periodico culturale - Unione Associazioni Culturali

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periodico culturale - Unione Associazioni Culturali
L’Intellettuale
Dissidente
“
Nietzsche
“
Non vuoi oggi salire su un alto monte?
L’aria è pura, e si può scorgere più mondo che mai
Direttore: Sebastiano Caputo Caporedattore: Lorenzo Vitelli
Dicembre 2013 Anno II - Numero uno
LA FUGA O LA RIBELLIONE
Il Suicidio dell’Occidente
Da società illuminata, tollerante, libera, rispettosa dei diritti umani, i
posteri la ricorderanno come la più grande tirannia che a differenza
delle altre, non ha mai firmato i suoi crimini
opo la resa del nazi-fascismo e il crollo
dell’Unione Sovietica – “l’impero del
Male”, come veniva definito dalla
propaganda
statunitense
-,
l’intellettuale di regime Francis Fukuyama
annunciò al mondo intero in un articolo pubblicato nel 1992 dal titolo “The End of the History
and the Last Man”, che la storia era finita per
sempre.
La democrazia doveva essere intesa come
“terra promessa” di tutti i popoli e di tutte le
nazioni del mondo. La Storia invece, concepita
hegelianamente, come una linea retta con un
punto d’inizio e un punto di arrivo.
Forte della sua convinzione messianica e
civilizzatrice, l’Occidente si è autoproclamato il
“migliore dei mondi possibile”, ha deciso di
estendere il suo Apostolato, di colonizzare
culturalmente ed economicamente il mondo
arabo-musulmano, poi il continente sudamericano, ed infine quello africano ed asiatico.
Quello stesso Occidente pieno di contraddizioni, che si regge su una percentuale ridicola di
D
votanti, dove i politicanti rubano, si attaccano
alle poltrone, per poi essere ugualmente
nominati dai padroni di turno, dove la sinistra è
economicamente più a destra della destra,
dove gli schieramenti estremisti vengono
condannati eccetto se israeliani, dove i deputati
“democraticamente eletti” girano con la scorta
per paura di essere aggrediti, dove il progresso
borghese ha distrutto la storia, dove esistono
cittadini di prima e di seconda categoria, dove lo
Star System passa dai reality Show al Parlamento, o dal Parlamento ai reality Show. Dove
chi contesta il Potere viene collocato nella
categoria “populisti” dell’albo d’oro della democrazia. Dove i manager guadagnano 163 volte
più degli operai, dove la stampa cosiddetta
“libera” è in mano a potentati economici (lobby,
partiti, multinazionali), dove si esporta la pace
con le bombe della Nato, dove tutti parlano dei
diritti delle minoranze abbandonando la
maggioranza al proprio destino, dove gli uomini
di destra fanno i militaristi con le armi degli
americani, dove gli immigrazionisti sono idioti
utili del Capitale che necessita di nuovi schiavi,
dove i radical chic difendono la vita degli animali
per poi si dichiararsi apertamente abortisti,
dove gli anti-razzisti e i “cittadini del mondo” con
la loro retorica filantropica legittimano
l’omologazione culturale dell’umanità, dove gli
affaristi e gli speculatori organizzano le campagne di beneficienza, dove le donne “rifatte”
sono più libere delle donne velate.
Dove ci si riempie la bocca con parole come
“crescita”, “progresso” e “sviluppo”, dove tutti
parlano di spread, Pil e percentuali della Borsa
mentre le imprese chiudono, le famiglie perdono potere d’acquisto, i giovani non trovano
lavoro.
L’Occidente dei Lumi è troppo arrogante per
tornare indietro. Preferisce suicidarsi sul suo
binario morto piuttosto che guardarsi attorno e
capire che esistono altre realtà sociali e culturali. Saltare dal treno o farlo implodere dall’interno
per salvare il salvabile. Fuggire o ribellarsi.
Italia
“Il governo Aspen Italia”
di Flaminia Camilletti
pag. 2
Esteri
“L’Iran, un Paese libero, democratico e pacifista”
di Alessio Caschera
pag. 4
Economia&Europa
“Il gioco perverso del Meccanismo Europeo
di Stabilità”
di Kirios Di Sante
pag. 6
Sebastiano Caputo
Società
“$ Factor: il Talent show come
ultima umiliazione dell’arte”
di Rfr
pag. 11
Produzione e consumo La dialettica dello spirito post-moderno
di Lorenzo Vitelli
P
er interpretare il paradigma
in cui viviamo - l'Occidente
post-moderno – è necessario servirsi di una chiave di
lettura che sintetizza due criteri
interdipendenti. L'Occidente può
riassumersi secondo un quadro
spazio-temporale in cui dialogano
dialetticamente la sfera – o il luogo
– della produzione e quella del
consumo. Se è vero che tutta la
Storia può essere soggetta ad una
simile scomposizione, ci sembra ad
ogni modo utile analizzare le
perverse derive del rapporto che
queste due sfere hanno instaurato,
dopo il 1945, con sé stesse e con
l'individuo.
Sembra ovvia, in un primo momento, la perversione in luogo del
consumo, all'interno della quale
l'attività consumistica, da che era
semplice
soddisfacimento
dei
bisogni naturali, è divenuta ciclico
annientamento – accompagnato
dall'immediata rinascita – del
desiderio. Questo movimento a
spirale in cui convogliano le passioni insaziabili dell'umanità, ha come
conseguenza un'alienazione, prima
inesistente in questa sede, dell'individuo nell'atto del consumo.
L'oggetto - risultato del lavoro
accumulato nel processo di produzione – è esso stesso alienante nel
suo uso e interviene, sempre di più,
a mediare la realtà tramite gli
strumenti della tecnologia. Ogni
evento, di portata anche minimamente fuori dall'ordinario, è separato dalla percezione sensoriale
attraverso smartphone e telecamere, reso condivisibile e così del tutto
ordinario – proprio perché banalizzato, ripetuto all’ordine del giorno.
Le ultime innovazioni tecniche sono
gli oggetti totalizzanti del consumo,
in cui si condensa la possibilità
generalizzata ed indiscriminata di
accesso al temporaneo soddisfacimento di qualsiasi desiderio
(comunicativo,
sessuale,
di
accumulazione). L'uomo aliena sé
stesso, esce dalla sua individualità,
ragiona come l’oggetto e diviene
oggetto di una realtà mediata,
virtuale, sempre più interconnessa,
sempre più social, ma meno sociale.
L'epoca industriale era invece
caratterizzata
dall'alienazione
dell'individuo nel solo luogo di
produzione. L’alienazione della
forza lavoro in cambio di un salario
era atta, secondo l’analisi marxista,
a creare un rapporto alienante con
sé stessi e con l’oggetto: che non
rappresenta più il risultato del
proprio operare, ma la sola oggettivazione del sé nella catena di
montaggio. L’uomo diviene oggetto
secondo un determinato contratto
che definisce le modalità di uso e di
abuso della sua forza lavoro. Egli è
merce tra le merci.
Ora dobbiamo dire che le dinamiche
odierne
dell'alienazione
all'interno del processo di produzione sono cambiate con la terziarizzazione dell'economia e la flessibilità dei rapporti che legano salario e
Capitale. Entrambe cause degli
sviluppi del libero mercato, della
concorrenza e della globalizzazione, queste modificazioni strutturali
dei modi e dei rapporti di produzione intervengono per rispondere
rapidamente alle esigenze della
Domanda, si organizzano secondo
il criterio di flessibilità, che si
conclude inevitabilmente, una volta
smantellato lo stato sociale, con la
precarietà. L’individuo si aliena
nella sua condizione di precario –
dal latino “che prega”, essenzialmente per qualcosa che non ha –
ovvero in una condizione di
mancanza. Si contano così, oggi, in
Italia, 3 milioni di “schiavi salariati” a
tempo determinato che alienano
non solo la loro forza lavoro, ma
anche il loro futuro, nell'incapacità
di costruire progetti a lungo
termine, quindi del tutto vittime dei
capricci del Capitale, apolide,
sregolato, globale. Il Capitale,
dunque, estrae il suo plus-valore,
questa volta, dallo statuto allarmante della “crisi” - gonfiato dai media –
che diviene topos di incertezza, di
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paura e sacrificio, che fa in modo
che il precario preghi per alienare,
nello schema descritto, la sua forza
lavoro e la sua individualità
nell’accettazione, addirittura felice,
delle
clausole
arbitrariamente
imposte.
Produzione e consumo sono
dunque due sfere chiuse secondo
un modus operandi categorico che
descrive esaustivamente il funzionamento
dell’ordine
organico
Occidentale.
L’individuo
post-moderno, vincolato al conformismo sociale e al contratto precario,
sembra
destinato
all’alienazione di orwelliana memoria. Il declino dell’Occidente – dal
latino “occidere”, appunto, “tramontare” – è il tramonto dell’Uomo,
atrofizzato nel dialogo tra produzione e consumo, che segnano, in un
rapporto
degenerato,
l’appiattimento totalitario di ogni
esistenza annessa, per forza di
cose, a questo schema. Esso, in
tutta la sua teorizzazione, si rivela
dispoticamente immanente al reale.
2
Italia
Dicembre 2013
Lobby Di queste organizzazioni se ne è parlato solo da quando è stato avviato l’esperimento tecnocratico di Mario Monti
Il governo Aspen Italia
di Flaminia Camilletti
L’
Aspen Institute Italia, è la
versione
italiana
di
un’associazione
già
esistente negli Stati Uniti
dagli anni Cinquanta, quando fu
fondata per “incoraggiare le leadership
illuminate”.
Nasce
per
“l’approfondimento, la discussione,
lo scambio di conoscenze, informazioni e valori. È un’associazione
privata, indipendente, apartitica e
senza fini di lucro”. Così recita il sito
online ufficiale. L’Aspen Institute
approda in Italia grazie a Giulio
Tremonti nel 1984 ed è, in sostanza, un centro d’intelligence con
sede a Roma e Milano che opera
per influenzare la politica e il governo del nostro Paese.
Il “metodo Aspen”, infatti, privilegia
il confronto ed il dibattito “a porte
chiuse”,
perché
lo
scopo
dell’associazione non è quello di
trovare risposte unanimi e rassicuranti, ma di mettere insieme quei
valori
che possano “ispirare”
(influenzare?)
una
leadership
moderna. Questo è quanto recita
l’organizzazione stessa. In pratica
si cerca di dettare l’agenda dei
governi delle rispettive nazioni di
appartenenza e lo si dice senza
remore nel “chi siamo” del sito .
Dicono di privilegiare il dibattito a
porte chiuse, come mai? Se si tratta
di un’associazione che vive per il
dibattito, l’approfondimento, la
Disagio sociale
discussione,
lo
scambio
di
occidentale. Abbiamo, tra i nomi più
conoscenze, informazioni e valori,
celebri: Gianni Letta, Enrico Letta,
a cosa serve discutere “a porte
Luigi Abete, Lucia Annunziata,
chiuse”? Da qualche mese a
Francesco Caltagirone, Fedele
questa parte giovani giornalisti
Confalonieri, Umberto Eco, Franco
rampanti, ma non solo, hanno
Frattini, Emma Marcegaglia, Paolo
cominciato a parlare e a scoprire
Mieli, Romano Prodi, Giuliano
che da secoli si tengono riunioni
Amato, Mario Monti, Tommaso
come quella del club Bilderberg,
Padoa Schioppa, Corrado Passera,
ormai sulla bocca di tutti, che
John Elkann e chiaramente Giulio
esistono associazioni ambigue, per
Tremonti che ne è anche Presidenusare un eufemismo, come la
te. Ovviamente la lista non finisce
Commissione Trilaterale o il Forum
qui, questi sono solo alcuni dei
Ambrosetti. Ormai sono infatti
nomi più rappresentativi.
tantissime le inchieste, gli articoli di
Nomi che ci dovrebbero far capire
giornale, i servizi televisivi che
che è inutile stare ad accapigliarsi
parlano di queste “organizzazioni
per capire chi vincerà le prossime
no profit”.
elezioni, se la destra o la sinistra,
Se ne parla almeno da due anni,
perché la “destra” e la “sinistra”
dall’inizio dell’esperimento tecnolavorano insieme, fanno parte della
cratico in Italia, avviato con Monti
stessa combriccola ed è così da
dallo stratega Giorgio Napolitano.
anni, solo che lo si sa soltanto
Questo perché questi gruppi segreti
adesso.
e meno segreti
sono
venuti
allo scoperto.
L’Aspen Institute Italia, è la versione
Non c’è più
italiana
di un’associazione già esistente
bisogno
di
nascondersi,
negli Stati Uniti dagli anni Cinquanta,
ormai gli avverquando fu fondata per “incoraggiare le
sari sono stati
fatti fuori per
leadership illuminate”.
mezzo di ricatti
o per eliminazione diretta o dei loro mezzi. Sono
Preme poi sottolineare che la
infatti i mezzi a fare la differenza;
maggior parte delle persone che
l’Aspen Institute raccoglie intorno a
fanno parte dell’Aspen Institute
sé personaggi legati o rappresentaalmeno hanno avuto a che fare
tivi del potere economico e politico
anche con il Gruppo Bilderberg, la
Commissione Trilaterale, il Forum
Ambrosetti e così via. Questo
perché se fai parte della cerchia del
potere, entri dappertutto.
Gli schieramenti non servono più a
nulla se non a vendere dei prodotti
(vedere Matteo Renzi o i falchetti di
Berlusconi) al popolino che ancora
crede di essere utile a qualcosa
andando a votare quel partito
piuttosto che quell’altro.
Non è da meno per il Movimento 5
Stelle dato che anche Casaleggio si
è recato a Cernobbio.
Che
l’organizzazione di Grillo sia un
mezzo manipolato per incanalare la
protesta ed il dissenso popolare?
Il complottista, o fascista del terzo
millennio che dir si voglia, è secondo la terminologia benpensante,
uno sfigato nerd che passa la
nottata davanti al computer a
guardare siti che parlano di avvistamenti Ufo.
Possibilmente questo accade in
una cantina buia e il personaggio in
questione spesso è tutto fuorché
avvenente (sic).
Figurarsi che “complotto” è anche
diventato un insulto da stadio.
Quindi spesso il complottista viene
raffigurato come quella persona
che fugge la realtà ridisegnandola a
modo proprio. Un malato di mente
insomma. Un po’ come Ezra Pound
filosofo americano che parlando di
“usurocrazia” già negli anni trenta ,
fu rinchiuso nei Quaranta in un
manicomio statunitense per più di
dieci anni.
Nei centri di ascolto Caritas, nel primo semestre del 2013, oltre 40 mila persone hanno chiesto aiuto
5 milioni di poveri. Dove sono le istituzioni?
di Maria Paola Frajese
S
ono ormai quasi 5 milioni gli
italiani che vivono in uno
stato di povertà assoluta, in
un solo anno, secondo
l’ultima indagine Istat, si sono
aggiunti un milione e mezzo di
nuovi poveri. Nei centri di ascolto
Caritas, nel primo semestre del
2013, oltre 40 mila persone hanno
chiesto aiuto, tra questi sono
sempre più numerosi gli italiani.
Sono le cifre di un dramma che
dilaga, ma meglio dei numeri
parlano le storie, storie di un ceto
medio
che
sta
scivolando
nell’indigenza, per ritrovarsi ai
margini della società.
A Torino, città industrializzata, che
più di altre simboleggia la crisi,
Sonia, 49 anni, rappresenta, tra
tanti, la nuova povertà. Una donna
con una preparazione professionale era un’imprenditrice e adesso è
una disoccupata. Per i suoi negozi
le cose sono andate sempre
peggio, fino a quando è stata
costretta ad arrendersi.
A Torino chiudono dieci negozi al
giorno, si vedono saracinesche
abbassate, cartelli con scritto
“Affittasi” e “Vendesi”. Non è facile
accettare di aver toccato il fondo,
Sonia si è sentita affranta e smarrita, sul punto di perdere la propria
dignità. Anche i suoi due figli,
vivono con vergogna e paura
questa situazione familiare, e Sonia
passa le notti con gli occhi rivolti al
soffitto, domandandosi come farà
se il Comune non le assegnerà una
casa popolare, come farà se
resterà senza un tetto?
C’è chi un lavoro fisso ce l’ha, ma
non riesce lo stesso a permettersi
una casa, una vita dignitosa, come
tanti padri separati. Alessandro con
il suo stipendio, pagate le spese
per l’ex compagnia e le figlie, resta
con 350 euro al mese. Dorme in un
alloggio collettivo, ma lì non può
portare le figlie quando il fine
settimana ha la possibilità di
passare un po’ di tempo con loro.
Si è rivolto alla Caritas che ha
messo a disposizione di Alessandro e di altri papà in situazioni
simili, un appartamento caldo,
accogliente, dove poter portare i
propri figli d’inverno, quando fuori
fa freddo e c’è bisogno di
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quell’abbraccio che solo la famiglia
sa dare.
Reggio Calabria è un’intera città in
ginocchio per la crisi. Giovanni
faceva il manovale, ma anche al
Sud le imprese di costruzioni
stanno chiudendo e Giovanni, non
avendo raggiunto l’età della pensione, è un esodato. Dopo un intervento per problemi cardiaci per lui ora è
impossibile trovare un lavoro,
anche provvisorio, nessun’azienda
vuole rischiare. Fatica a tirare
avanti con poche centinaia di euro
al mese, con la moglie, anche lei
disoccupata e i tre figli. Pippo vive a
Roma, ha visto fallire la sua attività
di commerciante, ma era tardi per
ricominciare, era già in età di
pensione.
Ma quale pensione? 300 euro al
mese. Ha dovuto lasciare la casa,
si è trovato a dormire in macchina,
proprio in quell’inverno in cui, a
Roma, ha addirittura nevicato. Ama
i libri e passava le sue giornate
nelle biblioteche, nei musei, un
rifugio dalla strada. Poi, finalmente,
ha ricevuto aiuto: la Caritas ha
messo a sua disposizione uno degli
alloggi che sono previsti per le
persone in difficoltà, e così Pippo
ora vive lì e ha organizzato una
biblioteca, dove tanti come lui
possono passare ore serene.
A Milano, c’è un’altra città, dimenticata, che vive nelle storie buie dei
senza tetto. Sono ovunque, alla
stazione, nelle gallerie. Franco è
anche lui un “nuovo povero”. Ha
visto fallire la sua società e si è
ritrovato a dormire nei vagoni dei
treni. La gente lo guardava male,
alla sua età in mezzo a una strada,
forse era un drogato, un alcolizzato.
Ma lui non si è lasciato andare:
seppure con la difficoltà che incontra ognuna di queste persone, un
tempo indipendenti e benestanti, a
dover ammettere di non farcela più,
dopo un mese ha trovato la forza di
chiedere aiuto ed è stato accolto al
rifugio Caritas, dove ha potuto
dormire, lavarsi e presentarsi, in
quelle giornate piene di nulla, sotto
le occhiate sprezzanti, il freddo
pungente, a cercare un modo per
ricominciare.
Ha bussato a tutte le porte e ha
finalmente trovato un lavoro e un
piccolo appartamento. Franco,
forse più di chiunque altro, ha
conosciuto il significato della parola
speranza e ha saputo lottare, senza
mai arrendersi.
Queste storie sono un pezzo di
Italia, queste storie riguardano tutti
noi.
