nera e femminista
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REGATT 14-2010.qxd 21/07/2010 16.41 Pagina 454 Te o l o g i a A M E R I C A L AT I N A n era e femminista Intervista alla teologa Maricel Mena López Q uarantatreenne, afrocolombiana, laica cattolica e attualmente docente di Nuovo Testamento alla Pontificia università saveriana di Bogotá, ma già insegnante di Antico Testamento alla Scuola superiore di teologia di São Leopoldo, della Chiesa evangelica di confessione luterana del Brasile, Maricel Mena López è una delle figure emergenti della teologia latinoamericana, di cui incarna l’intreccio tra la teologia della liberazione, quella nera e quella femminista. – Da dove nasce la teologia afroamericana? «La teologia afroamericana si inserisce nel filone della teologia della liberazione, al pari delle teologie indie, delle teologie contadine e della teologia gay. La teologia della liberazione riduceva i problemi sociali alla categoria di classe, ma ha permesso la nascita di altre teologie legate alla vita e alle lotte di donne, neri, indigeni e, molto timidamente, delle persone con un diverso orientamento sessuale. La teologia afroamericana nasce dalla discriminazione razziale e dall’esperienza di Dio vissuta dalle comunità nere in tutto il continente. Essa propone una riflessione radicata nelle nostre cosmovisioni culturali e religiose, a cominciare dal culto praticato da diverse comunità afrocattoliche. In Colombia, per esempio, il lumbalú, una danza funebre introdotta dagli schiavi e dalle schiave giunti a Cartagena das Indias, è praticato per favorire l’accesso del defunto alla di- 454 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2010 mora degli antenati. La morte, infatti, costituiva l’unica possibilità concreta di legare il tragico presente degli esuli alle radici della loro identità africana nonché, paradossalmente, un meccanismo di resistenza e lotta per la conquista della terra. Nella cosmovisione africana, quindi, vita e morte, che hanno origine divina, si integrano: gli antenati proteggono e confortano chi viene maltrattato, la famiglia si estende ai defunti considerati viventi, questa fratellanza comprende alberi, piante, attrezzi e oggetti che servono all’essere umano, in particolare la terra dove si nasce, si semina e si è sepolti. L’elemento ancestrale è poi una forma in cui il sacro si perpetua nella vita delle persone e parlando dei fondamenti primordiali di un gruppo gli permette di preservare la propria identità. Mentre gli occidentali separano il divino-spirituale (inteso come superiore) dall’umano corporale (considerato inferiore), afroamericani e afroamericane si esprimono nelle cerimonie con tutto il corpo, superando questi dualismi». Dal quotidiano delle donne – Come si sviluppa la teologia nera femminista? «Essa nasce dalla necessità di produrre teologia a partire dalla vita comunitaria e religiosa di donne latinoamericane nere sia cristiane sia appartenenti ai culti afroamericani. Si preoccupa prima di tutto della triplice oppressione – di classe, di genere e di razza – che ne caratterizza l’esistenza nelle nostre società. Noi donne nere, infat- ti, ci scontriamo non solo con il razzismo e il sessismo della società dominante e delle sue strutture patriarcali, ma anche, da una parte, con il razzismo di un movimento femminista dominato da donne bianche e, dall’altra, con l’antifemminismo e l’eterosessismo normativo del movimento nero, che non di rado esprime un maschilismo violento ed esalta il “super-maschio”. Quindi la riflessione teologica è un secondo momento di una teologia prima che è il quotidiano delle donne. Questa teologia vuole rendere manifesta la rivelazione di Dio nella vita delle donne povere e nere. Interpreta la realtà come una fonte di emancipazione e cerca di ripensare l’esperienza del divino nella loro corporeità. Punta a decostruire i sistemi politici che hanno prodotto schiavitù, protestando anche nel silenzio, nelle canzoni, nelle poesie, nel cibo ecc. Si esprime nel linguaggio parlato, nei simboli, nei gesti, nel corpo, nell’estetica ecc. Collega processo di liberazione e fede delle donne nere. La teologia nera femminista parte non solo dal dolore per la discriminazione e il razzismo vissuti dalle donne nere, ma anche dalle loro lotte e resistenze. Pur senza dimenticare che continuano a essere schiave della fame, delle malattie e dei più alti tassi di disoccupazione, le riscatta dal ruolo di “povere”, domestiche