Beni immobili: aspetti contabili e novità fiscali

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Beni immobili: aspetti contabili e novità fiscali
Beni immobili:
aspetti contabili e novità fiscali*
Dennis Pini**
1. Premessa
Con il presente lavoro si è inteso affrontare la disciplina
relativa agli immobili, approfondendone, senza alcuna pretesa di esaustività, le peculiarità connesse al loro trattamento contabile (con riferimento all’adozione sia dei Principi contabili nazionale sia di quelli internazionali), quali
argomenti prodromici rispetto a una compiuta analisi della
relativa disciplina fiscale, nell’ambito della quale sono state esaminate le nuove problematiche connesse alla procedura di ammortamento, alla luce delle novità introdotte
dal D.L. 04/07/2006, n. 223 e dal D.L. 03/10/2006, n. 262 (convertiti con modifiche, rispettivamente, con L. 04/08/2006,
n. 248 e L. 24/11/2006, n. 286), unitamente ai chiarimenti forniti dall’Amministrazione finanziaria nella Circolare
19/01/2007, n. 1/E, nonché in occasione dei recenti incontri
intervenuti con la stampa specializzata.
Pertanto, al fine di conferire una maggiore organicità
alla materia oggetto di trattazione, si è ritenuto di procedere definendo il trattamento contabile riservato dai Principi
contabili nazionali e internazionali agli immobili strumentali, richiamando conseguentemente alcuni degli aspetti
principali della disciplina contenuta nel Principio contabile
nazionale OIC1 16 e dal Principio contabile internazionale
IAS 16. Definita preliminarmente la prassi contabile di riferimento, se ne sono indagate le ricadute di carattere fiscale, anche in considerazione delle citate modifiche normative. Va, tuttavia, fin da ora evidenziato come l’indagine,
relativa agli aspetti di natura fiscale connessi all’argomento in esame, si è limitata agli immobili strumentali (per natura o per destinazione), trascurando, quindi, qualsiasi disamina della disciplina fiscale prevista per gli immobili c.d.
“merce” e gli immobili c.d. “patrimonio”.
Come noto, infatti, gli immobili, detenuti in regime di impresa, possono essere suddivisi in tre macrocategorie:
a) gli immobili strumentali, la cui disciplina fiscale è
contenuta nell’art. 43, co. 2, TUIR, il quale prevede
che “(…) Ai fini delle imposte sui redditi si considerano strumentali gli immobili utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte o professione o dell’impresa commerciale da parte del possessore. Gli
immobili relativi ad imprese commerciali che per le
loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa
utilizzazione senza radicali trasformazioni si considerano strumentali anche se non utilizzati o anche
se dati in locazione o comodato salvo quanto disposto nell’articolo 77 [attualmente, art. 65], comma 1.
Si considerano, altresì, strumentali gli immobili di
cui all’ultimo periodo del comma 1-bis dell’articolo
62 [attualmente, art. 95, co. 2] per il medesimo periodo temporale ivi indicato”. Dal tenore letterale
della disposizione citata emerge come all’interno
della categoria degli immobili strumentali siano, a
sua volta, individuabili due sottocategorie, rappresentate da:
- gli immobili strumentali per destinazione, ovverosia gli immobili destinati in via esclusiva all’esercizio dell’attività commerciale o artistico-professionale;
- gli immobili strumentali per natura, ovverosia quelli che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione, senza essere sottoposti a radicale trasformazione. Gli immobili appartenenti a quest’ultima tipologia sono da considerarsi
strumentali all’esercizio dell’attività, a prescindere dalla loro utilizzazione o dalla loro destinazione
alla locazione. Sulla base delle istruzioni ai modelli di dichiarazione unificata dei redditi2, tra di essi
vanno indubbiamente annoverati gli immobili accatastati nelle categorie A/10 (uffici e studi privati), B (unità immobiliari per uso di alloggi collettivi),
C (unità immobiliari a destinazione ordinaria commerciale e varia), D (immobili a destinazione speciale) ed E (immobili a destinazione speciale);
b) gli immobili c.d. “merce”, ovverosia quelli alla cui
produzione e al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa e la cui disciplina è contemplata negli
artt. 85, co. 1, lett. a) e 92, TUIR, in considerazione
del fatto che gli stessi concorrano alla formazione
del reddito sotto forma di ricavi (derivanti dalla loro
cessione) ovvero di eventuali rimanenze;
c) gli immobili c.d. “patrimonio”, ovverosia tutti gli immobili diversi da quelli strumentali e da quelli alla
*
Capitolo 2 del Libro MAP n. 27 “BIlancio d’esercizio 2006: le principali novità”, 2007, pagg. 29 e ss.
**
Cristofori & Partners s.s.t.p. Milano e Verona.
1
Acronimo di Organismo Italiano di Contabilità.
2
Si vedano, al proposito, le istruzioni ai modelli di dichiarazione dei redditi per l’anno 1989 e M. Leo, “Le imposte sui redditi nel Testo Unico”,
Tomo I, art. 43, § 3, Dott. A. Giuffré Editore, 2006.
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cui produzione e scambio è destinata l’attività dell’impresa e il cui concorso alla formazione del reddito imponibile è disciplinato dall’art. 90, TUIR.
Esaurita la disamina delle principali problematiche
connesse alla detenzione di immobili strumentali, si è approfondita l’analisi della disciplina relativa agli immobili la
cui destinazione è diversa da questi ultimi, prestando attenzione al differente trattamento agli stessi attribuito nel
contesto dei Principi contabili nazionali rispetto a quello
dei Principi contabili internazionali e alle conseguenti difficoltà in termini valutativi in cui ci si potrebbe imbattere.
Da ultimo, a completamento della presente trattazione, si è esaminata la disciplina introdotta dall’art. 36, co. 7
e ss., D.L. 04/07/2006, n. 223, la quale si rende applicabile
esclusivamente alla categoria degli immobili strumentali,
al fine di porre in evidenza gli accorgimenti che, eventualmente e in presenza di determinate condizioni, devono essere adottati dagli operatori nella fase di redazione del bilancio d’esercizio.
2. Gli immobili iscritti
tra le immobilizzazioni materiali:
i Principi contabili nazionali
Il presente capitolo ha lo scopo di illustrare – delineandone gli aspetti di maggiore interesse – la disciplina civilistica e contabile relativa all’iscrizione degli immobili tra le
immobilizzazioni materiali e il relativo ammortamento.
In apertura, corre l’obbligo di evidenziare che, nonostante la rilevanza dell’argomento in parola e, quindi, anche
delle problematiche connesse alla relativa rappresentazione e trattamento contabili dei fatti amministrativi connessi
alla gestione di tali beni, non ne esiste a tutt’oggi una compiuta e specifica disciplina prevista dai Principi contabili nazionali. Infatti, in apertura al Principio contabile nazionale
OIC 16, l’Organismo Italiano di Contabilità precisa che
“(…) esulano da questo Principio le seguenti problematiche, che costituiranno oggetto di documenti separati:
4
A.La valutazione dei cespiti in condizioni speciali (fusioni, scissioni, ristrutturazioni, apporti, ecc…)3.
B.La problematica delle imprese immobiliari.
C. La problematica dei beni gratuitamente devolvibili.
D.Beni di terzi (in leasing).
E. La problematica dei beni costituiti da risorse naturali (ad esempio, cave, miniere, eccetera)”4.
Pertanto, diversamente dai Principi contabili internazionali5, i Principi contabili nazionali non prevedono uno specifico trattamento da attribuire ai beni detenuti da imprese che operano nel settore immobiliare, dovendosi quindi
“adattare” per tali società i principi postulati per quelle di
altri settori imprenditoriali.
A tal proposito, va tuttavia evidenziato come sia in atto
un processo di allineamento dei Principi contabili nazionali a quelli internazionali, mediante un progressivo recepimento degli standard internazionali all’interno della normativa italiana, così da ridurre le ampie differenze normative oggi esistenti. Sotto questo profilo, al fine di accelerare
l’integrale recepimento, fino ad oggi circoscritto alle sole
previsioni obbligatorie contenute nelle Direttive comunitarie 2001/65/CE e 2003/51/CE, l’Organismo Italiano di Contabilità ha recentemente predisposto un’ipotesi di articolato6
– da sottoporre all’attenzione delle istituzioni competenti,
nel quale è previsto, conformemente alla prassi contabile
internazionale, che la contabilizzazione dei beni immobili
sia sottoposta ad una valutazione e ad un inquadramento
contabile che, in primo luogo, tenga conto della destinazione economica degli stessi.
In particolare, infatti, i nuovi schemi di bilancio proposti dall’OIC – così come, del resto, disciplinato nel contesto
degli standard internazionali – contemplano la separata
indicazione tra le voci patrimoniali degli immobili detenuti
con finalità diverse e destinati a:
a) immobili destinati ad essere utilizzati nell’attività
dell’impresa;
3
Al riguardo si rimanda al Documento OIC 4 - Fusione e scissione, il quale è dedicato alla definizione delle regole tecnico-contabili da applicare nella redazione dei diversi bilanci e situazioni patrimoniali caratteristici dei procedimenti di fusione e scissione.
4
Cfr. Principio contabile nazionale OIC 16, Scopo e contenuti.
5
Come si avrà modo di evidenziare nelle pagine successive, infatti, il Principio contabile internazionale IAS 16, § 6 prevede che “(…) L’entità
deve applicare il presente Principio agli immobili che sono in costruzione o sviluppo destinati ad essere utilizzati in futuro come investimento
immobiliare, ma che non soddisfano ancora la definizione di “investimento immobiliare” contenuta nello IAS 40 Investimenti immobiliari. Una
volta che la costruzione o lo sviluppo è completato, l’immobile è qualifìcabile come investimento immobiliare e l’entità è tenuta ad applicare
lo IAS 40. Lo IAS 40 viene, inoltre, applicato agli investimenti immobiliari in fase di ristrutturazione che continueranno ad essere usati in futuro
come investimenti immobiliari. L’entità che utilizza il modello del costo per gli investimenti immobiliari secondo quanto previsto dallo IAS 40
deve utilizzare il modello del costo anche nell’applicazione del presente Principio”. Peraltro il paragrafo 3 del medesimo principio contabile
IAS 16 precisa che “Il presente Principio non si applica a: (a) immobili, impianti e macchinari classificati come posseduti per la vendita in
conformità all’IFRS 5, Attività non correnti possedute per la vendita e attività operative cessate; (…)”. Pertanto, gli IAS individuano tre diversi
principi contabili che prevedono le modalità di valutazione e di contabilizzazione degli investimenti immobiliari e, più specificamente:
1) lo IAS 16, applicabile agli immobili destinati ad essere utilizzati dall’entità nell’esercizio dell’attività d’impresa o a quelli che sono in fase di
costruzione e che saranno utilizzati come investimento (e quindi che dovranno essere valutati sulla base dei criteri previsti dallo IAS 40), ma
che ancora non posseggono le caratteristiche per essere considerati tali;
2) lo IAS 40, il quale disciplina le modalità di contabilizzazione e di valutazione degli immobili destinati ad investimento;
3) l’IFRS 5, il quale prevede le regole di contabilizzazione e di valutazione da applicare agli immobili destinati alla vendita.
6
Si tratta del documento denominato “Ipotesi di attuazione Direttive UE 2001/65 e 2003/51 con modifiche al Codice civile” approvato dal Comitato Esecutivo dell’OIC il 25/10/2006 e consultabile sul sito: http://www.fondazioneoic.it.
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b) immobili utilizzati come investimento;
c) immobili destinati alla compravendita.
Con riferimento alla categoria sub b), il terzo comma
dell’art. 2424-bis, c.c.7 fornisce una definizione della stessa
e, in particolare, prevede che “(…) Devono essere iscritti tra gli investimenti immobiliari gli immobili posseduti al
solo fine di ottenere incrementi di valore dell’investimento
ovvero di ricevere canoni di locazione o utilità analoghe”.
Inoltre, in conseguenza di tale distinzione, creata nell’attivo
di stato patrimoniale, come segnalato nella relazione accompagnatoria all’ipotesi di attuazione delle due direttive
contabili predisposta dall’OIC, si renderebbe utile provvedere altresì all’adeguamento dei criteri di valutazione previsti dall’art. 2426, c.c.. Al riguardo, nella proposta di modifica all’art. 2426, c.c., al numero 13) verrebbe infatti previsto che “(…) i terreni e i fabbricati destinati ad investimento immobiliare possono essere iscritti al valore equo (fair
value); in tal caso non sono soggetti ad ammortamento e le
variazioni del valore equo verificatesi nell’esercizio sono
imputate a conto economico; le perdite di valore, in caso di
applicazione del criterio del valore equo, vanno iscritte anche se il minor valore non risulti durevole. La nota integrativa deve indicare per categorie i beni ai quali è applicato
il valore equo, i metodi utilizzati per determinarlo e l’effetto
della sua applicazione sul risultato economico”.
Ciò premesso e dato atto dell’esistenza di un progressivo avvicinamento dei Principi contabili nazionali a quelli
IAS, è bene evidenziare, però, come al momento il Documento OIC 16 dei Principi contabili nazionali – pur rinviando a un successivo specifico documento l’analisi delle problematiche civilistiche e contabili relative ai beni detenuti
da imprese immobiliari – si limiti a prevedere l’iscrizione di
tali immobilizzazioni nella voce “B.II.1) Terreni e fabbricati”
dell’attivo di stato patrimoniale.
Venendo, quindi, ai criteri di valutazione applicabili ai
beni in esame e sulla base di quanto previsto dal Principio
contabile nazionale OIC 16, anche al fine di pervenire a un
corretto processo di ammortamento delle immobilizzazioni,
pare di fondamentale importanza individuare il più appropriato criterio di ripartizione del costo dei beni nell’arco dei diversi esercizi durante i quali gli stessi “rilasceranno” la loro
utilità economica. Il Documento OIC 16 dei Principi contabili
nazionali e il Codice civile ravvisano nella sistematicità, che
deve informare la definizione di un piano di ammortamento,
la condizione necessaria per rispettare tale requisito, individuando al contempo i tre elementi la cui conoscenza è necessaria per la corretta redazione dello stesso, ovverosia:
◗ l’entità del valore da ammortizzare;
◗ la residua possibilità di utilizzazione, sia in termini di
valore economicamente recuperabile, sia in termini
di durata economica dell’utilizzo;
◗ i criteri di ripartizione del valore da ammortizzare8.
Con riferimento al primo dei predetti elementi, l’art. 2426,
n. 1), c.c., fornisce una precisa indicazione limitatamente
al valore al quale tutte le immobilizzazioni dell’impresa devono essere iscritte in bilancio, senza fornire ulteriori indicazioni. In particolare, l’art. 2426, n. 1), c.c., prevede che
“(…) le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto
o di produzione”.
Più in particolare, lo stesso Documento OIC 16 dei Principi contabili nazionali prevede che il valore originario sia
rappresentato dal costo di acquisto, maggiorato degli oneri accessori e di ogni altro eventuale onere che l’impresa
debba sostenere affinché l’immobilizzazione possa essere
utilizzata. Tra gli oneri accessori relativi all’acquisizione di
un immobile possono essere annoverati, per esempio, le
spese notarili relative all’atto di acquisto, gli onorari per la
progettazione dell’immobili, i costi relativi a opere di urbanizzazione primaria e secondaria che la legge pone a carico del proprietario, i compensi di mediazione e ogni altro
onere, utile a rendere utilizzabile l’immobile9.
Nel corso della vita dell’immobile, inoltre, potrebbero
verificarsi delle situazioni di carattere straordinario10 in
grado di incidere sul costo di acquisto di un immobile, quali, per esempio:
a) le rivalutazioni11, le quali possono essere effettuate
solo in applicazione di leggi speciali, come quelle
previste dalla L. 342/2000, e successive proroghe
o “riedizioni”12. Peraltro, vale la pena evidenziare
come risultati analoghi a quelli sortiti dalle leggi
speciali di rivalutazione possano essere sortiti altresì da talune operazioni di natura straordinaria13;
7
Rubricato “Disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale”.
8
Cfr. Principio contabile nazionale 16, § D.XI.
9
Al riguardo, si veda F. Roscini Vitali, “Guida ai nuovi principi contabili nazionali, Il Sole 24 Ore, 2005, pag. 165.
10
Al concetto di straordinarietà va ancorata la capacità degli eventi nel prosieguo citati di incidere sul costo di acquisto o di produzione dell’immobile. Infatti, le spese di carattere ordinario e ricorrente non possono essere capitalizzate non potendo incrementare la vita utile residua,
le capacità e la produttività del bene inizialmente accertate. La distinzione eseguita, tra oneri di natura straordinaria e, quindi, capitalizzabili
e oneri di natura ordinaria, è funzionale alla disamina delle novità fiscali introdotte di recente dal Legislatore (cfr. D.L. 04/07/2006, n. 223 e dal
D.L. 03/10/2006, n. 262) e alle quali verrà dedicata la parte conclusiva del presente contributo.