3
Italia
Dicembre 2013
Mercato del lavoro
Ripulire la nostra coscienza, ammettendo le proprie colpe e rifiutando lo scendere a compromessi
L’Italia delle lobby, dei mezzi-uomini e delle macchiette
di Pier Paolo Corsi
“I
l mondo del lavoro è una
giungla”. Un incrocio di
liane, di rampicanti, di
animali velenosi e predatori, di master “che fanno curriculum”,
di stage pagati da chi ne usufruisce
e su cui pende maestosa ed inesorabile la scure della precarietà. Il
messaggio è dunque che in questo
mondo del lavoro non c’è posto per
nessuno, che sia laureato, che sia
masterizzato, che abbia la terza
media (in quanto ormai rientrante
nel vincolo dell’istruzione obbligatoria) ognuno dovrà lottare allo
stremo delle sue forze, accettando
qualsiasi sopruso, qualsiasi clausola vessatoria in contratti che non
esistono, per poter aspirare al
futuro estatico ed etereo del posto,
nemmeno fisso, ma perlomeno
retribuito degnamente.
Eppure qualcosa non convince,
anche perché un’economia di
questo tipo non solo risulterebbe
sterile ma si estinguerebbe in poco
tempo, per il semplice fatto che non
produrrebbe lo sbocco del flusso di
capitali (un’impresa con soli
dirigenti, per dirne una, è come una
squadra di calcio con undici allenatori) che la caratterizzano e i servizi
necessari, che nella realtà dei fatti
sono accessibili solo ai pochi, non
sarebbero forniti affatto.
Dunque deve esserci qualcuno
che, ad oggi, abbia ancora un
Sicilia
lavoro vero, cui accede direttamente, senza corsi e corsetti e stage.
Quel qualcuno rientra essenzialmente
in
due
categorie:
l’eccellenza (che essendo appunto
caratteristica di pochi non può
(quello sulla libertà di associazione)
ma soprattutto rappresentano il
gradino più basso di un’ipotetica
scala di valori sociali in merito al
corporativismo ed alle associazioni
di categoria, rappresentano in
pratica quanto di
male c’è in questo
I mezzi-uomini, quelli dell’Italia
pianeta. Andrebbe,
però, ammessa a
godereccia, che vogliono “la botte
questo punto una
piena e la moglie ubriaca”, che
replica,
se
non
proclamano il giustizialismo cadendo giusta almeno legittiin uno sterile autoreferenzialismo da ma.
Quanti si sono mai
talk-show.
visti respingere nelle
proprie domande di
assolutamente essere presa a
lavoro
con
risposte
facenti
metro di giudizio e discriminante
riferimento alla non necessità di
per l’ingresso nel mondo lavorativo)
personale all’interno di quella data
ed il lobbysmo.
impresa?
Mentre, nel primo caso si parla di
E quanti invece, conoscendo quel
una barriera all’entrata dai criteri
tizio che è già inserito in quel
troppo restrittivi e tendenti alla
determinato settore si sono visti
(troppo) frequente rielaborazione in
aprire di fronte uno spiraglio di
chiave moderna del famoso
prospettiva?
paradosso di Epimenide, per cui “si
Non si parla in questo caso della
offre lavoro solo a chi abbia
raccomandazione, quella è meglio
esperienze pregresse” e poi le
lasciarla al settore pubblico,
esperienze pregresse non te le fa
presupponendo infatti essa, come
avere nessuno, nel secondo la
condizione necessaria, la presenza
questione si fa più fine poiché si
di un meccanismo capace di
entra in un mondo bistrattato e
scavalcare selezioni concorsuali
disprezzato da tutti, quello delle
predisposte o almeno la costruziolobby, degli oligopoli, della Massone di canali ad hoc ed ex-lege per
neria. Le lobby, logge, società
permettere
l’ingresso.
Si
fa
segrete e chi più ne ha più ne
riferimento piuttosto a quel meccametta, sono innanzitutto proibite
nismo bonario e dai modi grossoladall’art. 18 della Costituzione
ni, per cui chiunque “aiuterebbe un
amico” presentandolo al proprio
superiore, portando la sua lettera di
presentazione sulla scrivania che
conta.
E’ un modo come un altro per
mostrare il proprio spirito altruistico,
la
propria
riconoscenza
nei
confronti di qualcuno che in un
certo momento aveva fatto già
altrettanto. È un comportamento
adottato da molti, moltissimi (non
tutti, ma quasi). Perciò basterebbe
in fin dei conti un minimo di onestà,
quel poco per rimanere onesti con
se stessi, evitando di fare i paladini
della meritocrazia ed ammettendo il
proprio operato da membri di lobby,
se non così potenti, almeno capaci
di rendere dignitosa una vita.
Sono tristi i mezzi-uomini, quelli
dell’Italia godereccia, che vogliono
“la botte piena e la moglie ubriaca”,
che proclamano il giustizialismo
cadendo in uno sterile autoreferenzialismo da talk-show. Le comiche,
di quelli come il Ministro Cancellieri
o dei cari vecchi giudici di “Mani
Pulite”, dei Presidenti della Repubblica che giocano a fare i sovrani
illuminati, dei segretari che inneggiano ai giovani e ai venti di
cambiamento (che poi si rivelano
fastidiose correnti o spifferi), sono
superate, i loro discorsi sono
macchiette degne dei più recenti
“cinepanettoni”. Sarebbe bello se
un giorno ci si svegliasse di mattina
presto, con l’aria cristallina, e si
ripulisse la nostra coscienza,
ammettendo le proprie colpe e
rifiutando lo scendere a compromessi.
Il Mediterraneo non è solo la culla della civiltà. Per molti europei del Sud è anche una miniera blu
Come Bruxelles annega la tradizione ittica del Mediterraneo
I
l Mediterraneo non è solo la
culla della civiltà. Per molti
europei del Sud è anche
una miniera blu. Uno dei
pochi mezzi di sostentamento che
ha attraversato tre ere diverse:
quella legata alla glaciazione,
quella legata all’industrializzazione
e quella legata alla stagione delle
guerre. Ma c’è un’era che sembra
quasi fatale, ormai, per il Mar
Mediterraneo. E’ l’Era di Bruxelles.
Messa in ginocchio da restrizioni
irrazionali, le economie ittiche di
Regioni come la Sicilia e la Calabria
stanno attraversando il momento
peggiore della loro esistenza
millenaria. In ginocchio sono finiti i
pescatori di sarde e acciughe in
Sicilia. Questa tipologia di pescato
comincia a scarseggiare perché
preda preferita dei tonni. Questi
sono in sovrannumero a causa
delle direttive europee che hanno
ristretto la pesca del tonno a solo
un mese l’anno. Alcune
aziende di trasformazione cominciano ad
avere problemi, tanto
che acquistano grosse
partire di sarde e acciughe provenienti dal
Tirreno o dall’Adriatico
o addirittura da Spagna
e Francia, con un
considerevole aumento dei costi.
Altre ditte hanno chiuso preferendo
delocalizzare la produzione in
Tunisia, Algeria e Marocco, Paesi
che, esenti da restrizioni burocratiche, pescano forfettariamente e
rivendono altrettanto forfettariamente sul mercato. Loro sono i
nuovi leader della pesca grossa,
quelli che dettano legge senza
farsene dettare. Sull’altra sponda
del Mar Nostrum, chiedono aiuto i
pescatori di Sciacca (Ag), marineria
specializzata nella pesca di sarde e
acciughe, che hanno chiesto sostegno al governo della Regione
Siciliana. “Il mare di Sciacca è
pieno di tonni, anzi è tutto tonno –
dice Gaspare La Rocca, armatore –
non c’è più pesce azzurro, da due o
tre anni, quando l’Ue ha deciso di
limitare a un mese all’anno la pesca
del tonno, questi sono aumentati in
maniera esponenziale”. Sciacca è
famosa per avere una tradizione
nell’industria ittica, nata proprio
perché il Mediterraneo è sempre
stato molto pescoso. Fino a cinque
anni fa c’erano 40 aziende con in
media 60-80 dipendenti, oggi ne
sono rimaste una ventina. Questo è
il feedback dei pescatori siciliani
che recentemente, in occasione del
meeting milanese per la promozione del prossimo Expo, sono stati
“riconosciuti” come esempio positivo di pesca intelligente ed avanzata, come il porto di Mazara del
Vallo, vero faro della speranza nel
settore e avanguardia della
tradizione ittica dell’Isola. I numeri
ce li dà la Guardia Costiera: dal
2001 a oggi le quote di pescato
sono state drasticamente diminuite
del 55%. Lenta e inesorabile
progressione
burocratica
post-Maastricht. Ma per la Sicilia,
tutt’oggi, la pesca rappresenta da
sola il 40% del profitto medio annuo
della popolazione con 3300
pescherecci (il 24% della flotta
nazionale). Numeri che galleggiano
sul tavolo del Governo Crocetta e
dell’Assessore Cartabellotta che
più volte ha ripreso Roma per la
mancata imposizione nei confronti
dei gerarchi europei. Ma chi sono
questi nemici d’Oltralpe? Sono i
burocrati formatisi tra le leve della
destra nuova europea, quella
filo-ambientalista, abituata a considerare le nostre tradizioni troppo
macabre. Ma la mattanza del
tonno, il vero fulcro della cultura
popolare sicula lontana dalle lupare
e dai vari set di Coppola, si è estinta
neanche vent’anni fa, a riprova di
come la pesca del tonno, lentamente e tristemente, abbia praticamente sfumato le luci che illuminavano
da secoli le tradizioni ittiche del
Mediterraneo.
Il problema è che i nostri mari non
sono freddi e non sono “oceanici”
che basta spostarsi per trovare
merluzzi e tonni gialli.
Qui si campa con poco e i confini
nazionali, soprattutto nel sud
dell’Europa, sono tangibili più che
mai. Nel mare africano, infatti, non
si può pescare. Mentre invece
sappiamo come i pescatori danesi
si spingano fino all’Islanda per
riprendere le loro ricche nasse. Qui
si lavora nello stretto, per usare un
paragone calcistico e mentre i
siciliani devono fare i conti con le
leggi europee, a poche miglia i
pescatori tunisini se la ridono e
pescano senza criterio tutte le
taglie di pesci. Basta andare a
Malta, isola anglofona lontana dagli
aliti europei, per rendersi conto che
lì, l’ittiofauna, è sfruttata ai limiti del
buon senso. Pensate la frustrazione di chi quei mari li conosce e li
naviga da decenni. Un tempo il
Giappone pagava a peso d’oro i
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nostri tonni. Oggi il primo Paese
importatore di tonni rossi fa affari
con Malta e con Tunisi. Grasse
pernacchie ai siciliani. All’inganno
si aggiunge la beffa. Nelle nostre
coste i tonni trovano riparo e non
potendo essere pescati aumentano
di numero e si mangiano i pesci più
piccoli, quelli azzurri, di cui i pescatori locali ci vivono. Una pesca
distrutta, rasa al suolo in tutti i suoi
schemi. Il nostro mercato ha
iniziato a importare tonni dal
Mozambico per poterli consumare!
La debole iniziativa della De Girolamo, a giugno, ha appena scalfito
questo sistema che non riguarda
solo i tonni rossi ma anche il pesce
spada, per esempio. La stessa
Guardia Costiera italiana ci ha
confidato sottovoce, che loro
spesso a malincuore sequestrano
quantità tali di pescato da parte dei
“nuovi” bracconieri del mare, che
altri non sono se non i nostri vecchi
padri stremati e delusi, prossimi a
un’amara conclusione del loro
viaggio nel mare più bello del
mondo. Questo perché la balena
bianca ha trovato riparo tra gli
incartamenti dei burocrati di Bruxelles, Acab e Ismaele sono ormai in
pensione e Pirandello si è dato alla
politica…
di Santi Cautela
4
Esteri
Dicembre 2013
Medioriente Un’aura di fondamentalismo retrogrado, affibbiatogli dall’Occidente senza una ragione del tutto chiara, forse solo per spirito di superiorità
L’Iran, un Paese libero, democratico e pacifista
di Alessio Caschera
L’
ascesa sciita in alcuni Paesi
chiave del Medioriente sta
ridimensionando i rapporti
di forza nello scacchiere
regionale: il vento è cominciato a
cambiare
dal
2006,
anno
dell’elezione di Al Maliki a primo
ministro iracheno e anno della
vittoria di Hezbollah su Israele,
nella seconda guerra del Libano.
Si è assistito a quella che molti
hanno definito “la rivincita Sciita”.
Minoranza nel mondo musulmano,
perseguitati, considerati eretici,
spesso oggetto di veri e propri
pogrom, i seguaci di Ali, cugino
prima e genero poi del profeta
Maometto, sono riusciti in un’
impresa quasi impossibile, diventare potenti in un mondo in cui sono
sempre stati una minoranza.
Questa rinascita, tuttavia, non
sarebbe stata possibile senza
l’Iran, che a partire dal 1979, anno
della rivoluzione islamica guidata
dall’Ayatollah Khomeini, è riuscito a
trasformarsi in una nazione forte, in
grado di intimorire i vicini e i loro
alleati. Questa sua forza, però, ha
contribuito ad alienargli le simpatie
di gran parte del mondo occidentale, Stati Uniti in testa.
La tensione con Washington ha
infatti origine proprio negli anni
della
rivoluzione
khomeinista,
culminata con la cacciata dello Scià
e l’assalto all’ambasciata americana a Teheran.
Questo eccesso di tensione e la
paura diffusa in buona parte
dell’opinione pubblica occidentale
nei confronti dell’Iran, ha portato lo
scontro a livelli altissimi. L’apice
della tensione si è raggiunto nel
2005, con l’elezione di Ahmadinejad alla presidenza iraniana,
interpretato dagli avversari come
un chiaro gesto provocatorio. Ma
nell’estate del 2013, accade
qualcosa di nuovo: a diventare
presidente è il “moderato” Hassan
Rohani, ex capo negoziatore per il
nucleare. La notizia che il vento è
cambiato arriva anche a Washington e al presidente Obama, grande
sconfitto nella partita mediorientale,
che vede nel tentativo di amicizia
con il nuovo “moderato” di Teheran,
un possibile riscatto.
L’Iran di Rohani appare un Paese
diverso, libero da quell’aura di
fondamentalismo
retrogrado,
affibbiatogli dall’Occidente senza
una ragione del tutto chiara, forse
solo per spirito di superiorità e
anche un po’ di ignoranza. Artefice
della nuova politica che ha portato
a un lento disgelo è senza dubbio la
guida suprema Ali Khamenei,
consapevole che solo con un
accordo con lo storico nemico si
può far respirare il Paese strozzato
dalle sanzioni. In questo clima
festoso e di riconciliazione, qualcosa è però andato storto, i comportamenti da mogli gelose tenuti da
Arabia Saudita e Israele nei
confronti di Washington hanno
rallentato il riavvicinamento,
portando a un nuovo stallo,
riflesso nei faticosi negoziati
di Ginevra sul nucleare.
Al di là dei presunti “tweet”
del neo presidente, delle
aperture al mondo giovanile,
con Rohani qualcosa però
sembra veramente cambiata; se a livello istituzionale
l’ultima
parola
spetta
sempre alla guida suprema,
depositaria del messaggio
rivoluzionario di Khomeini,
le aperture verso l’esterno
del nuovo presidente fanno
ben sperare, anche se la
“paura” nei confronti di
Teheran è ancora tanta. La
vera sfida è ora far capire
agli occidentali che non si deve
aver timore dell’Iran.
Il problema di questi ultimi
trent’anni nelle relazioni tra Teheran
e i suoi nemici storici, è stata
proprio la mancanza di comunicazione: entrambi schierati spesso su
posizioni
intransigenti,
hanno
rifiutato qualsiasi tipo di contatto,
scambiandosi accuse reciproche.
La vera rivoluzione di Rohani dovrà
essere non tanto una rivoluzione
sugli stili di vita, l’attuale regime
politico del Paese, infatti, non è
frutto dell’imposizione del clero
sciita bensì di un referendum
popolare, quanto una rivoluzione
comunicativa per far conoscere
davvero la Repubblica Islamica,
che sicuramente avrà i suoi limiti
ma che non è certo quel “mostro”
che quotidianamente ci viene
presentato: un Paese barbaro,
violento e base per i terroristi di
tutto il mondo. In realtà in Iran sono
riconosciuti i diritti della persona, le
elezioni sono libere e regolari, le
minoranza religiose hanno diritto di
rappresentanza
all’interno
del
Parlamento, possono partecipare
con propri partiti politici e le donne
hanno libero accesso alle cariche
pubbliche. Certo, in Iran vige la
legge islamica, così lontana da noi
e per questo “medioevale, oscurantista e antidemocratica”, ma chi ci
dà il diritto di giudicare cosa sia
“democratico” o “antidemocratico”?
Se prendiamo in considerazione le
caratteristiche base della “democrazia minima”, le ritroviamo, con
sorpresa di alcuni, benpresenti nel
panorama politico iraniano. Con
tutti i suoi limiti, dovuti anche
all’eccessivo conservatorismo di
alcune delle sue elite, l’Iran si è
dimostrato in diverse occasioni più
umano, democratico e pacifista (in
mille anni di storia non ha mai avuto
mire espansionistiche bensì ha
sempre subito le offensive straniere) di tante realtà impegnate in
lezioni di libertà e democrazia,
diventate stucchevoli e poco
credibili, quelle stesse realtà che
finanziano senza vergogna le
petromonarchie del Golfo e i jihadisti in Siria.
Nordamerica I prigionieri conducono un’esistenza priva di dignità, vittime di un regime che professa al mondo la libertà
“Guantànamo is killing me”. Il falso mito della democrazia statunitense
di Filippo Benincampi
U
na delle rappresentazioni
più spietate dello pseudo
mito
della
democrazia
nordamericana si trova a
Guantànamo, una baia situata nella
punta Sud Est di Cuba, un luogo
divenuto celebre più per le atrocità
perorate dalle forze statuitensi
nell’omonimo campo di prigionia,
piuttosto che per la sua meravigliosa natura.
I prigionieri si ritrovano alienati in un
paradiso caraibico, e conducono
un’esistenza priva di dignità, vittime
di un regime che professa insistentemente massime evangeliche
come l’uguaglianza e la libertà.
L’individualismo che piace tanto
all’America, si trasforma in una
collettività di dolore e ingiustizia nel
quale l’uomo dimentica se stesso e
tace.
E intanto l’Occidente si trova nel
solito impasse emotivo e non
presta orecchio a niente, se non
alla voce del potente.
Come fiore all’occhiello della guerra
al terrorismo, l’11 gennaio del 2002,
l’amministrazione Bush decise di
aprire il campo di prigionia finalizza-
to alla detenzione dei prigionieri
catturati in Afghanistan e ritenuti
collegati ad attività terroristiche, il
quale sarebbe stato diviso in tre
campi: il “Camp Delta”, il “Camp
Iguana” e il “Camp X-Ray”
(quest’ultimo oggi chiuso).
Il presidente repubblicano, nel
discorso che sancì l’apertura della
prigione, sottolineò che il campo
sarebbe stato circoscritto al “the
worst of worst” ossia il peggio del
peggio dell’umanità, eppure la
maggior parte dei detenuti sono
rinchiusi senza aver subito un
processo e senza aver ricevuto
accuse specifiche.
