periodico culturale - Unione Associazioni Culturali
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periodico culturale - Unione Associazioni Culturali
L’Intellettuale Dissidente “ Nietzsche “ Non vuoi oggi salire su un alto monte? L’aria è pura, e si può scorgere più mondo che mai Direttore: Sebastiano Caputo Caporedattore: Lorenzo Vitelli Dicembre 2013 Anno II - Numero uno LA FUGA O LA RIBELLIONE Il Suicidio dell’Occidente Da società illuminata, tollerante, libera, rispettosa dei diritti umani, i posteri la ricorderanno come la più grande tirannia che a differenza delle altre, non ha mai firmato i suoi crimini opo la resa del nazi-fascismo e il crollo dell’Unione Sovietica – “l’impero del Male”, come veniva definito dalla propaganda statunitense -, l’intellettuale di regime Francis Fukuyama annunciò al mondo intero in un articolo pubblicato nel 1992 dal titolo “The End of the History and the Last Man”, che la storia era finita per sempre. La democrazia doveva essere intesa come “terra promessa” di tutti i popoli e di tutte le nazioni del mondo. La Storia invece, concepita hegelianamente, come una linea retta con un punto d’inizio e un punto di arrivo. Forte della sua convinzione messianica e civilizzatrice, l’Occidente si è autoproclamato il “migliore dei mondi possibile”, ha deciso di estendere il suo Apostolato, di colonizzare culturalmente ed economicamente il mondo arabo-musulmano, poi il continente sudamericano, ed infine quello africano ed asiatico. Quello stesso Occidente pieno di contraddizioni, che si regge su una percentuale ridicola di D votanti, dove i politicanti rubano, si attaccano alle poltrone, per poi essere ugualmente nominati dai padroni di turno, dove la sinistra è economicamente più a destra della destra, dove gli schieramenti estremisti vengono condannati eccetto se israeliani, dove i deputati “democraticamente eletti” girano con la scorta per paura di essere aggrediti, dove il progresso borghese ha distrutto la storia, dove esistono cittadini di prima e di seconda categoria, dove lo Star System passa dai reality Show al Parlamento, o dal Parlamento ai reality Show. Dove chi contesta il Potere viene collocato nella categoria “populisti” dell’albo d’oro della democrazia. Dove i manager guadagnano 163 volte più degli operai, dove la stampa cosiddetta “libera” è in mano a potentati economici (lobby, partiti, multinazionali), dove si esporta la pace con le bombe della Nato, dove tutti parlano dei diritti delle minoranze abbandonando la maggioranza al proprio destino, dove gli uomini di destra fanno i militaristi con le armi degli americani, dove gli immigrazionisti sono idioti utili del Capitale che necessita di nuovi schiavi, dove i radical chic difendono la vita degli animali per poi si dichiararsi apertamente abortisti, dove gli anti-razzisti e i “cittadini del mondo” con la loro retorica filantropica legittimano l’omologazione culturale dell’umanità, dove gli affaristi e gli speculatori organizzano le campagne di beneficienza, dove le donne “rifatte” sono più libere delle donne velate. Dove ci si riempie la bocca con parole come “crescita”, “progresso” e “sviluppo”, dove tutti parlano di spread, Pil e percentuali della Borsa mentre le imprese chiudono, le famiglie perdono potere d’acquisto, i giovani non trovano lavoro. L’Occidente dei Lumi è troppo arrogante per tornare indietro. Preferisce suicidarsi sul suo binario morto piuttosto che guardarsi attorno e capire che esistono altre realtà sociali e culturali. Saltare dal treno o farlo implodere dall’interno per salvare il salvabile. Fuggire o ribellarsi. Italia “Il governo Aspen Italia” di Flaminia Camilletti pag. 2 Esteri “L’Iran, un Paese libero, democratico e pacifista” di Alessio Caschera pag. 4 Economia&Europa “Il gioco perverso del Meccanismo Europeo di Stabilità” di Kirios Di Sante pag. 6 Sebastiano Caputo Società “$ Factor: il Talent show come ultima umiliazione dell’arte” di Rfr pag. 11 Produzione e consumo La dialettica dello spirito post-moderno di Lorenzo Vitelli P er interpretare il paradigma in cui viviamo - l'Occidente post-moderno – è necessario servirsi di una chiave di lettura che sintetizza due criteri interdipendenti. L'Occidente può riassumersi secondo un quadro spazio-temporale in cui dialogano dialetticamente la sfera – o il luogo – della produzione e quella del consumo. Se è vero che tutta la Storia può essere soggetta ad una simile scomposizione, ci sembra ad ogni modo utile analizzare le perverse derive del rapporto che queste due sfere hanno instaurato, dopo il 1945, con sé stesse e con l'individuo. Sembra ovvia, in un primo momento, la perversione in luogo del consumo, all'interno della quale l'attività consumistica, da che era semplice soddisfacimento dei bisogni naturali, è divenuta ciclico annientamento – accompagnato dall'immediata rinascita – del desiderio. Questo movimento a spirale in cui convogliano le passioni insaziabili dell'umanità, ha come conseguenza un'alienazione, prima inesistente in questa sede, dell'individuo nell'atto del consumo. L'oggetto - risultato del lavoro accumulato nel processo di produzione – è esso stesso alienante nel suo uso e interviene, sempre di più, a mediare la realtà tramite gli strumenti della tecnologia. Ogni evento, di portata anche minimamente fuori dall'ordinario, è separato dalla percezione sensoriale attraverso smartphone e telecamere, reso condivisibile e così del tutto ordinario – proprio perché banalizzato, ripetuto all’ordine del giorno. Le ultime innovazioni tecniche sono gli oggetti totalizzanti del consumo, in cui si condensa la possibilità generalizzata ed indiscriminata di accesso al temporaneo soddisfacimento di qualsiasi desiderio (comunicativo, sessuale, di accumulazione). L'uomo aliena sé stesso, esce dalla sua individualità, ragiona come l’oggetto e diviene oggetto di una realtà mediata, virtuale, sempre più interconnessa, sempre più social, ma meno sociale. L'epoca industriale era invece caratterizzata dall'alienazione dell'individuo nel solo luogo di produzione. L’alienazione della forza lavoro in cambio di un salario era atta, secondo l’analisi marxista, a creare un rapporto alienante con sé stessi e con l’oggetto: che non rappresenta più il risultato del proprio operare, ma la sola oggettivazione del sé nella catena di montaggio. L’uomo diviene oggetto secondo un determinato contratto che definisce le modalità di uso e di abuso della sua forza lavoro. Egli è merce tra le merci. Ora dobbiamo dire che le dinamiche odierne dell'alienazione all'interno del processo di produzione sono cambiate con la terziarizzazione dell'economia e la flessibilità dei rapporti che legano salario e Capitale. Entrambe cause degli sviluppi del libero mercato, della concorrenza e della globalizzazione, queste modificazioni strutturali dei modi e dei rapporti di produzione intervengono per rispondere rapidamente alle esigenze della Domanda, si organizzano secondo il criterio di flessibilità, che si conclude inevitabilmente, una volta smantellato lo stato sociale, con la precarietà. L’individuo si aliena nella sua condizione di precario – dal latino “che prega”, essenzialmente per qualcosa che non ha – ovvero in una condizione di mancanza. Si contano così, oggi, in Italia, 3 milioni di “schiavi salariati” a tempo determinato che alienano non solo la loro forza lavoro, ma anche il loro futuro, nell'incapacità di costruire progetti a lungo termine, quindi del tutto vittime dei capricci del Capitale, apolide, sregolato, globale. Il Capitale, dunque, estrae il suo plus-valore, questa volta, dallo statuto allarmante della “crisi” - gonfiato dai media – che diviene topos di incertezza, di www.lintellettualedissidente.it paura e sacrificio, che fa in modo che il precario preghi per alienare, nello schema descritto, la sua forza lavoro e la sua individualità nell’accettazione, addirittura felice, delle clausole arbitrariamente imposte. Produzione e consumo sono dunque due sfere chiuse secondo un modus operandi categorico che descrive esaustivamente il funzionamento dell’ordine organico Occidentale. L’individuo post-moderno, vincolato al conformismo sociale e al contratto precario, sembra destinato all’alienazione di orwelliana memoria. Il declino dell’Occidente – dal latino “occidere”, appunto, “tramontare” – è il tramonto dell’Uomo, atrofizzato nel dialogo tra produzione e consumo, che segnano, in un rapporto degenerato, l’appiattimento totalitario di ogni esistenza annessa, per forza di cose, a questo schema. Esso, in tutta la sua teorizzazione, si rivela dispoticamente immanente al reale. 2 Italia Dicembre 2013 Lobby Di queste organizzazioni se ne è parlato solo da quando è stato avviato l’esperimento tecnocratico di Mario Monti Il governo Aspen Italia di Flaminia Camilletti L’ Aspen Institute Italia, è la versione italiana di un’associazione già esistente negli Stati Uniti dagli anni Cinquanta, quando fu fondata per “incoraggiare le leadership illuminate”. Nasce per “l’approfondimento, la discussione, lo scambio di conoscenze, informazioni e valori. È un’associazione privata, indipendente, apartitica e senza fini di lucro”. Così recita il sito online ufficiale. L’Aspen Institute approda in Italia grazie a Giulio Tremonti nel 1984 ed è, in sostanza, un centro d’intelligence con sede a Roma e Milano che opera per influenzare la politica e il governo del nostro Paese. Il “metodo Aspen”, infatti, privilegia il confronto ed il dibattito “a porte chiuse”, perché lo scopo dell’associazione non è quello di trovare risposte unanimi e rassicuranti, ma di mettere insieme quei valori che possano “ispirare” (influenzare?) una leadership moderna. Questo è quanto recita l’organizzazione stessa. In pratica si cerca di dettare l’agenda dei governi delle rispettive nazioni di appartenenza e lo si dice senza remore nel “chi siamo” del sito . Dicono di privilegiare il dibattito a porte chiuse, come mai? Se si tratta di un’associazione che vive per il dibattito, l’approfondimento, la Disagio sociale discussione, lo scambio di occidentale. Abbiamo, tra i nomi più conoscenze, informazioni e valori, celebri: Gianni Letta, Enrico Letta, a cosa serve discutere “a porte Luigi Abete, Lucia Annunziata, chiuse”? Da qualche mese a Francesco Caltagirone, Fedele questa parte giovani giornalisti Confalonieri, Umberto Eco, Franco rampanti, ma non solo, hanno Frattini, Emma Marcegaglia, Paolo cominciato a parlare e a scoprire Mieli, Romano Prodi, Giuliano che da secoli si tengono riunioni Amato, Mario Monti, Tommaso come quella del club Bilderberg, Padoa Schioppa, Corrado Passera, ormai sulla bocca di tutti, che John Elkann e chiaramente Giulio esistono associazioni ambigue, per Tremonti che ne è anche Presidenusare un eufemismo, come la te. Ovviamente la lista non finisce Commissione Trilaterale o il Forum qui, questi sono solo alcuni dei Ambrosetti. Ormai sono infatti nomi più rappresentativi. tantissime le inchieste, gli articoli di Nomi che ci dovrebbero far capire giornale, i servizi televisivi che che è inutile stare ad accapigliarsi parlano di queste “organizzazioni per capire chi vincerà le prossime no profit”. elezioni, se la destra o la sinistra, Se ne parla almeno da due anni, perché la “destra” e la “sinistra” dall’inizio dell’esperimento tecnolavorano insieme, fanno parte della cratico in Italia, avviato con Monti stessa combriccola ed è così da dallo stratega Giorgio Napolitano. anni, solo che lo si sa soltanto Questo perché questi gruppi segreti adesso. e meno segreti sono venuti allo scoperto. L’Aspen Institute Italia, è la versione Non c’è più italiana di un’associazione già esistente bisogno di nascondersi, negli Stati Uniti dagli anni Cinquanta, ormai gli avverquando fu fondata per “incoraggiare le sari sono stati fatti fuori per leadership illuminate”. mezzo di ricatti o per eliminazione diretta o dei loro mezzi. Sono Preme poi sottolineare che la infatti i mezzi a fare la differenza; maggior parte delle persone che l’Aspen Institute raccoglie intorno a fanno parte dell’Aspen Institute sé personaggi legati o rappresentaalmeno hanno avuto a che fare tivi del potere economico e politico anche con il Gruppo Bilderberg, la Commissione Trilaterale, il Forum Ambrosetti e così via. Questo perché se fai parte della cerchia del potere, entri dappertutto. Gli schieramenti non servono più a nulla se non a vendere dei prodotti (vedere Matteo Renzi o i falchetti di Berlusconi) al popolino che ancora crede di essere utile a qualcosa andando a votare quel partito piuttosto che quell’altro. Non è da meno per il Movimento 5 Stelle dato che anche Casaleggio si è recato a Cernobbio. Che l’organizzazione di Grillo sia un mezzo manipolato per incanalare la protesta ed il dissenso popolare? Il complottista, o fascista del terzo millennio che dir si voglia, è secondo la terminologia benpensante, uno sfigato nerd che passa la nottata davanti al computer a guardare siti che parlano di avvistamenti Ufo. Possibilmente questo accade in una cantina buia e il personaggio in questione spesso è tutto fuorché avvenente (sic). Figurarsi che “complotto” è anche diventato un insulto da stadio. Quindi spesso il complottista viene raffigurato come quella persona che fugge la realtà ridisegnandola a modo proprio. Un malato di mente insomma. Un po’ come Ezra Pound filosofo americano che parlando di “usurocrazia” già negli anni trenta , fu rinchiuso nei Quaranta in un manicomio statunitense per più di dieci anni. Nei centri di ascolto Caritas, nel primo semestre del 2013, oltre 40 mila persone hanno chiesto aiuto 5 milioni di poveri. Dove sono le istituzioni? di Maria Paola Frajese S ono ormai quasi 5 milioni gli italiani che vivono in uno stato di povertà assoluta, in un solo anno, secondo l’ultima indagine Istat, si sono aggiunti un milione e mezzo di nuovi poveri. Nei centri di ascolto Caritas, nel primo semestre del 2013, oltre 40 mila persone hanno chiesto aiuto, tra questi sono sempre più numerosi gli italiani. Sono le cifre di un dramma che dilaga, ma meglio dei numeri parlano le storie, storie di un ceto medio che sta scivolando nell’indigenza, per ritrovarsi ai margini della società. A Torino, città industrializzata, che più di altre simboleggia la crisi, Sonia, 49 anni, rappresenta, tra tanti, la nuova povertà. Una donna con una preparazione professionale era un’imprenditrice e adesso è una disoccupata. Per i suoi negozi le cose sono andate sempre peggio, fino a quando è stata costretta ad arrendersi. A Torino chiudono dieci negozi al giorno, si vedono saracinesche abbassate, cartelli con scritto “Affittasi” e “Vendesi”. Non è facile accettare di aver toccato il fondo, Sonia si è sentita affranta e smarrita, sul punto di perdere la propria dignità. Anche i suoi due figli, vivono con vergogna e paura questa situazione familiare, e Sonia passa le notti con gli occhi rivolti al soffitto, domandandosi come farà se il Comune non le assegnerà una casa popolare, come farà se resterà senza un tetto? C’è chi un lavoro fisso ce l’ha, ma non riesce lo stesso a permettersi una casa, una vita dignitosa, come tanti padri separati. Alessandro con il suo stipendio, pagate le spese per l’ex compagnia e le figlie, resta con 350 euro al mese. Dorme in un alloggio collettivo, ma lì non può portare le figlie quando il fine settimana ha la possibilità di passare un po’ di tempo con loro. Si è rivolto alla Caritas che ha messo a disposizione di Alessandro e di altri papà in situazioni simili, un appartamento caldo, accogliente, dove poter portare i propri figli d’inverno, quando fuori fa freddo e c’è bisogno di www.lintellettualedissidente.it quell’abbraccio che solo la famiglia sa dare. Reggio Calabria è un’intera città in ginocchio per la crisi. Giovanni faceva il manovale, ma anche al Sud le imprese di costruzioni stanno chiudendo e Giovanni, non avendo raggiunto l’età della pensione, è un esodato. Dopo un intervento per problemi cardiaci per lui ora è impossibile trovare un lavoro, anche provvisorio, nessun’azienda vuole rischiare. Fatica a tirare avanti con poche centinaia di euro al mese, con la moglie, anche lei disoccupata e i tre figli. Pippo vive a Roma, ha visto fallire la sua attività di commerciante, ma era tardi per ricominciare, era già in età di pensione. Ma quale pensione? 