11
Cfr. Principio contabile nazionale 16, § D.VIII.
12
Ci si riferisce in particolare alle rivalutazione contenute nelle L. 448/2001, 350/2003 e 266/2005.
13
Ci si riferisce, per esempio, alle “rivalutazioni” eseguite in caso di perfezionamento di operazioni di natura straordinaria, quali le fusioni e le
scissioni, in caso di emersione di un disavanzo, ovvero alle operazioni di conferimento, qualora le perizie, redatte ai sensi degli artt. 2343 o
2465 (in caso di conferimento in società a responsabilità limitata), attestino un valore dei beni conferiti superiore a quelli risultanti dalle scritture contabili del soggetto conferente.
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b) le spese sostenute per la manutenzione e riparazione dello stesso14, che abbiano carattere di
straordinarietà e che, quindi, possano ritenersi capitalizzabili, poiché atte a migliorare le condizioni
del bene;
c) le spese per l’ampliamento, l’ammodernamento, il
miglioramento o il rinnovamento dell’immobile15, la
cui capitalizzabilità è correlata alla capacità di incrementare in modo significativo e misurabile la
produttività o la sicurezza di un bene16 e la cui difficoltà di quantificazione richiede spesso la redazione di una perizia tecnica;
d) la perdita durevole di valore dell’immobile. Infatti, come previsto dal Principio contabile nazionale
OIC 16, il valore netto contabile non può mai eccedere il valore recuperabile, il quale è definito come
il maggiore tra il presumibile valore di realizzo con
la vendita del bene (ovverosia, il valore che può essere ricavato dalla cessione del bene in una vendita conclusa a valori normali tra parti interessate e
informate) e il suo valore d’uso (il quale è definito
come “(…) il valore attuale dei flussi di cassa attesi
nel futuro derivanti o attribuibili alla continuazione
dell’utilizzo dell’immobilizzazione, compresi quelli derivanti dallo smobilizzo della stessa al termine
della sua vita utile”)17.
2.1. I criteri di ripartizione
del valore da ammortizzare
Il Documento OIC 16 dei Principi contabili nazionali
specifica, invece, che “il valore da ammortizzare è la differenza tra il costo dell’immobilizzazione (…) e il suo presumibile valore residuo al termine del periodo di vita utile”.
Inoltre, si evidenzia come l’art. 2426, n. 2), c.c., nello
stabilire l’obbligo di ammortamento sistematico per le immobilizzazioni materiali e immateriali a utilità limitata nel
tempo18, individui quale criterio fondamentale per la determinazione dell’ammortamento il concetto della “residua possibilità di utilizzazione”. In proposito, la dottrina19 è
6
unanime nel considerare tale concetto come strettamente
connesso a quello relativo alla definizione di “vita economica utile”. Pertanto, la residua possibilità di utilizzazione
di un cespite è indubbiamente correlata alla “durata economica” del bene medesimo, ovverosia al periodo in cui si
stima che lo stesso possa partecipare attivamente al ciclo economico dell’impresa, apportandovi una certa utilità.
Questo lasso temporale è generalmente inferiore alla “durata fisica” del bene ed è strettamente dipendente da una
serie di fattori, tra i quali, si segnalano per importanza:
◗ il deterioramento fisico legato al trascorrere del
tempo;
◗ l’intensità di utilizzo;
◗ i fattori ambientali e le condizioni di utilizzo;
◗ l’obsolescenza tecnica del cespite stesso e/o del
bene per cui viene impiegato;
◗ le politiche di manutenzione e riparazione.
Peraltro, va precisato come l’art. 2426, n. 2), c.c., non
fornisca precise indicazioni riguardo alla distribuzione degli ammortamenti nell’arco temporale della durata economica dell’immobilizzazione20. Nella maggior parte dei casi,
tuttavia, si ritiene validamente applicabile il metodo cosiddetto “a quote costanti”.
Lo stesso Documento n. 16 dei Principi contabili nazionali21, infatti, pur riconoscendo che “i criteri di ammortamento devono assicurare una razionale e sistematica imputazione del valore dei cespiti durante la stimata vita utile
dei medesimi”, individua, quale metodo preferibile, quello
derivante dall’applicazione di quote costanti, che si fonda
sulla ripartizione del valore da ammortizzare per il numero
degli esercizi di vita utile del cespite e si caratterizza per
una relativa semplicità di applicazione, oltre che per la facilità di interpretazione dei bilanci, agevolando il confronto
tra gli stessi. Allo stesso tempo, tuttavia, il Documento citato non esclude la validità del metodo delle quote decrescenti, basato sulla considerazione che l’efficienza tecni-
14
Cfr. Principio contabile nazionale 16, § D.VI.
15
Cfr. Principio contabile nazionale 16, § D.III e D.IV.
16
Qualora i costi in esame non producano i citati effetti, devono essere addebitati a conto economico poiché rappresentativi di spese per la
manutenzione ordinaria del bene.
17
Per un approfondimento sul tema si vedano il Principio contabile nazionale OIC 16, § D.XIII) e la “Guida all’applicazione dell’impairment test
dello IAS 36”, del febbraio 2006 predisposta dalla Commissione per i Principi Contabili.
18
I beni a utilità illimitata, quali i terreni, restano invece esclusi dal processo di ammortamento.
19
Si vedano, a titolo meramente esemplificativo, R. Caramel, “Il bilancio delle imprese, le norme di legge e le regole tecniche per redigere il
rendiconto annuale”, Il Sole 24 Ore, 1996, pag. 126, e Santesso-Sostero, “Principi contabili per il bilancio d’esercizio”, Il Sole 24 Ore, 1997,
pagg. 260 e ss..
20
La norma si limita a chiarire che il piano di ammortamento può sempre essere suscettibile di mutamenti e che, in ogni caso, “le modifiche dei
criteri di ammortamento e dei coefficienti applicati devono essere motivate nella nota integrativa”. A tal proposito, preme osservare come a
ogni mutamento significativo della vita utile del cespite debba corrispondere un adeguamento del piano di ammortamento originariamente
previsto.
21
Cfr. Principio contabile nazionale 16, § D.XI.4.
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ca dei beni tende a diminuire col tempo e che i costi di
manutenzione a essi correlati possono essere talvolta crescenti22.
Ciò detto, si ricorda come il piano di ammortamento
debba essere periodicamente rivisto al fine di verificare la
permanenza delle ipotesi iniziali, dovendosi altrimenti operare una revisione delle stime originariamente effettuate,
in ordine al periodo di residua possibilità di utilizzazione. In
tal caso, il valore contabile residuo andrà ripartito in ragione della “nuova” vita economica utile del cespite, motivando tale rettifica nella nota integrativa.
2.2. L’ammortamento dei fabbricati
civili e dei terreni
Una particolare categoria di immobilizzi si identifica nei
fabbricati cosiddetti “civili” e nei terreni.
Infatti, con specifico riferimento ai beni che devono essere sottoposti a processo di ammortamento, il Principio
contabile nazionale OIC 1623 prevede che tutti i cespiti debbano essere sottoposti ad ammortamento, ad eccezione
dei fabbricati civili e di tutti i cespiti che non esauriscono
nel tempo la loro utilità. Con riferimento ai primi, il Principio contabile in commento precisa che, qualora questi
assumano carattere accessorio o pertinenziale rispetto ai
fabbricati strumentali, divenendo così anch’essi indirettamente strumentali all’esercizio dell’impresa, gli stessi debbano essere assimilati ai fabbricati industriali e, quindi, essere assoggettati al processo di ammortamento. Qualora
gli stessi assumano, invece, una funzione di mero investimento patrimoniale, nella maggior parte dei casi potranno sottrarsi al processo di ammortamento, in ragione del
fatto che non si tratterebbe di beni soggetti a deperimento
e obsolescenza, in quanto aventi una vita economica utile tendenzialmente indeterminata, almeno in presenza di
un’adeguata attività manutentiva e conservativa24.
Tra i cespiti a utilità indefinita, il Principio contabile citato contempla, invece, proprio i terreni, con l’eccezione di
alcune ipotesi particolari, quali ad esempio i terreni “(…)
adibiti a frutticoltura che, dopo un certo numero di anni,
perdono progressivamente la loro capacità produttiva fino
a richiedere l’eliminazione delle piantagioni e, dopo una
pausa di riposo, la ripiantumazione”, per i quali si è affermato che “(…) la differenza tra il valore del terreno «piantumato» e il valore del terreno «nudo» debba fare oggetto
di ammortamento”25, nonché i “terreni adibiti a cave”26.
Il più volte richiamato criterio dell’utilizzazione limitata nel tempo, in secondo luogo, conduce a ritenere che il
valore da ammortizzare sia costituito dalla differenza tra
il costo dell’immobilizzazione ed il suo presumibile valore
residuo al termine del periodo di vita utile27, poiché detto
valore misura, per definizione, la parte del bene che non
perde utilità.
Al proposito, anche il Principio contabile internazionale
IAS 16 afferma, sostanzialmente, che il valore ammortizzabile di un cespite deve essere determinato al netto del valore residuo, tranne il caso in cui questo sia trascurabile,
precisando che il valore residuo, quando sia significativo,
deve essere stimato alla data dell’acquisto e non essere
successivamente rettificato, in considerazione della dinamica dei prezzi. La stima deve riflettere, quindi, il valore residuo prevalente, nel momento in cui la si effettua, per beni
simili giunti al termine della loro vita economica utile, che
abbiano operato in analoghe condizioni di utilizzo. Nel caso
in cui fossero prevedibili, al termine della vita utile del bene,
significativi costi di rimozione e smobilizzo, conclude lo IAS,
22
Inoltre, con riferimento alle modalità di applicazione della metodologia di ammortamento a quote decrescenti, il Documento 16 precisa che
possono essere adottati due distinti procedimenti, rispettivamente denominati ammortamento “logaritmico” e ammortamento “aritmetico”
o “americano”. Peraltro, limitatamente ad alcune categorie di immobilizzazioni, presenti in particolari settori produttivi – quali, per esempio,
quelli delle industrie estrattive, minerarie e petrolifere – il Documento 16 consente l’ammortamento a quote variabili in base ai volumi di produzione realizzati. Quest’ultimo metodo di applicazione degli ammortamenti consiste “[…] nell’attribuire a ciascun esercizio la quota di ammortamento di competenza determinata dal rapporto tra le quantità prodotte nell’esercizio e le quantità di produzione totale prevista durante
l’intera vita utile dell’immobilizzazione”, in forza di un più generale principio di correlazione tra i costi e i ricavi.
23
Cfr. Principio contabile nazionale OIC 16 - Le immobilizzazioni materiali, § D.XI) Ammortamento, n. 7.
24
Più in particolare, il Principio contabile nazionale OIC n.16 suddivide i fabbricati civili in due distinte categorie anche in considerazione della
destinazione agli stessi attribuita. In particolare, ai fini dell’ammortizzabilità di detti immobili, il principio contabile prevede che:
- gli immobili, aventi carattere accessorio rispetto a quelli strumentali e indirettamente strumentali all’attività esercitata dall’impresa, debbano essere sottoposti ad ammortamento;
- i fabbricati, che rappresentano “(…) un’altra forma di investimento”, possano anche non essere ammortizzati. Tuttavia, qualora si decida
di sottoporli a processo di ammortamento, quest’ultimo deve rispondere alle medesime caratteristiche previste per i piani di ammortamento
disposte per le altre immobilizzazioni materiali.
25
Cfr. G.E. Colombo, “Il bilancio di esercizio”, in “Trattato delle società per azioni” diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, UTET, 1994, pagg. 224
e ss..
26
Per questi ultimi, in particolare, va riconosciuto che, pur dovendosi considerare tra i beni con vita utile definita, non debbano essere sottoposti a un processo di ammortamento, bensì, in considerazione dei costi a cui solitamente devono far fronte le imprese al termine del loro
sfruttamento (per esempio, i costi di risistemazione dei terreni), sarebbe più idoneo parlare di accantonamento a fondi di rinnovamento.
Come previsto dal Principio contabile nazionale OIC 16, § D.X), “In tali situazioni, si rende necessario addebitare al conto economico quelle
quote necessarie per assicurare la costituzione di un fondo che consenta di ripristinare gli impianti allo stato in cui devono essere restituiti.
Tali stanziamenti vanno effettuati sulla base di elementi oggettivi e valida documentazione (perizie tecniche, ecc.) e vanno iscritti tra i Fondi
per rischi e oneri - Altri”.
27
Valore residuo del bene ottenibile dallo smobilizzo, quindi, e non dall’impiego nell’attività dell’impresa; il permanere di un valore residuo “di
utilizzo” sarebbe un indicatore, infatti, di un errore nella valutazione della vita utile.
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di essi andrebbe tenuto conto in sede di determinazione del
valore residuo del bene.
Anche il Principio contabile nazionale OIC 16 afferma
che “il valore da ammortizzare è la differenza tra il costo
dell’immobilizzazione (…) e il suo presumibile valore residuo al termine del periodo di vita utile. Il valore residuo dell’immobilizzazione al termine del periodo di vita utile deve
essere aggiornato periodicamente dopo essere stato stimato al momento della preparazione del piano di ammortamento in base ai prezzi realizzabili sul mercato attraverso
la cessione di immobilizzazioni simili sia per le loro caratteristiche tecniche sia per il processo di utilizzazione cui
sono state sottoposte. Tale valore va considerato al netto
delle spese di rimozione. Detto valore di realizzo è spesso
così esiguo rispetto al valore da ammortizzare che di esso
non si tiene conto”. Il documento precisa, infine, che “(…)
nei casi in cui il costo di rimozione superi il prezzo di realizzo, l’eccedenza, se rilevante, dovrebbe essere accantonata lungo la vita utile del cespite”.
Con l’unico temperamento della “significatività”, prevista dal Principio contabile internazionale IAS 16, o della “esiguità rispetto al valore da ammortizzare”, nonché
del periodico aggiornamento del valore residuo previsto
dal Principio contabile nazionale OIC 16, i Principi contabili concordano dunque nell’affermare che il valore residuo
vada portato a deconto del costo di acquisto e sulla medesima linea interpretativa si colloca la dottrina civilistica28.
Con riferimento ai terreni su cui insistono i fabbricati
dell’impresa ed ai terreni pertinenziali, che presentino comunque un valore residuo al termine della vita utile, pari al
valore del terreno “nudo” (al netto degli oneri di demolizione del fabbricato, ove necessario), sarà pertanto applicazione del principio generale suesposto concludere che il
processo di ammortamento dovrà interessare il valore del
fabbricato con esclusione del valore residuo del terreno,
così come sopra determinato. Tali conclusioni trovano, peraltro, conferma nel Principio contabile nazionale OIC 16, il
quale stabilisce che “(…) nel caso in cui il valore dei fabbricati incorpori anche quello dei terreni sui quali essi insistono, il valore dei terreni va scorporato ai fini dell’ammortamento sulla base di stime. In quei casi, invece, in cui
il terreno ha un valore in quanto vi insiste un fabbricato, se
lo stesso viene meno il costo di bonifica può azzerare verosimilmente quello del terreno, con la conseguenza che
anch’esso va ammortizzato”29.
Un diverso comportamento condurrebbe infatti alla violazione non già del principio di prudenza, posto che le quote di ammortamento vengono computate su un valore più
elevato, comprimendo quindi, ceteris paribus, il risultato
degli esercizi di vita utile, bensì del principio di competenza, attribuendo agli esercizi successivi al termine della vita
utile del bene il componente positivo di reddito (plusvalenza), espresso dalla differenza tra il prezzo di cessione ed il
valore contabile (pari a zero, essendo il bene interamente
ammortizzato). Sarà peraltro necessario, a nostro avviso,
8
porre la massima attenzione anche alla determinazione del
valore residuo, preferibilmente con l’ausilio di stime o perizie tecniche, onde evitare di attribuire agli esercizi interessati dall’ammortamento utili soltanto sperati, risultanti
dall’adozione di un valore residuo non veritiero, in quanto
troppo elevato, violando in tal modo il principio della prudenza.
2.3. Data di inizio del processo
di ammortamento
Con riferimento al momento a partire dal quale il processo di ammortamento può avere inizio, il Documento OIC
16 dei Principi contabili nazionali precisa che “(…) l’ammortamento inizia nel momento in cui il cespite è disponibile e pronto per l’uso”. L’individuazione del momento a
partire dal quale è possibile procedere con l’ammortamento di un fabbricato può, in particolari circostanze, rivelarsi
problematico, dovendosi tenere conto del fatto che il bene
sia stato acquistato, ovvero prodotto dall’impresa.
Nel caso dell’acquisto, la soluzione è immediata; infatti,
poiché l’ammortamento deve avere inizio quando il cespite
è disponibile e pronto per l’uso, con riferimento agli immobili si ritiene che tale momento possa essere individuato
anche in ragione dell’avvenuto rilascio delle autorizzazioni
e dei certificati che consentono legittimamente di utilizzare
l’immobile e destinarlo al soddisfacimento dei fabbisogni
aziendali.