Non mancano di certo geni del
male, come ad esempio alcuni
vicini di Bin Laden presunti responsabili dell’attentato dell’11 settembre, ma di certo il criterio con cui i
prigionieri sono stati e sono tuttora
deportati in questo campo sono
alquanto superficiali e lungi
dall’essere il frutto di un preciso
studio dell’intelligence americana.
Sin da subito furono sollevate
pesanti accuse circa il modo in cui
venivano trattati i detenuti, al limite
del disumano.
Se le celle potessero parlare, ci
racconterebbero storie di torture, di
nutrizione imposta, di violenza
inaudita.
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Purtroppo non essendo ciò possibiprocessati né giustiziati, in un limbo
le, le testimonianze riportate dagli
che conduce dritto all’inferno. Tutto
avvocati
di
Reprieva
tace fuori da quel campo.
(organizzazione che si occupa dei
Gli Stati Uniti, autoreferenziali,
diritti dei detenuti in generale e
paladini del rispetto della giustizia,
degli orrori di Guantànamo nello
che si attribuiscono la facoltà di
specifico) squarciano il silenzio
esportare i diritti umani, sventolano
degli “innocenti”, riportando storie
fieri il vessillo della libertà, contradtremende, come quella di Samir
dicendo in modo lampante i principi
Naji al Hasan Moqbel, yemenita di
“sacri”, o almeno presunti tali, dei
nascita e catturato nel 2001 in
loro padri fondatori.
Afghanistan
mentre
stava cercando lavoro, in
Se le celle potessero parlare, ci
sciopero
della
fame
insieme a molti altri
racconterebbero storie di torture,
detenuti,
descrivendo
di nutrizione imposta,
quanto
fosse
stato
orribile nutrirsi via tubo
di violenza inaudita.
nasale dopo essere stato
legato ad una sedia.
Oggi gli scioperi della fame stanno
Ed a questo proposito, a suggellare
crescendo, i detenuti hanno deciso
questo inspiegabile paradosso dei
di rischiare la vita ogni giorno pur di
nostri tempi, ci interroghiamo
richiamare l’attenzione del mondo,
leggendo il più celebre passo della
che sembra piegarsi alle continue
“Dichiarazione d’indipendenza” del
archiviazioni statunitensi.
1776, nel quale si legge “all men
Alla fine del 2008, il neoeletto
are by nature equally free and
Obama manifestò la sua intenzione
independent”.
di chiudere il campo di GuantànaLe altre nazioni, relegando la
mo e il 21 gennaio 2009 firmò
coscienza sotto terra, chiudono gli
l’ordine di “chiusura” del carcere
occhi e si perdono in un triste
(ma non della base militare). Ma
silenzio, ma da quel campo un
rimasero parole scritte sull’acqua.
timido sussurro irrompe come un
Oggi il lager è ancora lì, con i suoi
tuono: “Guantànamo is killing me”.
171 detenuti, che non vengono né
5
Esteri
Dicembre 2013
Relazioni Internazionali Per capire il mondo il fattore energetico è importante quanto quello politico-militare e territoriale
N
onostante per quasi mezzo
secolo le relazioni internazionali tra Paesi siano state
condotte anche in campo
energetico, la causa della sicurezza
energetica passa spesso in secondo piano quando si tratta di analizzare un evento internazionale,
privilegiando invece i fattori
politico-militari e territoriali.
La sicurezza energetica, intesa
come accesso alle risorse energeti-
Geopolitica dell’energia
dell’OPEC, come conseguenza
della guerra del Kippur.
In quell’occasione le maggiori
potenze occidentali capirono che la
loro eccessiva dipendenza energetica dai Paesi arabi sarebbe stata
troppo rischiosa e che improvvise
interruzioni dei flussi di risorse,
prime fra tutte i combustibili fossili,
avrebbero provocato gravissime
destabilizzazioni economiche a
livello globale.
Di conseguenza, la
corsa per il petrolio
L’accesso e il controllo delle risorse occupò in breve
tempo
le
prime
energetiche non pone
posizioni all’interno
esclusivamente dei problemi in
delle agende nazionali e la garanzia
termini di conflitti territoriali, ma
dell’accesso e del
costituisce soprattutto una questione controllo diretto di
di sicurezza nazionale, rendendosi tale risorsa fu consicome un
necessario per gli Stati proteggere le derata
elemento indispenproprie infrastrutture energetiche
sabile per acquisire
critiche, estremamente vulnerabili ed stabilità economica e
forza militare sul
esposte a qualsiasi tipo di attacco, piano internazionale.
Attualmente
la
armato o cyber che sia.
sicurezza energetica
rientra
di
diritto
che, è invece un elemento chiave
all'interno delle strategie di sicurezattorno al quale si sono dispiegati i
za nazionale e di intelligence di
principali sconvolgimenti geopolitici
ogni Paese.
degli ultimi cinquant’anni. Il probleIn primo luogo, basti pensare al
ma energetico si è imposto per la
fatto che molti dei recenti conflitti
prima volta a livello globale nei
sono scoppiati più per ragioni
primi anni settanta, a seguito
legate all’acquisizione di risorse
dell’improvvisa interruzione dei
energetiche che per scopi politici (le
flussi di petrolio da parte dei Paesi
cosiddette resources wars). In
Globalizzazione
secondo luogo, accanto ai tradizionali conflitti militari si è sviluppata
una vera e propria energy
cyberwarfare. Per destabilizzare un
Paese nemico è sempre meno
necessario investire ingenti quantità di denaro ed eserciti da inviare
sul suo territorio, ma è sufficiente
un computer.
Non è più necessario puntare
direttamente al rovesciamento delle
istituzioni governative, ma basta
attaccare le sue infrastrutture
energetiche (rete elettrica, centrali
nucleari, ecc...).
La sicurezza energetica è dunque
strettamente collegata alla geopolitica quando il fabbisogno energetico di uno o più Stati
dipende da forniture
provenienti da Paesi
produttori
terzi
(come, ad esempio, il
caso dell’Europa).
Lo scacchiere della
contesa geopolitica
per l’energia è senza
dubbio l’Asia centrale, da cui partono la
gran parte dei rifornimenti
energetici
verso
i
maggiori
Paesi occidentali e in
cui la competizione
delle grandi potenze
si ravvisa in molteplici
investimenti in Paesi
come il Kazakistan o
il Turkmenistan. La
Russia è il principale
esportatore asiatico di gas naturale
verso l’Europa, scarsamente dotata
di risorse energetiche e perciò
fortemente vincolata dai flussi
provenienti dall’estero.
Anche gli Stati Uniti dipendono
fortemente dalle importazioni di
petrolio e per evitare ulteriori shock
petroliferi come quelli degli anni
Settanta hanno preferito assicurare
la maggior parte delle importazioni
da Paesi vicini (Canada, Venezuela, Messico e Colombia).
Le restanti forniture invece provengono da produttori diversificati
nell’area del Golfo persico (prima
fra tutti l’Arabia Saudita): attraverso
importanti accordi energetici con
questi Paesi, gli Stati Uniti sono
riusciti anche ad estendere la
propria area di interesse strategico
nel continente asiatico.
L’accesso e il controllo delle risorse
energetiche non pone quindi esclusivamente dei problemi in termini di
conflitti territoriali, ma costituisce
soprattutto una questione di
sicurezza nazionale, rendendosi
necessario per gli stati proteggere
le proprie infrastrutture energetiche
critiche, estremamente vulnerabili
ed esposte a qualsiasi tipo di
attacco, armato o cyber che sia.
di Ludovica Coletta
Nel nome della libera circolazione e della tolleranza i migranti sono asserviti a stipendi bassi e condizioni di lavoro inumane
Dumping sociale. L’altra faccia della questione migratoria
di Edoardo Arrigo
L
a crisi in corso con le sue
pesanti
conseguenze
ripropone il tema delle
politiche sociali nei Paesi
subordinati alle leggi del capitalismo, dagli Stati Uniti all’Europa.
In questo quadro vale la pena di
provare a formulare qualche
riflessione sullo stato attuale
dell’Unione, cercando di rispondere
alla domanda: a che punto è
l’Europa sociale?
Viste le differenze salariali e
l’offerta di lavoro resa disponibile
dai vari Paesi dell’Unione sembra
che questo progetto sia molto
indietro. Anzi sembra che si faccia
ben poco per la tutela del singolo
lavoratore e tutto ciò che ne consegue. Ogni anno migliaia di migranti
s’inseriscono nel nome della libertà
economica e della libera circolazione nel mercato del lavoro degli Stati
europei con stipendi bassissimi e
condizioni inumane. I nuovi schiavi
del XXI secolo.
Da qui nasce l’espressione
dumping sociale che interiorizza
molteplici aspetti di una comune
matrice problematica: la delocalizzazione e lo sfruttamento dei
lavoratori.
Un processo che è ormai tipico
dalla maggior parte delle multinazionali, per minimizzare i costi e
rendere il prezzo finale del bene più
competitivo. È il fenomeno per cui
migliaia di persone hanno protestato a Bruxelles contro quest’Unione
Europea cieca di fronte ai bisogni
dei lavoratori provenienti da tutta
Europa. Un fenomeno questo che
oltre a sfavorire il singolo lavoratore
e creare sempre più forti distanze
sociali, tende a favorire quei Paesi
con una fiscalità favorevole.
Guarda caso la Germania è
accusata giorno dopo giorno di
concorrenza sleale…
Alcuni Paesi però non hanno aspettato inutili direttive europee ma
hanno trovato soluzioni interne.
In Norvegia è in vigore un piano
governativo per la lotta al dumping
sociale, per contrastare un fenomeno ricorrente soprattutto nel
settore dell’edilizia, dov’è
diffuso il ricorso ad agenzie di
lavoro
temporaneo
che
distaccano lavoratori stranieri. Il piano prevede che ai
lavoratori
stranieri
siano
applicati gli stessi standard
normativi e salariali previsti
per i lavoratori norvegesi e
che il rispetto degli standard
sia garantito da autorità
nazionali dotate di poteri
ispettivi. In Danimarca invece
è in vigore un accordo
anti-dumping che impone
l’obbligo di appaltare attività
solo a imprese che applichino
i contratti collettivi, obbligo sanziocreazione di contratti collettivi
nabile con ricorso al giudice. Si
transnazionali per garantire ad ogni
potrebbe continuare così per ore. Il
lavoratore dell’Unione gli stessi
fatto è che oltre che combattere
diritti sociali ed economici. Un
prepotentemente l’evasione fiscale,
grande passo avanti che ad oggi
queste misure comportano un
rappresenta un sogno irrealizzabimiglioramento delle condizioni
le. L’Italia, per esempio, è abbandoindividuali dei lavoratori e, nel
nata dall’Ue al proprio destino nella
susseguirsi degli anni, anche un
gestione dei costanti e massicci
aumento della ricchezza reale
flussi migratori che condannano i
all’interno del Paese.
“viaggiatori della speranza”, ad
Questo ragionamento porta inevitaaccettare condizioni di lavoro
bilmente a cercare una soluzione
disumane, talvolta nella criminalità
non solo al livello nazionale ma in
organizzata, antico cancro del
ambito europeo. Si può dire che in
nostro Paese.
un sistema che
ambisce a divenIn Danimarca è in vigore un accordo
tare più integrato
la mancanza di
anti-dumping che impone l’obbligo di
direttive europee
appaltare attività solo a imprese che
sul lavoro contriapplichino i contratti collettivi, obbligo
buisce
a
deresponsabilizsanzionabile con ricorso al giudice.
zare le amministrazioni nazionali e a rendere il problema sempre
Per creare un’Unione Europea
più centrale.
unita non si può passare non per il
In un mercato sempre più globale
lavoro e per tutto ciò che ne consecon regole diverse nazione per
gue. Una condicio sine qua non
nazione, vi è la necessità di stabilisenza la quale non potrebbe
re regole chiare e sanzioni precise,
nascere una vera e sociale Europa
in vista anche dell’entrata dei Paesi
dei popoli.
dell’Est Europa nell’Ue (ma forse è
L’integrazione del mercato non può
proprio questa la ricchezza dei
avvenire senza porre rimedio alla
tecnocrati).
disintegrazione dei diritti. Il lavoro
Normative europee in materia di
deve essere una priorità.
lavoro sarebbero la base per la
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6
Economia&Europa
Dicembre 2013
Eurocrazia Salvare gli Stati? I prestiti del MES avranno un tasso di interesse, dato che l’istituzione si prefigge l’obiettivo del profitto
Il gioco perverso del Meccanismo Europeo di Stabilità
di Kirios Di Sante
i sono parole che segnano
epoche, accostamenti di
lettere in grado di sintetizzare quadri storici meglio di
frasi, pagine, libri o intere enciclopedie.
C
gico, spread in primis. Quello a cui
tutti anelano, dagli esecutivi alle
banche centrali (ammesso e
concesso che siano organi differenti), è la stabilità. Governo della
stabilità, legge di stabilità; addirittura il meccanismo europeo di stabilità, meglio conosciuto (se conosciu-
Se si dovesse scegliere una parola
ad hoc per il decennio appena
iniziato (si, siamo solo all’inizio),
non si dovrebbe cadere in banali
tentazioni quali crisi o recessione.
Così come è giusto tenersi a distanza da inglesismi a carattere mitolo-
to) come MES. Il MES è
un’istituzione intergovernativa con
capitale sociale pari a 700 miliardi
(aumentabile), versato da 17 Stati
membri. La quota partecipativa
dell’Italia è di 125 miliardi, di cui 15
di anticipo.
I soldi per l’aumento dell’Iva? No,
quelli non c’erano. Così come non
ci sono neanche quelli per l’anticipo
del MES, il che ci costringerà a
chiederli a credito (almeno una
buona parte). Il meccanismo vessatorio è questo: indebitarsi, per
accumulare un capitale dal quale
attingere
nei
momenti di massimo debito.
E non finisce qui: i
prestiti del MES
avranno un tasso
di interesse, dato
che l’istituzione si
prefigge l’obiettivo
del profitto. Ma vi
sono cose più
spaventose
del
tasso di interesse:
oltre a “salvare” gli
Stati agendo di
fatto come un
prelievo
forzoso
(l’importante è che
si chiama diversamente), esso potrà
dar
vita
all’ennesima
ricapitalizzazione
delle
banche.
Essendo i soldi del
MES pubblici, ecco svelata un’altra
collettivizzazione delle perdite del
settore creditizio.
La quota massima di risanamento
delle perdite sarà però di 70 miliardi, ergo una eventuale restante
parte sarebbe, ancora una volta, a
carico pubblico.
difficoltà ad un tasso di interesse
È inoltre necessario, prima di ricapiminore di quello del MES?
talizzare una banca in perdita, uno
L’intermediazione, cari lettori, è
sforzo autonomo dello Stato per
profitto. Ma solo per gli intermediari.
riportarla nei parametri di sicurezza
Senza contare che, prima di appelfissati dagli accordi Basilea.
larsi al MES, lo Stato membro
Questa analogia svela bene
dovrà seguire precisi diktat meglio
l’assurdo che si cela dietro: è come
conosciuti come direttive europee:
se, stipulando un’assicurazione
in pratica, per accedere al capitale
(onerosa), a seguito di un danno
da noi versato e “appesantito” da
subito dalla propria vettura e coperun tasso di interesse che rappreto dal contratto assicurativo, uno si
senta profitto per terzi, dobbiamo
impegna ad aggiustare parte della
vendere pezzi di sovranità facendocarrozzeria autonomamente e a
ci dettare le manovre economiche
spese proprie riportandola ad un
da Bruxelles. Manovre caratterizzalivello estetico che sfiori la decenza.
te da privatizzazioni e vendita dei
Vediamo di seguire il viaggio che
beni demaniali, svelando a pieno la
l’euro fa prima di non arrivare nelle
matrice liberista dell’Europa e la
nostre tasche: la BCE lo elargisce
sua avversione verso lo Stato, reo
ad un tasso di interesse bassissimo
di distorcere la concorrenza salva(recentemente decurtato ulteriorguardando i diritti dei suoi cittadini.
mente, raggiungendo il minimo storico
Il MES è un’istituzione
dello 0, 25%) alle
intergovernativa
con capitale
banche commerciali
che lo prestano a
sociale pari a 700 miliardi
tassi usurai alla
(aumentabile), versato da 17 Stati
cittadinanza.
membri. La quota partecipativa
Tramite i contribuiti,
parte
dei
soldi
dell’Italia è di 125 miliardi, di cui 15
recepiti dai cittadini
di anticipo.
finirà nel MES, e
verrà loro prestato
(in caso di necessità) ad un tasso di
È necessario fermare tutto questo
interesse sicuramente superiore
anche se sembrerebbe ormai
allo 0,25%.
troppo tardi, dato che il MeccaniLa domanda verrà spontanea
smo Europeo di Stabilità è stato già
anche ai non addetti all’aritmetica:
ratificato dal Parlamento e, prima
non sarebbe meglio se la BCE
ancora, dal Consiglio Europeo.
finanziasse direttamente gli Stati in
Bruxelles Nel 1992 con il trattato di Maastricht, i Paesi firmatari hanno accettato di rispettare alcuni parametri di convergenza
L’Unione Europea e i suoi nemici: gli Stati a moneta sovrana e il deficit positivo
di Manfredi Zichichi
D
sono autoimposti bisogna analizzare bene il processo di emissione
monetaria dei Paesi a moneta
sovrana (Giappone, USA, Inghilterra ad esempio). Nel momento in cui
uno Stato deve far fronte a una
spesa pubblica, se non ha soldi in
al primo gennaio del 2002
l’Italia, insieme ad altri
undici Paesi europei, si è
privata della possibilità di
stampare moneta ed immetterla
nella propria economia,
realizzando il “sogno”
della
moneta
unica,
Esistono Stati a moneta sovrana
l’Euro. Questa decisione
come il Giappone che a differenza
ha inciso fortemente sulla
crisi finanziaria ed econo- dell’Ue hanno un deficit positivo: il
mica che ancora oggi
suo valore debito/Pil supera il
stiamo vivendo in tutta
250% eppure il primo ministro
l’Eurozona. Nel 1992 con
il trattato di Maastricht, gli
Shinzo Abe non sembra
Stati firmatari hanno
preoccupato di ridurlo.
accettato di rispettare
alcuni
parametri
di
convergenza: rapporto deficit/Pil
non superiore al 3%; rapporto
cassa ha due possibilità: o emettedebito/Pil non superiore al 60%;
re titoli di stato che consentano al
tasso d’inflazione non superiore
cittadino che li sottoscrive di avere
dell’1,5% rispetto a quello dei tre
una rendita con un tasso di interesPaesi più “virtuosi” dell’Eurozona.
se vantaggioso rispetto a quello
Parametri che ancora oggi sembrache gli offrono le banche, o stampano essere la condizione fondamenre
moneta
e
immetterla
tale per un’economia forte e in
nell’economia del Paese. Il debito
crescita (“ce lo chiede l’Europa!”),
pubblico di uno Stato a moneta
vengono privilegiati dai governi
sovrana si autofinanzia con
nazionali a scapito delle priorità
l’emissione di moneta facendo
sociali dei cittadini (occupazione,
crescere la quantità di valuta in
abbassamento della pressione
circolazione, e quindi aumentando
fiscale, ecc.). Per comprendere il
il valore dell’economia (crescita del
danno che gli Stati dell’Eurozona si
Pil nominale). L’unico aspetto
negativo è l’inflazione, ma non è di
certo un male assoluto, anzi. Se
l’Italia deve far fronte ad una spesa
pubblica, ha invece oggi tre possibilità
che
sono
diversamente
disastrose per la propria economia
e per il benessere dei cittadini: la
prima è quella di tagliare altre
spese (riducendo spesso e volentieri l’istruzione, la ricerca, la sanità)
e far fronte al fabbisogno di cassa
internamente; la seconda consiste
nell’aumentare il cuneo fiscale,
andando ad affossare l’economia
delle famiglia; la terza invece è
quella di chiedere un prestito alle
banche o ai cittadini, però in questo
caso il valore del debito è da
tenere sotto controllo perché
non potendo autofinanziarsi
l’Italia rischia il default
(questa parola tanto usata
nell’accezione inglese significa non riuscire a restituire i
soldi). Proprio per questo
motivo il tasso di interesse
che l’Italia deve promettere
agli investitori è cresciuto
enormemente, tant’è che il
nostro Paese paga il 4,5% di
interessi/Pil.
