. Il libretto che accompagna il cd-rom promette la visione in 2D e 3D del meraviglioso universo del piccolo principe extraterrestre, con splendide animazioni
dei pianeti e dei loro abitanti che l’omettino con la sciarpetta gialla incontra via
via. Sulla qualità grafica di tali animazioni non mi soffermo: sottolineo invece
che esse, pur essendo attivabili direttamente dalla sezione di lettura (cliccando
sull’uccello azzurro) restano assolutamente separate da esso, dando l’impressione di costituire più un abbellimento
di cornice che una elaborazione audiovisiva del testo. D’altra parte, il livello di
interazione dell’utente nella sezione animazioni è bassissimo: l’esplorazione dei
pianeti appare quasi casuale, nel senso
che essi vanno e vengono, s’ingrandiscono e si rimpiccioliscono per conto loro, e
uno ogni tanto ci azzecca e pensa di essere lui a manovrare l’azione, il che, fino a
quanto ho potuto vedere finora, non so
quanto sia vero.
Un livello leggermente più interattivo è
costituito dal percorso, manco a dirlo,
“educativo”: il libretto ci tiene a precisare
che «il “Gioco” che ti propongo non
c’entra molto con i giochi che già conosci. Non si tratta di distruggere degli
INTERVENTI E INTERVISTE
umanoidi mostruosi e armati fino ai
denti, né di salvare una principessa virtuale dalle grinfie di un mago sadico.
Niente di tutto questo». Qui, niente po’
po’ di meno, si tratta di obbedire ai comandi acidi (la voce è quella, non proprio dolcissima, di Lella Costa) di una
volpe che pretende di essere ammaestrata
come dice lei, e che ti manda di qua e di
là (cioè soltanto nell’universo di quei
pianeti che se ne vanno per conto loro)
ad acchiappare, che so io, il lampionaio
che dice «Buongiorno!», perché così si
deve fare se uno vuole ammaestrare una
volpe zitella. Sempre il libretto promette
come regalo della volpe un taccuino segreto per scrivere ed inserire immagini,
nonché per tornare a giocare con lei. Io
devo confessare che non ho ancora trovato la pazienza per capire come funziona
il gioco: è tutto così lento e astratto, per
di più accompagnato da una musica stile
new-age, tutta campanellini e vagheggiamenti di sintetizzatore, da risultare insopportabile.
Conclusione: la volpe e il suo regalo ve li
regalo volentieri.
Che fenomeno, Harry Potter!
Nella presentazione delle avventure di
Harry Potter, molti giornalisti e critici si sono concentrati sulla giovane autrice inglese,
Joanne Rowling. La sua vita infatti potrebbe essere descritta come una fiaba a lieto fine come quelle che in fondo ella stessa scrive. Nata nel Galles 31 anni fa, dopo la separazione dal marito che la lascia con una
bambina piccola nella miseria più nera, decide, quasi con la forza della disperazione,
di completare un suo ambizioso progetto di
gioventù: scrivere un libro fantastico che
parlasse di magia e avesse come protagonista un piccolo mago.
Rifiutato da vari editori, il volume viene infine apprezzato dalla Bloomsbury. È un successo immediato che cambia la vita della
Rowling, che diventa ricca e famosa, proprio
come nelle fiabe. Il libro ha subito numerose
riedizioni e non è letto solo dai bambini, ma
viene apprezzato anche dagli adulti diventando un best sellers dell’editoria. In Italia è
stato pubblicato da Salani nel 1998.
Dopo Harry Potter e la pietra filosofale, la
Rowling, sulla spinta del successo pubblica
Harry Potter e la camera dei segreti (anch’esso pubblicato da Salani), un prosieguo delle
avventure del piccolo protagonista, che non
finirà qui se è vero che l’autrice ha firmato
un contratto con l’editore prevedendo addirittura l’uscita di altri quattro volumi di mirabolanti avventure stregonesche.
Ma cos’è l’Harry Potter e a che cosa deve il
suo successo?
Proviamo ad analizzarlo, anche se brevemente. Guardando l’impianto generale si
può affermare con sicurezza che alla base ci
sono tutte le strutture della fiaba: un protagonista apparentemente modesto ma vincente, animato da sani principi, che con
l’aiuto della sua magia innata e affinata alla
scuola per maghi di Hogwarts riesce a sconfiggere Voldemort, il terribile mago padrone delle forze del male e della magia nera.
Per farlo deve risolvere diversi enigmi, grazie alla sua intelligenza e all’aiuto di amici
fidati. Inoltre deve superare molte prove che
lo coinvolgeranno in continue avventure
mozzafiato, nelle quali più volte rischierà di
essere ucciso. Nel primo libro, Harry Potter
e la pietra filosofale, riuscirà a capire che
Voldemort vuole impadronirsi della magica
pietra per ottenere l’immortalità, dopo essere entrato nel corpo di uno degli insegnanti
della scuola, Raptor. Nella seconda avventura Harry Potter e la camera dei segreti scopre
il mistero dei sotterranei ove è custodito un
terribile mostro serpente che è a servizio di
Voldemort, che ha continuato la sua esistenza nelle pagine di un diario magico.
Harry riuscirà a sconfiggere il mostro e con
una delle sue stesse zanne avvelenate ridurrà
in cenere il piccolo libro, liberando ancora
una volta la scuola dal male e dai terribili
incantesimi che stavano misteriosamente
accadendo.
Questo ancora non è sufficiente per spiegare il fascino di quest’opera la cui ideazione è
più complessa di quello che si potrebbe
pensare. Intanto la Rowling si rivela un’otti-
12
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ma scrittrice in quanto riesce a “modernizzare” umoristicamente l’ambiente dei maghi
che, nel bene o nel male, devono avere a
che fare con gli uomini comuni, o “babbani”, come vengono chiamati. A volte, figli
di matrimoni misti tra streghe e uomini,
questi piccoli maghi mantengono legami
col mondo moderno con continui parallelismi giocati attraverso sapienti dosaggi immaginativi: se una famiglia normale deve
andare in banca a prendere soldi per fare acquisti per la scuola, anche gli stregoni si
comportano allo stesso modo. Solo che
questa sarà una banca sotterranea, con tanto di miniere ricche di tesori custoditi da
folletti; il negozio di cartoleria sarà più che
particolare ed invece di vendere gomme e
matite venderà bacchette magiche, calderoni e manuali di Pozioni o di Arti Oscure.
Anche le tematiche moderne dell’intolleranza e del razzismo trovano spazio nelle vicende e nei colpi di scena del racconto. Dei
quattro gruppi istituiti nella scuola di
Hogwarts – Tassorosso, Pecoranera, Grifondoro e Serpeverde – quest’ultimo diviene il
simbolo della purezza della razza dei veri
maghi, di quelli che non discendono da
matrimoni misti. Sarà lì che si anniderà
dunque il male, rappresentato appunto da
Voldemort e i suoi seguaci che saranno
sconfitti da Harry Potter e i suoi amici del
Grifondoro, a cominciare da Silente, mago
saggio ed equilibrato, come si addice ad un
buon preside di una scuola veramente speciale.
La vera forza dei due romanzi risiede però,
al di là dei risvolti fantastici, alcuni dei quali veramente originali, nel senso di simpatia
e di umanità che nasce dalla piccola figura
di Harry. La sua forza e invincibilità non
derivano, non è un caso, solo dalla sua magia, ma dal sacrificio della madre che diede
la sua vita per lui: una testimonianza contro
la quale nulla possono fare le oscure potenze del male.
Antonio Leoni
Cosa succede in libreria
La febbre
di libri
di Anna Parola
Intervista
a Piera Dattena
Sono stata a Cagliari qualche giorno per
un convegno e ho pensato che fosse interessante scoprire cosa succede in un città
più piccola di Torino, e in più su un’isola, per quanto riguarda le librerie che si
occupano di libri per ragazzi. Ho conosciuto Piera Dattena che da anni possiede una libreria nel capoluogo sardo dove
una grande parte è dedicata ai bambini e
ai ragazzi. Purtroppo la libreria era chiusa per ristrutturazione, perché sta diventando una libreria Mondadori, ma siamo
riuscite a passare un po’ di tempo insieme e sono riuscita a rivolgerle alcune domande.
Perché hai una libreria?
Ho una libreria perché l’ho ereditata dai
miei genitori, in particolare da mia madre che se ne occupava. Non credo, però,
che sia stata lei a trasmettermi l’entusiasmo per questo mestiere, perché non l’ha
mai fatto volentieri, pur essendo una
grande lettrice.
Perché hai scelto di aprire uno spazio
per ragazzi?
Perché, diventata madre, ho notato che i
bambini non amano i libri come dovrebbero, e i miei figli non sono da meno degli altri. Così mi sono avvicinata alla letteratura infantile, ho incominciato ad organizzare in libreria degli incontri di animazione con gli amici di mio figlio, poi
ho allargato questo appuntamento anche
agli altri bambini. Ad oggi i bambini sono tanti dai quattro ai dodici anni.
Cosa fai per animare questi incontri?
I bambini leggono il libro a casa, e poi
in libreria si gioca con quella lettura comune. Facciamo anche lettura ad alta
voce.
Mi puoi raccontare meglio quali giochi
fate?
Ne facciamo moltissimi per cui diventa
difficile raccontarteli tutti. Uno di quelli che preferisco è “La febbre di lettura”
che consiste nel ricordare più dettagli di
un determinato libro. Chi riesce a dare
più risposte riempie di più il serbatoio
di un gigantesco termometro dimostrando di avere la più alta febbre di lettura.
Quali sono i rapporti con le scuole?
Lavoriamo moltissimo con le scuole alle
quali proponiamo progetti lettura, visite
in libreria e corsi di aggiornamento per
le insegnanti sempre sul tema della lettura.
Cosa intendi per progetti lettura?
Visite in libreria, in biblioteca, incontri
con i genitori e aggiornamento per insegnanti, ma c’è un progetto a cui tengo
particolarmente: il “Bibliobus”. Il “Bibliobus” è un pulmino coloratissimo e
decorato che sosterà davanti alle scuole
elementari, distribuendo libri ai piccoli e
dando luogo ad una serie di incontri di
animazione alla lettura. Questo “Bibliobus” vuole raggiungere le seguenti finalità: far leggere i bambini insieme ai propri genitori, liberarli dalla televisione,
costruire nuovi momenti di aggregazione.
È difficile lavorare sul libro per ragazzi
in una città come Cagliari?
Fare una scelta del genere è abbastanza
dura, nel senso che la clientela qualificata
scarseggia e si deve faticare molto per farsi apprezzare come operatori culturali
piuttosto che come loschi figuri interessati solo agli incassi.
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IL PEPEVERDE
n. 3/2000
Lavori solo in negozio o esci anche per
iniziative esterne?
Esco tantissimo per corsi di aggiornamento e progetti lettura e ho appena collaborato all’organizzazione del convegno
“Leggo e volo alto”.
Fai anche mostre nelle scuole?
Sì, se me ne capita l’occasione.
Quali scelte editoriali fai?
Fino ad oggi le scelte editoriali mi hanno
vista impegnata a proporre solo cose che
piacevano anche a me. Per esempio niente Disney, o libri che reputo brutti (certe
pubblicazioni da cartoleria o da supermarket).
Ora sono diventata Mondadori, ma nonostante questa scelta, quasi obbligata
proprio per poter dedicare meno tempo
alle faccende amministrative e più a
quelle promozionali e culturali, credo
che nella mia libreria ci saranno i libri
che voglio io e non ciò che altri decidono.
Vorresti consigliare qualche libro ai
lettori de “Il Pepeverde”?
I libri che voglio consigliare non sono
certo novità, ma io li amo molto.
Per gli adolescenti e i giovani adulti: A.
Hebert, Clara che a 15 anni disse di sì,
“Frontiere”, E. Elle; G. Pausewang, Carretera austral, “Frontiere”, E. Elle; L.
Rowe Fraustino, Ash, “Juniorsuper”,
Mondadori.
Per i più piccoli: M. Argilli, Alla Signorina Elle con tanto affetto, Fatatrac; Dr
Seuss, Uovo di Ortone, Giunti; S. Gandolfi, La scimmia nella biglia, Salani; A.
Horowitz, Nonnina, Mondadori.
Ma ce ne sono davvero tanti altri e preferisco fermarmi qui.
Incontro con Daniel Pennac
Così nacque
“Come un romanzo”
di Luisa Piazza
La Biblioteca Rispoli di Roma ha avuto
l’onore di ospitare Daniel Pennac martedì 23 novembre 1999. L’incontro è stato organizzato dalle biblioteche di Roma
e dal Teatro dell’Archivolto di Genova.
Numerosissimo il pubblico accorso e,
naturalmente, una folla di giornalisti, fotografi e operatori tv. Pare che Pennac sia
stato invitato spessissimo dalle biblioteche capitoline, soprattutto grazie al suo
libro Come un romanzo, testo “sacro” per
tutti i bibliotecari, ma che non abbia mai
accettato. Questa volta era personalmente invitato dal regista Giorgio Gallione
del Teatro dell’Archivolto, che ha curato
la messa in scena di Monsieur Malaussene
in stretta collaborazione con Pennac,
spettacolo in scena ai Parioli. Ospiti dell’incontro anche gli attori: Claudio Bisio,
interprete dell’eroe di Pennac e Giorgio
Scaramuzzino che gira, da tempo, nelle
biblioteche italiane con una pièce tratta
da Come un romanzo e che ne ha presentato un brano subito dopo l’incontro con
l’autore.
Il Teatro dell’Archivolto è responsabile di
quattro trasposizioni teatrali di testi di
Pennac. Il primo spettacolo è Monsieur
Malaussene del quale Pennac stesso ha curato la regia nella
versione francese. «Da
questa prima esperienza» spiega
Gallione «al Teatro dell’Archivolto di Genova è nata la
voglia di
esplorare l’universo Pennac
con la sensazione che la scrittura di Daniel
possieda, tra le
tante valenze,
potentemente anche quella teatrale».
Il secondo spettacolo,
tratto da Come un romanzo è ispirato alla filosofia di questo saggio.
«È nato molto per gioco» spiega Scaramuzzino, l’interprete unico
della pièce, «con l’intenzione di invogliare i
ragazzi a leggere». Il ter14
IL PEPEVERDE
n. 3/2000
zo spettacolo, dal titolo Blu cielo, si ispira
al libro Le tour du ciel (Il giro del cielo)
che Pennac ha scritto partendo dall’osservazione di opere di Mirò e il quarto,
Giardini d’acqua, è liberamente tratto
dall’omonimo testo ispirato ai quadri di
Monet.
Pennac, al quale non manca ironia e capacità comunicativa, ha risposto alle domande suscitando molta simpatia nel
pubblico. Riportiamo le parti più significative dell’incontro.
Qual è il tuo rapporto con la lettura?
Il mio rapporto con la lettura è fondamentale ma, nello stesso tempo, è un
rapporto molto vario e leggero. Ad esempio posso leggere per addormentarmi
con il desiderio reale e profondo di addormentarmi leggendo. Posso scegliere,
dalla mia biblioteca, il testo più bello,
per cui non sarà un “addormentarsi” per
l’insorgere della noia, provocata dalla lettura ma per la fascinazione del libro. Poi
ci sono le letture “strumentali” che faccio
soprattutto quando sto per preparare un
nuovo romanzo, come in questo periodo. Sto leggendo tomi di libri tecnici che
non hanno alcun interesse, ad esempio
libri sul caucciù, oppure libri sulla costituzione europea.
Il resto delle mie letture sono frutto di
incontri con le persone che amo o che
stimo: sono le migliori letture! È interessante che, nel momento stesso in cui leggiamo il libro che ci hanno consigliato,
ci domandiamo: «Ma perché proprio a
me ha consigliato di leggere questo?».
Quindi le persone che ci consigliano un
libro ci fanno capire quello che pensano
di noi e questa è anche una forma di autoanalisi ed è un “piacere” legato alla lettura. La circuitazione dei libri avviene
COSÌ NACQUE “COME UN ROMANZO”
per merito dell’amore, dell’amicizia e
della stima. E tutto ciò avviene in maniera molto più efficace di quanto non faccia la scuola o la critica letteraria.
Da quale idea centrale è nato Come un
romanzo?
Una mattina del mese di settembre sono
entrato nella mia classe di seconda (allievi dai quattordici ai sedici anni) e ho fatto i soliti discorsi di quando si arriva per
la prima volta in una classe. Ho cercato
di sciogliere l’atmosfera. Ho chiesto ai
ragazzi come si chiamavano, ho illustrato
loro il programma, ho detto che avremmo letto insieme… Ad un certo punto
un allievo dell’ultimo banco ha alzato il
braccio e ha detto, con una faccia da sepolcro: «Professore, leggeremo quest’anno?».
Quando un professore ascolta questa domanda si deve chiedere qualcosa sull’insegnamento della letteratura francese.
Quello stesso giorno sono andato a prendere mia figlia a scuola, allora aveva otto
anni e, tornato a casa, mi sono messo alla
scrivania a correggere i compiti ma, dopo
poco, è arrivata mia figlia con il quaderno dei compiti e mi ha detto, con la stessa faccia da sepolcro: «Papà, posso ripassare con te la mia lettura silenziosa?». A
quel punto mi sono arrabbiato. Naturalmente ho ripassato con mia figlia la “lettura silenziosa”, poi ho aperto il computer e ho scritto la prima frase di Come un
romanzo: «Il verbo leggere non sopporta
l’imperativo!».
Il problema è che quando scrivi la prima
frase di un libro, dopo devi scrivere il resto.
Cosa succede quando vedi le tue parole
trasportate in palcoscenico?
È una domanda che mi fanno spesso, risponderei con delle metafore: è un po’
come il mistero dell’incarnazione: le parole si fanno carne. Quando si scrive o
quando si legge un romanzo scritto da
altri l’immagine che abbiamo delle cose è
un’immagine cerebrale, non concreta ma
virtuale. Si ha come l’illusione che sia
un’immagine reale. Mentre, quando si
vede uno spettacolo, si è di fronte ad una
incarnazione.
Questo è simile al rapporto con la paternità. Non so se è lo stesso con la maternità perché non l’ho mai provata. Nella
paternità l’angoscia di diventare padre
diventa quasi un incubo, è un fantasma
che si nutre di un sacco di argomenti:
«Speriamo che questo ragazzo non mi somigli!», «È giusto fare un figlio in questo
momento?» ecc. ecc. Ma, quando arriva,
il bimbo impone una concretezza che
dissolve tutti i fantasmi.
Il ministro Turco, preoccupata per la
solitudine nella quale vivono i bambini
di oggi, ha proposto nella giornata dei
diritti dei bambini la figura di un
difensore civico. Cosa pensa a questo
riguardo? Crede che la lettura possa
essere d’aiuto?
Insieme ad altri cinquanta scrittori francesi abbiamo creato un’Associazione che
opera in tutta la Francia e che vuole far
incontrare i bambini fino ai dieci anni,
con i pensionati. Con la complicità degli
insegnanti abbiamo chiesto ai pensionati
di scegliere i libri e leggerli in classe a voce alta ai bambini… Il risultato è stato
spettacolare sul piano della lettura perché, in effetti, i bambini e le persone anziane sono stati stimolati a leggere: si sono creati dei legami sociali, cioè i bambini hanno cominciato a considerare i pensionati delle città operaie, nelle quali vivono, come loro nonni e ciò ha fatto sì
che i veri nonni di questi bambini si siano sentiti, inconsciamente, obbligati a
comportarsi da veri nonni. Si sono rinserrati i legami familiari con risultati intellettuali tangibili.
Questa esperienza credo si possa ripetere
ovunque in Europa, soprattutto nelle periferie delle grandi città. Il problema tra
il bambino e la lettura, così come quello
tra l’adulto e la lettura, non è un problema teorico.
Quello che si constata è che, con l’urbanizzazione moderna, l’affitto delle case
aumenta sempre di più, si è costretti ad
andare in periferia e il centro diventa un
centro culturale che pochi hanno la possibilità di frequentare. Questo crea un nuovo analfabetismo postindustriale che è figlio dell’isolamento, del perfezionamento, della cassa integrazione… Nella cintura periferica si dice che i bambini non
leggono ma il vero problema è che hanno
perduto la parola orale, non parlano.
Sostiene inoltre Pennac che «Gli scambi
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verbali della vita quotidiana sono i primi
fermenti dell’attività culturale e là dove i
grandi magazzini hanno sostituito i negozi, anche questa più elementare forma
di oralità è andata perduta».
«E di questo analfabetismo» continua
Pennac «non è responsabile la scuola, né
l’industria del libro, né la critica letteraria, ma questa perdita della comunicazione orale».
Quando hai cominciato a scrivere?
A dodici anni. Perché a undici sono stato
messo in collegio e vi sono rimasto per
otto anni… In collegio era vietato leggere!! Mi nascondevo per leggere sotto le
coperte con una pila. Quando finivo i
compiti, la mia prima esperienza da
scrittore era inventarmi la continuazione
del racconto che stavo leggendo.
Quale autore italiano ami di più e
consiglieresti di leggere nel 2000?
Non ho nessun autore da consigliare per
il 2000 perché credo che in letteratura
non si debba fare la distinzione tra passato, presente e futuro. Gli autori italiani
che amo particolarmente? Gadda e Calvino. Quando voglio tornare alle mie letture fondamentali leggo La cognizione
del dolore o Il pasticciaccio o qualunque
libro di Calvino.
Preferisci scrivere per adulti o per
bambini?
Mi piace fare entrambi le cose e le faccio con la stessa serietà. Quando scrivo
per i giovani, non uso lo stesso stile. Gli
argomenti sono gli stessi: la vita, la
morte, l’amore… Però, quando scrivo
per i ragazzi, uso frasi più semplici
quindi devo compiere scelte lessicali più
precise.
Quanto c’è di vero nella descrizione di
Belleville e quanto di inventato?
La descrizione di Belleville è un’evocazione che parte da una mescolanza di concetti, non una descrizione tecnica. Dico
di Belleville che in questo quartiere c’è
quasi sempre il tempo bello e questo è
testimoniato dal fatto che ci sono molte
persone con la pelle scura, rispetto agli
altri quartieri di Parigi, anche se queste
persone hanno preso il sole già prima di
nascere!
La “ricetta” della contaminazione
Un altro leggere
un altro scrivere
a cura del gruppo “Leggere per...”
Si sente sempre più frequentemente parlare, negli ambienti della scuola ma non
solo, di demotivazione o di debole motivazione, dello scarso attaccamento al lavoro o al compito. Spesso a proposito
delle giovani generazioni si lamenta la
fragilità e la vulnerabilità dei loro interessi e l’affievolirsi delle passioni è denunciato talvolta come un male epocale.
Un piglio un po’ moralistico, poi, accomuna i discorsi e le analisi sulla demotivazione. «Non è motivato» (soprattutto
se la frase è pronunciata nella scuola) è di
solito un’espressione di disappunto e di
giudizio negativo. Ora, se è vero che la
demotivazione è oggettivamente un ostacolo alla crescita di un giovane, è anche
vero che non gli si può attribuire automaticamente la responsabilità del suo debole coinvolgimento nei confronti di
una disciplina o di un’attività. Un’analisi
attenta del problema dovrebbe spingere
– soprattutto se il punto di vista è quello
dell’educatore e il soggetto demotivato
una giovane personalità in evoluzione – a
capovolgere radicalmente la logica, cercando piuttosto nel contesto carenze ed
errori di impostazione.
La parola motivazione deriva dal latino
motivus, cioè “che muove”; essere motivati significa dunque essere mossi, spinti
verso qualcosa. La motivazione è una
tensione positiva, tanto più autentica e
duratura, quanto più coinvolge profondamente la persona tutta, con il corpo,
con la mente, con le emozioni: «Di petto
e di testa … con il cervello e la passione»
(Gaston Bachelard).
Perché questo coinvolgimento possa avvenire è necessario innanzi tutto che si
creino condizioni favorevoli quali:
- ambienti psicologicamente sicuri, protetti e di sostegno: un contesto scarsa-
mente accogliente, che susciti diffidenza
o disagio crea rigidità e meccanismi difensivi;
- sostegno emotivo da parte di persone
significative: la cura, l’incoraggiamento,
le attestazioni di stima consentono di
“mettersi in gioco”, di accettare le sfide,
di rendersi disponibili al nuovo;
- relazioni positive con il gruppo: il contesto affettivo-relazionale gioca un ruolo
fondamentale nella motivazione; il confronto sereno, l’interazione positiva stimolano gli interessi e arricchiscono le
competenze.
La proposta di attività che siano direttamente o indirettamente legate a bisogni
o interessi personali: la tensione verso un
obiettivo non può mai prescindere dal livello presente dell’essere e del desiderare
di ciascuno. Non si tratta tanto di operare riduzioni quantitative o qualitative rispetto agli obiettivi, quanto di dare ad
ognuno la possibilità di tendere ad una
meta costruendo percorsi personali, che
partano dal proprio sé, inteso come intreccio di emotivo e cognitivo.
L’equivoco della bassa difficoltà
Il concetto di motivazione è strettamente
legato a quello di piacere. Un’attività finalizzata alla soddisfazione di un bisogno
procura sempre piacere, rendendo disponibile una notevole quantità di energia
fisica, psichica e mentale. Attività oggettivamente impegnative sono affrontate
senza alcuna percezione di fatica se vissute come “piacevoli”; al contrario compiti
di bassa difficoltà possono trasformarsi
in ostacoli insormontabili se percepiti
come inutili o noiosi.
Alla luce di queste considerazioni si
comprendono molte delle difficoltà che
la scuola oggi vive. Bambini e ragazzi che
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ricevono, rispetto ad un tempo, molti
più stimoli e sollecitazioni prima e fuori
della scuola e che potrebbero per questo
essere più pronti e recettivi, appaiono
sempre più spesso poco motivati a tutto
quanto la scuola propone, o almeno alle
modalità con cui propone.
L’idea di piacere evoca l’idea di passione,
quindi di affettività e intensa partecipazione.
La promozione del piacere della lettura
non attiene alla sfera del cognitivo ma
piuttosto dell’emotivo. Amare la lettura
non è, o almeno non lo è mai nella fase
iniziale, una vocazione dell’intelletto ma
del cuore. L’incontro con la narrazione,
se avviene in un contesto affettivamente
significativo, segna l’apertura di una finestra sull’immaginario. Ascoltare storie,
immaginare storie, narrare storie, costruire repertori di immagini mentali, è
un bisogno quasi naturale; i bambini che
scarabocchiano segni indecifrabili descrivendoli come luoghi e personaggi ci raccontano la loro immaginazione; il “facciamo che ero…” di molti giochi di ruolo è l’inizio di storie spesso articolate ed
estremamente fantasiose; il racconto di
una storia rilassa, incanta, fa addormentare, rende felici; il grande successo di alcune fiction, spesso molto vicine alla
struttura della fiaba, testimonia la presenza di questo bisogno anche in chi forse non ha avuto l’opportunità di conoscere ed apprezzare altri linguaggi.
Sappiamo bene che queste idee si vanno
diffondendo e che sempre più spesso si
possono incontrare genitori con bambini
nelle librerie e insegnanti impegnati nelle
biblioteche.
Ma sappiamo anche che non sempre si
creano le condizioni perché la lettura e la
scrittura diventino un mezzo per entrare
UN ALTRO LEGGERE, UN ALTRO SCRIVERE
in contatto con il proprio mondo interiore, con la propria immaginazione e
creatività, uno strumento per “raccontarsi” a sé e agli altri, per riconoscere ed
esprimere i propri sentimenti. Spesso
non c’è nella famiglia la sensibilità sufficiente perché queste condizioni si preparino, spesso la scuola non è in grado di
coltivarle. La scuola è anzi il più delle
volte il luogo del dovere e della prestazione, della prevalenza dei tecnicismi, dove
il leggere e lo scrivere sono iscritti in
contenitori normativi rigidi, che non facilitano la dimensione affettiva dell’espressione. Lettura e scrittura diventano
allora un “altro da sé”, faticoso ed arido,
con cui spesso non ci si riconcilia per il
resto della vita. Ci sono adulti intelligenti e colti incapaci di concepire la lettura
di un libro come fonte di piacere o di
scrivere una lettera d’amore; insegnanti
incapaci di commuoversi leggendo agli
alunni un brano toccante o di comprendere che le tecniche si apprendono e si
ritengono solo se un’attività è sostenuta
da una forte motivazione.
Zona franca e gabbie soffocanti
La motivazione è una molla potentissima
in ogni età e in ogni condizione, ma diventa una premessa imprenscindibile
dell’essere e del fare nell’arco dell’età evolutiva. Se i bambini e i ragazzi sono motivati alla lettura e alla scrittura, sentono
cioè il leggere e lo scrivere come attività
di forte valenza soggettiva e affettiva, l’una diventa rinforzo dell’altra, anzi, in
molti casi la scrittura, se è capace di realizzare una “presa diretta” con il sé, può
avere un ruolo trainante rispetto alla motivazione alla lettura. Attraverso la scrittura spontanea i ragazzi trovano una “zona franca” in cui riescono liberamente ad
esprimere se stessi, attivando processi di
consapevolezza del sé ma anche di ascolto e di accettazione di punti di vista diversi. Anche per la scrittura spontanea,
come per la lettura, l’emozione diventa
un ponte tra la mente e il corpo. Quella
stessa corrente emozionale che si mette
in moto durante l’ascolto di un buon libro di narrativa, deve prendere spessore
durante la produzione scritta, colorando
e animando ciò che si scrive, in modo da
suscitare a sua volta una reazione emotiva in chi legge o ascolta. Chi scrive deve
quindi “sentire” per poter “far sentire”
agli altri.
Perché questo possa realizzarsi è indispensabile passare per una fase di “destrutturazione” delle norme. Ortografia,
sintassi, coerenza, coesione possono essere nella fase iniziale gabbie soffocanti che
impediscono la spontaneità. Quando i
bambini e i ragazzi scrivono spesso appaiono “poveri di idee”, hanno paura, si
sentono costretti in schemi mentali e canoni che li portano a produrre stereotipi
e luoghi comuni.
Le strategie più efficaci
Ma allora qual è la “ricetta” giusta? Quali
sono le strategie più efficaci perché nella
scuola il leggere e lo scrivere possano diventare attività piacevoli, appassionanti,
strumento di arricchimento e di crescita?
Cosa deve pensare, fare, essere l’insegnante per raggiungere questi obiettivi?
A quali tecniche didattiche è necessario
che sia formato?
La nostra risposta, che potrà sembrare
provocatoria, è che prima di ogni competenza metodologico-didattica sono indispensabili all’insegnante stesso la motivazione e la passione.
Le conoscenze possono essere trasmesse
efficacemente attraverso strategie adeguate (ma è sempre vero?), i desideri e le
passioni per essere “trasmessi” hanno bisogno di una profonda condivisione.
Spesso però, gli insegnanti, pur avendo
acquisito specifiche competenze disciplinari e didattiche, non hanno mai vissuto
in modo affettivamente positivo l’esperienza del leggere e dello scrivere.
