Tesi Chiara Boschetto - Università di Trento

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Tesi Chiara Boschetto - Università di Trento
Corso di Laurea in Beni Culturali - Indirizzo archeologico
PALAZZO FULCIS (BL): STUDIO ARCHEOMETRICO DI PERLE
MONOCROME PROVENIENTI DALLA TOMBA 1
Docente responsabile
Laureanda
Prof.ssa Elisa Possenti
Chiara Boschetto
Esperto esterno
Prof. Roberto Dal Maschio
Anno Accademico 2013-2014
1
INDICE
INTRODUZIONE
p. 5
1. I LONGOBARDI
p. 8
2. PALAZZO FULCIS
p. 12
2.1.
La Valbelluna
p. 12
2.2.
La necropoli di Palazzo Fulcis
p. 13
2.2.1. Sepolture femminili
p. 16
2.2.2. La tomba 1
p. 17
3. LE PERLE
p. 18
3.1.
La scelta dei campioni
p. 18
3.2.
Le tecniche di produzione delle perle
p. 33
3.3.
Lo stato di conservazione
p. 36
3.4.
Classificazione e confronti tipologici
p. 38
4. TERMINOLOGIA
p. 46
4.1.
Il vetro la pasta vitrea
p. 46
4.2.
Il vetro
p. 47
4.2.1. Composizione ed ingredienti base
p. 47
4.2.2. Opacizzanti e pigmenti
p. 49
4.2.3. La colorazione dei vetri
p. 51
4.2.4. Tecnologia vetraria
p. 51
4.3.
La pasta vitrea
4.3.1. Materie prime
5. METODOLOGIE SPERIMENTALI
p. 54
p. 55
p. 57
-
Microscopia ottica (MO)
p. 57
-
Microscopia elettronica a scansione (SEM)
p. 59
-
Spettroscopia X a dispersione di energia (EDXS)
p. 60
2
6.
DATI SPERIMENTALI- RISULTATI E DICUSSIONE
p. 83
6.1.
Le analisi
p. 83
6.2.
Le perle bianche
p.84
6.3.
Le perle blu
p.89
6.4.
Le perle verdi
p.94
6.5.
Le perle rosse
p.96
6.6.
K10 C, la perla gialla
p.98
7. CONCLUSIONI
p. 100
APPENDICE
p. 105
BIBLIOGRAFIA
p. 107
3
Uno studioso al microscopio vede molto più di noi.
Ma c’è un momento, un punto, in cui anch’egli deve fermarsi.
Ebbene, è a quel momento che per me comincia la poesia.
René Magritte
4
Introduzione
Le perle prese in considerazione nella suddetta tesi provengono dalla necropoli
longobarda del sito di Palazzo Fulcis (BL).
L’argomento della tesi mi è stato proposto dalla Prof.ssa Elisa Possenti, docente di
Archeologia Medievale e Cristiana presso l’Università degli Studi di Trento, e
direttamente coinvolta nello studio del sito, il cui scavo è stato diretto dalla Prof.ssa
Giovanna Gangemi della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto.
Prima dell’arrivo delle perle è stato effettuato uno studio preparativo sui testi di
Verità1 e consultata la tesi di Daniela Anesi2.
Ci si è a questo punto subito resi conto delle numerose difficoltà che presenta lo
studio delle perle di contesti romano-longobardi, innanzitutto per la disarmonicità
delle indagini effettuate in questo campo negli anni passati. Ogni studio è stato infatti
effettuato con criteri e metodi analitici differenti. Solo recentemente si è tentato di
presentare studi e confronti con una certa organicità; ma i confronti sono comunque
di difficile interpretazione.
Il vetro è da considerare innanzitutto nel suo significato di documento e di espressione
della società che lo ha prodotto ed usato, questo almeno se non ci si vuole limitare
alla pura catalogazione ma si voglia, anzi, tentare di ricostruire il ciclo produttivo e
commerciale degli ornamenti vitrei del periodo preso in considerazione.
Un ulteriore problema nel conseguimento di questo obiettivo è dato dal fatto che i
ritrovamenti di siti produttivi in Italia sono scarsi, e sono ancora più rare le
testimonianze di individualità artigianali.
Tra i pochi centri di produzione individuati i più “prossimi” a Belluno si trovano a:
-
Brescia, S.Giulia
-
Classe, Ravenna
-
Invillino, Udine
-
Trento, Teatro Sociale3
1
VERITA’ 2012.
ANESI 2008/2009.
3
Per approfondimenti vedi: per Trento CAVADA, ENDRIZZI 1998, per Brescia, Ravenna e Udine STIAFFINI 1999.
2
5
Un altro dei problemi che ci si ritrova a fronteggiare, forse quello per noi più rilevante,
è dato dal fatto che molte perle vitree presentano forme, colori e decorazioni molto
simili, nonostante provengano da siti molto distanti tra loro.
Questi “tipi” persistono per lunghi periodi; non è raro che tipologie nate prima del
periodo romano siano rimaste in uso anche dopo la caduta dell’impero. Per avere
un’indicazione cronologica certa l’indicazione fornita dalle perle viene solitamente
confrontata e “compensata” con altri reperti rinvenuti nello scavo in connessione alle
stesse.
Anche nelle perle qui analizzate si sono riscontrati dei casi di “riuso”, da parte della
gens longobarda, di forme e colori tipicamente di tradizione romana.
Riprendendo il discorso fatto precedentemente, i dati in nostro possesso oggi non
coprono l’intero territorio nazionale e non hanno nemmeno la stessa valenza
scientifica.
Si tenterà qui di proporre un “strategia analitica” per lo studio di perle provenienti da
necropoli longobarde della zona della Valbelluna; in questo modo si potranno
effettuare confronti tra risultati ottenuti utilizzando metodologie e criteri simili, così da
costruire un quadro più ampio della diffusione e circolazione delle perle nel suddetto
territorio.
L'obiettivo principale di questa tesi è stato quello di condurre un'analisi scientifica
archeometrica per studiare un gruppo di perle vitree provenienti dalla tomba 1 della
necropoli longobarda di Palazzo Fulcis. Ci si è riproposti di verificare la composizione
delle perle, per approfondire tecniche e processi di produzione delle stesse. L'idea per
questa tesi è nata anche dalla necessità pratica di analizzare reperti portati alla luce a
Belluno tra il 2008 e il 2009, e destinati poi ad una pubblicazione esaustiva dello
scavo.
Si
è
pensato
quindi
di
condurre
uno
studio
ad
ampio
raggio
di
tipo archeometrico: un’analisi dei campioni effettuata con diverse metodologie in mani
era tale da inquadrare il problema e dare le informazioni necessarie per uno studio
successivo più mirato e rispondere più accuratamente alle domande che sorgeranno.
Le analisi, di tipo non invasivo, e sono state effettuate con:
-
Microscopio Ottico (OM).
-
Microscopio Elettronico a Scansione (Scanning Electron Microscope - SEM).
6
-
Spettroscopia
X
a
dispersione
di
energia
(Energy
Dispersive
X-Ray
Spectroscopy - EDXS) collegata al SEM.
7
1.
I Longobardi
Fig. 1.1. Centri di produzione e di diffusione delle perle in vetro, Europa: Costantinopoli e l’Età delle
Migrazioni, 330-1400 a.C., da DUBIN 2009.
8
Nel 569 si riversò sulla penisola italiana la popolazione dei Longobardi, un gruppo di
tribù germaniche rimasto fuori dei confini dell’Impero nell’epoca delle invasioni, e alla
quale gran parte della nostra storiografia ha sempre attribuito accezioni negative
come guerra, distruzione e miseria.
E’ chiaro che in parte fu così, dato che l’invasione Longobarda segnò per l’Italia un
punto di rottura, ma questo popolo non si comportò solo come si narra nelle fonti, cioè
in modo barbaro.
La loro ferocia era famosa, ma questo non dimostra che durante l’invasione Italica
abbiano mantenuto un comportamento così brutale.
Alboino, re dei longobardi, alla testa di un grosso esercito, entrò in Italia dalle Alpi nel
569, transitando attraverso l’odierno Friuli.
Quando i longobardi arrivarono in Italia, entrarono subito in contatto con la realtà
culturale di un territorio divenuto crocevia strategico tra occidente e oriente, un tempo
cuore dell’impero romano e ora sede della cristianità.
I romani si opposero ben poco all’invasione longobarda, e Paolo Diacono (storico e
scrittore longobardo) ci informa che questo sarebbe avvenuto a causa anche di una
pestilenza che avrebbe fatto strage tra la popolazione romana.
Il racconto di Paolo Diacono4 ci fornisce molte informazioni sulla storia e sull’origine
del popolo longobardo. E’ lui infatti a riferire il fatto che il sistema socio-economico
ereditato dall’impero romano rimaneva in gran parte operante, ma nel VI secolo al
vertice si poneva la ristretta aristocrazia guerriera longobarda, che ripartì le terre e i
raccolti tra le proprie schiere.5
Si hanno le prove, però, di una lenta fusione tra i nuovi arrivati e i nativi, che portò a
coniugare usi e costumi romano-cristiani con quelli longobardi; questo anche perché
l’elitè longobarda voleva legittimare il proprio crescente potere.
E’ in questo periodo di “transizione” che si vanno a collocare le perle della necropoli
longobarda bellunese di Palazzo Fulcis.
4
5
CAPO 1992.
F. COSCHINO, 2010/2011, p.5.
9
Fig 1.2. Esempio di collana di età tardoromana-altomedievale, da IVANISEVIC et alii 2006.
Fig 1.3. Esempi di collana dell’epoca delle migrazioni, da DUBIN 2009.
10
Con la nascita della civiltà “romano-germanica” anche gli oggetti d’ornamento
subirono una certa evoluzione, perle in argilla, vetro, ambra e pietre vennero create
dalle popolazioni nomadi e da quelle locali.
Ognuno dei popoli nomadi aveva un proprio gusto nella produzione e nello stile dei
gioielli, ma in tutti questi popoli l’ornamentario aveva sempre la funzione di indicatore
sociale.
Una delle caratteristiche dei gioielli di questo periodo (delle “migrazioni”) è proprio
questa tendenza ad assorbire e trasformare gli stili e le tecniche delle altre culture,
arrivando anche al riuso e al riciclo; per questo nelle sepolture longobarde italiane di
questo periodo si possono ritrovare perle che si possono definire anch’esse “di
transizione” in quanto riflettono molto bene il periodo storico nel qual hanno circolato
e sono state create. Queste perle hanno colori, forme e composizioni dell’una e
dell’altra cultura (romana e longobarda) e creano spesso dei particolari “incroci” tra i
diversi stili.6
6
Per ulteriori approfondimenti vedi DUBIN 2009.
11
2.
PALAZZO FULCIS
Fig. 2.1. Carta di localizzazione dei ritrovamenti di età altomedievale nell’alta e media valle del
Piave, da GANGEMI et alii 2014.
2.1. La Valbelluna
La Valbelluna è un “corridoio naturale”, compreso, nella porzione orientale, tra Belluno
e Ponte delle Alpi; queste sono collegate attraverso la conca dell’Alpago con le aree
friulane e quelle trevigiane; nel comparto feltrino la Valsugana assicura il raccordo
trasversale con il Trentino e la Valle del Cismon rende possibili i contatti con le prealpi
vicentine.
12
La Valle del Piave ebbe un ruolo determinante, in quanto veicolo di una circolazione
costante di merci, modelli e fermenti culturali; permise fenomeni di osmosi,
stanziamenti ed interazioni tra pianura e zone alpine, tra regioni transalpine e paesi
mediterranei.
Le genti della cultura longobarda si stanziarono nella Valbelluna per precise finalità
strategiche. Qui crearono infatti postazioni in grado di consentire la possibilità di
controllo delle vie di comunicazione lungo il medio corso del Piave.
Sono infatti state ritrovate molte testimonianze longobarde tra Belluno ed il feltrino 7.
2.2. La necropoli di Palazzo Fulcis
Lo scavo archeologico di Palazzo Fulcis è stato condotto tra il 2008 ed il 2009 da
P.E.T.R.A. soc. coop. di Padova sotto la direzione scientifica di G. Gangemi della
Soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto. Gli scavi sono stati finanziati dalla
Fondazione CARIVERONA.
Nell’androne del palazzo è stata individuata un’area funeraria, che testimonia
l’importanza della città anche durante l’epoca longobarda. Nella porzione che si è
potuto indagare si sono individuate 8 sepolture ed anche altre 2 grandi fosse, una
quasi completamente distrutta da lavori moderni, mentre l’altra non è stata indagata a
causa della sua posizione, al di sotto dell‘edificio; la disposizione delle sepolture fa
intuire la possibile presenza di un ulteriore tomba sotto il settore dell’androne che non
è stato possibile scavare.
Quasi sicuramente queste sepolture fanno parte di una più vasta area di necropoli e
rappresentano un primo ed importante elemento di conoscenza diretta del centro di
Belluno in età altomedievale.
Per Palazzo Fulcis non è stato ancora avviato uno studio vero e proprio dei materiali;
le indagini archeologiche preventive sono state favorite da lavori di ristrutturazione
dell’antico edificio di proprietà della Fondazione CARIVERONA.
La fondazione ha anche provveduto al restauro dei reperti (ditta Kriterion di Bologna),
alla documentazione grafica (V.Cocco) e alla loro inventariazione e schedatura
7
GANGEMI et alii 2014, cit. p. 277.
13
(E.Possenti). Sono stati effettuati anche uno studio antropologico (E.Fiorin) e delle
analisi archeobiologiche (M.Rottoli).
Tutte le sepolture sono orientate in senso est-ovest, con il capo a ovest, disposte su
due file parallele e longitudinali; l’allineamento più occidentale della necropoli è dato
dalle Tombe (Tb.) 5, 6, 7, 8 mentre l’allineamento orientale è dato dalle Tb.1, 2 e 3,
la Tb.4 forse apparteneva ad un altro allineamento.
I lavori per la costruzione di Palazzo Fulcis (XVIII secolo) avevano causato la
distruzione delle superfici relative alla fase di necropoli.
L’attuale impianto è il risultato di interventi edilizi che si sono succeduti a partire dal
XVI secolo tra i quali il più importante è quello del 1776, quando il palazzo prese
l’attuale aspetto a seguito dell’unione di tre corpi di fabbrica relativi a stabili di
proprietà della Famiglia Fulcis.
Interventi più recenti (XX sec.) distruggono quasi completamente la Tb.3 e
danneggiano gravemente Tb.3 ed 8, intaccando anche Tb.1, 5, 6 e 7.
Il ristretto ambito di scavo, fiancheggiato sui due lati da muri portanti, ha ostacolato e
limitato l’indagine. E’ stato infatti possibile esplorare interamente solo due sepolture:
le tombe sufficientemente conservate ed indagate appartengono ad individui adulti sia
maschi che femmine.
Una caratteristica che
tutte
le sepolture
hanno in
comune
è un’importante
strutturazione della fossa che accoglieva le spoglie del defunto (generalmente in una
bara lignea) tanto da costituire a volte una vera e propria camera sepolcrale o
addirittura casa funeraria.
Le caratteristiche del terreno e delle essenze impiegate hanno consentito la
conservazione in tracce delle componenti lignee, trasformatesi per carbonificazione in
polvere nerastra.
Nella maggior parte dei casi l’involucro esterno della tomba era realizzato in materiale
durevole ed i defunti erano sepolti completamente abbigliati.
14
Le sepolture maschili sono caratterizzate, come di consueto in ambito longobardo, da
armi in ferro riconducibili a guerrieri di rango alquanto elevato; interessante è anche
l’attestazione di monete di età tardo antica.8
Fig 2.2. Belluno, Palazzo Fulcis. Planimetria della necropoli, da GANGEMI et alii 2014, p.279.
8
GANGEMI et alii 2014, cit p. 288.
15
2.2.1.
LE SEPOLTURE FEMMINILI
Le sepolture femminili ritrovate sono in tutto 3 quella della tomba 4 è stata
purtroppo violata in antico, mentre le tombe 1 e 6 sono sopravvissute quasi
intatte.
Il nostro studio si è incentrato sulla Tb.1, tomba che si distingue per la
sontuosità e varietà del corredo.
Il corredo comprende infatti oggetti di vestiario, di ornamento ed attrezzi legati
alla sfera quotidiana, oggetti questi che palesano lo “status” della defunta e
adombrano complesse relazioni socio-economiche e culturali; di tradizione
tardo-antica sono alcuni oggetti in bronzo.
Tutto l’ornamentario evoca la sfera d’azione della defunta, una personalità
evidentemente importante, come è evidenziato anche dall’anello digitale d’oro
di tradizione romana.
E’ anche attestata la presenza di tipi diversi di vaghi in pasta vitrea, alcuni
ritrovati ancora uniti da filo di ferro, e di un calice in vetro verde chiaro, la cui
singolare fattura rimanda all’inserimento delle elitès locali in un circuito di
traffici di prodotti di pregio.
Quello che conferisce molta visibilità alla sepoltura è anche la presenza di una
crocetta aurea.9
Fig 2.3. Belluno, Palazzo Fulcis. Anello in oro con gemma in corniola incisa e vaghi in pasta vitrea dalla
tomba 1, GANGEMI et alii 2014, p.283.
9
GANGEMI et alii 2014, cit p. 282.
16
2.2.2.
LA TOMBA 1
Fig 2.4. Belluno, Palazzo Fulcis. Planimetria della tomba 1, da GANGEMI et alii 2014.
Questa sepoltura ha caratteristiche di grande importanza, la struttura tombale, senza
fondo, è realizzata con grandi lastre di arenaria collocate in verticale ai lati della fossa,
a protezione della cassa lignea che conteneva le spoglie.
La sepoltura appartiene ad una donna adulta, sepolta con un ricco abbigliamento,
impreziosito da oltre 70 elementi tra decorazioni dell’abito e della persona.
In origine era presente una copertura, ora mancante, che sigillava il contenitore litico.
Più a nord non è stato possibile esplorare un’ampia fossa che si estendeva sotto
l’edificio, che apparteneva probabilmente ad una ulteriore sepoltura di questa fila.
17
3.
LE PERLE
3.1. La scelta dei campioni
Il caso della tomba 1 è particolarmente interessante perché si tratta della tomba con il
corredo più ricco dell’intera necropoli, ed è composta da vaghi che macroscopicamente
si presentano molto diversi tra loro per colore, decorazioni e forma.
Data la quantità dei vaghi presenti (provenienti da una collana e da un bracciale) si è
presa la decisione di selezionarne per le analisi solo alcuni, i più significativi per forma
e colore.10
Sono stati quindi selezionati 40 vaghi di diversa tipologia; tra questi si possono
individuare due principali gruppi:
-
Perle monocrome: 22 vaghi monocromi in discreto stato di conservazione,
alcuni di essi conservano ancora dei pezzi di ferro al loro interno. Sette di questi
vaghi sono vitrei, i restanti sono in “pasta vitrea”. La dimensione è varia ed
arriva fino ai 2 cm.
-
Perle policrome: 18 vaghi policromi decorati in vario modo e secondo diverse
tecniche, uno dei reperti è costituito da due vaghi uniti tra loro. Lo stato di
conservazione è discreto, tranne nel caso di alcuni vaghi scheggiati o rotti. La
dimensione è varia ed arriva fino ai 2 cm.
Stando alla documentazione di restauro tutte le perle prese in esame sono state
sottoposte allo stesso trattamento, e cioè quello di pulitura sotto microscopio a secco
tramite bisturi e con tamponcini imbevuti in soluzione 3° (alcool, acetone, acqua
demin.). Il consolidamento finale è stato effettuato a pennello con Paraloid B72 diluito
in acetone al 3%11.
I seguito sono riportate le fotografie di ogni perla, comprese quelle policrome, con una
sommaria descrizione del vago.
10
La selezione è stata effettuata dalla Prof.ssa Elisa Possenti, docente di Archeologia Medievale e Cristiana presso
l’università degli studi di Trento, e catalogatrice di tutti i reperti rinvenuti nello scavo di Palazzo Fulcis.
11
Il Paraloid è un elemento da tenere sempre in considerazione quando si effettuano analisi di questo tipo, poiché
potrebbe “falsare” i risultati, facendo impennare la percentuale di carbonio presente.
18
Nella fotografia è presente anche un riferimento metrico ed il cartellino identificativo di
ogni vago.
R28 B
Vago monocromo, i colori
presenti sono: rosso, verde
scuro, bianco.
Si può notare su uno dei
due lati del foro una corona
circolare più scura.
PASTA VITREA
R28 B
Vago monocromo di colore
rosso,
presenza
di
concrezioni.
PASTA VITREA
R28 C
Vago omogeneo di colore
bianco.
Il vago al suo interno
presenta
ancora
una
porzione di ferro.
PASTA VITREA
19
R28 D
Vago policromo, i colori
presenti sono: blu (matrice)
e bianco (decorazione).
PASTA VITREA
R49 D
Vago policromo di colore
azzurro e bianco, composto
da quelli che sembrano due
vaghi distinti, in realtà sono
perfettamente uniti.
PASTA VITREA
R8 A
Vago policromo, i colori
presenti
sono:
rosso
(matrice)
e
bianco
(decorazione).
PASTA VITREA
20
R8 C
Vago monocromo
uniforme.
bianco
PASTA VITREA
R8 E4
Vago monocromo verde.
Fa parte del gruppo “E”,
composto da un insieme di
5 perline.
VETRO
K10 C
Vago monocromo giallo.
Non sono presenti smalti o
colori
superficiali
come
potrebbe sembrare dalle
immagini.
PASTA VITREA
21
K10 D
Vago monocromo verde.
La perla
corrosa.
appare
molto
PASTA VITREA
K10 F
Vago monocromo
“lucido”.
Appare
avvolto.
come
bianco
un
filo
PASTA VITREA
K10 I
Vago policromo, i colori
presenti sono: verde e
bianco.
Sono presenti zone corrose
sulla parte verde.
PASTA VITREA
22
K10 Q
Vago
monocromo
bipiramidale.
blu
Un lato appare scheggiato.
VETRO
K3 A
Vago monocromo rosso.
PASTA VITREA
K3 B
Vago
monocromo
“lucido”.
blu
VETRO
23
R42
Vago monocromo blu.
VETRO
R36 B
Vago monocromo di colore
bianco.
In superficie taluni
appaiono iridescenti.
grani
PASTA VITREA
R18
Vago policromo, i colori
presenti sono: blu, bianco e
nero.
PASTA VITREA
24
R41
Vago monocromo arancione.
Sono
presenti
corrosioni.
delle
PASTA VITREA
R78
Vago policromo, i colori
presenti sono: bianco, blu e
giallo.
PASTA VITREA
R50
Vago policromo, i colori
presenti sono: rosso, blu,
bianco, verde.
La decorazione è molto fitta
quindi distinguere tutti i
colori non è facile.
PASTA VITREA
25
R75
Vago policrono, i colori
presenti
sono:
giallo,
bianco, verde e rosso.
Da un lato del foro si può
scorgere la rimanenza del
filo di ferro.
PASTA VITREA
R60
Vago policromo, i colori
presenti sono: giallo, bianco
e rosso (matrice).
Da un lato del foto si può
scorgere la rimanenza del
filo di ferro.
PASTA VITREA
R24 B
Vago policromo, i colori
presenti sono: nero, rosso,
bianco e verde.
La decorazione è molto fitta
quindi distinguere tutti i
colori non è facile.
PASTA VITREA
26
R55 A
Vago monocromo bianco.
Presenti
scanalature
laterali, perla molto corrosa.
PASTA VITREA
R55 G
Vago monocromo blu.
Su un lato
piccoli fori.
presenti
dei
PASTA VITREA
R55 I
Vago monocromo di colore
verde.
Quelli che sembrano dettagli
in oro in realtà sono
concrezioni.
VETRO
27
R55 L
Vago monocromo blu.
Presenti corrosioni.
VETRO
R55 N
Vago monocromo blu.
Presenta una faccia patinata
con buchi.
VETRO
R55 P
Vago
monocromo
mattone.
rosso
Il vago è poroso, è presente
un’incisione.
PASTA VITREA
28
R6 A
Vago policromo, i colori
presenti sono: verde e
giallo.
PASTA VITREA
R6 B
Vago monocromo blu.
Uno dei due lati
corroso dell’altro.
è
più
PASTA VITREA
R6 C
Vago policromo, i colori
presenti sono: verde e
giallo.
PASTA VITREA
29
R6 D
Vago policromo, i colori
presenti sono: verde, bianco
e nero.
La decorazione appare “in
rilievo”.
Su un lato sono presenti un
forellino ed una “macchia”
verde.
PASTA VITREA
R6 E
Vago monocromo, i colori
presenti sono: blu e bianco.
La
zona
bianca
è
caratterizzata da una certa
corrosione.
PASTA VITREA
R6 F
Vago policromo, i colori
presenti sono: rosso, bianco
e verde.
Uno dei due fori è chiuso,
decorazione molto fitta.
PASTA VITREA
30
R6 G
Vago policromo, i colori
presenti sono: verde e
bianco.
La matrice bianca è molto
corrosa
PASTA VITREA
R6 H
Vago monocromo di colore
bianco “corroso”.
Consolidamento del vago
con Mowital molto diluito in
alcool, trattamento inibitore
della corrosione con acido
tannico sulla porzione di
ferro al suo interno e
consolidamento a pennello
con Paraloid B44 al 3% in
acetone.
PASTA VITREA
R6 I
Vago policromo, i colori
presenti sono: bianco e
verde.
PASTA VITREA
31
R6 M
Vago monocromo
iridescente.
bianco
Particolare colorazione del
vago, in cui sono presenti
anche sfumature rosacee.
PASTA VITREA
Tab. 1: Perle con relative caratteristiche.
32
3.2. Le tecniche di produzione delle perle
Le perle della tomba 1 si presentano sia in forma monocroma sia in forma policroma,
per ottenerle sono state adottate diverse tecniche di cui abbiamo notizia tramite fonti
scritte ed iconografiche12.
I passaggi operati al fine di produrre questi vaghi, tuttavia, si possono ipotizzare solo
sulla base di pratiche note grazie ad esperimenti effettuati su vetri moderni.