Nel caso, invece, in cui la costruzione del bene avvenga invece in economia, ovvero sia concessa in appalto a
terzi, la situazione è più complessa, dovendosi distinguere
due possibili situazioni, riconducibili essenzialmente alla
circostanza:
◗ che la costruzione del bene venga iniziata e conclusa nel corso del medesimo esercizio;
◗ che la costruzione del bene venga iniziata nel corso
di un esercizio e ultimata nel corso di un altro.
Con riferimento al primo caso prospettato, ci si limita a
osservare come la soluzione da adottarsi sia del tutto analoga a quella prospettata nel caso di acquisto del bene.
Diversamente, nel caso in cui la costruzione – anche
interna – del bene, come spesso accade, richieda, tra progettazione e realizzazione, un periodo di tempo molto lungo, o comunque tale per cui le spese per la costruzione
vengano sostenute in un esercizio diverso da quello in cui
l’immobilizzazione sarà pronta per l’uso, si rende necessario adottare qualche ulteriore accorgimento.
In particolare, il corretto trattamento contabile dovrebbe essere realizzato mediante la rilevazione:
◗ nelle singole voci del conto economico appartenenti al gruppo “B) Costi della produzione”, delle
28
Cfr. G.E. Colombo, Op. cit., pag. 240 e F. Di Sabato, “Manuale delle società”, UTET, 1994, pag. 569.
29
Cfr. Principio contabile nazionale OIC 16 - Le immobilizzazioni materiali, § D.XI) Ammortamento, n. 7. Avvalendosi della deroga da ultimo richiamata, molte imprese italiane hanno sinora assoggettato ad ammortamento anche la quota di costo riferibile all’area.
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spese sostenute durante l’esercizio per la realizzazione dell’immobilizzazione;
◗ nella voce “A) Valore della produzione” del conto
economico, al numero “4) Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni”, del valore corrispondente alla quota parte dell’immobilizzazione completata, nel limite dei costi effettivamente sostenuti;
◗ nella voce dello stato patrimoniale “B.II.5) Immobilizzazioni in corso e acconti”, in diretta contropartita della precedente rilevazione, del valore di costo
dei beni realizzati.
Tali registrazioni contabili si ripeterebbero annualmente sino all’esercizio in cui si verificasse il completamento del bene, o meglio sino all’esercizio in cui il bene fosse pronto per l’uso; solo in tale esercizio si procederebbe
quindi allo storno del valore accumulato nella voce “B.II.5)
Immobilizzazioni in corso e acconti”, con iscrizione, in contropartita, della voce “B.II.1) Terreni e fabbricati” e conseguente inizio del processo di ammortamento secondo il
piano stabilito.
3. Gli immobili iscritti
tra le rimanenze: alcuni cenni
Come anticipato nella premessa al presente lavoro, se
l’attività dell’impresa fosse diretta alla produzione e allo
scambio di immobili, nei confronti di questi ultimi – sotto il
profilo contabile – troverebbero applicazione alcune30 delle previsioni contenute nel Principio contabile nazionale
OIC 13 che disciplina le modalità di contabilizzazione e di
valutazione delle rimanenze di magazzino.
Infatti, le giacenze di magazzino sono costituite dall’insieme dei beni acquisiti, impiegati e prodotti nell’ambito
dell’attività d’impresa, esistenti alla fine dell’esercizio31. La
loro esatta rilevazione, classificazione e valutazione è precipuamente volta a consentire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale della società,
nel rispetto del principio della competenza economica e
della correlazione “costi-ricavi”. Si osservi, infatti, come le
rimanenze di beni rappresentino costi sostenuti nell’esercizio che, tuttavia, in ossequio al citato principio di competenza, devono essere “sospesi” e rinviati all’esercizio in
cui verranno realizzati i correlati ricavi.
Le corrette modalità di rilevazione in bilancio delle giacenze di magazzino sono individuate negli artt. 2424 e 2425,
c.c., contenenti rispettivamente gli schemi di bilancio rela-
tivi allo Stato Patrimoniale e al Conto Economico. In particolare, l’art. 2424 citato colloca le giacenze di magazzino
al numero “I) Rimanenze” della voce “C) Attivo circolante”
dello Stato Patrimoniale, disponendone la seguente classificazione:
1) materie prime, sussidiarie e di consumo;
2) prodotti in corso di lavorazione e semilavorati;
3) lavori in corso su ordinazione;
4) prodotti finiti e merci;
5) acconti.
L’art. 2425 citato prevede invece l’iscrizione delle variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e prodotti finiti al numero 2) della voce “A) Valore della produzione”, e l’iscrizione delle variazioni di rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci,
al numero 11) della voce “B) Costi della produzione”.
Si osservi come sia la stessa distinzione concettuale
esistente tra le diverse categorie individuate nello schema
di Stato Patrimoniale a guidare la collocazione in bilancio
delle giacenze della Società. Più precisamente, le materie
prime sono costituite dai beni acquisiti presso terze economie e destinati a essere incorporati nei prodotti finiti, tra
cui vanno annoverati i semilavorati costituenti parti finite
d’acquisto32.
Le materie sussidiarie sono rappresentate, invece, dai
beni destinati a essere utilizzati ai fini del completamento
dei prodotti.
Stante la particolare tipologia di beni oggetto del presente approfondimento, vale la pena ricordare come, per
quanto concerne, in particolare, la diversa qualificazione
di un bene in produzione come semilavorato ovvero come
prodotto in corso di lavorazione33, è la stessa Amministrazione finanziaria a indicare il comportamento opportuno.
Chiamato a fornire un’interpretazione organica della disciplina relativa alla tenuta della contabilità di magazzino34,
l’allora Ministero delle Finanze ha sottolineato il diverso
trattamento applicabile ai semilavorati acquistati da terze
economie rispetto a quelli fabbricati all’interno, evidenziando come soltanto con riferimento ai primi sussista l’obbligo di registrazione nell’ambito delle scritture di magazzino
(che, a sua volta, deriva dall’obbligo della distinta rilevazione dei medesimi in inventario), e come invece in relazione ai secondi la qualificazione, come semilavorato, ovvero
come prodotto in corso di lavorazione, sia lasciata all’impresa stessa, “(…) ciò anche quando il semilavorato del
medesimo tipo sia in parte acquistato e in parte fabbricato
30
Anche in considerazione della particolare tipologia di beni oggetto del presente approfondimento.
31
Il riferimento è ai beni di cui la società abbia la proprietà alla chiusura dell’esercizio.
32
In tal senso G. Vasapolli, A. Vasapolli, “Dal bilancio d’esercizio al reddito d’impresa”, IPSOA, edizione 2006, pag. 951.
33
Si osservi in proposito come la scelta tra le due qualificazioni citate non sia del tutto irrilevante ai fini della tematica in esame, in quanto si
riflette sulla disciplina applicabile in tema di valutazione fiscale delle rimanenze. Come meglio specificato nel prosieguo, il legislatore fiscale
consente infatti l’adozione di soluzioni alternative ai fini della valorizzazione dei semilavorati, richiedendo invece l’applicazione del “costo
specifico” con riferimento ai prodotti in corso di lavorazione.
34
Il riferimento è alla Circolare 26/11/1981, n. 40.
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9
dall’impresa”. Con la conseguenza ulteriore che, soltanto
nel caso in cui l’impresa qualifichi anche i beni prodotti internamente come semilavorati, sorgerà con riferimento a
essi l’obbligo di rilevazione nella contabilità di magazzino.
Quanto precede evidenzia come, di regola35, non sussistano criteri oggettivi ai fini della distinzione tra semilavorati e
prodotti in corso di lavorazione, ma sia la stessa impresa,
di volta in volta, a individuarne la classificazione.
Nell’ambito dei prodotti finiti vanno annoverati, invece,
i beni realizzati dall’impresa per i quali sia già stato ultimato il ciclo produttivo, pur risultando ancora di proprietà
della società.
Per quanto riguarda, infine, le merci, queste sono rappresentate dai beni che vengono ceduti dall’impresa nel
medesimo stato in cui sono stati acquistati, senza che sui
medesimi venga eseguita alcuna lavorazione36.
3.1. La valorizzazione
delle giacenze di magazzino
Al fine di pervenire alla corretta determinazione del risultato dell’esercizio37, l’attività di verifica delle quantità dei
beni esistenti alla data di chiusura del bilancio deve essere
accompagnata da una congrua valorizzazione dei medesimi. Il processo di valutazione delle giacenze di magazzino
non è lasciato al giudizio dell’imprenditore, bensì trova una
specifica disciplina, tanto in ambito civilistico, quanto in ambito fiscale. Nel prosieguo verrà, pertanto, esaminata la normativa, al fine di verificare quale sia il comportamento più
idoneo da adottare in sede di valutazione delle rimanenze di
magazzino. Inoltre, verrà effettuato qualche breve rimando
alla disciplina fiscale, con lo scopo di evidenziarne le differenze riscontrabili rispetto a quella civile. Vale, tuttavia, la
pena evidenziare sin da ora che esula dagli scopi del presente lavoro l’approfondimento delle problematiche connesse ai lavori in esecuzione di commesse ultrannuali, affidate
con contratti di appalto o altri contratti aventi natura similare38. Pertanto, pur riconoscendo che quest’ultima fattispecie
risulta particolarmente ricorrente nel settore edile, ci si è limitati all’analisi delle questioni connesse alla detenzione di
immobili-merce, ovverosia quelli destinati alla compravendi-
10
ta e la cui valutazione può essere ricondotta alla disciplina
prevista dal Principio contabile nazionale OIC 13.
3.1.1. I criteri civilistici
per la valutazione delle rimanenze
di magazzino
In via preliminare, non pare superfluo sottolineare
come la valutazione di ogni elemento costituente l’azienda
debba essere improntata al rispetto dei principi generali
che guidano l’attività di redazione del bilancio d’esercizio,
tra cui si annovera il principio di continuità temporale del
metodo di valutazione adottato39. Tale principio impone il
mantenimento di un comportamento coerente nell’attività
di valutazione ed è volto a contrastare un utilizzo dei criteri valutativi funzionale all’attuazione di politiche di bilancio40. La scelta del criterio di valutazione deve essere quindi adeguatamente ponderata, in quanto destinata a essere
mantenuta nel tempo.
Venendo più specificamente alle disposizioni che il Codice civile prevede ai fini della valutazione delle rimanenze
di magazzino, queste sono contenute nell’art. 2426, ai numeri 9) e 10). Più precisamente, la prima delle norme citate individua il criterio generale per la valutazione delle rimanenze, mentre la seconda indica alcuni criteri alternativi (LIFO,
FIFO e costo medio ponderato), applicabili ai fini della determinazione del costo dei beni fungibili, dei quali non si darà
contezza, in quanto – considerata la natura dei beni oggetto
di indagine – risultano nel concreto di difficile applicazione.
A) La valutazione delle rimanenze con il metodo
del costo specifico
Ai sensi della prima delle norme richiamate, le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie non costituenti immobilizzazioni debbono essere iscritti al minore tra il costo
d’acquisto o di produzione e il valore di realizzo desumibile
dall’andamento del mercato41. La disposizione è il risultato dell’accostamento di uno dei principi fondamentali della
disciplina civilistica in materia di bilancio, costituito dalla rilevazione a costo storico dei beni appartenenti all’impresa in funzionamento, con l’esigenza di impedire una sopravvalutazione del patrimonio aziendale42, che si produr-
35
L’eccezione è rappresentata dalle aziende che producono a flusso continuo, per le quali non si può che parlare di prodotti in corso di lavorazione. Al proposito, si veda I. Facchinetti, “Gestione e contabilità del magazzino”, Il Sole 24 Ore, edizione 2001, pag. 119.
36
Come precisato da G. Vasapolli e A. Vasapolli, nell’opera citata, non rientrano nel concetto di lavorazione l’eventuale imballaggio o confezionamento dei beni da parte dell’impresa.
37
Nonché, del reddito di periodo.
38
Sotto il profilo civilistico, la disciplina dei lavori in corso su ordinazione è contenuta nel principio contabile nazionale OIC 23, mentre fiscalmente
il riferimento va fatto all’art. 93, D.P.R. 22/12/1986, n. 917, di recente modificato ad opera dell’art. 36, co. 20, D.L. 04/07/2006, n. 223, convertito dalla
L. 04/08/2006, n.248, nonché dall’art. 1, co. 70, L. 27/12/2006, n. 296 (c.d. Legge Finanziaria per l’anno 2007).
39
L’art. 2423-bis, c.c., rubricato “Principi di redazione del bilancio”, dispone, al numero 6, che “i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro”. Il medesimo articolo ammette poi, in casi eccezionali, deroghe al predetto principio, disponendo in tal caso
l’obbligo di motivare la deroga in nota integrativa, indicandone altresì l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico.
40
È del tutto evidente, infatti, come il passaggio da un criterio valutativo a un’altro potrebbe condurre a un risultato significativamente diverso,
destinato a ripercuotersi sulla determinazione dell’utile di periodo.
41
Con la precisazione che tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata.
42
Nel rispetto del più generale principio di prudenza.
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rebbe qualora tali valori storici venissero mantenuti anche
in presenza di condizioni di mercato tali da escluderne, di
fatto, la possibilità di realizzo.
I criteri per determinare il primo dei due parametri di
riferimento, ovverosia il costo d’acquisto o di produzione,
sono individuati nel punto n. 1 del medesimo art. 2426. Più
precisamente, nel costo dei beni acquistati (da indicarsi al
netto di eventuali sconti, abbuoni o premi) vanno ricompresi anche gli oneri accessori43.
Nel costo di fabbricazione, invece, devono essere inclusi, in primo luogo, tutti i costi direttamente imputabili al
prodotto. Andranno, quindi, ricompresi i costi d’acquisto dei
materiali impiegati nella produzione (comprensivi degli oneri
accessori), nonché le spese industriali di produzione e trasformazione. A tal proposito e per quanto di nostro interesse,
va ricordato come il Principio contabile OIC 13 annoveri tra
gli oneri tipicamente identificabili quali costi diretti di fabbricazione il costo dei materiali utilizzati, il costo della mano
d’opera diretta (inclusivo degli oneri accessori), i semilavorati, gli imballaggi e i costi relativi a licenze di produzione.
L’art. 2426 precisa, poi, che nel costo di produzione possono essere inclusi anche “altri costi, per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento in cui il bene può essere utilizzato44; con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri
relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi”. Secondo il Principio contabile OIC 13, la possibilità di includere gli oneri finanziari nell’ambito del costo delle
rimanenze è limitato ai casi in cui un finanziamento “(…) è
stato assunto a fronte di specifiche voci che richiedono un
processo produttivo di vari anni prima di poter essere ven-
dute”45 e sempre a condizione che gli interessi computati
siano esclusivamente quelli sostenuti nel periodo di produzione, l’onere relativo sia rimasto a carico dell’impresa, il
costo complessivo degli interessi non ecceda il valore di
realizzo del prodotto e che, infine, della capitalizzazione degli interessi sia data notizia nella nota integrativa.
Il Principio contabile OIC 13 individua quali oneri rientranti nell’ambito dei costi indiretti di produzione gli stipendi, i salari e gli oneri relativi alla mano d’opera indiretta e
al personale di stabilimento, gli ammortamenti economicotecnici dei cespiti destinati alla produzione (a esclusione
degli ammortamenti stanziati esclusivamente in applicazione di norme tributarie), le manutenzioni e le riparazioni, i
materiali di consumo, nonché le altre spese effettivamente
sostenute per la lavorazione dei prodotti (acqua, manutenzione esterna, ecc…)46. Rientrano altresì nell’ambito dei
costi di trasformazione, e quindi contribuiscono alla formazione del valore delle rimanenze finali, tutte quelle spese
generali di produzione “che si rendono necessarie per porre le rimanenze di magazzino nel loro attuale stato e sito”,
le quali vanno ripartite sulla produzione dell’esercizio sulla
base della capacità produttiva normale dell’impresa47. Al
contrario, non concorrono alla formazione del valore delle
rimanenze né le spese generali amministrative, né le spese
di vendita, connesse alla distribuzione dei prodotti.
3.1.2. I criteri fiscali per la valutazione
delle rimanenze di magazzino
La disciplina fiscale relativa alla valutazione delle giacenze di magazzino è contenuta nell’art. 92, D.P.R.
22/12/1986, n. 91748. Ai sensi della norma citata, le rimanen-
43
Ad eccezione degli oneri finanziari, i quali – come precisato dal Principio contabile 13 – “sono esclusi sia dal concetto di prezzo effettivo
d’acquisto, sia da quello di oneri accessori”.
44
La relazione ministeriale a commento dell’art. 2426, c.c., sottolinea come la disposizione citata non attribuisca una facoltà di scelta arbitraria,
bensì semplicemente “l’applicazione di una discrezionalità tecnica in relazione alla specifica situazione produttiva”.