Si tratta allora, in taluni casi, di rivedere gli
stessi percorsi di formazione, capovolgendone se è necessario
l’impostazione, per recuperare i docenti ad
una dimensione soprattutto emotiva del
testo. Per formare insegnanti capaci di coinvolgere e motivare alla
lettura e alla scrittura
bisogna coinvolgerli e
motivarli, attraverso le
stesse strategie che essi
dovranno impiegare
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IL PEPEVERDE
n. 3/2000
con gli alunni, attraverso laboratori che
prevedano una forte messa in gioco, un
lavoro sulla soggettività dell’esperienza
con il testo e un confronto “affettivo”
con le esperienze degli altri.
Durante il corso che ogni anno ci vede
impegnate, come gruppo di coordinamento, nella formazione dei docenti del
progetto “Leggere per…”, nell’ambito di
un’attività laboratoriale, gli insegnanti
sono stati invitati a presentarsi agli altri
attraverso il libro da loro più amato. Nel
gruppo i lettori forti e i lettori deboli
erano abbastanza equilibrati nel numero,
con la presenza di qualche insegnante
che aveva dichiarato apertamente di non
amare la lettura e di non aver letto nulla
da molti anni. Una delle insegnanti presenti, arrivato il suo turno, ha descritto
con voce commossa le forti emozioni suscitate in lei da un romanzo, soffermandosi peraltro molto brevemente, ma con
grande efficacia, sul contenuto della storia. Quasi tutti i presenti si sono affrettati ad annotare i riferimenti del libro, contaminati dal suo piacere, perché «Ci ha
fatto venire una gran voglia di leggerlo».
È necessario, quindi, che l’insegnante sia
egli stesso profondamente motivato, che
sia capace di darsi e di dare tempo, che
mostri di condividere con i suoi alunni la
straordinaria avventura di cercare se stessi e la propria storia nelle storie e nella
magia della parola.
Silvia Campanile, Anna Maria Lovo,
Maria Rosaria Musella, Paola Parlato
In famiglia. Dopo Giacomo
Quali libri per
di Luca Raffaelli
Se c’è una cosa che non sopporto è l’esperienza. Inganno malefico, trappola di
precisione, l’esperienza funziona solo su
minuscoli particolari della vita. E non
sempre. L’esperienza mi può insegnare
che se non freno di fronte ad un ostacolo
vado a sbattere, che se non sto attento
con il martello posso colpire l’altra mano, che se dormo con i piedi troppo vicini al caminetto acceso li brucio. Grazie
mille, signora. Il fatto è che si dà all’esperienza il valore che essa non può avere.
Quella di maestra di vita, espressione
della saggezza, fonte di sicurezza. Attenti,
ragazzi, attenti. Come nella scienza meteorologica è impossibile riuscire a prevedere nel lungo termine le varianti prodigiose che possono far cambiare il tempo,
così nei grandi momenti della vita l’esperienza fa piovere quando noi, esperti,
avevamo previsto il sole. E la volta dopo?
La volta dopo cerchiamo ancora dentro
di noi delle certezze, valutiamo le casualità e diciamo o è pioggia o è sole. Sarà
grandine. Oppure pioggia e sole contemporaneamente. E la volta successiva sarà
ancora qualcos’altro, l’inaspettato, l’imprevedibile o il prevedibile da cui l’esperienza canaglia ci aveva distolti.
Perché spesso mi capita di fissare in testa
un insegnamento che per qualche motivo ritengo che l’esperienza mi abbia dato. Non è vero, la vita mi avrebbe insegnato anche l’opposto, ma nella mia
mente è rimasto fisso, indelebile, incancellabile quel primo consiglio, monito,
ammonimento, che l’esperienza mi diede
un giorno ridendo come una iena. Ho
avuto modo di sbagliare cento volte perché mi affidavo ad essa, e ancora oggi
continuo, per abitudine, a non ricordarmi che non devo farlo.
Me ne sento libero quando posso pro-
grammare i pensieri. Allora finalmente
mi avvalgo della non-esperienza. La mia.
Mi confesso che la vita non è mai la stessa del giorno prima e anch’io. Ho le prove di essere parecchio diverso da quello
di un po’ di tempo fa e il cambiamento
non è avvenuto tutto in una volta. Dunque, si cambia giorno dopo giorno. E
non c’è esperienza che tenga.
Nella voce di molte persone l’esperienza
altrui si trasforma in previsioni, quando
non in minacce o maledizioni. «Vedrai,
quella è la scelta che devi fare» o più
spesso «Questa decisione ti si ritorcerà
contro», oppure «Tu queste cose non le
sai ma dai retta a qualcuno, come me,
che le ha vissute». Per carità: mai, mai
dare retta. Se l’esperienza non è utile a se
stessi, figurarsi se (con tutte le variabili
cromosomiche, psicologiche, eccetera eccetera) può esserlo quella altrui. Ci si
può confrontare, si deve farlo, ma solo
per allargare il ventaglio di possibilità
che si apre ad ogni scelta o ad ogni non
scelta: non per pensare, sperare di prevedere l’imprevedibile. Non per uniformare, ridurre, impoverire.
Quando Giacomo era nato solo come
pensiero (di Francesca e mio) non sono
state poche le persone, gli amici anche,
che mi hanno ammonito: la tua vita
cambierà, non potrai più fare questo e
quello, le tue giornate saranno condizionate dai figli. Era l’esperienza che parlava. A volte le frasi erano anche proposte
in maniera scherzosa ma il senso di terrore rimaneva. Meno male che non mi sono fidato.
E meno male che la mia vita è cambiata
(la mia esperienza personale mi diceva
che io ero troppo terrorizzato all’idea di
essere responsabile di una vita; ora ne sono troppo felice), ma cambiata in manie18
IL PEPEVERDE
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ra opposta a quella dettata dall’esperienza altrui, meno male che posso avere con
Giacomo e Francesca degli scambi d’emozione prima inimmaginabili. La mia
vita condizionata da Giacomo? È piuttosto la vita di Giacomo ad essere condizionata dalla mia presenza, dalle nostre
scelte, dalla nostra cultura, dalla casa, dal
quartiere, dalla città, dall’Europa unita
eccetera eccetera.
un figlio
appena nato
Piuttosto nessuno mi aveva detto per bene che cosa diavolo può essere il passaggio dall’essere due all’essere tre. Cosa accade nel momento in cui il pancione con
un fantasma dentro si trasforma in un
essere tanto dipendente e tanto profondo, tanto solo (quanta è la solitudine di
un uomo ancora ignaro delle regole della
comunicazione!) e tanto voglioso di capire e farsi capire. Ci sono troppi mondi in
quell’essere solo, troppe facce, troppe
espressioni della vita. Nessuno me lo aveva mai detto (no, per la verità c’è stato
qualche buon amico che ha accennato a
questo: senza dire molto, giustamente e
saggiamente, perché le parole non sono
abilitate a tanto). In Giacomo c’è il pupo
bello che viene cambiato nelle pubblicità
televisive, ma anche un uomo profondissimo che mostra tutta la sua straordinaria capacità di sentire dentro di sé e fuori. Ci sono tutti i bisogni dei neonati, c’è
la cacca, la pipì, la fame, la colica, il ruttino, ma nei suoi occhi c’è anche la storia
della vita, la sua capacità di capire, di
pensare, di apprendere. C’è la storia della
filosofia, c’è la storia dell’arte negli occhi
di Giacomo.
Grazie a lui mi sono assai più chiare certe immagini ricorrenti della nostra vita,
dei miti, delle religioni: ho capito l’adorazione del bambinello, ho visto in lui
perché la luce è vita, speranza, paradiso
(che bello quando ride di cuore guardando il solo riflesso di luce di una maniglia).
Ho sempre pensato di aver vissuto un’infanzia profonda, ricca di pensieri, di immagini, di emozioni, di rabbie. Più ricca
della mia vita adulta perché meno indirizzata, usata, finalizzata. Eppure il mondo adulto non si cura delle espressioni
dell’infanzia e tratta i bambini da bambi-
ni, da marmocchi senza esperienza. Figuriamoci. Quanto uomo c’è in Giacomo,
nelle sue manine, nei suoi piedini, nei
suoi occhi, nelle sue espressioni, nei suoi
sorrisi, nelle sue risate. Folle colui che di
fronte a tanta potenza, a tanta intensità,
riesce a sentirsi superiore.
Dunque, quali libri per Giacomo? Nel
primo numero de “Il Pepeverde” Roberto Maragliano (uno di quegli amici che
non usano l’esperienza) raccontava di come la scuola gli avesse fatto odiare i libri,
Promessi sposi in testa. Per me, che ho
odiato la scuola tanto da prendere voti
che non raggiungevano l’uno pieno, i libri sono stati il rifugio segreto. Leggere
libri era sempre permesso, e a me piaceva
leggere. Anzi, non era permesso se avevo
in mano fumetti, e così, ovviamente,
prediligevo quelli, di tutti i tipi, dagli autori degli anni Trenta (quand’ero piccolo
i miei padri, fanatici di “Flash Gordon” e
“Mandrake”, si prendevano la rivincita
sui loro padri che avevano amato Salgari
e demonizzato “L’avventuroso”) a quelli
nuovi proposti dalle riviste, dal “Corriere
dei Piccoli” e dal “Corriere dei Ragazzi”,
da “Linus”, “Il mago”, “Eureka”, dai libri
in bianco e nero o a colori. Quelli scritti
erano più difficili da scegliere: raramente
i consigli dei grandi erano azzeccati, raramente si parlava di libri con i coetanei.
Tra i primi ricordi c’è una maestra di seconda elementare che ci fece acquistare
una raccolta di piacevoli racconti di Tolstoj, e una collana di piccoli gialli Mondadori intrigantissimi in cui un’automobile girava senza conducente. Mistero.
Poi il baco Giacomino, e il clown Scaramacai. Ma più di tutto era interessante
sbirciare nella piccola biblioteca di casa,
dove c’erano cose assai diverse tra loro:
dal Libro della giungla alla Divina com19
IL PEPEVERDE
n. 3/2000
media illustrata da Dorè, dai libri di psicologia che spiegavano l’anima del fanciullo senza aver capito nulla di nulla ai
romanzi di Guido da Verona, dal Tropico
del cancro di Henry Miller (una vera iniziazione) a tutto Calvino e Sciascia che
cominciai a leggere piuttosto presto.
Compresi così che la lettura è principalmente una posizione. Se uno non sa come mettersi a leggere non leggerà mai. E
che la lettura può diventare anche un
piccolo rito, forse anche una quotidiana
necessità. Per questo si può cominciare
(ed anche continuare) con qualsiasi libro.
Ma bisogna mettersi comodi e lasciare
che gli altri accettino la tua lettura senza
disturbare. Peccato aver scoperto le gioie
dell’amaca dentro casa solo ad una certa
età. Forse avrei letto ancora di più.
Dunque, quali libri per Giacomo? Prima
di tutto quelli che potrà rompere, stracciare, disegnare, sporcare, trattare male.
Giusto. Poi tutti. Tutti quelli delle librerie di casa (che stanno prendendo il controllo dello spazio), quelli che troverà
nelle biblioteche e quelli che vorrà per
iniziare una sua propria libreria: spero
che lo divertirà la possibilità di scegliere,
di rimanere affascinato dalla carta, dalle
immagini, dai colori, dall’odore dei libri. E spero che trovi i libri che nelle varie età sapranno divertirlo, emozionarlo.
Spero di sentirlo ridere e di vederlo
commosso alla lettura di un’ultima riga.
Avrà a disposizione amache di diverso
colore nei vari punti della casa, una giusta illuminazione e spero qualche amico
o amica che voglia leggere insieme a lui.
Gli consiglierò qualche titolo in particolare? Sì, certo, lo farò; sottovoce ma lo
farò. D’altra parte: cosa può dare un
adulto a un bambino, se non la propria
esperienza?
Il poliziesco per i giovani
Ancora giallo
di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori
Continuano a scorrere sotto gli occhi del
puer videns un flusso ininterrotto di gialli, film, videogiochi, telefilm popolati da
squadre investigative, coppie di sbirri e
poliziotti privati che non sembra destinato ad arrestarsi.
Potremmo spingerci ad affermare che i
ragazzi posseggono, per le loro esperienze
televisive, il codice per la corretta fruizione del genere poliziesco anche sui libri,
ma peccheremmo di ottimismo. E d’al-
tro canto è naturale chiedersi perché proprio nella fase in cui si apprende il difficile mestiere di leggere – l’unico in grado
di corrispondere alle esigenze cognitive
ed estetiche, ma anche l’unico in grado
di soddisfare l’immaginazione – dovremmo avvicinarli anche al romanzo poliziesco, ripercorrendo, come lettori-detectives, strade disseminate di tracce e informazioni che per lo più nascondono la soluzione del problema.
Già, perché a favore del giallo bisogna
pur dire che il personaggio “lettore” è
previsto, ed inserito nello schema compositivo del racconto, e anzi ne è talvolta, come in Agatha Christie o Ellery
Queen, un elemento essenziale: insieme
agli altri personaggi il lettore è coinvolto,
infatti, nel contesto di un delitto, di uno
strappo del tessuto dei rapporti sociali al
quale si oppone, immediatamente, la riparazione di un’attività investigativa.
La supremazia della trama
Si è spesso detto che ogni lettore è un po’
Watson e deve seguire – è chiamato ad
imitare – Sherlock Holmes.
Tutto questo è reso possibile, già nel
poliziesco classico, dall’attenzione
particolare che gli autori di libri gialli
pongono nella costruzione della trama;
nei romanzi polizieschi, la prevalenza
della trama rispetto al linguaggio è una
costante che, salvo rare e lodevoli eccezioni, ha connotato l’intero secolo di letteratura poliziesca ed ha costituito, talvolta, una sorta di iniziazione alla lettura.
Ma la supremazia della trama non è il solo elemento importante per il giovane che
si avvicina alla lettura: questo è tanto più
evidente se guardiamo ai numerosi autori
che riescono a riversare lo spirito del gioco nelle trame poliziesche. Il ruolo del20
IL PEPEVERDE
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l’atteggiamento ludico di scrittori e lettori
di gialli non è stato sinora abbastanza approfondito. Patricia Highsmith in Suspence, pensare e scrivere un giallo ha teorizzato: «Lo spirito del gioco è necessario,
nel pensare la trama di un romanzo di suspence, perché libera l’immaginazione. È
necessario anche quando si inventano i
personaggi. Ma una volta che si hanno in
mente e nella trama, i personaggi richiedono una serissima considerazione, si dovrebbe dedicare attenzione a ciò che essi
fanno e perché, e se uno di loro non lo
spiega – e spiegare troppo può essere un
male, dal punto di vista artistico – allora
lo scrittore dovrebbe sapere perché i suoi
personaggi si comportano in quel modo,
e rispondere lui alla domanda. La visione
interiore nasce da questo, e da questo il
libro acquista valore».
Gli scrittori dei gialli si sono, spesso,
espressi solo attraverso i fatti, i meccanismi enigmatici, le azioni ed i personaggi,
tralasciando, per lo più, il linguaggio e lo
stile, cioè proprio quegli aspetti che molti altri scrittori tendono a privilegiare.
Comunque il piacere di leggere un libro
giallo, a prescindere dall’aspetto strumentale, conferma la validità di questa
esperienza letteraria.
Marlowe indaga
L’immaginario poliziesco è indubbiamente
entrato nella tradizione romanzesca del
Novecento con i suoi personaggi più emblematici – Sherlock Holmes, Poirot,
Marlowe, Sam Spade, Nero Wolfe – con
le sue scene di suspence e di conflitti
spesso armati; attraverso questi connotati, peraltro, il romanzo poliziesco è riuscito ad essere in sintonia con gli aspetti
della vita che sono legati al problema del
crimine, forse insieme a molti altri aspet-
ANCORA GIALLO
ti che legati al crimine non sono, almeno
direttamente.
Sono gli insegnamenti, le suggestioni che
vengono dalla tradizione romanzesca.
Cosa significa possedere una tradizione
romanzesca? Raffaele La Capria in Letteratura e salti mortali offre questa risposta:
«Significa aver creato e poter attingere a
un mondo immaginario popolato da
personaggi impegnati in avventure individuali, e in essi nelle loro virtù e nei loro vizi, nelle loro azioni, nei loro moventi, nella loro sensibilità, ritrovare la coscienza della propria umanità e delle proprie origini. Questi personaggi nati dall’immaginazione sono più reali di quelli
esistenti perché pur avendo precisi connotati sono universali, e sono portatori
di un destino in cui ognuno può intravedere qualcosa del proprio».
I gialli con i loro detectives e con le caratteristiche delle loro trame sono riusciti
ad entrare a buon diritto nell’alveo di
questa tradizione. Sono, a seconda dei
casi, come insegna Giuseppe Petronio,
buona o cattiva letteratura, ma sono letteratura.
Ancora, nel gioco della trama e dei personaggi, la partecipazione emotiva del lettore può essere resa più immediata sia attraverso i meccanismi di suspence, che molti
autori utilizzano nei propri racconti, e sia
dotando il personaggio principale di una
caratteristica particolare: la somiglianza
con il lettore. Si realizza così l’identificazione con il personaggio del racconto, ma
questo non in quanto eroe che possiede le
qualità che noi vorremmo avere, non
sempre almeno, ma in quanto davvero è
simile a noi, e ciò che accade nella trama
«potrebbe succedere anche a me».
In definitiva anche questa remota possibilità rientra nell’elemento del gioco, della
partecipazione ad una piccola commedia
intorno al tema della giustizia e dell’ingiustizia umana, dato che il giallo, in particolare quello moderno, ha anche la funzione di proporre, nel contesto di una
narrazione certamente eccessiva, un’idea
di rivincita rispetto alle ingiustizie sociali.
È qui un altro aspetto del fascino dell’investigazione letteraria, quella di porre
l’intelligenza e il coraggio di investigatori, sul modello di Philip Marlowe, al servizio del vivere civile. «Scoprendo il colpevole di un delitto – scriviamo nella
presentazione dell’antologia scolastica
Uno studio in giallo (La Nuova Italia) –
gli scrittori dei gialli e i loro detectives ci
dicono che è possibile saperne di più sui
fatti che riguardano la nostra vita sociale,
solo che si voglia usare i loro affilati procedimenti logici, come accade nel giallo
classico, o intervenire sulla realtà con determinazione, come avviene nel più moderno giallo d’azione».
Una mappa dell’immaginario
poliziesco per i giovani
Il giallo insomma nel suo secolo di vita,
attraverso romanzi godibili, ha saputo
costruire una serie di personaggi, trovate
sceniche, atmosfere e tematiche che ancora oggi costituiscono un richiamo per
le più disparate categorie di lettori. Rimane forse da individuare quali libri siano quelli che è più opportuno proporre
ai giovani per rendere più divertente e
agevole possibile la loro scorribanda nel
poliziesco.
E allora non ci si può sottrarre alla tentazione di disegnare una possibile mappa
ideale di questa sorta di immaginario poliziesco attraverso gli autori e i titoli che
più l’hanno determinato. Siamo ben coscienti che la mappa può essere costruita
diversamente e con presenze più autorevoli e che, con il tempo e la lettura,
ognuno di noi si costruisce la propria
mappa, ma quello che vi proponiamo è
solo un primo viaggio (non a caso il giallo è anche un libro da viaggio) nei luoghi
tipici del giallo dove si è consumato
quello che Dickson Carr ha definito il
«più splendido gioco del mondo».
Ecco dunque l’elenco che suggeriamo
come itinerario di lettura, senza punti di
partenza e punti d’arrivo, per accompagnare i riti di passaggio della prima parte
della nostra vita, incluso quello che ci
porta a diventare sempre più curiosi e indagatori.
Per il giallo enigma. A. Conan Doyle, Il
mastino di Baskerville, Mondadori; Il segno dei quattro, Mondadori; A. Christie,
Dalle nove alle dieci (L’assassino di Roger
Ackroyd), Mondadori; Istantanea di un
delitto, Mondadori; L’uomo vestito di
marrone, Mondadori;
E. Queen, Cinquemila hanno visto, Mondadori; La lampada di Dio, Mondadori.
Per la suspence nel giallo. C. Woolrich,
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Sipario nero, Mondadori; Finestra sul cortile, Mondadori; P. Highsmith, Sconosciuti in treno, Sonzogno.
Per il giallo giudiziario. E. S. Gardner,
Perry Mason e la strana sposina, Mondadori; S. Turrow, Presunto innocente,
Mondadori.
Per il giallo d’azione. D. Hammett, Il
falcone maltese, Longanesi; La chiave di
vetro, Longanesi; L’uomo ombra, Longanesi; R. Chandler, Addio mia amata,
Garzanti; Il grande sonno, Mondadori; Il
lungo addio, Mondadori; B. Halliday,
Ipnosi, Mondadori; J. Latimer, La dama
della Morgue, Longanesi; C. Himes, Uomo cieco con pistola, Longanesi; G. Scerbanenco, Traditori di tutti, Garzanti.
Per il giallo “problematico”. L. Sciascia,
Il giorno della civetta, Einaudi; F. Durrenmatt, Il giudice e il suo boia, Feltrinelli; R. Rendell, La morte non sa leggere,
Mondadori.
Per il giallo psicologico. G. Simenon,
Maigret e il lettone, Mondadori; Maigret
si diverte, Mondadori; G. K. Chesterton,
La saggezza di padre Brown, Rizzoli.
Per il police-procedural. Ed. McBain,
Chiamate Frederick 7-8024, Mondadori;
Due colpi in uno, Mondadori; L. Macchiavelli, Un poliziotto, una città, Rizzoli.
Per il giallo fantascientifico. I. Asimov,
Il sole nudo, Mondadori; A. Bester, L’uomo disintegrato, Mondadori.
Il giallo per i ragazzi. E. Kastner, Emilio
e i detectives, Bompiani; Emilio e i tre gemelli, Bompiani; A. F. Pessina, La teleferica misteriosa, Salani; L. Calcerano, G.
Fiori, Filippo e Marlowe indagano, Valore
scuola; D. Pennac, Signor Malaussène,
Feltrinelli; E. Detti, Avventura metropolitana, Archimede.
Per il giallo umoristico. D. E. Westlake,
La danza degli atzechi, Mondadori; La
pietra che scotta, Mondadori; Come sbancare il lunario, Mondadori; H. Olesker,
Alla larga da Broadway, Mondadori; L.
Block, Il ladro che leggeva Kipling, Mondadori; A. Camilleri, Il birraio di Preston,
Sellerio.
Per il giallo storico. R. Van Gulik, I delitti dell’oro cinese, Garzanti; U. Eco, Il
nome della rosa, Bompiani.
Per il giallo giallo. R. Stout, Nero Wolfe
fa la spia, Mondadori; Nero Wolfe contro
l’FBI, Mondadori.
Buona lettura!
Strategie di lettura
La magia
delle parole
di Silvia Blezza Picherle
Come leggere per i bambini?
A questa domanda di solito si risponde
dicendo che la lettura deve essere ben
eseguita, chiara nella dizione, lenta, rispettosa delle pause e del ritmo del testo,
scorrevole ed espressiva.
Si tratta di indicazioni esatte eppure nel
contempo generiche. Ogni insegnante
quindi, lasciato solo di fronte a questi
suggerimenti che dicono “tutto e niente”,
ne ha elaborato un’interpretazione “ingenua”, dettata più dal buon senso che da
una riflessione criticamente fondata. Ha
avuto origine così tutta una serie di fraintendimenti concettuali e di veri e propri
“errori” esecutivi che incidono sul rapporto che l’alunno instaura con il libro.
Si pensi, ad esempio, a come il “leggere
chiaramente e lentamente” si trasformi
spesso in una lettura monotona e monocorde, forse troppo lenta, che appiattisce
il ritmo del testo. In tal caso si sentono
chiaramente le parole, eppure esse diventano morte e vuote, perché perdono quella vitalità che scaturisce solo all’interno
di un certo ritmo testuale. Ne deriva che
gli ascoltatori, soprattutto se piccoli, si
annoiano facilmente perché non riescono a cogliere il fascino del racconto. Infatti la parola letteraria muore se viene
emessa con una lentezza eccessiva.
Anche l’“espressività” è sovente confusa
con la teatralità. Spesso durante l’esecuzione il testo viene eccessivamente forzato e caricato nel tono, nel timbro della
voce e a livello mimico-gestuale. Operando così il docente pensa di creare
un’attenzione più intensa e prolungata
ed un forte coinvolgimento emotivo. Effettivamente il bambino, avvinto dalla
lettura molto “animata”, rimane a bocca
spalancata, incantato. Colorando e calcando troppo la voce si corre però il ri-
schio di attirare l’attenzione prevalentemente sulla gestualità o sull’“atmosfera
emotiva”, senza che si riesca a fargli percepire anche il magico fascino delle parole. In fondo la letteratura per l’infanzia,
come peraltro tutta la letteratura, è in
prima istanza parola, parola che si fa e
crea racconto. Se la voce dell’insegnante
non riesce a far penetrare nella magia
delle parole oltre che nella storia, forse,
essa tradisce, almeno in parte, la sua funzione.
È necessario “ripensare alle conoscenze
acquisite” forse troppo acriticamente; il
più delle volte infatti siamo convinti di
aver compreso tutto, mentre così non è.
Che cosa vuol dire leggere con chiarezza?
E con lentezza? Quale tipo di lentezza
adottare nei diversi contesti? Bisogna essere “lenti” e quanto? Cosa significa essere espressivi? Come dosare l’espressività?
Leggere è sempre interpretare
Secondo molti studiosi «l’atto di lettura è
un gioco dialettico tra testo e lettore»,
nel senso che il lettore collabora alla costruzione del significato del testo, facendosi co-autore dello stesso. Per W. Iser
«Comprendere è sempre interpretare»:
quando si legge non si cerca o non si ricava un significato già dato e scontato
che l’autore ha nascosto nel testo, quanto
piuttosto lo si costruisce secondo un personale processo di “ricreazione creativa”.
Nel leggere e capire una storia interviene
necessariamente una dimensione soggettiva. Il testo scritto, con la sua struttura,
le sue parole, il suo linguaggio, il suo ritmo peculiare stimola ed interroga il lettore; insomma gli lancia dei veri e propri
“segnali” che egli poi coglie ed ai quali risponde mettendo in moto tutte le proprie competenze, conoscenze, emozioni,
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esperienze, idee, opinioni, aspettative.
«Ho cercato – scrive J. Conrad – di studiare le immagini delle figure inventate
che compaiono dentro di me quando
leggo (...); i personaggi secondari possono apparire con chiarezza, ma i tratti dei
protagonisti subiscono continue trasformazioni (…). Gli occhi di Jim risplendevano azzurri verso di me, mentre il suo
volto assumeva ora i miei tratti, ora quelli di mio padre, dei miei figli, di un amico, di un nemico».
Ogni lettore quindi, sia esso piccolo o
grande, insegnante o alunno, mette in
gioco tutto se stesso per cogliere la multiforme complessità di senso del testo
narrativo. Ecco perché molto spesso le
interpretazioni di un libro o di un passo
o di un paragrafo sono discordanti: ciascuno coglie, oltre ai significati comuni,
anche altri sensi del testo, perché fa “vivere” ed “apparire” aspetti che passano
inosservati ad altri.
Questa naturale dimensione dialogicocreativa dell’atto di lettura non va scambiata però con l’arbitrarietà ed il soggettivismo: una cosa è interpretare, altro è
forzare e stravolgere il testo. Non si può
indulgere ad una totale libertà interpretativa, perché in tal caso il racconto finirebbe per diventare un puro pretesto: esso si librerebbe verso spazi di fantasia,
forse originali e personali, ma gratuiti rispetto al messaggio testuale.
Anche l’insegnante, nel momento in cui
presta la sua voce per farsi lettore, è sempre interprete di un testo. Egli, forse ingenuamente, si vede come esecutore, in
realtà attraverso il suo modo di leggere
trasmette tanti significati e sensi. Se un
racconto piace o meno, se è avvenuto
quel “tipo” di comprensione, se di un
personaggio si sono colte certe caratteri-
LA MAGIA DELLE PAROLE
stiche anziché altre, ciò dipende in prima
istanza da come il docente ha saputo usare la voce. Egli è piuttosto un mediatore
fra il testo e il lettore: attraverso la sua
voce il racconto acquista un particolare
senso, che sarà comunque “ricreato” dal
bambino, interprete a sua volta del testo
ascoltato.
Navigare con la voce tra le parole
La lettura a viva voce, come peraltro
quella silenziosa, è sempre un viaggio interpretativo. Ogni viaggio, però, richiede
di saper effettuare delle scelte: bisogna
decidere quali strade percorrere e soprattutto quando proseguire e quando fermarsi, quando correre e quando rallentare, quando osservare e quando passare
oltre. Proprio da queste scelte dipendono
gli incontri “letterari” significativi che
cambiano e trasformano la nostra vita.
In particolare la voce, usata in modo tecnicamente consapevole, è un timone che
permette di navigare nel mare del testo.
È la voce che consente di esplorare, con
continue andate e ritorni, con innumerevoli uscite e rientri, tante zone testuali
imprevedibili e stimolanti. Ed è sempre
la voce che aiuta a non procedere in modo superficiale e disorientato, ma indica
invece i luoghi ed i posti migliori e più
significativi dove fermarsi, quelli che altrimenti si rischierebbe o di ignorare o
solo di intravedere. «Egli – scrive Daniel
Pennac – aveva una voce sonora e luminosa, un po’ ovattata, (…) senza che mai
una parola fosse pronunciata sopra un’altra. (La voce) andava delineando chiaramente le situazioni, dipingendo le scene,
incarnando i personaggi, sottolineando i
temi, accentuando le sfumature. La precisione della sua voce ci introduceva in
un laboratorio, la chiarezza della sua dizione ci invitava a una vivisezione».
L’insegnante, consapevole di tale responsabilità, spesso solo intuita, deve saper
guidare l’alunno in questo viaggio interpretativo, facendo sì che la sua lettura a
viva voce sia una reale e consapevole attualizzazione della sua interpretazione
del racconto. Nel preparare la lettura va
quindi prestata una rinnovata attenzione
alla scelta del tono (affettuoso, ammirativo, burbero, canzonatorio, rabbioso, triste, ecc.) e del timbro (forte, piano, sussurrato, ecc.) della voce. Infatti l’eviden-
ziare troppo e sconsideratamente tali elementi può generare un’interpretazione
troppo tagliata sulla propria soggettività.
Altro aspetto da curare è la pronuncia
chiara delle parole (dizione), evitando
nel contempo di cadere nell’eccessiva
lentezza. È molto frequente inoltre non
accorgersi di alcuni “vizi di forma”: andatura cantilenante; mancata pronuncia
della parte finale della frase o della parola; unione di più termini in un’unica
emissione abbastanza indistinta di voce.
L’aspetto interpretativo della lettura si
coglie soprattutto dall’uso sapiente ed accorto delle pause, che consentono di accelerare o di rallentare a seconda delle diverse zone testuali. Esse non hanno solo
una funzione di chiarificazione o di chiarezza espositiva, quanto piuttosto di trasmissione di significati e sensi. Dapprima
si osservano e si valutano i segni di punteggiatura che, molto spesso, vengono rispettati troppo meccanicamente. Si prosegue poi con il pensare alla collocazione
delle possibili pause discrezionali, cioè di
tutte quelle sospensioni della voce – pause di respiro e silenzi – che ogni lettore
inserisce a suo piacimento nel testo.