L’ipotesi, per alcuni vaghi trovati nella tomba 1 della necropoli di Palazzo Fulcis,
è che siano stati prodotti con la tecnica del filo avvolto.
Fig. 3.1. Moderna lavorazione di
perle in filo avvolto.
Questa ipotesi è basata sull’osservazione di alcune tracce di lavorazione: le più
evidenti sono costituite da striature presenti lungo la superficie della perla e
dalla presenza di un leggero rilievo ai lati di alcune di esse; le striature spesso
aiutano ad identificare la tecnica di fabbricazione. Le tracce lasciate dalle
striature circondano l'asse delle perle, e sono ancora visibili su alcune di esse
(fig. 3.2.).
12
Per approfondimenti vedi STIAFFINI 1999.
33
Fig. 3.2. Vago K10 F.
Queste striature non sono così evidenti su tutte le perle a causa della
devetrificazione e del deterioramento della superficie.
Un’altra caratteristica comune è la presenza di un leggero rilievo ai lati di
qualche perla, corrispondente al punto nel quale è stato reciso il filo di vetro.
I piccoli picchi delle perline sono sottili e arrotondati, per questo si notano
raramente.
Sulla base di queste caratteristiche, sembra che alcune delle perle analizzate
fossero quindi in filo avvolto.
Anche la perforazione, su alcune perle, ha lasciato tracce: su queste si può
infatti notare un foro con bordo angolare e l’altro, all’estremità opposta, con
bordo arrotondato, come si può vedere nella Fig. 3.3.
Fig. 3.3. Vago K10 C.
Il foro con il bordo angolare tende anche ad essere leggermente più grande,
creando così una perforazione conica della perla. Questo può essere dovuto ad
34
un avvolgimento avvenuto su un utensile conico, simile alle aste metalliche
coniche utilizzate nella moderna produzione di perle di vetro in Turchia. 13
Lungo il foro con il bordo arrotondato, poi, non è raro riscontrare una leggera
trazione del vetro, come mostrato nella figura 3.2.
Fig. 3.4.