300 euro al mese. Ha dovuto lasciare la casa, si è trovato a dormire in macchina, proprio in quell’inverno in cui, a Roma, ha addirittura nevicato. Ama i libri e passava le sue giornate nelle biblioteche, nei musei, un rifugio dalla strada. Poi, finalmente, ha ricevuto aiuto: la Caritas ha messo a sua disposizione uno degli alloggi che sono previsti per le persone in difficoltà, e così Pippo ora vive lì e ha organizzato una biblioteca, dove tanti come lui possono passare ore serene. A Milano, c’è un’altra città, dimenticata, che vive nelle storie buie dei senza tetto. Sono ovunque, alla stazione, nelle gallerie. Franco è anche lui un “nuovo povero”. Ha visto fallire la sua società e si è ritrovato a dormire nei vagoni dei treni. La gente lo guardava male, alla sua età in mezzo a una strada, forse era un drogato, un alcolizzato. Ma lui non si è lasciato andare: seppure con la difficoltà che incontra ognuna di queste persone, un tempo indipendenti e benestanti, a dover ammettere di non farcela più, dopo un mese ha trovato la forza di chiedere aiuto ed è stato accolto al rifugio Caritas, dove ha potuto dormire, lavarsi e presentarsi, in quelle giornate piene di nulla, sotto le occhiate sprezzanti, il freddo pungente, a cercare un modo per ricominciare. Ha bussato a tutte le porte e ha finalmente trovato un lavoro e un piccolo appartamento. Franco, forse più di chiunque altro, ha conosciuto il significato della parola speranza e ha saputo lottare, senza mai arrendersi. Queste storie sono un pezzo di Italia, queste storie riguardano tutti noi. 3 Italia Dicembre 2013 Mercato del lavoro Ripulire la nostra coscienza, ammettendo le proprie colpe e rifiutando lo scendere a compromessi L’Italia delle lobby, dei mezzi-uomini e delle macchiette di Pier Paolo Corsi “I l mondo del lavoro è una giungla”. Un incrocio di liane, di rampicanti, di animali velenosi e predatori, di master “che fanno curriculum”, di stage pagati da chi ne usufruisce e su cui pende maestosa ed inesorabile la scure della precarietà. Il messaggio è dunque che in questo mondo del lavoro non c’è posto per nessuno, che sia laureato, che sia masterizzato, che abbia la terza media (in quanto ormai rientrante nel vincolo dell’istruzione obbligatoria) ognuno dovrà lottare allo stremo delle sue forze, accettando qualsiasi sopruso, qualsiasi clausola vessatoria in contratti che non esistono, per poter aspirare al futuro estatico ed etereo del posto, nemmeno fisso, ma perlomeno retribuito degnamente. Eppure qualcosa non convince, anche perché un’economia di questo tipo non solo risulterebbe sterile ma si estinguerebbe in poco tempo, per il semplice fatto che non produrrebbe lo sbocco del flusso di capitali (un’impresa con soli dirigenti, per dirne una, è come una squadra di calcio con undici allenatori) che la caratterizzano e i servizi necessari, che nella realtà dei fatti sono accessibili solo ai pochi, non sarebbero forniti affatto. Dunque deve esserci qualcuno che, ad oggi, abbia ancora un Sicilia lavoro vero, cui accede direttamente, senza corsi e corsetti e stage. Quel qualcuno rientra essenzialmente in due categorie: l’eccellenza (che essendo appunto caratteristica di pochi non può (quello sulla libertà di associazione) ma soprattutto rappresentano il gradino più basso di un’ipotetica scala di valori sociali in merito al corporativismo ed alle associazioni di categoria, rappresentano in pratica quanto di male c’è in questo I mezzi-uomini, quelli dell’Italia pianeta. Andrebbe, però, ammessa a godereccia, che vogliono “la botte questo punto una piena e la moglie ubriaca”, che replica, se non proclamano il giustizialismo cadendo giusta almeno legittiin uno sterile autoreferenzialismo da ma. Quanti si sono mai talk-show. visti respingere nelle proprie domande di assolutamente essere presa a lavoro con risposte facenti metro di giudizio e discriminante riferimento alla non necessità di per l’ingresso nel mondo lavorativo) personale all’interno di quella data ed il lobbysmo. impresa? Mentre, nel primo caso si parla di E quanti invece, conoscendo quel una barriera all’entrata dai criteri tizio che è già inserito in quel troppo restrittivi e tendenti alla determinato settore si sono visti (troppo) frequente rielaborazione in aprire di fronte uno spiraglio di chiave moderna del famoso prospettiva? paradosso di Epimenide, per cui “si Non si parla in questo caso della offre lavoro solo a chi abbia raccomandazione, quella è meglio esperienze pregresse” e poi le lasciarla al settore pubblico, esperienze pregresse non te le fa presupponendo infatti essa, come avere nessuno, nel secondo la condizione necessaria, la presenza questione si fa più fine poiché si di un meccanismo capace di entra in un mondo bistrattato e scavalcare selezioni concorsuali disprezzato da tutti, quello delle predisposte o almeno la costruziolobby, degli oligopoli, della Massone di canali ad hoc ed ex-lege per neria. Le lobby, logge, società permettere l’ingresso. Si fa segrete e chi più ne ha più ne riferimento piuttosto a quel meccametta, sono innanzitutto proibite nismo bonario e dai modi grossoladall’art. 18 della Costituzione ni, per cui chiunque “aiuterebbe un amico” presentandolo al proprio superiore, portando la sua lettera di presentazione sulla scrivania che conta. E’ un modo come un altro per mostrare il proprio spirito altruistico, la propria riconoscenza nei confronti di qualcuno che in un certo momento aveva fatto già altrettanto. È un comportamento adottato da molti, moltissimi (non tutti, ma quasi). Perciò basterebbe in fin dei conti un minimo di onestà, quel poco per rimanere onesti con se stessi, evitando di fare i paladini della meritocrazia ed ammettendo il proprio operato da membri di lobby, se non così potenti, almeno capaci di rendere dignitosa una vita. Sono tristi i mezzi-uomini, quelli dell’Italia godereccia, che vogliono “la botte piena e la moglie ubriaca”, che proclamano il giustizialismo cadendo in uno sterile autoreferenzialismo da talk-show. Le comiche, di quelli come il Ministro Cancellieri o dei cari vecchi giudici di “Mani Pulite”, dei Presidenti della Repubblica che giocano a fare i sovrani illuminati, dei segretari che inneggiano ai giovani e ai venti di cambiamento (che poi si rivelano fastidiose correnti o spifferi), sono superate, i loro discorsi sono macchiette degne dei più recenti “cinepanettoni”. Sarebbe bello se un giorno ci si svegliasse di mattina presto, con l’aria cristallina, e si ripulisse la nostra coscienza, ammettendo le proprie colpe e rifiutando lo scendere a compromessi. Il Mediterraneo non è solo la culla della civiltà. Per molti europei del Sud è anche una miniera blu Come Bruxelles annega la tradizione ittica del Mediterraneo I l Mediterraneo non è solo la culla della civiltà. Per molti europei del Sud è anche una miniera blu. Uno dei pochi mezzi di sostentamento che ha attraversato tre ere diverse: quella legata alla glaciazione, quella legata all’industrializzazione e quella legata alla stagione delle guerre. Ma c’è un’era che sembra quasi fatale, ormai, per il Mar Mediterraneo. E’ l’Era di Bruxelles. Messa in ginocchio da restrizioni irrazionali, le economie ittiche di Regioni come la Sicilia e la Calabria stanno attraversando il momento peggiore della loro esistenza millenaria. In ginocchio sono finiti i pescatori di sarde e acciughe in Sicilia. Questa tipologia di pescato comincia a scarseggiare perché preda preferita dei tonni. Questi sono in sovrannumero a causa delle direttive europee che hanno ristretto la pesca del tonno a solo un mese l’anno. Alcune aziende di trasformazione cominciano ad avere problemi, tanto che acquistano grosse partire di sarde e acciughe provenienti dal Tirreno o dall’Adriatico o addirittura da Spagna e Francia, con un considerevole aumento dei costi. Altre ditte hanno chiuso preferendo delocalizzare la produzione in Tunisia, Algeria e Marocco, Paesi che, esenti da restrizioni burocratiche, pescano forfettariamente e rivendono altrettanto forfettariamente sul mercato. Loro sono i nuovi leader della pesca grossa, quelli che dettano legge senza farsene dettare. Sull’altra sponda del Mar Nostrum, chiedono aiuto i pescatori di Sciacca (Ag), marineria specializzata nella pesca di sarde e acciughe, che hanno chiesto sostegno al governo della Regione Siciliana. “Il mare di Sciacca è pieno di tonni, anzi è tutto tonno – dice Gaspare La Rocca, armatore – non c’è più pesce azzurro, da due o tre anni, quando l’Ue ha deciso di limitare a un mese all’anno la pesca del tonno, questi sono aumentati in maniera esponenziale”. Sciacca è famosa per avere una tradizione nell’industria ittica, nata proprio perché il Mediterraneo è sempre stato molto pescoso. Fino a cinque anni fa c’erano 40 aziende con in media 60-80 dipendenti, oggi ne sono rimaste una ventina. Questo è il feedback dei pescatori siciliani che recentemente, in occasione del meeting milanese per la promozione del prossimo Expo, sono stati “riconosciuti” come esempio positivo di pesca intelligente ed avanzata, come il porto di Mazara del Vallo, vero faro della speranza nel settore e avanguardia della tradizione ittica dell’Isola. I numeri ce li dà la Guardia Costiera: dal 2001 a oggi le quote di pescato sono state drasticamente diminuite del 55%. Lenta e inesorabile progressione burocratica post-Maastricht. Ma per la Sicilia, tutt’oggi, la pesca rappresenta da sola il 40% del profitto medio annuo della popolazione con 3300 pescherecci (il 24% della flotta nazionale). Numeri che galleggiano sul tavolo del Governo Crocetta e dell’Assessore Cartabellotta che più volte ha ripreso Roma per la mancata imposizione nei confronti dei gerarchi europei. Ma chi sono questi nemici d’Oltralpe? Sono i burocrati formatisi tra le leve della destra nuova europea, quella filo-ambientalista, abituata a considerare le nostre tradizioni troppo macabre. Ma la mattanza del tonno, il vero fulcro della cultura popolare sicula lontana dalle lupare e dai vari set di Coppola, si è estinta neanche vent’anni fa, a riprova di come la pesca del tonno, lentamente e tristemente, abbia praticamente sfumato le luci che illuminavano da secoli le tradizioni ittiche del Mediterraneo. Il problema è che i nostri mari non sono freddi e non sono “oceanici” che basta spostarsi per trovare merluzzi e tonni gialli. Qui si campa con poco e i confini nazionali, soprattutto nel sud dell’Europa, sono tangibili più che mai. Nel mare africano, infatti, non si può pescare. Mentre invece sappiamo come i pescatori danesi si spingano fino all’Islanda per riprendere le loro ricche nasse. Qui si lavora nello stretto, per usare un paragone calcistico e mentre i siciliani devono fare i conti con le leggi europee, a poche miglia i pescatori tunisini se la ridono e pescano senza criterio tutte le taglie di pesci. Basta andare a Malta, isola anglofona lontana dagli aliti europei, per rendersi conto che lì, l’ittiofauna, è sfruttata ai limiti del buon senso. Pensate la frustrazione di chi quei mari li conosce e li naviga da decenni. Un tempo il Giappone pagava a peso d’oro i www.lintellettualedissidente.it nostri tonni. Oggi il primo Paese importatore di tonni rossi fa affari con Malta e con Tunisi. Grasse pernacchie ai siciliani. All’inganno si aggiunge la beffa. Nelle nostre coste i tonni trovano riparo e non potendo essere pescati aumentano di numero e si mangiano i pesci più piccoli, quelli azzurri, di cui i pescatori locali ci vivono. Una pesca distrutta, rasa al suolo in tutti i suoi schemi. Il nostro mercato ha iniziato a importare tonni dal Mozambico per poterli consumare! La debole iniziativa della De Girolamo, a giugno, ha appena scalfito questo sistema che non riguarda solo i tonni rossi ma anche il pesce spada, per esempio. La stessa Guardia Costiera italiana ci ha confidato sottovoce, che loro spesso a malincuore sequestrano quantità tali di pescato da parte dei “nuovi” bracconieri del mare, che altri non sono se non i nostri vecchi padri stremati e delusi, prossimi a un’amara conclusione del loro viaggio nel mare più bello del mondo. Questo perché la balena bianca ha trovato riparo tra gli incartamenti dei burocrati di Bruxelles, Acab e Ismaele sono ormai in pensione e Pirandello si è dato alla politica… di Santi Cautela 4 Esteri Dicembre 2013 Medioriente Un’aura di fondamentalismo retrogrado, affibbiatogli dall’Occidente senza una ragione del tutto chiara, forse solo per spirito di superiorità L’Iran, un Paese libero, democratico e pacifista di Alessio Caschera L’ ascesa sciita in alcuni Paesi chiave del Medioriente sta ridimensionando i rapporti di forza nello scacchiere regionale: il vento è cominciato a cambiare dal 2006, anno dell’elezione di Al Maliki a primo ministro iracheno e anno della vittoria di Hezbollah su Israele, nella seconda guerra del Libano. Si è assistito a quella che molti hanno definito “la rivincita Sciita”. Minoranza nel mondo musulmano, perseguitati, considerati eretici, spesso oggetto di veri e propri pogrom, i seguaci di Ali, cugino prima e genero poi del profeta Maometto, sono riusciti in un’ impresa quasi impossibile, diventare potenti in un mondo in cui sono sempre stati una minoranza. Questa rinascita, tuttavia, non sarebbe stata possibile senza l’Iran, che a partire dal 1979, anno della rivoluzione islamica guidata dall’Ayatollah Khomeini, è riuscito a trasformarsi in una nazione forte, in grado di intimorire i vicini e i loro alleati. Questa sua forza, però, ha contribuito ad alienargli le simpatie di gran parte del mondo occidentale, Stati Uniti in testa. La tensione con Washington ha infatti origine proprio negli anni della rivoluzione khomeinista, culminata con la cacciata dello Scià e l’assalto all’ambasciata americana a Teheran. Questo eccesso di tensione e la paura diffusa in buona parte dell’opinione pubblica occidentale nei confronti dell’Iran, ha portato lo scontro a livelli altissimi. L’apice della tensione si è raggiunto nel 2005, con l’elezione di Ahmadinejad alla presidenza iraniana, interpretato dagli avversari come un chiaro gesto provocatorio. Ma nell’estate del 2013, accade qualcosa di nuovo: a diventare presidente è il “moderato” Hassan Rohani, ex capo negoziatore per il nucleare. La notizia che il vento è cambiato arriva anche a Washington e al presidente Obama, grande sconfitto nella partita mediorientale, che vede nel tentativo di amicizia con il nuovo “moderato” di Teheran, un possibile riscatto. L’Iran di Rohani appare un Paese diverso, libero da quell’aura di fondamentalismo retrogrado, affibbiatogli dall’Occidente senza una ragione del tutto chiara, forse solo per spirito di superiorità e anche un po’ di ignoranza. Artefice della nuova politica che ha portato a un lento disgelo è senza dubbio la guida suprema Ali Khamenei, consapevole che solo con un accordo con lo storico nemico si può far respirare il Paese strozzato dalle sanzioni. In questo clima festoso e di riconciliazione, qualcosa è però andato storto, i comportamenti da mogli gelose tenuti da Arabia Saudita e Israele nei confronti di Washington hanno rallentato il riavvicinamento, portando a un nuovo stallo, riflesso nei faticosi negoziati di Ginevra sul nucleare. Al di là dei presunti “tweet” del neo presidente, delle aperture al mondo giovanile, con Rohani qualcosa però sembra veramente cambiata; se a livello istituzionale l’ultima parola spetta sempre alla guida suprema, depositaria del messaggio rivoluzionario di Khomeini, le aperture verso l’esterno del nuovo presidente fanno ben sperare, anche se la “paura” nei confronti di Teheran è ancora tanta. La vera sfida è ora far capire agli occidentali che non si deve aver timore dell’Iran. Il problema di questi ultimi trent’anni nelle relazioni tra Teheran e i suoi nemici storici, è stata proprio la mancanza di comunicazione: entrambi schierati spesso su posizioni intransigenti, hanno rifiutato qualsiasi tipo di contatto, scambiandosi accuse reciproche. La vera rivoluzione di Rohani dovrà essere non tanto una rivoluzione sugli stili di vita, l’attuale regime politico del Paese, infatti, non è frutto dell’imposizione del clero sciita bensì di un referendum popolare, quanto una rivoluzione comunicativa per far conoscere davvero la Repubblica Islamica, che sicuramente avrà i suoi limiti ma che non è certo quel “mostro” che quotidianamente ci viene presentato: un Paese barbaro, violento e base per i terroristi di tutto il mondo. In realtà in Iran sono riconosciuti i diritti della persona, le elezioni sono libere e regolari, le minoranza religiose hanno diritto di rappresentanza all’interno del Parlamento, possono partecipare con propri partiti politici e le donne hanno libero accesso alle cariche pubbliche. Certo, in Iran vige la legge islamica, così lontana da noi e per questo “medioevale, oscurantista e antidemocratica”, ma chi ci dà il diritto di giudicare cosa sia “democratico” o “antidemocratico”? Se prendiamo in considerazione le caratteristiche base della “democrazia minima”, le ritroviamo, con sorpresa di alcuni, benpresenti nel panorama politico iraniano. Con tutti i suoi limiti, dovuti anche all’eccessivo conservatorismo di alcune delle sue elite, l’Iran si è dimostrato in diverse occasioni più umano, democratico e pacifista (in mille anni di storia non ha mai avuto mire espansionistiche bensì ha sempre subito le offensive straniere) di tante realtà impegnate in lezioni di libertà e democrazia, diventate stucchevoli e poco credibili, quelle stesse realtà che finanziano senza vergogna le petromonarchie del Golfo e i jihadisti in Siria. Nordamerica I prigionieri conducono un’esistenza priva di dignità, vittime di un regime che professa al mondo la libertà “Guantànamo is killing me”. Il falso mito della democrazia statunitense di Filippo Benincampi U na delle rappresentazioni più spietate dello pseudo mito della democrazia nordamericana si trova a Guantànamo, una baia situata nella punta Sud Est di Cuba, un luogo divenuto celebre più per le atrocità perorate dalle forze statuitensi nell’omonimo campo di prigionia, piuttosto che per la sua meravigliosa natura. I prigionieri si ritrovano alienati in un paradiso caraibico, e conducono un’esistenza priva di dignità, vittime di un regime che professa insistentemente massime evangeliche come l’uguaglianza e la libertà. L’individualismo che piace tanto all’America, si trasforma in una collettività di dolore e ingiustizia nel quale l’uomo dimentica se stesso e tace. E intanto l’Occidente si trova nel solito impasse emotivo e non presta orecchio a niente, se non alla voce del potente. Come fiore all’occhiello della guerra al terrorismo, l’11 gennaio del 2002, l’amministrazione Bush decise di aprire il campo di prigionia finalizza- to alla detenzione dei prigionieri catturati in Afghanistan e ritenuti collegati ad attività terroristiche, il quale sarebbe stato diviso in tre campi: il “Camp Delta”, il “Camp Iguana” e il “Camp X-Ray” (quest’ultimo oggi chiuso). Il presidente repubblicano, nel discorso che sancì l’apertura della prigione, sottolineò che il campo sarebbe stato circoscritto al “the worst of worst” ossia il peggio del peggio dell’umanità, eppure la maggior parte dei detenuti sono rinchiusi senza aver subito un processo e senza aver ricevuto accuse specifiche. Non mancano di certo geni del male, come ad esempio alcuni vicini di Bin Laden presunti responsabili dell’attentato dell’11 settembre, ma di certo il criterio con cui i prigionieri sono stati e sono tuttora deportati in questo campo sono alquanto superficiali e lungi dall’essere il frutto di un preciso studio dell’intelligence americana. Sin da subito furono sollevate pesanti accuse circa il modo in cui venivano trattati i detenuti, al limite del disumano. Se le celle potessero parlare, ci racconterebbero storie di torture, di nutrizione imposta, di violenza inaudita. www.lintellettualedissidente.it Purtroppo non essendo ciò possibiprocessati né giustiziati, in un limbo le, le testimonianze riportate dagli che conduce dritto all’inferno. Tutto avvocati di Reprieva tace fuori da quel campo. (organizzazione che si occupa dei Gli Stati Uniti, autoreferenziali, diritti dei detenuti in generale e paladini del rispetto della giustizia, degli orrori di Guantànamo nello che si attribuiscono la facoltà di specifico) squarciano il silenzio esportare i diritti umani, sventolano degli “innocenti”, riportando storie fieri il vessillo della libertà, contradtremende, come quella di Samir dicendo in modo lampante i principi Naji al Hasan Moqbel, yemenita di “sacri”, o almeno presunti tali, dei nascita e catturato nel 2001 in loro padri fondatori. Afghanistan mentre stava cercando lavoro, in Se le celle potessero parlare, ci sciopero della fame insieme a molti altri racconterebbero storie di torture, detenuti, descrivendo di nutrizione imposta, quanto fosse stato orribile nutrirsi via tubo di violenza inaudita. nasale dopo essere stato legato ad una sedia. Oggi gli scioperi della fame stanno Ed a questo proposito, a suggellare crescendo, i detenuti hanno deciso questo inspiegabile paradosso dei di rischiare la vita ogni giorno pur di nostri tempi, ci interroghiamo richiamare l’attenzione del mondo, leggendo il più celebre passo della che sembra piegarsi alle continue “Dichiarazione d’indipendenza” del archiviazioni statunitensi. 