45
L’esempio riportato dal principio contabile è quello del brandy, ma analogamente dovrebbe potersi estendere il principio anche alla produzione di beni immobili.
46
In caso di acquisto di interi complessi immobiliari, potrebbe risultare difficoltoso determinare il costo di ogni singola unità immobiliare facente parte dello stesso. In tali circostanze, si ritiene che debba essere individuato un criterio oggettivo di ripartizione dello stesso che può
essere individuato:
a) ripartendo il costo complessivo su ogni singola unità immobiliare sulla base dell’incidenza della metratura della stessa sul totale; ovvero
b) laddove la metratura non rappresenti più un criterio oggettivo a causa delle differenti finiture e livello di commerciabilità di ogni unità immobiliare (bilocali, trilocali, ecc.), ripartendo il costo complessivo sostenuto su ogni singola unità immobiliare sulla base del valore di mercato proporzionalmente attribuibile a ciascuna di esse. In particolare, una volta determinato in modo oggettivo il valore di ogni singola unità immobiliare e dell’intero complesso immobiliare, si potrebbe ripartire il costo inizialmente sostenuto sulla base di una semplice proporzione.
Si ritiene che la valutazione sulla base del metodo sub b) possa ritenersi il più appropriato, se determinato sulla base di valori di mercato
stimati in modo ragionevole e attendibile.
47
La suddivisione delle spese generali di produzione sulla base della produzione effettiva, anziché sulla base di un volume normale di produzione, comporterebbe infatti, in caso di sottoutilizzo della capacità produttiva, la sospensione di costi in realtà di competenza dell’esercizio,
quali sono quelli connessi alla capacità non utilizzata (come, per esempio, i costi connessi a impianti o macchinari inattivi).
48
Si riporta di seguito l’articolo citato.
“1. Le variazioni delle rimanenze finali dei beni indicati all’articolo 85, comma 1, lettere a) e b), rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a
formare il reddito dell’esercizio. A tal fine le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell’articolo 93,
sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni che seguono.
2. Nel primo esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate attribuendo ad ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo
complessivo dei beni prodotti e acquistati nell’esercizio stesso per la loro quantità.
3. Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto all’esercizio precedente, le maggiori quantità, valutate a
norma del comma 2, costituiscono voci distinte per esercizi di formazione. Se la quantità è diminuita, la diminuzione si imputa agli incrementi
formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente.
La nota continua nella pagina successiva.
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11
ze, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici49,
sono iscritte a un valore non inferiore a quello che risulta
raggruppando i beni in categorie omogenee, per natura e
per valore, e attribuendo a ciascun gruppo un valore non
inferiore al minore tra il costo (determinato utilizzando uno
dei seguenti metodi: LIFO a scatti o altre varianti del LIFO,
media ponderata, FIFO) e il valore normale medio dei beni
(ovverosia il prezzo o corrispettivo mediamente praticato
per beni o servizi similari nel tempo e nel luogo in cui i beni
sono stati acquisiti) nell’ultimo mese dell’esercizio50. Fanno
eccezione i prodotti in corso di lavorazione, i quali devono
essere valutati esclusivamente sulla base delle spese sostenute nell’esercizio.
Anche la disciplina fiscale, quindi, individua, al pari della norma civilistica, il criterio del “costo specifico” quale
“criterio-guida”, ai fini della valorizzazione delle rimanenze, riconoscendo poi la possibilità di adottare anche criteri alternativi, a condizione che dai medesimi non risulti una valutazione inferiore a quella che sarebbe risultata
dall’adozione dei metodi individuati nella disposizione citata51.
Per quanto riguarda la nozione di costo da applicare ai
fini della valutazione fiscale delle rimanenze, qualunque sia
il metodo poi di fatto utilizzato, il riferimento è all’art. 110,
TUIR. Ai sensi della disposizione citata, nella determinazione del costo rientrano, oltre agli oneri diretti d’acquisto
o di produzione, gli oneri accessori di diretta imputazione.
Sono al contrario esclusi gli interessi passivi (sotto il profilo esclusivamente fiscale) e le spese generali. Nel costo
di fabbricazione possono essere inoltre inclusi anche costi
diversi da quelli direttamente imputabili al prodotto.
4. L’introduzione
dei Principi contabili
internazionali (IAS):
brevi cenni
Come noto, il D.Lgs. 25/02/2005, n. 38, ha dato attuazione alla delega attribuita al Governo per il recepimento dei
Principi contabili internazionali IAS (International Accounting Standards)52.
Sotto il profilo soggettivo, la predetta disposizione ha
individuato diverse categorie di soggetti nei confronti dei
quali l’applicazione degli IAS si è resa obbligatoria, facoltativa, ovvero ancora debba intendersi preclusa53. In particolare, l’art. 2, D.Lgs. 38/2005, impone l’adozione dei Principi contabili internazionali per:
a) le società emittenti strumenti finanziari ammessi
alla negoziazione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell’Unione europea54;
b) le società aventi strumenti finanziari diffusi tra il
pubblico55;
c) le banche italiane, le società finanziarie capogruppo dei gruppi bancari, le società di gestione del risparmio, le società finanziarie e gli istituti di moneta
elettronica56;
d) le imprese di assicurazione57;
e) le società consolidate da quelle per le quali vige
l’obbligo di adozione degli IAS, diverse da quelle
4. Per le imprese che valutano in bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del “primo entrato, primo uscito” o con
varianti di quello di cui al comma 3, le rimanenze finali sono assunte per il valore che risulta dall’applicazione del metodo adottato.
5. Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4, è superiore al valore normale medio di essi
nell’ultimo mese dell’esercizio, il valore minimo di cui al comma 1, è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente
dall’esercizio di formazione, per il valore normale. Per le valute estere si assume come valore normale il valore secondo il cambio alla data di
chiusura dell’esercizio. Il minor valore attribuito alle rimanenze in conformità alle disposizioni del presente comma vale anche per gli esercizi
successivi sempre che le rimanenze non risultino iscritte nello stato patrimoniale per un valore superiore.
6. I prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione al termine dell’esercizio sono valutati in base alle spese sostenute nell’esercizio stesso, salvo quanto stabilito nell’articolo 93 per le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale.
7. Le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo.
8. Per gli esercenti attività di commercio al minuto che valutano le rimanenze delle merci con il metodo del prezzo al dettaglio si tiene conto del
valore così determinato anche in deroga alla disposizione del comma 1, a condizione che nella dichiarazione dei redditi o in apposito allegato
siano illustrati i criteri e le modalità di applicazione del detto metodo, con riferimento all’oggetto e alla struttura organizzativa dell’impresa”.
12
49
Ovvero a norma dell’art. 93, TUIR, relativo a opere, forniture e servizi di durata ultrannuale.
50
Come già ricordato in precedenza con riferimento agli aspetti contabili relativi alla valutazione degli immobili c.d. “merce”, i metodi alternativi di valutazione delle rimanenze (LIFO, FIFO e costo medio ponderato) difficilmente possono trovare concreta applicazione.
51
Le diverse finalità perseguite dalle discipline civilistica e fiscale sono evidenti: la prima, come già osservato, è volta a contrastare fenomeni
di sopravvalutazione del patrimonio aziendale, la seconda, al contrario, a evitare fenomeni di erosione della base imponibile.
52
Cfr. art. 25, L. 31/10/2003, n. 306.
53
Sono escluse dall’adozione degli IAS tutte le società diverse da quelle richiamate nell’art. 2, D.Lgs. 38/2005, nonché le società “minori” che
possono redigere il bilancio di esercizio in forma abbreviata. Va, tuttavia, osservato come l’art. 4, co. 6, D.Lgs. 38/2005, preveda che, con riferimento alle predette società, un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero della Giustizia in futuro potrebbe prevedere la facoltà di adozione degli IAS.
54
Cfr. art. 2, co. 1, lett. a), D.Lgs. 38/2005.
55
Cfr. art. 2, co. 1, lett. b), D.Lgs. 38/2005.
56
Cfr. art. 2, co. 1, lett. c), D.Lgs. 38/2005.
57
Cfr. art. 2, co. 1, lett. d), D.Lgs. 38/2005.
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che possono redigere il bilancio d’esercizio in forma abbreviata58.
Peraltro, l’adozione degli IAS era obbligatoria fin dal bilancio consolidato relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2005, redatto dalle società di cui alle precedenti
lett. a), b), c) e d). Per le medesime società, diviene altresì
obbligatoria la redazione del bilancio di esercizio a partire
dall’esercizio chiuso o in corso al 31 dicembre 2006. Inoltre, le stesse possono facoltativamente adottare i Principi
contabili internazionali ai fini della redazione del bilancio
di esercizio chiuso, ovvero in corso, al 31 dicembre 2005,
qualora anche per la redazione del bilancio consolidato
siano stati adottati i Principi contabili internazionali.
Prima di affrontare in modo maggiormente approfondito le problematiche connesse all’adozione dei Principi contabili internazionali e, più specificamente, quelli di
maggior importanza per la contabilizzazione e la valutazione dei beni immobili, pare opportuno formulare quantomeno qualche breve considerazione in ordine alle differenze
e a punti di contatto tra i Principi contabili nazionali sino ad
ora esaminati e gli IAS.
Infatti, come sottolineato anche dallo stesso OIC, fatta
eccezione per gli immobili destinati a investimento immobiliare59, “(…) La definizione di immobilizzazione materiale
contenuta nel Principio contabile nazionale n.16 e quella
di immobili, impianti e macchinari contenuta nello IAS n.16
sono sostanzialmente equivalenti, in quanto entrambe fanno riferimento a beni detenuti dall’impresa, di uso durevole, come strumentali per la produzione del reddito (utilizzo
diretto nella produzione di beni o servizi, per usi nell’amministrazione aziendale o per locazione)”60. Inoltre, in ordine al valore iniziale di iscrizione in bilancio, sia il Principio
contabile nazionale OIC 16 sia lo IAS 16 prevedono l’adozione del costo (di acquisto o di costruzione) comprensivo degli oneri di diretta imputazione. Da ultimo, si evidenzia come, diversamente dai Principi contabili nazionali, lo
IAS 16 non privilegi alcuno dei metodi di ammortamento
enunciati61, lasciando bensì libera scelta all’estensore del
bilancio, purché il metodo selezionato rifletta fedelmente
la “(…) modalità di consumo attesa dei benefici economici
futuri generati dal bene”62.
4.1. Le immobilizzazioni materiali
e gli IAS: lo IAS 16
Nell’ambito dei Principi contabili internazionali, il trattamento applicabile ai fini della rilevazione in bilancio delle
immobilizzazioni materiali è contenuto nello IAS 16.
Le previsioni contenute nel predetto principio non si
rendono applicabili a:
a) immobili, impianti e macchinari classificati come
posseduti per la vendita in conformità all’IFRS 5 (attività non correnti possedute per la vendita e attività operative cessate);
b) attività biologiche connesse all’attività agricola63;
c) diritti minerari quali petrolio, gas naturale e simili
risorse naturali non rigenerabili.
In particolare, con specifico riferimento agli immobili
in costruzione e destinati ad essere utilizzati come investimenti immobiliari64, è previsto che debba comunque essere applicato lo IAS 16 nella loro valutazione: soltanto “(…)
Una volta che la costruzione o lo sviluppo è completato,
l’immobile è qualifìcabile come investimento immobiliare
e l’entità è tenuta ad applicare lo IAS 40. Lo IAS 40 viene, inoltre, applicato agli investimenti immobiliari in fase di
ristrutturazione che continueranno ad essere usati in futuro come investimenti immobiliari. L’entità che utilizza il
modello del costo per gli investimenti immobiliari secondo
quanto previsto dallo IAS 40 deve utilizzare il modello del
costo anche nell’applicazione del presente Principio”65.
4.1.1. L’iscrizione e la valutazione
in bilancio
Il paragrafo 7 del Principio contabile IAS 16 prevede
che il costo di un bene possa essere rilevato nell’attivo di
stato patrimoniale sotto la condizione che:
◗ sia probabile che i futuri benefici economici associati all’elemento affluiranno all’entità; e
◗ il costo dell’elemento possa essere attendibilmente
determinato.
58
Cfr. art. 2, co. 1, lett. e), D.Lgs. 38/2005.
59
Autonomamente disciplinati dal principio contabile internazionale IAS n. 40. Al proposito, si rimanda al successivo § 4.2, dedicato a un breve
approfondimento del predetto Principio contabile internazionale.
60
Cfr. OIC, Guida operativa per la transizione ai Principi contabili internazionali (IAS/IFRS), Bozza finale pubblicata il 30 maggio 2005.
61
Tra i metodi di ammortamento previsti dallo IAS 16 si ricordano quello a quote costanti, quello a quote proporzionali (il quale comporta una quota
di ammortamento decrescente durante la vita utile del cespite) e quello per unità di prodotto (in applicazione del quale la quota di ammortamento è determinata sulla base dell’utilizzo atteso o sulla produzione ottenuta dal bene). A tal proposito, si vedano i § da 60 a 62 dello IAS 16.
62
Come anticipato nella prima parte del presente capitolo, invece, i principi contabili nazionali privilegiano il metodo di ammortamento a quote costanti. Infatti, nel Principio contabile nazionale 16, § D.XI) Ammortamento, punto 4), si precisa che “(…) l’avverbio «sistematicamente»
non richiede necessariamente l’applicazione del metodo a quote costanti, con esclusione di quello a quote decrescenti; tuttavia, il metodo
preferibile per il calcolo dell’ammortamento rimane il primo”.
63
Si veda lo IAS 41 Agricoltura.
64
Ed essere conseguentemente valutati sulla base del principio contabile internazionale IAS 40, di cui si dirà in seguito.
65
Cfr. IAS 16, § 5.
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13
Sotto il profilo della tecnica di rilevazione dei beni che
hanno le caratteristiche per essere iscritti nell’attivo patrimoniale, lo IAS 16 prevede che il redattore del bilancio
provveda ad una preventiva valutazione, volta a definire
l’unità elementare cui riferire la rilevazione. Infatti, la rilevazione delle immobilizzazioni materiali che rientrano nell’ambito della disciplina dello IAS 16 deve essere operata
sulla base dell’applicazione del c.d. component approach,
ovverosia “Ciascuna parte di un elemento di immobili, impianti e macchinari con un costo che è rilevante in rapporto al costo totale dell’elemento deve essere ammortizzata distintamente”66. Più nel dettaglio, il paragrafo 44
dello IAS 16 prevede che si debba ripartire l’importo rilevato inizialmente con riferimento a un elemento
di immobili, impianti e macchinari nelle sue parti significative67 e si deve procedere all’ammortamento di ciascuna
parte distintamente68, eventualmente provvedendo a raggruppare quei componenti che hanno analoga vita utile69.
Anch’esso, poi, al pari di quanto prevede la prassi nazionale, esclude l’applicazione del processo di ammortamento ai beni aventi un’utilità illimitata nel tempo. Per quanto
di nostro interesse, in applicazione dei principi richiamati,
il paragrafo 58 fornisce quindi specifici chiarimenti in relazione al trattamento da adottare con riferimento ai fabbricati e ai terreni su cui i medesimi insistono, precisando che
“i terreni e gli edifici sono beni separabili e sono contabilizzati separatamente, anche quando vengono acquistati
congiuntamente. Con qualche eccezione, come cave e siti
utilizzati per discariche, i terreni hanno una vita utile illimitata e quindi non vengono ammortizzati. Gli edifici hanno
una vita utile limitata e perciò sono attività ammortizzabili.
Un incremento nel valore del terreno sul quale un edificio è
costruito non influisce sulla determinazione del valore ammortizzabile del fabbricato”70.
In occasione della prima rilevazione, gli immobili, gli
impianti e i macchinari devono essere valutati al costo71, il
quale è rappresentato da:
◗ il prezzo di acquisto72, inclusi eventuali dazi all’importazione e tasse di acquisto non recuperabili,
dopo avere dedotti sconti commerciali e abbuoni;
14
◗ eventuali costi direttamente attribuibili per portare il bene nel luogo e nelle condizioni necessarie
al funzionamento nel modo inteso dalla direzione
aziendale;
◗ la stima iniziale dei costi di smantellamento e di
rimozione del bene e bonifica del sito su cui insiste, l’obbligazione che si origina per l’entità quando
l’elemento viene acquistato o come conseguenza
del suo utilizzo durante un particolare periodo per
fini diversi dalla produzione delle scorte di magazzino durante quel periodo.
Va osservato, tuttavia, come gli IAS prevedano una deroga al principio del costo per le sole ipotesi di acquisizione del bene nelle quali non è individuabile un corrispettivo
in denaro, come – per esempio – nel caso di permuta, di
donazione, di acquisizione del bene nell’ambito di una business combination, ove la rilevazione del bene acquisito è
effettuata sulla base del suo fair value.