Le pause di respiro, che richiedono una
sospensione breve, simile a quella della
virgola, assolvono a precise funzioni
espressive: imprimono un ritmo narrativo al testo; favoriscono la comprensione
soprattutto nei testi con poca
punteggiatura; evidenziano
particolari elementi narrativi e
dirigono l’attenzione verso specifiche zone testuali.
Assumono inoltre rilevanza i
silenzi, pause di durata superiore al punto fermo, che provocano un singolare atteggiamento d’ascolto. La loro funzione primaria è di tipo motivazionale, nel senso che attraverso le pause si cerca o di “ricatturare” o di riattivare l’attenzione dell’ascoltatore in vista di un momento narrativo
particolare (un episodio nuovo, una svolta inaspettata della
storia, ecc.). I silenzi assumono
però una ben più importante
funzione espressiva: essi, se
adeguatamente collocati, fanno
risaltare le parole e le espressio23
IL PEPEVERDE
n. 3/2000
ni che si nascondono tra le pieghe della
narrazione. Inoltre i silenzi, rispetto alle
pause di respiro, danno una maggiore
possibilità di evidenziare in modo quasi
naturale le prime semplici figure retoriche (analogie, similitudini, metafore,
ecc.). È importante favorire l’incontro
dell’alunno con questi procedimenti stilistici perché essi caratterizzano la letteratura ed assumono anche una tipica funzione di formazione e di arricchimento
del pensiero e della creatività.
Ciò che importa è studiare una “strategia
di pause” che diano nell’insieme un senso interpretativo all’intera narrazione. Le
pause discrezionali vanno quindi collocate pensando non solo alla singola frase o
paragrafo, ma anche all’interpretazione
che dovrebbe emergere alla fine.
L’interpretazione del testo viene attualizzata anche studiando la giusta resa dei
tempi verbali. Sono essi i veri protagonisti della scansione ritmica, attraverso le
loro variate articolazioni. Secondo F. Frasnedi i verbi «non raccontano soltanto
storie di presente o di passato, di anteriorità e posteriorità; essi hanno la capacità
e la proprietà di caratterizzare il tempo,
di differenziarne la qualità, la dimensione, lo spessore, la finitezza o il contorno
indefinito». Per rendere il ritmo narrativo è quindi importante che il docente
colga l’ordine sequenziale con cui si pre-
INTERVENTI E INTERVISTE
sentano questi tempi verbali. Ad esempio, se si susseguono uno dopo l’altro
molti perfetti (o presenti storici) l’insegnante dovrebbe imprimere alla lettura
un ritmo incalzante e movimentato, che
suggerisca il fitto e rapido succedersi degli avvenimenti (sia le azioni esteriori, sia
i movimenti interiori dell’animo). Se invece ci si trova di fronte ad un continuato ripetersi di imperfetti, si dovrebbero
leggere quei passi con un andamento più
lento, più disteso, più cadenzato, più
modulato. Il ritmo del testo è quindi simile ad un’armoniosa melodia, che nasce
dall’articolarsi e dal succedersi in modo
vario soprattutto di questi due tempi. È
infatti l’accordo imperfetto-perfetto che
rende lo stile agile e mosso, per cui la voce diventa rapida, incalzante, forte e decisa sulla scrittura d’azione e frenata poi
sull’imperfetto narrativo.
Alcune riflessioni conclusive
Per i lettori professionisti, e quindi in
prima istanza per gli insegnanti, si tratta
di operare un ripensamento sul proprio
modo di intendere, di pensare e di eseguire la lettura a viva voce. Riascoltando
le proprie letture al registratore e discutendone in gruppo si può giungere così
sia al recupero delle proprie precomprensioni e preconoscenze sia all’individuazione e revisione di modalità interpretative abituali. L’obiettivo è il farsi interpreti consapevoli: che cosa voglio far
“sentire” di più al bambino? e perché?
per gusto personale oppure perché il testo mi lancia dei segnali speciali di tipo
letterario che devo saper cogliere? come e
quanto devo enfatizzare?
A tal fine sembra necessario il conoscere
gli aspetti teorici dell’atto di lettura ma
anche l’eseguire attività di lettura in
gruppo, mettendosi in gioco, senza il timore, spesso presente nei corsi di formazione, di sentirsi inadeguati o di sbagliare.
Nel farsi “lettori a viva voce” i docenti
debbono inoltre recuperare una propria
specificità professionale, evitando di assimilarsi od omologarsi agli attori o ad altri esperti che leggono ai bambini e ai ragazzi in modo molto “animato”. Non ci
si stancherà mai di ripetere che l’insegnante può e deve offrire una lettura arricchente e piacevole, ma diversa. Questo
non significa “scolasticizzare” la lettura o
renderla nuovamente noiosa come poteva esserlo in un passato anche non molto
lontano. Significa invece far percorrere
un certo tipo di viaggio interpretativo,
che può affiancarsi ed integrarsi con altri, altrettanto originali ed arricchenti.
Bibliografia
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J. Bruner, La cultura dell’educazione. Nuovi
orizzonti per la scuola, Feltrinelli, Milano,
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R. Cardarello, Libri e bambini. La prima formazione del lettore, La Nuova Italia, Scandicci, 1995;
U. Eco, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bompiani, Milano, 1979;
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E. Ferreiro, A. Teberosky, La costruzione della
lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze,
1985;
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(a cura di), Leggere prima di leggere. Infanzia e
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M. Livolsi (a cura di), Almeno un libro. Gli
italiani che (non) leggono, La Nuova Italia,
Scandicci, 1986;
A. Munari, Il sapere ritrovato. Conoscenza, apprendimento, formazione, Guerini & Associati, Milano, 1993;
D. Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli, Milano, 1993;
G. Petter, Fantasia e razionalità nell’età evolutiva, La Nuova Italia, Firenze, 1993;
C. Pontecorvo, G. Tassinari, L. Camaioni (a
cura di), Continuità educativa da quattro agli
otto anni, La Nuova Italia, Firenze, 1990;
R. Simone (a cura di), Un mondo da leggere,
La Nuova Italia, Firenze, 1990;
R. Valentino Merletti, Leggere ad alta voce,
Mondadori, Milano, 1996.
Prepariamoci a leggere a viva voce
- Leggere più volte individualmente il testo narrativo, cercando di entrare nella
polisemia del racconto per scoprirne diversificati aspetti e sensi. Anche per gli albi e libri illustrati, solo apparentemente semplici, va fatto questo lavoro.
- Eseguire una lettura personale “libera” e non “didattica” (in funzione degli
esercizi o delle attività da far svolgere ai bambini). La lettura “libera” lascia totalmente aperti e capaci di cogliere i diversi elementi narrativi (parole, espressioni,
figure retoriche, locuzioni, accostamenti, dialoghi, descrizioni, indugi, incisi,
ecc.) che rendono specifico ed originale un libro (specificità testuale).
- Valutare i segni di punteggiatura, osservando dove sono collocati e la loro interna significatività.
- Trovare i punti in cui collocare le pause discrezionali (di respiro e i silenzi).
Va prestata particolare attenzione alle pause di silenzio.
- Cogliere il ritmo narrativo (ora più lento, ora più veloce) in base alla successione delle sequenze narrative e descrittive, nonché dei diversi tempi verbali.
- Decidere il cambiamento del timbro e del tono di voce in alcuni punti della
storia. Attenzione a non eccedere nell’espressività.
- Individuare la possibilità di una “rilettura” di alcune parti interessanti, piacevoli e/o significative del testo (descrizioni, dialoghi, episodi).
- Collocare in modo diverso le pause discrezionali nella fase di rilettura. Il ritmo dovrebbe essere un po’ più lento o comunque “diverso” dalla prima lettura,
in modo da far risaltare aspetti testuali prima solo accennati.
e poi...
- Decidere se, quando e dove interrompere temporaneamente la lettura per
creare momenti di suspense.
- Scegliere le illustrazioni da mostrare durante la lettura di un albo o di un libro illustrato. Tale scelta va effettuata pensando agli obiettivi prefissati, ricordando che più sono frequenti le interruzioni “iconiche” più la storia si frammenta.
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Fiabe e racconti del Sol Levante
La letteratura
giapponese
per ragazzi
di Rita Casadei Okada
Fujiyama, Samurai, avanzatissima tecnologia e sfrenata occidentalizzazione sono
solo alcuni dei simboli con cui si è soliti
cristallizzare l’immagine del Giappone: è
comunque innegabile che l’attaccamento
alla tradizione e la proiezione, tenace,
verso il futuro costituiscono la sfida
odierna di questo Paese.
Accanto, dunque, a tutta quella produzione elettronica di giochi e animazioni
(ormai arcinote), è confortante scoprire
che la lettura rimane una risorsa valutata
ed apprezzata, e che trova la sua fonte
nella ricca ed affascinante tradizione orale così come nelle raccolte delle leggende
popolari. È proprio questo il mondo cui
desidero dar voce, sfatando un po’ la comune opinione che i bambini giapponesi
siano unicamente fruitori di un’elettronica pericolosa ed omologante.
Che cosa leggono i bambini del Sol Levante?
Le fonti
Le leggende popolari, cui molte storie e
fiabe per bambini attingono, risalgono a
diversi periodi e presentano diverse tipologie, e comunque provengono quasi essenzialmente dalla letteratura classica.
Tra i documenti letterari più rappresentativi della tradizione classica si trovano
il Kojiki (719 d.C.), il Konjaku monogatari e l’Ujishui monogatari (dodicesimotredicesimo secolo), l’Otogisohshi (quattordicesimo-quindicesimo secolo), la letteratura aneddotica, chiamata Setsuwa
Bungaku, e molteplici raccolte di farse
prodotte nel corso di diversi periodi.
La caratteristica comune a questa produzione letteraria è la predilezione per l’aneddoto, tipico della tradizione buddista, cui la cultura nipponica ha riconosciuto e riconosce preziose finalità didat-
tiche: combinandosi con gli elementi del
mondo fantastico e dell’immaginazione,
la realtà oggettiva e il relativo sistema di
valori ne costituiscono il necessario supporto ed il messaggio ultimo da acquisire
e consolidare.
Oltre al patrimonio della letteratura classica – che viene comunemente detta
mukashibanashi (letteralmente racconti
del passato) – riscuote un notevole successo una produzione contemporanea di
carattere informativo-narrativo, la collana “Denki”, che mette in fiaba la vita dei
grandi personaggi storici, sia del mondo
asiatico sia del mondo occidentale. In
questa particolare ed avvincente formula
– si tratta di avventure storiche – i singoli personaggi diventano protagonisti del
proprio eroico, vissuto in una cornice romanzata.
I contenuti
Scorrendo un calendario giapponese ci si
accorge di quante feste, ricorrenze ed anniversari vadano a colorare gli spazi di
ogni mese.
Si tratta di cerimonie, antichi riti che
continuano a trovare voce e spesso manifestazioni anche tra le sfide urbane della
tecnologia e del frenetico ritmo lavorativo. La sorpresa è ancora maggiore quando si viene a scoprire la diversa origine
da cui ciascuna festa deriva. Per lo più risalgono al mondo della campagna, che
ha caratterizzato per lungo tempo la storia della società giapponese, e la cui impronta non è ancora del tutto scomparsa.
I riti legati alla coltivazione del riso, ai
ritmi del lavoro nei campi, al cambio
delle stagioni, alle dinamiche di relazione
tra il vicinato, così come i riti propiziatori, le diverse divinità protettrici dei singoli eventi vengono ricordati come patri25
IL PEPEVERDE
n. 3/2000
monio culturale da tutelare, anche se, a
volte, solo a livello formale. Il tema delle
stagioni, in verità è molto sentito in
Giappone; la particolare attenzione alle
stagioni emerge sia nella letteratura classica – si possono trovare antologie di racconti legati alle diverse stagioni – sia nella vasta produzione di Haiku, brevi poesie evocanti sentimenti e suggestioni.
Il tema delle stagioni richiama il concetto di huzei e omomuki ga aru (atmosfera
suggestiva che invita ad una commossa
contemplazione della natura) molto presente anche nella quotidianità. I contenuti delle fiabe raccontano di leggende
che costituiscono l’antefatto dei riti e
delle festività. Ne è un esempio
Tanabata, ricorrenza festeggiata il 7 luglio, la cui origine è fatta risalire alla leggenda secondo cui per volere di un signore malvagio due giovani innamorati
vengono divisi da un fiume, e quindi impossibilitati ad incontrarsi. Solo un giorno all’anno è concesso loro di riabbracciarsi: in estate la costellazione amanogawa (letteralmente ponte celeste) ricorda questa unione, invitando alla speranza: in questa occasione i giapponesi (soprattutto nelle città di Sendai e Hiratsuka) sono soliti scrivere messaggi e preghiere su bigliettini che poi vengono legati al bambù.
Ancora oggi sentito e celebrato è il giorno dedicato ai bambini: il 5 maggio ogni
famiglia con bambini maschi decora balconi, finestre e giardini con particolari e
coloratissimi aquiloni, koinobori, a forma
di carpa. Un’antica leggenda, di origine
cinese, vuole che una carpa desiderando
ardentemente di risalire una cascata, e
riuscendoci dopo faticosi tentativi, si sia
poi trasformata in un drago. Divenuto
simbolo della forza, questo animale è sta-
INTERVENTI E INTERVISTE
to eletto per celebrare tale ricorrenza.
Questo discorso è servito come introduzione alla compresenza di diverse tradizioni nel patrimonio letterario giapponese: dalle credenze della cultura popolare
contadina, al pensiero buddista e shintoista, ai temi mutuati dal mondo occidentale.
Il manga serve per comunicare con il
mondo occidentale; il mukashibanashi
per fissare l’identità nazionale.
Se è vero che la letteratura per l’infanzia
trova nei mukashibanashi la sua espressione più tipica, è anche vero che ai
bambini giapponesi arrivano le fiabe dei
fratelli Grimm così pure quelle di Andersen, per non parlare dell’indiscusso successo di Pinocchio. Per quanto riguarda il
primo filone, autentico prodotto della
cultura giapponese, interessano sicuramente gli argomenti, gli schemi, i ritmi e
il linguaggio della narrazione da una parte, le illustrazioni e il formato dall’altra.
Per quanto riguarda il filone della tradizione occidentale sarebbe interessante valutare il processo della contestualizzazione della traduzione e degli eventuali “ritocchi” culturali.
La matrice comune delle leggende è rappresentata dalla coesistenza di tematiche
religiose, ispirate alla dottrina buddista e
alla tradizione shintoista, di storie permeate dello spirito confuciano, di argomenti dissacratori venati di sottile ironia,
quando non addirittura di marcato gusto
caricaturale. Una riflessione privilegiata
merita l’influenza esercitata dal buddismo nei contenuti delle favole. Ogni racconto dispensa immagini e suggestioni
pregne del significato di due concetti
fondamentali: dou e mu. Il primo si riferisce all’impostazione della morale, alla
via, al cammino spirituale; il secondo si
riferisce all’idea di vuoto, che nella tradizione buddista acquista inesauribili significati. Entrambi vengono praticati nella
formazione dei Samurai. Un tipico esempio è fornito dall’Heike monogatori (poema bellico che racconta la storia della famiglia Taira): l’insegnamento della via
serviva per accelerare il processo di crescita – era infatti molto importante divenire presto adulti – e a tal fine era indispensabile allenarsi alla pazienza e al controllo sull’egoismo, e contemporaneamente educarsi alla caducità del mondo
e della vita, comprendendo l’inutilità
dell’attaccamento al potere, dell’ostentazione e dell’arroganza. Dal sentimento
del vuoto si genera quel forte senso malinconico che traspare nel ritmo e nelle
parole del racconto. Malinconia e caducità sono considerate due sottili sensazioni che si deve imparare a cogliere fin dalla più tenera età.
La maggior parte delle leggende rispondono alla tipologia della “favola”, e trattandosi di novelle della tradizione orale
sono per lo più racconti brevi. In tutte
sono evidenti finalità di insegnamento
morale: i protagonisti – esseri umani,
animali, piante e cose – sono scelti spesso per costituire convenzionali tipizzazioni di difetti e virtù umane in funzione di
ammonimento e di esempio morale.
La visione del bene e del male non è
sempre dicotomica: non è raro incontrare una contaminazione tra le due parti,
come in Il cappuccio magico, in cui si
combinano sentimenti di vendetta e opportunismo a quelli di devozione filiale.
Tra le virtù quelle più celebrate sono furbizia e scaltrezza, ben espresse in Hachibei il dormiglione, genuinità ed onestà in
Il tesoro del cielo e il tesoro della terra,
mentre tematiche simili alle favole occidentali sono rintracciabili in Nukafuku,
Komefuku (la cui storia ricorda quella di
Cenerentola). Altri temi ricorrenti sono la
comunicazione tra vivi e morti, come in
Il dono del padre; il potere delle divinità
in Le Oni e la donnola della falce; la distribuzione di premi, ricompense e punizioni, in Il ricco trasformato in scimmia e
Roku Jizousama; e il gusto per il grottesco, evidente in Il monte Kachikachi.
Tra le più comuni ripetizioni spiccano i
seguenti passaggi narrativi: il tema della
magia legato ai poteri della divinità,
pronta ad intervenire per il protagonista
buono e devoto; il viaggio è sempre presente come elemento caratterizzante la
crescita ed è quindi in una dimensione di
necessità; la ricorrente derealizzazione,
extraspazialità e extratemporalità. La dimensione temporale, in particolare, è
giocata sul terreno della magia: ritorna
spesso la formula secondo cui l’eroe perde la cognizione dello scorrere del tempo: al ritorno dal magico viaggio si ritrova in un’altra dimensione temporale, pochi istanti trascorsi nel regno magico cor26
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rispondono a giorni, mesi o addirittura
anni come accade ad Urashimataro.
I demoni – oni – ora buoni ora malvagi,
compaiono e scompaiono abbracciando
il mondo dei vivi e dei morti. È curioso
segnalare che il “gioco” del movimento
di questi personaggi può essere rintracciato in una parte dell’ideogramma che
lo compone, mu – il nulla – quasi a rivelare i loro poteri magici di comparsa e
scomparsa repentina, dal nulla e nel nulla.
Un’ulteriore e tipica formula è rappresentata dalla richiesta alla divinità, da
parte di una anziana coppia di coniugi,
di avere figli: di consueto questa preghiera viene ascoltata ed esaudita con il dono
di figli devoti e dai poteri straordinari:
esempi tipici sono le celebri favole di
Momotaro (Il bambino della grande
pesca) e Kaguyahime (La principessa del
bambù). Il primo diventerà l’eroe che salva un paese dalla tirannia dei demoni, la
seconda è la devota figlia venuta dal cielo. Matrice dei racconti è la necessità di
contaminazione tra fantasticità e realtà
nei personaggi e nelle situazioni: antropomorfismo e personificazione di esseri
divini, demoni, animali, piante e cose
rappresentano il tipico magismo della
tradizione giapponese.
I personaggi presentano a volte una propria individualizzazione psicologica (come Ikkyu e Genji, rispettivamente protagonisti di aneddoti della filosofia Zen, il
primo, e protagonista delle vicende di
corte del periodo Heian, il secondo) altre
invece rientrano nella categoria dell’anonimia unicamente rappresentando un
esempio o un paradigma.
Spiccano il valore attribuito alla famiglia
dalla società giapponese, accanto alle importanti relazioni con il vicinato. Questo
rapporto costituisce uno dei topos delle
fiabe e delle leggende giapponesi: solidarietà e invidia tra i vicini, sono un’antinomia su cui si radicano moltissimi racconti e aneddoti: queste infatti implicano fortuna, benessere, solidità o calamità
per il villaggio, così pure per l’ambiente
urbano.
Queste fiabe (mukashibanashi) sono sorte non per essere intenzionalmente proposte ai bambini ma hanno sicuramente
tutti i requisiti per poter essere usate con
i bambini: le illustrazioni, peraltro molto
LA LETTERATURA GIAPPONESE PER RAGAZZI
ricche, e le animazioni, mediano e dosano il linguaggio, oltre a ridimensionare i
contenuti.
Contrariamente, questo secolo ha visto
la nascita di una produzione letteraria
appositamente pensata e realizzata per
l’infanzia. Tra gli esponenti più rappresentativi è Arishima Takeo, autore tradizionalmente impostato alla narrazione di
un mondo ideale e destinato ad un pubblico adulto, si è dedicato con passione
anche al pubblico dell’infanzia. Rivolgendosi ai bambini, lascia il mondo degli
ideali, privilegia il racconto del verosimile e del possibile quotidiano, con un alone tragico-drammatico. Arishima scrive
la verità, una verità disincantata, prediligendo temi quali il tradimento, la disperazione, la morte, la solitudine, l’egoismo
e il materialismo. La ragione di questa
scelta risiede nella convinzione della necessità di preparare lo spirito dei ragazzi
al senso della resistenza contro la tragedia,
la delusione e le avversità della vita. È bene che i ragazzi si costruiscano le proprie
difese il più presto possibile; secondo l’opinione dell’autore ciò giova alla loro
maturità e li prepara ad affrontare i casi
della vita con serenità e lucidità, allontanandoli dai pericoli dello sconforto. Nelle storie è sempre presente un personaggio che fa richiesta di aiuto: questo è un
espediente per sensibilizzare i giovani lettori a comprendere che la realtà è costituita da bisogni, e che la loro soddisfazione non è né banale né scontata, e a rispettare il valore della solidarietà. Far capire la realtà nella sua complessità è il
compito che Arisihima assegna a se stesso. Nella postfazione del racconto Hitofusa no budou (Un grappolo d’uva) l’autore scrive una lettera indirizzata proprio ai
suoi giovani lettori: «Fanciulli, ringraziate i vostri genitori, agiati o disagiati, per
il sostegno e l’amore che vi hanno donato: partite per il viaggio della vita facendo tesoro di questi doni; il viaggio è lungo e buio, ma non temete. A chi dimostrerà di non avere paura si aprirà la strada. Andate avanti con coraggio, fanciulli».
La letteratura contemporanea per ragazzi
riconosce la necessità di qualificare la
scrittura come attività guidata da precise
intenzionalità: vuole suscitare suggestioni
che a loro volta devono essere decodifica-
te, interpretate e tradotte in pratica. In
quest’ottica, Arishima vuole contribuire
a fornire un aiuto propedeutico al processo di maturazione e fortificazione dello spirito dei giovani.
Il linguaggio
Le formule di cortesia e l’uso di onorifici, sono elementi imprescindibili nella
comunicazione interpersonale e costituiscono un approccio autentico alla complessa dinamica delle relazioni interpersonali, in prevalenza basate su un ordine
fortemente gerarchico. Il lessico rivela
questa rigida gerarchia dal momento che
all’appartenenza di un ruolo o di un rango sociale definito corrisponde un codice
ben preciso, ma non solo, vi è inoltre un
codice lessicale esclusivo dei due diversi
generi: maschile e femminile.
In questo caso i protagonisti e i personaggi delle fiabe, in genere, parlano diversi linguaggi tutti concorrenti a definire e meglio caratterizzare il loro profilo, i
loro compiti, la loro posizione nella storia.
Un’ulteriore peculiarità è l’impiego di
onomatopee, particolarmente amate dalla lingua giapponese: risultano piacevoli,
divertenti ed immediate.
Formato
Partiamo subito con il considerare la flessibilità con cui i bambini si avvicinano
ed usano il libro, facendo alcune considerazioni legate alla lingua giapponese.
Secondo la tradizione l’apertura dei testi
procede da destra verso sinistra, così anche la scrittura che peraltro prevede l’andamento verticale; ma si trovano anche
molti volumi che presentano tutte le caratteristiche “tecniche” dei libri occidentali. Per i lettori non costituisce nessuna
difficoltà passare da un formato all’altro,
così come gestire la molteplicità dei codici tipica della lingua giapponese. I bambini imparano subito a gestire l’alfabeto
(hiragana), l’alfabeto riservato ai suoni
stranieri (katakana), e il sistema ideografico (kanji); anzi è comune incontrare
nei testi per bambini un particolare sistema di scrittura chiamato rubi che li comprende tutti, fornendo la pronuncia corretta di un ideogramma ritenuto di difficile comprensione.
Le illustrazioni presentano generalmente
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IL PEPEVERDE
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una apprezzabile ricchezza cromatica e di
particolari, a testimonianza di una forte
ricerca di autonomia espressiva. Una curiosa consuetudine è rappresentata dal
fatto che raramente i personaggi esprimono caratteri somatici tipicamente
orientali. Gli occhi sorprendentemente
grandi dei fumetti rivelano il desiderio
del nuovo, ma anche il tentativo di risolvere, in maniera forse ingenua, il loro
complesso della diversità rispetto al
mondo industrializzato e potente (di cui
il Giappone è l’unico rappresentante
orientale) che è essenzialmente occidentale.
Le implicazioni sociali
Per concludere vorrei esprimere alcune
considerazioni sul valore e sulla funzione
sociale e relazionale delle favole. La presenza, quasi consueta, di una guida all’interpretazione in chiave morale del significato della favola lascia intendere la
volontà (che in Giappone è necessità) di
fissare, in una rigida cornice, il sistema di
valori della società giapponese, incanalando in quella direzione il pensiero e l’azione dei bimbi. Tra i più importanti valori sociali comunicati mediante la favola
occupano il primo posto il rispetto per la
gerarchia dei poteri, e per quella generazionale, a sostegno dei quali gioca un
ruolo fondamentale l’impiego di un linguaggio elaborato ed oltremodo ossequioso, accompagnati dal sacrificio e dall’obbedienza celebrati come virtù necessarie e funzionali al raggiungimento del
consenso sociale, vero motore, in Giappone, delle relazioni interpersonali.
Poco spazio viene riservato alla dimensione creativa, tanto che l’unicità non è
quasi mai connotata positivamente costituendo piuttosto un elemento di disturbo dell’armonia sociale: uniformità e
omogeneità sono le regole della convivenza che è bene imparare subito.
È sempre percepibile una sottile voce che
invita e addestra all’ubbidienza, alla rassegnazione, all’ordine, all’agire in conformità delle regole per ottenere il plauso
della comunità. Non mancano le contraddizioni per cui spesso le antinomie
quali ricchezza/modestia, moderno/antico, orgoglio/umiltà sono partecipate in
una medesima storia e spesso in uno
stesso personaggio.
Dalla parte dei giapponesi
Da Æeidi
a Goldrake
di Marco Pellitteri
Il titolo di quest’articolo è un preciso
omaggio a Gianni Rodari, che già il 17
ottobre del 1980, su “Rinascita”, n. 41,
pubblicava un illuminato pezzo intitolato Dalla parte di Goldrake. Ma veniamo
subito a noi.
Gli anìme, abbreviazione nipponica di
animation, sono i famosi disegni animati
giapponesi, giunti presso la tv italiana
nel 1976 grazie alle serie Vickie il Vichingo e Heidi, e definitivamente consacratisi
con Atlas Ufo Robot (ovvero Goldrake)
dal 1978 in poi. Da quegli anni fino a
oggi, centinaia di serie televisive hanno
percorso il nostro etere. Ora, le varie polemiche che questi serial suscitarono e
ancor oggi suscitano fra educatori, genitori, psicologi e sociologi, hanno prodotto rumori talmente elevati da disperdere
l’effettivo contenuto delle critiche e delle
perplessità, o almeno di quelle in qualche modo legittime.
In buona sostanza: perché fanno tanta
paura, ancor oggi, Lady Oscar e
Mazinga?
Le modalità di fruizione: tutti e subito
Ciò che salta all’occhio con una certa facilità nella “storia” italiana di questi cartoons è la selvaggia programmazione con
cui sono stati proposti nel nostro paese:
nel giro di un decennio, cioè dal 1976 al
1986, sono state trasmesse su tutto il territorio nazionale centinaia di serie, praticamente un numero simile a quello degli
anìme prodotti in Giappone in più di un
ventennio. Per capire le ragioni di questa
“colonizzazione” televisiva, che non è
mai dipesa dai giapponesi e che continua
ancor oggi, basti far notare il basso prezzo delle singole serie, il fatto che era assicurata la garanzia di una buona fattura
del prodotto e ancor di più la sua inno-
vatività tematica e formale rispetto ai
classici cartoon americani Disney,Warner
Bros e Hanna & Barbera. Quella che
avrebbe potuto essere un’operazione di
costruttivo e “indolore” rinnovamento
dell’immaginario fantastico televisivo dei
ragazzi degli anni Ottanta, involontariamente si rivelò essere anche un’arma a
doppio taglio: tutti i serial vennero trasmessi con cadenza giornaliera, cosa che
accade ancor oggi per tutti i prodotti seriali d’importazione, quando invece in
Giappone è sempre stata prevista una
programmazione settimanale; tutte le reti, Rai, Fininvest e le miriadi di emittenti
locali, presero a mandare in onda questi
seducenti prodotti per parecchie ore al
giorno (fino a sei-sette), producendo nei
genitori una sorta di overdose da
Mazinga. Si parlò, in termini tutt’altro
che ironici, di “pericolo giallo”, di
“Grande Fratello dagli occhi a mandorla”...
C’è da dire che non tutte le fobie erano
infondate: esasperate e sproporzionate sì,
ma basate sulla corretta sensazione di
un’effettiva possibilità di “indigestione”
da tv. L’incomprensione dell’opinione
pubblica italiana, ma anche dei sociologi
e del sistema dell’informazione, in quel
periodo, fu però in larga misura generata
da un falso problema: molti identificarono la fruizione della tv da parte dei minori con la visione degli anìme, e invece i
ragazzi, in concomitanza dell’avvento dei
network privati e del vertiginoso aumento delle ore di programmazione quotidiana, iniziarono a guardare tutta la tv (tg,
telefilm, film, quiz, varietà, per tacere
della pubblicità) per molte più ore al
giorno di quanto non avessero fatto i ragazzi del dopoguerra. Gli anìme si trovarono nel bel mezzo di questa situazione
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IL PEPEVERDE
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di boom televisivo e toccò loro far la parte del capro espiatorio, anche a causa
della preponderanza mediatica, in Italia,
dei modelli americani.
