Angelo Magnani - Corte d`Appello di Milano

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Angelo Magnani - Corte d`Appello di Milano
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Angelo Magnani
IL PRINCIPIO DI UNICITA' DELLO STATO
GIURIDICO DI FIGLIO. IL NUOVO CONCETTO
DI PARENTELA. RIFLESSI SUCCESSORI.*
Sommario:
1. Il quadro normativo. - 2. Il fine, i principi ed i criteri direttivi della riforma. - 3. I
punti qualificanti della riforma. Il nuovo concetto di parentela; il riconoscimento del
vincolo di parentela del figlio "naturale" ("non matrimoniale"), non solo con i propri
genitori, ma anche con tutti i parenti dei genitori; il diritto alla parentela. - 4. Il
riconoscimento dei figli nati da relazioni parentali (ex figli "adulterini" e figli
incestuosi). - 5. L'unico stato giuridico di figlio. L'eliminazione di qualsiasi
differenza tra i figli "legittimi" (matrimoniali) e "naturali" (non matrimoniali) e la
parificazione completa tra parentela "legittima" e parentela "naturale". L'abolizione
dell'istituto della legittimazione dei figli naturali. - 6. Le conseguenze sul piano
ereditario (in generale). - 7. Le conseguenze sul piano ereditario (in particolare): il
diritto di commutazione riconosciuto ai figli "legittimi" nei confronti dei figli
"naturali" ex art. 537, comma 2, cod. civ. ante riforma. L'ormai precedente diritto di
commutazione. - 8. Conseguenze sul piano ereditario: l'incompatibilità dell'istituto
della commutazione con la riforma. La posizione della Corte Cost. sulla
commutazione nella Sentenza n. 335/2009. - 9. Segue: una rimodulazione del diritto
di "commutazione" in funzione "economica" e di tutela del patrimonio aziendale
della famiglia? - 10. Conseguenze sul piano ereditario: l'aumento dei chiamati ex
lege nella linea collaterale. - 11. Conseguenze sul piano ereditario: la successione
dei fratelli e delle sorelle naturali. - 12. Segue. La successione dei fratelli e delle
sorelle adottivi. - 13. Segue. La successione dei fratelli e delle sorelle unilaterali. 14. La successione degli altri parenti "naturali" in linea collaterale. L'effetto
"dirompente" e non ancora "valutato". - 15. Le conseguenze in tema di
rappresentazione. - 16. I figli "naturali" non riconoscibili. - 17. Un caso di
diseredazione con l'inversione del potere: il caso di esclusione dalla successione dei
figli, anche adottivi e in loro mancanza dei discendenti, del genitore nei cui
confronti è stata pronunciata la decadenza dalla potestà genitoriale per fatti che non
integrano casi di indegnità. - 18. La revocazione delle donazioni e del testamento per
sopravvenienza di figli. - 19. Il problema della impugnativa della divisione per
preterizione di legittimari. - 20. L'importanza del testamento. - 21. Disposizioni
transitorie.
* Da questo studio si è desunta la relazione tenutasi al Convegno patrocinato dal
Consiglio Superiore della Magistratura e dall'Ordine degli Avvocati di Pavia, al
Collegio Ghislieri di Pavia, denominato "LEGITTIMI, NATURALI, ADOTTIVI: figli
tutti uguali dopo la Legge n. 219/2012?", durante il quale l'Autore ha sviluppato i
riflessi successori.
Edizione aggiornata all'11 luglio 2013
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1.
Il quadro normativo.