Per comprendere ancora
meglio che questo periodo di
recessione è un sintomo del
rispetto dei parametri da
parte dei governi nazionali e
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causato dalla politica monetaria di
Bruxelles, diamo uno sguardo alla
situazione di un Paese a moneta
sovrana che non rispecchia i vicoli
europei: il Giappone. Il suo valore
debito/Pil supera il 250% eppure il
primo ministro Shinzo Abe non
sembra preoccupato di ridurlo, ma
deciso a risollevare il proprio Paese
dalla
stagnazione
economica
(Tokyo a differenza nostra ha un
deficit positivo). Ha intrapreso una
politica
monetaria
totalmente
diversa: l’acquisto di titoli del debito
nazionale da parte della BoJ
(Banca
del
Giappone)
che
porteranno a raddoppiare la base
valutaria in circa due anni. Questo
con l’obiettivo di portare il Giappone
fuori dalla situazione di deflazione,
giocando al rialzo con l’inflazione
fino ad un valore del 2%. Altra
misura è stata la svalutazione del
30% del valore dello yen per
incrementare
le
esportazioni
(Bruxelles nel nome della stabilità
dei prezzi, non svaluta mai l’Euro e
di fatto non è competitiva con le
altre economie). Abe ha inoltre
ridotto la pressione fiscale su
famiglie e imprese ed ha introdotto
altre forme di vantaggio fiscale
nelle
aeree
economicamente
depresse, come Fukushima.
Economia&Europa
Dicembre 2013
PAC
7
L’agricoltura è l’unico settore in crescita, con un incremento occupazionale giovanile del 9 per cento
Quelle terre da salvare dalla Politica Agricola Comune
di Guido Rossi
“l’imprenditore a sottrarre tempo e
denaro ai compiti prioritari di
ebbene molti abbiano la
un’impresa” (Mario Guidi, presidentendenza a dimenticarsene,
te Confagricoltura).
l’agricoltura rappresenta,
A livello comunitario i problemi non
oltre ad un settore fondason certo minori, non essendo
mentale della nostra economia, un
soltanto l’Euro un esperimento
bene prezioso e vitale. E piacevolfallimentare, ma l’intero mercato
mente troviamo un elemento più
europeo. Si parte infatti dal presupche positivo, essendo, quello
posto che per proteggere e
agricolo, l’unico settore in crescita,
rafforzare quest’ultimo, tutti i Paesi
con un incremento occupazionale
membri debbano adottare politiche
giovanile del 9%, comprensivo di
comuni; ma l’agricoltura (o altro)
figure altamente specializzate (con
non può e non deve assolutamente
un boom di immatricolazioni ad
essere inclusa in un mercato
agraria, aumentate dell’oltre 70%).
comune come politica integrata.
Pertanto chi ad oggi
innalza il canto del
La logica alla base della PAC è
“ce
lo
chiede
oltretutto anacronistica, avendo le
l’Europa” ha due
possibilità, o è al
sue radici negli anni Sessanta,
servizio altrui, o è
quando si aveva la necessità di
felicemente ottuso.
stimolare la produzione agricola e
Non si può pretendemantenere i prezzi ad un certo livello. re di adottare
politiche uniche per
Paesi completamenPertanto l’amministrazione, a livello
te diversi, innanzitutto per storia e
tanto nazionale quanto europeo,
costumi, secondo poi per la forte
riesce esclusivamente a penalizdisparità tra le loro diverse econozarlo. Con sguardo attento all’Italia
mie, costo della vita e potere
possiamo individuare immediatad’acquisto. La logica alla base della
mente il tallone d’Achille di tutte le
Pac (Politica Agricola Comune) è
tipologie d’impresa, agricole in
oltretutto anacronistica, avendo le
primis, fatalmente rappresentato
sue radici addirittura negli anni
dalla burocrazia, se è vero che ogni
Sessanta, quando si aveva la
imprenditore agricolo perde in
necessità di stimolare la produziomedia cento giorni all’anno (!) fra
ne agricola e mantenere i prezzi ad
carte, premessi, normative e
un certo livello. Oggi come allora le
controlli,
costringendo
conseguenze di questo pensiero
S
sono devastanti, essendo evidente
che se il beneficio del sostegno ai
prezzi è direttamente proporzionale
alla quantità che si produce, è ovvio
che a guadagnare di più saranno le
grandi aziende, alle quali va più
dell’80% dei fondi comunitari, poco
lasciando alla piccola produzione,
quella sostenibile e di qualità. Si
comincia quindi a capire come mai
questa visione “comune” sia dannosa soprattutto ad una Nazione
come la nostra, caratterizzata da
imprese per lo più a dimensione
familiare, molto attente alla qualità
dei propri prodotti.
Quindi
seppure
sia
aumentata l’occupazione
“agreste”,
purtroppo
questo sistema lascia la
qualità fuori dal mercato,
inondando oltretutto le
nostre piazze di derrate di
improbabile provenienza,
destinando vergognosamente tonnellate di frutta e
verdura
nostrana
al
macero.
Va poi considerato che la
sovrapproduzione
europea rappresenta un
rischioso disequilibrio con
grandi costi ambientali, tra
i quali l’eutrofizzazione dei
terreni, la contaminazione
dei pesticidi e la perdita di
colture locali. Inoltre la
mancata cura delle nostre
campagne
(essendo
queste abbandonate per
mancanza di mezzi) è tra le prime
cause dei tanti dissesti idrogeologici avvenuti sul nostro territorio, da
ultimo la tragedia della Sardegna.
Sul piano dei rapporti Italia-Ue
abbiamo poi altre sorprese, come
l’ormai famigerato patto di stabilità
che non dà alle nostre istituzioni
locali alcuna possibilità di intervenire direttamente con i fondi a loro
disposizione, perché “dobbiamo
rimanere nei limiti del 3%” ed il
nostro debito “è troppo alto”. In
realtà i nostri “concittadini” europei
lo conoscono bene il valore del
nostro territorio, visto e considerato
che soltanto prendendo nota dal
2007 ad oggi, sono più di 17.000 gli
imprenditori agricoli stranieri che
operano in Italia. E perseguendo
un’ottica maliziosa – ma neanche
troppo- ecco allora che si spiegano
queste manovre volte a destabilizzare i nostri poderi, e a farne conseguentemente abbassare il costo.
Ma è ora di fare un importante
passo,
con
sguardo
volto
all’indietro e al contempo verso
l’avvenire, è tempo di ritornare alla
natura, e di riappropriarci della
nostra terra.
Idee e proposte A differenza del pensiero neoliberista, l’economista rumeno auspicava l’utilità e la possibilità di una decrescita
Il concetto d’inefficienza X di Georgescu-Roegen
I
l concetto d’inefficienza X e
l’assunto che l’economia
non sia per nulla una scienza esatta – come allo
stesso modo non sia proprio una
scienza – seguendo la corrente
marginalista che vede l’economia
separata dalla matematica poiché
materia non a sé sufficiente e non
completa, rappresenta forse la più
grande eredità di Georgescu-
Roegen e allo
stesso tempo
una fondamentale lezione da
apprendere e
valutare
nel
nostro sistema
economico alla
luce dei recenti
avvenimenti
che
hanno
compito se non
stravolto
il
nostro sistema
economico.
L’analisi analitica, infatti, non
può prescindere dai contenuti
algebrici
e
matematici, e
proprio
per
questo non è
p o s s i b i l e
affermare che
l’economia ne sia diretta dipendente oppure ancora – forse in una
maniera maggiormente provocatoria – che ne tragga diretta origine,
poiché ampi sono gli spazi
all’interno di questa materia lasciati
completamente non tanto al caso,
bensì al continuo apprendimento
basato sull’esperienza e sugli effetti
delle operazioni messe in atto e dai
risultati da questi attesi. Nell’opera
di Roegen, infatti, lungimirante
quanto forse prematuro è stato il
distogliere l’economia dal novero
delle scienze (intese secondo il
concetto ricavato dal pensiero
occidentale cioè rigettando il
modello cartesiano e meccanicistico) e tentare di basare le nuove
fondamenta
dell’economia
sull’entropia e sulla termodinamica.
È vero che tale cambiamento può
essere ricondotto al mutare
d’opinioni nella dottrina scientifica
degli anni Venti, come è altrettanto
vero che - anche da una rapida
lettura - il suo pensiero si pone in
contraddizione poiché non salta sul
“treno vincente” del pensiero
economico neoliberista mirato
completamente alla produzione, al
vantaggio economico e al profitto,
bensì egli auspicava l’utilità e la
possibilità di una decrescita, in
questo
modo
collegando
l’economia
alla
scienza
(e
all’esigenze?) della vita biologica e
dell’ambiente, azzardo morale ed
intellettuale che probabilmente fu
determinante per la mancata
assegnazione del Premio Nobel.
Per questo si può comprende come
l’opera di un colosso come il
rumeno Roegen sia di schiacciante
attualità e di grande insegnamento,
richiamando
l’attenzione
e
sollevando questioni che – avanzate a cavallo del Ventesimo secolo –
possono essere oggi molto utili. Ad
essere attaccati, infatti, sono
proprio quei principi alla base
dell’evoluzione scientifica durati tre
secoli e tuttora dominanti ricavati
dal pensiero cartesiano, quali il
determinismo assoluto, la reversibilità dei fenomeni e la fisica meccanica quale base di ogni analisi
analitica. Ad essere attaccati quindi
sono l’elaborazione di un concetto
partendo dalle sue singole basi per
studiare e capire il tutto, riconducendo e derivando quindi anche le
leggi della biologia a quelle della
fisica e della chimica.
Se durante l’Ottocento furono le
correnti
del
vitalismo
e
dell’organicismo che cercarono –
senza durevoli successi – di opporsi a questa visione, il suo contestatore novecentesco si può senza
dubbio riscontrare (anche) in
Roegen, almeno relativamente agli
effetti di questa impostazione
nell’ambito economico. Del resto, la
sua trattazione e dimostrazione è
stata analitica e matematica,
proprio
per
rilevare
come
un’economia
sganciata
da
quest’ancora di verificabilità non
sarebbe potuta essere una scienza
neppure verosimile. Anche se,
tuttavia, è proprio quest’ancora che
ha determinato la deriva intrapresa
dall’economia nel tentativo di
assumerla a paradigma infallibile
quale essa non può essere, al
www.lintellettualedissidente.it
contrario di quanto il neoliberismo
possa oggi pensare, assumendo
una regola universalmente valida in
tutti i sistemi economici esistenti, o
in quasi tutti. In questo senso,
rilevanti appaiono anche gli echi di
questa visione di pensiero nella
materia costituzionale tra l’autorità
e le regole, tra il diritto positivo e la
consuetudine vivente e “procedente” a prescindere da ogni imposizione positivi.
Se quindi l’inefficienza X quindi
parte da un semplice quanto
preciso presupposto, ossia quello
di (tralasciando le dimostrazioni
matematiche qui non riportabili)
interpretare ogni mancanza di
efficienza come frutto di inefficienza, ed ogni agente economico non
perfetto come comporta in sé un
inevitabile effetto di tale inefficienza, allora ecco crollare anche un
altro
importante
baluardo
dell’impostazione courniana di fine
Ottocento e imprescindibile baluardo dell’economia moderna, ossia la
perfezione del sistema economico
e dei suoi agenti, al pari della loro
razionalità matematica e del loro
cieco determinismo. Tutti effetti la
cui rilettura aiuterebbe a regolarsi in
una situazione critica come quella
in corso tutt’oggi.
di Emanuele Vincent
8
IL POTERE
Dicembre 2013
Il Potere Il mondo moderno e le sue contraddizioni
a cura di
Sebastiano Caputo
e Lorenzo Vitelli
insaputa, ha edificato. Venereremo
la Modernità più di quanto non lo
stiamo già facendo.
Carl Schmitt distingueva l’inimicus
a Storia è un succedersi di
– colui che ci odia – dall’hostis –
rivoluzioni che sconvolgono
colui che ci combatte – sostenendo
le forme del Potere. Ha
che su queste definizioni concetvisto epoche in cui i govertuali si organizzava la politica.
nanti temevano i governati, in cui i
Tuttavia l’avvento della Modernità
popoli sovvertivano le istituzioni, ha
ha generato una depoliticizzazione
visto le masse sollevarsi contro
e la supremazia della vita economica intorno a degli
Stati che assomigliaSebastiano Caputo (21 anni)
no sempre più, come
Diplomatosi al Liceo Chateaubriand affermava il sociolodi Roma entra a soli 18 anni a far go Max Weber, a
delle “grandi fabbriparte della redazione del
che”. Fabbriche di
Quotidiano Nazionale Rinascita,
consenso, di consudove si è occupato principalmente matori, di profitto.
“Un’idea politica –
di politica estera. Attualmente
dice Schmitt – viene
solo
collabora con “La Voce del Ribelle” compresa
quando si riesce ad
diretto da Massimo Fini. È
individuare la cerchia
di persone che ha un
fondatore dell’Associazione
economico
politico-culturale “Contro Cultura”, interesse
plausibile a servirsi di
ha ideato e assunto la direzione del essa a sua vantaggio” . Il potere politico
quotidiano online L’Intellettuale
ha perso ormai da
Dissidente.
diversi decenni i suoi
diritti e le sue libertà a
l’ordine precostituito. Ma non oggi.
beneficio di un’élite invisibile –
La Modernità opera diversamente,
quella che lo scrittore tedesco
nuove dinamiche, un’altra guerra è
chiama “cerchia di persone” – che
in corso, senza il nostro assenso,
nel passato ha ribaltato un ordine
senza la nostra benché minima
prestabilito per imporne un altro
consapevolezza.
conforme alla sua visione del
La massa è hors du jeu, i popoli
mondo. Il nuovo Potere si è rivoltaschiacciati, la Modernità è la rivoluzione
Lorenzo Vitelli (21 anni)
delle élite. Ad essere
Diplomatosi al Liceo
sovversivo oggi è il
Chateaubriand di Roma è
Potere. Sconvolge le
mentalità, promuove laureando in Filosofia all’Università
nuovi sviluppi, fa e
“Sapienza” di Roma. È ideatore e
disfà fenomeni di
massa,
congiura,
caporedattore del Quotidiano
cospira,
proietta,
Online
L’Intellettuale Dissidente,
dall’alto
dei
suoi
scranni, una Weltan- nonché fondatore dell’Associazione
schauung universale.
“Contro Cultura”. “Il Potere. Il
Siamo in guerra ma
mondo moderno e le sue
non ce ne siamo
accorti, tanto che,
contraddizioni” è il suo primo
finalmente,
non
saggio.
sapremo di essere
dei vinti, non ci renderemo conto di adulare il nemico, di
to, ha imposto il suo credo mistico,
accettare il nuovo Ordine rivoluziosi è consolidato nelle sfere di
nario che la Modernità, a nostra
governo delle nazioni egemoni,
L
“machiavellicamente”, ha corrotto,
oppresso, mentito, monopolizzato il
diritto di emettere moneta, ha
esportato subdolamente il suo
modello economico, ha imposto
violentemente dei codici linguistici,
morali, culturali. Ha svuotato gli
Stati della loro sovranità e l’uomo
della sua essenza. Il nuovo Potere
ha dichiarato guerra all’umanità
ponendosi come hostis (nemico)
dei popoli e delle nazioni libere
provocando una crisi senza precedenti storici.
Una guerra che è totale (tutti gli
aspetti della vita ne sono compromessi), dominante, rivoluzionaria (è
tuttora in corso), universale (tutti
sono coinvolti poiché tutti i popoli e
gli Stati devono fondersi in una sola
razza, in un solo popolo e in un solo
Stato), locale (siccome è estesa
all’interno delle nazioni stesse che
subiscono il “primato della politica
interna” – conflittualità di fazioni
politiche, religiose, etniche, sociali
– “sull’unità politica” – lo Stato – ed
il rischio costante di una guerra
civile). La vittoria degli angloamericani durante il Secondo
conflitto mondiale ha accelerato
questo processo, tuttavia la dichiarazione di guerra non è stata
firmata nel 1945, bensì ha origine
ben più remote. “È impossibile
comprenderlo (il consolidamento
del Nuovo Potere, ndr), senza
conoscere almeno alcuni avvenimenti storici precedenti che segnano il ciclo del conflitto – scrive Ezra
Pound – non si può comprendere
senza conoscere almeno alcuni
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Lunedi dalle 15:30 alle 19:30
da martedi a sabato dalle 10:15
alle 19:30
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fatti e la loro sequenza cronologica”. È necessaria, quindi, una
presa di coscienza. Senza una
rivoluzione culturale, non vinceremo, o meglio non sapremo mai di
essere in uno stato di guerra
permanente.
tratto da “Il Potere”
Una delle maggiori mancanze della
società contemporanea è l’assenza
di valori, un problema a cui si aggiungono vari deficit che, sommati uno ad
uno, determinano l’attuale desolante
panorama sociale, culturale, economico e politico.
Eppure illustri filosofi, intellettuali e
storici nelle loro opere scritte nel XX e
XIX secolo ci avevano avvertito.
Manifesto della decadenza è “Il
tramonto
dell'Occidente”
(titolo
profetico) di Oswald Spengler.
Nonostante ciò continuano ad
esserci, basta ben cercare, giovani
validi, preparati e attenti alle logiche e
alle dinamiche che regolano il nostro
tempo. Credo Sebastiano e Lorenzo,
che ho conosciuto inizialmente per la
loro
esperienza
editoriale
dell’Intellettuale Dissidente, rappresentino questa categoria di persone.
Il progetto di Historica e di tutto il
nostro gruppo editoriale è quello di
pubblicare un catalogo eterogeneo,
composto di varie voci ma unito da
un comune progetto di qualità. Dopo
aver letto qualche articolo dei due
autori romani mi sono detto: questi
ragazzi devono entrare a far parte
della nostra squadra. Così, quando
mi hanno proposto il loro saggio,
dopo averlo letto, non ho potuto che
acconsentire con grande piacere alla
pubblicazione. Condivido gran parte
delle tesi esposte nel libro (non tutte
ma è il bello della diversità di opinioni)
e soprattutto credo sia innegabile
l’attenzione e il rigore documentativo
de “Il Potere”.