La forma: linguaggi, regia, colori,
movimenti
Ancor oggi molti pensano che i disegni
animati giapponesi siano “generati dal
computer”. Gli anìme in realtà sono realizzati con tecniche quasi completamente
artistiche e artigianali, e solo per alcune
scene viene richiesto l’ausilio della computergrafica, per massimizzare un particolare effetto luminoso o dinamico. Comunque, anche tralasciando il fatto evidente che ormai da parecchi anni sono
più i cartoon Disney a basarsi sul computer (ma questo nessuno si sognerebbe
di criticarlo, per carità), e che in ogni caso il computer è uno strumento come un
altro per produrre entertainment a forte
tasso di spettacolarità che a nostro parere
non andrebbe osteggiato, ciò che davvero
conta nella qualità dell’animazione seriale nipponica rispetto a quella occidentale
è quella stessa serie di fattori formali che
turbarono e turbano così tanto i “tradizionalisti” e gli affezionati del cartoon
americano: la regia analoga a quella di un
telefilm live action, l’uso accorto e articolato di espedienti tipicamente cinematografici come le dissolvenze incrociate, i
montaggi paralleli, il flashback e il flashforward, la narrazione fuori campo e le
voci off, l’estremo dinamismo dell’azione,
l’uso frequente dei primi piani e dei movimenti di macchina (zoom, carrellate,
panoramiche). Dalla staticità di serie tv
americane come Gli Antenati, basate più
sulla gag grossolana e su un’animazione
di scarsa fattura, i bambini e i ragazzi che
vissero quel singolare, irripetibile periodo
DA HEIDI A GOLDRAKE
televisivo (a cavallo fra gli anni Settanta e
gli Ottanta) passarono alla visione di serial di inusitata complessità linguistica.
E, con la spontaneità e l’intelligenza dei
più piccoli, istintivamente “capirono” il
messaggio: gli autori giapponesi avevano
osato fare ciò che agli occidentali non era
quasi mai passato per la mente, cioè di
trattare i bambini come “esseri pensanti”.
Infatti l’uso regolare di un linguaggio cinematograficamente serrato e “adulto”
spinse quella generazione di spettatori (e
quelli che li avrebbero seguiti nel tempo)
a un precoce, “istintivo” e approfondito
apprendimento delle tecniche linguistiche della fiction televisiva; essi vennero
immersi, come Achille nello Stige, nel
Virtuale Televisivo e nei suoi linguaggi,
rendendosi molto meno vulnerabili di
quel che si pensi nei confronti del “mostro tv”. Certo, la pervasività del mezzo
televisivo per questa generazione fu dovuta anche ad altri fattori, in primis la
forte esposizione, la varietà dei formati di
programmazione e l’introduzione del telecomando – che ha prodotto, mediante
lo zapping, modalità di lettura multilineare e, in un certo senso, ipertestuale –
eppure gli anìme furono e tuttora sono,
per quanto ci risulta, fra i pochissimi
programmi tv per ragazzi che non presentino nocivi atteggiamenti di accondiscendenza nei confronti dei piccoli spettatori. Chi guardò, all’età di quattro, nove o tredici anni, opere come il citato
Goldrake o l’altrettanto celebre Lupin III,
probabilmente non si sarebbe mai aspettato di fruire di una narrazione “in soggettiva” da parte del protagonista o di assistere a un mirabolante e ipercinetico
inseguimento automobilistico da cardiopalma: era troppo assuefatto alla noiosità
visiva dei “pupazzetti” made in Usa per
non reagire entusiasticamente a cotanta
rivoluzione formale. Ma tant’è.
I contenuti: robot, orfani, realismo,
risate, lacrime e fantasia
Gli anìme sono opere dell’ingegno e della
passione: i loro autori imprimono nei loro lavori non solo dei contenuti narrativi
volti all’intrattenimento del fruitore, ma
anche una personale visione del mondo.
Essa è in parte condizionata dal contesto
sociale in cui gli autori stessi sono cresciuti, e in parte dai mille input ricevuti
dalle altre grandi tradizioni culturali, soprattutto il mondo europeo e quello
americano, ma una cosa è certa: gli anìme sono espressione di una cultura che,
per quanto sia aperta all’altro (e dal
Giappone potremmo imparare in tal senso), sa miscelare e far proprie a suo modo
le influenze esterne, avvalorandole e allo
stesso tempo rendendole “digeribili” dal
suo popolo, così avvolto tra il passato
delle sue tradizioni e il futuro della sua
iperindustrializzazione.
È per questo che il tema fantascientifico
del robot, di cui gli Usa sono i tradizionali depositari, negli anìme si è trasfigurato fino a rendere come suo cardine il
concetto di guerriero-armatura gigante
pilotata dall’uomo (vedi Mazinga Z,
Daitarn III, Gundam, Evangelion, ecc.); è
in questo modo che i giapponesi hanno
saputo riscrivere in modo gradevole e sofisticato dei classici della letteratura occidentale per ragazzi come Heidi di Johanna Spyri o Sarah Grewe (in Italia, il serial
Per saperne di più
Fra i testi avveduti e aggiornati sugli anìme, segnaliamo l’ottimo e imprescindibile Luca
Raffaelli, Le anime disegnate, Castelvecchi, Roma, 1994, che esamina anche i cartoon Disney e le altre scuole di animazione americana; il recente special “IF - Immagini & Fumetti”, marzo 1999, Epierre, intitolato Mangamania, un ponderoso e dettagliatissimo volume che percorre da cima a fondo i rapporti fra gli anìme e l’Italia, ricalcando in buona
parte il pionieristico special “IF” del 1983, dal titolo Orfani e Robot, a cura di Alfredo Castelli e Gianni Bono. Con riguardo al problema televisivo più in generale, rimandiamo al
puntuale e preciso I figli della tv. Una ricerca su bambini e televisione, a cura di Piero Bertolini e Milena Manini, La Nuova Italia, Scandicci, 1988; Anna Oliverio Ferraris, Tv per
un figlio, Bari, Laterza, 1995, da segnalare per la lucidità delle argomentazioni. Sono recentemente apparsi nella rubrica Scripta manent, sulla defunta rivista “Man Ga!”, nn. 0-9,
agosto 1997 - luglio 1998, Bosco, Star Comics, degli interessanti articoli di Silvio Andrei.
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IL PEPEVERDE
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Lovely Sarah) di Frances Hodgson Burnett; è così che l’idea del disneyano Eta
Beta, l’uomo del futuro, viene rielaborato
con umorismo e attenzione pedagogica
con il gattone-robot Doraemon; è grazie a
un’umiltà culturale senza paragoni che i
giapponesi hanno saputo rileggere i topoi
del romanzo rosa otto-novecentesco à la
Carolina Invernizio per ideare soap-operas
di sicuro effetto come Candy Candy, ma
con l’aggiunta di un sano e vigoroso femminismo, o rileggere i clichés della letteratura popolare d’appendice europea à la
Dumas per costruire feuilletons fantastorici quali Versailles no bara (La rosa di
Versailles, in Italia Lady Oscar). E questo
potrebbe essere solo l’inizio di un valido,
sterminato elenco, ma preferiamo fermarci. Ciò che conta qui è notare che la
“violenza” realistica dei disegni animati
giapponesi, così “seria” e cruda rispetto a
quella, ben più nascosta, paradossale e
surreale dei cartoon comici americani, fu
vista con preoccupazione dall’opinione
pubblica italiana per la totale diversità
degli stilemi proposti dagli anìme. Ma il
concetto è che gli autori del Sol Levante
hanno la lungimiranza di voler parlare ai
ragazzi e ai bambini un linguaggio articolato, rispettoso, “paritario”: invece di
edulcorare i problemi reali, gli anìme li
tengono presenti, invece di delineare eroi
senza macchia e nemici a tutto tondo, si
scopre che nessuno è completamente
bianco o nero; un argomento taboo in
occidente, il sesso, viene narrato con
semplicità e serenità, ponendo gli spettatori di fronte alla fondamentale questione della propria sessualità, completamente e ingiustificatamente rimossa nei prodotti europei per la gioventù. E così via.
Quello che allora i genitori di oggi possono fare, per non ripetere gli errori di
quelli di ieri, così terrorizzati da
Mazinga, novello babau (ma solo per gli
adulti), è accostarsi con una disinvolta
apertura culturale nei confronti degli
anìme, tenendo sempre a mente che questi serial provenienti da lontano vanno
guardati prima di essere giudicati e vanno capiti prima di essere rifiutati. Chissà,
gli anìme potrebbero anche piacere ai genitori di oggi, come al mio papà, a suo
tempo, inaspettatamente, “incomprensibilmente” e irresistibilmente, piacque
Goldrake.
Una Casa Editrice in primo piano / Franco Cosimo Panini
Con tutti
i sensi
di Antonio Leoni e Giuseppe Assandri
Il nome Panini è certamente familiare a
tutti gli italiani e ci riporta inevitabilmente alle figurine calciatori, attraverso
le quali, da piccoli, abbiamo intrecciato
raffinatissime strategie di vendita e di
scambio talvolta al limite del ricatto con
altri piccoli collezionisti, per completare
il fatidico album annuale, alla fine sporco e imbottito di colla, ma pur sempre
completo… anche negli scudetti!
Per un genitore o un educatore d’oggi,
sentire quindi il nome Panini significa ricordare subito l’infanzia e riaccostarsi
con fiducia a chi di bambini se ne intende e a chi per i bambini ha dedicato sforzi e ricerca di intere generazioni.
Le cose comunque sono andate avanti e
anche per la Panini ci sono stati importanti cambiamenti.
Infatti, è alla fine degli anni Ottanta che,
per volontà dell’editore Franco Cosimo,
avviene la cessione della Edizioni Panini
S.p.A., famosa in tutto il mondo per la
produzione appunto delle figurine. La
Casa editrice si rinnova e incomincia
un’altra avventura editoriale con il nome
Franco Cosimo Panini Editore. All’interno della nuova Casa editrice viene creata
la redazione “Franco Panini Ragazzi”, decisamente orientata verso la produzione
editoriale per la prima fascia d’età. La sua
fortuna deriva dalla validità della sua offerta editoriale e dalle sue scelte ben precise e riconoscibili.
Intanto la Casa editrice modenese ha intuito, in sintonia con i successivi orientamenti pedagogici, che la formazione linguistica e culturale dei bambini in età
prescolare, o in primissima età di scolarizzazione, diventava uno degli aspetti
nuovi dell’educazione e che quindi si
aprivano grandi spazi per produzioni
editoriali orientate verso la fascia d’età
dei piccolissimi, da zero a 7-8 anni.
Gran parte infatti delle sue collane sono
studiate proprio per il primissimo approccio verso il libro.
La Franco Panini e i “piccoli piccoli”
«Togli le mani da quel libro… sei troppo
piccolo, non vedi che lo stai distruggendo?».
Quante volte abbiamo ascoltato questo
grido di rimprovero lanciato verso il più
piccolo della famiglia, impegnato a girare
velocissimamente le pagine di un gran libro del cui significato, intuito come importante, cerca di appropriarsi. Oltre alle
figure lo attira come è costruito, con quel
gioco girevole delle pagine che spesso
possono contenere delle nuove sorprese.
Sui principi della curiosità, della scoperta, del gioco e della manipolazione sono
ideati e costruiti tutti i libri della Panini
per la fascia prescolare. Vediamone alcuni e le principali collane.
Prendiamo ad esempio la collana “I Cuscinotti”. Il libro diventa un oggetto totale da esplorare con tutti i sensi: è un
cuscino che si può toccare, stropicciare
ed anche utile per appisolarsi, impegna la
vista con le immagini delle storie che
contiene, crea meraviglia con i suoi dispositivi sonori, parla al bambino attraverso la voce della mamma che può rassicurarlo e leggergli le filastrocche sul giorno e sulla notte, come delle cantilene,
delle ninnananne.
Con gli stessi criteri sono realizzate le altre collane da zero a cinque anni: il libro
è sempre prima di tutto un oggetto di
gioco, bello e attraente che non si limita
a presentare figure dai colori squillanti e
riconoscibili, ma che prevede anche sempre l’intervento attivo e manipolativo del
bambino.
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IL PEPEVERDE
n. 3/2000
Situazioni quotidiane scontate per noi,
eppure importanti per i bambini, vengono proposte per esempio nelle collane
“Pippo l’Orsetto” oppure in “I Coriandoli”. In esse si punta molto sul riconoscimento del prima e del dopo, sulla
consecutività delle azioni e delle storie,
sulle prime discriminazioni visive e concettuali. Finestrelle, flap, bottoni veri da
infilare nelle asole, linguine da tirare per
cambiare situazione, diventano momenti
importanti di conoscenza e spunti per
una continua rilettura. Alla curiosità di
seguire lo svolgimento della storia sono
sempre inserite ulteriori sorprese interne,
come nella collana “Gioca e scopri” o
nella collana “Tira e molla”, con pagine
da tirare per svelare situazioni nascoste “a
tasca”. Le immagini sono sempre ben
evidenti e significative del testo.
Ma la vera novità della produzione editoriale della Panini per questa età è la rivoluzione operata nel formato del libro,
che prima di ogni cosa attira come un
giocattolo proprio per le sue forme inusuali e divertenti, come la collana “I
Dondolibri” o la collana “Bat-Bat”. Quest’ultima, ideata da un genio della cartotecnica come Pienkowski, autore dei famosissimi “Phone book”, “Door Bell”,
“Road Hog”, consiste in una serie di piccoli libri che non solo hanno la forma
degli animaletti che rappresentano (un
ragno, un polipo, una rana, ecc.) ma vere
e proprie zampe, tentacoli o ali in tessuto: oltre ad essere letti possono anche diventare dei burattini con cui giocare.
Imparare interagendo con il libro, significa quindi renderlo familiare, farlo proprio all’interno degli schemi possibili di
gioco e di crescita dei bambini. Il libro
non si legge solamente, lo si vive. Particolarmente significative a questo propo-
CON TUTTI I SENSI
sito sono le collane “Librincerchio”,
“Apri piega e costruisci” e “Librincasa”.
Con la tecnica della ricostruzione totale
a tre dimensioni, il libro esce fuori da se
stesso, diventando una vera e propria casa delle bambole o un ambiente familiare
come la fattoria. In queste vere e proprie
piccole case si possono reinventare moltissime storie, rivivendo infinitamente il
contatto e il piacere del libro. Addirittura
con “Librincasa” i bambini possono creare degli ambienti molto grandi come un
castello o la casetta della Pimpa, in cui
entrare veramente, leggere, giocare, ricevere ospiti o drammatizzare da soli o con
altri le loro storie inventate.
In questo caso il libro diverte e rassicura
anche fisicamente, divenendo una vera e
propria piccola casetta in cui rifugiarsi e
fantasticare.
Il libro come oggetto esperienziale
Nelle proposte della Panini il libro diventa “comunicazione totale”, capace di
stimolare i bambini nei modi più diversi.
Molti volumi propongono direttamente
di smontare le pagine fustellate per ricreare in scala gli ambienti descritti a tre
dimensioni, come i tre volumi di Baldari/Mazzali, Il Centro, Il Parco, La fiera,
che messi insieme danno vita ad uno
straordinario paesaggio urbano in cui inserire macchinine e abitanti.
D’altra parte la propensione della produzione di questa Casa editrice verso il pop
up e la tridimensionalità è ormai consolidata se si arriva a proporre non solo per i
piccoli, ma anche per gli adulti che lavoreranno con i bambini, dei libri di divulgazione scientifica che sono dei veri e
propri capolavori di cartotecnica: ci riferiamo in particolare ai prodotti della collana “I Tridimensionali”, con cinque titoli: Cervello, Musica, Architettura, Matematica, Arte e Formula1.
Libri indubbiamente da mostrare ma soprattutto da collezionare, questi volumi
di Ron van der Meer, allievo di Hunt,
forse il più grande paper engeneer di questo secolo, fondatore dell’Intervisual
Communication, stupiscono per il loro
rigore scientifico e per gli esperimenti facili e coinvolgenti che propongono attraverso trovate geniali di ingegneria pop
up che attraggono anche il più scettico
dei lettori.
Un catalogo molto variegato
Non manca la narrativa nelle proposte
della Panini. Un’intera collana, “Le Due
Lune”, offre in modo graduato sia rispetto all’età che al genere letterario una serie
di tascabili in cui ci sono anche notevoli
proposte di autori stranieri e italiani.
Per i ragazzi più grandi ci sono titoli da
non trascurare, nella sezione “Narrativa
classica contemporanea”, vere e proprie
proposte di lettura su cui ci si può indirizzare a colpo sicuro per la qualità degli
autori presenti. Segnaliamo tra i titoli
presenti La Corona di carta di Renate
Welsh, Il circo di Zorro di Jo Pestum.
Particolarmente bella e attraente, sia per
la scelta delle illustrazioni che per le brevi e divertenti storie narrate, ci è sembrata la collana “Le Due Lune a Colori”, rivolta ai bambini di 5-7 anni.
Una combinazione indovinata di autori,
ciascuno dei quali cura una serie di storie
legate ad un personaggio fisso e facilmente riconoscibile dai bambini, che
spesso si affezionano ai loro piccoli eroi e
vogliono che le loro avventure continuino all’infinito. È il caso ad esempio dei
racconti della Pimpa di Altan, di Piccolo
diavolo di Perrone, delle avventure di Palito di Doumerc o di quelle del Piccolo
fratellino di Joly. Ma tra tutte si distingue
la serie delle storie di Mini della Nostlinger. Buffa, divertente e ostinata Mini è la
ragazzina che tutte le bambine vorrebbero essere, riconoscendosi nei suoi desideri, nelle sue comiche disavventure ma anche nei suoi successi, sempre raggiunti
con caparbietà e decisione.
Illustrazioni squillanti, caratteri grandi,
sia stampati che in corsivo, storie brevi e
facili nel linguaggio, hanno reso la collana
de “Le Due Lune a Colori” talmente nota
che spesso questi agili libretti vengono citati nelle antologie scolastiche o direttamente letti in classe in quanto si prestano
benissimo ad una lettura ad alta voce.
Anche per i ragazzi più grandi ci sono titoli da non trascurare, nella collana “Le
Lune Magiche”, vere e proprie proposte
di lettura su cui ci si può indirizzare a
colpo sicuro per la qualità degli autori
presenti.
Segnaliamo tra i titoli presenti Angelo custode cercasi di Christine Nöstlinger e L’estate di Susanna di Giusi Quarenghi, dalla prosa delicata e coinvolgente, presente
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IL PEPEVERDE
n. 3/2000
nel catalogo Panini anche per fasce più
giovani d’età, grazie alla sua poliedrica
produzione.
La Pimpa e la Franco Panini Ragazzi,
un binomio inscindibile
Moltissimi albi illustrati sono dedicati agli
eroi dei fumetti amati dai bambini, come
“I Puffi”, “I Flintstones” e “Tom e Jerry”.
Però la vera primadonna della Casa editrice è la Pimpa, la simpatica cagnetta bianca a pois rossi, disegnata da Altan.
Tratti semplici e netti, immagini grandi e
coloratissime, rendono immediatamente
riconoscibili e irresistibili i volumi in cui
lei è presente. Da “Le Due Lune a Colori”, a “I Cubetti”, dagli “Imparalibri” a
Pimpa e le carte gemelle, per ricordare solo
le serie più importanti, la scelta sulla Pimpa è davvero vasta. Pimpa vive sempre un
sacco di avventure e poi si traveste, si diverte, parla e gioca con la stessa spontaneità di un bambino. E i bambini la guardano come lo specchio dei loro pensieri e
delle loro azioni, vere o sognate.
Oltre alla già vasta produzione, sul personaggio di Pimpa la Franco Panini Ragazzi presenta queste novità:
- Cresci cresci fiorellino. Il metro di Pimpa:
un libro che si svolge e che da una parte
presenta una storia e dall’altra si trasforma in un metro da appendere e da usare
per misurarsi;
- “Pimpagioca”, una nuova serie di libri
cartonati e fustellati che presentano ai
bambini facili giochi tattili;
- Gli “Imparalibri in inglese”, quattro
nuovi titoli interamente in lingua inglese
pubblicati sulla scia del successo dei primi quattro titoli, facilissimi e adatti per
avvicinare anche i piccolissimi alle prime
nozioni della lingua straniera.
Inoltre in edicola ci sarà una nuova serie
di fascicoli, dal titolo “Il mondo di Pimpa”, che inizierà ad uscire alla fine di
marzo. Si tratta di una rivista completamente nuova perché ogni numero tratta
un solo tema come: la campagna, i viaggi, il mare, la casa. La Pimpa invita i
bambini a scoprire e a imparare tutto su
quell’argomento, attraverso due nuove
storie e una ricca serie di attività e di giochi. A completare la novità della rivista
un bellissimo teatrino di cartone da
montare e facilissimo da usare (in regalo
con il primo numero).
INTERVENTI E INTERVISTE
La Pimpa in casa
Intervista a Laura Panini
Come si potrebbe definire in poche
parole il Dna della Franco Panini
Ragazzi, alla radice delle scelte di
fondo della Casa editrice?
Il principio ispiratore del progetto alla
base delle nostre scelte parte dal presupposto che il libro è uno strumento
di crescita critica dei bambini dal punto di vista intellettuale, dal punto di vista estetico e dal punto di vista dei valori. Questo principio si sintetizza nella
funzione educativa che ogni libro deve
avere e che ci ha portato a fornire una
sorta di garanzia pedagogica a tutta la
nostra produzione. Anche quando prepariamo prodotti caratterizzati da personaggi più “commerciali”, per esempio Puffi o Tom e Jerry, non pensiamo
mai che basti attaccare “una qualche”
immagine e “una qualche” parola a
“qualche” foglio per fare un libro: deve
sempre esserci una ragione, un obiettivo funzionale che giustifichi e supporti
la nostra scelta.
In un mercato sempre più affollato di
proposte e di novità, come si colloca e si
caratterizza la vostra produzione per
la prima infanzia?
Se parliamo di prima infanzia, cioè di
bambini sotto i tre anni, definirei la
nostra produzione con due termini:
onesta e seria. Voglio dire che non pretendiamo, con i nostri libri, di sostituire il primo motore della conoscenza
che è l’esperienza, il rapporto diretto
con le cose, col mondo, con la vita, ma
pensiamo che nel quotidiano dei bambini ci sia lo spazio per venire a contatto con un oggetto diverso, il libro, che
parla un suo linguaggio particolare, che
apre le porte dell’immaginario, che rappresenta la realtà in modo simbolico e
nel quale si può entrare con lo stesso
stupore esplorativo con cui i bambini
affrontano le cose. Ho usato non a caso
il termine entrare perché ritengo che i
nostri prodotti che rappresentano meglio questo principio siano i “Librinca-
sa”: si presentano come libri, si aprono
e smontano per diventare casa in cui
entrare (alta un metro!), e si “leggono”
le pareti. Credo che Pimpa in casa sia
uno dei migliori prodotti editoriali per
i bambini sotto i tre anni, ovviamente
grazie ad Altan.
Dal suo punto di osservazione, come
valuta il moltiplicarsi di iniziative che
in vario modo si propongono di
“promuovere la lettura”?
Penso che per un bambino la migliore
promozione alla lettura sia da un lato
essere circondato da un ambiente attento e da adulti che leggono, dall’altro venire a contatto con libri che valga la pena leggere, facendo pulizia di tanta
merce in circolazione; inoltre bisognerebbe evitare che il libro venga “scolarizzato”, ovvero identificato con l’obbligo pedante e noioso del compito. Esistono comunque delle iniziative di promozione sicuramente utili, buone, stimolanti: quando si riesce a far capire ai
potenziali lettori che non si legge tutti
nello stesso modo e nello sesso tempo,
che un libro non finisce con l’ultima
pagina, ma si può rileggerlo e ritrovarlo
completamente diverso, che nessuno
può venirti a dire che cosa c’è scritto
perché solo tu sai che cosa ci puoi trovare, che per ogni libro che leggi stai in-
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IL PEPEVERDE
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ventando un mondo diverso, allora va
molto bene la promozione alla lettura.
Chi attraversa il centro di Modena
scopre che la Pimpa è la protagonista
(o la testimonial?) di un’originale
segnaletica stradale “a misura di
bambino”. Ci racconta in breve com’è
nata l’iniziativa?
L’idea di realizzare una segnaletica per
bambini che avesse la Pimpa come insolito Cicerone è venuta all’Assessorato
alla PI del Comune di Modena, che
circa tre anni fa aveva compiuto un
esperimento simile in un nuovissimo
quartiere progettato a misura d’uomo,
ma soprattutto di bambino, ottenendo
un grande successo.
Ci può dare qualche anticipazione sui
vostri programmi editoriali per il
prossimo futuro? La parte del leone la
faranno sempre i libri per la prima
infanzia o prevedete anche di
sviluppare la produzione per altre fasce
di età?
Noi continueremo a privilegiare i bambini fino a sette anni, anche perché saranno ancora i libri della Pimpa quelli
cui dedicheremo maggiore attenzione
con nuove storie, nuove collane, nuove
concezioni di libro (ad esempio “Il libro da appendere”) e anche un nuovo
periodico, “Il mondo di Pimpa”, una
proposta assolutamente innovativa per
giocare al teatro che sarà presto in edicola. Inoltre in primavera usciranno
Attenti al mostro e Giochiamo a nascondino, due splendidi libri in cantiere con
un incredibile gioco di finestrelle a sorpresa, ideati da Kimura e illustrati da
Nicoletta Costa, prodotti da noi con
coedizione giapponese.
Poi, nella collana “Le due lune a colori”, oltre a un nuovo racconto della serie “Mini”, uscirà, con le illustrazioni
di Alberto Ruggieri, un racconto dell’umorista Stefano Disegni, che si cimenta per la prima volta con la letteratura per bambini.
Giuseppe Assandri
L’Autore in primo piano / Susanna Tamaro
Adoravo
Rintintin
di Valentina De Propris
Lei, da bambina era lettrice? Se sì, che
cosa leggeva: libri, giornalini o altro?
Non amavo particolarmente leggere, soprattutto i libri. Preferivo i giornalini.
Gli album di “Topolino” e “Il Monello”.
Gli unici libri che ho sempre amato sono
stati i manuali, manuali degli insetti, manuali delle pietre, manuali dei cani. Mi è
sempre piaciuto dare ad ogni cosa il suo
nome giusto. Ho cominciato a leggere
più verso gli undici e dodici anni alcuni
libri classici come Zanna Bianca e I ragazzi della via Paal. Ricordo con molto
piacere un libro che si chiamava Le avventure di Fratel Coniglietto.
La scuola ha avuto una funzione
importante nella sua formazione di
lettrice e di scrittrice?
Ho sempre avuto molte difficoltà con la
scuola. E posso dire che ha avuto il magico compito di farmi detestare tutto ciò
che si svolgeva al suo interno, compresa
la lettura e la scrittura. Credo di aver
avuto molta sfortuna, perché in tutta la
mia carriera scolastica non ho mai incontrato un solo insegnante che mi facesse
innamorare della sua materia o anche
semplicemente che mi rendesse meno
odioso e frustrante l’accumulo di nozioni
di cui non riuscivo a scorgere un senso.
Da bambina andava al cinema e
guardava la tv?
Quando ero bambina, la “Tv dei ragazzi”
era ai suoi esordi, durava credo un’ora o
poco più e veniva considerata dai genitori
un premio da concedere se si era stati
buoni e soprattutto se si erano già finiti i
compiti. Siccome amo gli animali in tutte
le forme in cui si manifestano, adoravo di
un’adorazione febbrile Rintintin, e Le avventure di Francis, il mulo parlante. Mi
piaceva anche guardare il maestro Manzi
e il suo Non è mai troppo tardi. Ero rapita
dall’abilità con cui faceva scorrere i carboncini sui grandi fogli bianchi. Andavo
ogni tanto la domenica al cinema di
quartiere assieme a mio fratello. Era una
vecchia sala, con i pavimenti di legno che
odoravano sempre di disinfettante. E alla
cassa vendevano delle mentine verdi che,
non so perché, si chiamavano “inglesi”.
Andare al cinema era una vera festa, perché lì si provavano emozioni davvero forti. Ricordo un film, credo fosse di fantascienza giapponese, in cui delle enormi
formiche invadevano la terra. E poi un
grandissimo numero di film western.
Lei ha avuto un grandissimo successo
come scrittrice per adulti, però si è anche
dedicata alla narrativa per ragazzi.
Generalmente avviene il contrario…
Ho sempre desiderato scrivere per ragazzi,
solo che non riuscivo a sentirmi all’altezza. Ritengo difficile scrivere per adulti,
ma difficilissimo scrivere per l’infanzia.
Per questo ho cominciato con gli adulti e
solo più tardi ho avuto il coraggio di dedicarmi ai bambini. Mi è capitato di dire
che, dovendo scegliere tra essere Proust ed
essere Andersen, preferirei di gran lunga
essere Andersen. Credo che ciò che emoziona e fa pensare nell’infanzia resti per
sempre dentro di noi. Per questo è importante dedicarsi ai bambini. E poi i bambini sono lettori puri, senza pregiudizi.
In Cuore di ciccia viene portato in primo
piano il disagio dell’infanzia che lei
avverte con una sensibilità particolare.
Cos’è che la rende così attenta alla
sofferenza dei giovani?
Ho sofferto molto nella mia infanzia. In
questa sofferenza, la cosa più grande e
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più grave è stata la solitudine, un peso
enorme e nessuno con cui condividerlo.
Così, è un po’ come se avessi un sesto
senso, entro nella sofferenza dello sguardo di ogni bambino che incontro per
strada. Non ho mai creduto all’infanzia
come all’età della spensieratezza.
Ne Il Cerchio magico lei affronta un
tema come la morte, che gli adulti non
toccano quando si rivolgono ai bambini.
Qual è il modo giusto per avvicinare
l’infanzia ai grandi temi della vita?
Come ho detto prima, scrivere per bambini è molto difficile. I bambini non vogliono ideologie, non vogliono pressapochismi, non vogliono retorica. I bambini
vogliono che gli si parli con sincerità, con
sincerità e con verità. E vogliono anche
che tra le parole e le azioni ci sia una coerenza perché altrimenti non c’è alcun senso. I bambini, anche se sembrano molto
sicuri, sono pieni di ansie e di paure. E la
paura di perdere le persone care è la paura
dominante. La morte è la realtà più
profonda della vita, quella che le dà senso.
Ignorarla vuol dire rendere l’esistenza senza fondamento, traballante. E questo i
bambini, istintivamente, lo sanno.
Susanna Tamaro è nata a Trieste nel 1957 e
vive in Umbria, vicino a Orvieto, in una
fattoria piena di animali. Diplomata al centro sperimentale di cinematografia. Ha realizzato vari documentari scientifici per la
Rai. Dopo l’esordio con La testa tra le nuvole (1989), ha scritto Per voce sola (1991),
Va’ dove ti porta il cuore (1994), Anima
Mundi (1997), Cara Mathilda, non vedo
l’ora che l’uomo cammini (1998), Verso casa
(1999). Per bambini ha scritto Cuore di ciccia (1992), Papirofobia (1994), Il cerchio
magico (1995) e Tobia e l’angelo (1998).
L’Illustratore in primo piano / Emanuele Luzzati
‘imprevedibilità
dei limiti
di Maria Luisa Salvadori
Il 5 dicembre 1999, al Teatro della Tosse
di Genova, è stato proiettato in prima
nazionale il lungometraggio di animazione Il flauto magico, di Giulio Gianini ed
Emanuele Luzzati, dall’opera di Mozart,
nella versione restaurata con l’intervento
del Comune di Genova. Maria Luisa Salvadori, presente alla manifestazione, ha
intervistato Emanuele Luzzati per la nostra rivista.