1776, nel quale si legge “all men Alla fine del 2008, il neoeletto are by nature equally free and Obama manifestò la sua intenzione independent”. di chiudere il campo di GuantànaLe altre nazioni, relegando la mo e il 21 gennaio 2009 firmò coscienza sotto terra, chiudono gli l’ordine di “chiusura” del carcere occhi e si perdono in un triste (ma non della base militare). Ma silenzio, ma da quel campo un rimasero parole scritte sull’acqua. timido sussurro irrompe come un Oggi il lager è ancora lì, con i suoi tuono: “Guantànamo is killing me”. 171 detenuti, che non vengono né 5 Esteri Dicembre 2013 Relazioni Internazionali Per capire il mondo il fattore energetico è importante quanto quello politico-militare e territoriale N onostante per quasi mezzo secolo le relazioni internazionali tra Paesi siano state condotte anche in campo energetico, la causa della sicurezza energetica passa spesso in secondo piano quando si tratta di analizzare un evento internazionale, privilegiando invece i fattori politico-militari e territoriali. La sicurezza energetica, intesa come accesso alle risorse energeti- Geopolitica dell’energia dell’OPEC, come conseguenza della guerra del Kippur. In quell’occasione le maggiori potenze occidentali capirono che la loro eccessiva dipendenza energetica dai Paesi arabi sarebbe stata troppo rischiosa e che improvvise interruzioni dei flussi di risorse, prime fra tutte i combustibili fossili, avrebbero provocato gravissime destabilizzazioni economiche a livello globale. Di conseguenza, la corsa per il petrolio L’accesso e il controllo delle risorse occupò in breve tempo le prime energetiche non pone posizioni all’interno esclusivamente dei problemi in delle agende nazionali e la garanzia termini di conflitti territoriali, ma dell’accesso e del costituisce soprattutto una questione controllo diretto di di sicurezza nazionale, rendendosi tale risorsa fu consicome un necessario per gli Stati proteggere le derata elemento indispenproprie infrastrutture energetiche sabile per acquisire critiche, estremamente vulnerabili ed stabilità economica e forza militare sul esposte a qualsiasi tipo di attacco, piano internazionale. Attualmente la armato o cyber che sia. sicurezza energetica rientra di diritto che, è invece un elemento chiave all'interno delle strategie di sicurezattorno al quale si sono dispiegati i za nazionale e di intelligence di principali sconvolgimenti geopolitici ogni Paese. degli ultimi cinquant’anni. Il probleIn primo luogo, basti pensare al ma energetico si è imposto per la fatto che molti dei recenti conflitti prima volta a livello globale nei sono scoppiati più per ragioni primi anni settanta, a seguito legate all’acquisizione di risorse dell’improvvisa interruzione dei energetiche che per scopi politici (le flussi di petrolio da parte dei Paesi cosiddette resources wars). In Globalizzazione secondo luogo, accanto ai tradizionali conflitti militari si è sviluppata una vera e propria energy cyberwarfare. Per destabilizzare un Paese nemico è sempre meno necessario investire ingenti quantità di denaro ed eserciti da inviare sul suo territorio, ma è sufficiente un computer. Non è più necessario puntare direttamente al rovesciamento delle istituzioni governative, ma basta attaccare le sue infrastrutture energetiche (rete elettrica, centrali nucleari, ecc...). La sicurezza energetica è dunque strettamente collegata alla geopolitica quando il fabbisogno energetico di uno o più Stati dipende da forniture provenienti da Paesi produttori terzi (come, ad esempio, il caso dell’Europa). Lo scacchiere della contesa geopolitica per l’energia è senza dubbio l’Asia centrale, da cui partono la gran parte dei rifornimenti energetici verso i maggiori Paesi occidentali e in cui la competizione delle grandi potenze si ravvisa in molteplici investimenti in Paesi come il Kazakistan o il Turkmenistan. La Russia è il principale esportatore asiatico di gas naturale verso l’Europa, scarsamente dotata di risorse energetiche e perciò fortemente vincolata dai flussi provenienti dall’estero. Anche gli Stati Uniti dipendono fortemente dalle importazioni di petrolio e per evitare ulteriori shock petroliferi come quelli degli anni Settanta hanno preferito assicurare la maggior parte delle importazioni da Paesi vicini (Canada, Venezuela, Messico e Colombia). Le restanti forniture invece provengono da produttori diversificati nell’area del Golfo persico (prima fra tutti l’Arabia Saudita): attraverso importanti accordi energetici con questi Paesi, gli Stati Uniti sono riusciti anche ad estendere la propria area di interesse strategico nel continente asiatico. L’accesso e il controllo delle risorse energetiche non pone quindi esclusivamente dei problemi in termini di conflitti territoriali, ma costituisce soprattutto una questione di sicurezza nazionale, rendendosi necessario per gli stati proteggere le proprie infrastrutture energetiche critiche, estremamente vulnerabili ed esposte a qualsiasi tipo di attacco, armato o cyber che sia. di Ludovica Coletta Nel nome della libera circolazione e della tolleranza i migranti sono asserviti a stipendi bassi e condizioni di lavoro inumane Dumping sociale. L’altra faccia della questione migratoria di Edoardo Arrigo L a crisi in corso con le sue pesanti conseguenze ripropone il tema delle politiche sociali nei Paesi subordinati alle leggi del capitalismo, dagli Stati Uniti all’Europa. In questo quadro vale la pena di provare a formulare qualche riflessione sullo stato attuale dell’Unione, cercando di rispondere alla domanda: a che punto è l’Europa sociale? Viste le differenze salariali e l’offerta di lavoro resa disponibile dai vari Paesi dell’Unione sembra che questo progetto sia molto indietro. Anzi sembra che si faccia ben poco per la tutela del singolo lavoratore e tutto ciò che ne consegue. Ogni anno migliaia di migranti s’inseriscono nel nome della libertà economica e della libera circolazione nel mercato del lavoro degli Stati europei con stipendi bassissimi e condizioni inumane. I nuovi schiavi del XXI secolo. Da qui nasce l’espressione dumping sociale che interiorizza molteplici aspetti di una comune matrice problematica: la delocalizzazione e lo sfruttamento dei lavoratori. Un processo che è ormai tipico dalla maggior parte delle multinazionali, per minimizzare i costi e rendere il prezzo finale del bene più competitivo. È il fenomeno per cui migliaia di persone hanno protestato a Bruxelles contro quest’Unione Europea cieca di fronte ai bisogni dei lavoratori provenienti da tutta Europa. Un fenomeno questo che oltre a sfavorire il singolo lavoratore e creare sempre più forti distanze sociali, tende a favorire quei Paesi con una fiscalità favorevole. Guarda caso la Germania è accusata giorno dopo giorno di concorrenza sleale… Alcuni Paesi però non hanno aspettato inutili direttive europee ma hanno trovato soluzioni interne. In Norvegia è in vigore un piano governativo per la lotta al dumping sociale, per contrastare un fenomeno ricorrente soprattutto nel settore dell’edilizia, dov’è diffuso il ricorso ad agenzie di lavoro temporaneo che distaccano lavoratori stranieri. Il piano prevede che ai lavoratori stranieri siano applicati gli stessi standard normativi e salariali previsti per i lavoratori norvegesi e che il rispetto degli standard sia garantito da autorità nazionali dotate di poteri ispettivi. In Danimarca invece è in vigore un accordo anti-dumping che impone l’obbligo di appaltare attività solo a imprese che applichino i contratti collettivi, obbligo sanziocreazione di contratti collettivi nabile con ricorso al giudice. Si transnazionali per garantire ad ogni potrebbe continuare così per ore. Il lavoratore dell’Unione gli stessi fatto è che oltre che combattere diritti sociali ed economici. Un prepotentemente l’evasione fiscale, grande passo avanti che ad oggi queste misure comportano un rappresenta un sogno irrealizzabimiglioramento delle condizioni le. L’Italia, per esempio, è abbandoindividuali dei lavoratori e, nel nata dall’Ue al proprio destino nella susseguirsi degli anni, anche un gestione dei costanti e massicci aumento della ricchezza reale flussi migratori che condannano i all’interno del Paese. “viaggiatori della speranza”, ad Questo ragionamento porta inevitaaccettare condizioni di lavoro bilmente a cercare una soluzione disumane, talvolta nella criminalità non solo al livello nazionale ma in organizzata, antico cancro del ambito europeo. Si può dire che in nostro Paese. un sistema che ambisce a divenIn Danimarca è in vigore un accordo tare più integrato la mancanza di anti-dumping che impone l’obbligo di direttive europee appaltare attività solo a imprese che sul lavoro contriapplichino i contratti collettivi, obbligo buisce a deresponsabilizsanzionabile con ricorso al giudice. zare le amministrazioni nazionali e a rendere il problema sempre Per creare un’Unione Europea più centrale. unita non si può passare non per il In un mercato sempre più globale lavoro e per tutto ciò che ne consecon regole diverse nazione per gue. Una condicio sine qua non nazione, vi è la necessità di stabilisenza la quale non potrebbe re regole chiare e sanzioni precise, nascere una vera e sociale Europa in vista anche dell’entrata dei Paesi dei popoli. dell’Est Europa nell’Ue (ma forse è L’integrazione del mercato non può proprio questa la ricchezza dei avvenire senza porre rimedio alla tecnocrati). disintegrazione dei diritti. Il lavoro Normative europee in materia di deve essere una priorità. lavoro sarebbero la base per la www.lintellettualedissidente.it 6 Economia&Europa Dicembre 2013 Eurocrazia Salvare gli Stati? I prestiti del MES avranno un tasso di interesse, dato che l’istituzione si prefigge l’obiettivo del profitto Il gioco perverso del Meccanismo Europeo di Stabilità di Kirios Di Sante i sono parole che segnano epoche, accostamenti di lettere in grado di sintetizzare quadri storici meglio di frasi, pagine, libri o intere enciclopedie. C gico, spread in primis. Quello a cui tutti anelano, dagli esecutivi alle banche centrali (ammesso e concesso che siano organi differenti), è la stabilità. Governo della stabilità, legge di stabilità; addirittura il meccanismo europeo di stabilità, meglio conosciuto (se conosciu- Se si dovesse scegliere una parola ad hoc per il decennio appena iniziato (si, siamo solo all’inizio), non si dovrebbe cadere in banali tentazioni quali crisi o recessione. Così come è giusto tenersi a distanza da inglesismi a carattere mitolo- to) come MES. Il MES è un’istituzione intergovernativa con capitale sociale pari a 700 miliardi (aumentabile), versato da 17 Stati membri. La quota partecipativa dell’Italia è di 125 miliardi, di cui 15 di anticipo. I soldi per l’aumento dell’Iva? No, quelli non c’erano. Così come non ci sono neanche quelli per l’anticipo del MES, il che ci costringerà a chiederli a credito (almeno una buona parte). Il meccanismo vessatorio è questo: indebitarsi, per accumulare un capitale dal quale attingere nei momenti di massimo debito. E non finisce qui: i prestiti del MES avranno un tasso di interesse, dato che l’istituzione si prefigge l’obiettivo del profitto. Ma vi sono cose più spaventose del tasso di interesse: oltre a “salvare” gli Stati agendo di fatto come un prelievo forzoso (l’importante è che si chiama diversamente), esso potrà dar vita all’ennesima ricapitalizzazione delle banche. Essendo i soldi del MES pubblici, ecco svelata un’altra collettivizzazione delle perdite del settore creditizio. La quota massima di risanamento delle perdite sarà però di 70 miliardi, ergo una eventuale restante parte sarebbe, ancora una volta, a carico pubblico. difficoltà ad un tasso di interesse È inoltre necessario, prima di ricapiminore di quello del MES? talizzare una banca in perdita, uno L’intermediazione, cari lettori, è sforzo autonomo dello Stato per profitto. Ma solo per gli intermediari. riportarla nei parametri di sicurezza Senza contare che, prima di appelfissati dagli accordi Basilea. larsi al MES, lo Stato membro Questa analogia svela bene dovrà seguire precisi diktat meglio l’assurdo che si cela dietro: è come conosciuti come direttive europee: se, stipulando un’assicurazione in pratica, per accedere al capitale (onerosa), a seguito di un danno da noi versato e “appesantito” da subito dalla propria vettura e coperun tasso di interesse che rappreto dal contratto assicurativo, uno si senta profitto per terzi, dobbiamo impegna ad aggiustare parte della vendere pezzi di sovranità facendocarrozzeria autonomamente e a ci dettare le manovre economiche spese proprie riportandola ad un da Bruxelles. Manovre caratterizzalivello estetico che sfiori la decenza. te da privatizzazioni e vendita dei Vediamo di seguire il viaggio che beni demaniali, svelando a pieno la l’euro fa prima di non arrivare nelle matrice liberista dell’Europa e la nostre tasche: la BCE lo elargisce sua avversione verso lo Stato, reo ad un tasso di interesse bassissimo di distorcere la concorrenza salva(recentemente decurtato ulteriorguardando i diritti dei suoi cittadini. mente, raggiungendo il minimo storico Il MES è un’istituzione dello 0, 25%) alle intergovernativa con capitale banche commerciali che lo prestano a sociale pari a 700 miliardi tassi usurai alla (aumentabile), versato da 17 Stati cittadinanza. membri. La quota partecipativa Tramite i contribuiti, parte dei soldi dell’Italia è di 125 miliardi, di cui 15 recepiti dai cittadini di anticipo. finirà nel MES, e verrà loro prestato (in caso di necessità) ad un tasso di È necessario fermare tutto questo interesse sicuramente superiore anche se sembrerebbe ormai allo 0,25%. troppo tardi, dato che il MeccaniLa domanda verrà spontanea smo Europeo di Stabilità è stato già anche ai non addetti all’aritmetica: ratificato dal Parlamento e, prima non sarebbe meglio se la BCE ancora, dal Consiglio Europeo. finanziasse direttamente gli Stati in Bruxelles Nel 1992 con il trattato di Maastricht, i Paesi firmatari hanno accettato di rispettare alcuni parametri di convergenza L’Unione Europea e i suoi nemici: gli Stati a moneta sovrana e il deficit positivo di Manfredi Zichichi D sono autoimposti bisogna analizzare bene il processo di emissione monetaria dei Paesi a moneta sovrana (Giappone, USA, Inghilterra ad esempio). Nel momento in cui uno Stato deve far fronte a una spesa pubblica, se non ha soldi in al primo gennaio del 2002 l’Italia, insieme ad altri undici Paesi europei, si è privata della possibilità di stampare moneta ed immetterla nella propria economia, realizzando il “sogno” della moneta unica, Esistono Stati a moneta sovrana l’Euro. Questa decisione come il Giappone che a differenza ha inciso fortemente sulla crisi finanziaria ed econo- dell’Ue hanno un deficit positivo: il mica che ancora oggi suo valore debito/Pil supera il stiamo vivendo in tutta 250% eppure il primo ministro l’Eurozona. Nel 1992 con il trattato di Maastricht, gli Shinzo Abe non sembra Stati firmatari hanno preoccupato di ridurlo. accettato di rispettare alcuni parametri di convergenza: rapporto deficit/Pil non superiore al 3%; rapporto cassa ha due possibilità: o emettedebito/Pil non superiore al 60%; re titoli di stato che consentano al tasso d’inflazione non superiore cittadino che li sottoscrive di avere dell’1,5% rispetto a quello dei tre una rendita con un tasso di interesPaesi più “virtuosi” dell’Eurozona. se vantaggioso rispetto a quello Parametri che ancora oggi sembrache gli offrono le banche, o stampano essere la condizione fondamenre moneta e immetterla tale per un’economia forte e in nell’economia del Paese. Il debito crescita (“ce lo chiede l’Europa!”), pubblico di uno Stato a moneta vengono privilegiati dai governi sovrana si autofinanzia con nazionali a scapito delle priorità l’emissione di moneta facendo sociali dei cittadini (occupazione, crescere la quantità di valuta in abbassamento della pressione circolazione, e quindi aumentando fiscale, ecc.). Per comprendere il il valore dell’economia (crescita del danno che gli Stati dell’Eurozona si Pil nominale). L’unico aspetto negativo è l’inflazione, ma