e schiave, inventato dagli eruditi che formarono l’immaginario socio-religioso – giacché esse vi furono ridotte da un processo di genocidio e saccheggio del loro popolo – e le recupera come detentrici di potere e sapienza». REGATT 14-2010.qxd 21/07/2010 16.41 Pagina – Quali sono le principali caratteristiche della teologia nera femminista? «Prima di tutto l’accento posto sulla vita quotidiana come base per la riflessione sulle esperienze di fede, che coinvolgono i corpi delle donne, le loro storie, i loro luoghi geografici. Il Dio che partecipa a queste esperienze è la forza che stimola mutamenti nelle relazioni di genere, dove c’è violenza, tanto nell’ambito privato quanto in quello pubblico. Esse mettono in questione elementi culturali indiscutibili per l’androcentrismo, che considera il maschilismo connaturato alla cultura nera, nascondendo così le asimmetrie di genere e la partecipazione delle donne alla storia delle comunità. In questo modo nascono rapporti più armoniosi ed equilibrati tra uomini e donne. In secondo luogo, le donne rivendicano i propri corpi come spazi sacri di rivelazione, in risposta a una società che ha svalutato il corpo della donna nera e di una teologia che per secoli l’ha considerato “corpo del peccato”. Il corpo è lo spazio in cui confluiscono le nostre gioie, le nostre angosce, le paure, la fede e la speranza, cioè in cui la donna nera sperimenta il mondo in modo speciale. A partire dal corpo si aprono nuovi spazi in cui accade la salvezza. Un terzo elemento è il recupero della tradizione orale come memoria storica di resistenza. Le donne nere hanno giocato un ruolo importante nella conservazione dell’eredità culturale di origine africana. La parola è potere, trasmette forza ed esercita una funzione didattica nel preservare l’armonia della comunità. L’oralità non si esaurisce nelle parole dette, ma si estende al silenzio, al corpo, al movimento, al non sapere. Fondamentali sono anche la memoria degli antenati e la relazione armoniosa con la natura, che collocano l’essere umano nel ciclo della vita in perenne rinnovamento, nonché la lotta per una società giusta in un’America Latina in cui la mentalità colonialista continua ad alimentare ideologie razziste, sessiste e classiste, e dove la povertà è particolarmente diffusa tra le donne nere. Noi scegliamo una teologia capace di riconoscere il nostro valore e il nostro contributo, d’includere le nostre esperienze come parte del linguaggio 455 teologico. Così affermiamo la nostra soggettività, che ci aiuta a riflettere in modo autonomo sulle nostre esperienze di fede e rafforza la lotta per superare la dominazione patriarcale». Una fede sincretica – Come si affronta il rapporto tra cristianesimo e religioni afroamericane? «La teologia nera femminista propone una nuova inculturazione, che non veda protagonista solo chi reca il messaggio, ma prima di tutto il popolo con le sue culture. Non si tratta d’innestare simboli di un universo religioso in un altro, ma assumere e rispettare le ricchezze culturali e religiose di culture non egemoni. Il dialogo con le religioni afroamericane deve essere condotto a partire dal concetto di “macroecumenismo”, che cerca di superare i limiti imposti dai termini “ecumenismo” (limitato alle Chiese cristiane) e “dialogo interreligioso” (che non sempre esprime la necessità di una pratica comune per la pace e la giustizia). Il macroecumenismo implica rispetto per le differenze religiose e ricerca di azioni comuni a favore di una vita dignitosa per tutte e tutti. D’altro canto la fede sincretica è una pratica comune nelle nostre comunità, come in tutte le situazioni in cui vengono a contatto culture diverse. Tuttavia la parola “sincretismo” è stata usata in senso peggiorativo per definire le religioni di matrice africana come sinonimo di mescolanza, non autenticità e arretratezza, per cui la pratica sincretica cattolica è stata condannata. Eppure a Salvador de Bahia, in Brasile, c’è la chiesa del Bomfim, che omaggia il patrono della città, Nosso Senhor de Bomfim, ma anche Oxalá, divinità afrobrasiliana della pace: sono stati gli africani a corrompere il cattolicesimo portoghese o questo ha violentato le tradizioni ancestrali dei primi? Ovviamente le influenze buone e cattive sono state reciproche. Per questo rivendicare la fede sincretica significa richiamare il contributo africano alla formazione della cultura latinoamericana. Il sincretismo rende esplicita la reciproca