Il film è stato restaurato grazie alla segnalazione dell’Asifa (Associazione Italiana
per il film di animazione) nell’ambito
dell’iniziativa “Adotta un film – 100 film
da salvare”, promossa nel 1997 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nell’ambito della stessa campagna il Comune di Orvieto, di cui Luzzati è cittadino
onorario, ha contribuito al finanziamento del restauro della Trilogia rossiniana,
altro film di animazione che si compone
di tre cortometraggi, La gazza ladra, L’Italiana in Algeri e Pulcinella, realizzati
dalla coppia Gianini-Luzzati su musiche
di Gioacchino Rossini. La presentazione
in prima nazionale del film restaurato si
svolse ad Orvieto il 27 marzo 1999.
Ti ho sentito affermare che la tua
creatività si esprime al meglio in
presenza di limiti dati. Puoi spiegarmi
perché?
Sì, senza dubbio per me è sempre stato
così: io devo sapere dove si colloca quello
che faccio, per chi e per che cosa lo faccio. Perché questo avviene? Credo che la
faccenda abbia due facce. La prima, se vogliamo un po’ “romantica”, è la sfida a superare un ostacolo, come può essere quello di realizzare una scena in un corridoio
lungo e stretto, dipingere una parete rispettando l’ingombro dei mobili, illustra-
re un libro usando solo un colore (è già
successo con il rosso, naturalmente unito
al nero) o con un numero di immagini
assegnato, magari alcune a colori e altre in
bianco e nero, però delle stesse dimensioni. La seconda è l’incentivo a scoprire cose nuove. Il limite non è prevedibile e pone quasi sempre di fronte a un problema
nuovo da risolvere; così diventa stimolante fare qualcosa che non si è mai fatto.
Naturalmente, se i limiti si ripetono finisce il divertimento, non c’è più novità.
Prossimamente dovrò progettare un parco per ragazzi a Salisburgo: il bello è che
lì ci sono limiti a non finire; a parte i limiti di spazio, ci sono giochi preesistenti
che io devo inglobare e far diventare
miei, trasformarli mentre invento cose
nuove tutte mie.
Bisogna anche dire che questa è una storia vecchia: i grandi pittori del Rinascimento, ad esempio, hanno sempre lavorato con dei limiti imposti. Penso a Piero
della Francesca, a Michelangelo che affresca la Cappella Sistina o anche al Signorelli che dipinge nel Duomo di Orvieto... Nessuno di loro faceva quadri in
libertà, il loro lavoro era tutto un limite.
La ragione per cui non ho mai fatto un
quadro è che proprio non saprei cosa fare
dentro una tela bianca. Il bianco mi spaventa, la troppa libertà mi fa paura, mentre mi interessa tutto quello che è “arte
applicata”: scenografie e costumi per il
teatro, decorazioni di interni, illustrazione di libri, cinema di animazione. Lo dicevo anche da bambino: «Da grande faccio il pittore, ma il pittore applicato !».
Quali sono i tuoi rapporti col mondo
dell’arte?
Incontrare, per caso e nello stesso giorno,
Picasso e Chagall è stata la cosa più
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straordinaria che mi sia capitata, ma questo l’ho già raccontato ed è anche stato
pubblicato, ad esempio sull’“Unità” in
un’intervista che mi fu fatta da Carmine
De Luca.
C’è da considerare che io non ho mai dipinto quadri e le mostre che ho fatto erano riferite all’illustrazione, alla scenografia o altre forme di arte applicata. In
questo senso, quello della pittura è per
me un mondo parallelo, anche se dalla
pittura ho assorbito molte cose. Ad
esempio, al tempo della pop art si usavano materiali di ogni tipo, pezzi raccolti
per la strada... Sicuramente questo modo
di esprimersi è entrato in me e l’ho applicato al teatro. Altri pittori mi saranno
senz’altro stati utili nell’illustrazione.
Adesso faccio il collage, uso anche dei
pezzi delle riproduzioni di pittori, prendo una testa di qua, un paesaggio di là, li
metto a caso uno accanto all’altro, li incollo... Li uso molto, specialmente in
scenografia.
Usi spesso materiali poveri e questo non
toglie niente alla ricchezza espressiva
delle tue opere. Me ne parli?
Uso materiali poveri se sono costretto a
farlo, non necessariamente per scelta. Diciamo che ho usato più volte materiali
poveri perché molte più volte c’erano pochi soldi, c’era un limite appunto. Quando faccio scene per i grandi teatri, come
il Massimo di Palermo o il San Carlo di
Napoli, non bado a spese: in un teatro
con i palchi d’oro la scena deve essere
ricca, non avrebbe senso il contrario. Diciamo che quando non c’è la possibilità
di spendere ritorno nelle condizioni di
avere dei limiti e cerco di superarli giocando con i materiali poveri. In questo
senso può diventare stimolante farlo.
“Fate l’amore
non fate la guerra
ma per passare il tempo
ancor più allegramente
fate di tutto
per non far mai niente„
Nella varietà di materiali che hai usato,
ce n’è qualcuno che ti appartiene di più,
che ti piace e ti realizza particolarmente?
Beh, devo dire che con la ceramica ho
avuto un rapporto abbastanza strano. Per
vent’anni è stata la mia materia preferita:
facevo tante cose, facevo teatro, facevo
film di animazione... e poi andavo regolarmente ad Albisola, almeno due volte
alla settimana, a fare ceramica. Ne ho
fatta tantissima, chilometri credo. Poi,
per ragioni banali, ho smesso: quando è
morto il proprietario della fabbrica dove
lavoravo, ancora con il forno a legna che
era bellissimo, la fabbrica ha interrotto
l’attività; avrei dovuto cercarmi altre cose
e invece ero sommerso di lavori: cartoni
animati, teatro... Così mi son detto:
«Con la ceramica chiudo!». E ho chiuso.
Adesso però mi ha fatto piacere lavorare,
naturalmente insieme ad altri, per raccontare in una vetrina lunga trenta metri, la storia dell’Abbazia di Farfa, vicino
Roma. Ho dovuto realizzare pezzi in ceramica, figure di frati e “pupazzi” vari, ed
ho scoperto che è un po’ come andare in
bicicletta: non si dimentica; ho ripreso la
ceramica dopo vent’anni, ho toccato di
nuovo la terra, ed è stato come se avessi
smesso di farlo il giorno prima.
La terra è una mia materia, la sento molto e sento molto anche il modo di trattarla e di dipingerla, perché non è come
dipingere un foglio di carta! Ogni materia ha le sue leggi e bisogna capirle.
Come illustratore, senti il bisogno di
seguire canoni espressivi diversi quando
ti rivolgi ai ragazzi?
Più che la mia espressività conta il testo.
Per esempio, ultimamente ho illustrato
prima Alice nel paese delle meraviglie poi
Pinocchio per le edizioni Nuages di Mila-
no, che si rivolgono agli adulti, non certo ai bambini. Se avessi illustrato gli stessi libri per i ragazzi, lo avrei fatto esattamente nella stessa maniera.
Ho osservato, in alcuni libri che hai
illustrato, una specie di ritmo, un
crescendo di immagini e di colori che
talvolta raggiunge il culmine nelle
pagine centrali. Come lo spieghi?
Non ci ho mai pensato, me lo dici tu per
la prima volta, ma può essere vero. Potrei
forse spiegarlo paragonando il lavoro di
illustrazione a una partitura musicale:
comincia piano, poi arriva l’andante, l’allegro ma non troppo, e avanti fino al
gran finale.
Negli ultimi anni ti sei dedicato ad una
nuova forma di arte applicata, che
consiste nella progettazione di spazi
gioco per ragazzi...
Se escludiamo la ceramica, che io proprio volevo fare, tante cose mi sono successe senza che io le cercassi. Ai parchi
proprio non avrei pensato. La prima richiesta è arrivata da Santa Margherita,
poi contemporaneamente, senza che ci
fosse alcun collegamento tra le diverse
esperienze, mi sono arrivate altre richieste dello stesso tipo o simili. Per Castelnuovo Rangone non ho realizzato giochi,
ma sculture in legno, personaggi che sono stati collocati nel parco; lo stesso vale
per il presepe di Torino: ho creato forme,
che possono essere messe nei giardini e
in genere piacciono ai bambini, ma non
sono giochi. Certe cose, non si sa perché,
avvengono contemporaneamente, sono
nell’aria e maturano tutte insieme senza
che se ne riesca a capire la ragione. Poi finisce anche che una cosa attira l’altra, ma
all’inizio non è così. Sempre per fare un
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IL PEPEVERDE
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esempio, la richiesta di Salisburgo deriva
direttamente da Santa Margherita: il direttore del Mozarteum è capitato a Genova, ha visto il “Parco del Flauto magico” e, dato che è interessato a tutto ciò
che ha a che fare con Mozart, ha pensato
di fare qualcosa di simile a Salisburgo.
Lo ha proposto al Sindaco, che peraltro
aveva già in mente di intervenire su un
parco cittadino, e così siamo arrivati alla
formulazione ufficiale della richiesta che
è di circa dieci giorni fa; a luglio presenterò il bozzetto (potrei fare dei disegni,
ma preferisco sempre fare un modellino
perché capisco meglio io ed è più chiaro
agli altri), poi il progetto sarà discusso e
infine si passerà alla realizzazione, che
dovrebbe concludersi entro i prossimi
due anni. All’interno di un grande parco
già esistente a Salisburgo, la zona destinata ai bambini sarà ampliata e dedicata
a Mozart: io dovrò ispirarmi al Flauto
magico e al Ratto del Serraglio, due opere
in qualche modo più vicine ai bambini.
A proposito, il tuo lavoro intorno al
Flauto Magico di Mozart è particolare e
molto impegnativo. Come è cominciato?
Ho affrontato la prima volta quest’opera
creando le scene e i costumi per il “Festival di Glyndebounre” del ’63: credo di
avere già allora impostato tutto il mio lavoro visto un po’ dalla parte di Papageno. Sia le scene che i costumi interpretavano più il lato favolistico e magico dell’opera che il lato mistico-massonico:
tutto il teatro era diventato un po’ come
un meraviglioso gioco per bambini, con
le scene che si componevano e scomponevano per ricrearsi a vista del pubblico.
Un editore inglese (Blakwel di Oxford)
che aveva visto l’opera mi ha chiesto se
ero disposto a raccontarla e illustrarla in
INTERVENTI E INTERVISTE
un libro per bambini. Così ho cercato di
adattare la complicata storia dell’opera
privilegiando il personaggio Papageno,
come se tutta l’azione girasse intorno a
lui, mentre la Regina della Notte è diventata una fata tenebrosa e Sarastro un
mago benefico.
E come è nato il film di animazione Il
Flauto Magico, realizzato da te e Giulio
Gianini?
Naturalmente, dopo aver fatto il libro,
con Gianini ci siamo proposti di realizzare anche un film. Però non potevamo
sbrigarci con i soliti dieci minuti delle
sinfonie rossiniane; ci occorreva almeno
un’ora e ci occorreva anche trovare un
produttore. La proposta ci è venuta dalla
Thalia Film di Vienna e nel 1976 ci siamo gettati in questa impresa, la più difficile certo da quando abbiamo cominciato a lavorare nell’animazione.
Avete incontrato difficoltà in questo
lavoro?
Per la prima volta abbiamo affrontato
con i cartoni animati un’opera di teatro
musicale cantata e questo è stato molto
difficile. Per ridurre l’opera in cinquanta
minuti senza tralasciare nessuna delle
arie più belle, abbiamo dovuto servirci di
un personaggio “vero”: abbiamo creato
un Papageno in carne ed ossa che spiegava il senso delle arie, dato che abbiamo
conservato il testo originale cantato in
tedesco. La lavorazione del film è durata
un anno e mezzo.
Il tuo rapporto con i personaggi del
Flauto Magico però non finisce qui...
Sì, tra il libro, la rappresentazione e il
film, i personaggi del Flauto Magico hanno vissuto nella mia attività in molte altre forme: ho fatto un album di sei litografie con gli episodi più salienti affiancati dalla partitura; ho fatto un disegno
per un arazzo con lo sfondo della foresta
del Flauto; ho ricreato in televisione il
modellino della scenografia spiegando ai
bambini come avvenivano i cambiamenti
e poi, col personaggio di Papageno, mi
sono ancora ritrovato varie volte...
Un’ultima cosa, più personale, se me lo
consenti. Ogni volta che ti incontro e
parlo con te rimango affascinata dalla
serenità che trasmetti...
Devo dire che mi è facile essere sereno
perché mi accorgo delle cose un po’ in ritardo. Sai, come succede in certe gag,
quando si incontrano due comici e uno
dice: «Cretino!». L’altro risponde: «Piacere!», come nulla fosse, e si ricorda solo
dopo che gli hanno detto cretino. Anche
io mi accorgo dei colpi bassi sempre in
ritardo, quando il fatto è già sdrammatizzato e posso vederlo con distacco. Naturalmente questo non è sempre positivo: metti il caso di un incidente, lì la
prontezza a volte salva il salvabile; se mi
capita di accorgermene dieci minuti dopo, qualcuno ha già fatto in tempo a
morire.
Comunque ho sempre avuto piacere di
conoscere gente: amici, colleghi, illustratori, scenografi, pittori... Proprio perché
siamo diversi, nessuno porta via qualcosa
all’altro e la conoscenza consente di
scambiare reciprocamente qualcosa.
Emanuele Luzzati nasce a Genova nel 1921. Studia e si diploma a Losanna all’École des
beaux Arts et des Arts Appliquées.
Pittore, decoratore, illustratore, ceramista, si dedica alle scene e ai costumi teatrali e, più
tardi, insieme a Giulio Gianini, alla realizzazione di film e disegni animati.
Ha realizzato più di quattrocento scenografie per prosa, lirica e danza nei principali teatri
italiani e stranieri.
Ha illustrato molti libri dedicati all’infanzia.
Ha eseguito pannelli, sbalzi ed arazzi sulle navi “Leonardo Da Vinci”, “Michelangelo”,
“Ausonia” e “Marco Polo”.
Tra i numerosi premi ottenuti, ricordiamo che nel 1955 ha vinto il Primo “Premio per la
Ceramica” a Cannes; nel 1982 è stato premiato come illustratore alla Biennale di Bratislava e ha ricevuto il premio “Andersen-Baia delle Favole” di Sestri Levante, nel 1984 ha
avuto il premio “Stregatto-Perugia” per il teatro per ragazzi.
Alla fine del 1980 la sua attività teatrale trova ampio riconoscimento in una mostra curata dall’Istituto del Teatro e dello Spettacolo dell’Università di Roma, Il sipario magico.
Percorsi teatrali di Emanuele Luzzati. Dal 1981 al 1984, la mostra ha girato in Italia e all’estero.
Ha esposto alla Biennale di Venezia dal 1972, nella sezione Grafica Sperimentale.
Ha pubblicato, tra l’altro, illustrazioni per le fiabe di Italo Calvino e per i testi di Gianni
Rodari; nel 1988 ha illustrato il volume Le fiabe scelte dei fratelli Grimm nell’edizione
fuori commercio della Società Olivetti. Da ricordare, nella sua opera di illustratore, anche
il filone dedicato alla cultura e alle leggende ebraiche.
Nel marzo 1990 si inaugurano a Reggio Emilia, Cavriago, Sant’Ilario e Montecchio,
quattro sezioni di una grande mostra dedicata all’opera complessiva di Luzzati.
Luzzati fa parte dell’Agi (Alliance Graphique Internationale) e dell’Academy avendo ottenuto due nominations all’Oscar per i suoi film d’animazione La gazza ladra e Pulcinella.
Dal 1982 al 1990 è docente di Illustrazione al Politecnico Byron di Genova.
Nel 1989 illustra Candido di Voltaire per le Edizioni Nuages.
Nel 1992 gli viene conferita dall’Università di Genova la laurea honoris causa in Architettura.
Nel 1993 l’Unione dei Teatri d’Europa organizza la mostra Emanuele Luzzati scenografo
che viene allestita, come prima sede, presso il Centre George Pompidou di Parigi.
Nel novembre 1995 riceve il “Premio Ubu” per la migliore scenografia dell’anno, conferitogli per le scene realizzate per il Pinocchio prodotto dal Teatro della Tosse di cui è fondatore nel 1975 con Tonino Conte e Aldo Trionfo e, attualmente, direttore artistico con Tonino Conte.
Nel 1997 gli viene dedicata la mostra Emanuele Luzzati dalla scenografia all’illustrazione a
Palazzo Ducale a Genova.
Nello stesso anno realizza per il Comune di Torino il presepe in Piazza Carlo Felice, in
cui figure sante tradizionali si mescolano a personaggi delle fiabe.
Nel 1998 progetta e realizza a Santa Margherita il Parco del Flauto Magico, parco giochi
per bambini ispirato alla celebre opera di Mozart.
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IL PEPEVERDE
n. 3/2000
I lavori di Emanuele Luzzati
(elenco delle pubblicazioni più note, aggiornato a gennaio 2000)
I libri illustrati
Rinaldo Negri, L’arte di navigare, Società Italiana di Navigazione, Genova, 1952;
Calendario colombiano per il quinto centenario
della nascita di Cristoforo Colombo, Istituto
Grafico Bertello, Borgo S. Dalmazzo, 1953;
Emanuele Luzzati, Viaggio alla città di Safed,
Age d’or, Roma, 1955;
Chichibio cuoco e la gru (da un racconto di
Giovanni Boccaccio), I Girasoli, Roma, 1961;
Altre edizioni:
Chichibio and the crane. Obelenski, New
York, 1962;
Emanuele Luzzati, I paladini di Francia ovvero il tradimento di Gano di Magonza, Mursia,
Milano, 1962;
Altre edizioni:
Ronald and the Wizard Calico, Pantheon
Books, New York, 1969;
Ronald and the Wizard Calico, Hutchinson
Junior Books, London, 1969;
Gianni Rodari, Castello di carte, Mursia, Milano, 1963;
Diego Fabbri (introduzione e note di), Da
Sofocle a Pirandello, Rai, Roma, 1963 (fuori
commercio);
Emanuele Luzzati, La gazza ladra, Mursia,
Milano, 1964;
Emanuele Luzzati, Alì Babà e i quaranta ladroni, Emme, Milano, 1968;
Altre edizioni:
Alì Babà e i quaranta ladroni, Editori Riuniti, Roma, 1992 (collana “La freccia azzurra”; in allegato alla confezione in cofanetto, comprendente opere di altri autori e
illustratori, il film Alì Babà di Giulio Gianini e Emanuele Luzzati);
Ali Baba and the Forty Thieves, Pantheon
Books, New York, 1969;
Ali Baba und die Viering Raübe, Ellerman,
München, 1969;
Ali Baba, L’école de Loisir, Paris, 1969;
Ali Baba, Shuppan, Tokyo, 1979;
Bill Martin, When it rains...it rains, Rinehart
& Winston, New York, 1970;
Bill Martin (filastrocca adattata da), Whistle,
Mary, Whistle..., Rinehart & Winston, New
York, 1970;
Emanuele Luzzati (dall’opera di Wolfgang A.
Mozart), The magic flute, Blackwel, Oxford,
1971;
Emanuele Luzzati, La tarantella di Pulcinella,
Emme, Milano, 1971;
Altre edizioni:
Pulcinella e il pesce d’argento, Editori Riuniti, Roma, 1993;
Io e Gli altri (enciclopedia in dieci volumi), La
Ruota, Milano e Genova, 1971;
Italo Calvino, L’Uccel belverde e altre fiabe italiane, Einaudi, Torino, 1972;
Come si fanno i bambini, Ghiron, Genova,
1972;
E. Poi, L’uccellino Tic Tic, Einaudi, Torino,
1972;
Donatella Ziliotto, Il viaggio di Marco Polo,
ERI, Roma, 1972;
Altre edizioni:
Il viaggio di Marco Polo, Emme, Milano,
1975 e 1981;
The travels of Marco Polo, Dent, London,
1975;
Ich, Marco Polo, Ellerman, München,
1977;
Emanuele Luzzati e Tonino Conte, Bimbo recita, Emme, Milano, 1974;
Altre edizioni:
Sganarello medico per forza, Il medico gradasso, Emme, Milano, 1981;
Ibi Lepschky, Voglio comperare una tazza gialla con una ochetta blu, Einaudi, Torino, 1974;
Italo Calvino, Il principe Granchio e altre fiabe
italiane, Einaudi, Torino, 1974;
Mio fratello, La Ruota, Milano, 1975;
Italo Calvino, Il visconte dimezzato, Einaudi,
Torino, 1975;
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IL PEPEVERDE
n. 3/2000
Giacoma Limentani, Gli uomini del Libro.
Leggende ebraiche, Adelphi, Milano, 1975;
Altre edizioni:
Gli uomini del Libro. Leggende ebraiche,
Milano, Feltrinelli, 1995;
Rita Cirio, Dodici Cenerentole in cerca d’autore, Quadragono Libri, Conegliano, 1976;
Altre edizioni:
Dodici Cenerentole in cerca d’autore, Nuages, Milano, 1991;
Michal Snunit, Walking and Talking with
Yoav, Sifriat Poalim, Tel Aviv, 1976;
Emanuele Luzzati, C’erano tre fratelli, Emme,
Milano, 1977;
Emanuele Luzzati e Tonino Conte, Facciamo
insieme teatro, Einaudi, Torino, 1977;
Silvio Pampiglione, As doenças infecciosas: o
que são, como são transmitidas, como se devem
combater, Pampiglione, Bologna, 1977;
Emanuele Luzzati e Gianni Rodari, Il teatro,
i ragazzi, la città, Emme, Milano, 1978;
Emanuele Luzzati e Guido Davico Bonino,
Orlando in guerra, Stampatori, Torino, 1979;
Altre edizioni:
Orlando in guerra, Einaudi Scuola, Milano,
1999 (Collana “Bibliotechina”);
Emanuele Luzzati La Cenerentola, (dall’opera
di Gioacchino Rossini), Emme, Milano, 1979;
Altre edizioni:
Cinderella, Bluth, London, 1981;
Il flauto magico (dall’opera di Wolfgang A.
Mozart), Il Bisonte, Firenze, 1979;
Isaac Bashevis Singer, Quando Shlemiel andò
a Varsavia, Garzanti, Milano, 1979;
Donatella Ziliotto, Sundjata, Mondadori,
Milano, 1980;
Giacoma Limentani, Il vizio del Faraone e altre leggende ebraiche, Stampatori, Torino,
1980;
Tonino Conte, I tre grassoni (dal racconto di
Jurij K.Olesa), Editori Riuniti, Roma, 1981;
Virgilio Savona, O che bel castello, Emme,
Milano, 1981;
INTERVENTI E INTERVISTE
Gianni Rodari, Filastrocche lunghe e corte, Editori Riuniti, Roma, 1981, (in allegato all’ultima edizione del maggio 1996, che è la prima
nella Universale economica/ragazzi degli Editori Riuniti, il floppy disk: I viaggi di Stoccofillo. Filastrocche lunghe e corte di Gianni Rodari);
Niccolò Machiavelli, Belfagor arcidiavolo, Il
Melengolo, Genova, 1982;
Gianni Rodari, Atalanta, una fanciulla nella
Grecia degli dei e degli eroi, Editori Riuniti,
Roma, 1982;
Furio Jesi, La casa incantata, Vallardi-Garzanti, Milano, 1982;
Emanuele Luzzati, Tre fratelli, quaranta ladroni, cinque storie di maghi e burloni, Emme,
Milano, 1983;
Sandro Gindro, A Tiresia, Psicoanalisi Contro, Roma, 1983;
Haggadàh di Pesach: rito sefardita (testo ebraico con traduzione italiana e note del rabbino
Fernando D. Belgrado, prefazione del rabbino Elio Toaf ), La Giuntina, Firenze, 1984;
Gianni Rodari, Il libro dei perché, Editori
Riuniti, Roma, 1984, (in allegato all’edizione
del novembre 1995,che è la prima nella Universale economica/ragazzi degli Editori Riuniti, il floppy disk: Stoccofillo, da Il libro dei
perché Gianni Rodari);
Gianni Rodari e Virgilio Savona, Filastrocche
da cantare, Ricordi, Milano, 1984;
Psicoanalisi Contro. Foglio mensile di psicoanalisi cultura e arte, Psicoanalisi Contro, Roma,
1984, n. 1,5;
Gianni Rodari, Le avventure di Tonino l’invisibile, Editori Riuniti, Roma, 1985;
Enzo Bianchi, Un rabbi che amava i
banchetti, Marietti, Genova, 1985;
Licia Oddino, Habitat per un’idea, Tolozzi,
Genova, 1985;
Domenico Rea, Faida, Pirella - Alpha Trading, Genova, 1986;
Gianni Rodari, Filastrocche per tutto l’anno,
Editori Riuniti, Roma, 1986;
Gianni Rodari, Fiabe lunghe un sorriso, Editori Riuniti, Roma, 1987;
Itinerari. Percorsi di ricerca per la scuola e la famiglia, Nuova Io e gli altri, Genova-Milano, 1988;
Tonino Conte, I sentieri della notte, Ecig, Genova, 1988;
Tonino Conte, Dediche, Ecig, Genova, 1988;
Jacob e Wilhelm Grimm, Fiabe scelte, Giorgio Soavi (a cura di), Olivetti, Milano, 1988;
Meir Shalev, Michael and the Monster of Jerusalem, Tower of David Museum of the History, Jerusalem, 1989;
Age, Scarpelli, Monicelli, Brancaleone alle
crociate, Casa di Mantegna e Circolo del Cinema, Provincia di Mantova, 1989;
Francesco Bollorino, Il bambino a espansione
e altre storie, Marietti, Genova, 1989;
Voltaire, Candido, ovvero L’ottimismo, Nuages, Milano, 1990;
Isaac Bashevis Singer, Il Golem, Adriano Salani, Firenze, 1990;
Nanda Mari, Il figlio di carta, Graphos Narrativa, Genova, 1990;
Carmelo Cusumano (poesie di), La Mattana,
Grafiche Fratelli Spirito, Savona, 1990;
O. Mirbeau, Diario di una cameriera, Lo Scarasco, Torino, 1991;
Isaac Bashevis Singer, Le distese del cielo,
Guanda, Parma, 1991;
Gianni Rodari, Il ragioniere a dondolo, Editori
Riuniti, Roma, 1993;
Gianni Rodari, Perché i re sono re?, Editori
Riuniti, Roma, 1993;
Umberto Albini, Oroscopo; Claudio Tolomeo,
Previsioni astronomiche; Emanuele Luzzati,
Cieli e Pianeti; Collana “Epigoni”, Francesco
Pirella, Genova, 1993;
Roberto De Simone, La tarantella napoletana,
Benincasa, Roma, 1993;
Andrea Stanisci, Aida, La Spada di Radames,
Firenze, 1994;
Pier Luigi Luisi, Selenio e i pirati etruschi,
Nuove Edizioni Romane, Roma, 1994;
AA.VV., Il secondo diario della salute, Erga,
Genova, 1994;
AA.VV., La notte delle favole, Erga, Genova,
1994;
Meir Shalev, I racconti della Bibbia, Keter Publisher, Gerusalemme, 1994;
Vito Elio Petrucci, Favole senza tempo, Pirella,
Genova, 1994;
Matteo Maria Boiardo, Orlando innamorato,
Scandiano, Comune, 1994;
Gustavo Strafforello, La sapienza del mondo
ovvero dizionario universale di tutti i popoli,
Barboni e Tolozzi, Genova, 1994;
Giusto e Ingiusto. Io e gli Altri, Genova, 1995
(due libri);
Silvia Waugh, Occhi di bottone, Salani, Firenze, 1995;
Uri Orlev, La bestia d’ombra, Salani, Firenze,
1995;
Carlo Martigli, La fonte secca, Giunti, Firenze, 1995;
Massimo Montanari, Il pentolino magico, Laterza, Bari, 1995;
Isaac Bashevis Singer, Mazel e Schlimazel, Salani, Firenze, 1995;
Andrea Levi, Gli ebrei, Io e gli Altri, Genova,
1995;
Mauro Biagioni, Enrica Bonamini, Il golfo
racconta. Storia della Spezia e del suo golfo
narrata ai ragazzi, Giacché, La Spezia, 1995;
La giostra dei mestieri, Associazione per
l’Auxilium, Genova, 1995;
I colori della pace. Programma educativo per la
pace e la intercultura, testi di Mario Salomone, fotografie di Oliviero Toscani, Giunti, Firenze, 1996;
Carlo Collodi, Pinocchio, Nuages, Milano,
1996;
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IL PEPEVERDE
n. 3/2000
Giacoma Limentani, Anita Schaumann, Midrashim, antichi racconti ebraici dal giornale
per noi, Adei Wizo, Roma, 1996;
Tonino Conte, Genova, una città in venti storie, Laterza, Bari, 1996;
Sandro Bayini, El pomm - Stori liber del gran
liber, Viemme Pierre, Milano, 1996;
Prokofiev, Pierino e il lupo, adattamento di
Dario Fo, De Agostini-Rizzoli Periodici, Milano, 1996, supplemento al n.12 di “Amadeus”;
Piera Maldini, Rino Tacchella, (scritta da),
Alexandria Liberata ovvero storia di un Papa,
di un Imperatore, di un Libero Comune e... del
Popolano Gagliaudo con la sua Mucca, Loft
Art Tacchella, Alessandria, 1996;
Gianni Rodari (testi di), Il teatro delle filastrocche: laboratorio delle parole e della
fantasia, Editori Riuniti, Roma, 1996 (in allegato un cd-rom);
Il grande gioco di Urluberlù: laboratorio dei
suoni e della musica, disegni animati di Emanuele Luzzati, testi di Tiziana Ferrando. Roma, Editori Riuniti, 1996 (in allegato un cdrom);
Tiziana Ferrando (testi di), Urluberlù ladro di
suoni, Editori Riuniti, Roma, 1996 (con
floppy disk: Urluberlù nell’antro del mago);
Elio Giacone, Filastrocche nel prato e in cielo,
schede didattiche a cura di Anna Maria Gerli,
Il Capitello, Torino, 1996;
Anna Maria De Chiara, Laura Galletti, La
guida di Napoli per ragazzi, Liguori, Napoli,
1998;
Carrol Lewis, Alice nel paese delle meraviglie,
Nuages, Milano, 1998;
Ermanno Detti, E quando cupa mezzanotte
scocca, Firenze, Fatatrac, 1998;
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Lecco,
Beretta per Lecco, Iaber Spa, Gruppo Riello,
1999;
Piera Maldini, Narrativa a teatro, Atlas, Bergamo, 1999;
Sandra Dal Pozzo, Anna Maria Morbiducci,
La guida di Roma per ragazzi, Liguori, Napoli, 2000 (in corso di stampa);
Marina Bassani, Ombretta Camilla (titolo
provvisorio), Franco Cosimo Panini, Modena, 2000 (in corso di stampa nella Collana
“Le due lune”);
Marina Bassani, Zeffirino Collolungo (titolo
provvisorio), Feltrinelli, Milano, 2000 (in
corso di stampa).