Per la maggior parte delle perle da noi studiate, tuttavia, sembra più probabile
una produzione tramite la tecnica del vetro tirato.
Con questo sistema si realizzavano, mediante tiratura, delle canne con un foro
centrale, dalle quali in poco tempo si ricavavano tantissime perle quasi
identiche.
Una sfera cava di vetro fuso veniva attaccata a due piastre di metallo munite di
barre. A questo punto due uomini, ognuno con in mano una delle barre,
correvano rapidamente in direzione opposta, andando così a creare un tubo di
vetro molto lungo. La bolla d’aria originale restava come foro lungo l’intero
tubo.
13
INGRAM 2005, cit. pp.118-120
35
Fig. 3.5. Moderna lavorazione delle
perle con tecnica del vetro tirato.
Il tubo veniva poi tagliato in cannucce, le cannucce ridotte in perline e le perline
finite con tecniche di riscaldamento. Per rifinire i grani si procedeva ad un
riscaldamento ulteriore mediante trattamento di rifinitura in massa (barilatura a
tamburo) o individuale (pinzatura o compressione), e con tecniche lapidarie
(molatura).
C’è comunque sempre da tenere in considerazione che questa tecnica di
fabbricazione è ancora oggi oggetto di discussione. 14
3.3. Lo stato di conservazione
Per quanto riguarda lo stato di conservazione, si utilizzano i termini “buono”,
“discreto”, “cattivo” in base allo stato attuale di corrosione della pasta vitreavetro, ovvero il fenomeno di disgregazione della sua superficie.
La corrosione comporta la lesione e successivamente il distaccamento degli
strati superficiali dell’oggetto sotto forma di scaglie.
Questo processo può in alcuni casi far perdere alla perla alcuni millimetri dello
spessore originale.
Il termine “buono”, quindi, è utilizzato quando questo stato di disgregazione
non ha intaccato l’oggetto, “discreto” quando questo processo è evidente solo in
14
ANESI 2007-2008, cit. pp. 66-67
36
alcuni punti dell’oggetto mentre “cattivo” quando questo stato ha interessato
tutto l’oggetto.
Si segnala anche quando il pezzo in esame è stato interessato da un fenomeno
di alterazione del colore originario, molto frequente in particolari manufatti in
pasta vitrea. Esso si manifesta con depositi di colore differente rispetto a quello
originario che coprono in parte o del tutto l’oggetto. 15
Perla
R28 B2
R28 C
R8 C
R8 E4
K10 C
K10 D
K10 F
K10 Q
K3 A
K3 B
R42
R36 B
R41
R55 A
R55 G
R55I
R55 L
R55 N
R55 P
R6 B
R6 H
R6 M
Materiale
Pasta vitrea
Non identificato
Pasta vitrea
Vetro
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Vetro
Pasta vitrea
Vetro
Vetro
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Vetro
Vetro
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Non identificato
Pasta vitrea
Stato di conservazione
Discreto
Cattivo
Discreto
Discreto
Discreto
Cattivo
Buono
Discreto
Discreto
Discreto
Discreto
Buono
Discreto
Cattivo
Discreto
Cattivo
Discreto
Discreto
Discreto
Discreto
Cattivo
Discreto
Alterazione colore
SI
SI, concrezioni
NO
SI
SI
SI
NO
SI
SI
SI
SI
NO
SI
NO
NO
SI
SI
SI
NO
SI
SI, concrezioni
SI
Tab. 2: stato di conservazione delle perle.
15
GASPERINI et alii 2008.
37
3.4. Classificazione e confronti tipologici
E’ stato possibile distinguere 7 tipi di vaghi usando una classificazione “creata” sulla
base del tipo di materiale impiegato (“vetro” e “pasta vitrea”) e distinguendone anche
forma e colore.

TIPO 1
Perle monocrome di forma globulare o cilindrica con bordi arrotondati, “a fuso”.
Le perle sono state tagliate con un utensile da un tubo di vetro tirato a caldo,
questo ha causato una deformazione del vetro, il bordo della perla era
arrotondato in seguito alla rottura.
R55 A: perla in pasta vitrea
bianca globulare
Confronti: Viminacium (tt. 118, 1582, 2083), Singidunum (tt. 19a, 70, 85)16.
Considerazioni:
nell’epoca
delle
grandi
migrazioni
queste
perle
solo
largamente diffuse in Europa centrale ed occidentale.
Datazione: seconda metà VI secolo- VII secolo.
16
Per approfondimenti vedi IVANIŠEVIĆ et alii 2006.
38

TIPO 2
Perle monocrome bianche forse in pasta vitrea (materiale non identificato)
globulari o cilindriche. Perle avvolte attorno ad un tubo metallico e tagliate con
delle pinze dette “a vuoto” o “a depressione”.
R28 C: perla in pasta vitrea bianca
R6 H: perla in pasta vitrea
bianca
Confronti: Viminacium (tt. 8, 38, 63, 100, 134), Singidunum II (t. 15),
Singidunum III (tt. 2, 8, 28, 42, 82) 17.
Considerazioni:
queste
perle,
realizzate
con
pinze,
hanno
una
vasta
distribuzione sia nel tempo che nella spazio.
Datazione: periodo tardoantico fino al IX-X secolo.

TIPO 3
Perle monocrome di forma cilindrica o globulare rosse, fabbricate sfruttando
un’asta rotante.
R55 P: perla in pasta vitrea rossa, cilindrica
17
Per approfondimenti vedi IVANIŠEVIĆ et alii 2006.
39
R28 B: perla in pasta vitrea rossa, globulare
K3 A: perla in pasta vitrea rossa, globulare
Confronti: Viminacium (t. 133), Campochiaro loc. Vicenne (tt. 43, 114)18.
Considerazioni: presenti anche Oltralpe, soprattutto a cavallo del 600.
Datazione: ampia, tra la fine del VI e il VII secolo.

TIPO 4
Perla in vetro traslucido blu, biconica, di taglia media.
K10 Q: perla biconica blu.
Confronti: Meizza, Romans d’Isonzo (t.3), Voltago (I collana)19, Singidunum III
(tt. 19a, 28), Vron (t. 269a), Olbia, Cherson, Pantikapaion, Neckar 20.
Considerazioni: il tipo si diffuse largamente nel mondo romano/mediterraneo
all’epoca del basso Impero ed è presente anche in ambito alamanno tra la fine
del VI e il VII secolo.
18
Per approfondimenti vedi GIOSTRA 2012a.
Per approfondimenti vedi GIOSTRA 2012a.
20
Per approfondimenti vedi IVANIŠEVIĆ et alii 2006.
19
40
Datazione: tipo attestato già nel II secolo a Tibiscum - metà VII secolo
almeno.

TIPO 5
Anellino in pasta vitrea monocroma blu, rossa, verde, gialla e bianca;
dimensioni piccole e medie.
E’ possibile ritrovare anche collane interamente composte di perle di questo
tipo.
Le perle sono prodotte per avvolgimento di vetro caldo attorno ad un attrezzo.
R8 C: anellino in pasta vitrea bianco
R8 E4: anellino in vetro verde
K10 F: anellino in pasta vitrea bianca
K3 B: anellino in vetro blu
41
R41: anellino in pasta vitrea arancio
R55 G: anellino in pasta vitrea blu
R6 B: anellino in pasta vitrea blu
Confronti: Trezzo sull’Adda, Romans d’Isonzo, Voltago (I e II collana), Nocera
Umbra (tt. 148, 17, 95, 69), Castel Trosino (t. 115, t.E, t.R., t.S, t.A., t.O.,
t.7)21, Smolin (t.32), Saint-Martin-de-Fontenay (tt. 237, 341, 342, 362, 487),
Cutry (tt. 681, 980, 1005), Aldingen (tt. 1, 11, 18)22.
Considerazioni: anellini monocromi sono già documentati in Pannonia; ampia
diffusione anche Oltralpe.
Datazione: V secolo- VII secolo.
21
22
Per approfondimenti vedi GIOSTRA 2012a.
Per approfondimenti ed ulteriori confronti vedi IVANIŠEVIĆ et alii 2006.
42

TIPO 6
Perle in vetro traslucido blu e verdi, tubolari allungate di piccola taglia.
R42: elemento tubolare in vetro blu
R55 I: elemento tubolare in vetro verde
R55 L: elemento tubolare in vetro blu
Confronti: Nocera Umbra (tt. 69, 100), Castel Trosino (t. 115)23, Viminacium
(t. 63), Sigidunum III (tt. 8, 99), Vrchoslavice-2 (t. 5), Saint-Martin-deFontenay (tt. 46, 47, 217, 228, 239, 342, 385, 507) 24.
Considerazioni: nella necropoli alamanna di Weingarten è documentato fino
agli inizi del VII secolo.
Datazione: in Italia presenti sicuramente nei decenni a cavallo del 600, in
Europa attestate per un lungo periodo, dal I al VII secolo.
23
24
Per approfondimenti vedi GIOSTRA 2012a.
Per approfondimenti ed ulteriori confronti vedi IVANIŠEVIĆ et alii 2006.
43

TIPO 7
Perle monocrome di forma poliedrica, sfaccettate, ottenute per pressione di un
asta di vetro monocroma su una superficie piatta, perle pressate poi nello
stesso modo su più lati.
R55 N: perla in vetro semitraslucido blu, poliedrica.
Confronti: Viminacium (tt. 134, 1582), Sigidunum III (tt. 28, 70, 79, 84, 84),
Callatis (tt. 331, 335, 339, 350, 356, 360), Wielbark, Schletz (t. 1)25.
Considerazioni: perle comuni e conosciute in tutti i territori dell’Impero
Romano.
Datazione: tipiche dell’età tardo romana con persistenze ancora nel VI-VII
secolo.
A grandi linee, tra i vaghi compaiono alcuni tipi già attestati in Pannonia o di
tradizione tardoantica, e che permangono fino alla fine del VI- inizio del VII secolo.
Gli anellini (Tipo 5) ed i cilindretti (Tipo 3) trovano ampia diffusione sia nel VI secolo
sia nel VII; a partire dal 600 circa si affermano i rari vaghi monocromi biconici (Tipo
4).
I tipi sopra citati, in pasta vitrea opaca, in diversa misura trovano tutti riscontro
nell’Italia longobarda e sono in genere frequenti anche Oltralpe; perle in materiale
traslucido sono invece più rare e di più incerto inquadramento cronologico, eccetto per
gli elementi tubolari, ampiamente diffusi a partire dagli anni intorno al 600.
25
Per approfondimenti ed ulteriori confronti vedi IVANIŠEVIĆ et alii 2006.
44
Più sporadici sono i confronti per gli altri tipi, inquadrabili nel pieno VIII secolo.
Le differenze rilevate sono probabilmente dovute ad uno scarto cronologico, oppure a
diversi
circuiti
commerciali
o
componenti
socio-economiche,
o
forse
era
semplicemente cambiato il gusto.
L’ampio raggio dei confronti richiamati conferma la vasta circolazione dei prodotti o
quantomeno dei prototipi26.
26
Per approfondimenti vedi GIOSTRA 2012a.
45
4.
TERMINOLOGIA
4.1. Il vetro e la pasta vitrea
La tomba 1 della necropoli ha restituito numerose perle monocrome e policrome di
piccole e medie dimensioni, variamente sagomate.
Le problematiche individuate nella premessa evidenziano come sia complessa la scelta
di un termine specifico per la definizione del materiale con cui le perle sono state
realizzate, che sarà dunque data in base alle osservazioni fatte sui reperti stessi.
Molte perle presentano caratteristiche fisiche ascrivibili al vetro, tuttavia usare tale
denominazione per la materia che le compone è sembrato piuttosto riduttivo e di
facile fraintendimento.
Sarà invece adottato, in alcuni casi, il termine “pasta vitrea” che, sebbene utilizzato
per oggetti di produzione moderna, è più specifico per indicare questi materiali la cui
natura è compatta, opaca e lucida contemporaneamente a imitazione delle pietre
dure.
Le perle in pasta vitrea erano assai diffuse ed è probabile che vi fossero una
manodopera e dei laboratori specializzati per la loro produzione. Tuttavia le
informazioni relative a questi ipotetici centri sono esigue e fondate su pochi indizi.
A causa dell’uso di una terminologia talvolta confusa e non universalmente
riconosciuta, i termini “vetro”, “pasta vitrea” e “smalto” sono spesso indistinti; una
possibile schematizzazione è proposta da Marco Verità27:

Vetro omogeneo: vetro di colore omogeneo intenso nero, blu, viola, marrone e
verde;

Pasta vitrea: polvere di vetro portata a fusione a bassa temperatura, il risultato
è un materiale di aspetto ceramico, usato come imitazione delle pietre dure.