Credo, e Sebastiano e Lorenzo
saranno d’accordo con me, che in
Italia esistono molti giovani che,
giorno dopo giorno, mattoncino dopo
mattoncino, stanno costruendosi un
proprio percorso con dedizione,
sacrificio e tanta tenacia.
Leggendo “Il Potere” non si direbbe
gli autori siano poco più che ventenni,
invece è così.
I valori sono trasversali e non hanno
età, Sebastiano e Lorenzo sono la
dimostrazione più evidente.
Francesco Giubilei, editore
Dicembre 2013
9
Il mondo moderno e le sue contraddizioni
Prefazione Il vecchio modello ci ha abbandonati, ripensiamo il nuovo
a cura di Carlo Sibilia
“S
cappare è quello che molti giovani
italiani sono stati costretti a fare.
Sebastiano e Lorenzo invece si
sono tuffati con coraggio nelle
contraddizioni del loro paese, che poi sono
quelle dell'intero mondo. E dal mondo, non si
può scappare. Lo hanno fatto partendo da
lontano. Dalle essenze. Dai punti fermi della
grande storia. Aggiungendo dei dettagli non
da poco che ci aiutano ad "unire i puntini"
guidandoci anche tra fondamentali retroscena
che delineano gli equilibri di potere odierni.
Dunque partiamo dal "Potere" che, come
storia del 900. Ma proprio per questo anche in
un momento storico di cruciali opportunità. Si
avete letto bene. Opportunità. È tempo di
mettere in dubbio il sistema. La stessa società
basata sul profitto va messa in discussione.
Lo stesso profitto va ripensato. Il profitto
giustifica tutto, ogni forma di potere. La
criminalità organizzata, la vendita del proprio
corpo, i sicari a cinque euro, il fatto di avere un
governo non eletto dal popolo, ma creato a
tavolino.
Bisogna ripensare un nuovo modello.
Bisogna ripensare l'altro modello.
[…]Probabilmente c'è un rischio del coraggioso gesto di liberarsi dei punti fermi. Il
rischio è quello di fare la fine di
Carlo Sibilia (27 anni)
alcune indagini per certe stragi
Ha conseguito la laurea triennale in
italiane. Dove è vero tutto e il contrabiotecnologie presso l’Università degli rio di tutto.
Studi di Perugia. Eletto nel maggio del Prima o poi, dunque, è necessario
abbandonare le teorie e passare alla
2013 deputato del Movimento 5 Stelle, pratica. Quando si ha una visione,
un disegno, un sogno non si riesce
è diventato segretario della III
sempre a delinearne i dettagli e
Commissione Affari Esteri e
definirne i contorni. Passare alla
Comunitari.
fase dell'azione permette di creare
cultura ed esperienza tangibile.
Dare concretezza e consistenza alla visione.
diceva qualcuno, "logora chi non ce l'ha". Ma
Allora ridestiamoci, guardiamoci intorno,
quel qualcuno è morto e la gestione del potere
cerchiamo chi altri insieme a Sebastiano e
è decisamente cambiata. O sta cambiando ad
Lorenzo si sta svegliando dal torpore.
altissima velocità”.
Magari scopriremo di non essere soli. Magari
scopriremo che il vecchio modello ci ha già
[…]I tempi sono mutati, gli strumenti a nostra
abbandonati, ma l'unico modo per lasciarlo
disposizione sono mutati. Le fonti di energia
alle spalle è quello di costruire, insieme, il
sono mutate. Le fonti d’informazione sono
nuovo.
mutate. La cultura delle persone sta mutando.
Siamo indubbiamente nel momento di crisi più
Testo estratto dalla postfazione de “Il Potere”
profonda e che coinvolge più settori della
“L’Intellettuale Dissidente”
di proprietà della
Associazione Culturale “ControCultura”
Direttore
Sebastiano Caputo
Caporedattore
Lorenzo Vitelli
Direzione e redazione centrale
Roma, via Fratelli Ruspoli 4, 00198
Email
[email protected]
Corrispondenti dall’interno
Pierpaolo Corsi
Niccolò Maria de Vincenti
Maria Paola Frajese
Dario Stefano Lioi
Renato F. Rallo
Flaminia Camilletti
Martina Turano
Luca Barbirati
Carlotta Correra
Guido Rossi
Luca Fattorosi Barnaba
Antonino De Stefano
Francesca Lanzillotta
Ludovica Coletta
Postfazione
L’ideologia dell’imperfezione inemendabile
a cura di Diego Fusaro
codificata da Carl Schmitt.
Con il capitalismo si assiste a una svolta
iamo oggi abitatori della prima forma
epocale nel modo di concepire e di praticare il
sociale e politica che non si contrabpotere ed è questo l’orizzonte critico in cui si
banda come perfetta, ma che fa
inscrive il saggio di Sebastiano Caputo e
apertamente vanto della propria
Lorenzo Vitelli, una lucida quanto demistifiimperfezione. Nelle sue forme tradizionali, il
cante opera di messa a nudo degli arcana
potere tendeva sempre a presentarsi ideologiimperii dell’odierno ordine globalizzato.
camente come perfetto, e dunque come tale
A differenza dei precedenti regimi disciplinari
da non dover essere trasformato, né, tanto
del potere, il cosmo a morfologia capitalistica
meno, sostituito da altre forme di potere
non pretende di essere perfetto: sempliceeventualmente “perfezionate”.
mente nega l’esistenza di alternative, convinCiò appare lampante non appena si consideri,
cendo le menti dei suoi sudditi coatti non delle
ad esempio, la forma del potere “assoluto” che
proprie qualità, ma del proprio carattere fatale,
ha accompagnato una parte decisiva
intrascendibile e destinale. Di più, quello che
dell’avventura storica dello Stato moderno: lo
in altra sede ho qualificato come capitalismo
Stato assoluto, in quanto superiorem non
assoluto-totalitario professa apertamente la
recognoscens (Bodin), si concepisce come
propria imperfezione e, insieme, nega alla
assoluto e perfetto o, se si preferisce, come
radice la possibilità di perseguire la perfezioassolutamente perfetto. È ben più che una
ne, ossia forme alternative di abitare lo spazio
semplice metafora la definizione che, nel
sociale che non siano quella dell’orizzonte
Leviatano, Hobbes fornisce dello Stato come
unico della forma merce e dell’alienazione che
Deus mortalis, come “Dio in terra” (definizione
essa produce su scala planetaria.
che, come è noto, sarà assimilata dallo stesso
Di qui il principale comandamento della
Hegel).
religione capitalistica, il monoteismo del
mercato santificato da quella
teologia
della
disuguaglianza
Diego Fusaro (30 anni)
sociale che è l’economia (scienza
Diplomatosi al Liceo classico Vittorio
dominante e, insieme, scienza del
dominio): “non avrai altra società
Alfieri di Torino, si è laureato in
all’infuori di questa!”.
Filosofia della Storia nel 2005 e,
La dittatura dei mercati di cui
successivamente, in Filosofia e Storia
siamo sudditi si proclama retoricadelle Idee nel 2007 presso l’Università mente, in stile popperiano, una
“società aperta”, che riconosce i
degli Studi di Torino. Ha conseguito un propri limiti e le proprie imperfezioni, e, insieme, si configura come la
dottorato di ricerca presso l’Universita
società più chiusa dell’intera storia
Vita-Salure San Raffaele di Milano in
umana: essa, infatti, neutralizza la
Filosofia della storia ed è ricercatore e possibilità di progettare società
alternative tramite il duplice dispoprofessore presso la stessa.
sitivo ideologico dell’assolutismo
mistico della realtà e della automatica identificazione tra la critica radicale del
In forza di quel processo di immanentizzaziocapitalismo e l’approvazione a posteriori dei
ne radicale del trascendente con cui si identifitotalitarismi novecenteschi.
ca il moderno, la perfezione divina viene
proiettata nelle regioni terrestri della potenza
Testo estratto dalla postfazione de “Il Potere”
statale, nella forma della politische Theologie
S
Giovanni Pucci
Francesco Chiarizia
Andrea Chinappi
Filippo Benincampi
Emanuele Vincent
Santi Cautela
Ippolito Emanuele Pingitore
Edoardo Arrigo
Manfredi Zichichi
Francesco Pietrella
Gabriele Cruciata
Damien Bondavalli
Alessio Caschera
Kirios Di Sante
Roberto Saverio Caponera
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Andrea Petolicchio
Paolo Ciancimina
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Carlo Di Gregori
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10
Homines
Il mito di Giovanna d’Arco nella storia europea
Il contesto storico: la Guerra dei Cent’Anni
N
el 1337 iniziò la denominata Guerra
dei Cent’Anni (in realtà il conflitto si
protrasse 116 anni dato che si concluse nel 1453) tra Inghilterra e Francia
causata da una complessa vicenda dinastica
che portò il Re d’Inghilterra a rivendicare il
trono di Francia. Ampie parti del territorio
francese vennero occupate dagli inglesi e la
stessa Parigi cadde sotto un regime di
occupazione. Una svolta radicale al conflitto
avvenne con la celebre Battaglia di Azincourt
nel 1415, nella quale il Re d’Inghilterra, Enrico
V inflisse una decisiva sconfitta militare ai
francesi. Con il Trattato di Troyes, nel 1420,
Enrico V e il Re di Francia, Carlo VI, si accordarono per unire le due corone tramite il
matrimonio tra lo stesso Enrico V e la figlia di
Carlo VI, Caterina di Valois. Questo Trattato
portò alla esclusione dalla Corona del figlio di
Carlo VI, il futuro Carlo VII. Questo fu
certamente uno dei momenti più bui della
storia francese da cui nacque, infatti, il tentativo di costruire un unico grande regno dominato dagli stessi inglesi. Il tentativo, tuttavia,
venne messo subito in crisi dalla prematura
morte di Enrico V e dello stesso Carlo VI nel
1422.
La costruzione del mito
Ancora oggi chi si avventura al villaggio
lorenense di Domrémy può scoprire la casa
natale di Giovanna d’Arco, nata in questa
località il 6 gennaio 1412.
Giovanna era figlia di contadini, certamente
non agiati ma molto probabilmente neanche
in condizioni di povertà. La Lorena, in quel
momento, era teatro di guerra, posta come
era sulla linea del fronte, dato che i borgognoni erano alleati degli inglesi, nella lotta contro
i francesi. Fu qui, a Domrémy, nel 1428, a soli
16 anni, che la tradizione attribuisce a
Giovanna una esperienza mistica. Giovanna
d’Arco, secondo la propria ricostruzione, si
vide attribuire, tramite l’intercessione di figure
quali Santa Margherita, Santa Caterina
d’Alessandria e l’Arcangelo Michele, la
missione divina di liberare la Francia dalla
dominazione inglese. Dopo complesse vicende, Giovanna d’Arco venne ricevuta da Carlo
VII (il figlio di Carlo VI diseredato dal Trattato
di Troyes del 1420): la Pulzella (come fu
denominata da quel momento Giovanna
d’Arco) convinse il Re a condividere i propri
obiettivi militari e politici. Tali obiettivi sono: la
liberazione della strategica città di Orleans
dall’assedio inglese e la unzione di Carlo VII a
Re di Francia nella Cattedrale di Reims.
È credibile questo racconto? È possibile che
una giovane contadina sia riuscita a convincere il Re di Francia, ma anche la Corte, della
propria credibilità e bontà dei suoi propositi?
La risposta non può essere univoca, ma è
possibile ritenere che il personaggio sia stato,
in un certo senso, costruito politicamente da
persone influenti dell’entourage del Carlo VII:
tra queste un ruolo chiave pare sia stato
assolto dalla suocera del Re, Iolanda
D’Aragona. Anche qui, inoltre, non bisogna
sottovalutare il contesto e l’esperienza
storica: solamente cinquant’anni prima,
un’altra figura femminile, Santa Caterina da
Siena aveva avuto un ruolo centrale nel
ritorno dei papi dall’esilio avignonese nel
1377. A questi fattori politici e storici dobbiamo, inoltre, aggiungere la dimensione della
Fede: è questa virtù teologale, capace
realmente di “spostare le montagne” che
anima Giovanna d’Arco.
La Pulzella, ricevuto il mandato da Re Carlo
VII, riesce, in poche settimane, a compiere la
sua impresa: Orleans viene liberata
dall’assedio inglese (8 maggio 1429) e Carlo
VII unto Re nella Cattedrale di Reims (17
luglio 1429). L’intervento di Giovanna d’Arco
nella Guerra dei Cent’Anni risulta decisivo: da
quel momento gli inglesi inizieranno un lento
ripiegamento che si concluderà con la loro
definitiva espulsione dal territorio francese nel
1453, ad eccezione momentaneamente della
città di Calais. Giovanna d’Arco, dopo altre
imprese militari, tra le quali l’assedio di Parigi,
viene catturata a Compiègne dai borgognoni
nel novembre 1430 e successivamente
consegnata agli inglesi. È significativo come
gli inglesi abbiano intentato contro Giovanna
d’Arco un processo affidato ad un tribunale
ecclesiastico presieduto dal Vescovo di Beauvais, Pietro Cauchon.
La
Pulzella
fu
accusata di eresia,
scisma, apostasia e
stregoneria:
sono
accuse dalle quali
Giovanna si difese
con
incredibile
fermezza, abilità e
padronanza
delle
questioni teologiche.
Il processo si concluderà con la condanna
a morte di Giovanna
d’Arco e la sua
messa al rogo il 30
maggio 1431 Rouen.
Le conseguenze politiche
La Guerra dei Cent’Anni può essere considerata, per certi aspetti, una vera e propria
guerra europea. L’Inghilterra abbandonerà
per sempre la dimensione terrestre della
propria forza militare per concentrarsi nella
costruzione di una grande potenza marittima
e navale. Una sconfitta, quindi, che si è risolta
storicamente nella nascita di un grande
successo politico e militare. La Francia ha
avuto in eredità dalla Guerra dei Cent’Anni la
sua definitiva unificazione a livello politico:
fenomeni autonomistici, come quello rappresentato dalla Borgogna, vengono definitivamente superati ed assorbiti. Dopo la Guerra
dei Cent’Anni, la Francia si afferma come uno
Stato fortemente centralizzato con il suo
cuore nella città di Parigi. A noi abitanti del
XXI secolo rimane il mito di Giovanna d’Arco
(canonizzata da Papa Benedetto XV nel
1920) ad indicarci come un grande ideale, o
una grande Fede, supportati da particolari
condizioni storiche e politiche, possano
sovvertire il mondo.
a cura di Fabio Pizzino
Dicembre 2013
Pier Paolo Pasolini: Profeta di un’era
libera e beata, e se la gode, sempre.”
Così Pasolini a questa vita sregolata e libertina, nichilista e dissoluta, edonista e consumatrice dell’individuo moderno – obbligato, per
sua natura stessa, a dover godere(!) a dover
consumare (!) – oppone tutta altra vita, una
vita anti-borghese, anti-sviluppista: quella
rurale e arcaica, materialmente povera ma
ricca di spirito.
Così il poeta di Casarsa guarda al passato e al
presente, all’Italia rustica e agreste, a quella di
borgata e di periferia.
Tra le campagne della prima Italia Pasolini
riconosce, ancora intatti, i valori tradizionali e
anti-materialisti di un passato che lascia
sull’individuo e sulla comunità un tenero velo
di innocenza. La fede come primo
Pasolini aveva già inquadrato l’uomo collante unitario, i valori della terra
come alternativa e ultimo baluardo di
moderno: consumatore, omologato, resistenza ai valori “moderni” del
consumo, del profitto, dell’utile,
laico, liberale, moderato, edonista,
dell’interesse.
tollerante, sradicato.
La comunità prima dell’individualismo.
Pasolini coglie con sottile intelligenza il
motto libertario è “produrre e consumare”.
passaggio, psicologico e sociale, che sta
investendo la penisola da Nord a Sud, uno
l’accesso diretto ed indiscriminato verso il
scontro di civiltà e di mentalità. L’abbandono di
nuovo paradigma dello Sviluppo: “produrre e
un mondo per un altro: l’avvento ineluttabile
consumare”. Perché ogni libertà democratica,
della modernità, di ciò che Nietzsche, possiauna volta superato il buonismo imbellettato
mo pensare, chiamava nichilismo. Sono
della possibile emancipazione individuale, si
scomparse le lucciole diceva Pasolini, ed
riduce a questo.
E se i sessantottini, nella loro epopea militante
paradigma. E finalmente anche Pasolini lo
e politica, incastonati nelle ideologie del
abbiamo collettivamente ed inconsciamente
tempo, si facevano ancora portatori di ideali e
espiato. Ci siamo fatti perdonare. La sua
di speranza, il risultato lasciato ai posteri – il
critica al mondo moderno si è con disinteresse
materialismo più meschino – è l’antitesi.
sostituita ad una triste e redentoria green
E la rivoluzione, così attuale, che compie
economy, al consumo di prodotti biologici, “a
Pasolini è un moto di ribellione conservatrice,
impatto zero”, ad una scampagnata in campaè un percorso a ritroso nel tempo, che, sia
gna, alla visita guidata – come fosse uno zoo –
pure per una poetica nostalgia o una malincodel mondo contadino, e indichiamo con il dito
nia sincera, oggi si rivela nella sua più viva
quegli strani – e quasi in via di estinzione –
intensità. Prima che nascesse, in questo
animali con la zappa, che rimangono così
secolo controverso, la nuovissima creatura
saggi.
dell’”uomo moderno”, Pasolini l’aveva già
“Ho nostalgia della gente povera e vera che si
inquadrato: consumatore, omologato, laico,
batteva per abbattere quel padrone senza
liberale, moderato, edonista, tollerante,
diventare quel padrone.”
sradicato. Sono tutti termini che ritroviamo
negli Scritti corsari, una raccolta di articoli
a cura di Lorenzo Vitelli
pubblicati sul Corriere
della Sera dal 1973 al
1975 e che assieme a
Lettere luterane è uno
dei testi fondanti della
poetica pasoliniana.
E questi stessi concetti li
sentiamo già in Platone,
quando nella Repubblica
parla
dell’uomo
democratico: “vive alla
giornata, soddisfacendo
quell’appetito che urge
al momento; ora si
ubriaca e si diletta al
suono del flauto, ora
beve acqua e segue una
cura dimagrante, ora
compie esercizi ginnici,
ora sta in ozio, incurante
di tutto; ora sembra
interessarsi di filosofia.
Spesso partecipa alla
vita politica e, saltando
su, parla ed agisce a
casaccio; e se mai
intende
emulare
i
guerrieri, si dedica con
trasporto ad attività
belliche;
se
vuole
emulare
gli
uomini
d’affari,
diventa
affarista. Nessun ordine
e nessuna necessità
presiedono alla sua vita;
la chiama dolce vita,
P
erché Pasolini profeta? Profeta, forse,
proprio perché faceva poesia, ed ogni
poesia, in sé, è anche un messaggio ai
posteri, una rivelazione, una visione.
Ecco, Pasolini è un visionario.