I cataloghi delle mostre
Mara Fazio, Silvia Carandini (a cura di), Il sipario magico di Emanuele Luzzati, Officina,
Roma, 1980 (Catalogo della Mostra tenuta a
Roma, Palazzo delle Esposizioni, nel 1980, e
poi a Genova, Torino, Milano, Bergamo,
Magdeburgo, Bologna);
L’IMPREVEDIBILITÀ DEI LIMITI
Il teatro come decalcomania. Le immagini di
Emanuele Luzzati per la Tosse, La Casa Usher,
Firenze, 1984 (Catalogo della Mostra tenuta
a Genova nel 1984);
Galleria d’arte Il Vicolo di Genova (a cura
di), Lele Luzzati: figure incrociate. L’opera
completa di un protagonista della grafica, La
Casa Usher, Firenze, 1985 (Catalogo della
Mostra tenuta a Pontremoli, convento della
Ss. Annunziata, nel 1985);
Susi Davoli (a cura di), Le mille e una scena.
Teatro-Cinema-Animazione di Emanuele Luzzati, Provincia di Reggio Emilia, 1990 (Catalogo della Mostra tenuta a Reggio Emilia nel
1990);
Silvio Ferrari (presentazione di), Guido
Giubbini, Franco Sborgi, Tonino Conte, Gina Lagorio, Federico Marzinot e Nalda Mura
(testi di), Emanuele Luzzati: le ceramiche
(1950-1970), Costa & Nolan, Genova, 1991
(Catalogo della Mostra tenuta a Genova, Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, nel
1991);
Attilio Valenti (a cura di), Luzzati e le favole,
Coop Liguria, Genova, 1991 (Catalogo della
Mostra tenuta a Genova nel 1991);
Sergio Noberini (a cura di), Emanuele Luzzati. Le scenografie 1954-1992, Il Vicolo, Genova, 1992 (Catalogo della Mostra tenuta a Rovigo nel 1992);
Giorgio Ursini UrsŠicŠ, Andrea Rauch, Emanuele Luzzati. Scénographe, Union des Théâtres de L’Europe, Parigi, 1993 (Catalogo della
Mostra tenuta a Parigi, Centre Giorges Pompidou, nel 1993), Edizione italiana: Giorgio
Ursini UrsŠicŠ e Andrea Rauch, Emanuele Luzzati. Scenografo, Tormena, Genova, 1996;
Natasha F. Pulitzer (a cura di), Emanuele
Luzzati cantastorie: cinema e teatro, navi, libri
e illustrazioni, ceramiche, scene e manifesti,
arazzi, stoffe e costumi, Coedizioni d’arte, Bassano del Grappa, 1994 (Catalogo della Mostra tenuta a Bassano del Grappa, Palazzo
Agostinelli, nel 1994);
Sergio Noberini (a cura di), Goffredo Fofi e
Carmine De Luca (testi di), Emanuele Luzzati. Illustratore, Tormena, Genova, 1996 (Catalogo della Mostra tenuta a Genova, Palazzo
Ducale, nel 1996);
Cristina Taverna (a cura di), Mario Monicelli
(con un testo di), Campo dei miracoli, Nuages, Milano, 1999 (Catalogo della Mostra tenuta a Venezia, Museo di Palazzo Fortuny,
nel 1999);
Fabrizio Montecchi (a cura di), teatro Gioco
Vita (realizzazione del), Un mondo di figure
d’ombra. Omaggio a Lele Luzzati, Press 80, Firenze, 1994 (Catalogo della Mostra tenuta a
Piacenza, Chiesa di Santa Maria della Pace,
nel 1994);
Sergio Noberini e Rudolph Angermüller (a
cura di), I Mozart di Luzzati, Tormena, Ge-
nova, 2000 (Catalogo della Mostra in corso a
Salisburgo, Casa Natale di Mozart, 15 ottobre 1999 - 1 maggio 2000);
Sergio Noberini (a cura di), Emanuele Luzzati. Viaggio nel mondo ebraico, Genova, Tormena, 2000 (Catalogo della Mostra in corso a
Milano, Palazzo della Triennale, 20 gennaio 12 marzo 2000).
La filmografia
(dati completi di tutte le voci in Emanuele
Luzzati illustratore, Tormena, Genova, 1996)
I due guerrieri (incompiuto). Regia: Giulio
Ganini e Emanuele Luzzati; produzione: Gianini e Luzzati; origine: Italia 1957;
Pulcinella: il gioco dell’oca (incompiuto). Regia: Giulio Gianini e Emanuele Luzzati; produzione: Gianini e Luzzati; origine: Italia
1959;
La tarantella di Pulcinella (pubblicità, inedito). Animazione: Giulio Gianini; disegno,
scenografia: Emanuele Luzzati; produzione:
Gianini e Luzzati; origine: Italia 1959;
I paladini di Francia ovvero il tradimento di
Gano di Magonza. Regia: Giulio Gianini e
Emanuele Luzzati; testo: Emanuele Luzzati,
produzione: Gianini e Luzzati; origine: Italia
1960;
Castello di carte. Regia: Giulio Gianini e
Emanuele Luzzati; testo: Gianni Rodari; produzione: Gianini e Luzzati; origine: Italia,
1962;
La gazza ladra. Regia: Giulio Gianini e Emanuele Luzzati; Sinfonia da La gazza ladra di
Gioacchino Rossini; produzione: Gianini e
Luzzati; origine: Italia 1964;
L’armata Brancaleone (titoli di testa per il lungometraggio “dal vero” di Mario Monicelli).
Animazione: Giulio Gianini; disegni, scenografia: Emanuele Luzzati; produzione: FairMarceau; origine: Italia, 1966;
L’Italiana in Algeri. Regia: Giulio Gianini e
Emanuele Luzzati; Sinfonia da L’Italiana in
Algeri e Temporale da Il barbiere di Siviglia di
Gioacchino Rossini; produzione: Gianini e
Luzzati; origine: Italia, 1968;
Alì Babà. Regia: Giulio Gianini e Emanuele
Luzzati; testo: Emanuele Luzzati; produzione:
Gianini e Luzzati; origine: Italia 1970;
Brancaleone alle crociate (titoli di testa per il
lungometraggio “dal vero” di Mario Monicelli). Animazione: Giulio Gianini; disegno, scenografia: Emanuele Luzzati; produzione: Fair;
origine: Italia, 1970;
Il viaggio di Marco Polo. Regia: Giulio Gianini e Emanuele Luzzati; testo: Donatella Ziliotto; produzione: Rai -Radiotelevisione Italiana; origine: Italia, 1971;
Pulcinella. Regia Giulio Gianini e Emanuele
Luzzati; Sinfonia da Il Turco in Italia di
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IL PEPEVERDE
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Gioacchino Rossini; produzione: Gianini e
Luzzati; origine: Italia, 1973;
Turandot. Regia: Giulio Gianini e Emanuele
Luzzati; testo: Tonino Conte; produzione: Rai
-Radiotelevisione italiana; origine: Italia, 1974;
L’augellin Belvedere. Regia: Giulio Gianini e
Emanuele Luzzati; testo: Tonino Conte; produzione: Rai -Radiotelevisione italiana; origine: Italia 1975;
Il flauto magico. Regia: Giulio Gianini e Emanuele Luzzati, brani da Il flauto magico di
Wolfgang Amadeus Mozart; collaboratori per
le animazioni: Manfredo Manfredi, Jan Trmal; produzione: Thalia Film; origine: Austria, 1978;
I tre fratelli. Regia: Giulio Gianini e Emanuele Luzzati; testo: Tonino Conte; produzione:
Tsi - Televisione Svizzera Italiana; origine:
Svizzera, 1979;
La donna serpente. Regia: Giulio Gianini e
Emanuele Luzzati; testo: Tonino Conte; produzione: Tsi - Televisione Svizzera Italiana;
origine: Svizzera, 1979;
La ragazza cigno. Regia: Emanuele Luzzati e
J. Trmal; testo: Tonino Conte; produzione:
Tsi - Televisione Svizzera Italiana; origine:
Svizzera, 1980;
La palla d’oro. Regia: Emanuele Luzzati e J.
Trmal; testo: Tonino Conte; produzione: Tsi Televisione Svizzera Italiana; origine: Svizzera,
1980;
L’uccelllo di fuoco. Regia: Giulio Gianini e
Emanuele Luzzati; testo: Tonino Conte; produzione: Tsi - Televisione Svizzera Italiana;
origine: Svizzera 1981;
Pulcinella e il pesce magico. Regia: Giulio Gianini e Emanuele Luzzati; testo: Tonino Conte; produzione: Tsi - Televisione Svizzera Italiana; origine: Svizzera 1981;
Il libro. Regia: Giulio Gianini e Emanuele
Luzzati; testo e musica: Angelo Branduardi;
produzione: Musiza; origine: Italia 1983;
Concerto per gatti. Regia, sceneggiatura: Giulio Gianini; disegno, scenografia: Emanuele
Luzzati; musica: Concerto per gatti di Gioacchino Rossini; produzione: Gianini e Luzzati;
origine: Italia, 1985;
Contrappunto bestiale. Animazione: Giulio
Gianini; disegno, scenografia: Emanuele Luzzati; musica: Contrappunto bestiale alla mente
di Adriano Banchieri; produzione: Gianini e
Luzzati; origine: Italia, 1986;
Jerusalem. Animazione: Giulio Gianini e
Emanuele Luzzati; produzione: Tower of David Museum of the History of Jerusalem; origine: Israele, 1990;
La casa dei suoni, da un libro di Claudio Abbado. Animazione: Giulio Gianini e Emanuele Luzzati; produzione: Flitz Buttenstedt,
Boris Riaskov; cassetta in allegato a La Casa
dei Suoni, supplemento al n. 4 della rivista
mensile “Video Art Concerto”.
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Itinerari
di Carla Marotta
Conoscenza e difesa dell’ambiente
Nella mia quotidiana esperienza di insegnante di scienze
nella scuola media, sperimento spesso la difficoltà di stimolare nei ragazzi un interesse verso la conoscenza e la difesa
dell’ambiente che vada oltre l’entusiasmo del momento e
produca un effettivo cambiamento delle abitudini, favorendo la formazione di una coscienza responsabile. In questa impresa raramente ricevo un valido supporto dai libri
di testo in circolazione, nei quali continuo a riscontrare un
modo freddamente manualistico e prevalentemente catastrofistico di proporre lo studio dell’ambiente: trovo negli
indici argomenti relativi all’inquinamento, al degrado, alle
tanto paventate catastrofi planetarie, sfoglio le pagine alla
ricerca di proposte di esplorazione e di ricerca che corrispondano alla passione che molti insegnanti come me vorrebbero trasmettere insieme alle conoscenze, ma quasi mai
trovo qualcosa di adatto; solo definizioni e nozioni, poco o
nulla che indirizzi i ragazzi ad una “lettura” dell’ambiente
come l’entità mirabilmente organica ed armoniosa quale
esso è. È francamente difficile che sentano la curiosità di
esplorarlo se si aspettano di trovarvi solo rifiuti e degrado.
Come sollecitare allora il coinvolgimento emotivo personale degli alunni nel processo di apprendimento, evitando
di fare terrorismo psicologico? Ritengo che una buona soluzione stia nell’adottare una duplice strategia:
1. Progettare e realizzare con i ragazzi un lavoro sul campo, privilegiando l’approccio pratico-sperimentale, il contatto diretto con l’ambiente naturale, attraverso uscite, visite guidate, raccolta e catalogazione di reperti e materiali,
conduzione di indagini, in modo che gli alunni capiscano
che si può fare ecologia in ambito “domestico”, osservando il giardino vicino a casa o il muro del cortile della
scuola, un piccolo acquario o un albero qualunque di un
viale cittadino, e trovare comunque molto di interessante
da osservare.
2. Utilizzare la dimensione ludica, proponendo loro giochi di ruolo e di simulazione attraverso i quali comprendere in prima persona le dinamiche ambientali e le relazioni tra i viventi e l’ecosistema.
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IL PEPEVERDE
In questo modo i ragazzi possono innanzi tutto conoscere
ed apprezzare gli equilibri naturali e, solo in seguito, maturare il concetto di tutela e far proprie le leggi che regolano il comportamento dell’uomo nei confronti dell’ambiente. Quanto più personalizzata sarà l’esperienza di
ognuno, tanto maggiore sarà la possibilità di poter creare
in lui una coscienza ecologica.
Manuali per la programmazione didattica
Per la programmazione didattica delle attività di educazione ambientale esistono diverse proposte editoriali. Manuali pratici e propositivi per un’introduzione teorica ed
operativa all’ecologia e alla ricerca d’ambiente, forniti di
indicazioni metodologiche e schede didattiche, sono:
- V. Midoro, R. Briano, L’educazione ambientale a scuola,
Menabò, Ortona, 1999. Il testo illustra l’approccio metodologico messo a punto dagli autori/ricercatori dell’Istituto per le Tecnologie Didattiche del Cnr in decine di progetti di educazione ambientale. In esso sono riconoscibili
non solo i punti forti avanzati in questi ultimi anni dal
mondo della ricerca nel settore dell’educazione ambientale
a livello nazionale e internazionale e dalle associazioni ambientaliste, ma anche idee e metodi provenienti dal settore
delle tecnologie didattiche.
- F. Frabboni, G. Gavioli, G. Vianello (a cura di), Ambiente s’impara, Franco Angeli, Milano, 1998. Il volume
intende portare un doppio contributo nell’ambito dell’educazione ambientale: anzitutto fonda i principi teorici e
metodologici della ricerca e delle scienze ambientali a partire dalla sintesi degli apporti pedagogico-didattici e delle
scienze ecologiche, poi suggerisce agli insegnanti e agli
operatori ambientali linee di progettazione e di sperimentazione empirica fondamentali per divulgare presso le
nuove generazioni una conoscenza/coscienza collettiva
delle problematiche ecologiche.
- P. Bonfanti, F. Frabboni, L. Guerra, C. Sorlini, Manuale
di educazione ambientale, serie “Fare scuola”, Laterza, Bari,
1993. L’ambiente inteso come un’“aula didattica” che
consente di aprire la rigida organizzazione scolastica ed atn. 3/2000
per leggere
l’ambiente
tivare le qualità migliori della scuola e dell’extrascuola.
Nel libro tale funzione è scomposta nella presentazione di
due “decaloghi”, il primo per l’educazione ambientale (i
perché pedagogici), il secondo per la didattica ambientale.
Un capitolo è dedicato alla centralità delle discipline le
quali, attraverso le unità didattiche, hanno la possibilità di
entrare in relazione tra loro.
- V. Cogliati Dezza (a cura di), Un mondo tutto attaccato.
Guida all’educazione ambientale, collana “Ambiente e società” a cura della Legambiente, Franco Angeli, Milano,
1993. Il volume, indicando percorsi didattici sperimentati, coerenti e originali, fornisce agli insegnanti di scuola
elementare (I e II ciclo) e scuola media inferiore e agli
operatori dell’extra-scuola coerenti spunti di lavoro.
- P. Orefice, A. Avenanti (a cura di), Educazione ambientale e didattica del territorio: resoconti ed esperienze di lavoro
nella Scuola Media, Giunti e Lisciani (“Educazione nuova.
Le idee e gli strumenti”), Teramo, 1991. Si tratta della
presentazione articolata, arricchita da materiali di programmazione e di documentazione, di un progetto di conoscenza del territorio sviluppato con alcune scuole medie
di 1° grado. Articolato in unità didattiche, ogni esperienza
è legata ai temi affrontati: fiume, mare, centro storico.
- F. Gattini, D. Salvadori, Schede per l’ambiente. Strumenti e proposte per la didattica, Irrsae Toscana-Le Monnier,
Firenze, 1991. L’opera contiene, nella prima parte, una
quantità di notizie non facilmente reperibili dalle scuole,
oltre a una bibliografia ordinata per temi. Nella seconda
parte vengono presentate proposte e materiali didattici di
vario tipo: schede metodologiche disciplinari studiate per
la programmazione di ogni materia in riferimento ai programmi ministeriali; schede di osservazione adatte per essere fotocopiate e adoperate direttamente dagli studenti;
schede di proposte che suggeriscono attività di vario tipo;
indicazioni per la documentazione, memorizzazione,
pubblicizzazione dei lavori e delle ricerche prodotti dalle
scuole.
- R. Ammassari, M. T. Palleschi (a cura di), Educazione
ambientale: gli indicatori di qualità. Un percorso coerente
41
IL PEPEVERDE
dalle scuole elementari alla formazione professionale, Franco Angeli (Isfol, “Strumenti e ricerche”, n. 32), Milano,
1991. L’improvvisazione di molte attività formative, l’occasionalità di finanziamenti adeguati, il faticoso procedere solo attraverso il volontarismo degli insegnanti, la
frammentarietà delle esperienze hanno fatto spesso dell’educazione ambientale un contenitore nel quale far confluire esperienze diverse e pratiche didattiche similari,
dall’educazione scientifica alla ricerca naturalistica, all’educazione civica, all’educazione alla pace ecc. Quali allora i caratteri distintivi dell’educazione ambientale? La ricerca di indicatori di qualità dei progetti di educazione
ambientale si accompagna ad una attenta analisi della loro interdisciplinarietà, ed anche del loro permanere nei
vari ordini di scuola. Dopo i primi quattro capitoli dedicati alla elaborazione e motivazione degli indicatori di
qualità, il volume passa a presentare progetti educativi
dei vari ordini di scuola (dalla elementare alla secondaria
superiore).
- G. Rescigno, introduzione di F. Frabboni, Studiare l’ambiente: teoria e pratica, Editori Riuniti, Roma, 1989. Dopo una breve premessa sugli aspetti teorici della “ricerca
d’ambiente”, il volume presenta tre esperienze di lavoro
sul campo, realizzate da altrettante classi di scuola media,
concependo gli ambienti interessati come “libro di lettura”: il bosco, il torrente, l’inquinamento urbano.
- M. Bertacci, Fare ecologia nella scuola elementare, Giunti
e Lisciani (“Educazione nuova. Le idee e gli strumenti”),
Teramo, 1989. Cento schede di programmazione rivolte
agli insegnanti raggruppate per temi (bosco, acqua, casa,
prato) si propongono come un manuale operativo per la
didattica d’ambiente.
- L. Berlinguer, S. Caravita, A. Rissotto, Il nostro mondo.
Alla scoperta degli ambienti italiani, (Quaderni del Laboratorio, n.21) Istituto di Psicologia del Cnr, Reparto di Psicopedagogia, Roma, 1996. Presentazione del programma
informatico “Il nostro mondo” (vedi banca dati “Andrea”): una sorta di banca dati sull’ambiente vicino per
bambini dalla materna alla media. I bambini vengono
n. 3/2000
coinvolti in un processo di riflessione sull’ambiente e sulla
loro esperienza e conoscenza di esso, vengono guidati al
mettere in relazione e organizzare queste loro riflessioni e
a comunicarle e scambiarle con altri bambini. Riflessioni
pedagogiche sulla comunicazione, e in particolare sulla
scrittura come forma di comunicazione, insieme a una
guida all’uso del programma nella didattica, completano
la presentazione.
Guide alla sperimentazione didattica che hanno origine
dall’esperienza degli autori, con ipotesi metodologiche e
proposte concrete, presentate passo per passo, su come
realizzare in classe i principi e gli obiettivi ecologici, ricche
“Andrea”: educazione ambientale in Rete
“Andrea”, Archivio nazionale di documentazione e ricerca
per l’educazione Ambientale, è un sistema informativo e
contemporaneamente un progetto di ricerca educativa, rivolto ad insegnanti ed operatori ambientali, dentro e fuori la
scuola, che intendano realizzare proposte didattiche di educazione ambientale. Un prezioso strumento di ricerca e di lavoro, nato dalla collaborazione dell’Istituto di Psicopedagogia del Cnr, del Ministero dell’Ambiente e del Ministero della PI, composto da due banche dati: l’una, la banca dati “Andrea” destinata agli educatori, l’altra, la banca dati “Il nostro
mondo”, un progetto didattico per bambini delle ultime
classi delle elementari e le prime della scuola secondaria inferiore.
Una rete bibliografica e di esperienze unica in Italia, capace
di fornire informazioni su tutti i diversi agenti che operano
nel settore dell’educazione ambientale, sui materiali prodotti, sulle attività in corso.
Pensato fondamentalmente per operatori adulti, l’archivio è
stato sviluppato su tre livelli di ricerca, per permettere anche
ad utenti inesperti di accedervi e reperirvi informazioni, ha
un’interfaccia abbastanza semplice ed intuitiva e un help in
linea che guida l’utente nella consultazione.
Per insegnanti e studenti di ogni ordine di scuola, la sua consultazione costituisce un prezioso strumento di insegnamento-apprendimento, alternativo ai libri di testo, ancora generici o poco documentati in materia e soprattutto più funzionale alla formazione della capacità di interconnessione dei
concetti, fondamentale nello studio dell’ambiente e tanto
difficile da far acquisire ai nostri ragazzi, bombardati da nozioni frammentarie e slegate che non riescono a sistemare organicamente. Ogni scheda dell’archivio è un invito implicito
42
IL PEPEVERDE
a partecipare in prima persona: leggere un libro o una rivista,
compiere un’escursione in un parco, una riserva o un centro
di educazione ambientale, fare una visita ad un museo, ad
un acquario, ad un orto botanico, seguire un corso, partecipare ad un concorso, progettare un’attività didattica, un percorso d’apprendimento. La banca dati può essere continuamente arricchita da altri enti che si interessino in modo continuativo di educazione ambientale, e che vogliano proporre
la propria esperienza educativa, contattando i Laboratori territoriali, referenti regionali del sistema, i cui indirizzi sono
reperibili nel sito.
Il laboratorio virtuale “Il nostro mondo”, dedicato in particolare all’educazione ambientale nella scuola dell’obbligo, è
una banca dati ad accesso facilitato per i giovanissimi, curata dal reparto di Psicopedagogia dell’Istituto di Psicologia
del Cnr, aperta alle classi di scuola elementare e media che
vogliano consultarla o proporre i propri lavori di ricerca e
documentazione in campo ambientale. La valenza pedagogica del laboratorio virtuale è duplice: i ragazzi non sono
solo utenti che prelevano informazioni, imparando a consultare una banca dati, ma operatori attivi che producono
materiali e arricchiscono l’archivio per tutta la comunità
scientifica; inoltre, la necessità di produrre materiali consultabili da altri, è un forte stimolo a sviluppare capacità di
produzione e revisione dei testi e di lettura critica dell’informazione.
Il software consente l’accumulo e l’organizzazione dei risultati di lavori che vengono comunemente dispersi e che invece
possono essere la base per progettare nuove esperienze. La
raccolta di questi materiali può costituire un’interessante base di ricerca per chi si occupa di educazione ambientale.
n. 3/2000
ITINERARI PER LEGGERE L’AMBIENTE
di suggerimenti, idee, consigli semplici e chiari, corredati
da illustrazioni esplicative, per l’organizzazione di giochi,
esperienze, attività, sono:
- G. Zavalloni, D. Zavalloni, Educare all’ambiente a casa,
a scuola e nel territorio, “Vivere e imparare”, Macro Edizioni, Cesena, 1998. Si tratta di un manuale d’approccio
ai vari ambienti, al modo di scoprirli e ai numerosi modi
di esplorarli. Mentre nella prima sezione del libro gli ambienti considerati sono quelli naturali (fiume, bosco, siepi,
ecc.), nella seconda ci si occupa degli ambienti a scuola e
a casa: dal problema dei rifiuti, alla “mensa scolastica ecologica”, fino alla possibilità di fare un piccolo orto botanico con calendario delle semine.
- “I libri del Far Fare. Ambiente” (Collana di manuali didattici), Elle Di Ci, Leumann, 1998: M. Da Vià, M. Glisoni, Il bosco e la mia città; M. Glisoni, A. Caturan; Sento
il vento con un dito; E. Data, Miti miti e miti ribelli.
Percorsi didattici dalla struttura innovativa per proporre
l’educazione ambientale con letture, giochi di simulazione
e di ruolo, esplorazioni, sperimentazioni.
- “Percorsi educativi due”: Esplorare, Riflettere, Comunicare (“Progetto Qualità della Vita”), V. Cogliati Dezza, (a
cura di), G. Missaglia (a cura di), Editrice C.P.M., Milano, 1997. Il programma “Qualità della vita” è promosso e
realizzato dalla Società Barilla in collaborazione con Le-
gambiente. I “Percorsi Educativi due”, tre quaderni raccolti in un cofanetto, si caratterizzano come approfondimenti scientifici e didattici trasversali alle quattro tematiche guida del programma “Qualità della vita”: Ambiente,
Alimentazione, Salute e Sport. “Esplorare” propone agli
insegnanti e ai ragazzi della scuola media ed elementare
un percorso formativo che intreccia il gioco con l’esplorazione ambientale, l’affinamento delle abilità motorie con
lo sviluppo della cooperazione. Il percorso parte dall’esplorazione sistemica del quartiere compiuta dalla classe,
continua con la costruzione di un tracciato di orienteering
nei luoghi esplorati, attraversa una valutazione di qualità
ambientale del territorio esplorato e infine culmina con
una giornata in cui, lungo questo tracciato, si corre una
gara-gioco che metta a frutto le conoscenze e i problemi
emersi dall’esplorazione.
“Quaderni di educazione ambientale WWF Italia”: una
serie di quaderni didattici ricchi di proposte ed indicazioni per realizzare attività pratiche in classe e all’aperto: R.
Lorenzo, Scopriamo l’ambiente urbano, n.1, 1988; P. Ascani, M. Dinetti, Il Giardino naturale: come ospitare piccoli
ambienti naturali vicino a scuola, n.2, 1988; G. Bonalume, La foresta in Classe, n. 4; 1988; I. De Vecchi, Il grande
albero, n. 8, 1990;
M. A. Quadrelli, M. V. Rossetti, Colori, profumi, suoni
e…, n. 10, 1990; M. Spoto, P. Nascimbene, Le aree protette: come, dove, perché, n. 18, 1992; P. Nascimbene,
Un’oasi a scuola: come creare una fitta rete di microambienti
naturali, n. 19, 1992; V. Consoli, F. Tonucci, Ridateci la
Nostra Città. Come i bambini possono difendere e riconquistare la città, n. 24, 1996.
Un mare di Boschi: Progetto WWF sulle foreste del Mediterraneo, n. 32, 1996;
- G. Zavalloni, La scuola ecologica, Macro Edizioni, Cesena, 1996; J. Cornell, Scopriamo la natura assieme ai bambini Red Edizioni, Como.
40 percorsi di gioco sperimentati da un insegnante che da
anni fa educazione ambientale a contatto diretto con la
natura.
- S. Loos, E. Passerini, Giocambiente: 10 giochi per l’educazione ambientale, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1995
(cartella con opuscolo esplicativo e n. 5 tavole di gioco).
Sono proposte tre tipologie di gioco: gioco di ruolo, gioco
di simulazione e gioco cooperativo. Una chiara presentazione consente di capire i significati differenti di tali giochi, e quindi aiuta molto chi voglia costruirne nell’ambito
dell’attività in classe.
Su internet
Segnalo inoltre un sito Internet in cui reperire spunti didattici, indirizzi, indicazioni bibliografiche sulla cosiddet-
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IL PEPEVERDE
n. 3/2000
STUDI E RICERCHE
ta letteratura grigia, cioè su materiali che non hanno una
rete di distribuzione organizzata e riconoscibile come le librerie o le edicole, e molto altro sull’educazione ambientale: “Andrea”, Archivio nazionale di documentazione e
Ricerca per l’educazione Ambientale, consultabile nel sito
Infea del Ministero dell’Ambiente all’indirizzo
http://www.via.minambiente.it (vedi scheda).
Libri per ragazzi
Nel progettare gli interventi didattici è in ogni caso fondamentale prevedere per gli alunni la lettura guidata e individuale di testi adatti e stimolanti per le diverse fasce d’età,
che sollecitino la curiosità ed indirizzino l’osservazione e
l’esplorazione. Le proposte che seguono tentano di comporre una bibliografia ragionata di educazione ambientale
per bambini e ragazzi, cercando di mettere d’accordo la
correttezza scientifica e metodologica con il piacere della
lettura, che non va mai trascurato, anche e soprattutto
quando si tratta di trasmettere contenuti educativi.
Testi corretti e curati sotto il profilo scientifico, ma agili,
ben scritti e ben illustrati, per i bambini della scuola elementare sono:
- Aria; Alimenti; Alberi; Rifiuti; Acqua; Vita in città; Energia, Collana “Obiettivo ambiente”, Editrice Scienza, 1996.
I volumi oltre a fornire un quadro preciso dell’impatto
dell’attività umana sull’equilibrio ambientale del nostro
pianeta, contengono suggerimenti per concrete attività di
intervento nella vita quotidiana, test e
prove pratiche per verificare lo stato
dell’ambiente, riferimenti bibliografici
e indirizzi utili.
- B. Savan, Intorno al mondo
in ecociclo, Collana “Scienza
a merenda”, Editrice Scienza,
1995. Spiega in modo chiaro
e appassionante i meccanismi del ciclo dell’acqua,
come circola l’aria che
respiriamo, che cos’è un
habitat, come vivere
con le piante, animali e
persone.
44
IL PEPEVERDE
- M. Manning, A scuola di natura, Collana “W la scuola”,
Editrice Scienza, 1998. È un libro per conoscere e salvaguardare piante e animali in diversi ambienti e svolgere
tante bellissime attività originali e progetti divertenti: imparare a riconoscere le tracce degli animali, fare un safari di
insetti, dare un colore ai suoni della natura.
- Tracce a sorpresa; Erbario, Collana “Sorprese”, Editrice
Scienza, 1997. Volumetti interattivi con cassettino delle
sorprese, ricchi di immagini, curiosità, completi di istruzioni per apprendere costruendo e divertendosi.
- P. Wright, Gli uccelli; Lo stagno, Collana “Mini-Habitat”,
Editrice Scienza, 1993. Libri-guida con percorsi che vanno dall’osservazione diretta alla realizzazione pratica di un
nido e di uno stagno, mescolando conoscenze tecniche ed
abilità manuali.
- R. Mettler, La natura di mese in mese, E. Elle, Trieste,
1998. È un bell’album delle stagioni, concepito come un
diario naturalistico, che presenta, di mese in mese, i cambiamenti ambientali di uno stesso scorcio della campagna
francese, ricco di consigli su dove e come guardare per cogliere gli adattamenti al variare del clima, le strategie di
sopravvivenza, la perfezione dei meccanismi ambientali
messi a punto dalla natura in millenni di evoluzione.
- C. Del Corso, N. Fedrighini, Tuteliamo la natura, (“Arnica-progettazione ambientale”), tre quaderni per le classi del
II ciclo della scuola elementare, Provincia di Torino, 1998.
Un progetto triennale che si configura per il bambino come un cammino di scoperta della natura e delle sue leggi,
attraverso un racconto fantastico e una trattazione scientifica arricchita da schede pratiche per preparare le escursioni.