Vetro
opaco:
perle
nelle
quali
l’abbondanza
di
fasi
cristalline
rende
completamente opaco il vetro.
27
VERITÀ 2000.
46
4.2. Il vetro
4.2.1.
COMPOSIZIONE ED INGREDIENTI BASE
Il vetro è un materiale solido amorfo, che non possiede quindi un ordine nella propria
struttura cristallina. E’ sostanzialmente ottenuto tramite il progressivo irrigidimento di
un liquido, realizzato attraverso la fusione di una miscela di materie prime, che non
cristallizzano durante il raffreddamento. La mancata cristallizzazione è dovuta
all’eccessiva velocità di raffreddamento della sostanza.
Le sostanze vetrose, rigide e fragili, quando sono sottoposte a riscaldamento,
raggiungono una fase di “rammollimento” con una progressiva e continua diminuzione
della viscosità28, fino alla completa fusione.
Vi sono sostanze in natura che in opportune condizioni danno spontaneamente origine
a masse vetrose, come ad esempio la silice.
La composizione del vetro ritrovato in Europa e nelle zone a Est, risalente al periodo
dell’Impero Romano e fino all’ VIII-IX secolo, è molto omogenea.
Lucas29 elenca le componenti del vetro di quest’epoca come: "... Sabbia di quarzo,
carbonato di calcio, natron, o ceneri vegetali, e una piccola quantità di materiale
colorante. "
Il vetro antico è quindi ottenuto dalla sintesi di tre principali componenti: una materia
prima che vetrifica (silice), un fondente (ossido di sodio e potassio) e uno stabilizzante
(ossido di cacio e magnesio), a cui poi si aggiungono altre sostanze secondarie.
•
La materia prima o componente “vetrificante” (70% ca.) è il quarzo, la
forma
cristallina
più
comune
della
silice
(SiO2)30,
chiamata
“sostanza
vetrificante” grazie alla sua capacità di formare il reticolo vetroso; è presente in
natura nelle sabbie, nella pietra arenaria o ricavabile dalla frantumazione di
ciottoli ricchi di quarzo (solitamente di fiume).
La sabbia utilizzata nel processo era molto importante, doveva infatti essere il
più pura possibile, in modo da creare un vetro incolore; al contrario, il risultato
28
La viscosità dipende dalla temperatura e della composizione.
LUCAS 1948.
30
Ossido di silice.
29
47
dell’uso di sabbie con un elevato contenuto di impurità sarebbe stato un vetro
con una sfumatura verdastra o giallognola non voluta.
La criticità della silice è quella di avere un punto di fusione molto elevato
(1700°C), impossibile da raggiungere nei forni antichi. 31 Era quindi necessario
aggiungere nella miscela alcune sostanze particolari, in grado di modificare
alcune caratteristiche fisico-chimiche dei vetrificanti.
•
Il fondente (20% ca.) è usato per abbassare la temperatura di fusione della
silice e per conservare il vetro nello stato di viscosità che ne consente la
lavorazione (intorno ai 1000°).
I fondenti sono composti alcalini (ossidi) ed i più utilizzati nelle produzioni
vetrarie antiche erano composti del sodio (Na2O) e, in tempi più recenti, si sono
utilizzati anche composti del potassio (K2O).
Il principale fondente, usato dall’età romana fino agli inizi del medioevo, è un
minerale noto con il nome arabo di natron (lat. nitrum). Il natron è
sostanzialmente una miscela di sali costituita prevalentemente dal minerale
trona (sesquicarbonato di sodio), proveniva quasi esclusivamente dall’Egitto e
in particolare dalla regione di Wadi El Natrun. In questa zona il natron era
presente in natura in una serie di piccoli laghi salati stagionali, sotto forma di
croste ed efflorescenze.
In Egitto il natron era usato anche per altri scopi, quali l’imbalsamazione, la
preparazione di sostanze medicinali, la sbiancatura del lino.
Contemporaneamente in aree geografiche diverse ed in tempi successivi, si
sono impiegate come fondenti anche le ceneri vegetali, di due tipi, sodiche o
potassiche.
Le ceneri sodiche derivano da piante litoranee o marine, e portano alla
produzione di vetri nei quali è presente una percentuale di sodio più elevata
rispetto a quella del potassio.
Le ceneri potassiche derivano da piante continentali, e acquistano particolare
importanza in Germania, Francia e Inghilterra nel primo Medioevo e certamente
dopo il X° secolo. In particolare l’impiego della cenere di faggio, a anche di
quercia e felci, a altre piante continentali, in cui il potassio predomina
nettamente sul sodio, hanno dato origine ad un netto cambiamento nella
composizione del vetro in Europa nel Medioevo e anche durante il Rinascimento.
31
TH.REHREN 2007.
48
Il contenuto di fosforo nelle ceneri (P 2O5), è abbastanza indicativo del tipo di
piante da cui è derivata la cenere impiegata nella produzione del vetro.
I fondenti hanno però un aspetto negativo, generano vetri facilmente alterabili,
questo perché formano dei legami deboli nel reticolo; nella miscela è quindi
necessaria l’aggiunta di sostanze “stabilizzanti”.
•
Lo stabilizzante (10% ca.) rende il vetro più resistente dal punto di vista
chimico e ne limita quindi la tendenza alla corrosione e all’opacizzazione.
Gli ossidi alcalino-terrosi, ed in particolare l’ossido di calcio (CaO) e l’ossido di
magnesio (MgO), sono tra gli stabilizzanti più comuni nei vetri antichi.
Le fonti storiche, però, riferiscono di sole due materie prime: il vetrificante ed il
fondente; l’introduzione degli stabilizzanti nei vetri antichi è quindi accidentale,
probabilmente erano già presenti nelle materie prime dei due componenti
principali. Ad esempio la presenza di conchiglie polverizzate in alcuni tipi di
sabbie assicurava la quantità necessaria di calcio (come nel caso delle sabbie di
Wadi El Natrun).
La composizione chimica dei vetri dipende dal tipo e dai rapporti di miscelazione delle
materie prime usate nella fusione; i vetri antichi sono quindi classificabili in pochi
gruppi composizionali.
I principali sono: vetri silico-sodico-calcici, silico-potassico-calcici, ad alcali misti (vetro
silico-calcico con concentrazioni comparabili di sodio e potassio) e al piombo (con
aggiunta di piombo ad uno dei precedenti gruppi).
Aggiunte di ulteriori ossidi mirano a modificare le proprietà di base ma anche le
caratteristiche cromatiche di un vetro.
Nel caso dei vaghi da noi esaminati i vetri sono di tipo silico-sodico-calcico.
4.2.2.
OPACIZZANTI E PIGMENTI
Altri costituenti minori, ma molto importanti per il fattore estetico, sono gli elementi
coloranti, opacizzanti e decoloranti.
49
Sono composti resistenti al calore e scarsamente solubili nel vetro fuso, al quale
vengono aggiunti ridotti in polvere, in forma di microcristalli.
Le perle in pasta vitrea e vetro monocrome provenienti da Palazzo Fulcis sono di
colore rosso, blu, verde, bianco e giallo. Sono noti alcuni dei componenti aggiuntivi
che potevano dar vita a questi colori: l’uso del cobalto creava vetro blu, mentre la
variazione di ossidazione del rame produceva vetro verde, turchese, celeste e rosso.
Spesso vetri rossi opachi contenevano anche una piccola percentuale di piombo
mentre con l’antimoniato di calcio si aveva vetro di colore bianco.
Un primo passaggio prevedeva il mescolamento di tutti i componenti all’interno di un
crogiolo in argilla posto in una fornace e la loro fusione tra i 750° e gli 850°C. Questo
processo iniziale dava vita ad una massa semilavorata, priva di tutte le impurità,
spesso chiamata “fritta”, che veniva lasciata raffreddare e solidificare.
Questa materia iniziale, frantumata in più pezzi e posta all’interno di contenitori in
materiale refrattario, era nuovamente portata a fusione tra i 1000° e 1200 °C
trasformandosi poi in una massa viscosa non totalmente liquida.
Non ci sono dati certi su come si realizzassero gli oggetti in pasta vitrea da questa
massa, quindi è possibile avanzare solo delle ipotesi al riguardo.
Come detto poc’anzi la colorazione dei vetri è influenzata, oltre che dai pigmenti,
anche da diversi altri fattori tra cui la presenza di agenti decoloranti e componenti
opacizzanti.
Il principale agente decolorante impiegato è il manganese che, in determinate
condizioni (ossidanti), ha effetto solo sul ferro e non sugli altri ossidi coloranti che
venivano usati nei vetri antichi; anche l’antimonio è stato usato come decolorante da
tempi ancora più antichi. Dal V secolo l’ossido di stagno è diventato l’opacizzante più
diffuso, aggiunto come cassiterite (SnO2).
Elementi come Mn e Sb sono stati a volte aggiunti con la funzione di agenti
decoloranti nella lavorazione finale del vetro, ed altre volte sono stati sfruttati per
donare al vago determinate tonalità di colori. Bisogna prendere in considerazione
anche il fatto che il rilascio di gas dovuto alla combinazione chimica degli elementi
poteva dar vita, durante la fusione, ad un diverso grado di opacità o trasparenza.
50
4.2.3.
LA COLORAZIONE DEI VETRI
I coloranti sono generalmente ossidi metallici che, aggiunti alla miscela vetrificabile,
sviluppano la loro azione nella fase di fusione determinando la colorazione del vetro.
Per esempio l’ossido rameico (CuO) produce la tonalità verde acquamarina, l’ossido
rameoso (Cu2O) il rosso, l’ossido di cobalto il blu, la combinazione dell’ossido di ferro
con l’ossido di cromo il verde, il biossido di manganese, a seconda delle quantità
impiegate, il viola e il nero, il ferro il marrone e l’antimonio il giallo o il bianco.
Ci sono poi colorazioni, come la gamma che va dal giallo al rosso, che sono prodotte
da sospensioni colloidali di particelle microscopiche che si separano dal vetro fuso
durante il raffreddamento.
I vetri opachi colorati si ottengono con le stesse modalità dei vetri trasparenti colorati,
impiegando come vetro di base un vetro opale bianco.
4.2.4.
TECNOLOGIA VETRARIA
La tecnologia vetraria sarebbe nata vicino all'attuale Akko, in Israele.
Qui, il fiume Belus, noto anche come Na’aman, percorreva un breve tratto verso il
mare, depositando una sabbia eccezionale per la produzione del vetro. Questa sabbia
è servita alla scoperta accidentale del vetro, che Plinio registra nella sua “Naturalis
Historia” come segue:
“Era sera e quei mercanti fenici avevano deciso d’accamparsi per trascorrere la notte,
presso le rive del fiume Belo. Come consuetudine accesero il fuoco per cucinare
quell’unico pasto caldo della giornata, per scaldarsi in circolo intorno alla fiamma
volteggiante che rischiarava il buio della notte, per proteggersi dagli animali feroci e
per dar voce, prima del sonno, a storie e favoleggiamenti che passavano di bocca in
bocca… quindi non trovando pietre per posare i loro paioli, usarono i blocchi di salnitro
che costituivano il carico della loro mercanzia, ma a causa del calore del fuoco, il
salnitro cominciò a fondersi combinandosi con la sabbia silicea del luogo e originando,
tra la meraviglia di tutti, una sostanza dapprima liquida ed incandescente che poi,
raffreddandosi, divenne trasparente come il cielo ed il mare: il vetro.” 32
32
PLINIO IL VECCHIO, Naturalis Historia, XXXVI.
51
Per l’epoca longobarda non ci sono pervenute informazioni dirette, mentre per l’epoca
romana è stata avanzata l’ipotesi di un commercio di lingotti in vetro.
La produzione di una perlina nel mondo romano avrebbe quindi richiesto due fasi: la
lavorazione del vetro con il processo nel quale il vetro veniva fabbricato a partire dalle
materie prime e la lavorazione del vetro con il processo in cui il vetro era ridotto in
tanti “lingotti” di vetro grezzo, in modo da rendere possibile un commercio attivo di
vetro.
Questo commercio suggerisce che la lavorazione del vetro avrebbe potuto svolgersi
dopo un significativo lasso di tempo e in un luogo diverso da quello in cui il vetro era
stato effettivamente prodotto.
Questo modello di tecnologia vetraria è stato avanzato negli ultimi anni; prima si
riteneva che ogni centro fosse autonomo e producesse un vetro proprio con materie
prime locali, o specifiche di quel centro. Secondo questo modello, trovando due
manufatti dello stesso tipo, ma prodotti in due centri diversi, questi dovrebbero avere
composizione chimica diversa33.
In realtà questo non è mai stato dimostrato e non sono nemmeno mai stati ritrovate
testimonianze archeologiche che possano sostenere questa teoria.
Gli studiosi hanno quindi ipotizzato un nuovo modello per il periodo tardoantico e
altomedioevale, che prevede l’esistenza di centri primari e centri secondari.
I centri primari erano centri specializzati con l’esclusivo scopo di produrre vetro
grezzo, che veniva poi trasportato nei numerosi centri secondari, dove era poi rifuso,
colorato, opacizzato e modellato.
Questo modello, al contrario del precedente, è stato dimostrato con dati archeologici
come il ritrovamento di grandi forni a bacino per la produzione di vetro grezzo in
Egitto, in Israele e in Libano (rispettivamente vicino all’area di estrazione del natron e
vicino alla foce del fiume Belus).
E’ probabile che esistesse almeno un centro primario anche in Italia, forse in
Campania, dove Plinio menziona l’uso della sabbia del Volturno, ma di questo non
esistono finora prove archeologiche.
33
AERTS et alii, 2003.
52
Anche le analisi chimiche dei reperti confermano questa seconda teoria, dato che
hanno spesso dimostrato come la composizione chimica sia simile.
Ma da dove erano ricavate le materie prime? Quale era la loro provenienza?