Ci sono quei letterati di cui si sente tutto il peso
del tempo, o quelli che, come Nietzsche,
nascono postumi. Pasolini nasce con il dono
dell’attualità ed è, tutt’ora, attuale; lo è tanto
più oggi di quanto non lo fosse ieri. La sua
poesia si prolunga sino a noi del tutto vergine,
con l’innocenza degli occhi di chi ha sempre
visto oltre lo scontro dialettico di ideologie ed
estremismi, oltre le fazioni create e strumentalizzate dal Nuovo Potere, la società in cui il
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Società
Dicembre 2013
Televisione
11
La volgarizzazione dell’arte nell’era dei media di massa: l’impossibilità del genio, il trionfo del talento
$ Factor: il Talent show come ultima umiliazione dell’arte
di Rfr
statiche macchiette, flat characters.
Si chiama Talent Show, ed è uno
e dovessimo cercare una
dei più mostruosi dispositivi biopolispeciale
caratteristica
tici di questi ultimi anni.
che distingua la nostra
E’ un format televisivo grazie al
epoca, non saremmo
quale in ogni casa arrivano forti e
lontani dal vero se dicessimo che
chiari i canoni che l’industria
tale caratteristica è l’incapacità di
culturale ha stabilito per ogni suo
grandezza. Non c’è mai stata al
scaffale, dal reparto dischi al banco
mondo, crediamo, un’epoca così
dei libri, fino ad arrivare all’angolo
grama e meschina. Siamo incapaci
gastronomia e alle frittate, pardon,
di pensiero profondo, di emozione
omelettes.
intensa, di azione coordinatamente
Il funzionamento è molto semplice
superiore. Siamo gli artificiali e i
e - nella sua follia - lineare: l’arte
provinciali di noi stessi. Non si
viene assolutizzata, immobilizzata,
potrebbe descrivere meglio quel
deportata in mezzo ad uno studio
che sta accadendo negli animi e nel
televisivo, e gli aspiranti artisti le si
mondo che dandogli il nome di
avvicinano a turno per vedere chi le
provincializzazione dell’Europa.”
somiglia di più, in un paradossale
scambio di posizioni dove la critica
Fernando Pessoa, Il libro del genio
non segue più l’arte ma ontologicae della follia
mente la precede.
Sulle pareti, nel
viene
La banalizzazione dell’arte passa per frattempo,
proiettato il solito
la reificazione dell’emozione: l’uso
circo emozionale: la
coercitivo della tecnologia ci
lacrima di chi sbaglia
la dose di burro nella
condanna alla dittatura
torta; l’espressione
dell’ipotalamo.
schifata dello scrittore
di
successo
Dove l’arte è ridotta a mero esercimentre strappa il romanzo di un
zio riproduttivo di modelli calati
concorrente; l’inquadratura stretta
dall’alto.
sulla disperazione del ragazzo che
Dove
l’ingegnerizzazione
del
viene eliminato dalla scuola di
prodotto
artistico
richiede
teatro. La banalizzazione dell’arte
l’implementazione di macchine
passa
per
la
reificazione
umane sempre più alienate,
dell’emozione: l’uso coercitivo della
sempre migliori nell’esecuzione, più
tecnologia ci condanna alla dittatuprogrammabili, più settorializzate:
ra dell’ipotalamo.
“S
Modernità
C
Ed
è
proprio
nell’intimo del cervello che, oltre all’idea
che l’unico modello di
danza sia quello di
Maria de Filippi e
l’unico modo di cantare sia quello di
X-Factor, si instilla
anche la paura del
fallimento.
Trionfa chi si attiene
meglio al compitino
assegnato, chi viene
incontro ai giudici, ai
professori, al televoto, alla massa.
Vince chi sacrifica la
propria
personalità
s u l l ’ a l t a r e
dell’omologazione.
Da ciò segue la
distruzione di ogni
possibilità di ‘genio’:
ogni tensione creativa
viene incanalata sui
binari del fruibile,
dell’orecchiabile, del
monetizzabile.
L’arte non avanza, i parametri
rimangono sostanzialmente immobili nella palude del commercio,
salvo alcune variazioni formali
intorno al trend della domanda.
Il corto circuito è completo: la
massa compra ciò che l’artista
produce
secondo
i
criteri
dell’industria che plasma la massa.
Oppure, per gli amanti della costituzione, “la sovranità artistica spetta
al telespettatore, che la esercita
nelle forme e nei limiti stabiliti dal
format.”
La trascendenza è solo uno scomodo ricordo del passato.
Come una tavola dove mangiare,
un letto dove dormire, oggi anche
l’arte è finalmente orizzontale.
“Oggi, l’estendersi dell’educazione
e la costante agitazione di problemi
intellettuali producono, diciamo,
dieci uomini di talento per ognuno
che ve n’era anticamente; per cui
concludiamo che siamo superiori.
Ma per ogni cinque uomini di genio
che v’erano un tempo, oggi non ne
produciamo alcuno.
E poichè dieci talenti non fanno un
genio, un’epoca di molti talenti non
è, nè vale, un’epoca di un solo
genio.”(ibid.)
Si sono ribaltati i canoni di bellezza di cui l’odierno metro di giudizio è la sola corporeità volta al consumo
ome è cambiata l’estetica
del corpo? Come si sono
modificati il modo di concepire
il
piacere
dell’osservazione del prodotto
naturale ‘essere umano’ e la pura
osservazione estetica?
Negli ultimi anni questi concetti
sono stati capovolti, rigirati, straziati. Anatomia e arte fin dall’antichità
hanno formato un binomio vincente
che a quanto pare oggi come oggi
appartiene al passato, un passato
che sembra sempre più lontano.
Dalle proporzioni studiate dai
canoni classici si è arrivati ai cartelloni pubblicitari di oggi.
Non è da considerare solamente
l’intento artistico nella questione
La perversa estetica del corpo
dell’estetica del corpo, perché in
realtà è qualcosa di più.
Ci riguarda tutti i giorni e sul fatto
che un’ opera di Fidia o di Mirone e
una campagna pubblicitaria con
una modella anoressica non siano
paragonabili non ci sono dubbi.
Il confronto viene meno considerando che attualmente non vige
alcun
criterio
estetico,
ma
puramente pubblicitario e consumistico. Tuttavia il collegamento è
proprio ciò che i due tipi diversi di
icone vogliono rappresentare:
simboli di un ideale da raggiungere,
da ammirare, in cui perdersi, con la
differenza che nel primo caso ci si
perde di fronte alla razionalità
artistica e l’artificio che risulta così
naturale nell’idea di bello, di proporzionato, di sano, mentre nel secondo caso ci si perde nel labirinto
della modernità e dei suoi aspetti
più tetri legati al consumo di cui si
fa troppo spesso un valore.
Dal quinto secolo a.C. con i già
citati Fidia e Mirone si creano dei
canoni non solo artistici ma quasi
matematici, che avranno un posto
d’onore fino al Neoclassicimo con
Thorvaldsen e Canova fino a metà
Ottocento, passando per Michelangelo e Leonardo nel XV e XVI
secolo.
Così come nei bronzi di Riace
(anch’essi databili intorno al v
secolo a.C., culmine della scultura
classica) o nel Discobolo di Mirone
l’anatomia umana è
studiata nel dettaglio
affinché sia rintracciabile un rapporto intimo tra
l’arte come prodotto
umano e la sua componente naturale. Il bello
classico è un bello
razionale, ed è attraverso la ragione e la
geometria
applicate
all’arte che si ha allo
stesso tempo un’icona
di come l’uomo dovrebbe essere, e non solo
‘fisicamente’ parlando,
in quanto il corpo nella
sua dimensione materiale rappreAl modello consumistico sono
senta comunque attraverso lo
infatti legate icone di corpi quanto
studio delle proporzioni le facoltà
mai innaturali e artificiosi, che
intellettuali dell’uomo. La compovengono posti come canoni di
nente razionale è sempre più
bellezza.
difficile da trovare in quanto si
Ci vengono presentati uomini
confonde il criterio estetico e artistiartificiali, finti, bambolotti di plastica
co con l’utile, con il raggiungimento
e modelle con corpi da Terzo
di obiettivi legati al mondo del
Mondo. Si scambia il valore esteticonsumo e al di fuori di ogni logica
co con il non-valore della ricchezza,
se non a quella del mercato.
proprio perché chi più è ricco più
Oggi il valore genuino del corpo
può consumare.
viene raramente preso
in
considerazione,
Il bello classico è un bello
soprattutto dai giovani,
razionale, ed è attraverso la
sia dal punto di vista
estetico sia da quello
ragione e la geometria applicate
salutare.
Dal punto di vista all’arte che si ha allo stesso tempo
estetico si può dire un’icona di come l’uomo dovrebbe
che si presta attenzioessere.
ne alla mera apparenza, fine a sé stessa,
quella che da sola funziona da
L’aspetto malato di questo sistema
metro di giudizio.
e il suo trovarsi al di fuori di ogni
Dal punto di vista salutare il ‘vivere
schema razionale è evidente nel
in maniera sana’ è sostituito ad un
paradosso per cui il modello di
principio di autodistruzione del
donna ideale è scheletrica, anoresproprio corpo, attraverso droghe,
sica, malsana e lo stesso modello
protesi di silicone, alcool e tabacche razionalmente porta ad un’idea
chi.
di miseria e povertà viene utilizzato
Il capovolgimento del valore esteticome simbolo della ‘ricca e prospeco del corpo è da attribuire al
ra’ quanto perversa civiltà occidenmondo consumistico, che si sostitutale, consumisticamente parlando.
isce troppo frequentemente all’arte
nella vita di tutti i giorni.
di Antonino De Stefano
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12
Società
Sociologia
La società “liquida”è caratterizzata da esistenze frenetiche, effimere, incerte, spersonalizzate
L
ibertà. Non esiste concetto
più potente nel nostro
vocabolario. Quando si
pronuncia questa parola
non è più possibile discutere.
Si vince. Perché la Libertà viene
chiamata in causa come una legge
universale, un testamento; si nasce
liberi e bisogna morire liberi.
Ed eccolo il Capitale, il Sistema, la
sovrastruttura come la chiamerebbe Marx che approfitta della potenza di questo romanticissimo
concetto e lo strumentalizza.
L'individuo post-moderno è alla
Letteratura
Dicembre 2013
Liberi sì! Ma di consumare
perenne ricerca di un'identità
essendo divenuto “fluido” il contesto che lo circonda: la società
liquida che il sociologo Bauman
teorizza è una società che si modella artificialmente, che non ha più
una struttura interna, che si adatta
a nuove mode e tendenze.
La libertà dell'uomo sta nel poter
smettere ciò che è per diventare
qualcun' altro; ma per raggiungere
questo obiettivo ha necessariamente bisogno di oggetti che lo aiutino.
L'ansia di “restare indietro” di cui
l'uomo moderno soffre ha permes-
so al Capitale di inventare piccoli
rimedi fai-da-te in grado di soddisfare da una parte la sete di novità
e dall'altra la paura di rimanere
“fedeli” ad una moda, un accessorio, una tendenza.
Gadget, diete, smartphone vanno a
riempire quell'ansia di soddisfazione e gratificazione dell'uomo
nuovo, quello che vive nel presente, in cui conta la velocità e la
bravura nel fare e disfare, farsi e
disfarsi, consumare e gettare via.
I rapporti inter-personali vanno man
mano indebolendosi a causa di un
senso di competizione che
aleggia sugli individui. La
ricerca di un'unicità spinge
l'uomo a trovare modi e
strategie per essere migliore
e la società puntualmente
torna ad aiutarlo: consumare.
Ma la corsa all'individualizzazione non è aperta a tutti; la
“maratona” organizzata dal
mercato dei consumi e
alimentata dal terrore dell'individuo di essere raggiunto è
una gara elitaria: per essere
qualcuno nella società dei
nessuno bisogna avere
soldi, molti soldi. E allora due
sono le categorie di uomini
che la società dei consumi
produce: buoni consumatori
efficienti e spettatori esclusi
dalla corsa all'individualizzazione.
La nuova economia si presenta
ci viene quotidianamente imposto;
come un Dio buono e misericordiola pubblicità con i suoi messaggi, i
so che si offre di soddisfare i nostri
suoi slogan e le sue immagini
desideri; ma il vero motore di
realizza i nostri sogni.
questa economia è la mancata
Pensiamo alle ultime pubblicità
soddisfazione di tali desideri.
della Levis o degli smartphone in
Come? Ogni oggetto di consumo
cui il raggiungimento della libertà e
offerto porta in sé una carica di
della felicità,come della celebrità,
insoddisfazione che il consumatore
sta nel possedere quel prodotto.
riconosce e che fa già pensare a
Gli articoli pubblicizzati sembrano
qualcos'altro da
desiderare. Due
«Che bestia bisogna adorare? Che
sono le strategie
immagine sacra aggredire? Quali i
per
creare
questa insoddicuori che spezzerò? E che
sfazione: svalumenzogna
devo sostenere? – Dentro
tare
prodotti
appena
essi
che sangue marciare?»
vengono lanciati
Arthur
Rimbaud,
Une saison en enfer
e creare nuove
necessità.
L'economia consumista si basa
sull'inganno
e
sull'ipocrisia:il
poter realizzarci come singoli
prodotto acquistato deve avere vita
individui: le pubblicità dei profumi
breve, non essere all'altezza delle
nelle quali il protagonista vive delle
aspettative, creare nuove speranesperienze che sono al di fuori della
ze. E qui entra in gioco la libertà e la
vita quotidiana stimolano l'istinto
subdola maniera in cui viene
dell'uomo pigro che si sfoga non
utilizzato questo concetto.
nello spingersi a compiere tali
Dal momento che la libertà ci
esperienze ma nell'acquistare il
caratterizza come uomini, dal
prodotto nella speranza di rivoluziomomento che fa parte di quelle
nare la propria vita.
categorie primordiali che ci apparEd ecco scoperto il paradosso:
tengono, in una società in cui il
liberi di acquistare un prodotto che
consumo ci caratterizza come
ci illude di renderci unici essendo
cittadini dobbiamo essere liberi di
comunque acquistabile da tutti.
consumare liberamente.
Ma come bisogna essere liberi o
di Andrea Chinappi
cosa bisogna fare per essere liberi
È lo stesso Pasolini ad indicarci la sua chiave di lettura: l’ideologia e la passione
La rassegnazione di Pier Paolo Pasolini ne Le ceneri di Gramsci
di Luca Barbirati
L’
opera
“Le
ceneri
di
Gramsci” è stata pubblicata
per la prima volta nel 1957
e raccoglie undici poemetti,
tutti già editi in rivista nella prima
metà degli anni '50.
Ad una prima lettura emerge netto il
carattere “civile” dei versi pasoliniani, dati alle stampe in un momento
particolare della storia del partito
comunista, sostenitore dell'invasione dell'Ungheria da parte dell'Urss!;
tuttavia non si possono disconoscere le precedenti poesie friulane
dove Pasolini - pressapoco ventenne - manifesta già il suo attaccamento estetico e religioso per
l'ambiente popolare sin dalla prima
pagina: Fontana d'acqua del mio
paese./ Non c'è acqua più fresca
che nel mio paese./ Fontana di
rustico amore.
Questo testo è fondamentale per
avvicinarsi alla poesia del secondo
Novecento e, per comprenderlo
fino in fondo, è necessaria la lettura
con una doppia lente, che è lo
stesso Pasolini ad indicarci, pur
implicitamente: l'ideologia e la
passione. Nella prima parte del
poemetto omonimo al libro, l'Autore
si rivolge al giovane Antonio
Gramsci
(1891-1937),
ormai
seppellito nel Cimitero degli Inglesi
a Roma, con l'espressione “Tu
giovane” tesa ad indicare la sua
purezza di vita e di pensiero, in
contrasto con quanti lo ricordano da
morto solo laicamente e con ipocrita formalità.
Pasolini si sente morire nella morte
di Gramsci in quanto vede il
tradimento dei superstiti, il mancato
passaggio del testimone, l'indifferenza e la perdita dell'originaria
passione.
La scissione che Pasolini vede
manifestarsi nella cultura italiana
ed in particolare in quella comunista, la ritrova dentro di sé: borghese
ma amante del proletariato, ben
vestito ma abitante di strade sudicie
e polverose (con te nel cuore,/ in
luce, contro te nelle buie viscere).
Pasolini si sente vicino al popolo
indigente non per “coscienza” o per
“lotta” bensì per la sua “allegria” e la
sua “natura”.
Quello di Pasolini è un astratto
amore. L'immedesimazione col
ceto rurale, con cui condivide la
speranza e la sofferenza quotidiana, è solamente intellettuale e lo
stesso pensiero che porta Pasolini
ad una condizione francescana
d'elogio della sobrietà, lo schiaccia
immancabilmente
nella
sua
contraddizione: Ma nella desolante/
mia condizione di diseredato,/ io
possiedo: ed è il più esaltante/ dei
possessi borghesi, lo stato/ più
assoluto. Ma come io possiedo la
storia,/ essa mi possiede; ne sono
illuminato:/ ma a che serve la luce?.
Nella parte conclusiva Pasolini si
congeda (Me ne vado, ti lascio nella
sera).
La frattura esistenziale è irriducibile, lo stato di angoscia lo attanaglia
nel comprendere che la vita del
popolo non è più quella vita
pagano-naturalistica del tempo
preindustriale; ora sembra più una
sopravvivenza
dell'operare
quotidiano.
Ma se il popolo, ansioso di benessere, vive questo abbruttimento con
acquiescenza ed una sorta di
innocente compiacenza, accettando miserabilmente il destino
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occidentale, Pasolini no! Scisso al
suo interno, estraniato dalla società, si rende spettatore del più
grande suicidio collettivo: la perdita
della dignità umana: Ma io, con il
cuore cosciente/ di chi soltanto
nella storia ha vita,/ potrò mai più
con pura passione operare,/ se so
che la nostra storia è finita?.
Filosofia
Dicembre 2013
Topos
13
Tutta la storia del pensiero Occidentale ha fatto riferimento a questi due termini per interpretare l’evoluzione della società
Tempo e divenire: l’età dell’oro da Esiodo a Gian Battista Vico
di Martina Turano
felice passato mitico e primitivo,
nostalgicamente rievocato; ma
Saturnia Regna Virgiliani, l’
corrisponde anche al futuro, al
El Dorado di Voltaire, la
ritorno della condizione aurea alla
Bengodi
Boccacciana,
conclusione di ogni ciclo, vaticinato
sono figli di diverse epoche, che
in un clima di attesa quasi messiapure fanno riferimento al mito dell’
nica, da Virgilio, nella IV ecloga
aurea aetas, la cui prima rappredelle Bucoliche: “E’ giunta l’ultima
sentazione letteraria è contenuta
epoca dell’oracolo di Cuma, nasce
ne Le Opere e i Giorni di Esiodo.
di nuovo il grande ordine dei secoli
(…) ritornano i regni
di Saturno, già una
In età più tarda, la singola età aurea nuova stirpe scende
dall’alto del cielo”. In
ha costituito modello filosofico e
età più tarda, la
letterario per filosofi come Bacone, singola età aurea ha
Campanella, Moro; i rispettivi autori costituito modello
filosofico e letterario
de La Nuova Atlantide, La città del per filosofi come
Bacone, Campanelsole, L’Utopia.
la, Moro; i rispettivi
autori de La Nuova
Non turbata da necessità, guerre,
Atlantide, La città del sole, L’Utopia,
pericoli della navigazione, una
sviluppano l’idea di una organizzastirpe di uomini mortali vive sotto il
zione sociale e statale ideale.
regno di Saturno in armonia con
L’unione tra mito e utopia non è
Dei e Natura. L’età aurea è seguita
certo invenzione moderna: già
da quattro età che si avvicendano
Platone aveva teorizzato ne La
ciclicamente, determinando il corso
Repubblica, le caratteristiche della
della storia. Nell’età dell’argento,
società ideale, sulla base del mito
del bronzo, degli eroi, gli uomini
dell’età aurea. Il tempo è definito
sopraffatti da odio e guerre, sono
invece nel Timeo come “immagine
sterminati da Zeus; nell’età del
mobile dell’eternità” determinata
ferro, l’ultima, l’uomo è causa della
però dal perpetuo succedersi non
sua stessa rovina. E’ questa una
più di cinque, ma di tre età. Il
concezione della storia che risale ai
passaggio dalla concezione arcaica
popoli pagani antichi e che prevede
di tempo ciclico, a quella moderna
la progressiva degenerazione di
di tempo lineare, è determinata
ideali condizioni iniziali: l’età
dall’influsso di Cristianesimo ed
dell’oro corrisponde al comune e
Ebraismo: non già determinata da
I
Modernità
S
corsi e ricorsi storici, la storia
dell’uomo, a partire dalla creazione,
è
orientata
in
direzione
dell’Apocalisse, preannunciata nel
Nuovo Testamento. Non mancano
influenze in senso contrario: l’età
dell’oro pagana di certo ha influito
molto nella rappresentazione del
giardino dell’Eden, luogo della
creazione degli esseri
viventi,
collocata nel libro della Genesi.