Già nell'anno 1994 la Corte Costituzionale, con Sentenza del 7
novembre 1994, n. 377 ( 1), stabilì "(...) la discrezionalità lasciata al
legislatore dalla direttiva costituzionale è soggetta al limite della
ragionevolezza dei tempi di attuazione, commisurati alla dinamica evolutiva
dei rapporti sociali. Dopo vent'anni dalla riforma del diritto di famiglia
appare sempre meno plausibile la regola che esclude dall'eredità i fratelli e
le sorelle naturali del defunto (...). Il legislatore deve prendere atto del
notevole incremento verificatosi nel frattempo, sebbene in misura inferiore
che in altri paesi, delle nascite fuori del matrimonio e del fenomeno
parallelo della famiglia di fatto (...). In rapporto non solo agli ascendenti e ai
fratelli e alle sorelle, ma anche agli zii e alle zie e ai loro figli - parenti di
terzo e quarto grado (...) - è sicuramente riconoscibile (...) una coscienza
della parentela operante come fonte di solidarietà di gruppo. Di questo dato
sociologico e dell'inerente giudizio di valore occorre tener conto nel
bilanciamento di interessi che deve guidare l'attuazione della direttiva
costituzionale".
La legge 10 dicembre 2012, n. 219 ("Disposizioni in materia di
riconoscimento di figli naturali"), in vigore dal 1° gennaio 2013, ha inteso
eliminare qualsiasi forma di discriminazione tra figli "legittimi" e figli
"naturali" o, meglio, tra figli nati all'interno del matrimonio e i figli nati
fuori dal matrimonio ( 2) e ne ha equiparato lo status ( 3).
Si tratta di una legge di portata epocale. Le conseguenze pratiche (1) Presidente F.P. Casavola, Giudici G. Pescatore, U. Spagnoli, A. Baldassarre, V.
Caianiello, M. Ferri, L. Mengoni, E. Cheli, G. Vassalli, F. Guizzi, C. Mirabelli, F.
Santosuosso, C. Ruperto, M. Vari.
(2) Cfr. A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, 20°, a cura
di F. ANELLI e C. GRANELLI, Milano, 2011, p. 1187, secondo cui il figlio è legittimo
quando è stato concepito da genitori uniti in matrimonio (conta, infatti, il
momento del concepimento, non quello della nascita). È invece naturale (prima
della riforma il codice definiva illegittimo) quando è stato concepito da genitori che
non sono sposati tra loro, o da genitori coniugati con altri.
(3) Cfr. Appendice di aggiornamento "Le nuove norme in materia di filiazione
(Legge 10 dicembre 2012 n. 219)", p. 11 ss., a cura di F. ANELLI e C. GRANELLI alla
XX edizione del Manuale di diritto privato di A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, cit.,
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Giuffrè.it,
https://www.giuffre.it/ebusiness/62808/Torrente_Addenda.pdf, 22 maggio 2013.
3
ancora da verificare - potranno essere altrettanto significative, se non
addirittura più rilevanti, per alcuni aspetti, rispetto agli effetti della legge di
riforma del diritto di famiglia 19.5.1975, n. 151.
Prima si distingueva:
a) lo status di figlio legittimo, che si acquisiva con il "concepimento"
da genitori uniti tra loro in matrimonio;
b) lo status di figlio naturale, che si acquistava con il riconoscimento
o con l'accertamento giudiziale della paternità o maternità naturale; ne
derivavano determinate situazioni giuridiche e ben precise conseguenze.
Ora, con la riforma del 2012, questa distinzione non esiste più. Si è
voltato pagina. I figli sono semplicemente "figli". È una parificazione
lapidaria e irreversibile. Ormai bisogna essere anche figli del proprio
tempo.
L'art. 315 cod. civ., nella sua nuova formulazione, dispone che "tutti i
figli hanno lo stesso stato giuridico": concepiti da genitori uniti o non in
matrimonio, i figli sono destinatari delle stesse norme; a loro vengono
riconosciuti uguali diritti e sono soggetti a uguali doveri.
Si rileva anzitutto il primo impatto formale, dal punto di vista
lessicale, della nuova legge. In base all'art. 2, comma 1, della legge di
riforma n. 219/2012 i figli "nati fuori dal matrimonio" non potranno più
definirsi "naturali", così come "i figli nati nel matrimonio" non potranno più
definirsi "legittimi", salvo l'utilizzo delle denominazioni di "figli nati fuori
dal matrimonio" e di "figli nati nel matrimonio", quando si tratti di
disposizioni ad essi specificamente relative. In tutta la legislazione vigente
ogni riferimento ai "figli legittimi" e ai "figli naturali" è sostituito con
l'espressione "figli" (salvo constatare che, paradossalmente, la stessa L. n.