Natron
Il più famoso deposito di natron dell’antichità è quello di Wadi Natrun, in Egitto.
Vari studi sono stati eseguiti per cercare di capire se, per il periodo che corre
dal IV millennio a.C. al IX secolo a.C., esistessero altre fonti di natron oltre a
quella di Wadi Natrun34.
I risultati sembrano far capire che un’altra fonte ci fosse quasi certamente,
sempre in Egitto, e sarebbe quella di al-Barnuj. Altre probabili fonti al di fuori
dell’Egitto potrebbero essere quelle di: Lago Van in Turchia (in realtà poco
probabile), Lago Pikrolimni in Macedonia (in realtà troppo piccolo) e i Laghi di
al-Jabbul in Siria (attualmente sfruttati per l’estrazione di natron). 35
Nel VII secolo a.C. la domanda di natron divenne eccessiva e si iniziò a fare uso
anche di ceneri vegetali, che pian piano rimpiazzarono il natron.

Sabbia
Plinio il Vecchio, nella sua già citata “Naturalis Historia” ci parla delle fonti della
sabbia e ci dice che sarebbero due le più importanti, una è quella più famosa
del Fiume Belus, e l’altra sarebbe alla foce del Fiume Volturno, in Italia.
Vari studi sono stati effettuati per trovare possibili alternative alla sabbia del
fiume Belus, ritenuta quella più adatta per la produzione del vetro antico e si
sono analizzate sabbie provenienti da Spagna, Francia, Egitto ed Italia (sabbie
del fiume Volturno). I risultati mostrano che davvero poche sabbie sono adatte
a questo scopo, solo un limitatissimo numero dei 178 campioni che sono stati
analizzati nello studio producono un vetro con composizione più o meno simile a
quella romana. Si sono infine individuate sei aree limitate che potevano essere
adatte per il prelievo di sabbia da parte dei vetrai romani: nelle regioni di
Basilicata, Puglia e Toscana in Italia, nella provincia di Huelva e Murcia in
Spagna e dalla Provenza in Francia. 36
34
SHORTLAND et alii, 2006.
BREMS et alii, 2012.
36
BREMS et alii, 2012.
35
53
Sono da tenere in considerazione anche le tracce di antimonio rilevate in numerosi
reperti che confermano l’uso di un vetro di base ottenuto rifondendo anche rottame.
Probabilmente all’epoca era usato rottame di vetro soprattutto blu, raccolto e rifuso a
causa della mancanza del minerale del cobalto.
Il rottame di vetro in epoca pre-industriale era riportato nelle officine vetraie per
essere usato come agente catalizzatore nel nuovo processo di fusione della miscela
vetrificabile. Infatti i rottami di vetro macinati rifondevano ad una temperatura più
bassa, accelerando il processo di fusione della miscela vetrificabile con la quale erano
stati messi in contatto.37
4.3. La pasta vitrea
Vengono definite “perle in pasta vitrea” le perle di vetro colorato nel quale sono
presenti, disperse, fasi cristalline per ridurne la trasparenza e modificarne le tonalità
di colore.
L’artigianato della pasta vitrea è molto poco studiato, non è ancora possibile
impostare un discorso articolato circa la diffusione di tipi e modelli, anche se le perle
in pasta vitrea sono molto diffuse.
Il fatto che non vi sia uno studio organico incide anche sulla terminologia specifica da
utilizzare, che risulta carente, disomogenea e a volte approssimativa.
L’unico autore da noi trovato che tenti di dare una minima definizione di pasta vitrea è
Tite38, che lo considera un materiale contenente una percentuale di SiO 2 superiore
all’80%.
Questa definizione però non calza con i risultati da noi ottenuti, dato che nelle perle da
noi analizzate la percentuale di SiO2 non arriva mai nemmeno a sfiorare l’80%; per
questo si è tentato di dare una definizione di pasta vitrea che fosse valida almeno per
i nostri casi, e che dovrà però essere confermata e confrontata con ulteriori analisi e
studi.
37
38
STIAFFINI 1999.
TITE, SHORTLAND 2008.
54
Come detto in precedenza, è da noi considerato “pasta vitrea” il materiale contenente
allumina (Al2O3) in percentuali comprese tra il 10 ed il 15%, facente quindi parte della
famiglia delle “argille”, il contenuto di SiO2 è invece tendenzialmente tra il 40 ed il 6065%.
La pasta vitrea è diversa dal vetro innanzitutto per il fattore estetico, la prima
possiede caratteristiche estetiche quali l’opacità, la rugosità, la “friabilità” ed un indice
di rifrazione scarso.
Ma il principale motivo per cui la pasta vitrea è così differente dal vetro sembra essere
proprio l’eccesso di allumina e la bassa concentrazione di silice.
Per ottenere un vetro con una percentuale di allumina così elevata, come già detto,
sarebbero serviti dei forni in grado di raggiungere temperature molto più elevate
rispetto alle possibilità di un forno di epoca medievale, sappiamo infatti da precedenti
studi che la tecnologia dell’epoca non era in grado di raggiungerle.
Le perle in pasta vitrea vengono cotte ad una temperatura inferiore rispetto a quella
necessaria per i vetri, questo non permette a tutti gli elementi presenti nell’impasto di
fondersi in maniera da creare una struttura amorfa, tuttavia questo procedimento non
riesce a spiegare una percentuale così alta di allumina.
4.3.1
MATERIE PRIME
La pasta vitrea è composta da:

Quarzo più o meno puro, spesso associato al calcio, che è presente come
impurità.

Argilla, cioè silico-alluminato. Una così alta percentuale di argilla (circa 50%
dell’impasto) non è comunque da escludere sia collegata alle tecniche di
fabbricazione dei vaghi, dato che rende l’impasto molto più malleabile e
lavorabile.

Fondenti, che possono essere a base Natron (ricco di Na2O), o a base ceneri
(più ricco di K2O, P2O5 e povero di Na2O).
55

Pigmenti, composti da un opacizzante e da un colorante. Sono spesso aggiunti
come minerali, ad esempio l’ematite è usata per l’ossido di ferro e la pirolusite
per l’ossido di manganese.
56
5.
METODOLOGIE SPERIMENTALI
Le analisi e le acquisizioni delle immagini sono state effettuate con un microscopio
ottico (OM), microscopio elettronico a scansione (SEM) e spettroscopia a
dispersione
di
energia
(EDXS)
nei
laboratori
della
Facoltà
di
Ingegneria
dell’Università degli Studi di Trento.
Varie metodologie di indagine possono fornire un’abbastanza completa visuale della
microstruttura dei componenti materiali di un manufatto (microscopia ottica e
microscopia elettronica a scansione), utile per ottenere varie informazioni su differenti
aspetti delle fasi di lavorazione dei reperti.

Microscopia ottica (OM)
Fig. 5.1. Microscopio Ottico (OM).
Quella al Microscopio Ottico è un’analisi di tipo qualitativo, che, grazie a vari
ingrandimenti (fino a 100x), ci permette di avere una visione nitida di strutture
non più grandi di pochi centesimi di millimetro.
57
Fig.5.2. La perla K3 B vista all’OM.
Fig. 5.3. Particolare della perla K3 B vista all’OM.
Le immagini ottenute possono fornire informazioni sul processo tecnologico di
fabbricazione dei manufatti: sulla natura delle materie prime usate, sul metodo di
preparazione delle miscele, sulla tecnica di lavorazione e sulle condizioni di cottura.
Oppure può fornire indicazioni sullo stato di conservazione e quindi sulle alterazioni
avvenute a carico del reperto in fase di uso o di seppellimento.
Nel nostro caso per ogni perla sono state registrate due o più micrografie, che sono
state usate per individuare le zone meno rovinate e più significative in modo da
poterle poi osservare al SEM.
58
Il microscopio ottico non fornisce, però, alcuna indicazione sulla composizione chimica,
che è definita dalla quantità percentuale degli ossidi principali presenti nei campioni
analizzati. Stabilire il chimismo dei diversi componenti dei manufatti è di fondamentale
importanza per ottenere informazioni sulle materie prime impiegate e quindi sulla
provenienza e sulla tecnologia di preparazione dei materiali.
Informazioni di questo tipo si sono ricavate con SEM ed EDXS.
Per quel che riguarda gli impasti e gli strati superficiali sono stati individuati i seguenti
elementi maggiori: silicio (Si), alluminio (Al), ferro (Fe), magnesio (Mg), calcio (Ca),
sodio (Na) e potassio (K); e i seguenti elementi minori: titanio (Ti), manganese (Mn),
fosforo (P), cobalto (Co), cromo (Cr), fluoro (F), zolfo (S), cloro (Cl), antimonio (Sb),
rame (Cu), piombo (Pb), stagno (Sn) e zinco (Zn).

Microscopia elettronica scansione (SEM)
Fig. 5.4. Microscopio Elettronico a Scansione (SEM).
Nel SEM un fascio di elettroni colpisce il campione, e da questo fuoriescono tutta una
serie di segnali, nel nostro caso si sono presi in considerazione i BSE (cioè elettroni
retrodiffusi).
Nella Fig. 5.5. sono presenti due esempi di immagini ricavate al SEM impiegando
elettroni secondari (SE) ed elettroni retrodiffusi (BSE), le differenze tra le due
immagini, che si riferiscono allo stesso campo, appaiono evidenti39.
39
GIALANELLA 2014, cit. p. 53.
59
Figura 5.5. Veduta generale della perla R8 E4. Le immagini sono state ottenute con un SEM impiegando
elettroni secondari (SE – sinistra) ed elettroni retrodiffusi (BSE - destra).
Il BSE è usato quando si vuole osservare più dettagliatamente ciò che si misura, dato
che risente della composizione dell’oggetto analizzato.
A causa del consolidante polimerico (Paraloid) con cui sono state rivestite tutte le
perle durante il restauro, si è ritenuto di eseguire le osservazioni impiegando il
microscopio elettronico nella cosiddetta modalità “a basso vuoto” (Low Vacuum
Scanning Electron Microscope, LV-SEM).
Tale modalità consente le osservazioni anche di materiali che non siano buoni
conduttori
elettrici,
come
invece
richiesto
dalla
microscopia
elettronica
convenzionale.40
Le diverse colorazioni che risultano nell’immagine, che è riprodotta su uno schermo in
una scala di grigi, simboleggiano la diversa composizione chimica delle parti, più
chiaro è il colore, più alto sarà il numero atomico dell’elemento presente (ad esempio
le particelle da noi analizzate spesso erano molto chiare, praticamente bianche,
perché erano composte da antimonio o piombo).