Le concezioni opposte di linearità e
ciclicità del tempo e dunque della
storia, sono oggetto, nel XVII
secolo, di uno straordinario tentativo di pacificazione: il filosofo Gian
Battista Vico, ne La
Nuova
Scienza,
riprende
la
teoria
arcaica e pagana della
ciclicità del tempo
interpretando la storia
come successione di
corsi e ricorsi
che
caratterizzano
il
succedersi delle tre
età - pur riconnettendo
l’origine di tale teoria
non a Platone quanto
agli
Egiziani.
Egli
introduce però un
correttivo a questa
sorta di anaciclosi
pagana: la Provvidenza. Rifiutando l’azione
di caso e fato, l’ordine
provvidenziale
che
corrisponde a disegni
divini,
indirizza
la
coscienza
umana,
senza però determinarne necessariamente l’azione: sono garantiti
ordine e libertà. In virtù di
quest’ultima, molti popoli si sottraggono alla legge temporale del
divenire, conservando la barbarie
originaria; rappresentano così isole
primitive circondate da tutte quelle
nazioni che presto o tardi, torneranno sui passi della propria evoluzione, per poi nuovamente progredire.
Vico dunque è rivoluzionario non
solo in quanto si affranca dalle
direttrici del pensiero cristiano, ma
anche per la sostanziale revisione
del pessimismo del pensiero
pagano ed in particolar modo,
greco: per Vico ogni ciclo non si
conclude con lo scadimento di
perfette condizioni iniziali, quanto
con il progresso e il superamento
della barbarie iniziale.
Definito “genio isolato” rispetto al
suo tempo, considerato precursore
del Positivismo, a ragione è possibile affermare che rispetto alla
definizione Gramsciana “pessimismo della ragione e ottimismo della
volontà”, Vico possedeva anche
l’ottimismo della ragione.
Attualizzare un pensiero per recuperare un fine, quello della felicità comune, appannato, nella società dell’individualismo
ono passati secoli dal 1764.
Eppure i mali che appartenevano
ad
un'epoca
remota si sono riversati o
non sono mai stati estirpati, perfino
in un società che si definisce
moderna. La pena di morte non è
scomparsa, i metodi di tortura sono
all'ordine del giorno , il sistema
giuridico è estremamente complesso e lacunoso, i giudizi sono eterni
e l'infelicità regna sovrana .
Questo è lo scenario della società
da cui Cesaria Beccaria partì per la
realizzazione dell'opera Dei Delitti
Beccaria e la felicità perduta
e delle Pene ed indubbiamente tale manoscritto
appare come uno specchio
nel quale si riflette la società
odierna.
Perciò, sebbene l'attualizzazione di un'opera, nel più
dei casi, sia un'operazione
estremamente artificiosa e
talvolta innaturale, stavolta
è un gesto doveroso.
Troppo spesso, per pigrizia
intellettuale e per superficialità, l'opera del Beccaria è
stata ridotta unicamente ad
un classico del garantismo
penale. L'attenzione è stata
focalizzata sulla condanna
alla pena di morte e all'uso
di torture, senza considerare che essa è un'opera di battaglia
politica, attraverso la quale si
svolge un'analisi ed una critica più
ampia della società, nella sua
concreta ed attuale organizzazione. In tale situazione caotica e
disastrosa, come sostiene il Beccaria, ci si appella al diritto, come
fosse un pharmakon infallibile. Il
diritto deve condurci verso la felicità
comune, intesa come la realizzazione degli interessi assoluti e
generali dell'uomo e tale felicità è
strettamente correlata all'eguaglianza tra i cittadini.
Ma insito alla società stessa vi è un
paradosso evidente: si professa
un'uguaglianza
formale
erga
omnes in una società non ugualitaria. E ciò non fa altro che evidenziare ancor di più le disuguaglianze, in
quanto la legge, “eguale per non
eguali”, è utilizzata da pochi privilegiati e si abbatte duramente sui
poveri che commettono i delitti “
della miseria e della disperazione”.
Dunque l'uomo, fin dal principio ha
rinunziato ad una piccola parte
della propria libertà originaria, per
rimetterla al sovrano, non di certo
come dono gratuito, ma in cambio
della “massima felicità divisa nel
maggior numero possibile”.
Ma Beccaria intravede nella società
del suo tempo solo una massa di
bestiame, cavalli, fagiani, cani,
ossia di uomini ridotti allo stato di
animali e per egli non c'è libertà “
ogni qual volta le leggi permettano
che in alcuni eventi l'uomo cessi di
essere persona e diventi cosa”.
La legge affinché svolga il compito
per cui è stata emanata, deve
essere
estremamente
chiara,
semplice ed accessibile a tutti
poiché “quanto maggiore sarà il
numero di quelli che intenderanno
e avranno fra le mani il sacro
codice delle leggi, tanto meno
frequenti saranno i delitti”.
La pena, che necessariamente
deve essere proporzionale al
delitto, è dunque legittimata dalla
priorità di difendere il benessere
pubblico ed essa ritrova il suo fine
ultimo nella impossibilità che il reo
possa commettere nuovi reati.
Tutte le leggi che si discostano da
ciò non sono giustizia, ma tirannia.
Ma ieri, come oggi, solo l'interesse
personale, l'avidità e l'inerzia del
popolo sembrano governare la
società, poiché quest'ultima non
rivolgendo lo sguardo verso un
benessere generale, da ripartire
per ogni classe sociale, ha dimenticato di essere universale.
In una società costruita su pensieri,
passioni, necessità differenti come
poter
individuare
una
linea
comune? La risposta del Beccaria
è insita sempre nella legge, la
quale è necessario che comandi e
giudichi questo caos. Sulla scia di
tale pensiero la coercizione è la via
per la realizzazione della libertà.
Ed essa non deve essere esercitata dalla moltitudine, che ignorante
ed in preda allo spavento per la
crisi, condurrebbe inevitabilmente
all'errore, poiché “la strada del
cuore è comunemente aperta, ma
la strada del raziocinio non già”.
Dunque, nell'abisso ombroso, in cui
si muoveva la società della seconda metà del Settecento e in cui si
ritrova tutt'ora la società odierna, la
legge deve imporsi sovrana ed
www.lintellettualedissidente.it
autoritaria per ristabilire l'ordine e
per impedire che le piccole nobiltà
continuino a soddisfare esclusivamente i propri piaceri.
In tale contesto critico Beccaria
sostiene che è necessario il despotismo di uno, sostenuto e guidato
dai filosofi per far sì che “i lumi
accompagnino verso la libertà”.
Despotismo visto in un'accezione
positiva, illuminata inteso come “le
opere d'un uomo che agisca da sé
e che posso essere un tutt'insieme”, poiché così come affermava
Machiavelli “Gli assai uomini sono
più atti a conservare un ordine
buono che a saperlo per loro medesimi ritrovare”.
In quest'analisi, condivisibile o
meno, il messaggio di Beccaria
risuona salvifico anche per i nostri
tempi: svegliamoci da questa
anestesia della mente e del corpo,
decidiamo ed agiamo, guidati dalla
ragione e dalla speranza per una
giustizia rigorosa, laica e non
arbitraria, per vivere da cittadini
coscienti e concretamente uguali
dinanzi alla legge e per godere di
quella felicità comune, che nel
panorama moderno appare ad i
nostri occhi, solo come un'irrealizzabile utopia.
di Carlotta Maria Correra
14
Storia
Ottocento
U
Dicembre 2013
Le tensioni tra l’Inghilterra e la Russia nella corsa all’oro sul territorio asiatico
na mattina di giugno del
1842,
due
prigionieri
avanzano verso il patibolo
della piazza centrale di
Bukara, un piccolo emirato sconosciuto d’Asia Centrale perso nelle
steppe senza tempo. Per gli abitanti
di questa città dalle imponenti mura
di fango, vedere due condannati a
morte non è inusuale: l’emiro
regnante è noto per la sua feroce
brutalità. C’è però qualcosa di
curioso in quei due personaggi: non
sono i soliti briganti o i soliti adulteri,
bensì due europei d’origine britannica.
Sono il colonnello Charles Stoddart
e il capitano Arthur Conolly, ufficiali
dell’esercito britannico condannati
all’impiccagione per spionaggio.
Sotto un sole cuocente di mezzogiorno, i due affrontano la morte in
Il Grande Gioco
Kipling a renderla popolare con il
suo libro “Kim”. Stoddart e Conolly
non furono né i primi negli ultimi
attori dell’incredibile intreccio di
avventurieri, diplomatici, tagliagole
e guerrieri che attraversarono tutta
l’Asia Centrale per istituire il loro
controllo sulla regione.
I contendenti di questa regione
erano due grandi potenze, la Gran
Bretagna e la Russia. Da una parte,
la Russia degli zar era ansiosa di
annettere alla corona imperiale un
gioiello scintillante: l’India e i suoi
tesori. Per arrivare però all’India, gli
zar dovevano esplorare, conquistare e fare strada in un territorio
ostile, popolato da tribù nomadi e
mitici khanati musulmani esplorati
tempi orsono anche da Marco Polo.
Dall’altra parte, i britannici avevano
paura di una possibile discesa
russa
in
territorio
indiano: la Compagnia
“Ora noi andremo sempre più a delle Indie Orientali era
abituata a guerreggiare
Nord, per giocare al Grande
con
piccoli
eserciti
Gioco”
primitivi, non con truppe
Rudyard Kipling, Kim, 1901
europee addestrate e
moderne; per questo
motivo gli inglesi dovevano sbarraun luogo distante sei mila cinquere la strada ai russi in qualsiasi
cento kilometri da casa loro, colpemodo. Seppur ci fosse una rivalità
voli d’aver voluto giocare un gioco
tra queste due potenze per il
pericoloso: il “Grande Gioco” come
controllo della regione, non vi fu
lo chiamarono coloro che rischiaromai uno scontro diretto tra armate
no la vita prendendovi parte. Ironia
russe e britanniche né una dichiaradella sorte, fu proprio il capitano
zione di guerra. Infatti, molti storici
Conolly a lanciare l’espressione,
considerano il Grande Gioco come
anche se poi fu lo scrittore Rudyard
l’antenato diretto (anche se più
ristretto) della Guerra Fredda: la
guerra è combattuta con tutti i
mezzi a disposizione tranne che
con gli eserciti.
L’ossessione russa per le Indie
Britanniche cominciò con la zarina
Caterina e suo figlio Paolo.
I britannici all’epoca non se ne
preoccuparono più di tanto: la
distanza che separava l’Impero
russo dall’India britannica era
immensa. Le cose però cambiarono con l’avvento di Napoleone
Bonaparte.
Quando i francesi a partire dal 1801
cominciarono a inviare missioni
diplomatiche fino alla corte degli
Shah di Persia, divenne chiaro per i
britannici che l’India era in pericolo.
Quando Napoleone riuscì, dopo
aver sottomesso Austria e Polonia,
a battere i russi nella battaglia di
Friedland, le cose si fecero pericolose per l’India britannica. Napoleone si alleò con lo zar russo dopo
averlo sottomesso, e gli promise
“l’altra metà del mondo”, di cui
faceva parte l’India britannica.
Napoleone come sappiamo bene
non ebbe il successo sperato, ma
persino dopo Waterloo, tutti gli zar
russi non riuscirono a levarsi di
mente l’idea della conquista delle
Indie Orientali britanniche.
È cosi che poco a poco le divisioni
di cosacchi russi, questi leggendari
quanto formidabili guerrieri a cavallo, cominciarono a valicare le
montagne e i deserti di questo
immenso e sconosciuto territorio.
Conquistarono i khanati di Khiva, di
politica di controllo della regione,
Bukara (attuale Turkmenistan), del
che finì con la rivoluzione russa del
Kokand,
fino
alle
porte
1917. Un generale russo dell’epoca
dell’Afghanistan.
qualificò questa “guerra indiretta”
I britannici invece annessero dopo
come “un torneo di ombre”.
varie guerre parte dell’Afghanistan.
Ecco cosa fu il Grande Gioco, una
Questa rivalità però non può essere
guerra di ombre combattuta
ridotta a meri avanzamenti militari:
nell’oscurità. Una storia apparentetutt’intorno, girava un immenso
mente senza fine che ancora oggi
sistema di spionaggio,
di
ricerca
geografica, di ricerca
L’ossessione russa per le Indie
scientifica,
di
Britanniche cominciò con la zarina
diplomazia e quindi
di avventura. MissioCaterina e suo figlio Paolo.
ni
diplomatiche
I britannici all’epoca non se ne
enormi e ricche di
preoccuparono più di tanto: la
regali preziosi, come
quella di Sir Malcolm
distanza che separava l’Impero
verso gli Shah di
russo dall’India britannica era
Persia che sembrava “più grande di un
immensa. Le cose però
reggimento e più
cambiarono con l’avvento di
ricca di una corte
Napoleone Bonaparte.
principesca”; esploratori temerari come
Pottinger
che,
travestiti da monaci buddisti svolsetrascina nei suoi aspetti più crudi
ro il compito di cartografare la
guerrieri, giornalisti e avventurieri di
regione ancora sconosciuta; spie
ogni sorta. Le “zone grigie”, le
intraprendenti come il giovanissimo
odierne no man’s land afghane
Carl Gustaf Emil Mannerheim
dominate dalla paura, dall’oblio,
(futuro
presidente
finlandese
dall’oppio e dalla guerra, hanno
nonché
eroe
nazionale
rimpiazzato le “zone bianche”
dell’indipendenza), che indossando
dell’epoca, i “buchi” negli atlanti
ancora la divisa da ufficiale russo,
della Royal Geographical Society
riuscì a visitare “Lhasa la proibita”,
inglese.
capitale del Tibet, e incontrare il
Dalai Lama per conto dello zar…
di Roberto Caponera
Tutto questo fece parte della
Novecento Un rapporto epistolare che testimonierebbe di nuove dinamiche diplomatiche durante la seconda guerra mondiale
C
Il carteggio perduto tra Churchill e Mussolini
he il Primo Ministro Inglenelle mani dell’intelligence di Sua
se Sir Wiston Churchill
Maestà che impiegò nella sua
nutrisse una certa ammiricerca non pochi sforzi. A tal proporazione per Benito Mussosito vale la pena riportare quanto
lini è cosa certa. Infatti in una
sosteneva lo Storico Renzo de
occasione dopo un incontro ebbe
Felice: «La documentazione in mio
modo di dire: “Non potrei non
possesso porta tutta ad una conclurimanere affascinato, come tante
sione: Benito Mussolini fu ucciso da
altre persone, dal cortese e sempliun gruppo di partigiani milanesi su
ce portamento.
sollecitazione dei servizi segreti
Se
fossi
stato
italiano, sono sicuro
che sarei stato intera“Caro Benito, ti scrivo”…”Caro
mente con lui dal
Wiston, rispondo con piacere alla
principio alla fine
della sua vittoriosa
tua ultima dello scorso mese con il
battaglia contro i
quale mi chiedi di intervenire…”
bestiali appetiti e le
passioni del leninismo. ”Così come cosa certa è
l’esistenza di una fitta corrisponinglesi. C'era un interesse a far sì
denza tra i due statisti alla vigilia e
che il capo del fascismo non
all’inizio del secondo conflitto
arrivasse mai ad un processo. Ci fu
mondiale. Si sa per esempio che
il suggerimento inglese: "fatelo
Mussolini ne fece dattiloscrivere tre
fuori!", mentre le clausole dell'armicopie, e che gli originali erano
stizio stabilivano la consegna. Per
sempre con lui, nella famosa
gli inglesi era molto meglio se
valigetta scomparsa, che lo accomMussolini fosse morto. In gioco
pagnò fino alla fine dei suoi giorni.
c'era l'interesse nazionale legato
A quelle carte il Duce attribuiva
alle esplosive compromissioni
somma importanza, e su cui
contenute nel carteggio che il
confidava per poter giungere, in
premier britannico Churchill avrebpieno 1945, ad una pace onorevobe scambiato con Mussolini prima e
le. Altra cosa certa è che terminata
durante la guerra».
la guerra, il carteggio scomparve
Ma cosa poteva contenere di tanto
nel nulla. Distrutto forse, o finito
importante, questo carteggio?
La tesi più accreditata è quella che
sostiene che il suo contenuto non
fosse altro che l’esplicita richiesta
fatta dal Primo Ministro Inglese a
far entrare in guerra l’Italia. Questa
tesi ammette la possibilità che
Churchill possa avere, all’ultimo
momento, considerata l’imminente
capitolazione dell’Inghilterra, invitato l’Italia a scendere in guerra, sia
pure come nemica, per poter
usufruire di un suo ruolo da moderatore, nei confronti dei tedeschi, al
tavolo di una pace che si
pensava imminente. Ma fu
veramente questo il vero
obiettivo di Sir Wiston?
Non bisogna essere arguti
strateghi per capire che siamo
lontani dalla verità. L’occulta e
spregiudicata
strategia
di
Churchill era semplicemente
finalizzata ad allargare e
complicare il conflitto visto che
era da considerarsi logica ed
imminente l’entrata in guerra
dell’Italia a fianco del suo
alleato tedesco...
Era quindi questa, per il britannico, una strategia logica, e
neppure troppo complicata
visto che era evidente la sua
impellente necessità sia di
allargare il conflitto e sia di
renderlo irreversibile, proprio
per evitare che, all’interno della
nazione e sotto l’onda delle sconfitte subite in quel periodo, prendessero corpo e forma quelle forze che
potevano operare verso una pace o
comunque una soluzione di
compromesso con la Germania.
Nessuna tregua era pensabile e
voluta e nessuna moderazione
italiana veramente richiesta.