non è di certo un male assoluto, anzi. Se l’Italia deve far fronte ad una spesa pubblica, ha invece oggi tre possibilità che sono diversamente disastrose per la propria economia e per il benessere dei cittadini: la prima è quella di tagliare altre spese (riducendo spesso e volentieri l’istruzione, la ricerca, la sanità) e far fronte al fabbisogno di cassa internamente; la seconda consiste nell’aumentare il cuneo fiscale, andando ad affossare l’economia delle famiglia; la terza invece è quella di chiedere un prestito alle banche o ai cittadini, però in questo caso il valore del debito è da tenere sotto controllo perché non potendo autofinanziarsi l’Italia rischia il default (questa parola tanto usata nell’accezione inglese significa non riuscire a restituire i soldi). Proprio per questo motivo il tasso di interesse che l’Italia deve promettere agli investitori è cresciuto enormemente, tant’è che il nostro Paese paga il 4,5% di interessi/Pil. Per comprendere ancora meglio che questo periodo di recessione è un sintomo del rispetto dei parametri da parte dei governi nazionali e www.lintellettualedissidente.it causato dalla politica monetaria di Bruxelles, diamo uno sguardo alla situazione di un Paese a moneta sovrana che non rispecchia i vicoli europei: il Giappone. Il suo valore debito/Pil supera il 250% eppure il primo ministro Shinzo Abe non sembra preoccupato di ridurlo, ma deciso a risollevare il proprio Paese dalla stagnazione economica (Tokyo a differenza nostra ha un deficit positivo). Ha intrapreso una politica monetaria totalmente diversa: l’acquisto di titoli del debito nazionale da parte della BoJ (Banca del Giappone) che porteranno a raddoppiare la base valutaria in circa due anni. Questo con l’obiettivo di portare il Giappone fuori dalla situazione di deflazione, giocando al rialzo con l’inflazione fino ad un valore del 2%. Altra misura è stata la svalutazione del 30% del valore dello yen per incrementare le esportazioni (Bruxelles nel nome della stabilità dei prezzi, non svaluta mai l’Euro e di fatto non è competitiva con le altre economie). Abe ha inoltre ridotto la pressione fiscale su famiglie e imprese ed ha introdotto altre forme di vantaggio fiscale nelle aeree economicamente depresse, come Fukushima. Economia&Europa Dicembre 2013 PAC 7 L’agricoltura è l’unico settore in crescita, con un incremento occupazionale giovanile del 9 per cento Quelle terre da salvare dalla Politica Agricola Comune di Guido Rossi “l’imprenditore a sottrarre tempo e denaro ai compiti prioritari di ebbene molti abbiano la un’impresa” (Mario Guidi, presidentendenza a dimenticarsene, te Confagricoltura). l’agricoltura rappresenta, A livello comunitario i problemi non oltre ad un settore fondason certo minori, non essendo mentale della nostra economia, un soltanto l’Euro un esperimento bene prezioso e vitale. E piacevolfallimentare, ma l’intero mercato mente troviamo un elemento più europeo. Si parte infatti dal presupche positivo, essendo, quello posto che per proteggere e agricolo, l’unico settore in crescita, rafforzare quest’ultimo, tutti i Paesi con un incremento occupazionale membri debbano adottare politiche giovanile del 9%, comprensivo di comuni; ma l’agricoltura (o altro) figure altamente specializzate (con non può e non deve assolutamente un boom di immatricolazioni ad essere inclusa in un mercato agraria, aumentate dell’oltre 70%). comune come politica integrata. Pertanto chi ad oggi innalza il canto del La logica alla base della PAC è “ce lo chiede oltretutto anacronistica, avendo le l’Europa” ha due possibilità, o è al sue radici negli anni Sessanta, servizio altrui, o è quando si aveva la necessità di felicemente ottuso. stimolare la produzione agricola e Non si può pretendemantenere i prezzi ad un certo livello. re di adottare politiche uniche per Paesi completamenPertanto l’amministrazione, a livello te diversi, innanzitutto per storia e tanto nazionale quanto europeo, costumi, secondo poi per la forte riesce esclusivamente a penalizdisparità tra le loro diverse econozarlo. Con sguardo attento all’Italia mie, costo della vita e potere possiamo individuare immediatad’acquisto. La logica alla base della mente il tallone d’Achille di tutte le Pac (Politica Agricola Comune) è tipologie d’impresa, agricole in oltretutto anacronistica, avendo le primis, fatalmente rappresentato sue radici addirittura negli anni dalla burocrazia, se è vero che ogni Sessanta, quando si aveva la imprenditore agricolo perde in necessità di stimolare la produziomedia cento giorni all’anno (!) fra ne agricola e mantenere i prezzi ad carte, premessi, normative e un certo livello. Oggi come allora le controlli, costringendo conseguenze di questo pensiero S sono devastanti, essendo evidente che se il beneficio del sostegno ai prezzi è direttamente proporzionale alla quantità che si produce, è ovvio che a guadagnare di più saranno le grandi aziende, alle quali va più dell’80% dei fondi comunitari, poco lasciando alla piccola produzione, quella sostenibile e di qualità. Si comincia quindi a capire come mai questa visione “comune” sia dannosa soprattutto ad una Nazione come la nostra, caratterizzata da imprese per lo più a dimensione familiare, molto attente alla qualità dei propri prodotti. Quindi seppure sia aumentata l’occupazione “agreste”, purtroppo questo sistema lascia la qualità fuori dal mercato, inondando oltretutto le nostre piazze di derrate di improbabile provenienza, destinando vergognosamente tonnellate di frutta e verdura nostrana al macero. Va poi considerato che la sovrapproduzione europea rappresenta un rischioso disequilibrio con grandi costi ambientali, tra i quali l’eutrofizzazione dei terreni, la contaminazione dei pesticidi e la perdita di colture locali. Inoltre la mancata cura delle nostre campagne (essendo queste abbandonate per mancanza di mezzi) è tra le prime cause dei tanti dissesti idrogeologici avvenuti sul nostro territorio, da ultimo la tragedia della Sardegna. Sul piano dei rapporti Italia-Ue abbiamo poi altre sorprese, come l’ormai famigerato patto di stabilità che non dà alle nostre istituzioni locali alcuna possibilità di intervenire direttamente con i fondi a loro disposizione, perché “dobbiamo rimanere nei limiti del 3%” ed il nostro debito “è troppo alto”. In realtà i nostri “concittadini” europei lo conoscono bene il valore del nostro territorio, visto e considerato che soltanto prendendo nota dal 2007 ad oggi, sono più di 17.000 gli imprenditori agricoli stranieri che operano in Italia. E perseguendo un’ottica maliziosa – ma neanche troppo- ecco allora che si spiegano queste manovre volte a destabilizzare i nostri poderi, e a farne conseguentemente abbassare il costo. Ma è ora di fare un importante passo, con sguardo volto all’indietro e al contempo verso l’avvenire, è tempo di ritornare alla natura, e di riappropriarci della nostra terra. Idee e proposte A differenza del pensiero neoliberista, l’economista rumeno auspicava l’utilità e la possibilità di una decrescita Il concetto d’inefficienza X di Georgescu-Roegen I l concetto d’inefficienza X e l’assunto che l’economia non sia per nulla una scienza esatta – come allo stesso modo non sia proprio una scienza – seguendo la corrente marginalista che vede l’economia separata dalla matematica poiché materia non a sé sufficiente e non completa, rappresenta forse la più grande eredità di Georgescu- Roegen e allo stesso tempo una fondamentale lezione da apprendere e valutare nel nostro sistema economico alla luce dei recenti avvenimenti che hanno compito se non stravolto il nostro sistema economico. L’analisi analitica, infatti, non può prescindere dai contenuti algebrici e matematici, e proprio per questo non è p o s s i b i l e affermare che l’economia ne sia diretta dipendente oppure ancora – forse in una maniera maggiormente provocatoria – che ne tragga diretta origine, poiché ampi sono gli spazi all’interno di questa materia lasciati completamente non tanto al caso, bensì al continuo apprendimento basato sull’esperienza e sugli effetti delle operazioni messe in atto e dai risultati da questi attesi. Nell’opera di Roegen, infatti, lungimirante quanto forse prematuro è stato il distogliere l’economia dal novero delle scienze (intese secondo il concetto ricavato dal pensiero occidentale cioè rigettando il modello cartesiano e meccanicistico) e tentare di basare le nuove fondamenta dell’economia sull’entropia e sulla termodinamica. È vero che tale cambiamento può essere ricondotto al mutare d’opinioni nella dottrina scientifica degli anni Venti, come è altrettanto vero che - anche da una rapida lettura - il suo pensiero si pone in contraddizione poiché non salta sul “treno vincente” del pensiero economico neoliberista mirato completamente alla produzione, al vantaggio economico e al profitto, bensì egli auspicava l’utilità e la possibilità di una decrescita, in questo modo collegando l’economia alla scienza (e all’esigenze?) della vita biologica e dell’ambiente, azzardo morale ed intellettuale che probabilmente fu determinante per la mancata assegnazione del Premio Nobel. Per questo si può comprende come l’opera di un colosso come il rumeno Roegen sia di schiacciante attualità e di grande insegnamento, richiamando l’attenzione e sollevando questioni che – avanzate a cavallo del Ventesimo secolo – possono essere oggi molto utili. Ad essere attaccati, infatti, sono proprio quei principi alla base dell’evoluzione scientifica durati tre secoli e tuttora dominanti ricavati dal pensiero cartesiano, quali il determinismo assoluto, la reversibilità dei fenomeni e la fisica meccanica quale base di ogni analisi analitica. Ad essere attaccati quindi sono l’elaborazione di un concetto partendo dalle sue singole basi per studiare e capire il tutto, riconducendo e derivando quindi anche le leggi della biologia a quelle della fisica e della chimica. Se durante l’Ottocento furono le correnti del vitalismo e dell’organicismo che cercarono – senza durevoli successi – di opporsi a questa visione, il suo contestatore novecentesco si può senza dubbio riscontrare (anche) in Roegen, almeno relativamente agli effetti di questa impostazione nell’ambito economico. Del resto, la sua trattazione e dimostrazione è stata analitica e matematica, proprio per rilevare come un’economia sganciata da quest’ancora di verificabilità non sarebbe potuta essere una scienza neppure verosimile. Anche se, tuttavia, è proprio quest’ancora che ha determinato la deriva intrapresa dall’economia nel tentativo di assumerla a paradigma infallibile quale essa non può essere, al www.lintellettualedissidente.it contrario di quanto il neoliberismo possa oggi pensare, assumendo una regola universalmente valida in tutti i sistemi economici esistenti, o in quasi tutti. In questo senso, rilevanti appaiono anche gli echi di questa visione di pensiero nella materia costituzionale tra l’autorità e le regole, tra il diritto positivo e la consuetudine vivente e “procedente” a prescindere da ogni imposizione positivi. Se quindi l’inefficienza X quindi parte da un semplice quanto preciso presupposto, ossia quello di (tralasciando le dimostrazioni matematiche qui non riportabili) interpretare ogni mancanza di efficienza come frutto di inefficienza, ed ogni agente economico non perfetto come comporta in sé un inevitabile effetto di tale inefficienza, allora ecco crollare anche un altro importante baluardo dell’impostazione courniana di fine Ottocento e imprescindibile baluardo dell’economia moderna, ossia la perfezione del sistema economico e dei suoi agenti, al pari della loro razionalità matematica e del loro cieco determinismo. Tutti effetti la cui rilettura aiuterebbe a regolarsi in una situazione critica come quella in corso tutt’oggi. di Emanuele Vincent 8 IL POTERE Dicembre 2013 Il Potere Il mondo moderno e le sue contraddizioni a cura di Sebastiano Caputo e Lorenzo Vitelli insaputa, ha edificato. Venereremo la Modernità più di quanto non lo stiamo già facendo. Carl Schmitt distingueva l’inimicus a Storia è un succedersi di – colui che ci odia – dall’hostis – rivoluzioni che sconvolgono colui che ci combatte – sostenendo le forme del Potere. Ha che su queste definizioni concetvisto epoche in cui i govertuali si organizzava la politica. nanti temevano i governati, in cui i Tuttavia l’avvento della Modernità popoli sovvertivano le istituzioni, ha ha generato una depoliticizzazione visto le masse sollevarsi contro e la supremazia della vita economica intorno a degli Stati che assomigliaSebastiano Caputo (21 anni) no sempre più, come Diplomatosi al Liceo Chateaubriand affermava il sociolodi Roma entra a soli 18 anni a far go Max Weber, a delle “grandi fabbriparte della redazione del che”. Fabbriche di Quotidiano Nazionale Rinascita, consenso, di consudove si è occupato principalmente matori, di profitto. “Un’idea politica – di politica estera. Attualmente dice Schmitt – viene solo collabora con “La Voce del Ribelle” compresa quando si riesce ad diretto da Massimo Fini. È individuare la cerchia di persone che ha un fondatore dell’Associazione economico politico-culturale “Contro Cultura”, interesse plausibile a servirsi di ha ideato e assunto la direzione del essa a sua vantaggio” . Il potere politico quotidiano online L’Intellettuale ha perso ormai da Dissidente. diversi decenni i suoi diritti e le sue libertà a l’ordine precostituito. Ma non oggi. beneficio di un’élite invisibile – La Modernità opera diversamente, quella che lo scrittore tedesco nuove dinamiche, un’altra guerra è chiama “cerchia di persone” – che in corso, senza il nostro assenso, nel passato ha ribaltato un ordine senza la nostra benché minima prestabilito per imporne un altro consapevolezza. conforme alla sua visione del La massa è hors du jeu, i popoli mondo. Il nuovo Potere si è rivoltaschiacciati, la Modernità è la rivoluzione Lorenzo Vitelli (21 anni) delle élite. Ad essere Diplomatosi al Liceo sovversivo oggi è il Chateaubriand di Roma è Potere. Sconvolge le mentalità, promuove laureando in Filosofia all’Università nuovi sviluppi, fa e “Sapienza” di Roma. È ideatore e disfà fenomeni di massa, congiura, caporedattore del Quotidiano cospira, proietta, Online L’Intellettuale Dissidente, dall’alto dei suoi scranni, una Weltan- nonché fondatore dell’Associazione schauung universale. “Contro Cultura”. “Il Potere. Il Siamo in guerra ma mondo moderno e le sue non ce ne siamo accorti, tanto che, contraddizioni” è il suo primo finalmente, non saggio. sapremo di essere dei vinti, non ci renderemo conto di adulare il nemico, di to, ha imposto il suo credo mistico, accettare il nuovo Ordine rivoluziosi è consolidato nelle sfere di nario che la Modernità, a nostra governo delle nazioni egemoni, L “machiavellicamente”, ha corrotto, oppresso, mentito, monopolizzato il diritto di emettere moneta, ha esportato subdolamente il suo modello economico, ha imposto violentemente dei codici linguistici, morali, culturali. Ha svuotato gli Stati della loro sovranità e l’uomo della sua essenza. Il nuovo Potere ha dichiarato guerra all’umanità ponendosi come hostis (nemico) dei popoli e delle nazioni libere provocando una crisi senza precedenti storici. Una guerra che è totale (tutti gli aspetti della vita ne sono compromessi), dominante, rivoluzionaria (è tuttora in corso), universale (tutti sono coinvolti poiché tutti i popoli e gli Stati devono fondersi in una sola razza, in un solo popolo e in un solo Stato), locale (siccome è estesa all’interno delle nazioni stesse che subiscono il “primato della politica interna” – conflittualità di fazioni politiche, religiose, etniche, sociali – “sull’unità politica” – lo Stato – ed il rischio costante di una guerra civile). La vittoria degli angloamericani durante il Secondo conflitto mondiale ha accelerato questo processo, tuttavia la dichiarazione di guerra non è stata firmata nel 1945, bensì ha origine ben più remote. “È impossibile comprenderlo (il consolidamento del Nuovo Potere, ndr), senza conoscere almeno alcuni avvenimenti storici precedenti che segnano il ciclo del conflitto – scrive Ezra Pound – non si può comprendere senza conoscere almeno alcuni Dove acquistare il saggio Via Tunisi n.3/a - 00192 Roma Tel/fax: 06.3972.2159 Per ordinare il saggio: [email protected] Orario: Lunedi dalle 15:30 alle 19:30 da martedi a sabato dalle 10:15 alle 19:30 www.lintellettualedissidente.it fatti e la loro sequenza cronologica”. È necessaria, quindi, una presa di coscienza. Senza una rivoluzione culturale, non vinceremo, o meglio non sapremo mai di essere in uno stato di guerra permanente. tratto da “Il Potere” Una delle maggiori mancanze della società contemporanea è l’assenza di valori, un problema a cui si aggiungono vari deficit che, sommati uno ad uno, determinano l’attuale desolante panorama sociale, culturale, economico e politico. Eppure illustri filosofi, intellettuali e storici nelle loro opere scritte nel XX e XIX secolo ci avevano avvertito. Manifesto della decadenza è “Il tramonto dell'Occidente” (titolo profetico) di Oswald Spengler. Nonostante ciò continuano ad esserci, basta ben cercare, giovani validi, preparati e attenti alle logiche e alle dinamiche che regolano il nostro tempo. Credo Sebastiano e Lorenzo, che ho conosciuto inizialmente per la loro esperienza editoriale dell’Intellettuale Dissidente, rappresentino questa categoria di persone. Il progetto di Historica e di tutto il nostro gruppo editoriale è quello di pubblicare un catalogo eterogeneo, composto di varie voci ma unito da un comune progetto di qualità. Dopo aver letto qualche articolo dei due autori romani mi sono detto: questi ragazzi devono entrare a far parte della nostra squadra. Così, quando mi hanno proposto il loro saggio, dopo averlo letto, non ho potuto che acconsentire con grande piacere alla pubblicazione. Condivido gran parte delle tesi esposte nel libro (non tutte ma è il