Inoltre, un’ipotesi ricorrente nel settore immobiliare è
rappresentata dall’acquisizione di un immobile mediante
permuta: in quest’ultimo caso, lo IAS 16, § 24, prevede che
il costo del bene ricevuto debba essere valutato al fair value (valore equo) “(…) a meno che:
a) la permuta abbia sostanza non commerciale; ovvero
b) né il fair value (valore equo) dell’attività ricevuta né
quello dell’attività scambiata sia valutabile attendibilmente.
L’elemento acquistato è valutato in questo modo anche se l’entità non può immediatamente eliminare contabilmente l’attività scambiata”73.
Con riferimento al caso sub a), il successivo paragrafo 25
del medesimo Principio contabile chiarisce che si deve ritenere che una permuta ha natura commerciale se:
a) la configurazione (rischio, tempistica e importi) dei
flussi finanziari dell’attività ricevuta differisce dalla
configurazione dei flussi finanziari dell’attività trasferita; ovvero
66
Cfr. IAS 16, § 43. In questo senso risulta evidente l’analogia con le previsioni contenute nel Principio contabile nazionale OIC 16.
67
Al riguardo, si segnala come lo IAS 16, § 9, consenta di aggregare elementi che individualmente possano essere ritenuti poco significativi,
quali stampi, attrezzi o matrici.
68
L’esempio fornito dallo standard internazionale in commento riguarda la rilevazione di un aeromobile, per il quale parrebbe appropriato procedere con l’autonoma rilevazione e ammortamento (sulla base della vita residua propria di ciascun componente) di fusoliera e motori di un
aeromobile, sia se di proprietà sia se utilizzati con un leasing finanziario. In quest’ultima circostanza, per una completa disamina della fattispecie, si fa rimando alla disciplina prevista dallo IAS 17.
69
Lo IAS 16, § 45, infatti prevede che “(…) Una parte significativa di un elemento di immobili, impianti e macchinari può avere una vita utile e un
criterio di ammortamento che sono uguali alla vita utile e il criterio di ammortamento di un’altra parte importante di quello stesso elemento.
Tali parti possono essere raggruppate nel determinare la quota di ammortamento”.
70
Cfr. IAS 16, § 58.
71
Cfr. IAS 16, § 15.
72
Se dovesse essere pattuita una dilazione di pagamento, la differenza tra il prezzo pattuito in caso di pagamento per contanti e il prezzo definito deve essere trattato come un interesse e ripartito per la durata del finanziamento.
73
Si ritiene che il caso richiamato dal principio contabile internazionale possa essere individuato – per esempio – nella permuta di un bene
presente con un bene futuro.
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b) il valore specifico per l’entità con riferimento alla
parte delle sue attività interessate dallo scambio,
cambia a seguito della permuta; e
c) la differenza in (a) o (b) è significativa in merito al
fair value (valore equo) delle attività scambiate.
Al fine di determinare se una permuta ha sostanza
commerciale, il valore specifico per l’entità con riferimento alla parte delle sue attività interessate dallo scambio
deve riflettere i relativi flussi finanziari al netto degli effetti
fiscali.
Sulla base di quanto precede, parrebbe di poter concludere che non vi siano sostanziali differenze rispetto a
quanto previsto dal Principio contabile nazionale OIC 16,
laddove quest’ultimo consente di iscrivere in bilancio l’immobilizzazione acquisita al medesimo valore contabile di
quella ceduta a condizione che la permuta non rappresenti
in realtà una compravendita, bensì uno strumento per ottenere la disponibilità di un bene simile, dal punto di vista
funzionale, a quello permutato.
Pertanto, parrebbe di poter concludere che lo IAS 16,
così come il Principio contabile nazionale OIC 16, preveda il mantenimento della valutazione sulla base del costo,
qualora la permuta rappresenti una mera sostituzione di un
bene. Al contrario, qualora nella medesima transazione si
possa ravvisare una finalità traslativa, i Principi contabili
internazionali impongano di applicare il fair value nella valutazione del bene ricevuto in permuta.
La valutazione successiva alla rilevazione iniziale
Ai fini della valutazione successiva alla rilevazione iniziale, l’entità deve scegliere se contabilizzare l’immobile
con il modello del costo, ovvero con il modello della rideterminazione del valore. Il paragrafo 29 dello IAS 16 precisa, tuttavia, che l’entità è tenuta ad applicare un unico
principio per ciascuna classe di immobili, impianti e macchinari74.
L’adozione del criterio di rideterminazione del valore
è subordinato alla possibilità per l’entità di determinare
in misura attendibile il fair value della categoria a cui tale
criterio intende essere applicato, e comporta l’iscrizione
del bene al suo valore rideterminato, al netto dell’ammortamento accumulato e di qualsiasi successiva perdita per
riduzione di valore accumulata. Tale valore non deve differire in maniera rilevante da quello che si sarebbe determinato utilizzando il fair value alla data di riferimento del bi-
lancio. A tal proposito, con specifico riferimento ai terreni
e ai fabbricati, il paragrafo 32 dello IAS 16 prevede che il
loro fair value è rappresentato dagli ordinari parametri di
mercato75 e documentato mediante perizia predisposta da
tecnici professionalmente qualificati.
Sulla base dello IAS 36, alla data di riferimento del bilancio ogni società deve verificare che l’immobilizzazione
non abbia subito delle perdite di valore, indipendentemente che questa abbia caratteristiche tali da essere considerata transitoria o durevole. In sostanza, ogni anno – se
esistono sintomi di riduzione di valore (c.d. impairment losses)76 – l’entità deve eseguire il c.d. impairment test, ossia
calcolare il valore recuperabile e confrontarlo con il valore contabile: accertata l’esistenza della perdita di valore,
seppur transitoria o non durevole, si deve procedere alla
contabilizzazione della stessa.
Esulando dalle finalità di questo lavoro una disamina approfondita delle modalità applicative delle tecniche contenute nello IAS 36, ci si limita ad osservare come – con riferimento al settore immobiliare – lo stesso trovi esclusiva applicazione nei confronti degli immobili “strumentali”, in quanto
il paragrafo 2 dello IAS 36, definendo l’ambito di applicazione dello stesso, ne prevede l’esclusione per gli investimenti
immobiliari che sono valutati al fair value (in quanto tale metodologia di valutazione risulta nella sostanza coincidente
con l’adozione di un impairment test annuale) e per gli immobili destinati alla vendita e valutati secondo quanto previsto
dall’IFRS 577.
4.1.2. Le modalità di ammortamento
Come anticipato, ogni parte distintamente rilevata78
sulla base del c.d. component approach deve essere sottoposta ad ammortamento, definito sulla base di un criterio
sistematico e per l’intera durata di vita utile del bene.
Il valore ammortizzabile di un bene è determinato sottraendo dal valore dell’elemento il suo valore residuo79.
I paragrafi 60 e 61 dello IAS 16 prevedono che “(…) il
criterio di ammortamento utilizzato deve riflettere le modalità con le quali si suppone che i benefici economici futuri
del bene siano utilizzati dall’entità. Il criterio di ammortamento applicato a un’attività deve essere rivisto almeno
alla chiusura di ogni esercizio e, se ci sono stati cambiamenti significativi, nelle modalità attese di consumo dei
benefici economici futuri generati da un bene, il criterio
deve essere modificato per riflettere il cambiamento della modalità. Tale cambiamento deve essere contabilizza-
74
Un’eccezione a tale vincolo è prevista nell’ambito dell’IFRS 1, ove è consentito all’entità, in sede di prima applicazione dei principi contabili
internazionali, di valutare singoli immobili, impianti o macchinari sulla base del loro fair value ovvero secondo il valore rideterminato in applicazione dei precedenti principi contabili.
75
Se non sussistono parametri di mercato per il fair value (valore equo) a causa della natura specifica di un elemento di immobili, impianti e
macchinari, e l’elemento è venduto raramente, se non come parte di un’attività, in esercizio, l’entità può avere bisogno di stimare il fair value
(valore equo) utilizzando un approccio basato sui flussi di reddito o sul costo di sostituzione ammortizzato (cfr. IAS 16, § 33).
76
Al contrario, per le attività immateriali, è prevista obbligatoriamente ogni anno l’esecuzione dell’impairment test a prescindere dall’esistenza
o meno di sintomi di riduzione di valore.
77
Cfr. IAS 36, § 2.
78
Fatte salve le eccezioni di cui già si è fatto cenno e di cui al paragrafo 58 dello IAS 16.
79
Qualora il valore residuo possa considerarsi poco significativo, il processo di ammortamento può azzerare il valore del bene (cfr. IAS 16, § 53).
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15
to come un cambiamento nella stima contabile secondo
quanto previsto dallo IAS 8”.
Inoltre, è previsto – in analogia a quanto contenuto nel
Principio contabile nazionale OIC 16 – che si possano adottare vari criteri per ripartire il valore di un bene durante la
sua vita utile. In particolare, è consentito adottare:
a) il metodo a quote costanti, dall’applicazione del
quale consegue un abbattimento del valore del
bene sulla base di una quota costante lungo la vita
utile del bene, purché non vi siano variazioni nell’entità del valore residuo del bene stesso;
b) il metodo a quote proporzionali ai valori residui, che
implica una quota di ammortamento decrescente
durante la vita utile;
c) il metodo per unità di prodotto, il quale si concretizza nella determinazione di una quota di ammortamento basata sull’utilizzo atteso o sulla produzione
ottenuta dal bene.
4.2. La rilevazione e valutazione
degli investimenti immobiliari:
i principi contenuti nello IAS 40
Lo IAS 1 richiede la rappresentazione separata nello
stato patrimoniale, alla voce “investimenti immobiliari”,
dei terreni e dei fabbricati posseduti dall’entità, a titolo di
proprietà ovvero in forza di un contratto di leasing finanziario80, al fine di percepire canoni di locazione ovvero a titolo
di investimento81. In alcuni casi, la classificazione di un immobile quale funzionale all’esercizio dell’attività d’impresa,
e pertanto soggetto ai criteri di valutazione dello IAS 16,
ovvero quale investimento immobiliare, e quindi inquadrabile nell’ambito dello IAS 40, dipende dalla rilevanza che
può essere attribuita ai servizi sussidiari forniti agli occupanti dell’immobile:
◗ qualora tali servizi rappresentino una componente
non rilevante del contratto (per esempio, servizi di
16
manutenzione), l’immobile costituisce un investimento immobiliare;
◗ laddove, invece, i servizi ulteriori forniti rispetto alla
locazione “pura” dell’immobile siano significativi
rispetto al contratto complessivo (come nel caso
di una società proprietaria di un hotel), l’immobile
deve essere rilevato secondo lo IAS 16.
I criteri in precedenza esposti in merito alla prima rilevazione in bilancio dell’immobile e all’individuazione degli
oneri accessori capitalizzabili si rendono applicabili anche
nell’ipotesi di immobili detenuti quali investimenti immobiliari.
Successivamente alla rilevazione iniziale82, l’impresa
può scegliere tra due criteri di valutazione:
◗ la contabilizzazione al fair value83, la quale comporta la rilevazione a conto economico del componente positivo o negativo di reddito derivante dall’applicazione di tale metodologia e non richiede l’adozione di una procedura di ammortamento;
◗ la valutazione al costo, che segue i criteri già esposti con riferimento allo IAS 1684.
I Principi contabili internazionali richiedono che venga
adottato un univoco criterio di contabilizzazione in relazione
all’intera categoria degli investimenti immobiliari85.
Poiché, a norma dello IAS 8, eventuali cambiamenti
volontari di Principi contabili sono giustificati soltanto se
consentono una rappresentazione migliore della situazione economica e patrimoniale della società, difficilmente
potrà essere giustificata la volontà di sostituire la contabilizzazione al fair value, in precedenza adottata, con la valutazione al costo.
4.2.1. Gli immobili destinati alla vendita
Qualora un immobile, ad uso del proprietario e quindi destinato ad essere utilizzato con finalità strumentale
80
Il presente principio trova applicazione altresì ai fini della valutazione degli investimenti immobiliari iscritti nel bilancio di un locatore e concessi a un locatario tramite un leasing operativo (cfr. IAS 40, § 3).
81
Come precisa il paragrafo 15 dello IAS 40, nel caso di immobile locato a una società del gruppo, in occasione della redazione del bilancio
consolidato troverà applicazione lo IAS 16, potendosi il medesimo qualificare, nell’ottica del gruppo, come immobile a uso del “proprietario”;
nell’ambito, invece, del singolo bilancio d’esercizio della società proprietaria, il bene andrà invece qualificato come investimento immobiliare
e, quindi, valutato adottando il principio contabile internazionale IAS 40.
82
La quale deve avvenire adottando il metodo del costo di cui allo IAS 16, salvo i casi individuati nel precedente paragrafo 4.1.1., ovverosia nelle
sole ipotesi di acquisizione del bene nelle quali non sia individuabile un corrispettivo in denaro, come – per esempio – nel caso di permuta,
di donazione o di acquisizione del bene nell’ambito di una business combination, ove la rilevazione del bene acquisito è effettuata sulla base
del suo fair value.
83
Come precisa il paragrafo 36 dello IAS 40, il fair value di un investimento immobiliare è il prezzo al quale la proprietà può essere scambiata in
una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili. Il citato principio incoraggia, ma non obbliga l’impresa a determinare il fair value degli
investimenti immobiliari tramite la stima di un perito esterno. Qualora un’impresa decida di valutare un investimento immobiliare sulla base del
fair value, si dovranno fornire nelle note al bilancio una serie di informazioni ulteriori che sono dettagliate nei paragrafi da 74 a 79 dello IAS 40.
84
Si osservi, tuttavia, come nel caso in cui l’entità adotti il criterio del costo, la medesima dovrà in ogni caso determinare il fair value degli investimenti immobiliari al fine di indicare tale informazione nelle note al bilancio.
85
Come osserva correttamente l’OIC, inoltre, poiché a norma del paragrafo 34 dello IAS 40 nel caso di beni posseduti tramite leasing operativo,
considerati investimenti immobiliari, la contabilizzazione deve essere obbligatoriamente effettuata al fair value (valore equo), per il principio
generale citato, tutti gli investimenti immobiliari saranno valutati al fair value, salvo i casi eccezionali in cui il fair value non risulta determinabile (cfr. IAS 40, § 53-55).
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all’esercizio dell’attività dell’impresa, ovvero qualificato
come investimento immobiliare, venga destinato alla vendita, in relazione al medesimo troveranno applicazione i
criteri previsti dall’IFRS 5. Tale principio dispone l’esposizione separata, nello stato patrimoniale, delle attività che
soddisfano i criteri per essere classificate come possedute per la vendita e, nel conto economico, dei risultati delle
attività operative cessate. Dalla data a partire dalla quale
l’immobile soddisfa i criteri per essere classificato come
attività in dismissione86, cessa l’ammortamento87 e il bene
deve essere valutato al minore tra il suo valore contabile e
il fair value al netto dei costi di vendita.
5. L’ammortamento
dei fabbricati e le novità fiscali:
l’art. 36, co. 7, 7-bis e 8,
D.L. 04/07/2006, n. 223
Le nuove regole dettate negli ultimi mesi in materia immobiliare sono piuttosto numerose. Tra di esse, si ricordano le modifiche intervenute in ordine al comparto delle
imposte indirette (imposta di registro, ipocatastali e IVA),
a quello delle imposte dirette e a quelle che hanno per oggetto la determinazione del reddito di impresa. In particolare, con riferimento a quest’ultimo aspetto, la disposizione
che ha formato maggiormente oggetto delle attenzioni dei
commentatori e delle continue modifiche normative è quella che ha sancito l’indeducibilità degli ammortamenti delle
aree su cui insistono i fabbricati strumentali all’esercizio
dell’attività d’impresa.
Infatti, quest’ultima disposizione, contenuta nell’art. 36,
co. 7 e ss., D.L. 04/07/2006, n. 223, è stata in prima istanza
modificata in sede di conversione in Legge88. In tale occasione, infatti, è stato introdotto, quale criterio di individuazione della quota di costo riferibile all’area (da ritenersi indeducibile fiscalmente) l’obbligo89, gravante in capo al
contribuente, di farne attestare l’entità, mediante apposita
perizia di stima redatta da soggetti iscritti agli albi degli ingegneri, degli architetti, dei geometri e dei periti industriali
edili.
Successivamente, il legislatore è nuovamente intervenuto per modificare e integrare la disciplina in argomento
ad opera del D.L. 03/10/2006, n. 262, al fine di rimediare alla
mancata regolamentazione – da più parti segnalata – dell’ipotesi in cui i fabbricati strumentali siano detenuti in forza
di un contratto di locazione finanziaria. La menzionata modifica normativa non ha fatto altro che confermare l’ipotizzata
estensione al caso in esame del principio di equivalenza in
più occasioni ribadito dall’Amministrazione finanziaria90.