Spettroscopia X a dispersione di energia (EDXS)
Un materiale colpito da un fascio di elettroni, generato dalla sorgente all’interno del
SEM, rilascia tutta una serie di “segnali”, fra cui particolarmente interessante è la
40
GIALANELLA, POSSENTI 2012.
60
radiazione X, che consente di effettuare sia delle analisi chimiche qualitative, sia
quantitative.
Infatti ogni elemento chimico ha uno spettro di emissione X caratteristico, cioè diverso
da quelli degli altri elementi. Questo significa che con un opportuno rivelatore è
possibile risalire in maniera inequivocabile alla conoscenza degli elementi contenuti
nella regione di campione esaminata41.
Le immagini ottenute e le informazioni chimiche ricavate all’EDXS possono fornire
informazioni sulla natura delle materie prime usate che, assieme ad un’attenta lettura
bibliografica, consentono di far luce sul processo tecnologico di fabbricazione dei
manufatti, sul metodo di preparazione delle miscele, sulla tecnica di lavorazione e
sulle condizioni di cottura.
Figura 5.6. Spettro di emissione X di un particolare della perla R8 E4.
Un tipico spettro di emissione X è mostrato in figura 5.6, i picchi presenti nello spettro
sono detti appunto “linee caratteristiche” dei vari elementi.
E’ possibile quindi determinare quali siano gli elementi che compongono il campione e
stimarne le relative concentrazioni. In tal caso si fa ricorso a opportuni programmi di
41
GIALANELLA 2014, cit. p. 54.
61
calcolo, che correggono adeguatamente i dati sperimentali dall’effetto di possibili
artefatti legati alla effettiva struttura del campione. 42
Un ulteriore aspetto di notevole interesse della spettroscopia X a dispersione di
energia, quando condotta in un microscopio elettronico a scansione, è la possibilità di
ottenere delle analisi di zone selezionate, focalizzando su di esse il fascio di elettroni
(Spot), operazione molto utile per definire il chimismo delle piccole particelle talvolta
presenti.
Fig. 5.7. In alto immagine tutto
campo della perla K10 I, il cerchio
rosso rappresenta la zona in cui è
stato effettuato lo spot (immagine
in basso).
Nella figura 5.8 è mostrata l'applicazione della tecnica microanalitica ad una delle
perle facenti parte del presente studio, della quale è mostrata la microstruttura come
42
GIALANELLA POSSENTI, 2012, cit. p. 301
62
osservata al SEM. Delle due fasi chiaramente visibili sono forniti i rispettivi spettri X,
dai quali si evince la loro seppur lieve diversità di composizione chimica43 (allumina
elevata in una e scarsa nell’altra).
Figura 5.8. Immagine SEM della perla R55 N. Nell’immagine sono designati i punti (1 e 2) di acquisizione
degli spettri EDXS riportati.
Le analisi eseguite con l’EDXS hanno prodotto una serie di risultati significativi, che ci
hanno permesso di ottenere delle composizioni medie rilevanti per ogni perla.
43
GIALANELLA 2014, cit. p. 54.
63
R28 B
R28 C
64
R8 C
65
R8 E4
66
K10 C
67
K10 D
68
K10 F
69
K10 Q
70
K3 A
71
K3 B
72
R42
73
R36 B
74
R41
R55 A
75
R55 G
76
R55 I
77
R55 L
R55 P
78
R55 N
79
R6 B
80
R6 H
81
R6 M
Tab. 3: Confronti tra le immagini ricavate all’OM e quelle di veduta generale ricavate al SEM.
82
6. DATI SPERIMENTALI – RISULTATI E
DISCUSSIONE
6.1. Le analisi
Le analisi e le acquisizioni delle immagini sono state effettuate con un microscopio
ottico (OM), microscopio elettronico a scansione (SEM) e spettroscopia X a dispersione
di energia (EDXS).
Ci si è accordati e si adottata una procedura “standard”, che consisteva nell’effettuare
3 acquisizioni per ogni “zona” riscontrata (chiara, scura, grigia), di modo da riuscire
ad effettuare poi una media che fosse significativa per la zona presa in considerazione
e, quando necessario, si sono effettuati dei piccoli spot su particelle.
Ad ogni incontro, prima di iniziare le analisi, si effettuavano dei test preliminari per
“tarare” la macchina, creando la cartella in cui sarebbero poi stati salvati i file,
aggiungendo gli elementi mancanti allo spettro e togliendo quelli in eccesso.
Nel laboratorio siamo sempre stati almeno in tre: il Prof. Gialanella ha effettuato le
fotografie al SEM e selezionava l’area da cui poi acquisire lo spettro, io mi trovavo al
suo fianco e salvavo spettri e percentuali ricavate aggiungendo o togliendo gli
elementi rilevati, con l’aiuto di Claudia Contrini, che nel frattempo ci forniva anche il
confronto con le immagini ricavate all’OM.
Prima di effettuare le analisi la macchina era, appunto, tarata, in modo da rilevare gli
ossidi (OXYDES) presenti e rilevarne determinate “linee” (cioè gli orbitali); per
aggiungere o togliere elementi si usava l’HPD, che permette di controllare se tutte le
“linee caratteristiche” sono comprese nello spettro.
Ad ogni foto del SEM corrispondono una o più acquisizioni/spettri, ci sono più spettri
che foto perché le superfici di alcune perle erano molto omogenee ed eseguire ulteriori
foto non sarebbe servito a molto.
Dopo aver acquisito gli spettri, il computer fornisce la percentuale atomica degli
elementi presenti, poi il software permette di convertirli in % in peso degli ossidi
rilevati.
83
5.8±0.4
0.5±0.1
0.3±0.1
0.29
1.6±0.5
2.2±0.4
6.8±1.5
6.5±0.4
5.1±0.2
2±1.5
2.9±0.8
5.7±2.1
5.4±0.2
0.42±0.06
4.2±0.1
2.1±0.2
0.5±0.2
0.7±0.1
1.1±0.2
1±0.5
0.25±0.05
0.31±0.06
1.6±0.3
0.8±0.3
1.8±0.4
4.3±0.3
0.54±0.09
1.7±1.1
1.1±0.2
5.2±1.1
1.2±0.1
2±1.1
12±7
3.4±0.1
2.1±0.4
12.3±0.3
8±5.9
1.2±0.4
0.9±0.3
12.7±1.4
66.9±1.1
2.1±0.7
6.2±4
11.3±0.3
58.6±4.6
R36 B
0.63
58.9±8.6
67.2±1
R55 A
0.33
R6 H
R6 M
5.1±0.3
1.8±1
8±1.3
3.19±0.09
1.18±0.08
0.4±0.1
0.85±0.06
0.8±0.4
1.2±0.4
4.7±0.5
0.9±0.1
10.6±0.5
62.1±1.6
K10 F
0.6±0.2
5.5±0.3
1.1±0.1
3.9±1.3
0.7±0.1
3.9±0.9
1.2±0.1
0.48±0.09
1.3±0.4
1.2±0.3
1.5±0.3
6.2±1.2
1.6±0.3
12.8±1.3
55.4±1.5
R8 C
1±0.2
4.9±0.6
0.5±0.3
0.28
1.4±0.3
1±0.2
6.6±5
0.4±0.3
4.7±0.1
79.5±5
R28 C
Cr2O3
K20
F-
ZnO
CoO
SnO2
PbO
CuO
Sb2O3
MnO
Fe2O3
TiO2
Cl-
P2O5
SO3
MgO
CaO
Na2O
Al2O3
SiO2
Reperto
Di seguito saranno elencati i risultati ottenuti dalle analisi effettuate su ogni perla,
questi saranno suddivisi a seconda della colorazione della perla.
6.2. Le perle BIANCHE
Tab. 4: Composizione chimica espressa in percentuale in peso degli ossidi dei vaghi BIANCHI.
84
I vaghi monocromi bianchi sono in totale sette: R28 C, R8 C, K10 F, R36 B, R55 A, R6
H, R6 M.
Fig. 6.1. Vaghi bianchi analizzati.
In tutte le perle longobarde analizzate da Verità il vetro bianco è ottenuto con cristalli
di stagno (SnO2, cassiterite), queste perle sono caratterizzate dalla presenza di fasce
chiaro-scure, aggregati cristallini e numerose “bolle”.
Lo stagno sarebbe stato fuso insieme al piombo in quanto, se lo stagno viene fuso da
solo, si forma una polvere grigiastra contenente anche ossido stannoso (SnO) oltre
alla cassiterite bianca. L’ossido di piombo, quindi, dovrebbe sempre essere presente,
insieme all’ossido di stagno, seppur in intervalli di concentrazione molto variabili.
Verità indica come tipici della tradizione romana, invece, i vetri bianchi che devono la
loro colorazione all’atimoniato di calcio; in questi casi è stato probabilmente
semplicemente rifuso e lavorato del rottame di vetro bianco opaco di epoca romana
recuperato sul territorio44.
Le analisi di reperti rinvenuti nel sito longobardo di Brescia (S.Giulia) avevano
individuato 7 vetri bianchi di tipo antimoniato di calcio e due di tipo ossido di stagno
(senza piombo), tutti in vetro tipo natron.45
Nel nostro caso tutte le perle bianche analizzate sono in pasta vitrea (tranne forse la
R28 C e la R6 M), nemmeno una in vetro, ma supposizioni fondate ci fanno pensare
che ciò che da Verità è chiamato “vetro bianco opaco” possa corrispondere a quella
che noi definiamo pasta vitrea.
Tutte le perle da noi analizzate sono di tipo antimoniato di calcio, tranne nel caso della
R6 M, della R28 C e della R6 H.
L’antimonio (Sb), in funzione delle condizioni di fusione e del suo contenuto, può agire
da decolorante, ma anche da opacizzante.
44
45
Per approfondimenti vedi VERITA’ 2012, pp. 370-371.
VERITA’ 2012, cit. pp. 371-372.
85
E’ quasi sempre presente nelle paste vitree, perché era appunto usato come
decolorante (in aternativa al manganese); nei vetri bianchi è comune perché crea dei
cristalli bianchi, quando il vetro non è piombico.
In tutte le perle bianche da noi analizzate i livelli di antimonio si aggirano tra il 6 e
l’8%, tranne che in R28 C, R6 H, R55A ed R6M.
Un dato rilevante è la presenza anche di alte percentuali di calcio, presente tra il 4 e il
7%, escludendo le perle R6 M ed R6 H.
Questi valori ci fanno intuire che il colore bianco di queste perle è dovuto
all’antimoniato di calcio, sostanza che non si trova in natura, questo implica l’aggiunta
volontaria di antimonio al vetro che, reagendo con il calcio già presente, forma cristalli
di antimoniato di calcio.
Nel vago R55 A, però, la percentuale di antimonio è inferiore alla media registrata
negli altri vaghi bianchi, si “ferma” infatti sollo al 3±1%, a questo è dovuta la strana
colorazione della perla, di un bianco definibile “eroso”.
In molte delle perle analizzate sono state riscontrate delle piccole particelle di
antimonio.
Fig 6.2. Osservazione al SEM (Foto 3),e rispettivo spettro, del vago R36 B, le zone più chiare sono
particelle di antimonio.
86
Fig 6.3. Osservazione al SEM (Foto 5),e rispettivo spettro, del vago K10 F, le zone più chiare sono
particelle di antimonio.
Fig 6.4. Osservazione al SEM (Foto 4), e rispettivo spettro, del vago R8 C, la particella chiara è ricca di
antimonio.
Un aspetto interessante registrato in tutte le perle di colore bianco è un’alta
percentuale di Fe2O3. Il ferro è qui presente come impurezza, e non ha funzione
colorante, dato che l’elemento colorante del bianco è molto più coprente.
A causa del fosforo (P2O5), il ferro fa “accoppiata” e passa da Fe3 a Fe2 e diventa
incolore, perde “potenza” e si decolora.
87
E’ da tenere in considerazione anche che in tutti i vaghi (tranne R28 C ed R6 H) la
percentuale di ossido di potassio (K2O) risiede tra il 5 ed il 6%; i vaghi sono quindi da
considerarsi, contrariamente a quelli analizzati da Verità, di “tipo ceneri”.
Altri fattori rilevanti sono le percentuali di ferro, manganese e titanio, che sono
discretamente elevate, questo riflette uno dei radicali cambiamenti peggiorativi nella
tecnologia di produzione vetraria, avvenuti a partire dal IV secolo.46
Il caso della perla R6 M è invece da considerare separatamente dato il suo diverso
chimismo.
Fig. 6.5. Osservazione all’OM del vago R6 M.
In questo vago l’antimonio è assente, quindi il colore non può essere dato
dall’antimoniato di calcio.
Il bianco opaco della perla è in questo caso probabilmente dovuto ad un opacizzante,
il fosfato di calcio47, e le lievi striature rosate che si notano in alcuni punti sarebbero
dovute all’alta percentuale di ferro presente.
46
47
FIORI, VANDINI, MAZZOTTI 2004.
Il fosfato di calcio idrato deriva, forse, da ceneri di ossa, come nella colorazione del moderno Bone China.
88
13.3±0.8
2.7±0.9
4.2±0.4
1.3±0.3
0.8±0.4
1.1±0.7
0.9±0.2
0.7±0.2
3.7±1.2
2.2±1.8
10.8±1.2
1.3±0.3
5.9±1.1
1.8±0.4
0.7±0.3
6±2.9
0.3±0.1
1.1±0.4
8.9±3.7
0.9±0.6
4.7±0.6
1.04
6.9±2.5
1.2±0.6
5.9±0.8
1.9±1
62.3±3.1
48.2±9.6
2.6±1.9
R55 G
R6 B
0.93±0.08
0.87±0.04
0.3±0.1
1.1±0.4
0.7±0.2
1.1±0.1
1.34±0.09
0.6±0.3
2.1±0.3
1.1±0.2
0.1
2.5±0.6
0.4
0.8
3.3±0.8
0.8±0.2
1.4±0.2
0.7±0.3
0.9±0.2
0.9±0.1
0.85±0.08
0.3±0.2
5.7±1.9
4±0.9
7.1±3.3
71.4±2.1
R42
7.6±0.3
14.5±0.9
2.4±0.3
66.9±0.1
R55 L
1.6±0.2
1.76±0.07
0.6±0.2
0.8±0.2
6.5±0.2
14±0.4
2.9±0.1
69.2±0.6
R55 N
1.2±0.1
0.5±0.3
0.9±0.2
1.5±0.1
1.5±0.3
0.87
1.6±0.4
0.37
1.44
0.59
0.98±0.06
1.44±0.06
0.7±0.1
5.9±0.2
8.5±0.2
4.2±0.5
76±0.07
K10 Q
1±0.2
6.9±0.2
8.5±0.4
3.4±0.2
73.8±0.9
K3 B
Cr2O3
K20
F-
ZnO
CoO
SnO2
PbO
CuO
Sb2O3
MnO
Fe2O3
TiO2
Cl-
P2O5
SO3
MgO
CaO
Na2O
Al2O3
SiO2
Reperto
6.3. Le perle BLU
Tab. 5: Composizione chimica espressa in percentuale in peso degli ossidi dei vaghi BLU.
I vaghi blu monocromi sono in totale sette: K10 Q, K3 B, R42, R55 G, R55 L, R55 N,
R6 B.
Fig. 6.6. Vaghi blu analizzati.
89
Nelle perle longobarde analizzate da Verità il vetro blu è con aggiunte di cobalto (Co),
aggiunto come minerale associato a ferro, zinco, piombo e stagno, o con l’aggiunta di
rame (Cu) sotto forma di ione rameico (Cu 2+); l’opacizzante usato è sempre
l’antimoniato di calcio.
Secondo Verità il vetro blu opaco è poco usato dai longobardi a causa della difficoltà
nel rinvenimento del minerale del cobalto ed i pochi vetri blu contenenti cobalto
deriverebbero da rifusioni di vetri romani48.
Nei vetri medievali potassici anche la presenza di ferro e manganese ha creato una
vasta serie di colorazioni, dal verde al porpora, al blu. Vetri blu potevano essere
prodotti con ferro o ferro-manganese in condizioni riducenti, ma a questi erano
preferiti i blu più intensi ottenuti con cobalto 49.
Nel nostro caso, in tutte le perle blu sono presenti percentuali considerevoli di ferro e
manganese, il cobalto è stato rilevato solo in due casi, nelle perle K10 Q e R55 I, ma
l’ultimo vago citato non è blu, bensì verde.