Donna Rachele, scrisse nel 1979,
la seguente testimonianza: «So,
perché me lo disse più volte, che il
Duce tenne una corrispondenza
www.lintellettualedissidente.it
segreta con Churchill prima e
durante la guerra. Ricordo anche
che un giorno, verso il 1943, mi
assicurò che avrebbe atteso a piè
fermo l’arrivo degli Alleati qualora
fossero stati vincitori. Mi disse: ‘Ho
abbastanza documenti per provare
che hanno spinto l’Italia ad entrare
in guerra. Anche quando è cominciata ho cercato di salvare la pace.
Ho le prove: nero su bianco’».
di Francesco Chiarizia de Molise
Dicembre 2013
15
Il canto dello sport
Storia Una squadra che non scende a compromessi con il calcio moderno, che si mantiene intatta di fronte alle ingerenze del dio denaro
I pionieri del calcio: la storia senza tempo dello Sheffield FC
di Francesco Pietrella
O
ggi il calcio fa inevitabilmente parte della nostra
esistenza. Che ci piaccia
o no, ne siamo circondati.
Televisioni, giornali, internet. E’ un
fenomeno mediatico senza precedenti. Ma il problema è un altro:
dove nasce questo sport? Chi l’ha
inventato? Chi ha ideato le regole
che vengono utilizzate ancora
oggi? Scopriamolo. Siamo a
Sheffield, agglomerato urbano
situato nel cuore del South Yorkshire, una contea dell’Inghilterra. E’
una città industriale, salita alla
ribalta
nella
seconda
metà
dell’Ottocento grazie alla produzio-
Mondiali di calcio
ne dell’acciaio e al ruolo egemone
svolto durante la Rivoluzione
industriale. Oltre ad essere la città
natale
dell’estremo
difensore
Gordon Banks e degli Human
League è anche la sede di quattro
squadre inglesi: lo Sheffield United,
lo Sheffield Wednesday, l’Hallam
FC ed infine lo Sheffield FC, il club
più antico del mondo. The World’s
first Football Club. E’ il 24 Ottobre
1857. Il Regno d’Italia ancora non
esiste, Napoleone è ormai un
lontano ricordo e, mentre i neonati
Stati Uniti d’America si apprestano
a costruire il proprio Stato sulle ali
del motto ‘e pluribus unum‘, due
giocatori di cricket, William Prest e
Nathaniel Creswick, fondano lo
Sheffield Football Club. E’ l’inizio di
una storia che dura ancora oggi
nonostante siano passati 156
primavere. Nello stesso anno fu
creato lo ‘Sheffield Rules’, un libro
dove vennero istituite le prime
regole del gioco del calcio: calci
d’angolo, rimesse laterali, rimesse
dal fondo, la durata dei tempi di
gioco, l’offside, l’introduzione della
traversa, i tempi supplementari,
l’obbligo di non usare le mani e
ovviamente l’inserimento in campo
di una figura che garantisse l’ordine
e la correttezza reciproca: l’arbitro.
Inizialmente, poiché non c’erano
altre squadre con cui confrontarsi,
le partite venivano giocate tra i
giocatori della stessa squadra
finché nel 1860, sempre nella
Richard Tims ha dovuto mettere
cittadina di Sheffield, venne fondata
all’asta uno dei suoi beni più prezioun’altra società, l’Hallam FC, contro
si,
lo ‘Sheffield Rules’ di cui
la quale i ‘Maroons’ disputarono la
parlavamo prima, per 880.000
prima partita della storia del calcio,
sterline. Soldi, ingenti capitali,
al Sandygate Road (lo stadio più
sponsorizzazioni. Niente di tutto ciò
antico del mondo e di proprietà
fa parte dell’anacronistica filosofia
dell’Hallam). Tre anni dopo nacque
dello Sheffield FC.
la moderna Football Association, la
Il calcio moderno non ha ancora
prima federazione calcistica inglese
intaccato il prato verde del Coach
ed europea. Verso la fine
and Horses Ground, il quale dal
dell’Ottocento
vennero fondate
Il Regno d’Italia ancora non esiste,
altre compagini
Napoleone è ormai un lontano ricordo
come
l’Aston
Villa e il Notts e, mentre i neonati Stati Uniti d’America
County
e
i
granata
dello si apprestano a costruire il proprio Stato
Sheffield,
non sulle ali del motto ‘e pluribus unum‘, due
potendo compegiocatori di cricket, William Prest e
tere sia economicamente che
Nathaniel Creswick, fondano lo
tecnicamente
Sheffield Football Club.
con le suddette
società suggerirono alla Football Association di
1857 porta avanti valori importanti
creare un torneo per sole squadre
come la passione, la dedizione, il
dilettanti e fu cosi che nel 1893
fine ultimo del gioco del calcio
venne inaugurata la FA Amateur
come puro divertimento. Oggi il
Cup. Ad oggi, esso risulta l’unico
club milita nella Northern Premier
trofeo vinto dalla società, conquiLeague Division One South,
stato nel 1904 grazie ad una vittoria
l’ottava divisione del calcio inglese.
sull’Ealing. Nel 2004 il club è stato
Possiamo imparare molto dalla
insignito del FIFA Order of Merit, il
storia di questa società, nata prima
più alto riconoscimento assegnato
di tutte le altre ma rimasta
dalla FIFA. Soltanto il più blasonato
nell’ombra non tanto per incapacità
Real
Madrid
può
vantare
finanziarie quanto per seguire i
un’onorificenza simile. Nel 2011 la
dogmi della filosofia calcistica da
società ha rischiato addirittura il
loro stessi fondata e portata avanti.
fallimento tant’è che il presidente
L’Emirato sta progettando infrastrutture faraoniche quanto superflue per la competizione sportiva
Qatar 2022: i costi umani dello sviluppismo capitalistico
di Sebastiano Caputo
mente le conseguenze nefaste
dello “sviluppismo capitalistico” in
n emirato fondato nel
una penisola, quella arabica, che
1971 da un gruppo di
per usi e costumi è diametralmente
beduini, trasformatosi in
opposta all’Occidente nella sua
una monarchia assoluta
accezione negativa e moderna.
retta da una famiglia – gli al Thani –
Isole artefatte, grattacieli e centri
che regna per diritto divino, meno di
commerciali che si ergono accanto
due milioni di anime, una religione
alle Moschee, i templi hanno
di Stato, l’Islam di natura wahabita
rimpiazzato il Tempio, donne intera(fondamentalismo
coranico),
mente velate che passeggiano,
un’emittente televisiva, Al Jazeera.
silenziose, in un contesto che è
tutto fuorché arabeggiante,
dominato
sceicchi,
Nei cantieri qatarioti morirebbero 12 dagli
uomini-ritratto di un
lavoratori a settimana e dall’inizio
Paese
lussurioso,
materialista
e
delle operazioni ne sarebbero già
E ancora
morti 600 e stando alle previsioni, se vizioso.
ristoranti multi-etnici,
non s’interviene, alla fine le vittime
il Souq Waqif, il
vecchio mercato che
saranno 4mila.
di vecchio in realtà
non ha nulla perché
Il Qatar è un Paese artificiale,
ristrutturato, ricolorato, arredato,
senza una storia e un’identità, che
come se fosse un set cinematogranonostante la sua microscopica
fico. Ed infine una classe comprasuperficie è riuscito negli ultimi anni
dora e apolide in contrasto con un
a ritagliarsi un ruolo da protagoniesercito di lavoratori-schiavi provesta sul piano diplomatico ed econonienti da Oriente, giovani migranti
mico tanto da conquistare una
venuti in massa per sostenere gli
medaglia
dall’establishment
ecomostri architettonici che il
occidentale: l’organizzazione dei
governo di Doha sta progettando,
mondiali di calcio del 2022.
tra questi, i tanti impianti per la
Cane da guardia degli Stati Uniti, il
competizione sportiva più imporPaese del Golfo riflette perfettatante del mondo.
U
Il Qatar, Paese
più
ricco
al
mondo
per
reddito
pro
capite, spenderà
a questo scopo
l’equivalente di
62 miliardi di
sterline (circa 73
miliardi di euro).
Denaro fittizio –
creato dal nulla o
dalle
sole
concessioni
petrolifere – da
immettere in un
progetto faraonico, spettacolare
quanto effimero,
perché diventerà
superfluo
il
giorno dopo la
fine dei mondiali.
Poco importa.
A Doha e dintorni
si respira già un
clima d’isterismo
di massa.
Attualmente i lavoratori impiegati
per l’organizzazione sono 1 milione
e 200mila, provenienti in gran parte
dal Nepal, dall’India e dallo Sri
Lanka, e si prevede che un altro
milione raggiungerà l’Emirato per
completare stadi, hotel e infrastrutture destinate all’evento.
È risaputo da anni che in Qatar non
esistono leggi a tutela dei diritti dei
lavoratori, non è un caso infatti che
l’emirato avrebbe già le mani
sporche di sangue. Secondo alcuni
studi
del
sindacato
Ituc
(International Trade Union Confederation) ripresi in un recente
www.lintellettualedissidente.it
articolo del giornale inglese The
Guardian, nei cantieri qatarioti
morirebbero 12 lavoratori a
settimana e dall’inizio delle operazioni ne sarebbero già morti 600 e
stando alle previsioni, se non
s’interviene, alla fine le vittime
saranno 4mila.
16
Carte Fondamentali
Dicembre 2013
Fiume Redatta dal Vate Gabriele d’Annunzio la Carta del Carnaro offre oggi uno spunto interessante per superare le derive del liberalismo
Il carattere rivoluzionario della Carta del Carnaro
di Dario Lioi
Repubblicana, essa garantiva nella
parte generale, composta dai primi
n un periodo nero, in cui la
dieci articoli, la difesa e il perseguicrisi economica attanaglia
mento degli obiettivi di libertà,
famiglie, popoli e Nazioni,
indipendenza, sovranità, prosperimolti di noi troveranno una
tà, giustizia e dignità morale. Al pari
ragion d’essere nella celebre
di qualsiasi democrazia in senso
esortazione evoliana a “tenersi in
lato, garantiva l’uguaglianza dei
piedi in un mondo di rovine”.
cittadini senza distinzione di razza,
religione, lingua o
classe;
differenza
Istitutrice di una forma di stato
fondamentale rispetRepubblicana, essa garantiva nella to ai principi del
parte generale, composta dai primi socialismo pubblicati
nel 1848 da Marx e
dieci articoli, la difesa e il
alle derive della
perseguimento degli obiettivi di
seconda parte del
Ventennio Fascista (
libertà, indipendenza, sovranità,
anche se il dittatore
prosperità, giustizia e dignità morale per sei mesi era
previsto a Fiume). Di
Un aiuto potrebbe giungerci dal
fondamentale importanza la concepassato, e nel cento cinquantenario
zione dello Stato e dell’istruzione
dalla nascita del Vate Gabriele
pubblica, per non parlare di quella
D’Annunzio, perché non soffermardella proprietà privata espressa
si sulla Carta del Carnaro e su una
nell’Art 6, nel quale trova risalto la
comparazione-competizione con la
funzione sociale della stessa in
nostra Costituzione? Promulgata
opposizione al privilegio individuale
l’8 settembre del 1920 a Fiume,
o al diritto assoluto di liberale
questo
modello
costituzionale
memoria ma riallacciata alla
rappresentò
un’avanguardia
stessa, e in particolare a Locke, dal
storica, legislativa, culturale e
ruolo concessorio del lavoro, consisociale all’interno del XX secolo.
derato l’unico mezzo atto a garantiFondata su basi sociali e nazionali,
re titolo legittimo di proprietà su
la Carta del Carnaro rappresentò e
qualsiasi mezzo di produzione e di
rappresenta, forse la prima forma
scambio. Una sintesi superba delle
compiuta di sintesi tra capitale e
due vie, innovativa e rivoluzionaria
lavoro all’interno di un ordinamento
al tempo stesso. Rivoluzionaria
giuridico per mezzo di fonti primaanche nella normalità della teoria
rie. Istitutrice di una forma di stato
economica quando istituisce una
I
Banca Centrale Nazionale controllata dallo Stato alla quale è demandato in via esclusiva l’incarico
dell’emissione della carta-moneta.
Stiamo parlando dunque di ciò che
oggi manca in Italia e in Europa
dopo la sciagurata scelta dei nostri
governi di aderire al progetto della
moneta unica europea e di utilizzare fino al limite estremo l’articolo 11
con le limitazioni alla sovranità
nazionale. Scelte che oggi appaiono immutabili per il popolo, ma che
allora erano per diritto e per legge
dell’ordinamento
cicliche.
La
costituzione veniva infatti riformata
ogni dieci anni o su iniziativa degli
organi competenti in qualsiasi
momento secondo le direttive
imposte dalla costituzione stessa.
Una scelta saggia, effettuata
secondo la eraclitea concezione
del divenire. Un divenire storico al
quale la legge deve inevitabilmente
adeguarsi per perseguire il bene
comune ma mantenendo intatta la
stella polare dell’identità di un
popolo come guida nei cambiamenti. Ritroviamo questo concetto
nel convinto e fiero risalto del ruolo
dei comuni. Dalla lega dei comuni
contro il Barbarossa, alla nascita
del capitalismo come modo di
produzione nelle città autocefale
dell’Italia Medievale, l’identità più
viva di un popolo veniva riconosciuta e sublimata con un’apposita
parte della costituzione dedicata a
questa forma di governo locale. Il
tessuto capillare dei comuni e il loro
virtuosismo comunitario in contrapposizione agli attuali mostri
burocratici partoriti negli anni 70: le
Regioni. Che dire poi della concezione democratica e legislativa
nata a Fiume.
La
riproposizione
dell’antico
strumento
corporativo,
come
superamento
della
dicotomia
liberalismo-socialismo.
Sarà
l’incubatore delle svolte mussoliniane, ma l’intero capitolo dedicato
alle corporazioni assieme a quello
dedicato al potere legislativo
rappresentano un alveo futurista
all’interno del quale proiettare
un’idea rivoluzionaria di Stato.
Si tratta della fusione dei concetti di
democrazia, capitale e lavoro.
La creazione di una doppia camera
con potere legislativo, quella dei
Rappresentanti e il Consiglio
Economico,
costituiscono
un
moderno superamento della stasi
democratica dell’epoca e un fiero
nemico del bolscevismo sovietico.
A ragion dovuta, oggi più che mai,
potremmo annoverarla anche tra i
fieri
nemici
dell’immobilismo
incapacitante italiano e del suo
bicameralismo perfetto con sistemi
a navetta impantanati nei gorghi
non più epici di Cariddi. Pantano
dovuto alla corruzione e alla voracità che pervadono gli istituti democratici della nazione, e che nel 1920
sarebbero
stati
perseguiti
dall’art.12 con la revoca dei diritti
politici per i condannati con regolare sentenza a pene infamanti o che
vivono parassitariamente a carico
della collettività.
Repubblica La Costituzione arriva sino a noi come una promessa non mantenuta, una speranza liquidata, un’ideologia politicizzata
D
opo sessantacinque anni
non
abbiamo
ancora
capito qual è il senso della
nostra Costituzione.
Il risultato di quegli sforzi, di quei
sacrifici e di quei compromessi da
cui nacque il testo costituzionale
italiano e dei quali siamo noi tutti
figli, dov’è finito? Dov’è finito il
rispetto per quei valori e quei principii imprescindibili decantati a parole
Il colore della Costituzione
e vilipesi nei fatti? E la loro attuazione, dove si è persa? Dove si è
persa la memoria della genesi della
Costituzione e, in definitiva, delle
nostre origini?
Abbiamo perso tutto nella politica
decadente dei Palazzi, dei compromessi storici e delle larghe, anzi
larghissime intese. Abbiamo perso
tutto nella gara al voto in più, al
seggio in più, alla poltrona in più; e
abbiamo perso
tutto nelle chiacchiere politiche
al bar e da bar,
nelle
tifoserie
ideologiche in
cui è degenerato l’essere di
destra
o
di
sinistra.
Abbiamo perso
tutto con l’idea piuttosto infantile a dire il verodi destra e di
sinistra, e con i
bandieroni
sventolati con
orgoglio
e
convinzione in
piazza prima di
tornare, a sera,
a
sedersi
davanti al televi-
sore. Abbiamo perso molto anche
con quelle critiche, trasversali e
onnipresenti,
alle
iniziative
politiche: critiche spesso avanzate
senza fondamenta e per il semplice
gusto di poter dire che si stava
meglio quando si stava peggio.
Molto abbiamo perso anche in quel
decennio circa in cui per le idee
infantili di cui sopra ci si sparava e
ci si uccideva, alimentati e fomentati da chi certe idee le predicava solo
per quel voto in più, per quel seggio
in più, per quella poltrona in più, o
da chi a fine giornata recitava una
preghiera al cospetto del proprio
Dio onnipotente nei Cieli ed era a
posto con se stesso.
Abbiamo perso tutto nella totale,
parziale o tardiva mancanza di
applicazione della Costituzione,
trattata come carne dimenticata
dentro il congelatore.
Il lascito dei nostri costituenti si è
oggi definitivamente perduto, così
come si son perduti la fiducia e
l’idealismo nella politica stessa.
Si è perduto quel lascito che fu
l’insegnamento al compromesso.
Spesso a riguardo si è sottolineata,
con un certo tono dispregiativo, la
natura di compromesso della
nostra Costituzione, come se essa
fosse un limite, senza però ricordare la lezione di Hans Kelsen,
secondo cui la democrazia è nella
cui parole tutti possano rispecchiarpropria stessa definizione comprosi, riscontrandovi un intimo senso di
messo tra forze antagoniste.
appartenenza ai valori propugnati.
Ma ecco, quel che è peggio è la
Ecco perché, in definitiva, la tinta
deriva che tutto questo perdere e
applicata alla Costituzione - sia
tutto questo dimenticare hanno
essa di qualsivoglia colore –
avuto.
rappresenta un’offesa alla CostituLa deriva è stata una tinta. Sì, una
zione stessa: perché essa alimenta
tinta.
La Costituzione è divenDov’è finito il rispetto per quei
tata rossa. Come un
panno messo inopportuvalori e quei principii
namente in lavatrice, la
imprescindibili decantati a
nostra Costituzione è
parole
e vilipesi nei fatti? E la
stata consegnata in
bianco vergineo ed è
loro attuazione, dove si è persa?
stata resa di rosso
stinto, divenendo una
bandiera delle Sinistre, dei Socialiun dibattito politico squallido ed
smi, a tratti dei rivoluzionarismi:
arrivista, a palese scapito dei valori
questa è l’offesa maggiore che Le
e delle esperienze collettive di
si potesse perpetrare. Non perché
Resistenza di cui la tinta stessa si
essa sia nata come Carta di destra
vorrebbe
dimostrare
essere
estrema- anzi, per sua natura
portatrice.
condanna gli estremismi - né
E noi, popolo elettore e Sovrano,
(almeno unicamente) di destra
abbiamo una grandissima - ma
moderata a dire il vero; la realtà è
spesso dimenticata- arma, un
che il testo costituzionale dovrebbe
grandissimo scudo a difesa della
essere apartiticità per eccellenza,
Costituzione, dal cui possesso ci
principio generale ispiratore di un
derivano altrettanto grandi respondeterminato Stato e delle attitudini
sabilità. Non dimentichiamoci mai
della sua intera popolazione.
che il tribunale nel quale noi siamo
Dovrebbe imporsi sulla dialettica
giudici è la cabina elettorale.
politica ed essere l’anima dello
Stato, Legge fondamentale nelle
di Gabriele Cruciata
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