Da ultimo, la L. 24/11/2006, n. 286 è ulteriormente intervenuta – in sede di conversione del D.L. 03/10/2006,
n. 262 – chiarendo gli aspetti più controversi della disciplina in esame e rimuovendo ogni riferimento all’obbligo di
redazione della perizia volta ad attestare il valore dell’area
su cui insiste il fabbricato strumentale, stabilendo che
“Il costo da attribuire alle predette aree, ove non autonomamente acquistate in precedenza, è quantificato in misura pari al maggior valore tra quello esposto in bilancio nell’anno di acquisto e quello corrispondente al 20 per cento
e, per i fabbricati industriali, al 30 per cento del costo complessivo stesso”, tenendo conto del fatto che, per i fabbricati eventualmente acquistati, ovvero acquisiti in forza di
contratti di leasing, si deve fare riferimento ai valori esposti nell’ultimo bilancio approvato prima dell’entrata in vigore della disposizione in commento, ovverosia prima del
4 luglio 2006.
86
A norma del paragrafo 6 dell’IFRS 5, un’attività non corrente deve essere classificata come posseduta per la vendita nel caso in cui il valore
contabile del bene sarà recuperato principalmente con un’operazione di vendita anziché con il suo uso continuativo. Affinché sussistano i
presupposti per la qualificazione secondo i criteri indicati dal principio contabile citato, la vendita deve essere altamente probabile, ovverosia:
- la Direzione, ad un adeguato livello, deve essersi impegnata in un programma per la dismissione dell’attività ;
- devono essere state avviate le attività per individuare un acquirente e completare il programma;
- l’attività deve essere attivamente scambiata sul mercato ed offerta in vendita, a un prezzo ragionevole rispetto al proprio fair value (valore
equo) corrente;
- il completamento della vendita dovrebbe essere previsto entro un anno dalla data della classificazione (tuttavia è consentito superare tale
periodo in caso di ritardo causato da eventi o circostanze fuori del controllo dell’entità e se vi sono sufficienti evidenze che questa resti impegnata ad attuare il suo programma di dismissione dell’attività).
87
Già prima non previsto, qualora l’immobile costituisse un investimento immobiliare contabilizzato al fair value.
88
Cfr. L. 04/08/2006, n. 248.
89
Obbligo, poi, venuto meno per effetto delle modifiche introdotte dal D.L. 03/10/2006, n. 262.
90
Si vedano le Risoluzioni 23/02/2004, n. 19/E e 10/05/2004, n.69/E, nelle quali l’Amministrazione finanziaria aveva postulato il principio in forza del quale i contribuenti che utilizzano beni in leasing e quelli che li acquistano in proprietà devono soggiacere al medesimo trattamento fiscale, in ossequio ai fondamentali principi di equità e non discriminazione. A tal proposito, vale altresì la pena osservare come,
oltre che dalle pronunce dell’Amministrazione finanziaria, il predetto principio di equivalenza sia desumibile anche dalle disposizioni dettate dalle recenti agevolazioni fiscali introdotte dall’art. 4, co. 4, L. 18/10/2001, n. 383 (c.d. “Legge Tremonti”) e dall’art. 8, co. 2, L.
23/12/2000, n. 388 (recante agevolazione per gli investimenti nelle aree svantaggiate), che hanno equiparato, sul piano sostanziale, l’acquisizione in leasing all’acquisto in proprietà, riconoscendo il beneficio fiscale anche per gli acquisti di beni strumentali effettuati mediante locazione finanziaria. Traendo le debite conclusioni, quindi, si poteva ragionevolmente ritenere che, se, secondo la volontà del
Legislatore, l’acquisto di un fabbricato con terreno sottostante comporta la indeducibilità delle quote di ammortamento di quest’ultimo, analogamente dall’utilizzo del medesimo in leasing non può che conseguirne l’indeducibilità della parte di canoni riferita all’area su cui sorge
l’immobile; restano, invece, pienamente deducibili gli oneri finanziari sostenuti per acquisire il terreno, chiaramente nei limiti risultanti dall’applicazione degli artt. 96, 97 e 98, TUIR.
Dispensa MAP On-Line n. 2 - Febbraio 2007
I TEMI MAP (libera consultazione)
17
Pertanto, al fine di schematizzare il susseguirsi delle modifiche normative testé ricordate, si è riepilogata in
forma tabellare l’evoluzione normativa subita dalla disposizione originariamente introdotta dall’art. 36, co. 7 e 8,
D.L. 04/07/2006, n. 223, evidenziando le principali novità di
volta in volta introdotte dal legislatore:
considerazione del tenore letterale della norma, che non
lascia spazio a una lettura diversa da quella che ne comporta un’incondizionata applicazione, l’Amministrazione
finanziaria nella Circolare 19/01/2007, n. 1/E ha precisato
che “(…) Le disposizioni dei commi 7, 7-bis e 8 dell’art. 36
operano nei confronti di tutti i soggetti per i quali detti im-
Provvedimento
normativo
Norma
di riferimento
Entrata
in vigore
Modifiche introdotte
D.L. 223/2006
Art. 36, co. 7 e 8
04/07/2006
L. 248/2006
-
12/08/2006
- Obbligo di redazione della perizia di stima.
D.L. 262/2006
Art. 3, co. 1
03/10/2006
- Estensione della disciplina in commento agli immobili condotti in forza di un contratto di locazione finanziaria.
L. 286/2006
Art. 2, co. 18, maxi-emendamento
29/11/2006
- Eliminazione dell’obbligo di perizia;
- esclusione dalla nuova disciplina delle “aree autonomamente acquistate in precedenza”;
- definizione di fabbricato “industriale”;
- esclusione, ai fini computo della quota indeducibile, dei costi incrementativi capitalizzati e delle rivalutazioni;
- trattamento degli ammortamenti “pregressi”.
5.1. Quantificazione del costo
del terreno: regola generale
Il comma 7 dell’art. 36, D.L. 04/07/2006, n. 223, dispone che, “Ai fini del calcolo delle quote di ammortamento
deducibili, il costo complessivo dei fabbricati strumentali è assunto al netto del costo delle aree occupate dalla
costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza”.
Il costo da attribuire a tali aree è forfetariamente quantificato in misura pari al maggior valore tra quello esposto
in bilancio nell’anno di acquisto e quello corrispondente al 20% o, per i fabbricati industriali, al 30%, del costo
complessivo stesso. Prima di procedere con l’analisi delle implicazioni pratiche che tale norma comporta, preme segnalare come, nonostante il chiarimento ufficiale
offerto dall’Amministrazione finanziaria nella Circolare
19/01/2007, n. 1/E, desti tuttora qualche perplessità il fatto
che tale norma debba essere applicata anche ai fabbricati diversi da quelli “cielo-terra”91. Con riferimento a tali immobili, infatti, come osservato anche da autorevoli commentatori92, sarebbe stato invece razionale attendersi la
disapplicazione della predetta disciplina, sulla base della considerazione per cui l’impresa possiede unicamente
– pro-indiviso – una quota dell’immobile, senza alcun diritto esclusivo sul terreno sottostante. Tuttavia, anche in
18
mobili costituiscono un bene relativo all’impresa e sono
conseguentemente applicabili nei confronti di tutti i titolari di reddito d’impresa a prescindere dai Principi contabili (nazionali o internazionali) di redazione del bilancio
adottati. In particolare, le disposizioni si applicano anche
alle singole unità immobiliari presenti all’interno di un fabbricato ossia anche per gli immobili che non possono essere definiti “cielo – terra”, per i quali i Principi contabili internazionali non richiedono la separata indicazione
in bilancio del valore del terreno. Si definiscono immobili
“cielo – terra” quelli che occupano tutto lo spazio edificabile con un’unica unità immobiliare, come nel caso di un
capannone industriale”.
Pertanto, al momento, le considerazioni formulate dalla
dottrina, tra l’altro in linea con le indicazioni fornite dalla prassi contabile93, nonché con la stessa ratio della norma, non parrebbero aver trovato un auspicato conforto nei
chiarimenti ministeriali di recenti offerti.
5.2. Aree autonomamente acquistate
in precedenza
Il Legislatore ha esplicitamente chiarito che la norma
generalmente applicabile per la determinazione forfeta-
91
Tale dubbio persisteva sin dalla prima formulazione della norma, risalente al 4 luglio 2006.
92
Cfr. M. Piazza, “Terreni, perizia a data incerta”, in Il Sole 24 Ore, venerdì 28 luglio 2006, pag. 20.
93
Come riportato nella Guida operativa per la transizione agli IAS elaborata dall’OIC (Organismo Italiano di Contabilità), “lo scorporo del terreno dal fabbricato deve avvenire nell’ipotesi di fabbricato cielo-terra: nessuno scorporo è necessario se il fabbricato di proprietà consiste
in una quota parte del fabbricato (in genere, un appartamento), in quanto, in tal caso, l’impresa non possiede (anche) un terreno sottostante
(questo, ovviamente, nell’ipotesi in cui la quota parte costituisce una frazione minore del fabbricato)”.
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ria della quota di costo fiscalmente non ammortizzabile,
in quanto attribuibile alle aree su cui insistono i fabbricati
strumentali, ovvero a quelle agli stessi pertinenziali, non si
applica nel caso in cui le stesse siano state “autonomamente acquisite in precedenza”. In tale circostanza, quindi, farà fede il costo d’acquisto del terreno, sia nel caso in
cui esso risulti iscritto in bilancio autonomamente, sia nel
caso in cui sia confluito nel costo complessivo del fabbricato sullo stesso successivamente edificato. In quest’ultima ipotesi, infatti, anziché procedere con lo scorporo di
un valore pari al 20% (ovvero al 30%, in caso di fabbricati
a utilizzo industriale) del costo complessivo, per ottenere il
valore fiscalmente ammortizzabile dell’immobile sarà sufficiente sottrarre dal costo complessivo il costo storico del
terreno.
Al riguardo, nella Circolare 1/E in precedenza citata, è
stato altresì chiarito che l’esclusione dal suddetto criterio
di determinazione forfetaria della quota di costo fiscalmente non ammortizzabile trova applicazione esclusivamente
in caso di acquisto dell’area e successiva edificazione e
non, invece, nell’ipotesi di acquisto di un complesso già
edificato, qualora nell’atto di acquisto fossero distintamente evidenziati i valori attribuibili al terreno e al fabbricato.
A tal proposito, l’Amministrazione finanziaria ha avuto
modo di precisare che “(…) Resta inteso che la disposizione del comma 7 in commento, concernente l’ipotesi in cui
l’area, autonomamente acquisita, sia stata esposta separatamente in bilancio, non trova applicazione nel diverso
caso in cui in sede di acquisto del fabbricato, nell’unico
atto o in atti autonomi, siano indicati corrispettivi distinti
per l’area e per il fabbricato sovrastante. In tal caso, infatti,
il valore dell’area è pari al maggiore tra il valore dell’area
indicato nell’atto e quello che si ottiene applicando i coefficienti del 20 o 30 per cento al costo complessivo dell’immobile, comprensivo del valore dell’area”.
In ordine alla medesima disposizione, allo stato attuale
permangono poi ulteriori incertezze, legate per lo più alla
possibilità di escludere dall’ambito di applicazione della disciplina in commento alcune situazioni, tra le quali quelle
relative al “costo delle aree” che tecnicamente non sono
considerabili “autonomamente acquistate in precedenza”,
ma con riferimento alle quali parrebbe comunque ragionevole ritenere non operante la presunzione di non ammortizzabilità fiscale del costo del terreno prevista dall’art. 36,
D.L. 223/2006, in quanto il fabbricato è stato per esempio
edificato in assenza di una previa compravendita del terreno, sul quale lo stesso insiste. Infatti, nel caso in cui – per
esempio – un fabbricato strumentale fosse stato edificato
in ragione del possesso del mero “diritto di superficie”, non
essendovi alcuna quota del costo complessivo dell’immobile destinata a mantenere inalterato nel tempo il proprio
valore, avendo riguardo alla ratio della norma, la presunzione in esame non dovrebbe operare, dovendosi procedere con l’ammortamento del costo del fabbricato nel minor
periodo tra quello di durata del diritto di superficie e quello
di ammortamento fiscale dei fabbricati, nonché con l’ammortamento del costo del diritto di superficie medesimo,
eventualmente preliminarmente acquisito, lungo il periodo
di durata dello stesso94.
Alle medesime conclusioni parrebbe altresì doversi
pervenire anche con riferimento alla disciplina dell’ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili.
Infatti, pur riconoscendo che la formulazione della norma
è piuttosto generica e parrebbe, quindi, dover essere riferita indistintamente a tutti gli ammortamenti del costo dei
fabbricati strumentali95, la disposizione in commento non
dovrebbe trovare applicazione con riferimento ai beni utilizzati in forza di una concessione che preveda la devoluzione finale all’ente concedente – senza corrispettivo – dei
beni strumentali condotti in concessione. Infatti, in questo
caso, va riconosciuto come, avendo sempre riguardo alla
ratio della norma, a differenza di quanto avviene nel caso
delle ordinarie acquisizioni di beni immobili, per le quali il
terreno, a differenza del fabbricato, non è generalmente
soggetto a deperimento, obsolescenza o perdite di valore di altro genere per effetto del trascorrere del tempo, le
aree su cui insistono i fabbricati per i quali è prevista la
devoluzione gratuita al termine della concessione perdono, invece, completamente valore entro la fine del periodo
di concessione e, quindi, il costo corrispondente non può
che essere finanziariamente ammortizzato lungo la durata del relativo diritto. Per tale motivo, parrebbe ragionevole ritenere non applicabile, al caso di specie, la disciplina introdotta dall’art. 36, co. 7, 7-bis e 8, D.L. 04/07/2006,
n. 223. A tal proposito, sarebbe comunque auspicabile che
tale problematica trovasse un chiarimento ufficiale da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Analogamente, sarebbe opportuno un chiarimento
relativamente a un ulteriore aspetto che non ha trovato
dimora nella Circolare 1/E/2007 e che rimane, quindi, da
chiarire. Ci si riferisce, in particolare, al trattamento da
riservare ai fabbricati pervenuti per fusione, scissione e
conferimento “neutrale” ex art. 176, TUIR, nel caso in cui
il soggetto dante causa avesse preventivamente acquisito
l’area e successivamente provveduto all’edificazione, potendosi tuttavia ipotizzare un trattamento in capo al soggetto avente causa conforme a quello che sarebbe stato
applicabile alla società fusa, incorporata, scissa o conferente.
94
Si segnala, tuttavia, come, in relazione alla problematica menzionata, siano state autorevolmente espresse anche posizioni opposte. In particolare, è stato precisato che “(…) lo scorporo vada effettuato anche nel caso in cui il fabbricato sia stato costruito su di un terreno sul quale
l’impresa vanta un diritto di superficie iscritto tra le immobilizzazioni materiali, il cui costo concorre a formare quello dell’immobile costruito.
Occorre ricordare che l’agenzia delle Entrate ha riconosciuto che il titolare del diritto di superficie può effettuare la rivalutazione dell’immobile (circolare 6/E del 13 febbraio 2006, risposta 6.7)” - Cfr. G. Ferranti, “Fabbricati e terreni, separazione senza periti”, in Il Sole 24 Ore, Le
Guide di Norme e Tributi, martedì 28 novembre 2006, pag. 4.
95
Ovvero, come già chiarito dalla Circolare n.28/E del 4 agosto 2006 e ribadito nella Circolare 19/01/2007, n. 1/E, all’ammortamento degli impianti
e dei macchinari infissi al suolo “(…) nel caso in cui questi realizzino una struttura che nel suo complesso costituisca una unità immobiliare
iscrivibile nel catasto urbano”.
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19
5.3. Definizione di fabbricati
industriali
Nell’ultimo periodo del comma 7 dell’art. 36, D.L. 04/07/2006,
n. 223, il Legislatore ha precisato che, ai fini della definizione di “fabbricato industriale” (discriminante ai fini dell’applicazione della più elevata percentuale di non ammortizzabilità fiscale del 30%), devono intendersi gli immobili
destinati alla produzione o trasformazione di beni, “(…) tenendo conto della loro effettiva destinazione, prescindendo dalla classificazione catastale o contabile attribuita al
medesimo”96.
Tale chiarimento era stato invocato anche dai primi
commentatori, in quanto il generico riferimento ai “fabbricati industriali”97 aveva generato non pochi interrogativi, dato che non era chiaro cosa si volesse significare con
tale espressione. La decisione del Legislatore di intervenire
pare di per sé apprezzabile, anche se sarebbe stato preferibile fornire un riferimento più preciso, magari con riguardo alla categoria catastale, anziché alla destinazione d’uso
che, ovviamente, potrebbe essere diversa per fabbricati del
tutto identici, che insistono su aree aventi il medesimo valore residuo, ovvero potrebbe anche cambiare nel tempo.