Un caso particolare è quello dato dalla perla R6 B (in pasta vitrea), nella quale sono
presenti tutti gli elementi più comuni sfruttati per ottenere il colore blu (sempre
escludendo il cobalto). Sono infatti presenti ferro, rame e manganese, anche se in
bassa percentuale (1±0,5%).
Il colore che ne risulta è un blu “slavato” a causa della presenza della scoria di una
lega antimonio rame e piombo, che dà una colorazione bianca insieme all’ossido di
stagno e smorza quindi leggermente il blu.
48
49
Per approfondimenti vedi VERITA’ 2012, pp. 366-367.
FIORI, VANDINI, MAZZOTTI 2004, cit. p. 76.
90
Fig. 6.7. Osservazione al SEM (foto 3), e rispettivo spettro, della perla R6B, la particella chiara è
composta prevalentemente da antimonio.
Anche l’altra perla in pasta vitrea, la R55 G, rappresenta un caso particolare, in questo
caso il blu è sempre dato dall’associazione di ferro e manganese, ma è presente anche
una parte di colorazione bianca, dovuta alla presenza di antimonio e calcio che
“smorzano” il colore blu della perla.
Fig. 6.8. Osservazione al SEM (foto 9), e rispettivo spettro, della perla R55 G, la particella chiara è
composta prevalentemente da antimonio.
Quasi tutte le perle blu da noi analizzate devono la loro colorazione alla combinazione
di ferro e manganese, sono però presenti delle particolarità oltre a quelle sopra citate.
91
La perla R42 ha una percentuale bassa di manganese, per questo la colorazione risulta
più chiara.
La perla R55 L si vede il piombo presente come impurezza; vista la modesta
percentuale si presuppone quindi l’uso di rottame nella creazione del vago, dato che il
piombo non è correlato a nessun altro elemento opacizzante.
La perla K10 Q presenta un vetro molto degradato in superficie, e questo ha creato
una certa difficoltà nelle analisi, che si sono effettuate in una delle zone di distacco, in
modo da registrare le effettive componenti del vetro, e non le concrezioni presenti.
Fig. 6.9. Osservazione al SEM (foto 1 e 2), della perla K10 Q, sono evidenti le zone di distacco.
Questo vago, come già indicato, contiene del cobalto, che è però presente in
percentuali troppo basse per permettergli di colorare effettivamente il vetro. Quello
92
che non si riesce a spiegare è come questo vago abbia assunto la colorazione
blu/turchese senza l’apporto fornito dal manganese, che non è presente nel vago
stesso.
93
Cr2O3
1.6±0.3
0.4±0.1
K20
0.9±0.3
3.5±0.7
1.6±0.3
4.9±0.4
ZnO
1.8±0.5
F-
CoO
0.6±0.2
1.2±0.2
SnO2
1.8±0.5
PbO
CuO
2.2±0.9
3.1±0.8
2.7±0.7
Sb2O3
MnO
1.6±0.1
4.4±1.2
Fe2O3
4.1±1
4.2±1.8
TiO2
0.5±0.1
0.9±0.3
Cl1.1±0.3
1.2±0.1
P2O5
1.1±0.2
0.3±0.1
1±0.9
SO3
0.5±0.4
1.7±0.1
0.4
MgO
1.2±0.2
1±0.2
1.3±0.2
CaO
7.1±0.5
7.9±0.5
4.4±0.9
Na2O
8.6±1.6
10.7±1.8
1.9±0.1
57±0.9
3.4±0.4
13.2±0.9
Al2O3
SiO2
63.8±1.4
61.3±2.4
59.7±4.5
R8 E4
R55 I
K10 D
Reperto
6.3. Le perle VERDI
Tab. 6: Composizione chimica espressa in percentuale in peso degli ossidi dei vaghi VERDI.
I vaghi monocromi verdi sono in totale tre: R8 E4, R55 I e K10 D.
Fig 6.10. Vaghi verdi analizzati.
In tutte le perle longobarde analizzate da Verità la colorazione del vetro verde è
dovuta a rame, presente sotto forma di ione rameico (Cu++), e ferro ossidato (Fe3+).
Il rame dà una colorazione azzurro-verde mentre il ferro colora di giallo, quindi se il
ferro è presente in opportuna quantità, il giallo che da esso deriva neutralizza la
componente azzurra del rame, ed il vetro risulta verde smeraldo.
Nei vetri verdi e blu-verdi di Verità sono stati rilevati rame, piombo e stagno, che
potrebbero indicare l’impiego di rottami di bronzo. 50
Un altro colorante del verde può essere l’ossido di piombo, che può far ottenere toni
del verde che non possono essere ottenuti in altro modo.
50
VERITA’ 2012, cit. p. 362.
94
L’accoppiata ferro/manganese, oltre a colorare di blu, può arrivare a creare anche
delle tonalità del verde.
Tra i vaghi da noi analizzati uno solo è in pasta vitrea, gli altri sono in vetro.
Nell’unica perla in pasta vitrea, la K10 D, la colorazione verde è da attribuire alla
combinazione di antimoniato di piombo e rame.
Fig. 6.11. Osservazione al SEM (Foto 3), e rispettivo spettro, del vago K10 D, le particelle chiare
contengono piombo e antimonio.
L’antimoniato di piombo da una colorazione gialla, mentre il rame colora in blu, la loro
combinazione ha creato il verde “corroso” e molto particolare che caratterizza la perla.
Nei due vaghi vitrei la colorazione verde è invece dovuta a varie combinazioni.
Nel vago R8 E4 gli elementi coloranti presenti sono: ferro, manganese, rame e cromo;
gli elementi che, combinati, hanno dato il verde sono ferro e rame.
Nel vago R55 I la colorazione è dovuta a ferro, rame, stagno, zinco e pochissimo
cobalto; inizialmente si credeva anche che fosse presente dell’oro, in realtà le
particelle si sono poi dimostrate concrezioni.
La particolarità di queste perle è che in nessuno dei due vetri si registra la presenza,
anche minima, di stagno e piombo, sono presenti invece gli unici due valori registrati
in tutte le perle di cromo (Cr) e cobalto (Co).
95
K20
4.8±0.4
3.1±0.5
1.8±0.3
6.8±1
5.2±0.8
0.8±0.2
2.5±0.4
6.3±0.2
F-
ZnO
CoO
SnO2
PbO
0.6±0.2
CuO
3.3±0.2
6±2.2
2.4±0.4
3±0.2
Sb2O3
MnO
Fe2O3
4.3±2
9.2±1.5
1±0.6
1.3±0.5
1.6±0.1
0.5±0.5
3.77±0.09
5.5±0.1
TiO2
Cl-
P2O5
1.7±0.4
2.1±0.7
4.8±1.3
0.6
1.6±0.7
2.6±0.5
SO3
MgO
1.8±0.1
1.5±0.3
1.6±0.2
1.6±0.2
CaO
4±0.2
5.5±0.5
7.2±0.5
5.9±1.2
Na2O
0.8±0.3
3±0.9
5.5±1.5
3.2±0.5
Al2O3
14.9±0.1
12.7±1.8
6.8±1
11.8±2.3
SiO2
60.5±1
62.3±0.6
56±4.6
46.6±3.9
K3 A
R41
R55 P
R28 B2
Rep.
6.5. Le perle ROSSE
Tab. 7: Composizione chimica espressa in percentuale in peso degli ossidi dei vaghi ROSSI.
I vaghi monocromi rossi sono in tutto quattro: R28 B2, K3 A, R41, R55 P.
Fig. 6.12. Vaghi rossi analizzati.
Per ottenere dei vaghi rossi opachi si sfrutta solitamente il rame, il rosso è quindi
determinato dalla presenza di particelle di ossido rameoso (cuprite, Cu 2O) e/o di rame
metallico, nel vetro.51
Verità indica anche, come aggiunte al vetro di base, oltre che rame e ferro, anche
piombo, stagno e, in alcuni casi, anche zinco e antimonio.
Nei vetri rossi analizzati da Verità la percentuale di ferro oscilla tra il 2 ed il 7%, ed è
sempre associato alla presenza di rame, si osserva infatti una correlazione tra i due
51
FIORI, VANDINI, MAZZOTTI 2004.
96
elementi, nei vetri con poco rame infatti è stato aggiunto più ferro, per avere uno
sviluppo del colore rosso.
La tecnica di produzione delle perle rosse è differente tra ambito longobardo ed
ambito romano; in alcune perle longobarde infatti il vetro rosso risulta mescolato al
colore giallo, in questo caso dovuto alla presenza di P2O5, che era forse aggiunto per
creare una particolare tonalità del rosso, tendente all’arancio52.
Nel vago R41 questa teoria è però da verificare dato che sono presenti sia Fe che Cu,
in grado di fornire una colorazione rossa, ma manca l’elemento colorante del giallo, e
la percentuale di P2O5 non sembra superiore rispetto a quella delle altre perle rosse.
Altre particolarità del vago sono una percentuale più alta di potassio rispetto al sodio,
ed una presenza di rame maggiore rispetto a quella del ferro.
Le perle rosse da noi analizzate sono tutte in pasta vitrea e la colorazione, a conferma
di quanto detto sopra è data dall’associazione di ferro e rame.
Nella perla R55 P la colorazione è data, oltre che da ferro e rame, anche dal bianco
creato da stagno e piombo, quest’ultimo presente in elevata quantità.
Fig 6.13. Osservazione al SEM (Foto 4), e rispettivo spettro, del vago R55 P, le particelle chiare si sono
rivelate ricche di ferro (11,5%) e piombo (10,77%).
52
VERITA’ 2012, cit. pp. 368-369.
97
MnO
Sb2O3
CuO
PbO
SnO2
CoO
ZnO
F-
K2O
/
0.22
42.6±2
10.3±0.6
/
/
2.4±0.4
1.2±0.2
P2O5
5.9±0.8
/
SO3
2.6±0.5
Fe2O3
MgO
0.8±0.1
4.9±0.4
CaO
4±0.3
TiO2
Na2O
0.4±0.1
0.9±0.3
Al2O3
5.7±0.4
Cl-
SiO2
17.9±1.3
0.5±0.2
Rep.
K10 C
6.6. K10 C, la perla GIALLA
Tab. 8: Composizione chimica espressa in percentuale in peso degli ossidi del vago K10 C.
L’unico vago giallo presente nel nostro studio è il K10 C.
Fig. 6.14. Vago K10 C.
La colorazione gialla può essere data da antomoniato di piombo, usato fino al V-VI
secolo, o dall’associazione di piombo e stagno.53
I vaghi gialli sono di difficile produzione, ma sono stati abbondantemente usati dal
popolo longobardo, vetro giallo opaco è stato ritrovato anche in molte località del nord
Europa, era infatti il colore più frequente nelle perle merovingie del VII secolo.
Nel nostro caso il colore è dato da cristalli di piombo e stagno, l’uso di vetro giallo
composto da pigmenti di piombo e stagno sarebbe attestato in Europa fin dal II secolo
a.C..
Probabilmente è stato fatto uso di un semilavorato aggiunto al fuso e raidamente
lavorato, il pigmento sarebbe quindi stato preparato lasciando reagire una miscela di
ossidi di piombo e stagno a temperature prossime a 800 °C 54.
I cristalli aghiformi presenti nel vago dimostrano la rapidità della lavorazione ed il
fatto che questa sia avvenuta a basse temperature.
53
54
FIORI, VANDINI, MAZZOTTI 2004.
VERITA’ 2012, cit. p. 372.
98
Fig 6.15. Osservazione al SEM del vago K10 C (foto 3), e rispettivo spettro, le particelle chiare si sono
rivelate ricche di piombo (56,9%) e stagno (18,6%). Nel cerchietto si può notare la presenza di cristalli
aghiformi.
99
CONCLUSIONI
Lo studio archeometrico effettuato in questa tesi costituisce un esempio di ricerca e
studio sistematico sulle perle vitree di siti romano-longobardi; mette inoltre in
evidenza l’utilità delle analisi diagnostiche applicate non solo in ambito strettamente
archeologico, ma anche nello studio più generale dei Beni Culturali.
Il ritrovamento di perle vitree, soprattutto in contesti tombali, riesce a restituire
informazioni importanti sulle personalità che le hanno possedute. La qualità delle
perle, la loro esecuzione e le loro decorazioni, quando presenti, esprimono la loro
destinazione funzionale e insieme, la qualità della società che ne usufruiva.
Le perle analizzate in questo studio provengono da un contesto appartenente a un
periodo storico di fondamentale importanza, quello delle “migrazioni”, che ha visto la
fusione tra il popolo longobardo e quello romano.
Tutti i manufatti appartenenti a questo periodo tendono ad assorbire e trasformare
stili e tecniche di altre culture; le perle qui analizzate ne sono l’esempio lampante,
tanto che alcune perle riflettono caratteristiche sia romane che longobarde.
La campagna di misure effettuata ha consentito di ottenere informazioni approfondite
soprattutto sulle tecnologie di colorazione. Le informazioni ricavate attraverso l’uso
congiunto di tecniche quali OM, SEM ed EDXS sono state utili anche per sviluppare
delle ipotesi sulle tecniche di produzione di questi vaghi. E’ stato così possibile
verificare le informazioni desunte dall’esame visivo dei reperti, che aveva già fornito
qualche indicazione in merito.
L’individuazione delle caratteristiche microstrutturali e chimiche della materia dei
vaghi consente di proporre una classificazione dei reperti. I tipi individuati a
conclusione del lavoro sono:
-
7 in base alla forma;
-
5 in base cromatica;
-
5 in base composizionale.
Tra i manufatti analizzati solo 7 sono risultati essere in tutto e per tutto dei vetri; 11
vaghi sono in pasta vitrea, 2 perle fanno parte di un gruppo non ancora identificato ed
i restanti 2 vaghi presentano caratteristiche composizionali intermedie tra quelle
identificative dei vetri e delle paste vitree.
100
Lo studio archeometrico delle perle ha permesso di notare come vaghi che
macroscopicamente appaiono simili, se non addirittura uguali, mostrano, alle indagini
microscopiche, caratteristiche assai diverse.
Per quanto riguarda la colorazione dei vaghi, si sono potute individuare le metodologie
di colorazione, combinando quanto desunto da alcune pubblicazioni con l’esperienza
pratica di produzione di vaghi vitrei.
REPERTO
R28 C
R8 C
K10 F
R36 B
R55 A
R6 H
R6 M
COLORE
Bianco
Bianco
Bianco
Bianco
Bianco
Bianco
Bianco
OSSIDI COLORANTI
R28 B
K3 A
R55 P
R41
Rosso
Rosso
Rosso
Rosso-Arancio
Fe2O3 + CuO
Fe2O3 + CuO
Fe2O3 + CuO
Fe2O3 + CuO
R8 E4
K10 D
R55 I
Verde
Verde
Verde
Fe2O3 + CuO
Sb2O3 + CuO + PbO
Fe2O3 + CuO
K10 C
Giallo
PbO + SnO2
K10 Q
K3 B
R42
R55 G
R55 L
R55 N
R6 B
Blu
Blu
Blu
Blu
Blu
Blu
Blu
Fe2O3
Fe2O3 + MnO
Fe2O3 + MnO
Fe2O3 + MnO
Fe2O3 + MnO
Fe2O3 + MnO
Fe2O3 + MnO
Sb2O3 + CaO
Sb2O3 + CaO
Sb2O3 + CaO
Sb2O3 + CaO
P2O5 + CaO
+ Fe2O3
+ SnO2 + PbO
+ P2O5 (da verificare)
+ MnO + CoO
+
SnO2 + ZnO
GRUPPO
Non identificato
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Non identificato
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Pasta vitrea
Intermedio
Pasta vitrea
Vetro
Pasta vitrea
Vetro
Intermedio
+ CoO (da verificare)
+
Sb2O3 + CaO
+
Sb2O3 + PbO
Vetro
Vetro
Vetro
Pasta vitrea
Vetro
Vetro
Pasta vitrea
Ci si è qui avvalsi di altri scritti di eminenti autori, come M.Verità e C.Fiori, che
avevano precedentemente affrontato il tema in studi simili.
Le colorazioni presenti nelle perle monocrome sono: blu, bianco, verde, rosso e giallo.