bello della diversità di opinioni) e soprattutto credo sia innegabile l’attenzione e il rigore documentativo de “Il Potere”. Credo, e Sebastiano e Lorenzo saranno d’accordo con me, che in Italia esistono molti giovani che, giorno dopo giorno, mattoncino dopo mattoncino, stanno costruendosi un proprio percorso con dedizione, sacrificio e tanta tenacia. Leggendo “Il Potere” non si direbbe gli autori siano poco più che ventenni, invece è così. I valori sono trasversali e non hanno età, Sebastiano e Lorenzo sono la dimostrazione più evidente. Francesco Giubilei, editore Dicembre 2013 9 Il mondo moderno e le sue contraddizioni Prefazione Il vecchio modello ci ha abbandonati, ripensiamo il nuovo a cura di Carlo Sibilia “S cappare è quello che molti giovani italiani sono stati costretti a fare. Sebastiano e Lorenzo invece si sono tuffati con coraggio nelle contraddizioni del loro paese, che poi sono quelle dell'intero mondo. E dal mondo, non si può scappare. Lo hanno fatto partendo da lontano. Dalle essenze. Dai punti fermi della grande storia. Aggiungendo dei dettagli non da poco che ci aiutano ad "unire i puntini" guidandoci anche tra fondamentali retroscena che delineano gli equilibri di potere odierni. Dunque partiamo dal "Potere" che, come storia del 900. Ma proprio per questo anche in un momento storico di cruciali opportunità. Si avete letto bene. Opportunità. È tempo di mettere in dubbio il sistema. La stessa società basata sul profitto va messa in discussione. Lo stesso profitto va ripensato. Il profitto giustifica tutto, ogni forma di potere. La criminalità organizzata, la vendita del proprio corpo, i sicari a cinque euro, il fatto di avere un governo non eletto dal popolo, ma creato a tavolino. Bisogna ripensare un nuovo modello. Bisogna ripensare l'altro modello. […]Probabilmente c'è un rischio del coraggioso gesto di liberarsi dei punti fermi. Il rischio è quello di fare la fine di Carlo Sibilia (27 anni) alcune indagini per certe stragi Ha conseguito la laurea triennale in italiane. Dove è vero tutto e il contrabiotecnologie presso l’Università degli rio di tutto. Studi di Perugia. Eletto nel maggio del Prima o poi, dunque, è necessario abbandonare le teorie e passare alla 2013 deputato del Movimento 5 Stelle, pratica. Quando si ha una visione, un disegno, un sogno non si riesce è diventato segretario della III sempre a delinearne i dettagli e Commissione Affari Esteri e definirne i contorni. Passare alla Comunitari. fase dell'azione permette di creare cultura ed esperienza tangibile. Dare concretezza e consistenza alla visione. diceva qualcuno, "logora chi non ce l'ha". Ma Allora ridestiamoci, guardiamoci intorno, quel qualcuno è morto e la gestione del potere cerchiamo chi altri insieme a Sebastiano e è decisamente cambiata. O sta cambiando ad Lorenzo si sta svegliando dal torpore. altissima velocità”. Magari scopriremo di non essere soli. Magari scopriremo che il vecchio modello ci ha già […]I tempi sono mutati, gli strumenti a nostra abbandonati, ma l'unico modo per lasciarlo disposizione sono mutati. Le fonti di energia alle spalle è quello di costruire, insieme, il sono mutate. Le fonti d’informazione sono nuovo. mutate. La cultura delle persone sta mutando. Siamo indubbiamente nel momento di crisi più Testo estratto dalla postfazione de “Il Potere” profonda e che coinvolge più settori della “L’Intellettuale Dissidente” di proprietà della Associazione Culturale “ControCultura” Direttore Sebastiano Caputo Caporedattore Lorenzo Vitelli Direzione e redazione centrale Roma, via Fratelli Ruspoli 4, 00198 Email [email protected] Corrispondenti dall’interno Pierpaolo Corsi Niccolò Maria de Vincenti Maria Paola Frajese Dario Stefano Lioi Renato F. Rallo Flaminia Camilletti Martina Turano Luca Barbirati Carlotta Correra Guido Rossi Luca Fattorosi Barnaba Antonino De Stefano Francesca Lanzillotta Ludovica Coletta Postfazione L’ideologia dell’imperfezione inemendabile a cura di Diego Fusaro codificata da Carl Schmitt. Con il capitalismo si assiste a una svolta iamo oggi abitatori della prima forma epocale nel modo di concepire e di praticare il sociale e politica che non si contrabpotere ed è questo l’orizzonte critico in cui si banda come perfetta, ma che fa inscrive il saggio di Sebastiano Caputo e apertamente vanto della propria Lorenzo Vitelli, una lucida quanto demistifiimperfezione. Nelle sue forme tradizionali, il cante opera di messa a nudo degli arcana potere tendeva sempre a presentarsi ideologiimperii dell’odierno ordine globalizzato. camente come perfetto, e dunque come tale A differenza dei precedenti regimi disciplinari da non dover essere trasformato, né, tanto del potere, il cosmo a morfologia capitalistica meno, sostituito da altre forme di potere non pretende di essere perfetto: sempliceeventualmente “perfezionate”. mente nega l’esistenza di alternative, convinCiò appare lampante non appena si consideri, cendo le menti dei suoi sudditi coatti non delle ad esempio, la forma del potere “assoluto” che proprie qualità, ma del proprio carattere fatale, ha accompagnato una parte decisiva intrascendibile e destinale. Di più, quello che dell’avventura storica dello Stato moderno: lo in altra sede ho qualificato come capitalismo Stato assoluto, in quanto superiorem non assoluto-totalitario professa apertamente la recognoscens (Bodin), si concepisce come propria imperfezione e, insieme, nega alla assoluto e perfetto o, se si preferisce, come radice la possibilità di perseguire la perfezioassolutamente perfetto. È ben più che una ne, ossia forme alternative di abitare lo spazio semplice metafora la definizione che, nel sociale che non siano quella dell’orizzonte Leviatano, Hobbes fornisce dello Stato come unico della forma merce e dell’alienazione che Deus mortalis, come “Dio in terra” (definizione essa produce su scala planetaria. che, come è noto, sarà assimilata dallo stesso Di qui il principale comandamento della Hegel). religione capitalistica, il monoteismo del mercato santificato da quella teologia della disuguaglianza Diego Fusaro (30 anni) sociale che è l’economia (scienza Diplomatosi al Liceo classico Vittorio dominante e, insieme, scienza del dominio): “non avrai altra società Alfieri di Torino, si è laureato in all’infuori di questa!”. Filosofia della Storia nel 2005 e, La dittatura dei mercati di cui successivamente, in Filosofia e Storia siamo sudditi si proclama retoricadelle Idee nel 2007 presso l’Università mente, in stile popperiano, una “società aperta”, che riconosce i degli Studi di Torino. Ha conseguito un propri limiti e le proprie imperfezioni, e, insieme, si configura come la dottorato di ricerca presso l’Universita società più chiusa dell’intera storia Vita-Salure San Raffaele di Milano in umana: essa, infatti, neutralizza la Filosofia della storia ed è ricercatore e possibilità di progettare società alternative tramite il duplice dispoprofessore presso la stessa. sitivo ideologico dell’assolutismo mistico della realtà e della automatica identificazione tra la critica radicale del In forza di quel processo di immanentizzaziocapitalismo e l’approvazione a posteriori dei ne radicale del trascendente con cui si identifitotalitarismi novecenteschi. ca il moderno, la perfezione divina viene proiettata nelle regioni terrestri della potenza Testo estratto dalla postfazione de “Il Potere” statale, nella forma della politische Theologie S Giovanni Pucci Francesco Chiarizia Andrea Chinappi Filippo Benincampi Emanuele Vincent Santi Cautela Ippolito Emanuele Pingitore Edoardo Arrigo Manfredi Zichichi Francesco Pietrella Gabriele Cruciata Damien Bondavalli Alessio Caschera Kirios Di Sante Roberto Saverio Caponera www.lintellettualedissidente.it Andrea Petolicchio Paolo Ciancimina Responsabile sito internet Carlo Di Gregori Stampa Seregni Roma S.r.l., V.le Ortolani 33-37 Dragona (RM) Per ricevere una copia o più copie a casa: [email protected] 10 Homines Il mito di Giovanna d’Arco nella storia europea Il contesto storico: la Guerra dei Cent’Anni N el 1337 iniziò la denominata Guerra dei Cent’Anni (in realtà il conflitto si protrasse 116 anni dato che si concluse nel 1453) tra Inghilterra e Francia causata da una complessa vicenda dinastica che portò il Re d’Inghilterra a rivendicare il trono di Francia. Ampie parti del territorio francese vennero occupate dagli inglesi e la stessa Parigi cadde sotto un regime di occupazione. Una svolta radicale al conflitto avvenne con la celebre Battaglia di Azincourt nel 1415, nella quale il Re d’Inghilterra, Enrico V inflisse una decisiva sconfitta militare ai francesi. Con il Trattato di Troyes, nel 1420, Enrico V e il Re di Francia, Carlo VI, si accordarono per unire le due corone tramite il matrimonio tra lo stesso Enrico V e la figlia di Carlo VI, Caterina di Valois. Questo Trattato portò alla esclusione dalla Corona del figlio di Carlo VI, il futuro Carlo VII. Questo fu certamente uno dei momenti più bui della storia francese da cui nacque, infatti, il tentativo di costruire un unico grande regno dominato dagli stessi inglesi. Il tentativo, tuttavia, venne messo subito in crisi dalla prematura morte di Enrico V e dello stesso Carlo VI nel 1422. La costruzione del mito Ancora oggi chi si avventura al villaggio lorenense di Domrémy può scoprire la casa natale di Giovanna d’Arco, nata in questa località il 6 gennaio 1412. Giovanna era figlia di contadini, certamente non agiati ma molto probabilmente neanche in condizioni di povertà. La Lorena, in quel momento, era teatro di guerra, posta come era sulla linea del fronte, dato che i borgognoni erano alleati degli inglesi, nella lotta contro i francesi. Fu qui, a Domrémy, nel 1428, a soli 16 anni, che la tradizione attribuisce a Giovanna una esperienza mistica. Giovanna d’Arco, secondo la propria ricostruzione, si vide attribuire, tramite l’intercessione di figure quali Santa Margherita, Santa Caterina d’Alessandria e l’Arcangelo Michele, la missione divina di liberare la Francia dalla dominazione inglese. Dopo complesse vicende, Giovanna d’Arco venne ricevuta da Carlo VII (il figlio di Carlo VI diseredato dal Trattato di Troyes del 1420): la Pulzella (come fu denominata da quel momento Giovanna d’Arco) convinse il Re a condividere i propri obiettivi militari e politici. Tali obiettivi sono: la liberazione della strategica città di Orleans dall’assedio inglese e la unzione di Carlo VII a Re di Francia nella Cattedrale di Reims. È credibile questo racconto? È possibile che una giovane contadina sia riuscita a convincere il Re di Francia, ma anche la Corte, della propria credibilità e bontà dei suoi propositi? La risposta non può essere univoca, ma è possibile ritenere che il personaggio sia stato, in un certo senso, costruito politicamente da persone influenti dell’entourage del Carlo VII: tra queste un ruolo chiave pare sia stato assolto dalla suocera del Re, Iolanda D’Aragona. Anche qui, inoltre, non bisogna sottovalutare il contesto e l’esperienza storica: solamente cinquant’anni prima, un’altra figura femminile, Santa Caterina da Siena aveva avuto un ruolo centrale nel ritorno dei papi dall’esilio avignonese nel 1377. A questi fattori politici e storici dobbiamo, inoltre, aggiungere la dimensione della Fede: è questa virtù teologale, capace realmente di “spostare le montagne” che anima Giovanna d’Arco. La Pulzella, ricevuto il mandato da Re Carlo VII, riesce, in poche settimane, a compiere la sua impresa: Orleans viene liberata dall’assedio inglese (8 maggio 1429) e Carlo VII unto Re nella Cattedrale di Reims (17 luglio 1429). L’intervento di Giovanna d’Arco nella Guerra dei Cent’Anni risulta decisivo: da quel momento gli inglesi inizieranno un lento ripiegamento che si concluderà con la loro definitiva espulsione dal territorio francese nel 1453, ad eccezione momentaneamente della città di Calais. Giovanna d’Arco, dopo altre imprese militari, tra le quali l’assedio di Parigi, viene catturata a Compiègne dai borgognoni nel novembre 1430 e successivamente consegnata agli inglesi. È significativo come gli inglesi abbiano intentato contro Giovanna d’Arco un processo affidato ad un tribunale ecclesiastico presieduto dal Vescovo di Beauvais, Pietro Cauchon. La Pulzella fu accusata di eresia, scisma, apostasia e stregoneria: sono accuse dalle quali Giovanna si difese con incredibile fermezza, abilità e padronanza delle questioni teologiche. Il processo si concluderà con la condanna a morte di Giovanna d’Arco e la sua messa al rogo il 30 maggio 1431 Rouen. Le conseguenze politiche La Guerra dei Cent’Anni può essere considerata, per certi aspetti, una vera e propria guerra europea. L’Inghilterra abbandonerà per sempre la dimensione terrestre della propria forza militare per concentrarsi nella costruzione di una grande potenza marittima e navale. Una sconfitta, quindi, che si è risolta storicamente nella nascita di un grande successo politico e militare. La Francia ha avuto in eredità dalla Guerra dei Cent’Anni la sua definitiva unificazione a livello politico: fenomeni autonomistici, come quello rappresentato dalla Borgogna, vengono definitivamente superati ed assorbiti. Dopo la Guerra dei Cent’Anni, la Francia si afferma come uno Stato fortemente centralizzato con il suo cuore nella città di Parigi. A noi abitanti del XXI secolo rimane il mito di Giovanna d’Arco (canonizzata da Papa Benedetto XV nel 1920) ad indicarci come un grande ideale, o una grande Fede, supportati da particolari condizioni storiche e politiche, possano sovvertire il mondo. a cura di Fabio Pizzino Dicembre 2013 Pier Paolo Pasolini: Profeta di un’era libera e beata, e se la gode, sempre.” Così Pasolini a questa vita sregolata e libertina, nichilista e dissoluta, edonista e consumatrice dell’individuo moderno – obbligato, per sua natura stessa, a dover godere(!) a dover consumare (!) – oppone tutta altra vita, una vita anti-borghese, anti-sviluppista: quella rurale e arcaica, materialmente povera ma ricca di spirito. Così il poeta di Casarsa guarda al passato e al presente, all’Italia rustica e agreste, a quella di borgata e di periferia. Tra le campagne della prima Italia Pasolini riconosce, ancora intatti, i valori tradizionali e anti-materialisti di un passato che lascia sull’individuo e sulla comunità un tenero velo di innocenza. La fede come primo Pasolini aveva già inquadrato l’uomo collante unitario, i valori della terra come alternativa e ultimo baluardo di moderno: consumatore, omologato, resistenza ai valori “moderni” del consumo, del profitto, dell’utile, laico, liberale, moderato, edonista, dell’interesse. tollerante, sradicato. La comunità prima dell’individualismo. Pasolini coglie con sottile intelligenza il motto libertario è “produrre e consumare”. passaggio, psicologico e sociale, che sta investendo la penisola da Nord a Sud, uno l’accesso diretto ed indiscriminato verso il scontro di civiltà e di mentalità. L’abbandono di nuovo paradigma dello Sviluppo: “produrre e un mondo per un altro: l’avvento ineluttabile consumare”. Perché ogni libertà democratica, della modernità, di ciò che Nietzsche, possiauna volta superato il buonismo imbellettato mo pensare, chiamava nichilismo. Sono della possibile emancipazione individuale, si scomparse le lucciole diceva Pasolini, ed riduce a questo. E se i sessantottini, nella loro epopea militante paradigma. E finalmente anche Pasolini lo e politica, incastonati nelle ideologie del abbiamo collettivamente ed inconsciamente tempo, si facevano ancora portatori di ideali e espiato. Ci siamo fatti perdonare. La sua di speranza, il risultato lasciato ai posteri – il critica al mondo moderno si è con disinteresse materialismo più meschino – è l’antitesi. sostituita ad una triste e redentoria green E la rivoluzione, così attuale, che compie economy, al consumo di prodotti biologici, “a Pasolini è un moto di ribellione conservatrice, impatto zero”, ad una scampagnata in campaè un percorso a ritroso nel tempo, che, sia gna, alla visita guidata – come fosse uno zoo – pure per una poetica nostalgia o una malincodel mondo contadino, e indichiamo con il dito nia sincera, oggi si rivela nella sua più viva quegli strani – e quasi in via di estinzione – intensità. Prima che nascesse, in questo animali con la zappa, che rimangono così secolo controverso, la nuovissima creatura saggi. dell’”uomo moderno”, Pasolini l’aveva già “Ho nostalgia della gente povera e vera che si inquadrato: consumatore, omologato, laico, batteva per abbattere quel padrone senza liberale, moderato, edonista, tollerante, diventare quel padrone.” sradicato. Sono tutti termini che ritroviamo negli Scritti corsari, una raccolta di articoli a cura di Lorenzo Vitelli pubblicati sul Corriere della Sera dal 1973 al 1975 e che assieme a Lettere luterane è uno dei testi fondanti della poetica pasoliniana. E questi stessi concetti li sentiamo già in Platone, quando nella Repubblica parla dell’uomo democratico: “vive alla giornata, soddisfacendo quell’appetito che urge al momento; ora si ubriaca e si diletta al suono del flauto, ora beve acqua e segue una cura dimagrante, ora compie esercizi ginnici, ora sta in ozio, incurante di tutto; ora sembra interessarsi di filosofia. Spesso partecipa alla vita politica e, saltando su, parla ed agisce a casaccio; e se mai intende emulare i guerrieri, si dedica con trasporto ad attività belliche; se vuole emulare gli uomini d’affari, diventa affarista. Nessun ordine e nessuna necessità presiedono alla sua vita; la chiama dolce vita, P erché Pasolini profeta? Profeta, forse, proprio perché faceva poesia, ed ogni poesia, in sé, è anche un messaggio ai posteri, una rivelazione, una visione. Ecco, Pasolini è un visionario. Ci sono quei letterati di cui si sente tutto il peso del tempo, o quelli che, come Nietzsche, nascono postumi. Pasolini nasce con il dono dell’attualità ed è, tutt’ora, attuale; lo è tanto più oggi di quanto non lo fosse ieri. La