influenza tra Vangelo e cultura. Tutti questi elementi rivelano che la nostra teologia è carica di emozioni, è presente nei nostri corpi, perciò ha una razionalità diversa che esige spazi e metodi di riflessione differenti. Non è possibile esprimere un sentimento dentro una razionalità ufficiale, tradizionale. Per questo è importante stabilire un dialogo tra le tradizioni cristiane e quelle afroamericane, affinché la nostra teologia sia più ampia e pluralista, rispettando il nostro diritto a esprimere le nostre spiritualità differenti». – Come si è tradotta questa riflessione nel suo lavoro di esegesi biblica? «Innanzitutto mi sono dedicata alla ricerca di radici afroasiatiche nella Bibbia e allo studio dell’influenza dei popoli di origine africana (Egitto, Cush o Etiopia, Saba o Arabia) nella formazione della tradizione giudeocristiana. Così, per esempio, secondo “la tavola dei popoli” (cf. Gen 10), Cush avrebbe influenzato Arabia e Mesopotamia e la sua discendenza avrebbe costituito il primo grande impero della terra. D’altro canto Israele si forma come popolo in Egitto, dove viene allevato Mosè e cinque delle dodici tribù (Giuda, Beniamino, Levi, Efraim e Manasse) hanno origini africane, discendendo da Cush o Cam. Tuttavia, mentre la tradizione jahvista sottolinea queste radici africane, quella sacerdotale tende a sminuirle. Al tempo di Salomone, poi, Gerusalemme è un centro cosmopolita, dove confluiscono culture e religioni diverse, tra cui quelle provenienti dall’Africa. Salomone sposa una figlia del faraone, organizza una corte sullo stile di quelle egiziane con un harem molto numeroso, che probabilmente, come in Egitto, era una scuola in cui si istruiva nella sapienza. La stessa regina di Saba viene a mettere alla prova la sapienza di Salomone, il che fa pensare fosse lei a possederla. Altre figure di donne nere vanno riscattate dai ruoli di schiava, strega e seduttrice. Così Agar, la serva egiziana di Abramo, non è solo la madre di una grande nazione, i popoli arabi, ma è l’unica donna che nella Bibbia parla direttamente con Dio e gli attribuisce un nome (cf. Gen 16). E Sipporà, moglie di Mosè, è la sola donna a circoncidere un fanciullo (cf. Es 4,24-26), atto che la religione israelitica riservava ai maschi. Proprio questo ruolo sacerdotale della donna cushita pare all’origine dell’ostilità di Maria e Aronne nei suoi confronti, in un conflitto che sembra IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2010 455 REGATT 14-2010.qxd 21/07/2010 16.41 Pagina vertere sull’autorità religiosa (cf. Num 12 ed Es 18). Se, infine, è appurato che il giudaismo era praticato in Etiopia dal X secolo a.C., gli etiopi s’inserirono molto presto nel movimento cristiano primitivo, come si ricava da At, 8-2740, mentre normalmente si dice che esso vi arrivò nel III-IV secolo, con san Frumenzio. Tutto ciò si è rivelato molto utile nel lavoro con le donne afrocolombiane, perché esse hanno scoperto che il cristianesimo non era giunto loro solo tramite la colonizzazione, ma c’era un’eredità ben più antica». – Ci sono altre teologhe nere che lavorano su queste tematiche in America Latina? «Sì, per esempio le brasiliane Silvia Regina da Silva Lima e Sonia Quirino, ma non siamo molte. Io sono stata la prima donna nera a ottenere un dotto- Perù Eduardo Arens Kückelkorn Privato della missio canonica C on una nota inviata in agosto all’Istituto superiore di studi teologici «Giovanni XXIII» (ISET; un centro fondato da diverse congregazioni religiose interessate a promuovere una formazione «che tenesse conto delle condizioni storiche e socioculturali in cui i futuri operatori pastorali realizzeranno il proprio ministero»), ma di cui è stata pubblicamente rivelata l’esistenza solo a fine novembre, il card. Juan Luis Cipriani Thorne, arcivescovo di Lima, appartenente all’Opus Dei, ha privato della missio canonica, cioè dell’autorizzazione all’insegnamento, il marianista p. Eduardo Arens Kückelkorn, considerato il principale biblista del Perù e impegnato in un lavoro sociale nella linea della teologia della liberazione in alcuni pueblos jovenes della periferia di Lima. Non sono state tuttavia rese note le motivazioni del provvedimento, esteso peraltro ad altri tre docenti dell’ISET, il carmelitano p. Luis Asenjo, p. José Rivadeneira, del- 456 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2010 456 rato in Teologia in America Latina e oggi siamo tre o quattro, ma gli spazi di confronto e