219/2012 contiene ancora nel titolo l'espressione "figli naturali").
E' sembrata concordemente idonea, in un recente Convegno, la nuova
definizione di "figli non matrimoniali" e di "figli matrimoniali" ( 4).
(4) Convegno del 24 maggio 2013 patrocinato dal Consiglio Superiore della
Magistratura e dall'Ordine degli Avvocati di Pavia, al COLLEGIO GHISLIERI di Pavia,
denominato "LEGITTIMI, NATURALI, ADOTTIVI: figli tutti uguali dopo la Legge n.
219/2012?", presieduto da G. SERVETTI, relatori M. SESTA, G. BUFFONE, A.
GRAZIOSI, C. CAMPIGLIO, A. MAGNANI, C. RIMINI.
4
La legge di riforma n. 219/2012 ha apportato importanti modifiche
alle nostre norme civilistiche ed ha poi delegato il Governo a disciplinare
alcuni aspetti in materia di filiazione, prevedendo, all'art. 2, che il Governo è
incaricato di adottare, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della
legge di riforma, uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni
vigenti in materia di filiazione, di dichiarazione dello stato di adottabilità e
l'adeguamento della normativa delle successioni e delle donazioni.
Alcune
norme
sono
già
state
modificate
e
pertanto
sono
immediatamente operative dal 1° gennaio 2013: i novellati artt. 74, 251,
276, 315, i nuovi 315 bis, 448 bis, le nuove rubriche dei titoli IX e XIII del
libro I, le modifiche all'art. 250, il nuovo art. 38 disp. att. cod. civ.
Altre norme saranno modificate in seguito alla revisione delle
disposizioni vigenti in materia di filiazione e opereranno in seguito
all'emanazione di uno o più decreti legislativi che il Governo è delegato ad
adottare per eliminare ogni discriminazione tra i figli.
2.
Il fine, i principi ed i criteri direttivi della riforma.
L'articolo 2 ha espressamente dichiarato il fine, i principi ed i criteri
direttivi della riforma:
a) eliminare ogni discriminazione tra tutti i figli, anche adottivi, nel
rispetto dell'art. 30 della Costituzione, sia sul piano lessicale, sia su quello
formale, sia sul piano sostanziale ( 5);
b) non far gravare sui figli le condotte dei genitori o le loro colpe o
addirittura la loro unione deplorevole (è il caso - quest'ultimo – dell'unione
tra persone legate da vincoli di parentela o di affinità);
c) il riconoscimento non può più essere precluso per una condizione
giuridica del figlio;
d) l'unicità dello stato giuridico di figlio;
(5) Cfr. Art. 30, comma 1 e comma 3, Cost. "È dovere e diritto dei genitori
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio (...). La legge
assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i
diritti dei membri della famiglia legittima".
5
e) la parificazione della parentela legittima e della parentela naturale;
f) addivenire, entro 12 mesi, come conseguenza dei principi predetti,
all'adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al
principio di unicità dello stato di figlio.
La piena condivisione delle ragioni che hanno ispirato la legge di
riforma n. 219/2012 non impedisce, tuttavia, di formulare alcune riserve
sulle quali riflettere.
3.
I punti qualificanti della riforma. Il nuovo concetto di parentela; il
riconoscimento del vincolo di parentela del figlio "naturale" ("non
matrimoniale"), non solo con i propri genitori, ma anche con tutti i
parenti dei genitori; il diritto alla parentela.
Si premette che l'art. 74 cod. civ., anche se non è, propriamente, una
norma successoria, incide notevolmente sulla disciplina ereditaria.