sua poesia si prolunga sino a noi del tutto vergine, con l’innocenza degli occhi di chi ha sempre visto oltre lo scontro dialettico di ideologie ed estremismi, oltre le fazioni create e strumentalizzate dal Nuovo Potere, la società in cui il www.lintellettualedissidente.it Società Dicembre 2013 Televisione 11 La volgarizzazione dell’arte nell’era dei media di massa: l’impossibilità del genio, il trionfo del talento $ Factor: il Talent show come ultima umiliazione dell’arte di Rfr statiche macchiette, flat characters. Si chiama Talent Show, ed è uno e dovessimo cercare una dei più mostruosi dispositivi biopolispeciale caratteristica tici di questi ultimi anni. che distingua la nostra E’ un format televisivo grazie al epoca, non saremmo quale in ogni casa arrivano forti e lontani dal vero se dicessimo che chiari i canoni che l’industria tale caratteristica è l’incapacità di culturale ha stabilito per ogni suo grandezza. Non c’è mai stata al scaffale, dal reparto dischi al banco mondo, crediamo, un’epoca così dei libri, fino ad arrivare all’angolo grama e meschina. Siamo incapaci gastronomia e alle frittate, pardon, di pensiero profondo, di emozione omelettes. intensa, di azione coordinatamente Il funzionamento è molto semplice superiore. Siamo gli artificiali e i e - nella sua follia - lineare: l’arte provinciali di noi stessi. Non si viene assolutizzata, immobilizzata, potrebbe descrivere meglio quel deportata in mezzo ad uno studio che sta accadendo negli animi e nel televisivo, e gli aspiranti artisti le si mondo che dandogli il nome di avvicinano a turno per vedere chi le provincializzazione dell’Europa.” somiglia di più, in un paradossale scambio di posizioni dove la critica Fernando Pessoa, Il libro del genio non segue più l’arte ma ontologicae della follia mente la precede. Sulle pareti, nel viene La banalizzazione dell’arte passa per frattempo, proiettato il solito la reificazione dell’emozione: l’uso circo emozionale: la coercitivo della tecnologia ci lacrima di chi sbaglia la dose di burro nella condanna alla dittatura torta; l’espressione dell’ipotalamo. schifata dello scrittore di successo Dove l’arte è ridotta a mero esercimentre strappa il romanzo di un zio riproduttivo di modelli calati concorrente; l’inquadratura stretta dall’alto. sulla disperazione del ragazzo che Dove l’ingegnerizzazione del viene eliminato dalla scuola di prodotto artistico richiede teatro. La banalizzazione dell’arte l’implementazione di macchine passa per la reificazione umane sempre più alienate, dell’emozione: l’uso coercitivo della sempre migliori nell’esecuzione, più tecnologia ci condanna alla dittatuprogrammabili, più settorializzate: ra dell’ipotalamo. “S Modernità C Ed è proprio nell’intimo del cervello che, oltre all’idea che l’unico modello di danza sia quello di Maria de Filippi e l’unico modo di cantare sia quello di X-Factor, si instilla anche la paura del fallimento. Trionfa chi si attiene meglio al compitino assegnato, chi viene incontro ai giudici, ai professori, al televoto, alla massa. Vince chi sacrifica la propria personalità s u l l ’ a l t a r e dell’omologazione. Da ciò segue la distruzione di ogni possibilità di ‘genio’: ogni tensione creativa viene incanalata sui binari del fruibile, dell’orecchiabile, del monetizzabile. L’arte non avanza, i parametri rimangono sostanzialmente immobili nella palude del commercio, salvo alcune variazioni formali intorno al trend della domanda. Il corto circuito è completo: la massa compra ciò che l’artista produce secondo i criteri dell’industria che plasma la massa. Oppure, per gli amanti della costituzione, “la sovranità artistica spetta al telespettatore, che la esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dal format.” La trascendenza è solo uno scomodo ricordo del passato. Come una tavola dove mangiare, un letto dove dormire, oggi anche l’arte è finalmente orizzontale. “Oggi, l’estendersi dell’educazione e la costante agitazione di problemi intellettuali producono, diciamo, dieci uomini di talento per ognuno che ve n’era anticamente; per cui concludiamo che siamo superiori. Ma per ogni cinque uomini di genio che v’erano un tempo, oggi non ne produciamo alcuno. E poichè dieci talenti non fanno un genio, un’epoca di molti talenti non è, nè vale, un’epoca di un solo genio.”(ibid.) Si sono ribaltati i canoni di bellezza di cui l’odierno metro di giudizio è la sola corporeità volta al consumo ome è cambiata l’estetica del corpo? Come si sono modificati il modo di concepire il piacere dell’osservazione del prodotto naturale ‘essere umano’ e la pura osservazione estetica? Negli ultimi anni questi concetti sono stati capovolti, rigirati, straziati. Anatomia e arte fin dall’antichità hanno formato un binomio vincente che a quanto pare oggi come oggi appartiene al passato, un passato che sembra sempre più lontano. Dalle proporzioni studiate dai canoni classici si è arrivati ai cartelloni pubblicitari di oggi. Non è da considerare solamente l’intento artistico nella questione La perversa estetica del corpo dell’estetica del corpo, perché in realtà è qualcosa di più. Ci riguarda tutti i giorni e sul fatto che un’ opera di Fidia o di Mirone e una campagna pubblicitaria con una modella anoressica non siano paragonabili non ci sono dubbi. Il confronto viene meno considerando che attualmente non vige alcun criterio estetico, ma puramente pubblicitario e consumistico. Tuttavia il collegamento è proprio ciò che i due tipi diversi di icone vogliono rappresentare: simboli di un ideale da raggiungere, da ammirare, in cui perdersi, con la differenza che nel primo caso ci si perde di fronte alla razionalità artistica e l’artificio che risulta così naturale nell’idea di bello, di proporzionato, di sano, mentre nel secondo caso ci si perde nel labirinto della modernità e dei suoi aspetti più tetri legati al consumo di cui si fa troppo spesso un valore. Dal quinto secolo a.C. con i già citati Fidia e Mirone si creano dei canoni non solo artistici ma quasi matematici, che avranno un posto d’onore fino al Neoclassicimo con Thorvaldsen e Canova fino a metà Ottocento, passando per Michelangelo e Leonardo nel XV e XVI secolo. Così come nei bronzi di Riace (anch’essi databili intorno al v secolo a.C., culmine della scultura classica) o nel Discobolo di Mirone l’anatomia umana è studiata nel dettaglio affinché sia rintracciabile un rapporto intimo tra l’arte come prodotto umano e la sua componente naturale. Il bello classico è un bello razionale, ed è attraverso la ragione e la geometria applicate all’arte che si ha allo stesso tempo un’icona di come l’uomo dovrebbe essere, e non solo ‘fisicamente’ parlando, in quanto il corpo nella sua dimensione materiale rappreAl modello consumistico sono senta comunque attraverso lo infatti legate icone di corpi quanto studio delle proporzioni le facoltà mai innaturali e artificiosi, che intellettuali dell’uomo. La compovengono posti come canoni di nente razionale è sempre più bellezza. difficile da trovare in quanto si Ci vengono presentati uomini confonde il criterio estetico e artistiartificiali, finti, bambolotti di plastica co con l’utile, con il raggiungimento e modelle con corpi da Terzo di obiettivi legati al mondo del Mondo. Si scambia il valore esteticonsumo e al di fuori di ogni logica co con il non-valore della ricchezza, se non a quella del mercato. proprio perché chi più è ricco più Oggi il valore genuino del corpo può consumare. viene raramente preso in considerazione, Il bello classico è un bello soprattutto dai giovani, razionale, ed è attraverso la sia dal punto di vista estetico sia da quello ragione e la geometria applicate salutare. Dal punto di vista all’arte che si ha allo stesso tempo estetico si può dire un’icona di come l’uomo dovrebbe che si presta attenzioessere. ne alla mera apparenza, fine a sé stessa, quella che da sola funziona da L’aspetto malato di questo sistema metro di giudizio. e il suo trovarsi al di fuori di ogni Dal punto di vista salutare il ‘vivere schema razionale è evidente nel in maniera sana’ è sostituito ad un paradosso per cui il modello di principio di autodistruzione del donna ideale è scheletrica, anoresproprio corpo, attraverso droghe, sica, malsana e lo stesso modello protesi di silicone, alcool e tabacche razionalmente porta ad un’idea chi. di miseria e povertà viene utilizzato Il capovolgimento del valore esteticome simbolo della ‘ricca e prospeco del corpo è da attribuire al ra’ quanto perversa civiltà occidenmondo consumistico, che si sostitutale, consumisticamente parlando. isce troppo frequentemente all’arte nella vita di tutti i giorni. di Antonino De Stefano www.lintellettualedissidente.it 12 Società Sociologia La società “liquida”è caratterizzata da esistenze frenetiche, effimere, incerte, spersonalizzate L ibertà. Non esiste concetto più potente nel nostro vocabolario. Quando si pronuncia questa parola non è più possibile discutere. Si vince. Perché la Libertà viene chiamata in causa come una legge universale, un testamento; si nasce liberi e bisogna morire liberi. Ed eccolo il Capitale, il Sistema, la sovrastruttura come la chiamerebbe Marx che approfitta della potenza di questo romanticissimo concetto e lo strumentalizza. L'individuo post-moderno è alla Letteratura Dicembre 2013 Liberi sì! Ma di consumare perenne ricerca di un'identità essendo divenuto “fluido” il contesto che lo circonda: la società liquida che il sociologo Bauman teorizza è una società che si modella artificialmente, che non ha più una struttura interna, che si adatta a nuove mode e tendenze. La libertà dell'uomo sta nel poter smettere ciò che è per diventare qualcun' altro; ma per raggiungere questo obiettivo ha necessariamente bisogno di oggetti che lo aiutino. L'ansia di “restare indietro” di cui l'uomo moderno soffre ha permes- so al Capitale di inventare piccoli rimedi fai-da-te in grado di soddisfare da una parte la sete di novità e dall'altra la paura di rimanere “fedeli” ad una moda, un accessorio, una tendenza. Gadget, diete, smartphone vanno a riempire quell'ansia di soddisfazione e gratificazione dell'uomo nuovo, quello che vive nel presente, in cui conta la velocità e la bravura nel fare e disfare, farsi e disfarsi, consumare e gettare via. I rapporti inter-personali vanno man mano indebolendosi a causa di un senso di competizione che aleggia sugli individui. La ricerca di un'unicità spinge l'uomo a trovare modi e strategie per essere migliore e la società puntualmente torna ad aiutarlo: consumare. Ma la corsa all'individualizzazione non è aperta a tutti; la “maratona” organizzata dal mercato dei consumi e alimentata dal terrore dell'individuo di essere raggiunto è una gara elitaria: per essere qualcuno nella società dei nessuno bisogna avere soldi, molti soldi. E allora due sono le categorie di uomini che la società dei consumi produce: buoni consumatori efficienti e spettatori esclusi dalla corsa all'individualizzazione. La nuova economia si presenta ci viene quotidianamente imposto; come un Dio buono e misericordiola pubblicità con i suoi messaggi, i so che si offre di soddisfare i nostri suoi slogan e le sue immagini desideri; ma il vero motore di realizza i nostri sogni. questa economia è la mancata Pensiamo alle ultime pubblicità soddisfazione di tali desideri. della Levis o degli smartphone in Come? Ogni oggetto di consumo cui il raggiungimento della libertà e offerto porta in sé una carica di della felicità,come della celebrità, insoddisfazione che il consumatore sta nel possedere quel prodotto. riconosce e che fa già pensare a Gli articoli pubblicizzati sembrano qualcos'altro da desiderare. Due «Che bestia bisogna adorare? Che sono le strategie immagine sacra aggredire? Quali i per creare questa insoddicuori che spezzerò? E che sfazione: svalumenzogna devo sostenere? – Dentro tare prodotti appena essi che sangue marciare?» vengono lanciati Arthur Rimbaud, Une saison en enfer e creare nuove necessità. L'economia consumista si basa sull'inganno e sull'ipocrisia:il poter realizzarci come singoli prodotto acquistato deve avere vita individui: le pubblicità dei profumi breve, non essere all'altezza delle nelle quali il protagonista vive delle aspettative, creare nuove speranesperienze che sono al di fuori della ze. E qui entra in gioco la libertà e la vita quotidiana stimolano l'istinto subdola maniera in cui viene dell'uomo pigro che si sfoga non utilizzato questo concetto. nello spingersi a compiere tali Dal momento che la libertà ci esperienze ma nell'acquistare il caratterizza come uomini, dal prodotto nella speranza di rivoluziomomento che fa parte di quelle nare la propria vita. categorie primordiali che ci apparEd ecco scoperto il paradosso: tengono, in una società in cui il liberi di acquistare un prodotto che consumo ci caratterizza come ci illude di renderci unici essendo cittadini dobbiamo essere liberi di comunque acquistabile da tutti. consumare liberamente. Ma come bisogna essere liberi o di Andrea Chinappi cosa bisogna fare per essere liberi È lo stesso Pasolini ad indicarci la sua chiave di lettura: l’ideologia e la passione La rassegnazione di Pier Paolo Pasolini ne Le ceneri di Gramsci di Luca Barbirati L’ opera “Le ceneri di Gramsci” è stata pubblicata per la prima volta nel 1957 e raccoglie undici poemetti, tutti già editi in rivista nella prima metà degli anni '50. Ad una prima lettura emerge netto il carattere “civile” dei versi pasoliniani, dati alle stampe in un momento particolare della storia del partito comunista, sostenitore dell'invasione dell'Ungheria da parte dell'Urss!; tuttavia non si possono disconoscere le precedenti poesie friulane dove Pasolini - pressapoco ventenne - manifesta già il suo attaccamento estetico e religioso per l'ambiente popolare sin dalla prima pagina: Fontana d'acqua del mio paese./ Non c'è acqua più fresca che nel mio paese./ Fontana di rustico amore. Questo testo è fondamentale per avvicinarsi alla poesia del secondo Novecento e, per comprenderlo fino in fondo, è necessaria la lettura con una doppia lente, che è lo stesso Pasolini ad indicarci, pur implicitamente: l'ideologia e la passione. Nella prima parte del poemetto omonimo al libro, l'Autore si rivolge al giovane Antonio Gramsci (1891-1937), ormai seppellito nel Cimitero degli Inglesi a Roma, con l'espressione “Tu giovane” tesa ad indicare la sua purezza di vita e di pensiero, in contrasto con quanti lo ricordano da morto solo laicamente e con ipocrita formalità. Pasolini si sente morire nella morte di Gramsci in quanto vede il tradimento dei superstiti, il mancato passaggio del testimone, l'indifferenza e la perdita dell'originaria passione. La scissione che Pasolini vede manifestarsi nella cultura italiana ed in particolare in quella comunista, la ritrova dentro di sé: borghese ma amante del proletariato, ben vestito ma abitante di strade sudicie e polverose (con te nel cuore,/ in luce, contro te nelle buie viscere). Pasolini si sente vicino al popolo indigente non per “coscienza” o per “lotta” bensì per la sua “allegria” e la sua “natura”. Quello di Pasolini è un astratto amore. L'immedesimazione col ceto rurale, con cui condivide la speranza e la sofferenza quotidiana, è solamente intellettuale e lo stesso pensiero che porta Pasolini ad una condizione francescana d'elogio della sobrietà, lo schiaccia immancabilmente nella sua contraddizione: Ma nella desolante/ mia condizione di diseredato,/ io possiedo: ed è il più esaltante/ dei possessi borghesi, lo stato/ più assoluto. Ma come io possiedo la storia,/ essa mi possiede; ne sono illuminato:/ ma a che serve la luce?. Nella parte conclusiva Pasolini si congeda (Me ne vado, ti lascio nella sera). La frattura esistenziale è irriducibile, lo stato di angoscia lo attanaglia nel comprendere che la vita del popolo non è più quella vita pagano-naturalistica del tempo preindustriale; ora sembra più una sopravvivenza dell'operare quotidiano. Ma se il popolo, ansioso di benessere, vive questo abbruttimento con acquiescenza ed una sorta di innocente compiacenza, accettando miserabilmente il destino www.lintellettualedissidente.it occidentale, Pasolini no! Scisso al suo interno, estraniato dalla società, si rende spettatore del più grande suicidio collettivo: la perdita della dignità umana: Ma io, con il cuore cosciente/ di chi soltanto nella storia ha vita,/ potrò mai più con pura passione operare,/ se so che la nostra storia è finita?. Filosofia Dicembre 2013 Topos 13 Tutta la storia del pensiero Occidentale ha fatto riferimento a questi due termini per interpretare l’evoluzione della società Tempo e divenire: l’età dell’oro da Esiodo a Gian Battista Vico di Martina Turano felice passato mitico e primitivo, nostalgicamente rievocato; ma Saturnia Regna Virgiliani, l’ corrisponde anche al futuro, al El Dorado di Voltaire, la ritorno della condizione aurea alla Bengodi Boccacciana, conclusione di ogni ciclo, vaticinato sono figli di diverse epoche, che in un clima di attesa quasi messiapure fanno riferimento al mito dell’ nica, da Virgilio, nella IV ecloga aurea aetas, la cui prima rappredelle Bucoliche: “E’ giunta l’ultima sentazione letteraria è contenuta epoca dell’oracolo di Cuma, nasce ne Le Opere e i Giorni di Esiodo. di nuovo il grande ordine dei secoli (…) ritornano i regni di Saturno, già una In età più tarda, la singola età aurea nuova stirpe scende dall’alto del cielo”. In ha costituito modello filosofico e età più tarda, la letterario per filosofi come Bacone, singola età aurea ha Campanella, Moro; i rispettivi autori costituito modello filosofico e letterario de La Nuova Atlantide, La città del per filosofi come Bacone, Campanelsole, L’Utopia. la, Moro; i rispettivi autori de La Nuova Non turbata da necessità, guerre, Atlantide, La città del sole, L’Utopia, pericoli della navigazione, una sviluppano l’idea di una organizzastirpe di uomini mortali vive sotto il zione