L’ulteriore incertezza creata dalla definizione fornita
dal Legislatore ha, poi, riguardato l’inquadramento ai fini
della norma in commento da attribuire ai fabbricati in parte
utilizzati per la produzione o la trasformazione di beni e in
parte per la commercializzazione, lo stoccaggio o il deposito delle merci o dei prodotti. La soluzione fornita dal Legislatore sembrava, infatti, di difficile applicazione in caso
di utilizzo “promiscuo” del fabbricato industriale (ipotesi,
peraltro, tutt’altro che remota).
A tal proposito, la soluzione prospettata dall’Amministrazione finanziaria nella Circolare 1/E/2007 si caratterizza
20
per la relativa semplicità di applicazione. Infatti, in tale occasione è stato chiarito che “Nel caso di immobili all’interno dei quali si svolge sia un’attività di produzione o trasformazione di beni che attività diverse da questa (ad esempio attività commerciale o di stoccaggio) l’intero immobile
potrà considerarsi industriale qualora gli spazi, espressi in
metri quadri, utilizzati per l’attività di produzione o trasformazione siano prevalenti rispetto a quelli destinati ad altra
attività”.
Con riferimento, inoltre, al momento nel quale vada verificata la prevalenza dell’utilizzo attribuito al fabbricati ai
fini della disciplina in commento, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che:
◗ in caso di fabbricati acquistati o costruiti successivamente all’entrata in vigore della norma (4 luglio
2006), si debba fare riferimento al periodo d’imposta
in cui il bene è entrato in funzione;
◗ per i fabbricati già posseduti alla predetta data, rilevi l’utilizzo attribuito al bene nel periodo d’imposta
precedente a quello in corso il 4 luglio 2006;
◗ per i fabbricati concessi in locazione, anche finanziaria, “(…) ai fini della determinazione del valore
ammortizzabile, il proprietario dell’immobile dovrà
tener conto del concreto utilizzo dell’immobile da
parte dell’utilizzatore”98.
5.4. Immobili strumentali
condotti in leasing
In ossequio al principio di equivalenza tra acquisizione in proprietà dei beni e loro conduzione in leasing, più
91
Tale dubbio persisteva sin dalla prima formulazione della norma, risalente al 4 luglio 2006.
92
Cfr. M. Piazza, “Terreni, perizia a data incerta”, in Il Sole 24 Ore, venerdì 28 luglio 2006, pag. 20.
93
Come riportato nella Guida operativa per la transizione agli IAS elaborata dall’OIC (Organismo Italiano di Contabilità), “lo scorporo del terreno dal fabbricato deve avvenire nell’ipotesi di fabbricato cielo-terra: nessuno scorporo è necessario se il fabbricato di proprietà consiste
in una quota parte del fabbricato (in genere, un appartamento), in quanto, in tal caso, l’impresa non possiede (anche) un terreno sottostante
(questo, ovviamente, nell’ipotesi in cui la quota parte costituisce una frazione minore del fabbricato)”.
94
Si segnala, tuttavia, come, in relazione alla problematica menzionata, siano state autorevolmente espresse anche posizioni opposte. In particolare, è stato precisato che “(…) lo scorporo vada effettuato anche nel caso in cui il fabbricato sia stato costruito su di un terreno sul quale
l’impresa vanta un diritto di superficie iscritto tra le immobilizzazioni materiali, il cui costo concorre a formare quello dell’immobile costruito.
Occorre ricordare che l’agenzia delle Entrate ha riconosciuto che il titolare del diritto di superficie può effettuare la rivalutazione dell’immobile (circolare 6/E del 13 febbraio 2006, risposta 6.7)” - Cfr. G. Ferranti, “Fabbricati e terreni, separazione senza periti”, in Il Sole 24 Ore, Le
Guide di Norme e Tributi, martedì 28 novembre 2006, pag. 4.
95
Ovvero, come già chiarito dalla Circolare n.28/E del 4 agosto 2006 e ribadito nella Circolare 19/01/2007, n. 1/E, all’ammortamento degli impianti
e dei macchinari infissi al suolo “(…) nel caso in cui questi realizzino una struttura che nel suo complesso costituisca una unità immobiliare
iscrivibile nel catasto urbano”.
96
Cfr. Circolare 21/11/2006, n. 34/E, § 3.4.
97
L’espressione “fabbricati industriali” era presente sin dall’originaria formulazione del D.L. 04/07/2006, n. 223. Il Legislatore, tuttavia, ne ha
dato una definizione solamente con la L. 24/11/2006, n. 286.
98
La soluzione trovata dall’Amministrazione finanziaria pare rispettosa del generale principio di equivalenza. Infatti, se la verifica dovesse
essere condotta in capo al locatore, il fabbricato non potrebbe mai essere qualificabile come “industriale”, per lo meno non ai sensi della
definizione di legge. Va, tuttavia, rilevata l’importanza del chiarimento, tenuto conto che in passato non sono mancati i casi in cui l’Amministrazione finanziaria ha avuto riguardo alla destinazione riservata all’immobile dall’impresa locatrice, piuttosto che dal conduttore. Si veda,
per esempio, la Risoluzione n. 56/E del 9 aprile 2004, in cui si conclude che il coefficiente d’ammortamento da applicare a un immobile concesso in leasing deve essere individuato avendo riguardo alla categoria di appartenenza della società locatrice, “a prescindere dall’effettivo
utilizzo dello stesso da parte del possessore o dalla sua eventuale locazione a terzi (…), non rilevando che la società utilizzatrice del bene
operi in un diverso settore di attività”.
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volte ribadito dalla stessa Amministrazione finanziaria99, il
Legislatore ha esteso la norma in esame anche ai beni utilizzati in locazione finanziaria. Il comma 7-bis dell’art. 36,
D.L. 04/07/2006, n. 223100, prevede, infatti, che “Le disposizioni del comma 7 si applicano, con riguardo alla quota capitale dei canoni, anche ai fabbricati strumentali in locazione finanziaria (…)”. In tale ipotesi, quindi, si dovrebbe
individuare la quota capitale dei canoni e dedurne – ai fini
fiscali – solamente il 70 o l’80%101, a seconda che, rispettivamente, il contratto abbia per oggetto un immobile a destinazione industriale o meno. Per coerenza logico-sistematica, ovviamente, le quote di canone non ammesse in
deduzione in vigenza del contratto dovrebbero concorrere
ad aumentare il valore fiscalmente riconosciuto del bene
successivamente “riscattato”102, in quota riferibile all’area.
Analogamente, le “riprese fiscali” operate in sede di vigenza del contratto dovrebbero assumere rilevanza anche
qualora si procedesse alla cessione del contratto di leasing. Considerando, infatti, che la sopravvenienza attiva,
realizzata con la cessione del contratto a norma dell’art. 88,
TUIR, corrisponde a un recupero di costi fiscalmente non
dedotti (la quota capitale dei canoni di leasing riferibili all’area su cui insistono i fabbricati), una differente soluzione
darebbe luogo a un intollerabile fenomeno di doppia imposizione (in spregio al generale principio sancito dall’art. 163,
TUIR), che si realizzerebbe, da un lato, con la parziale deducibilità della quota capitale dei canoni di leasing riferibile al costo delle aree e, dall’altro, con l’integrale imponibilità della sopravvenienza attiva corrispondente al valore
normale del bene condotto in leasing, al netto del valore
attuale dei canoni residui e del prezzo di riscatto.
Pare poi interessante notare come un’applicazione letterale della norma condurrebbe alla ripresa fiscale di quote capitale di canoni di leasing crescenti nel tempo103, salvo non ipotizzare una equi-ripartizione temporale, di tipo
convenzionale, della medesima quota capitale, come avviene di fatto ai fini dello scorporo della quota interessi generalmente indeducibile ai fini dell’IRAP. Con riferimento
a tale problematica, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito, infatti, che “Per determinare la parte di canone riferibile agli
interessi passivi occorrerà fare riferimento alle indicazioni
fornite ai fini IRAP dall’articolo 1 del decreto ministeriale
24 aprile 1998 (pubblicato nella G.U. del 12 maggio 1998,
n.108). Pertanto, la quota capitale del canone di competenza dell’esercizio sarà pari all’importo risultante dal rapporto tra il costo sostenuto dalla società concedente, al netto
del prezzo di riscatto, ed il numero dei giorni di durata del
contratto di locazione finanziaria, moltiplicato per il numero dei giorni del periodo di imposta”.
In sostanza, la quota capitale del canone di leasing
sarà determinabile sulla base dell’applicazione della seguente formula:
quota
capitale =
(Costo sostenuto dal concedente prezzo di riscatto)
n. giorni di durata del contratto
x n. giorni del
periodo di imposta
Rimane infine il problema, nella fase transitoria, del
trattamento fiscale del costo di riscatto dei beni in leasing,
qualora in vigenza del contratto, prima delle modifiche apportate al regime fiscale introdotte dal D.L. 223/2006, fosse
stato già dedotto più del 70 (ovvero 80) per cento della relativa quota capitale. In tal caso, avendo riguardo al già citato principio di equivalenza fiscale degli investimenti finanziati in leasing, rispetto agli acquisti veri e propri, parrebbe
doversi concludere per una totale non ammortizzabilità fiscale del costo di riscatto, in quanto idealmente riferibile
al valore del terreno, ancorché sul punto risulti certamente
opportuno un chiarimento dell’Agenzia delle Entrate, che
estenda agli immobili detenuti in forza di un contratto di
leasing quanto precisato nella Circolare 1/E/2007 con riferimento ai fabbricati acquisiti in proprietà.
5.5. Entrata in vigore della norma
e immobili acquisiti in precedenza
L’ottavo comma dell’art. 36, D.L. 04/07/2006, n. 223, dispone che, in deroga allo Statuto dei diritti del contribuente, le norme in esame “si applicano a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto [4 luglio 2006] anche per le quote di ammor-
99
Si vedano le Risoluzioni 23/02/2004, n. 19/E e 10/05/2004, n. 69/E, nelle quali l’Amministrazione finanziaria aveva postulato il principio in forza
del quale i contribuenti che utilizzano beni in leasing e quelli che li acquistano in proprietà devono soggiacere al medesimo trattamento fiscale, in ossequio ai fondamentali principi di equità e di non discriminazione. A tal proposito, vale altresì la pena osservare come, oltre che dalle
pronunce dell’Amministrazione finanziaria, il predetto principio di equivalenza sia desumibile anche dalle disposizioni dettate dalle recenti
agevolazioni fiscali introdotte dall’art. 4, co. 4, L. 18/10/2001, n. 383 (c.d. “Legge Tremonti”) e dall’art. 8, co. 2, L. 23/12/2000, n. 388 (recante
agevolazione per gli investimenti nelle aree svantaggiate), che hanno equiparato, sul piano sostanziale, l’acquisizione in leasing all’acquisto
in proprietà, riconoscendo il beneficio fiscale anche per gli acquisti di beni strumentali effettuati mediante locazione finanziaria.
100
Nella originaria formulazione della norma in esame, l’ipotesi di conduzione in leasing di un immobile non era stata contemplata. A tale “vuoto
normativo”, da più parti segnalato, hanno posto rimedio, nell’ordine, il D.L. 03/10/2006, n. 262 e, successivamente, in sede di conversione, la
L. 24/11/2006, n. 286, che ha aggiunto il comma 7-bis all’art. 36, D.L. 04/07/2006, n. 223.
101
Ovviamente, ai fini IRAP, oltre che la quota capitale dei canoni di leasing attribuibile al terreno, sarà indeducibile, per intero, anche la quota
interessi. Quest’ultima, invece, sarà deducibile ai fini IRES nei limiti risultanti dall’applicazione degli artt. 96, 97 e 98, TUIR.
102
Del medesimo tenore sono anche le conclusioni espresse dall’Amministrazione finanziaria nella Risoluzione 10/05/2004, n. 69/E (relativa a
un leasing azionario): in tale sede, infatti, si ribadiva che la quota capitale non dedotta dei canoni di locazione finanziaria concorreva, unitamente al prezzo di riscatto, a formare il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni acquisite nel momento in cui queste fossero divenute di
proprietà dell’impresa conduttrice.
103
Nel caso in cui il capitale finanziato dalla società di leasing venga restituito sulla base di un piano di ammortamento finanziario a rate costanti
(come accade nella quasi totalità dei casi), infatti, la quota capitale (e quindi, proporzionalmente, la quota indeducibile di essa) aumenterà
progressivamente nel tempo, risultando minima alla prima rata, massima all’ultima.
Dispensa MAP On-Line n. 2 - Febbraio 2007
I TEMI MAP (libera consultazione)
21
tamento e i canoni di leasing relativi ai fabbricati acquistati o acquisiti a partire da periodi d’imposta precedenti”. Il
bilancio “di riferimento” sarà generalmente quello chiuso
al 31 dicembre 2005; il medesimo comma, infatti, precisa
che, “ai fini della individuazione del maggior valore indicato al comma 7, si tiene conto del valore delle aree esposto
nell’ultimo bilancio approvato prima della entrata in vigore della presente disposizione e del valore risultante applicando le percentuali di cui al comma 7 al costo complessivo del fabbricato (…)”.
5.6. Costi incrementativi capitalizzati
e rivalutazioni effettuate
I valori di riferimento per l’esecuzione del calcolo di cui al paragrafo precedente dovranno comunque essere assunti, come precisa l’ottavo comma del
D.L. 04/07/2006, n. 223, “(…) al netto dei costi incrementativi capitalizzati e delle rivalutazioni effettuate”. Con tale
disposizione, il Legislatore ha sostanzialmente recepito le
osservazioni di chi sosteneva che le spese incrementative
sostenute per migliorare l’efficienza, il pregio, la sicurezza
o incrementare la vita utile residua di un fabbricato dovessero riferirsi esclusivamente al fabbricato medesimo, non
potendo in alcun modo concorrere all’attribuzione – anche
convenzionale – di una quota di costo all’area di sedime o
di pertinenza.
A tal proposito, tuttavia, si rende necessario circoscrivere chiaramente le spese a cui applicare il chiarimento in
oggetto. L’Amministrazione finanziaria, nella più volte citata Circolare 1/E dello scorso 19 gennaio 2007 ha precisato che per costi incrementativi devono intendersi quelli
capitalizzabili104 e derivanti da “interventi di manutenzione,
riparazione, ammodernamento, trasformazione e ampliamento che siano state portate ad incremento del costo dei
fabbricati strumentali, sostenute successivamente all’acquisto o alla costruzione” o da oneri di urbanizzazione e da
ogni altro onere accessorio capitalizzabile105. Al riguardo, è
stato altresì precisato che “(…) i predetti costi incrementativi non debbono essere decurtati dal costo complessivo
nel caso in cui oggetto dell’acquisizione sia un “edificio significativo” ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile,
il quale per essere utilizzato come bene strumentale necessita del sostenimento dei predetti costi incrementativi.
In tali casi, è di tutta evidenza che il costo sostenuto per
l’acquisizione è riferibile prevalentemente al terreno; pertanto, il valore complessivo del fabbricato in relazione al
quale applicare le disposizioni in esame deve essere comprensivo dei costi incrementativi sostenuti per renderlo
22
pienamente funzionale, ovvero di quelli sostenuti fino all’entrata in funzione del bene nel ciclo produttivo”.
Con riferimento a tale precisazione, va riconosciuto
come già alcuni commentatori106 avessero segnalato come,
a fronte del fatto che pochi dubbi sussistano sull’intrinseca natura di spesa incrementativa dei costi sostenuti per
le manutenzioni straordinarie o per la ristrutturazione di
fabbricati strumentali, diverso parrebbe essere, invece, il
caso in cui nel tempo si fossero “stratificati” oneri quali, per
esempio, quelli sostenuti per un vero e proprio ampliamento
del fabbricato, oneri che parrebbero dover essere invece
ragionevolmente imputati al fabbricato, ai fini della determinazione del costo al quale applicare le percentuali di cui
all’art. 36, co. 7 e ss., D.L. 04/07/2006, n. 223, subendo conseguentemente la parziale non ammortizzabilità fiscale degli
ammortamenti.
Quanto alle rivalutazioni, l’intervento legislativo mira invece a sancire un principio per cui, per convenzione, l’intero maggior valore attribuito agli immobili, per effetto delle
diverse leggi di rivalutazione succedutesi nel tempo, sarebbe riferibile al solo fabbricato e, pertanto, fiscalmente
ammortizzabile. In via interpretativa, inoltre, l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto di estendere la previsione normativa in commento anche alle rivalutazione effettuate in
occasione di operazioni straordinarie quali le fusioni, il cui
perfezionamento abbia dato luogo all’emersione di un disavanzo allocato su un fabbricato: “(…) Anche in tali casi,
quindi, il valore complessivo del fabbricato dovrà essere
decurtato della quota riferibile a tale disavanzo e sul valore
residuo saranno calcolate le percentuali forfetarie”.