BLU: nel nostro caso è risultato quasi sempre derivante dall’associazione di
ferro e manganese, lo stesso risultato era stato osservato anche nello studio di
Fiori, mentre Verità aveva affrontato lo studio di perle blu la cui colorazione
101
derivava principalmente dal cobalto, che nelle nostre perle è presente solo in un
caso.

BIANCO: le perle bianche da noi studiate devono la loro colorazione
all’antimoniato di calcio e, in un solo caso, al fosfato di calcio. L’unico autore
che ci dà notizia dell’uso di questa metodologia è Verità, che lo associa alla
colorazione data da stagno e piombo; Fiori in questo caso parla di una
colorazione a base di ossido di stagno (in vetro non piombico).

VERDE: per questa colorazione la soluzione più usata è quella dell’associazione
di rame e ferro, come indicato anche nello studio di Verità. Fiori non parla di
questa possibile soluzione, ma indica come coloranti l’ossido di piombo e
l’associazione ferro-manganese.

ROSSO: il colore rosso è dovuto all’associazione rame-ferro, quest’associazione
è presente anche nelle perle rosse analizzate da Verità e nello studio di Fiori.

GIALLO: nell’unico esemplare presente è dato da piombo e stagno, associazione
presente anche nelle perle analizzate da Verità. Fiori nel suo studio parla invece
di antimoniato di piombo o antimoniato di stagno, che forniscono una
colorazione gialla quando presenti in vetri non piombici.
Dopo aver effettuato le analisi ci si è resi conto che le osservazioni di Verità e di Fiori
erano applicabili solo ad alcune delle nostre perle.
Ci troviamo davanti ad un contesto longobardo con svariati vaghi dotati di
caratteristiche tipicamente romane, come ad esempio la colorazione bianca data
dall’antimoniato di calcio.
Questo conferma quanto detto pocanzi a proposito della varietà dei materiali circolanti
durante l’epoca delle grandi migrazioni.
I numerosi studi che si sono consultati durante la stesura della tesi si sono potuti
confrontare con difficoltà a causa delle diverse procedure e dei diversi metodi
utilizzati.
Non è ancora stato effettuato uno studio unitario sulle perle vitree di questo periodo;
in questo studio si è quindi creata ed usata una “strategia analitica standard”.
Lavorando su questa base si sono riusciti ad ottenere risultati chiari e significativi;
questo porterebbe ad applicare questa strategia anche a futuri studi su tematiche
simili.
102
Tutte le teorie e le ipotesi enunciate sono state sviluppate proprio sulla base di questa
procedura, che ci ha permesso di confrontare tutti i risultati ottenuti in questo studio
con le riflessioni di altri autori e studiosi.
Questo confronto costante ci ha permesso di avvalorare il tutto con prove pratiche e
tangibili di ciò che è stato enunciato, ed allo stesso tempo ci ha permesso di
dimostrare la diversità degli elementi presi in considerazione nello studio delle perle
del periodo romano-longobardo.
Il tutto può essere confermato e “arricchito” con studi futuri, a partire da quello che
sicuramente sarà effettuato sulla parte restante delle perle della tomba 1 di Palazzo
Fulcis. A breve si darà infatti inizio ad un’altra campagna di studi incentrata
unicamente su alcune delle perle policrome analizzate, certi che questo sia un
ulteriore passo avanti nella conoscenza del periodo delle migrazioni, almeno per la
provincia di Belluno.
Solo alla fine di una sistematica campagna di studi ed analisi su tutti i possibili reperti
trovati in questa zona sarà possibile far luce sulle origini di queste perle.
Soprattutto sarà possibile collegare questa mia ricerca ad un ambito di studi più
generale sui rapporti intercorsi tra romani e longobardi nell’età delle migrazioni,
quantomeno per quel che riguarda le produzioni di perle.
Non mancano quindi suggerimenti per proseguire ed approfondire questo lavoro.
Un ulteriore approfondimento potrebbe riguardare lo studio delle perle R28 C ed R6 H,
che si ipotizza siano delle “faience” smaltate.
Queste perle sarebbero, alla luce dei discorsi fatti da Tite 55, molto più antiche delle
altre; sembrano infatti essere rivestite da uno strato di smalto, eroso con il passare
del tempo.
Per questo, pur essendo state classificate qui come monocrome bianche, queste perle
meriterebbero uno studio specifico che possa chiarirne natura ed origine, si potrebbe
ad esempio applicare la tecnica XRD (Diffrazione raggi-X).
La tecnica di diffrazione dei raggi X ci permetterebbe di osservare la struttura dei
vaghi, nel caso fossero faience sarebbe presente una struttura cristallina, se invece
fossero dei vetri questa non sarebbe presente data la natura amorfa del materiale;
55
TITE, SHORTLAND 2008.
103
questa tecnica sarebbe utile anche per un ulteriore studio delle strutture dei vaghi che
abbiamo definito in “pasta vitrea”. Questi dovrebbero contenere al loro interno delle
fasi cristalline disperse, che ne determinano l’.
Un altro approfondimento potrebbe riguardare le perle K10 Q e R41, una blu e l’altra
arancio. Il problema qui riguarda le metodologie di colorazione, che non appaiono
chiare, la K10 Q è blu, manca il manganese, ed è presente del cobalto, ma non in
quantità sufficienti a garantire la colorazione del vago; la R41 è invece arancio, qui
sono presenti sia Fe che Cu, che, come già detto, comportano una colorazione rossa,
quello che “manca” è un ulteriore elemento che schiarisca il rosso fino a portarlo al
colore arancio del vago.
104
105
1±0.2
1.6±0.3
5.4±0.2
0.42±0.06
4.2±0.1
1.2±0.1
0.5±0.3
0.9±0.2
4.8±0.4
0.8±0.2
3±0.2
1.5±0.3
0.87
1.6±0.4
3.77±0.09
2.1±0.2
1.5±0.1
0.37
1.44
0.59
0.7±0.1
5.9±0.2
8.5±0.2
4.2±0.5
76±0.07
K10 Q
0.5±0.2
0.5±0.5
0.25±0.05
1.44±0.06
1.7±0.4
0.68
1.8±0.1
5.9±1.2
3.2±0.5
11.8±2.3
62.3±0.6
K3 A
0.54±0.09
0.98±0.06
6.9±0.2
4.3±0.3
0.31±0.06
8.5±0.4
1.2±0.1
3.4±0.2
73.8±0.9
66.9±1.1
12.3±0.3
K3 B
R36 B
5.1±0.3
1.4±1
8±1.3
3.19±0.09
1.18±0.08
0.4±0.1
0.85±0.06
0.8±0.4
1.2±0.4
4.7±0.5
0.9±0.1
10.6±0.5
62.1±1.6
K10 F
4.9±0.4
1.2±0.2
0.9±0.3
2.2±0.9
4.4±1.2
4.2±1.8
0.9±0.3
1±0.9
0.4
1.3±0.2
4.4±0.9
1.9±0.1
13.2±0.9
59.7±4.5
K10 D
1.2±0.2
2.4±0.4
10.3±0.6
42.6±2
0.22
4.9±0.4
0.9±0.3
0.6±0.2
5.9±0.8
2.6±0.5
0.8±0.1
4±0.3
0.4±0.4
5.7±0.4
17.9±1.3
K10 C
5.5±0.3
0.6±0.2
0.4±0.1
1.1±0.1
1.6±0.3
2.7±0.7
0.7±0.1
1.6±0.1
6,9±1.3
3.9±0.9
1.2±0.1
0.48±0.09
1.3±0.4
1.2±0.3
1.5±0.3
6.2±1.2
1.6±0.3
12.7±1.3
55.4±1.5
R8 C
4.1±1
0.5±0.1
1.1±0.3
1.1±0.2
0.5±0.4
1.2±0.2
7.1±0.5
8.6±1.6
5.7±0.9
63.8±1.4
R8 E4
1±0.2
4.9±0.6
0.5±0.3
0.28
1.4±0.3
1±0.2
6.6±5
0.4±0.3
4.7±0.1
79.5±5
R28 C
6.3±0.2
PbO
0.6±0.2
Cr2O3
K2O
F-
ZnO
CoO
SnO2
CuO
Sb2O3
MnO
Fe2O3
TiO2
Cl-
P2O5
SO3
MgO
CaO
Na2O
Al2O3
SiO2
Reperto
3.3±0.2
5.5±0.1
2.6±0.5
1.6±0.2
4±0.2
0.8±0.3
14.9±0.1
60.5±1
R28 B 2
Tab. 9: Composizione chimica espressa in percentuale in peso degli ossidi di tutte le perle analizzate.
106
1.8±0.4
1.7±1.1
1.1±0.2
5.9±0.4
0.3±0.1
0.29
1.6±0.5
2.2±0.4
0.5±0.1
6.8±1.5
0.7±0.1
1.1±0.2
6.5±0.4
8±5.9
2.1±0.7
4.7±0.6
1.04
3.3±1.4
3.1±0.5
2.5±0.4
1.8±0.3
6.8±1
6.9±2.5
9.2±1.5
2.4±0.4
0.45
0.84
3.3±0.8
1.6±0.1
4.8±1.3
1.6±0.2
7.2±0.5
5.5±1.5
6.8±1
46.6±3.9
R55 P
1.2±0.6
2.6±1.9
0.9±0.6
8.9±3.7
0.8±0.2
1.4±0.2
0.3±0.1
1.1±0.4
0.7±0.3
0.9±0.2
0.9±0.1
5.7±1.9
4±0.9
7.1±3.3
71.4±2.1
R42
6±2.9
0.7±0.3
5.9±1.1
12±7
3.4±0.1
0.33
1.3±0.3
1.2±0.4
10.8±1.2
0.9±0.3
6.2±4
48.2±9.6
58.9±8.6
67.2±1
11.3±0.3
R6 B
R6 H
R6 M
0.93±0.08
0.6±0.3
1.34±0.09
1.6±0.2
1.76±0.07
0.6±0.2
0.8±0.2
6.5±0.2
14±0.4
2.9±0.1
69.2±0.6
R55 N
0.87±0.04
0.3±0.1
1.1±0.4
0.7±0.2
1.1±0.1
2.1±0.3
1.1±0.18
0.15
0.3±0.2
0.85±0.08
7.6±0.3
14.5±0.9
2-4±0.3
66.9±0.1
R55 L
5.9±0.8
2±1.5
1.6±0.3
5.1±0.2
5.2±0.8
Cr2O3
K2O
F-
ZnO
CoO
0.6±0.2
1.8±0.5
SnO2
PbO
CuO
Sb2O3
Fe2O3
1.9±1
6±2.2
4.3±2
TiO2
Cl-
1.3±0.5
1±0.6
P2O5
SO3
MgO
CaO
Na2O
Al2O3
SiO2
Reperto
2.1±0.7
1.6±0.7
1.5±0.3
5.5±0.5
3±0.9
12.7±1.8
56±4.6
R41
MnO
2.9±0.8
5.7±2.1
1±0.5
0.8±0.3
2±1.1
0.63
1.8±0.4
5.2±1.1
2.1±0.4
12.7±1.4
58.6±4.6
R55 A
2.2±1.8
3.7±1.2
0.7±0.2
0.9±0.2
1.1±0.7
0.8±0.4
1.3±0.3
4.2±0.4
2.7±0.9
13.3±0.8
62.3±3.1
R55 G
1.8±0.5
3.5±0.7
3.1±0.8
1.2±0.1
0.3±0.1
1.7±0.1
1±0.2
7.9±0.5
10.7±1.8
3.4±0.4
61.3±2.4
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