Per la fascia d’età dai 10 ai 14 anni vi sono diverse valide
proposte editoriali vecchie e nuove, per letture soprattutto
individuali, esplorazioni ed attività naturalistiche:
- E. Alleva, S. Petruzzi (a cura di), “Le guide ad occhi
aperti”: La casa; La città; La duna; La macchia mediterranea, AdnKronos libri, Roma, 1998;
- G. Nucci, Manuale del giovane ambientalista, Mondadori, Milano, 1999;
- 50 piccole cose semplici che i ragazzi possono fare per salvare la terra, The Earth Works Group, Sperling & Kupfer. I
volumi spiegano ai più giovani i problemi ambientali,
suggerendo come cambiare le proprie abitudini quotidiane verso un maggiore rispetto per l’ambiente e a rendersi
utili in prima persona per il futuro della terra;
- Missione Terra, scritto dai ragazzi di tutto il mondo, Macro Edizioni, Cesena, 1996. Con illustrazioni a colori, fotografie e un’impostazione grafica che invogliano alla lettura e permettono al “messaggio” di catturarne fantasia e
sensibilità, raccoglie disegni, poesie, racconti, riflessioni,
proposte e progetti per salvare la Terra; è un libro di grande semplicità ed efficacia che può essere utilizzato dagli
n. 3/2000
ITINERARI PER LEGGERE L’AMBIENTE
educatori per risvegliare l’interesse dei ragazzi verso le tematiche ambientali;
- L. Poggiani, Tracce di animali sulla spiaggia sabbiosa,
Quaderno WWF n. 5, 1988;
- M. Spoto, F. Zuppa, Un’aula in riva al mare, Quaderno
WWF n. 7, 1989;
- Un mare di Boschi: Progetto WWF sulle foreste del Mediterraneo, nn. 33 e 34, 1996;
- Fare per capire, schede di esperimenti per la conservazione a cura WWF Italia e World Scout Bureau. Utilissimo
manuale di esperimenti pratici per la conoscenza e la conservazione dell’ambiente, ad uso sia degli allievi che degli
insegnanti.
Le guide
Segnalo anche alcune guide, benché non recentissime, ma
sempre valide, da consultare con l’aiuto degli insegnanti
in preparazione e durante le uscite naturalistiche:
- S. Caravita, A. Messina, L’esplorazione naturalistica: alcune tecniche ed indicazioni didattiche, (Quaderni del Laboratorio, n. 6), Cnr, Istituto di Psicologia, Reparto di Psicopedagogia, Roma, 1986. Dà indicazioni sull’apprendimento per esperienza, sul lavoro sul campo con osservazione e raccolta dei dati, sulle escursioni: equipaggiamento, attrezzatura, dove, cosa, come fare, consiglia metodi
per la ricerca, raccolta, conservazione e trasporto di
campioni vegetali e animali;
- P. Touyre, Il libro della natura, (trad. E. Mongini),
Touring club italiano, 1987. Una guida per i giovani
escursionisti con i consigli necessari per osservare con discrezione, senza arrecare disturbo e danno e comprendere
bene i segreti della natura;
- S. Bartoli, A. Rambaldi, Come portare a casa la natura
lasciandola dov’è. Ovvero il taccuino del naturalista, Qua-
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IL PEPEVERDE
derno WWF, n.21, Roma, 1992. Un diario da personalizzare con disegni ed indicazioni utili da portare sempre
con sé nelle escursioni in natura;
- Natura amica a cura del WWF Verona. Manuale di osservazioni naturalistiche sulla flora e la fauna di alcuni
ambienti (città, costa rocciosa, montagna, stagno, spiaggia) da leggere e da colorare con allegate dieci schede
estraibili disegnate da Fulco Pratesi;
- I ricercambiente, a cura del WWF di Verona. Quaderno
per ricerche in quattro ambienti “marginali”: fossi e paludi, prato, siepe, muretti a secco; tutto ciò che c’è da osservare, cosa si può fare per salvaguardarli, con spazio per appunti e disegni;
- G. Allen, J. Denslow, Alberi; Animali d’acqua dolce; Fauna costiera; Fiori; Impronte e tracce; Insetti ed altri animaletti privi di scheletro osseo; Ossa; Piante senza fiori; Uccelli;
“Libri chiave”, La Scuola, Brescia; 1982-83. Una collana
che introduce i ragazzi nel campo intricato delle classificazioni sistematiche seguendo lo stesso metodo degli studiosi e consente di eseguire semplici e divertenti ricerche.
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Le collane
Edizioni Lapis: “Carlo il tarlo”
Tarlo anticonformista
«Io sono Carlo il tarlo / i libri
mi divoro / e preferisco farlo /
al posto del lavoro. / Ridendo
ho superato / di ogni libro il
segno / e spesso ho sgranocchiato / il sogno e non il legno!». Un tarlo anticonformista, armato di coltello e forchetta per mangiarsi un bel libro, è il simbolo di questa originale collana ideata dalla Casa
editrice Lapis di Roma, e distribuita dai Fratelli Palombi
Editori, e quella che avete appena letto è la filastrocca che
accompagna Carlo nella sua
scorpacciata di parole, immagini e poesia. Caratteristica dominante dei nove volumetti finora pubblicati è la fusione tra
illustrazione e testo, come elementi in continuo rapporto
creativo fra di loro.
Pecore di Lorenzo Terranera è
un racconto per immagini e
dialoghi che descrive con toni
surreali il viaggio di una lunga
fila di pecore, ognuna incollata all’altra, che maledicono la
sfortuna portata dalla solita
pecora nera, e neppure si accorgono che a capo del gregge
c’è in realtà un lupo travestito
da pecora; oppure che da
giorni stanno procedendo in
circolo, senza arrivare da nes-
suna parte. Con uguale tratto
ironico l’autore ci illustra la
“movimentata” vita dei Bradipi, gli animali più pigri e sonnolenti del mondo, perennemente attaccati al ramo di un
albero.
Lorenzo Terranera cura anche
le fiabesche illustrazioni di
Analisi, breve libriccino di Benedetto Tudino, non a caso
dedicato alla Grammatica della fantasia di Gianni Rodari:
le poesie, ispirate all’analisi
grammaticale e all’analisi logica, sono seguite da un Manuale minimo per avvicinarsi
alla scrittura in filastrocca, un
invito per il bambino a giocare con le parole e a comporre
da solo versi e rime.
46
IL PEPEVERDE
Fa a meno delle parole Giulia
D’Anna, che tratteggia tre incantevoli storie d’amore nel
suo Amori in salamoia; nella
prefazione Syusy Blady paragona giustamente i racconti a
«piccoli film», nei quali si intrecciano i desideri e i sentimenti di donne e uomini che
non hanno perso la capacità
di sognare: l’operaia che inscatola pomodori e usa le scatole di pelati come veicolo per
comunicare con l’amato; la
ragazza punk che fa innamorare un uomo “normale”,
complice la frequentazione di
una piscina; infine la poetica
relazione tra un timido signore con gli occhiali e una bellissima donna-angelo nei bassifondi della città.
L’amicizia è invece al centro di
Amore e matematica e Dietro le
quinte, di Giovanni Nucci,
con le illustrazioni di Paolo
Ravagli: attraverso i dialoghi
tra Francesco e Nicola, due inseparabili amici e compagni di
scuola, vengono raccontate le
prime cotte, le piccole difficoltà della vita quotidiana,
l’importanza del sostegno e
dell’aiuto che solo un vero
amico può dare. Un singolare
espediente narrativo è quello
n. 3/2000
di intrecciare le parole del racconto alle voci di due grandi
poeti: W. H. Auden con lo
splendido poemetto La verità,
vi prego, sull’amore accompagna la furiosa cotta di Nicola
per la figlia della terribile insegnante di matematica; mentre
il Sogno di una notte di mezza
estate viene messo in scena durante la recita scolastica, dove
Francesco si innamora della
bella Elena, che però sta con
Luigi; ma quanto a scambio di
coppie, la commedia di Shakespeare ha molto da insegnare,
e tutto finirà per il meglio.
Non poteva mancare un giallo
tra i libri di “Carlo il tarlo”;
Philippe Gratin e il Piano Calamita di Renzo Mosca è una
summa del genere poliziesco:
il protagonista è un ladro di
opere d’arte geniale e cortese,
che compie tutti i sui furti solo per omaggiare l’adorata fidanzata Priscilla, mettendo in
crisi con la sua astuzia le mi-
LE COLLANE
Ultimo solo nel nostro elenco
Angeli di Valeria Ricciardi,
una vera e propria mappa angelica, utile per orientarsi tra
le schiere di Cherubini, Serafini, Troni e Arcangeli, senza
dimenticare gli Angeli custodi
e quelli addetti a mansioni
speciali, come gli Angeli del
giorno e dell’universo, dei
mari e delle piante, dei venti
e degli animali. Tra tutti i volumi questo è forse quello
maggiormente indicato per i
bambini, più vicini allo spirito degli angeli e quindi più a
loro agio tra le immagini poetiche e luminose del loro
mondo.
I titoli di “Carlo il Tarlo”:
Lorenzo Terranera, Pecore;
Giovanni Nucci, Amore e matematica, illustrazioni di Paolo
Ravagli; Benedetto Tudino,
Analisi, illustrazioni di Lorenzo Terranera; Fabio Magnasciutti, Dizionario di zio Mario dalla a alla c; Lorenzo Terranera, Bradipi; Renzo Mosca,
Philippe Gratin e il Piano Calamita, illustrazioni di Fabio
Magnasciutti; Giovanni Nucci, Dietro le quinte, illustrazioni di Paolo Ravagli; Valeria
Ricciardi, Angeli; Giulia
D’Anna, Amori in salamoia;
Lapis, Roma, 1999.
Valentina De Propris
Edizioni Cideb: “Reading and training”
una guida ai film tratti dai lavori del drammaturgo inglese.
Ogni unità, preceduta da brevi note che riassumono la trama e invitano i lettori alla riflessione su alcuni argomenti
salienti, è riservata ad un tema
specifico a cui è abbinata una
commedia o una tragedia.
Interessante la scelta delle immagini: foto e locandine, rigorosamente d’epoca.
Chiara Attolini
gliori menti di Scotland Yard;
ma l’agente Burton gli sta alle
costole e cercherà di prevenire
ogni sua mossa, per sventare il
prossimo colpo della banda e
guadagnarsi l’ammirazione e
l’amore dell’affascinante ausiliaria Samantha Eggar.
Le avventure di P.G., ladro in
guanti gialli, sono illustrate
da Fabio Magnasciutti, autore
dell’originale Dizionario dello
zio Mario dalla a alla c, nel
quale 84 vocaboli, da abbacchiato a cucinotto, vengono
reinventati grazie a giochi di
parole, doppi sensi e rebus, e
illustrati secondo il nuovo significato: il barcollamento è
un bar pieno di persone che
soffrono, il bruciore un orologio in fiamme, l’allucinazione
una ginnastica per i piedi, e
così via.
Divertirsi con le lingue
Mi sembra utile ricordare
l’importanza che ha per i giovani lo studio delle lingue
straniere, tanto più facile
quanto più reso piacevole da
insegnanti, educatori, genitori. Proprio per rendere divertente l’apprendimento delle
lingue, la Cideb pubblica da
sempre testi in lingua originale di cui, spesso, propone riscrizioni finalizzate alla facilitazione della lettura.
Negli ultimi anni è stata sempre crescente l’attenzione della
Casa editrice per i giovani e i
giovanissimi a cui sono dedicate due collane, una per la
scuola elementare e una per la
media, con più di cento proposte tra grammatiche, letture, testi di drammatizzazione,
video e cd-rom e decine di
novità, tra le quali ne vorrei
segnalare due.
La prima è A midsummer night’s dream, nel catalogo “Cideb 2000”, presentato alla
Fiera di Francoforte. Con
Macbeth e Romeo and Juliet –
quest’ultimo anche in cd-rom
– la Cideb propone ancora
una rilettura, da copione a
racconto, in lingua inglese,
pensata per i ragazzi.
La struttura del libro è studiata non solo per consentire ai
lettori di impratichirsi con
una delle lingue più parlate
nel mondo, ma anche per garantire un piacevole approccio
al mondo del teatro.
Alcune pagine dedicate alla
vita di Shakespeare e all’inquadramento storico della
commedia, fanno da introduzione al libro diviso in sette
parti con sezioni utili all’apprendimento della lingua inglese. Interessanti i tre approfondimenti storico-drammaturgici relativi alla Corte
ateniese, al Bosco e alle Fate e
alla Popolarità del Sogno. A
conclusione del libro non
mancano dodici pagine riser47
IL PEPEVERDE
vate alla riscrizione, ovviamente “in breve”, del copione.
Belle e come sempre coloratissime le illustrazioni di Gianno
De Conno, valorizzate dalle
attente scelte grafico-editoriali
di Nadia Maestri.
All’interno del catalogo Cideb, per
gli amanti del
drammaturgo inglese, è d’obbligo
una lettura almeno di All the
World’s a Stage,
una raccolta di temi tratti dai più
noti lavori shakespeariani, in lingua originale con
testi a fronte. Attenta l’introduzione con note sulla
vita e sul teatro
shakespeariano; la
cronologia delle
opere; un buon
quadro storico e
n. 3/2000
R
a
g
n
a
t
e
l
a
Le schede
Sofia Gallo
Giganti
illustrazioni di Chiara
Rapaccini
Nuove Edizioni Romane,
Roma, 1999
Spesso e volentieri mi capita
di leggere libri freschi di stampa per una recensione, oppure
perché, essendo un appassionato, mi incuriosiscono le storie e le illustrazioni; però un
libro come questo sono anni
che non mi capita tra le mani.
Appena l’ho letto ero sconvolto. Non tanto perché non conoscessi la storia dei due giganti Gargantua e Pantagruele
del grande scrittore francese
del Cinquecento Rabelais, per
secoli censurata e bandita perché “colpevole” di essere descritta con un linguaggio
piuttosto colorito, quanto
perché qualcuno era riuscito
coraggiosamente a “tradurla”
per una lettura destinata ai ra-
gazzi. Ancora incredulo ho
deciso di rileggere il libro e
non nascondo di essermi di
nuovo divertito da matti: due
giganti così goffi, ridicoli, surreali e divertenti impegnati in
avventure esilaranti e rocambolesche. Che delizia!
Volevo assolutamente conoscere l’autrice: telefono alla
Casa editrice e mi dicono che
Sofia Gallo presenta il suo libro in una nota libreria per
ragazzi nel cuore di Roma. Ci
vado. È una bella serata autunnale e nella libreria tutto è
pronto per la presentazione:
gigantografia della bella copertina di Chiara Rapaccini,
microfoni per gli attori recitanti, scaffale con il libro in
bella mostra, rinfresco previsto per la fine a base di vino e
salamini. La cosa si fa interessante. Comincia ad arrivare
gente, poi, quando ormai è
tutto pieno, salta fuori Sofia
Gallo e inizia a parlare del suo
libro con una voce dolce e rassicurante: «Ho sempre avuto
un debito di riconoscenza nei
confronti di Rabelais, perché
le due figure gigantesche di
Gargantua e Pantagruele erano le uniche illustrazioni che
rallegravano al liceo il mio testo di letteratura francese. E
allora perché non rispolverarle
e proporle ai ragazzi? Io ho
voluto mettere in evidenza l’ironia di Rabelais sull’affanno
degli uomini nel cercare il potere e la gloria, la critica alla
48
IL PEPEVERDE
massificazione dei desideri e
delle mode e l’invito a saper
stare insieme superando confini mentali e geografici tra i
popoli».
Il risultato è straordinario:
con un linguaggio schietto e
con le illustrazioni ironiche e
di grandissimo effetto della
sempre brava Chiara Rapaccini, le folli avventure dei due
giganti che si mangiano i contadini nell’insalata, che affettano gli uomini come salamini, che organizzano feste a base di ettolitri di vino, che non
si preoccupano di sfogare la
loro ira con parolacce e volgarità, diventano un testo divertentissimo che lancia ai ragazzi non pochi spunti di riflessione.
Al termine della presentazione
incontro l’editrice Gabriella
Armando e le faccio i complimenti per il coraggio di aver
pubblicato un libro come
questo. Già, perché i ragazzi
di oggi – ai quali televisione,
cinema, video-giochi e chi più
ne ha più ne metta propinano
violenza gratuita e volgarità
spicciola – è bene che sappiano che un monaco francese
del Cinquecento, rettore di
due parrocchie, medico personale dell’arcivescovo di Parigi,
usava lo stesso linguaggio
sboccacciato e colorito dei
giovani di oggi non tanto per
un divertimento sterile fine a
se stesso, ma per denunciare
provocatoriamente falsità, di-
n. 3/2000
sonestà, mediocrità, razzismo,
intolleranza e conformismo.
Per assaporare tutto il valore
di questo libro consiglio ad
insegnanti ed educatori di leggerlo a voce alta insieme ai ragazzi.
Gaetano D’Onofrio
Nicoletta Codignola
Millanta la gallina canta
illustrazioni di Arianna
Papini
Fatatrac, Firenze, 1999
Una vera e propria chicca, nel
panorama della letteratura
per ragazzi, questo libro di
Nicoletta Codignola. Era il libro che molti aspettavamo. Si
tratta di 366 filastrocche brevi da leggersi una al giorno
durante l’arco della giornata
oppure tutte in una volta.
Questo grazioso libretto si
può anche sfogliare, leggerlo
qua e là oppure farvelo leggere la sera per addormentarsi
meglio e sognare. A piacimento. Per ogni filastrocca
un suo animale.
Le filastrocche sono sempre
LE SCHEDE
rigorosamente di solo sei versi, fulminanti e piene di sana
allegria. Buon divertimento
non c’è bisogno nemmeno di
augurarvelo, è sicuro.
Ermanno Detti
Andrea Bachini
Il Giubileo dei ragazzi
realizzazione DoGi spa,
Firenze
soggetto Antonio Tarzia
illustrazioni Studio L.R.
Galante e Andrea Ricciardi
San Paolo, Milano, 1999
È possibile parlare ai ragazzi
del Giubileo in modo entusiasmante e coinvolgente? A nostro giudizio questo libro ci
riesce molto bene.
Filo conduttore dell’opera è
senza dubbio il profondo senso religioso e popolare che ha
sempre animato questa celebrazione. Infatti, pagina dopo
pagina, il lettore è sempre più
coinvolto, fino a sentirsi partecipe, quasi protagonista delle vicende dei vari personaggi,
in particolare dei pellegrini
che si recavano a Roma per visitare San Pietro e le altre basiliche e ricevere l’indulgenza.
Il libro si presta come valido
sussidio per spiegare il senso e
la storia del Giubileo, un
evento che affonda le radici
nell’antichità e che, con il suo
periodico ripetersi, ritma il
tempo nel mondo ebraico-cri-
stiano. Il testo di Andrea Bachini, con linguaggio semplice e chiaro, ma sempre preciso
e accurato, ricostruisce la storia dei giubilei a partire dal
primo, quello di Bonifacio
VIII del 1300, inquadrandoli
sempre nel loro contesto storico-culturale. Le illustrazioni,
frutto di uno straordinario e
puntiglioso lavoro di ricerca,
riproducono fedelmente gli
interni di abitazioni quotidiane, dei cantieri e specialmente
delle varie basiliche che puntualmente venivano restaurate
o trasformate proprio in occasione dei giubilei.
Il tutto è arricchito da mappe,
piantine, fotografie, ritratti
dei protagonisti, che rendono
più chiare e immediate le notizie riportate. Insomma
“un’avventura” da non perdere, e da leggere insieme ai vostri ragazzi.
Stefania Faiocco
Angela Nanetti
Angeli
illustrazioni di Fausto
Bianchi
E. Elle, Trieste, 1999
Quando Angela Nanetti comincia a toccare i tasti della
fantasia, le sue capacità narrative e poetiche si moltiplicano. Ci eravamo già innamora49
IL PEPEVERDE
ti in questo senso delle atmosfere che era riuscita a creare
con il suo capolavoro Mio
nonno era un ciliegio. Lo avevamo letto con stupore e con
quel tanto di nostalgia che accompagna la fine di un libro
che si vorrebbe non finisse
mai. Ci chiedevamo se mai
l’autrice potesse riprendere i
fili del fantastico e dell’ironia.
Ebbene Angeli va dritto al segno. Un delizioso libro di
quindici storie, una più delicata e toccante dell’altra, sugli
angeli custodi.
Si delineano presenze angeliche serie e compassate ma anche angeli buffi e bambini, divertenti e ironici, a volte addirittura disubbidienti e vivacissimi.
È il caso per esempio del racconto L’angelo curioso, dove
un angioletto, messo a guardia di un bimbo, comincia a
guardare con curiosità i sogni
del piccolo, fino ad impossessarsene di un pezzetto, per
averlo tutto per sé e per poter
sognare anche lui. O della storia de I due angeli, dove un
piccolo angelo ritratto in una
natività, scambia il suo posto
con un bambino che nella sala
del museo si divertiva a fare
capriole e a camminare sulle
mani: l’angelo prende il suo
posto e diventa un bambino
modello; il bambino a sua
volta entra nel quadro, accanto a Gesù, ma non cambia il
suo carattere originario e vivacissimo, sberleffando, non visto, i visitatori.
Umanissimi questi angeli, leggeri e vaporosi come i loro
pensieri, accattivanti e rassicuranti nelle loro azioni, così simili a quelle dei bambini che
devono proteggere.
Le curatissime e sorprendenti
illustrazioni di Fausto Bianchi
accompagnano quest’opera
che a buon diritto può essere
annoverata nella tradizione
n. 3/2000
italiana della produzione sulla
“leggerezza” cioè di quella ricerca letteraria che parte da
Palazzeschi per arrivare a Calvino e ad alcune opere di Rodari e della Pitzorno, in cui
maggiormente si avverte l’esigenza di rendere quasi immateriale e atemporale il linguaggio di storie fantastiche.
I racconti si prestano ad una
lettura ad alta voce.
Antonio Leoni
Donatella Ziliotto
Un castello per Sirena
illustrazioni di Grazia
Nidasio
E. Elle, Trieste, 1999
Il futuro non è mai come uno
lo immagina o per lo meno lo
spera. Quando poi la realtà
degli adulti si misura con la
fervida immaginazione dei
bambini, allora il confronto
diventa più cocente e ci lascia
perplessi e amareggiati.
Ancora una volta la Ziliotto
non smette di sorprenderci
con la sua capacità di riuscire
a rovesciare i punti di vista
ordinari, con i quali siamo
solitamente abituati a considerare il rapporto tra il mondo dei bambini e quello degli
adulti: fantasioso e spensierato l’uno, concreto e razionale
il secondo.
RAGNATELA
Sirena, la protagonista di questo racconto fantastico e al
tempo sarcastico e pungente,
non è una bambina qualsiasi:
riesce a guardare umoristicamente e criticamente gli avvenimenti giungendo all’amara
conclusione di quanto sia difficile realizzare il più umano
dei desideri: avere un padre
accettabile, allegro e buono
con lei e con la mamma.
Abbandonata da un padre
marinaio e girovago, Sirena
vive con la madre, una modesta sartina pronta a sognare ad
occhi aperti e a innamorarsi
del primo venuto, purché sia
un tipo avventuroso. Le fiabe
e l’immaginazione accompagnano anche la vita della piccola protagonista che sogna
un vero principe in grado di
cambiare la sua vita. E, magicamente, il principe appare,
ma è come se fosse venuto
fuori da un libro: bello, alto
ed esangue, si comporta e ragiona proprio come un personaggio da fiaba scambiando,
in modo donchisciottesco, la
realtà con la fantasia e recitando il suo ruolo puramente letterario: si vanta del possesso
di regni inesistenti, combatte
contro degli scavatori meccanici credendoli mostri, va in
giro a baciare rubizze contadine ubriache che crede principesse addormentate. Che delusione per Sirena e per giunta
la mamma naturalmente se ne
innamora. Armata di idee e di
buona volontà, cerca di farla
rinsavire spingendola verso il
più concreto amico macellaio:
non sarà un principe ma
quanto meno le è simpatico e
poi da sempre è segretamente
innamorato della madre. Dopo molti tentativi, per far colpo sulla giovane donna, dimostra di essere pronto a tagliarsi un dito (per diventare
ricco intascando l’assicurazione). La mamma sceglie defini-
tivamente: sarà il macellaio il
suo sposo. Sirena crede che
tutto sia andato per il meglio
ma non è così: la sua vita diventa assolutamente monotona e grigia, piena di costrizioni e doveri, tra cotolette, fiorentine e lombate. Anche il
principe si trasforma in rospo,
dopo un ultimo bacio di Sirena alla quale non rimane altro
che riflettere e continuare a
sognare una vita diversa, magari con le tante sorelline che
il papà marinaio e birbone
avrà lasciato come lei a sognare in tanti porti del mondo.
Rita Tucciarelli
Antonio Leoni
Christine Nöstlinger
Due casi disperati
illustrazioni di Christiana
Nöstlinger
Fabbri, Milano, 1999
Il nodo centrale di questo divertente e profondo romanzo
della Nostlinger è racchiuso
nel titolo originale, Wetti &
Babs; aspetteremmo di trovarci davanti alla storia di due
sorelle o di due amiche, mentre al centro della vicenda c’è
solo lei, l’inimitabile Barbara,
una ragazzina davvero speciale, chiamata da tutti con il diminutivo Wetti, mentre lei
preferirebbe il più moderno e
adulto Babs.
50
IL PEPEVERDE
La famiglia di Barbara vive in
una casa minuscola e poco accogliente, in ristrettezze economiche che sono la causa dei
continui litigi tra i suoi genitori; quando la tirannica e invadente nonna Hasi si introduce nel menage domestico
per accudire il piccolo Robbie, malato di influenza, scoppia il finimondo. Il padre di
Wetti, un semplice muratore,
umiliato dai continui rimproveri della suocera, è costretto
a lasciare la casa; per ricucire
il rapporto con la moglie e ricomporre l’unità familiare, si
getta nel progetto disperato
che è ormai il suo chiodo fisso: costruire una villetta su un
pezzo di terreno di sua proprietà. L’aiuteranno la figlia,
con la quale ha un rapporto
privilegiato, e Stefan, il ragazzo di Barbara, difficile, intrattabile e refrattario allo studio,
che solo con Wetti – che lui
chiama Babs – riesce ad aprirsi. Il padre di Stefan, ricchissimo manager separato dalla
moglie, ha sempre trascurato
la famiglia per il lavoro, affidando alla fidanzata di turno
la cura dei suoi due figli. L’arrivo di Barbara, accolta a
braccia aperte nella loro immensa casa, aiuta a sciogliere
le tensioni e a mitigare il rapporto difficilissimo tra il padre e il figlio e tra Stefan e la
compagna del padre. Anche i
genitori di Wetti si riappacificano, in un lieto fine privo di
ogni retorica sentimentale.
Il tema della crescita è l’asse
portante del romanzo, nel
quale predominano gli aspetti
affettivi senza risultare sdolcinato, e senza perdere la leggerezza dell’ironia e dello humour. L’assenza di moralismo
e l’adozione di un deciso punto di vista focalizzato sulla
protagonista adolescente, ne
fanno un racconto autentico,
con situazioni che toccano il
n. 3/2000
grottesco e momenti di grande realismo.
Valentina De Propris
Gaetano Bellorio
Cuore di topo. Viaggio del
topolino Piller nel terzo
millennio
Figlie di San Paolo (Paoline),
Torino, 1999
Piller, un “topo bambino” che
ama pensare e osservare, avverte che la mente dei bambini è «grande come il mare».
Essa ha però bisogno delle delicate cure degli adulti per
non inquinarsi e diventare
«trasparente come carta velina». E soprattutto bisogna saper parlare al cuore dei bambini, magari narrando loro
una storia.
E Piller di storie ne racconta
più di una.
È l’amico che sa mettersi in
viaggio accanto ai bambini, sa
vedere il mondo attraverso i
loro occhi, sa parlare al loro
cuore delle cose piccole e
grandi che fanno parte della
vita: della “vita topina” e della
vita bambina. Due mondi a
confronto: il primo deve fare i
conti con i pregiudizi del secondo e spesso sopportarne le
ingiustizie.
Ma Piller, allevato alla “scuola
della sopravvivenza” è in grado
di apprezzare tutto ciò che di
buono e di bello il suo mondo
LE SCHEDE
può offrire come le avventure
nelle notti di luna, che lo fanno sognare, o l’incontro con
l’uomo che sa perdonare. La
sua aspirazione più grande è di
diventare un uomo, di crescere
insieme a lui ed entrare nella
sua storia. Ce la farà? Lo scopriremo mettendoci in viaggio
tra le pagine di questo libro
che parla di cose serie sorridendo. Della voglia di fiabe
che hanno i bambini, per
esempio. Però mancano i nonni per raccontargliele.
È un libro per tutti i bambini,
dai sei ai sessant’anni anni e
oltre, da leggere insieme fra
persone che si vogliono bene e
che desiderano star bene insieme. Non è solo un libro da
regalare a Natale per dire a
qualcuno che ci importa di lui
o di lei. Quella di Piller è la
voce di un amico che fa piacere ascoltare anche nei giorni
di scuola. E se fuori piove,
meglio!
Elisa Zoppei
Ron van der Meer, Frank
Whitford
Arte. Un libro
tridimensionale per scoprire
l’arte divertendosi
Franco Cosimo Panini,
Modena, 1997
Nel testo appare evidente un
obiettivo preciso, esplicito e
formalizzato: aiutare a comprendere e amare l’arte.
Tale intento, a dir poco ambi-
zioso, assume connotazioni
realizzabili se è sostenuto da
un contesto operativo e pratico, come quello che il libro ci
presenta. L’opera infatti risulta
molto gradevole e stimolante,
poiché attua continui rimandi
tra testo e immagini, con
esemplificazioni concettuali
illuminanti e a volte sorprendenti. Inoltre il grande corredo di sperimentazioni e prove
pratiche che suggerisce di attuare, concorre indubbiamente alla creazione di un processo di iniziazione al linguaggio
e alla pratica artistica, indicando un cammino da percorrere e, naturalmente, da approfondire.
A prima vista un libro gioco,
l’opera di Ron van der Meer e
Frank Whitford è sostenuta
da un rigoroso progetto di comunicazione interattiva con il
giovane lettore, realizzando
una sintesi di alto rilievo didattico.
Niente viene lasciato al caso o
a discorsi squisitamente teorici: il testo affronta le tappe
della comprensione dell’opera
d’arte ponendosi subito dalla
parte del duro e difficile lavoro dell’artista e individuando
le maggiori difficoltà che si
presentano nella realizzazione
di un’opera d’arte.
Riprodurre la realtà, luce e colore, movimento e tensione,
modelli e composizione, storie narrate nelle opere d’arte,
stile degli artisti, sono le grandi tappe che il testo affronta,
fornendo una panoramica
ampia e documentata, sostenuta costantemente da momenti di piccole sperimentazioni, tutte contenute nelle tasche, nei lucidi, nei pop up
che il libro contiene.
L’ultima parte del libro contiene suggerimenti per moltissime prove di tecniche artistiche: linee e textures, collages,
stampe, modellaggio.
51
IL PEPEVERDE
IL PEPEVERDE
n. 3/2000
Sicuramente un modello questo testo per quanti vogliano
trasmettere conoscenze sull’arte e le sue tecniche, poiché solo operando in tal modo si
inizia un primo approccio al
processo di alfabetizzazione
dei linguaggi iconici, si matura la competenza comunicativa ed espressiva, affinando il
gusto estetico e potenziando
la creatività.