5.7. Retroattività della norma
L’ultimo periodo del comma 8 dell’art. 36, D.L. 04/07/2006,
n. 223, dispone, infine, che “Per ciascun fabbricato il residuo valore ammortizzabile è pari alla quota di costo riferibile allo stesso al netto delle quote di ammortamento dedotte nei periodi d’imposta precedenti calcolate sul costo
complessivo”. Tale disposizione risolve in via legislativa
uno dei tanti dubbi che erano sorti all’indomani dell’approvazione della norma nella sua versione originaria e che
avevano alimentato il dibattito tra i primi commentatori. In
tale prima fase, infatti107, ci si chiedeva se le quote di ammortamento già dedotte nei periodi d’imposta precedenti
dovessero ritenersi interamente imputate al fabbricato o,
al contrario, dovessero ripartirsi tra fabbricato e terreno,
proporzionalmente alla percentuale di scorporo adottata.
Tra le diverse soluzioni possibili, quella indicata dal Legislatore produce effetti sostanzialmente “retroattivi”, finen-
104
Al proposito, si veda il precedente § 2, dedicato al commento della disciplina civilistica delle immobilizzazioni materiale e, in particolare,
a quella prevista dal Principio contabile nazionale OIC 16.
105
Cfr. Circolare 19/01/2007, n. 1/E, § 7.5.
106
Cfr. P. Meneghetti e G.P. Tosoni, “Vecchi terreni, decide il rogito”, in Il Sole 24 Ore, sabato 25 novembre 2006, pag. 26. Gli Autori, in particolare, si riferiscono al caso di un fabbricato, originariamente edificato su un piano, ma che permette una maggiore “cubatura”. “Successivamente viene costruito un secondo piano: non sembra possibile considerare questo intervento una spesa incrementativa capitalizzata, quanto
piuttosto un ampliamento, che, come tale, verosimilmente sarebbe da mantenere nel valore complessivo del fabbricato”.
107
L’ultimo periodo dell’ottavo comma dell’art. 36, D.L. 04/07/2006, n. 223, è stato inserito in occasione della conversione in Legge del
D.L. 03/10/2006, n. 262.
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do per considerare un ammortamento legittimamente108
stanziato, in origine, sull’intero costo dell’immobile, come
addebitato al costo del solo fabbricato, così che la quota residua del costo complessivo potrebbe risultare di fatto integralmente attribuibile all’area, non legittimando più,
quindi, alcun residuo ammortamento. Di contro, va anche
osservato che dovrebbe essere scongiurato il rischio, inizialmente paventato da taluni, di un recupero a tassazione
delle quote di ammortamento precedentemente dedotte in
misura eccedente rispetto a quella complessiva massima
fissata dalla norma in esame. Nella Circolare 21/11/2006,
n. 34/E, infatti, al paragrafo 3.4, con riferimento alla questione poc’anzi ricordata, si legge che, “Con riferimento
agli ammortamenti dedotti in precedenti periodi d’imposta, gli stessi dovranno essere imputati prioritariamente
al valore del fabbricato”. L’utilizzo dell’avverbio “prioritariamente” lascia intendere che le quote di ammortamento
già dedotte dovranno essere attribuite, in primo luogo, al
fabbricato e, per la quota eccedente, al terreno, ancorché
lo stesso non sarebbe stato ammortizzabile, evitando però
in tal modo il rilascio fiscalmente rilevante di un fondo in
precedenza dedotto.
Del medesimo avviso anche Assonime che, nella Circolare 28/11/2006, n. 53, commentando i chiarimenti dell’Agenzia, rileva come “(…) non si è inteso in alcun modo
recuperare a tassazione gli ammortamenti pregressi che,
in ipotesi, risultino stanziati in misura eccedente la quota
di costo attribuibile al fabbricato in base alle nuove disposizioni: motivazioni logico-sistematiche escludono una tale
finalità di recuperare a tassazione ex post ammortamenti
legittimamente stanziati in base alla disciplina fiscale dell’epoca”.
5.8. Caso del disinquinamento
del bilancio per gli ammortamenti
“eccedenti”
Come risulta evidente dalla lettura del dato testuale, la
nuova disposizione attribuisce rilevanza ai valori esposti
in bilancio unicamente qualora gli stessi conducano a una
percentuale di indeducibilità superiore rispetto a quelle
forfetariamente individuate dal Legislatore, ovverosia qualora l’impresa abbia allocato sul terreno più del 20% ovvero del 30% (in caso di fabbricato industriale) del costo
complessivo.
In caso contrario, l’applicazione della disciplina in esame richiederà comunque la gestione di un “doppio binario” civilistico-fiscale, che si tradurrà nei seguenti adempimenti:
◗ effettuazione, in sede di dichiarazione dei redditi, di
una variazione in aumento del reddito imponibile, al
fine di rendere indeducibile la quota parte di ammortamento civilisticamente riferibile al valore del
fabbricato, tuttavia eccedente il 70% ovvero l’80%
del costo fiscale complessivamente attribuibile al
terreno e al fabbricato;
◗ rilevazione in bilancio della connessa fiscalità differita attiva109, in presenza dei presupposti richiesti
dal Principio contabile nazionale OIC 25 ovvero dallo
IAS 12.
La situazione relativa all’esistenza di un doppio-binario
potrebbe essere definita come una distorsione “a regime”,
in quanto potrà manifestarsi anche laddove l’impresa provveda a rilevare distintamente in bilancio il fabbricato dall’area su cui il medesimo insiste e dalle aree pertinenziale,
a meno che la separata contabilizzazione dell’area rispetto
al fabbricato non permetta di attribuire all’area un valore
esattamente pari alla quota di ammortamento resa indeducibile ai sensi della disposizione in commento110.
Inoltre, il comma 8 dell’art. 36, D.L. 04/07/2006, n. 223,
prevede che “(…) Per ciascun fabbricato il residuo valore
ammortizzabile è pari alla quota di costo riferibile allo stesso al netto delle quote di ammortamento dedotte nei periodi d’imposta precedenti calcolate sul costo complessivo”.
Come ricordato nelle pagine precedenti, al proposito
Assonime nella circolare 28/11/2006, n. 53, ha osservato
che “(…) con tale previsione non si è inteso in alcun modo
recuperare a tassazione gli ammortamenti pregressi che,
in ipotesi, risultino stanziati in misura eccedente la quota
di costo attribuibile al fabbricato in base alle nuove disposizioni: motivazioni logico-sistematiche escludono una tale
finalità di recuperare a tassazione ex post ammortamenti
legittimamente stanziati in base alla disciplina fiscale dell’epoca”. La predetta norma si limita a regolare le modalità di imputazione degli ammortamenti dedotti in precedenti
periodi di imposta e rispettivamente stanziati sul costo dei
fabbricati e su quello dei terreni, ora divenuto indeducibile.
A tal proposito, prima la Circolare 21/11/2006, n. 34/E, e
successivamente la Circolare 19/01/2007, n. 1/E, hanno confermato che “(…) il costo fiscalmente riconosciuto del fabbricato ancora da ammortizzare sarà decurtato degli ammortamenti dedotti fino al periodo d’imposta precedente a
quello in corso alla data del 4 luglio 2006. Il valore residuo
sarà deducibile fino ad esaurimento, a partire dal periodo
d’imposta in corso alla predetta data. È evidente che quando il fondo di ammortamento è pari o superiore al valore del
fabbricato, il residuo costo fiscalmente ammortizzabile del
fabbricato è pari a zero (cfr. circolare del 21 novembre 2006
n. 34/E). La parte del fondo di ammortamento già dedotto e
che eventualmente eccede il valore fiscale del fabbricato,
inciderà, diminuendolo, sul costo fiscale dell’area – deter-
108
Quantomeno sul piano fiscale.
109
È appena il caso di osservare, infatti, come la disciplina in commento non introduca una nuova fattispecie indeducibile, bensì si limiti a differire la deducibilità del costo riferibile al terreno all’atto del suo realizzo.
110
A tal proposito, in dottrina è stato evidenziato come, in via generale, i valori determinati su base forfetaria (20% o 30%) spossano considerare
ragionevolmente accettabili e sostitutivi del valore civilistico di stima (cfr. I. Facchinetti, “Terreni e fabbricati di proprietà: la nuova normativa”, in Contabilità finanza e controllo, n. 2/2007, Il Sole 24 Ore).
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minato sempre secondo i criteri dettati dalle disposizioni in
esame – rilevante per la determinazione di una eventuale
plusvalenza o minusvalenza da cessione”.
Con riferimento alla questione in esame e nell’ipotesi
in cui si siano imputati a conto economico ammortamenti
eccedenti il valore dell’immobile, in dottrina è stato esaminato il trattamento più idoneo da seguire sotto il profilo
strettamente contabile. In particolare, tenuto conto del fatto che il terreno non deve essere sottoposto ad autonomo
processo di ammortamento111, è stato individuata, quale
metodologia per trattare l’importo dell’ammortamento riferibile al terreno, quella di rilevare:
a) lo “stralcio” del fondo ammortamento imputabile al
terreno;
b) l’iscrizione, in contropartita, di una sopravvenienza
attiva, da ritenersi fiscalmente irrilevante, con conseguente monitoraggio del differenziale creatosi
tra valori civili e valori fiscali nel quadro EC del modello unificato di dichiarazione dei redditi112;
c) la rilevazione delle imposte differite conseguenti all’imputazione a conto economico di una sopravvenienza attiva che non assume rilevanza fiscale e il
loro accantonamento nell’apposito fondo del passivo di stato patrimoniale “B.2) Fondo per imposte
anche differite”.
Nella sostanza, ipotizzando l’esistenza di un fabbricato
industriale, con annesso terreno pertinenziale, contabilizzati in un’unica voce – per esempio – ad un valore di 100
e che il fabbricato e il relativo terreno, anche in considerazione delle indicazioni fornite nella Circolare 19/01/2007,
n. 1/E, siano stati ammortizzati nel modo seguente:
◗ interamente il fabbricato;
◗ per 10 il terreno;
la contabilizzazione del predetta situazione e del relativo “disinquinamento” sarebbe la seguente:
B.II.1) Terreni e fabbricati
F.do ammortamento terreni e fabbricati
100
80
Al termine dell’esercizio, si dovrebbero rappresentare gli
accadimenti di cui ai punti sub a) e b) nel modo seguente:
B.II.1) Terreni e fabbricati
F.do ammortamento terreni e fabbricati
B.II.1) Terreni
B.II.1) Fabbricati
F.do ammortamento terreni
F.do ammortamento fabbricati
24
100
80
30
70
10
70
F.do ammortamento terreni
E.20) Sopravvenienza attiva
10
10
Una volta ultimata questa fase, si dovrebbero stanziare
le imposte differite passive sul maggior ammortamento effettuato fiscalmente (10) rispetto a quanto imputato a conto economico e monitorare quanto precede nel quadro EC
della dichiarazione dei redditi:
22.b) Imposte differite
B.2) Fondo per imposte differite
3,725113
3,725
Se sotto il profilo strettamente contabile l’approccio ricordato appare del tutto impeccabile114, sotto l’aspetto delle implicazioni di natura fiscale si rende necessario – a parere di chi scrive – richiamare i chiarimenti offerti dall’Amministrazione finanziaria nella Circolare 13/02/2006, n. 6/E.
Con riferimento, infatti, alla disciplina del disinquinamento fiscale del bilancio d’esercizio, Assonime – nella
Circolare 23/12/2005, n. 69, aveva esaminato il caso in cui
“(…) in presenza di inquinamento pregresso, segnalato o
meno in nota integrativa – il disinquinamento non sia stato, in tutto o in parte, operato nel primo bilancio in cui le
imprese erano tenute all’osservanza delle nuove regole, a
causa di incertezze o per mero errore. In situazioni del genere, non si ravvisano ragioni per impedire di rimediare a
tale carenza nei bilanci successivi ed anzi, un intervento in
tal senso, ancorché tardivo, risponderebbe, sotto il profilo
civilistico, ad una ineludibile necessità per l’impresa; ma
anche ai fini fiscali sarebbe del tutto illogico precludere
l’applicazione del regime di neutralità alle riprese di valore conseguenti ad un disinquinamento tardivo posto che,
come detto, la disciplina fiscale in materia si limita a mantenere lo status quo e, cioè, le rettifiche e gli accantonamenti già in precedenza riconosciuti. D’altra parte, chi non
ha disinquinato tempestivamente non ha, comunque, in alcun modo messo a rischio gli interessi del fisco, neanche
per quella parte della disciplina dell’articolo 109, comma 4,
che richiede il vincolo di utili o di riserve a copertura delle
deduzioni extracontabili, posto che tali deduzioni, essendo
state operate e mantenute in bilancio, hanno prodotto una
corrispondente contrazione del patrimonio netto contabile;
in altri termini può dirsi che la copertura è, in tal caso, implicitamente assicurata da plusvalori latenti alimentati proprio dalle interferenze fiscali pregresse”.
Interrogata sul punto, tuttavia, l’Amministrazione finanziaria nella citata Circolare 6/E/2006, § 10.1, prescindendo
da qualsiasi ingerenza sulla liceità sotto il profilo civilistico del comportamento suggerito da Assonime e limitandosi ad esaminare la questione soltanto fiscalmente, aveva
precisato che “(…) dal punto di vista fiscale possa riconoscersi l’applicazione del regime di neutralità, previsto dal-
111
Al riguardo, si rimanda a quanto in precedenza precisato in relativamente alla disciplina prevista dal Principio contabile nazionale OIC 16
e dal Principio contabile internazionale IAS 16.
112
Cfr. I. Facchinetti, “Terreni e fabbricati di proprietà: la nuova normativa”, in Contabilità finanza e controllo, n. 2/2007, Il Sole 24 Ore.
113
La fiscalità latente sull’operazione in esame è stata calcolata tenendo conto del carico fiscale realtivo sia all’IRES (33%) sia all’IRAP (4,25%).
114
Per una trattazione maggiormente esaustiva si rimanda a I. Facchinetti, “Terreni e fabbricati di proprietà: la nuova normativa”, in Contabilità
finanza e controllo, n. 2/2007, Il Sole 24 Ore.
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l’articolo 4, comma 1, lettera h), del D.Lgs. n. 344 del 2003,
alla eliminazione delle interferenze fiscali anche in un bilancio successivo al primo in cui ha trovato applicazione la
nuova disciplina, a condizione, ovviamente, che le interferenze fiscali emergano dalle risultanze della nota integrativa”115.
Pertanto, la sopravvenienza attiva imputata a conto
economico a stralcio della parte di fondo ammortamento
riferibile al terreno parrebbe doversi ritenere irrilevante fiscalmente soltanto sotto la condizione che in nota integrativa si sia “legittimato” il pregresso inquinamento fiscale
del bilancio, richiamando l’abrogata disposizione contenuta nell’art. 2426, co. 2, c.c.116, il quale prevedeva la possibilità di effettuare rettifiche di valore e accantonamenti esclusivamente in applicazione di norme tributarie. A tal proposito, ci si limita ad osservare che il ricorso alle disposizio-
ni sul disinquinamento fiscale del bilancio in precedenza
ricordate appare quantomeno di difficile percorribilità per
lo meno con riferimento agli ammortamenti effettuati nei
bilanci d’esercizio approvati successivamente all’entrata
in vigore della riforma del diritto societario.
Da ultimo, si evidenzia come, qualora l’imputazione a
conto economico della predetta sopravvenienza attiva sia
da ritenersi fiscalmente rilevante, non si renderebbe più
necessario l’accantonamento al fondo per imposte differite delle relative imposte differite.
Stante comunque l’importanza che potrebbe ricoprire
per gli operatori economici l’aspetto poc’anzi citato, sarebbe auspicabile un chiarimento ufficiale da parte dell’Amministrazione finanziaria, offerto in tempo utile per la
redazione in modo consapevole e informato del bilancio
d’esercizio.
115
Si ricorda, infatti, che, ai fini di una maggiore chiarezza e trasparenza del bilancio, l’art. 2427, al n.14), del Codice civile richiedeva che gli
amministratori indicassero, in nota integrativa, “(…) i motivi delle rettifiche di valore e degli accantonamenti eseguiti esclusivamente in applicazione di norme tributarie ed i relativi importi, appositamente evidenziati rispetto all’ammontare complessivo delle rettifiche e degli accantonamenti risultanti dalle apposite voci del conto economico”.
116
Il sistema a cui ci si riferisce è venuto meno per effetto della nuova disciplina introdotta con la riforma del diritto societario. L’art. 6, Legge
delega 03/10/2001, n. 366, aveva indicato, quali obiettivi da realizzare mediante la revisione della disciplina sul bilancio, l’eliminazione delle
interferenze prodotte dalla normativa fiscale sul reddito d’impresa e l’individuazione di “modalità con le quali, nel rispetto del principio di
competenza, occorre tenere conto degli effetti della fiscalità differita”. Il D.Lgs. 17/01/2003, n. 6, ha attuato i principi direttivi della delega,
abrogando il secondo comma dell’art. 2426 citato e novellando il n. 14) del successivo art. 2427.
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