sociale e statale ideale. regno di Saturno in armonia con L’unione tra mito e utopia non è Dei e Natura. L’età aurea è seguita certo invenzione moderna: già da quattro età che si avvicendano Platone aveva teorizzato ne La ciclicamente, determinando il corso Repubblica, le caratteristiche della della storia. Nell’età dell’argento, società ideale, sulla base del mito del bronzo, degli eroi, gli uomini dell’età aurea. Il tempo è definito sopraffatti da odio e guerre, sono invece nel Timeo come “immagine sterminati da Zeus; nell’età del mobile dell’eternità” determinata ferro, l’ultima, l’uomo è causa della però dal perpetuo succedersi non sua stessa rovina. E’ questa una più di cinque, ma di tre età. Il concezione della storia che risale ai passaggio dalla concezione arcaica popoli pagani antichi e che prevede di tempo ciclico, a quella moderna la progressiva degenerazione di di tempo lineare, è determinata ideali condizioni iniziali: l’età dall’influsso di Cristianesimo ed dell’oro corrisponde al comune e Ebraismo: non già determinata da I Modernità S corsi e ricorsi storici, la storia dell’uomo, a partire dalla creazione, è orientata in direzione dell’Apocalisse, preannunciata nel Nuovo Testamento. Non mancano influenze in senso contrario: l’età dell’oro pagana di certo ha influito molto nella rappresentazione del giardino dell’Eden, luogo della creazione degli esseri viventi, collocata nel libro della Genesi. Le concezioni opposte di linearità e ciclicità del tempo e dunque della storia, sono oggetto, nel XVII secolo, di uno straordinario tentativo di pacificazione: il filosofo Gian Battista Vico, ne La Nuova Scienza, riprende la teoria arcaica e pagana della ciclicità del tempo interpretando la storia come successione di corsi e ricorsi che caratterizzano il succedersi delle tre età - pur riconnettendo l’origine di tale teoria non a Platone quanto agli Egiziani. Egli introduce però un correttivo a questa sorta di anaciclosi pagana: la Provvidenza. Rifiutando l’azione di caso e fato, l’ordine provvidenziale che corrisponde a disegni divini, indirizza la coscienza umana, senza però determinarne necessariamente l’azione: sono garantiti ordine e libertà. In virtù di quest’ultima, molti popoli si sottraggono alla legge temporale del divenire, conservando la barbarie originaria; rappresentano così isole primitive circondate da tutte quelle nazioni che presto o tardi, torneranno sui passi della propria evoluzione, per poi nuovamente progredire. Vico dunque è rivoluzionario non solo in quanto si affranca dalle direttrici del pensiero cristiano, ma anche per la sostanziale revisione del pessimismo del pensiero pagano ed in particolar modo, greco: per Vico ogni ciclo non si conclude con lo scadimento di perfette condizioni iniziali, quanto con il progresso e il superamento della barbarie iniziale. Definito “genio isolato” rispetto al suo tempo, considerato precursore del Positivismo, a ragione è possibile affermare che rispetto alla definizione Gramsciana “pessimismo della ragione e ottimismo della volontà”, Vico possedeva anche l’ottimismo della ragione. Attualizzare un pensiero per recuperare un fine, quello della felicità comune, appannato, nella società dell’individualismo ono passati secoli dal 1764. Eppure i mali che appartenevano ad un'epoca remota si sono riversati o non sono mai stati estirpati, perfino in un società che si definisce moderna. La pena di morte non è scomparsa, i metodi di tortura sono all'ordine del giorno , il sistema giuridico è estremamente complesso e lacunoso, i giudizi sono eterni e l'infelicità regna sovrana . Questo è lo scenario della società da cui Cesaria Beccaria partì per la realizzazione dell'opera Dei Delitti Beccaria e la felicità perduta e delle Pene ed indubbiamente tale manoscritto appare come uno specchio nel quale si riflette la società odierna. Perciò, sebbene l'attualizzazione di un'opera, nel più dei casi, sia un'operazione estremamente artificiosa e talvolta innaturale, stavolta è un gesto doveroso. Troppo spesso, per pigrizia intellettuale e per superficialità, l'opera del Beccaria è stata ridotta unicamente ad un classico del garantismo penale. L'attenzione è stata focalizzata sulla condanna alla pena di morte e all'uso di torture, senza considerare che essa è un'opera di battaglia politica, attraverso la quale si svolge un'analisi ed una critica più ampia della società, nella sua concreta ed attuale organizzazione. In tale situazione caotica e disastrosa, come sostiene il Beccaria, ci si appella al diritto, come fosse un pharmakon infallibile. Il diritto deve condurci verso la felicità comune, intesa come la realizzazione degli interessi assoluti e generali dell'uomo e tale felicità è strettamente correlata all'eguaglianza tra i cittadini. Ma insito alla società stessa vi è un paradosso evidente: si professa un'uguaglianza formale erga omnes in una società non ugualitaria. E ciò non fa altro che evidenziare ancor di più le disuguaglianze, in quanto la legge, “eguale per non eguali”, è utilizzata da pochi privilegiati e si abbatte duramente sui poveri che commettono i delitti “ della miseria e della disperazione”. Dunque l'uomo, fin dal principio ha rinunziato ad una piccola parte della propria libertà originaria, per rimetterla al sovrano, non di certo come dono gratuito, ma in cambio della “massima felicità divisa nel maggior numero possibile”. Ma Beccaria intravede nella società del suo tempo solo una massa di bestiame, cavalli, fagiani, cani, ossia di uomini ridotti allo stato di animali e per egli non c'è libertà “ ogni qual volta le leggi permettano che in alcuni eventi l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa”. La legge affinché svolga il compito per cui è stata emanata, deve essere estremamente chiara, semplice ed accessibile a tutti poiché “quanto maggiore sarà il numero di quelli che intenderanno e avranno fra le mani il sacro codice delle leggi, tanto meno frequenti saranno i delitti”. La pena, che necessariamente deve essere proporzionale al delitto, è dunque legittimata dalla priorità di difendere il benessere pubblico ed essa ritrova il suo fine ultimo nella impossibilità che il reo possa commettere nuovi reati. Tutte le leggi che si discostano da ciò non sono giustizia, ma tirannia. Ma ieri, come oggi, solo l'interesse personale, l'avidità e l'inerzia del popolo sembrano governare la società, poiché quest'ultima non rivolgendo lo sguardo verso un benessere generale, da ripartire per ogni classe sociale, ha dimenticato di essere universale. In una società costruita su pensieri, passioni, necessità differenti come poter individuare una linea comune? La risposta del Beccaria è insita sempre nella legge, la quale è necessario che comandi e giudichi questo caos. Sulla scia di tale pensiero la coercizione è la via per la realizzazione della libertà. Ed essa non deve essere esercitata dalla moltitudine, che ignorante ed in preda allo spavento per la crisi, condurrebbe inevitabilmente all'errore, poiché “la strada del cuore è comunemente aperta, ma la strada del raziocinio non già”. Dunque, nell'abisso ombroso, in cui si muoveva la società della seconda metà del Settecento e in cui si ritrova tutt'ora la società odierna, la legge deve imporsi sovrana ed www.lintellettualedissidente.it autoritaria per ristabilire l'ordine e per impedire che le piccole nobiltà continuino a soddisfare esclusivamente i propri piaceri. In tale contesto critico Beccaria sostiene che è necessario il despotismo di uno, sostenuto e guidato dai filosofi per far sì che “i lumi accompagnino verso la libertà”. Despotismo visto in un'accezione positiva, illuminata inteso come “le opere d'un uomo che agisca da sé e che posso essere un tutt'insieme”, poiché così come affermava Machiavelli “Gli assai uomini sono più atti a conservare un ordine buono che a saperlo per loro medesimi ritrovare”. In quest'analisi, condivisibile o meno, il messaggio di Beccaria risuona salvifico anche per i nostri tempi: svegliamoci da questa anestesia della mente e del corpo, decidiamo ed agiamo, guidati dalla ragione e dalla speranza per una giustizia rigorosa, laica e non arbitraria, per vivere da cittadini coscienti e concretamente uguali dinanzi alla legge e per godere di quella felicità comune, che nel panorama moderno appare ad i nostri occhi, solo come un'irrealizzabile utopia. di Carlotta Maria Correra 14 Storia Ottocento U Dicembre 2013 Le tensioni tra l’Inghilterra e la Russia nella corsa all’oro sul territorio asiatico na mattina di giugno del 1842, due prigionieri avanzano verso il patibolo della piazza centrale di Bukara, un piccolo emirato sconosciuto d’Asia Centrale perso nelle steppe senza tempo. Per gli abitanti di questa città dalle imponenti mura di fango, vedere due condannati a morte non è inusuale: l’emiro regnante è noto per la sua feroce brutalità. C’è però qualcosa di curioso in quei due personaggi: non sono i soliti briganti o i soliti adulteri, bensì due europei d’origine britannica. Sono il colonnello Charles Stoddart e il capitano Arthur Conolly, ufficiali dell’esercito britannico condannati all’impiccagione per spionaggio. Sotto un sole cuocente di mezzogiorno, i due affrontano la morte in Il Grande Gioco Kipling a renderla popolare con il suo libro “Kim”. Stoddart e Conolly non furono né i primi negli ultimi attori dell’incredibile intreccio di avventurieri, diplomatici, tagliagole e guerrieri che attraversarono tutta l’Asia Centrale per istituire il loro controllo sulla regione. I contendenti di questa regione erano due grandi potenze, la Gran Bretagna e la Russia. Da una parte, la Russia degli zar era ansiosa di annettere alla corona imperiale un gioiello scintillante: l’India e i suoi tesori. Per arrivare però all’India, gli zar dovevano esplorare, conquistare e fare strada in un territorio ostile, popolato da tribù nomadi e mitici khanati musulmani esplorati tempi orsono anche da Marco Polo. Dall’altra parte, i britannici avevano paura di una possibile discesa russa in territorio indiano: la Compagnia “Ora noi andremo sempre più a delle Indie Orientali era abituata a guerreggiare Nord, per giocare al Grande con piccoli eserciti Gioco” primitivi, non con truppe Rudyard Kipling, Kim, 1901 europee addestrate e moderne; per questo motivo gli inglesi dovevano sbarraun luogo distante sei mila cinquere la strada ai russi in qualsiasi cento kilometri da casa loro, colpemodo. Seppur ci fosse una rivalità voli d’aver voluto giocare un gioco tra queste due potenze per il pericoloso: il “Grande Gioco” come controllo della regione, non vi fu lo chiamarono coloro che rischiaromai uno scontro diretto tra armate no la vita prendendovi parte. Ironia russe e britanniche né una dichiaradella sorte, fu proprio il capitano zione di guerra. Infatti, molti storici Conolly a lanciare l’espressione, considerano il Grande Gioco come anche se poi fu lo scrittore Rudyard l’antenato diretto (anche se più ristretto) della Guerra Fredda: la guerra è combattuta con tutti i mezzi a disposizione tranne che con gli eserciti. L’ossessione russa per le Indie Britanniche cominciò con la zarina Caterina e suo figlio Paolo. I britannici all’epoca non se ne preoccuparono più di tanto: la distanza che separava l’Impero russo dall’India britannica era immensa. Le cose però cambiarono con l’avvento di Napoleone Bonaparte. Quando i francesi a partire dal 1801 cominciarono a inviare missioni diplomatiche fino alla corte degli Shah di Persia, divenne chiaro per i britannici che l’India era in pericolo. Quando Napoleone riuscì, dopo aver sottomesso Austria e Polonia, a battere i russi nella battaglia di Friedland, le cose si fecero pericolose per l’India britannica. Napoleone si alleò con lo zar russo dopo averlo sottomesso, e gli promise “l’altra metà del mondo”, di cui faceva parte l’India britannica. Napoleone come sappiamo bene non ebbe il successo sperato, ma persino dopo Waterloo, tutti gli zar russi non riuscirono a levarsi di mente l’idea della conquista delle Indie Orientali britanniche. È cosi che poco a poco le divisioni di cosacchi russi, questi leggendari quanto formidabili guerrieri a cavallo, cominciarono a valicare le montagne e i deserti di questo immenso e sconosciuto territorio. Conquistarono i khanati di Khiva, di politica di controllo della regione, Bukara (attuale Turkmenistan), del che finì con la rivoluzione russa del Kokand, fino alle porte 1917. Un generale russo dell’epoca dell’Afghanistan. qualificò questa “guerra indiretta” I britannici invece annessero dopo come “un torneo di ombre”. varie guerre parte dell’Afghanistan. Ecco cosa fu il Grande Gioco, una Questa rivalità però non può essere guerra di ombre combattuta ridotta a meri avanzamenti militari: nell’oscurità. Una storia apparentetutt’intorno, girava un immenso mente senza fine che ancora oggi sistema di spionaggio, di ricerca geografica, di ricerca L’ossessione russa per le Indie scientifica, di Britanniche cominciò con la zarina diplomazia e quindi di avventura. MissioCaterina e suo figlio Paolo. ni diplomatiche I britannici all’epoca non se ne enormi e ricche di preoccuparono più di tanto: la regali preziosi, come quella di Sir Malcolm distanza che separava l’Impero verso gli Shah di russo dall’India britannica era Persia che sembrava “più grande di un immensa. Le cose però reggimento e più cambiarono con l’avvento di ricca di una corte Napoleone Bonaparte. principesca”; esploratori temerari come Pottinger che, travestiti da monaci buddisti svolsetrascina nei suoi aspetti più crudi ro il compito di cartografare la guerrieri, giornalisti e avventurieri di regione ancora sconosciuta; spie ogni sorta. Le “zone grigie”, le intraprendenti come il giovanissimo odierne no man’s land afghane Carl Gustaf Emil Mannerheim dominate dalla paura, dall’oblio, (futuro presidente finlandese dall’oppio e dalla guerra, hanno nonché eroe nazionale rimpiazzato le “zone bianche” dell’indipendenza), che indossando dell’epoca, i “buchi” negli atlanti ancora la divisa da ufficiale russo, della Royal Geographical Society riuscì a visitare “Lhasa la proibita”, inglese. capitale del Tibet, e incontrare il Dalai Lama per conto dello zar… di Roberto Caponera Tutto questo fece parte della Novecento Un rapporto epistolare che testimonierebbe di nuove dinamiche diplomatiche durante la seconda guerra mondiale C Il carteggio perduto tra Churchill e Mussolini he il Primo Ministro Inglenelle mani dell’intelligence di Sua se Sir Wiston Churchill Maestà che impiegò nella sua nutrisse una certa ammiricerca non pochi sforzi. A tal proporazione per Benito Mussosito vale la pena riportare quanto lini è cosa certa. Infatti in una sosteneva lo Storico Renzo de occasione dopo un incontro ebbe Felice: «La documentazione in mio modo di dire: “Non potrei non possesso porta tutta ad una conclurimanere affascinato, come tante sione: Benito Mussolini fu ucciso da altre persone, dal cortese e sempliun gruppo di partigiani milanesi su ce portamento. sollecitazione dei servizi segreti Se fossi stato italiano, sono sicuro che sarei stato intera“Caro Benito, ti scrivo”…”Caro mente con lui dal Wiston, rispondo con piacere alla principio alla fine della sua vittoriosa tua ultima dello scorso mese con il battaglia contro i quale mi chiedi di intervenire…” bestiali appetiti e le passioni del leninismo. ”Così come cosa certa è l’esistenza di una fitta corrisponinglesi. C'era un interesse a far sì denza tra i due statisti alla vigilia e che il capo del fascismo non all’inizio del secondo conflitto arrivasse mai ad un processo. Ci fu mondiale. Si sa per esempio che il suggerimento inglese: "fatelo Mussolini ne fece dattiloscrivere tre fuori!", mentre le clausole dell'armicopie, e che gli originali erano stizio stabilivano la consegna. Per sempre con lui, nella famosa gli inglesi era molto meglio se valigetta scomparsa, che lo accomMussolini fosse morto. In gioco pagnò fino alla fine dei suoi giorni. c'era l'interesse nazionale legato A quelle carte il Duce attribuiva alle esplosive compromissioni somma importanza, e su cui contenute nel carteggio che il confidava per poter giungere, in premier britannico Churchill avrebpieno 1945, ad una pace onorevobe scambiato con Mussolini prima e le. Altra cosa certa è che terminata durante la guerra». la guerra, il carteggio scomparve Ma cosa poteva contenere di tanto nel nulla. Distrutto forse, o finito importante, questo carteggio? La tesi più accreditata è quella che sostiene che il suo contenuto non fosse altro che l’esplicita richiesta fatta dal Primo Ministro Inglese a far entrare in guerra l’Italia. Questa tesi ammette la possibilità che Churchill possa avere, all’ultimo momento, considerata l’imminente capitolazione dell’Inghilterra, invitato l’Italia a scendere in guerra, sia pure come nemica, per poter usufruire di un suo ruolo da moderatore, nei confronti dei tedeschi, al tavolo di una pace che si pensava imminente. Ma fu veramente questo il vero obiettivo di Sir Wiston? Non bisogna essere arguti strateghi per capire che siamo lontani dalla verità. L’occulta e spregiudicata strategia di Churchill era semplicemente finalizzata ad allargare e complicare il conflitto visto che era da considerarsi logica ed imminente l’entrata in guerra dell’Italia a fianco del suo alleato tedesco... Era quindi questa, per il britannico, una strategia logica, e neppure troppo complicata visto che era evidente la sua impellente necessità sia di allargare il conflitto e sia di renderlo irreversibile, proprio per evitare che, all’interno della nazione e sotto l’onda delle sconfitte subite in quel periodo, prendessero corpo e forma quelle forze che potevano operare verso una pace o comunque una soluzione di compromesso con la Germania. Nessuna tregua era pensabile e voluta e nessuna moderazione italiana veramente richiesta. Donna Rachele, scrisse nel 1979, la seguente testimonianza: «So, perché me lo