Aurelio Sparagna
Christine Nöstlinger
Bonsai
Salani, Milano, 1999
Cosa si può dire di nuovo sull’adolescenza? Forse nulla, anche perché dopo fiumi di pa-
n. 3/2000
role di genere letterario, sociologico o psicologico, il nuovo
consiste soltanto nella storia
individuale che si può raccontare. Ma se ad impersonare un
adolescente maschio è una
scrittrice, per di più fra le più
dotate come Christine Nöstlinger, la questione si fa interessante.
Bonsai è il soprannome che i
compagni di classe hanno affibbiato al ragazzo protagonista del libro, che parla in prima persona, scrivendo una
sorta di diario. Bonsai perché
è piccolo, ma tutto ben proporzionato, proprio come i
piccoli alberi giapponesi.
Il racconto non si svolge secondo i canoni tradizionali del
diario: non sono propriamente
pensieri, riflessioni che astraggono il protagonista dalla
realtà, ma cronaca partecipata
dei fatti accaduti. Racconto
vero, verissimo come non si
pensa possa esserne uno tratto
dal punto di vista di una donna (l’autrice) trapiantato nel
corpo di un maschio, per di
più ragazzino. Si parla di rapporti familiari difficili, complicate identità sessuali, amicizie adolescenziali che mescolano complicità e sentimenti.
Originale, ma con intelligenza, di un’originalità cioè non
ostentata, eccessiva. È sempre
un ragazzo a parlare, sebbene
acutissimo, sveglio e riflessivo.
Bonsai ha, in definitiva, la
qualità delle qualità: dà l’impressione di sentire la propria
storia adolescenziale, dunque
la storia dell’adolescenza umana, sempre nuova e sempre
uguale a se stessa.
Alessandro Petrone
R
a
g
n
a
t
e
l
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Gli strumenti
AA.VV.
Dai fatti alle parole.
Riflessioni a più voci sulla
documentazione pedagogica
Junior, Bologna, 1998
Una delle caratteristiche professionali della nuova figura
del bibliotecario scolastico
sarà quella di essere un esperto dell’informazione e della
documentazione, tanto che
probabilmente verrà chiamato
“bibliotecario documentalista”. Egli cioè dovrà essere in
grado di gestire informazioni
di qualunque natura per metterle a disposizione dei progetti didattici che gli insegnanti vorranno attuare con
gli studenti. Nell’ambito delle
molteplici fonti d’informazione uno spazio rilevante avrà
sicuramente la documentazione pedagogica e didattica della scuola, cioè la selezione,
l’ordinamento e la conserva-
zione di tutto quello che di rilevante l’istituzione scolastica
produce negli anni su determinati argomenti didattici.
Questo patrimonio, che in genere viene perduto, non rappresenterà solo la “memoria
storica della scuola” ma sarà
essa stessa una fonte di stimolo per affinare interventi già
collaudati o per approntarne
dei nuovi sulla base di quanto
è già stato fatto. Il volume
Dai fatti alle parole, messo a
punto dagli operatori dal Laboratorio di Documentazione
e Formazione del Comune di
Bologna, affronta proprio il
problema di come documentare, in modo che i percorsi e
i risultati prodotti dagli insegnanti risultino ben testimoniati, chiari e fruibili da parte
degli altri. Non basta quindi
genericamente “testimoniare”
il lavoro compiuto, c’è bisogno di conoscere a fondo le
modalità di una documentazione efficace. Il volume, concretamente, propone molti
esempi di documentazione di
percorsi svolti con alunni, attraverso le più varie modalità,
dalla relazione ai grafici, dalle
tabelle alle diapositive. Ogni
documentazione viene esaminata nei suoi pregi e nei suoi
difetti, anche grazie all’apporto di studiosi della comunicazione e dei linguaggi. Dal libro emerge che gli insegnanti,
per essere veri professionisti
dell’educazione, dovrebbero
52
IL PEPEVERDE
conoscere ed applicare le modalità di una corretta documentazione del proprio lavoro
e non solo per una fruibilità
esterna. Documentare correttamente significa infatti anche
riflettere obiettivamente sulla
validità didattica dei propri
lavori, sia nella fase della programmazione che dell’attuazione pratica.
Il volume è curato da Carmen
Balsamo, con una prefazione
di Pietro Sacchetto che coordina, ci sembra egregiamente,
lo stesso Laboratorio di Documentazione e Formazione.
Per avere informazioni sulla
possibilità di acquisto o spedizione ci si può rivolgere al Laboratorio di Documentazione
e Formazione, Comune di
Bologna, Via Libia, 53 40138 Bologna, tel.
051.300812, fax 051.397306.
Antonio Leoni
Pino Boero
Alla Frontiera. Momenti,
generi e temi della letteratura
per l’infanzia
E. Elle, Trieste, 1997
Presentiamo Alla Frontiera di
Pino Boero perché, pur essendo stato dato alle stampe più
di due anni fa, lo riteniamo
un testo fondamentale per la
conoscenza degli sviluppi della più recente letteratura per
l’infanzia. Non si tratta di un
lavoro sistematico su tutti i
n. 3/2000
generi e tutti gli autori, ma di
uno studio su alcuni problemi
letterari che ci portiamo dietro e che, speriamo, dovremmo definitivamente metterci
alle spalle come memoria storica. È il caso per esempio
dell’enorme influenza che il
De Amicis ha operato sui nostri autori per ragazzi e che ha
prodotto centinaia di epigoni
di “cuori” e “cuoricini”, distorcendo la letteratura a scopi edificatori, dichiaratamente
pedagogici, quando non addirittura didattici.
«La linea del Cuore», come la
chiama Boero, che nata su
fondamenti letterari e storici
certi, ha finito per diventare
un modello assiomatico e funzionale alla società adulta, e a
certo tipo di pedagogia perbenista e opprimente. Le conseguenze, complice la scuola
GLI STRUMENTI
con la sua ossessione centralista riguardo alla formazione
dei giovani, hanno finito per
impedire la crescita di non
pochi autori per ragazzi liberi
da pregiudizi.
Non è accidentale, a nostro
giudizio, che Boero affronti
nel testo solo alcuni generi
letterari: la poesia, il teatro,
l’horror, la formazione. In
Italia si sconta di fatto il ritardo culturale della letteratura
per l’infanzia anche sulla definizione e sullo sviluppo dei
diversi generi letterari che in
altri paesi, specie anglosassoni, hanno avuto tradizioni
consolidate e autori prestigiosi. È il caso per esempio dell’avventura, sempre considerata da noi come letteratura
d’evasione.
Secondo i nostri nonni non
faceva bene né ai piccoli né ai
grandi, con buona pace di
Salgari, vituperato ai suoi
tempi e, ahimè, non più capito dai giovani d’oggi, che lo
bollano come classico.
Di fatto una letteratura giovane la nostra, che spesso fa il
verso, come al solito, agli
stranieri, e che solo negli ultimi decenni ha cominciato a
liberarsi dalla sudditanza della
“letteratura colta”, trovando
un suo specifico pubblico di
lettori e proprie cifre stilistiche. Quest’innovazione ha
come riferimento per Boero,
relativamente ai generi presentati, autori coraggiosi che
hanno saputo riconsiderare la
centralità dei giovani e la loro
capacità di capire e di crescere
autonomamente, spesso mettendo in discussione il punto
di vista adulto e codificato.
La voglia di leggere e di ritrovare la bellezza, il significato
ed anche il divertimento della
parola è alla base ad esempio
dei nuovi autori delle poesie
dell’infanzia da Scialoja a
Gandini, da Piumini a Pon-
tremoli, da Tognolini a Martigli.
La situazione diviene più
complessa per quei generi nei
quali noi non abbiamo tradizione come l’horror, e le cui
ragioni di diffusione risiedono
nelle richieste del pubblico e
non nei programmi “pedagogici” o “catartici” degli autori.
L’horror per l’horror, per provare brivido, per dare forma
ludica e fittizia alle proprie
paure è, per gli autori italiani,
un campo nuovo inesplorato,
magari con brutte sorprese e
lamentele di mamme ansiose,
come quella capitata alla Ziliotto con la sua raccolta Paura! Racconti col brivido, che
l’accusava di disturbare i sogni
del figlio.
Ma sono ancora gli autori
stranieri a indicare la via d’evoluzione di questo genere come Pike e Stine, che pur nel
loro aspetto più commerciale
rappresentano pur sempre
una letteratura facile e d’evasione, in cui la fiction orrifica,
spesso venata d’umorismo, è
accettata e risaputa fin dall’inizio, secondo le regole del
gioco letterario e della libertà
del leggere. E proprio nel penultimo capitolo la libertà
esperienziale del fare, leggere e
decidere è messa in primo
piano attraverso i libri di formazione, che maggiormente
potrebbero prestarsi, proprio
per il loro impianto, a rischi
di natura pedagogica. Visti
sotto la metafora del viaggio,
che è sempre un passaggio, un
cambiamento, ma anche
un’avventura e una testimonianza di libertà e di indipendenza, le opere italiane che
vengono indicate come punti
di riferimento sono Ciao Andrea di Marcello Argilli e
L’Ultimo veliero di Marcello
Venturi. Si inizia con loro una
nuova fase letteraria: nessun
maestro da ascoltare, nessuna
53
IL PEPEVERDE
predica da sorbire. Nell’adolescenza come nella vecchiaia, la
vita è un cammino di libertà
che ognuno deve conquistarsi
da sé. Si rinnegano le certezze
dell’adulto alla ricerca di valori nuovi che possano rigenerare i rapporti umani spazzando
via preconcetti e punti di vista
invecchiati.
(a.l.)
Antonella Agnoli
Biblioteca per ragazzi
Aib - Associazione Italiana
Biblioteche, Roma, 1999
L’istituzione di biblioteche per
ragazzi sempre più numerose
e funzionali salverà il libro e la
lettura? Noi ne siamo convinti. Una conferma ci viene anche dal prezioso saggio di Antonella Agnoli, Biblioteca per
ragazzi, pubblicato nella collana “Enciclopedia Tascabile”
dell’Aib, Associazione Italiana
Biblioteche. Alla descrizione
di tutto quello che serve alla
realizzazione di una biblioteca
per ragazzi, l’autrice premette
anche un illuminante excursus storico di come sia nata
l’idea stessa di un luogo dedicato alle letture per i bambini
e i ragazzi. Passa quindi ad
esaminare diverse situazioni
nazionali per sottolineare
quello che ciascuna di esse ha
apportato all’attuale definizio-
n. 3/2000
ne di un’efficiente biblioteca
per ragazzi.
I precursori naturalmente sono gli Stati Uniti e la Gran
Bretagna. Negli USA, in special modo, tali strutture vennero ben presto percepite come importanti strumenti di
integrazione sociale e di affermazione della democrazia.
Molto rilievo vi ebbero tutte
quelle attività di animazione
(l’ora delle fiabe, piccoli spettacoli teatrali) che servivano
ad attirare i fanciulli in biblioteca al fine di conservarli lettori anche in età adulta. In
Gran Bretagna poi si cominciarono ad elaborare gli standard per il funzionamento
delle biblioteche per ragazzi,
dando ampio risalto alla necessità della presenza di personale dotato di adeguata sensibilità e preparazione nella psicopedagogia dell’età evolutiva.
Nell’analizzare gli standard
elaborati dall’Ifla, riportati in
appendice, Agnoli evidenzia
come le biblioteche per ragazzi
abbisognino di spazi, personale, materiale librario e obiettivi
specifici e differenziati per età.
Alla figura del bibliotecario, in
particolare, sono richieste
competenze che vanno dalle
conoscenze psicopedagogiche,
alla capacità di gestione dei
rapporti con i genitori e con
gli operatori degli asili, unite
alla profonda conoscenza dei
libri e degli altri materiali con
cui il piccolo utente dovrà interagire. Molto importante è
la questione degli spazi che,
nei suggerimenti dell’autrice,
assume una centralità soprattutto in ogni struttura bibliotecaria che voglia dotarsi di
una sezione per ragazzi. Anche
perché, ad una corretta impostazione degli spazi, è legata la
possibilità di accoglienza dell’utenza indotta della sezione
ragazzi, costituita perlopiù dai
genitori dei giovani utenti.
RAGNATELA
Accogliere bene questi adulti,
far loro svolgere attività con i
figli come consultare libri,
ascoltare musica, vedere film,
significa molte volte conquistare fasce di utenti che mai
avrebbero superato la soglia di
una biblioteca.
Le biblioteche per ragazzi, insomma, potrebbero salvare oltre al libro e alla lettura anche
la stessa Biblioteca.
Alessandro Compagno
Marina Savoia, Giorgio
Scaramuzzino
Tutti giù dal palco. Fare
teatro a scuola dalle materne
alle medie
Salani, Milano, 1998
Il libro è articolato in capitoli
che toccano tutti gli ingredienti fondamentali per attivare un laboratorio teatrale a
scuola, dallo spazio scenico a
quello sonoro, dallo strumento voce, ai gesti, all’espressione non verbale. Gli ultimi due
capitoli, Testo pretesto e La
messa in scena, sono utili per
costruire un lavoro drammaturgico insieme ai ragazzi,
senza usare un copione già
pronto, sviluppando, attraverso il metodo dell’improvvisazione, una storia letta o che
nasce dai vissuti di gruppo. A
titolo esemplificativo sono
proposte numerose esperienze
scaturite dal lavoro con i ragazzi.
Due piccoli nei: sarebbero
utili esempi di testi teatrali
d’autore su cui lavorare e una
bibliografia ragionata meno
approssimativa e casuale.
Giuseppe Assandri
Kathy A. Zahler
Ai bambini piace leggere
Tea, Milano, 1999
È un volume di cui si sentiva
la mancanza, che va incontro
alla richiesta da parte dei numerosi insegnanti che svolgono attività di teatro a scuola.
Un vero e proprio manuale di
allenamento, molto ricco di
giochi ed esercizi per costruire
un itinerario di base che porti
bambini e ragazzi a recitare
senza troppi sforzi e senza
noia. Nasce da un incontro di
competenze: Giorgio Scaramuzzino è attore, regista e responsabile del settore scuole
del Teatro dell’Archivolto di
Genova, Marina Savoia insegna alle medie e si occupa di
formazione teatrale a scuola.
Cinquanta modi per avvicinare i ragazzi al libro e sviluppare il gusto della lettura. Questo è, sostanzialmente, il manualetto agile e semplice, con
un taglio decisamente divulgativo, scritto da Kathy A.
Zahler. L’autrice, oltre ad essere insegnante di scuola media,
è anche autrice di vari manuali sulla scrittura e la lettura e
in quest’opera ha, per dir così,
condensato i suoi studi e la
sua esperienza, rivolgendosi in
primo luogo ai genitori.
L’autrice esprime una fiducia
straordinaria nelle sue tesi,
detta insomma le sue regole
con una sicurezza che potrebbero, in un primo momento,
anche lasciare perplessi. In
realtà non c’è motivo per non
credere alle indicazioni della
Zahler.
Le quattro modalità – che costituiscono poi le parti del volume – sono quelle classiche,
ormai sperimentate in vari
Paesi. Primo: condividere l’esperienza della lettura, cioè
leggere con i bambini e ai
bambini; secondo: rendere accessibili i materiali di lettura,
cioè tenere in casa, in viaggio
e ovunque libri, giornali, album; terzo: modificare il
comportamento dei bambini,
cioè incoraggiare in ogni momento la lettura; quarto: modificare il comportamento degli adulti, cioè creare situazioni favorevoli alla lettura e allo
stesso tempo essere calmi e
non ossessivi. Nel complesso
un’opera interessante proprio
per la sua semplicità.
Ermanno Detti
Gaetano Oliva (a cura di)
Manuale di Teatro
Centro Gulliver, Varese,
1998
Per chi vuole avere una panoramica più ampia sull’educazione al teatro, relativamente
all’aspetto pratico della messinscena, si consiglia questo
agile volumetto, frutto dell’esperienza teatrale diretta di
Gaetano Oliva con i ragazzi
del Centro Gulliver di Varese.
54
IL PEPEVERDE
n. 3/2000
Strutturato come un manuale
dell’arte scenica, il libro offre
un vero e proprio percorso
pratico che, partendo da nozioni fondamentali sul teatro
come luogo fisico e sulla storia delle forme sceniche, entra
nel vivo della rappresentazione illustrandone tutte le figure (attore, autore, regista,
macchinista, impresario, fonico, scenografo, costumista,
truccatore) e gli aspetti (la recitazione, la voce, la gestualità
il movimento, l’azione, la scenografia, i costumi, gli oggetti scenici, il trucco, il testo, la
musica, i rumori, l’illuminazione), per poi sperimentare
sul campo le metodologie di
lavoro sull’attore dei più importanti registi-teorici del
Novecento: dal sistema di
Stanislavskij alla teoria di
straniamento di Bertold Brecht, dalle sperimentazioni del
laboratorio di Vachtangov alle
improvvisazioni di Copeau fino al lavoro sulle azioni fisiche di Grotowski. Il tutto
corredato da esercizi pratici
facilmente attuabili, grafici e
disegni.
Il Manuale di Teatro non è disponibile nelle librerie, ma si
può richiedere direttamente al
Centro Gulliver, via Albani,
91 - 21100 Varese,
tel 0332.831305,
fax 0332.830046.
Gaetano D’Onofrio
R
a
g
n
a
t
e
l
a
Incontri
vicini
a cura di Carla Turri
IX edizione “Premio
Italia Letteraria”
La Casa editrice Italia Letteraria
di Milano, allo scopo di lanciare
nuovi autori, indice e organizza la
IX edizione del “Premio Italia
Letteraria” che si articola in cinque sezioni:
Narrativa
Romanzo inedito
Racconto inedito
Raccolta inedita di racconti
Romanzo inedito di fantascienza
Racconto inedito di fantascienza
Letteratura per l’infanzia
Romanzo inedito per ragazzi
Racconto inedito per ragazzi
Raccolta inedita di favole
Fiaba inedita
Poesia
Raccolta inedita a tema libero
Raccolta inedita in qualsiasi dialetto d’Italia
Teatro
Commedia inedita a tema libero
Commedia inedita in qualsiasi
dialetto d’Italia
Saggistica
Saggio inedito a tema libero
I vincitori di ogni sezione saranno
lanciati dalla Editrice Italia Letteraria. La scadenza è fissata al 31
marzo 2000.
Il bando di concorso va richiesto a:
Premio Italia Letteraria - Casella
postale 938 - 20101 Milano.
“Oplà teatro”,
seconda rassegna di
teatro per l’infanzia
Tutti i giovedì e i venerdì di marzo 2000, al cinema-teatro “Trieste” di Viterbo, la Compagnia
Maninalto organizza la seconda
rassegna per l’infanzia “Oplà teatro”. L’iniziativa aperta a tutte le
scuole elementari e materne di Viterbo è sostenuta con i fondi delle
attività culturali della regione Lazio. Prevede dieci spettacoli presentati da sette compagnie differenti. Aprirà la rassegna: Scretch di
Claudio Cinelli, artista di fama
internazionale. Il programma si
articolerà, poi, fornendo una panoramica sulle varie tecniche del
teatro di figura: dal burattino
classico, di una compagnia di Bologna, ad un originale allestimento della favola Il lupo e i sette capretti, realizzata da un animatore
tedesco, alla favola de La bella addormentata, raccontata con le ombre cinesi. Oltre agli spettacoli didattici della Compagnia Maninalto, sarà presentata una versione in
inglese di Pierino e il lupo.
Per informazioni: Compagnia Maninalto, tel. 0761.289944, e-mail:
[email protected].
Fantasia 1999
Inaugurata a Bari allo Stadio della
Vittoria, la grande mostra tematica di illustrazione dal titolo “Mediterraneo. Gli illustratori raccontano il mare”, promossa dall’Amministrazione Comunale e dall’Assessorato alle politiche educative del capoluogo pugliese ed organizzata da L’Atelier di Mago
Girò con la collaborazione del
Centro Studi di Letteratura Giovanile “Alberti”.
La mostra, allestita in occasione
della IV edizione di “Fantasia”
(appuntamento annuale che il
Comune di Bari dedica all’infanzia e all’illustrazione), costituisce
un evento interamente dedicato al
mare con più di 150 tavole originali eseguite da novanta artisti, in
55
IL PEPEVERDE
maggioranza italiani, selezionati
dal direttore artistico Livio Sossi
(esperto di letteratura per l’infanzia e direttore del Centro Studi di
Letteratura Giovanile “Alberti” di
Trieste).
All’interno della mostra anche un
omaggio al grande maestro boemo Stepan Zavrel, recentemente
scomparso. Affianca l’esposizione
la mostra bibliografica “Un mare
di libri” con una selezione di oltre
duecento volumi per ragazzi tutti
dedicati al mare.
Fantasia 1999 ha riservato anche
un altro importantissimo evento:
la consegna del “Premio Nazionale di Illustrazione Fantasia 99 Città di Bari”, assegnato dalla giuria (composta da Livio Sossi, Paola Pistone de l’Atelier di Mago
Girò e dall’Assessore alla Cultura
Mimmo Doria) a Karel Thole,
uno dei grandi maestri dell’illustrazione internazionale. Le successive sedi della mostra: Genova,
Matera e Trieste.
Per ulteriori informazioni contattare il Direttore del Centro Studi di
Letteratura Giovanile “Alberti” di
Trieste Livio Sossi, tel.
040.4529707.
gnanti e una rosa mirata di professionisti che individuano nel libro uno strumento indispensabile
al loro lavoro.
Alcune novità:
- ampliamento dell’area espositiva: l’edizione 2000 prevede un’estensione dell’area fieristica con
l’aggiunta del padiglione 1;
- tempo libero e vacanze: un’area
dedicata ospiterà i libri sul tempo
libero e le vacanze;
- teen agers: uno spazio speciale e
una serie di iniziative mirate saranno dedicati al pubblico giovanile, la cui capacità di scelta e di
consumo è in forte crescita;
- incontri e convegni: quest’anno
verrà dato maggiore spazio agli incontri con gli autori, mentre la
convegnistica sarà concentrata su
temi ritenuti essenziali;
- incontri con gli editori: in uno
spazio dedicato, gli editori potranno illustrare il loro lavoro e le
loro iniziative, dialogare con i
professionisti del settore e con i
lettori.
Fiera del Libro Torino, Pal. Bricherasio, via Lagrange, 20 - 10123
Torino, tel. 011.5184268,
fax 011.561210, www.fieralibro.it,
e-mail: [email protected].
Torino. Fiera del libro
Biblioteca di Ortona:
proposte per la scuola
La prossima edizione della fiera
del libro si terrà al Lingotto da
giovedì 11 a lunedì 15 maggio
2000.
La lezione inaugurale sulla dialettica tra identità e differenze sarà
tenuta dal comparatista George
Steiner.
Giovedì 11 maggio, sino alle ore
18.00 ingresso riservato esclusivamente agli operatori del settore:
librai, agenti, bibliotecari, inse-
n. 3/2000
La biblioteca di Ortona su richiesta organizza e propone:
- mostre del libro. Mostre delle
novità librarie per ragazzi e giovani da tenersi nelle scuole;
- servizio “Arde”, Archivio documenti per l’Educazione: documenti cartacei e informatizzati su
esperienze di progetti educativi
nazionali circa l’educazione alla
lettura e all’ambiente;
RAGNATELA
- bibliografie e consigli di lettura;
- schede illustrative sui libri per
ragazzi, con apparati critico-biografici sugli autori;
- prestito di classe: ogni classe può
prendere in prestito, tramite l’insegnante, un massimo di trenta
volumi da tenere per tre mesi.
Successivamente possono essere
cambiati con altri trenta;
- viaggiando in Internet: prove
di... viaggio, con guida per illustrare gli usi e le potenzialità della
“rete delle reti”;
- C’è un Fantasma in Biblioteca...:
È un laboratorio di scrittura a distanza, molti bambini corrispondono stabilmente con il Fantasma
e ad ognuno lui risponde tra la
realtà e il fantastico raccontando
storie, presentando libri, giocando
su quel sottile filo del “credere,
non credere”. Invitate i vostri
bambini a scrivere!
Per Informazioni: Biblioteca di
Ortona, Palazzo Farnese - 66026
Ortona (CH), tel. e fax
085.9067233, e-mail:
[email protected].
Corso di formazione
“La Biblioteca
a scuola”
L’“Associazione Culturale La Minerva” di Roma promuove e organizza un corso di formazione intitolato “La Biblioteca a scuola” rivolto a tutti i docenti della scuola
elementare e secondaria di primo
grado. Il corso, con sede a Firenze, è tenuto da Paola Zannoner
(autrice, consulente), Carla Ida
Salviati (direttrice didattica, esperta di editoria per ragazzi), Antonella Agnoli (bibliotecaria) ed è
autorizzato con decreto ministeriale del 17 nov. 1999.
Il corso si articola nel seguente
modo:
- Antonella Agnoli, La Biblioteca
per ragazzi;
- Carla Ida Salviati, La Biblioteca
scolastica;
- Paola Zannoner, La Biblioteca
attiva.
Nel corso delle lezioni si analizzano le realtà di partenza, si discutono possibili idee per nuovi progetti, si visionano esperienze esistenti, in conformità con le linee guida per le biblioteche scolastiche
promosse dall’Ifla. Alla parte più
specificamente biblioteconomica,
è accompagnata una parte riguardante competenze e saperi del bibliotecario, legate alla conoscenza
della narrativa per ragazzi e ai servizi da fornire alla scuola.
Il corso si svolge a Firenze, nella
sede dell’Azienda Provinciale del
Turismo, via Manzoni, 16, nella
settimana dal 26 giugno al 1 luglio 2000.
Per ulteriori informazioni contattare la direttrice del corso: Paola Zannoner, tel. 055.2342912, e-mail:
[email protected].
Associazione Culturale
Casa di Pia
L’“Associazione Culturale Casa di
Pia”, che gestisce la Biblioteca per
ragazzi del Comune di Frascati,
propone alcune iniziative. Il sabato mattina i bambini fino a sette
anni, accompagnati da almeno un
familiare adulto, possono partecipare a letture guidate e attività di
laboratorio sul libro, mentre il pomeriggio è dedicato al “sabato della scienza”: conferenze-gioco su temi scientifici per i ragazzi con età
superiore ai sette anni.
La partecipazione alle attività di
laboratorio è gratuita, è prevista
una quota associativa annuale (lire
10.000 per ogni bambino) per
l’accesso al prestito dei libri.
Le attività sono gestite dai volontari dell’Associazione “Casa di
Pia” e sono aperte a chiunque voglia collaborare.
La Biblioteca osserva il seguente
orario: 9.30-13.00 visite gruppiclasse (su appuntamento, tel.
06.9416181); lunedì, mercoledì e
venerdì ore 16.00-19.00; sabato
ore 10.30-12.30 (attività per i
piccoli fino a sette anni) ore
16.30-18.30 (attività per i più
grandi).
Comune di Frascati Biblioteca per
ragazzi “Casa di Pia”, via di Villa
Borghese, 8 - 00044 Frascati (RM).
Le iniziative di
Legambiente
1. Terza edizione del Premio Nazionale “Libro per l’ambiente” per
libri destinati ai bambini tra i 6 e
i 14 anni. Il premio è tematico ed
56
IL PEPEVERDE
ha l’obiettivo di sottolineare la
produzione editoriale tendente a
divulgare le qualità ambientali italiane e suscitare atteggiamenti di
conoscenza, salvaguardia e responsabilità.
Il bando di concorso si divide in
due sezioni: “Premio libro per
l’ambiente 2000 per opere edite
dal 1 gennaio 1998 al 30 aprile
2000” e “Premio libro per l’Ambiente 2000 per opere inedite”.
(Per maggiori informazioni consultare il bando di concorso sul sito internet di Legambiente).
2. Si svolgerà a Roma, nei giorni
11,12 e 13 maggio il secondo
“Forum nazionale delle Scuole
dell’Autonomia” che Legambiente
organizza in collaborazione con
Aimc, Cidi e Mce. L’obiettivo è
dare la parola alle scuole ed agli
operatori della formazione, per far
emergere il punto di vista di chi
sta già verificando le potenzialità
ed i limiti dell’autonomia scolastica. Previsto un incontro tra dirigenti scolastici ed enti locali e due
convegni. La partecipazione all’iniziativa è libera ed è valida ai fini
dell’aggiornamento per tutte le
province d’Italia. Il personale docente può usufruire dell’esonero
dal servizio. (Per avere informazioni: Settore Scuola e Formazione di Legambiente, tel.
06.86268348-350, fax
06.86268351 e-mail: [email protected]).
Per aderire alle altre iniziative o ricevere informazioni: Legambiente,
via Salaria, 403 – 00199 Roma,
tel. 06.862681, fax 06.86218474,
www.legambiente.com e-mail: [email protected].
La Biblioteca dei
Ragazzi di Vigevano
Le iniziative programmate per
l’anno 2000:
- IV edizione di “Che bello leggere! Ovvero il piacere della lettura.
Itinerari alla scoperta del pianeta
libro” (incontri con scrittori, illustratori e critici di libri per ragazzi). A questa edizione parteciperanno: Anna Lavatelli, Rita Valentino Merletti, Elena Orlandi, Domenica Luciani, Bruno Tognolini,
Alessandra Devizzi e Nicoletta
Costa. Tutti gli incontri presentati
n. 3/2000
saranno promossi nelle scuole cittadine attraverso le Direzioni e le
Presidenze (marzo);
- 1° Concorso di lettura per bambini e ragazzi “Librivoro 2000”
(marzo);
- “La grande festa di Carnevale”
(sabato 4 marzo);
- 4° Concorso Nazionale di Narrativa per l’Infanzia “G. Cordone”
(febbraio-marzo).
Per ulteriori informazioni: Biblioteca dei Ragazzi “G. Cordone”, via
Boldrini, 1 - 27029 Vigevano
(Pv); tel. 0381.690754, fax
0381.690085.
Triennale di Milano.
Viaggio nel mondo ebraico
Nel Palazzo della Triennale di Milano è esposta, fino al 12 marzo,
una raccolta tematica di Emanuele Luzzati, scultore, illustratore e
scenografo. Le 196 opere in mostra riguardano il suo lavoro su
teatro, cinema di animazione, illustrazione e ceramica.
Informazioni: tel. 02.724341.
L’educazione
ambientale
A Genova, dal 5 all’8 aprile, il
Ministero dell’Ambiente e il Ministero PI organizzano la “Conferenza Nazionale dell’educazione
ambientale”. La partecipazione all’iniziativa è libera ed è valida ai
fini dell’aggiornamento per tutte
le provincie d’Italia. Il personale
docente può usufruire dell’esonero dal servizio.
Per informazioni ed adesioni chiamare la segreteria tecnica del Ministero dell’Ambiente
tel. 06.57223852 (853),
fax 06.57223853.
Ai lettori
In questa ultima rubrica della
rivista vengono segnalate le iniziative più varie (convegni, premi, corsi di formazione, presentazioni, ecc.). I lettori che intendano dare notizia di questi avvenimenti possono contattare la
redazione tramite e-mail, posta
o fax, con il dovuto anticipo.