scambio a livello continentale sono pochi». – Nelle Chiese di Brasile e Colombia si stanno compiendo passi avanti nel comprendere e dare spazio alla negritudine e alla questione della donna nera? «Si stanno compiendo i primi, piccoli, passi, perché non si tratta di accettare vestiti o tamburi nella liturgia, ma di mettere in relazione queste elaborazioni teologiche, ancora incipienti, con la pastorale afro, che comunque esiste». – Come può contribuire la teologia afroamericana alla riflessione sul pluralismo religioso? «Mi pare che una sfida stia nell’approfondire il tema trinitario, del Dio uno e trino, perché anche la tradizione afro sottolinea la relazione tra unità e molteplicità del divino. Inoltre Maria può essere letta insieme a Yemanjá, la “madre di tutti gli orixás” (antenati divinizzati) del culto yoruba, la cui venerazione spesso si confonde nella religiosità popolare, e alla figura femminile presente in tutte le religioni fino alla “Dea madre”. Anche nella storia di Changó – primo re della nazione yoruba che viene perseguitato ed esiliato, per cui per la disperazione si impicca a un albero, ma poi risorge e ascende al cielo divenendo l’orixá più potente – ci sono parallelismi con la vicenda di Gesù: entrambi sono designati re, subiscono persecuzioni, muoiono appesi, discendono nel mondo inferiore, risuscitano, salgono al cielo e diventano un divino immortale». a cura di Mauro Castagnaro la diocesi di Callao (poi reintegrato) e il patrologo Juan Carlos Bellina, ex agostiniano tornato allo stato laicale. Secondo p. Hugo Caceres Guinet, religioso della Congregazione dei Fratelli cristiani ed ex alunno di p. Arens, che ha denunciato l’intervento censorio, esso «si deve al fatto che Arens predica nella parrocchia di Santa María Reina di fronte ai rappresentanti di un potente settore economico e politico della città e a molte altre persone che, sebbene non vivano tra San Isidro e Miraflores, accorrono alla messa di Eduardo da altri quartieri ugualmente ricchi, perché preferiscono il suo stile diretto, franco e acuto ai noiosi sermoni di taglio moralista e colpevolizzante sempre più frequenti a Lima, inclusi quelli del cardinale. La predicazione di Eduardo è soprattutto umana e ricorre al Vangelo per illuminare la vita comune dei fedeli e incoraggiarli a praticare la fede oltre gli inginocchiatoi della Chiesa. Cosa potrebbe infastidire il cardinale più del fatto che padre Arens abbia tra gli uditori la classe sociale che l’Opus Dei e altri gruppi affini mirano a controllare?». Altri osservatori hanno ricordato che già alla fine del 1999 mons. Cipriani, non ancora cardinale, aveva negato il rinnovo della missio canonica a p. Arens, proibendogli di celebrare l’eucaristia nell’arcidiocesi perché «non versava acqua nel vino, non menzionava il nome del vescovo durante la messa e il suo stile celebrativo era molto popolare». Il biblista, col sostegno del suo ordine religioso, era ricorso direttamente alla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, la quale aveva respinto le ragioni addotte per la sanzione, per cui p. Arens era stato reintegrato nell’insegnamento. Il nuovo veto sarebbe allora un modo con cui il cardinale intenderebbe affermare la propria autorità assoluta sulla Chiesa di Lima. Secondo altri ancora le accuse contro p. Arens riguarderebbero «i suoi dubbi sulla verginità di Maria dopo la nascita di Gesù e la sua giustificazione dell’ordinazione sacerdotale delle donne». In queste settimane l’interessato ha mantenuto il silenzio, salvo intervenire con una lettera al direttore del quotidiano La República in risposta a un articolo in cui si assimilava la sua situazione a quella di p. Ricardo Padró, cui il cardinale aveva vietato di esercitare il ministero sacerdotale nell’arcidiocesi separando anche l’associazione civile Comunità di Gesù da lui fondata nel 1984: «Debbo chiarire – ha precisato p. Arens – che continuo a esercitare il ministero sacerdotale. È vero che ci sono state situazioni su cui dovevo fare chiarezza. Queste si sono risolte dopo un cordiale incontro col cardinale, che con diritto e a ragione ha richiamato la mia attenzione su una lunga serie di leggerezze da parte mia. Non ha decretato la mia esclusione». Visto il precedente di dieci anni fa e il fatto che i provvedimenti del cardinale coinvolgono altri preti e istituzioni, resta il dubbio che il caso non sia chiuso e anche stavolta toccherà alla fine a Roma dirimere la controversia. M. C.