disse più volte, che il Duce tenne una corrispondenza www.lintellettualedissidente.it segreta con Churchill prima e durante la guerra. Ricordo anche che un giorno, verso il 1943, mi assicurò che avrebbe atteso a piè fermo l’arrivo degli Alleati qualora fossero stati vincitori. Mi disse: ‘Ho abbastanza documenti per provare che hanno spinto l’Italia ad entrare in guerra. Anche quando è cominciata ho cercato di salvare la pace. Ho le prove: nero su bianco’». di Francesco Chiarizia de Molise Dicembre 2013 15 Il canto dello sport Storia Una squadra che non scende a compromessi con il calcio moderno, che si mantiene intatta di fronte alle ingerenze del dio denaro I pionieri del calcio: la storia senza tempo dello Sheffield FC di Francesco Pietrella O ggi il calcio fa inevitabilmente parte della nostra esistenza. Che ci piaccia o no, ne siamo circondati. Televisioni, giornali, internet. E’ un fenomeno mediatico senza precedenti. Ma il problema è un altro: dove nasce questo sport? Chi l’ha inventato? Chi ha ideato le regole che vengono utilizzate ancora oggi? Scopriamolo. Siamo a Sheffield, agglomerato urbano situato nel cuore del South Yorkshire, una contea dell’Inghilterra. E’ una città industriale, salita alla ribalta nella seconda metà dell’Ottocento grazie alla produzio- Mondiali di calcio ne dell’acciaio e al ruolo egemone svolto durante la Rivoluzione industriale. Oltre ad essere la città natale dell’estremo difensore Gordon Banks e degli Human League è anche la sede di quattro squadre inglesi: lo Sheffield United, lo Sheffield Wednesday, l’Hallam FC ed infine lo Sheffield FC, il club più antico del mondo. The World’s first Football Club. E’ il 24 Ottobre 1857. Il Regno d’Italia ancora non esiste, Napoleone è ormai un lontano ricordo e, mentre i neonati Stati Uniti d’America si apprestano a costruire il proprio Stato sulle ali del motto ‘e pluribus unum‘, due giocatori di cricket, William Prest e Nathaniel Creswick, fondano lo Sheffield Football Club. E’ l’inizio di una storia che dura ancora oggi nonostante siano passati 156 primavere. Nello stesso anno fu creato lo ‘Sheffield Rules’, un libro dove vennero istituite le prime regole del gioco del calcio: calci d’angolo, rimesse laterali, rimesse dal fondo, la durata dei tempi di gioco, l’offside, l’introduzione della traversa, i tempi supplementari, l’obbligo di non usare le mani e ovviamente l’inserimento in campo di una figura che garantisse l’ordine e la correttezza reciproca: l’arbitro. Inizialmente, poiché non c’erano altre squadre con cui confrontarsi, le partite venivano giocate tra i giocatori della stessa squadra finché nel 1860, sempre nella Richard Tims ha dovuto mettere cittadina di Sheffield, venne fondata all’asta uno dei suoi beni più prezioun’altra società, l’Hallam FC, contro si, lo ‘Sheffield Rules’ di cui la quale i ‘Maroons’ disputarono la parlavamo prima, per 880.000 prima partita della storia del calcio, sterline. Soldi, ingenti capitali, al Sandygate Road (lo stadio più sponsorizzazioni. Niente di tutto ciò antico del mondo e di proprietà fa parte dell’anacronistica filosofia dell’Hallam). Tre anni dopo nacque dello Sheffield FC. la moderna Football Association, la Il calcio moderno non ha ancora prima federazione calcistica inglese intaccato il prato verde del Coach ed europea. Verso la fine and Horses Ground, il quale dal dell’Ottocento vennero fondate Il Regno d’Italia ancora non esiste, altre compagini Napoleone è ormai un lontano ricordo come l’Aston Villa e il Notts e, mentre i neonati Stati Uniti d’America County e i granata dello si apprestano a costruire il proprio Stato Sheffield, non sulle ali del motto ‘e pluribus unum‘, due potendo compegiocatori di cricket, William Prest e tere sia economicamente che Nathaniel Creswick, fondano lo tecnicamente Sheffield Football Club. con le suddette società suggerirono alla Football Association di 1857 porta avanti valori importanti creare un torneo per sole squadre come la passione, la dedizione, il dilettanti e fu cosi che nel 1893 fine ultimo del gioco del calcio venne inaugurata la FA Amateur come puro divertimento. Oggi il Cup. Ad oggi, esso risulta l’unico club milita nella Northern Premier trofeo vinto dalla società, conquiLeague Division One South, stato nel 1904 grazie ad una vittoria l’ottava divisione del calcio inglese. sull’Ealing. Nel 2004 il club è stato Possiamo imparare molto dalla insignito del FIFA Order of Merit, il storia di questa società, nata prima più alto riconoscimento assegnato di tutte le altre ma rimasta dalla FIFA. Soltanto il più blasonato nell’ombra non tanto per incapacità Real Madrid può vantare finanziarie quanto per seguire i un’onorificenza simile. Nel 2011 la dogmi della filosofia calcistica da società ha rischiato addirittura il loro stessi fondata e portata avanti. fallimento tant’è che il presidente L’Emirato sta progettando infrastrutture faraoniche quanto superflue per la competizione sportiva Qatar 2022: i costi umani dello sviluppismo capitalistico di Sebastiano Caputo mente le conseguenze nefaste dello “sviluppismo capitalistico” in n emirato fondato nel una penisola, quella arabica, che 1971 da un gruppo di per usi e costumi è diametralmente beduini, trasformatosi in opposta all’Occidente nella sua una monarchia assoluta accezione negativa e moderna. retta da una famiglia – gli al Thani – Isole artefatte, grattacieli e centri che regna per diritto divino, meno di commerciali che si ergono accanto due milioni di anime, una religione alle Moschee, i templi hanno di Stato, l’Islam di natura wahabita rimpiazzato il Tempio, donne intera(fondamentalismo coranico), mente velate che passeggiano, un’emittente televisiva, Al Jazeera. silenziose, in un contesto che è tutto fuorché arabeggiante, dominato sceicchi, Nei cantieri qatarioti morirebbero 12 dagli uomini-ritratto di un lavoratori a settimana e dall’inizio Paese lussurioso, materialista e delle operazioni ne sarebbero già E ancora morti 600 e stando alle previsioni, se vizioso. ristoranti multi-etnici, non s’interviene, alla fine le vittime il Souq Waqif, il vecchio mercato che saranno 4mila. di vecchio in realtà non ha nulla perché Il Qatar è un Paese artificiale, ristrutturato, ricolorato, arredato, senza una storia e un’identità, che come se fosse un set cinematogranonostante la sua microscopica fico. Ed infine una classe comprasuperficie è riuscito negli ultimi anni dora e apolide in contrasto con un a ritagliarsi un ruolo da protagoniesercito di lavoratori-schiavi provesta sul piano diplomatico ed econonienti da Oriente, giovani migranti mico tanto da conquistare una venuti in massa per sostenere gli medaglia dall’establishment ecomostri architettonici che il occidentale: l’organizzazione dei governo di Doha sta progettando, mondiali di calcio del 2022. tra questi, i tanti impianti per la Cane da guardia degli Stati Uniti, il competizione sportiva più imporPaese del Golfo riflette perfettatante del mondo. U Il Qatar, Paese più ricco al mondo per reddito pro capite, spenderà a questo scopo l’equivalente di 62 miliardi di sterline (circa 73 miliardi di euro). Denaro fittizio – creato dal nulla o dalle sole concessioni petrolifere – da immettere in un progetto faraonico, spettacolare quanto effimero, perché diventerà superfluo il giorno dopo la fine dei mondiali. Poco importa. A Doha e dintorni si respira già un clima d’isterismo di massa. Attualmente i lavoratori impiegati per l’organizzazione sono 1 milione e 200mila, provenienti in gran parte dal Nepal, dall’India e dallo Sri Lanka, e si prevede che un altro milione raggiungerà l’Emirato per completare stadi, hotel e infrastrutture destinate all’evento. È risaputo da anni che in Qatar non esistono leggi a tutela dei diritti dei lavoratori, non è un caso infatti che l’emirato avrebbe già le mani sporche di sangue. Secondo alcuni studi del sindacato Ituc (International Trade Union Confederation) ripresi in un recente www.lintellettualedissidente.it articolo del giornale inglese The Guardian, nei cantieri qatarioti morirebbero 12 lavoratori a settimana e dall’inizio delle operazioni ne sarebbero già morti 600 e stando alle previsioni, se non s’interviene, alla fine le vittime saranno 4mila. 16 Carte Fondamentali Dicembre 2013 Fiume Redatta dal Vate Gabriele d’Annunzio la Carta del Carnaro offre oggi uno spunto interessante per superare le derive del liberalismo Il carattere rivoluzionario della Carta del Carnaro di Dario Lioi Repubblicana, essa garantiva nella parte generale, composta dai primi n un periodo nero, in cui la dieci articoli, la difesa e il perseguicrisi economica attanaglia mento degli obiettivi di libertà, famiglie, popoli e Nazioni, indipendenza, sovranità, prosperimolti di noi troveranno una tà, giustizia e dignità morale. Al pari ragion d’essere nella celebre di qualsiasi democrazia in senso esortazione evoliana a “tenersi in lato, garantiva l’uguaglianza dei piedi in un mondo di rovine”. cittadini senza distinzione di razza, religione, lingua o classe; differenza Istitutrice di una forma di stato fondamentale rispetRepubblicana, essa garantiva nella to ai principi del parte generale, composta dai primi socialismo pubblicati nel 1848 da Marx e dieci articoli, la difesa e il alle derive della perseguimento degli obiettivi di seconda parte del Ventennio Fascista ( libertà, indipendenza, sovranità, anche se il dittatore prosperità, giustizia e dignità morale per sei mesi era previsto a Fiume). Di Un aiuto potrebbe giungerci dal fondamentale importanza la concepassato, e nel cento cinquantenario zione dello Stato e dell’istruzione dalla nascita del Vate Gabriele pubblica, per non parlare di quella D’Annunzio, perché non soffermardella proprietà privata espressa si sulla Carta del Carnaro e su una nell’Art 6, nel quale trova risalto la comparazione-competizione con la funzione sociale della stessa in nostra Costituzione? Promulgata opposizione al privilegio individuale l’8 settembre del 1920 a Fiume, o al diritto assoluto di liberale questo modello costituzionale memoria ma riallacciata alla rappresentò un’avanguardia stessa, e in particolare a Locke, dal storica, legislativa, culturale e ruolo concessorio del lavoro, consisociale all’interno del XX secolo. derato l’unico mezzo atto a garantiFondata su basi sociali e nazionali, re titolo legittimo di proprietà su la Carta del Carnaro rappresentò e qualsiasi mezzo di produzione e di rappresenta, forse la prima forma scambio. Una sintesi superba delle compiuta di sintesi tra capitale e due vie, innovativa e rivoluzionaria lavoro all’interno di un ordinamento al tempo stesso. Rivoluzionaria giuridico per mezzo di fonti primaanche nella normalità della teoria rie. Istitutrice di una forma di stato economica quando istituisce una I Banca Centrale Nazionale controllata dallo Stato alla quale è demandato in via esclusiva l’incarico dell’emissione della carta-moneta. Stiamo parlando dunque di ciò che oggi manca in Italia e in Europa dopo la sciagurata scelta dei nostri governi di aderire al progetto della moneta unica europea e di utilizzare fino al limite estremo l’articolo 11 con le limitazioni alla sovranità nazionale. Scelte che oggi appaiono immutabili per il popolo, ma che allora erano per diritto e per legge dell’ordinamento cicliche. La costituzione veniva infatti riformata ogni dieci anni o su iniziativa degli organi competenti in qualsiasi momento secondo le direttive imposte dalla costituzione stessa. Una scelta saggia, effettuata secondo la eraclitea concezione del divenire. Un divenire storico al quale la legge deve inevitabilmente adeguarsi per perseguire il bene comune ma mantenendo intatta la stella polare dell’identità di un popolo come guida nei cambiamenti. Ritroviamo questo concetto nel convinto e fiero risalto del ruolo dei comuni. Dalla lega dei comuni contro il Barbarossa, alla nascita del capitalismo come modo di produzione nelle città autocefale dell’Italia Medievale, l’identità più viva di un popolo veniva riconosciuta e sublimata con un’apposita parte della costituzione dedicata a questa forma di governo locale. Il tessuto capillare dei comuni e il loro virtuosismo comunitario in contrapposizione agli attuali mostri burocratici partoriti negli anni 70: le Regioni. Che dire poi della concezione democratica e legislativa nata a Fiume. La riproposizione dell’antico strumento corporativo, come superamento della dicotomia liberalismo-socialismo. Sarà l’incubatore delle svolte mussoliniane, ma l’intero capitolo dedicato alle corporazioni assieme a quello dedicato al potere legislativo rappresentano un alveo futurista all’interno del quale proiettare un’idea rivoluzionaria di Stato. Si tratta della fusione dei concetti di democrazia, capitale e lavoro. La creazione di una doppia camera con potere legislativo, quella dei Rappresentanti e il Consiglio Economico, costituiscono un moderno superamento della stasi democratica dell’epoca e un fiero nemico del bolscevismo sovietico. A ragion dovuta, oggi più che mai, potremmo annoverarla anche tra i fieri nemici dell’immobilismo incapacitante italiano e del suo bicameralismo perfetto con sistemi a navetta impantanati nei gorghi non più epici di Cariddi. Pantano dovuto alla corruzione e alla voracità che pervadono gli istituti democratici della nazione, e che nel 1920 sarebbero stati perseguiti dall’art.12 con la revoca dei diritti politici per i condannati con regolare sentenza a pene infamanti o che vivono parassitariamente a carico della collettività. Repubblica La Costituzione arriva sino a noi come una promessa non mantenuta, una speranza liquidata, un’ideologia politicizzata D opo sessantacinque anni non abbiamo ancora capito qual è il senso della nostra Costituzione. Il risultato di quegli sforzi, di quei sacrifici e di quei compromessi da cui nacque il testo costituzionale italiano e dei quali siamo noi tutti figli, dov’è finito? Dov’è finito il rispetto per quei valori e quei principii imprescindibili decantati a parole Il colore della Costituzione e vilipesi nei fatti? E la loro attuazione, dove si è persa? Dove si è persa la memoria della genesi della Costituzione e, in definitiva, delle nostre origini? Abbiamo perso tutto nella politica decadente dei Palazzi, dei compromessi storici e delle larghe, anzi larghissime intese. Abbiamo perso tutto nella gara al voto in più, al seggio in più, alla poltrona in più; e abbiamo perso tutto nelle chiacchiere politiche al bar e da bar, nelle tifoserie ideologiche in cui è degenerato l’essere di destra o di sinistra. Abbiamo perso tutto con l’idea piuttosto infantile a dire il verodi destra e di sinistra, e con i bandieroni sventolati con orgoglio e convinzione in piazza prima di tornare, a sera, a sedersi davanti al televi- sore. Abbiamo perso molto anche con quelle critiche, trasversali e onnipresenti, alle iniziative politiche: critiche spesso avanzate senza fondamenta e per il semplice gusto di poter dire che si stava meglio quando si stava peggio. Molto abbiamo perso anche in quel decennio circa in cui per le idee infantili di cui sopra ci si sparava e ci si uccideva, alimentati e fomentati da chi certe idee le predicava solo per quel voto in più, per quel seggio in più, per quella poltrona in più, o da chi a fine giornata recitava una preghiera al cospetto del proprio Dio onnipotente nei Cieli ed era a posto con se stesso. Abbiamo perso tutto nella totale, parziale o tardiva mancanza di applicazione della Costituzione, trattata come carne dimenticata dentro il congelatore. Il lascito dei nostri costituenti si è oggi definitivamente perduto, così come si son perduti la fiducia e l’idealismo nella politica stessa. Si è perduto quel lascito che fu l’insegnamento al compromesso. Spesso a riguardo si è sottolineata, con un certo tono dispregiativo, la natura di compromesso della nostra Costituzione, come se essa fosse un limite, senza però ricordare la lezione di Hans Kelsen, secondo cui la democrazia è nella cui parole tutti possano rispecchiarpropria stessa definizione comprosi, riscontrandovi un intimo senso di messo tra forze antagoniste. appartenenza ai valori propugnati. Ma ecco, quel che è peggio è la Ecco perché, in definitiva, la tinta deriva che tutto questo perdere e applicata alla Costituzione - sia tutto questo dimenticare hanno essa di qualsivoglia colore – avuto. rappresenta un’offesa alla CostituLa deriva è stata una tinta. Sì, una zione stessa: perché essa alimenta tinta. La Costituzione è divenDov’è finito il rispetto per quei tata rossa. Come un panno messo inopportuvalori e quei principii namente in lavatrice, la imprescindibili decantati a nostra Costituzione è parole e vilipesi nei fatti? E la stata consegnata in bianco vergineo ed è loro attuazione, dove si è persa? stata resa di rosso stinto, divenendo una bandiera delle Sinistre, dei Socialiun dibattito politico squallido ed smi, a tratti dei rivoluzionarismi: arrivista, a palese scapito dei valori questa è l’offesa maggiore che Le e delle esperienze collettive di si potesse perpetrare. Non perché Resistenza di cui la tinta stessa si essa sia nata come Carta di destra vorrebbe dimostrare essere estrema- anzi, per sua natura portatrice. condanna gli estremismi - né E noi, popolo elettore e Sovrano, (almeno unicamente) di destra abbiamo una grandissima - ma moderata a dire il vero; la realtà è spesso dimenticata- arma, un che il testo costituzionale dovrebbe grandissimo scudo a difesa della essere apartiticità per eccellenza, Costituzione, dal cui possesso ci principio generale ispiratore di un derivano altrettanto grandi respondeterminato Stato e delle attitudini sabilità. Non dimentichiamoci mai della sua intera popolazione. che il tribunale nel quale noi siamo Dovrebbe imporsi sulla dialettica giudici è la cabina elettorale. politica ed essere l’anima dello Stato, Legge fondamentale nelle di Gabriele Cruciata www.lintellettualedissidente.it