Dall'art. 74 cod. civ., come modificato dalla L. n. 219/2012, emerge
subito il primo punto qualificante della riforma: il nuovo concetto di
parentela, senza distinzione tra filiazione avvenuta all'interno o all'esterno
del matrimonio.
Corollario del principio e sua logica conseguenza è la nascita di
rapporti di parentela tra il figlio "naturale" ("non matrimoniale") ( 6) e la
famiglia del/i genitore/i ( 7), che ha/hanno effettuato il riconoscimento,
principio espresso dal novellato art. 258, comma 1, cod. civ.
È questo il secondo punto qualificante della riforma.
Precedentemente il riconoscimento produceva effetti solo con riguardo
al genitore che lo aveva effettuato. Ora, con la riforma il riconoscimento
produce effetti anche con riguardo ai parenti del genitore (art. 258 cod. civ.).
Secondo il riformato art. 74, la parentela è il vincolo tra le persone
che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è
4
(6) Si veda il § 1 e la nota ( ).
(7) M. SCALISI, Note a prima lettura alla legge di riforma sui figli naturali, in CNN
NOTIZIE, Roma, 18 dicembre 2012, p. 2.
6
avvenuta "all'interno del matrimonio", sia nel caso in cui è avvenuta "al di
fuori di esso", sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela
non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età.
La legge di riforma 10 dicembre 2012, n. 219 ha, pertanto,
espressamente tracciato, ampliandolo, il nuovo perimetro del concetto di
parentela, come vincolo tra persone che discendono da uno stesso stipite e
che sussiste in tutti i seguenti casi:
a) quando la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio;
b) quando la filiazione è avvenuta al di fuori del matrimonio;
c) quando il figlio è adottivo. L'adozione, infatti, ha come effetto
l'acquisto per l'adottato dello status di figlio "matrimoniale" ( 8) degli
adottanti, dai quali l'adottato assume e trasmette il cognome (art. 27, comma
1, legge 4 maggio 1983, n. 154, denominata "Diritto del minore a una
famiglia"). Tuttavia il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di
persone maggiori di età.
Facendo un rapido excursus storico, si ricorda che la riforma del
diritto di famiglia (L. 19 maggio 1975, n. 151) aveva già migliorato la
posizione dei figli "naturali" riconosciuti ( 9), cercando di equiparare la loro
condizione a quella dei figli "legittimi".
Con riferimento in particolare allo status parentale e familiare del
figlio "naturale" ( 10):
a) con la riforma del 1975:
- il riconoscimento di un figlio "non matrimoniale" ha comportato da
parte del genitore l'assunzione di tutti gli stessi doveri e diritti che egli ha
nei confronti di un figlio "matrimoniale" (art. 261 cod. civ.) ( 11);
- l'obbligo alimentare dei figli "non matrimoniali" e dei genitori
"naturali" è stato parificato a quello dei figli "matrimoniali" e dei genitori
"legittimi" (art. 433 cod. civ.);
- inoltre, dal punto di vista terminologico, è stata cambiata la
(8) Il figlio precedentemente definito legittimo.
(9) Infatti la disciplina dei diritti dei figli naturali nel testo originario del codice civile
non sembrava conforme al dettato costituzionale.
(10) Il figlio "non matrimoniale".
(11) A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 1218.
7
definizione dei figli nati fuori dal matrimonio da "illegittimi" in "naturali"
( 12); il termine "illegittimo" metteva in evidenza il principio secondo il
quale, per essere conforme alla legge, la filiazione presupponeva il vincolo
matrimoniale tra i genitori ( 13);
b) dopo la riforma del 1975:
- rimaneva, tuttavia, una fondamentale differenza rispetto allo status
parentale del figlio "legittimo", differenza dovuta alla mancanza del
rapporto di coniugio tra i genitori del figlio "naturale":
- il figlio "legittimo" aveva uno status che gli garantiva l'appartenenza
a una famiglia ed un rapporto giuridico con la coppia dei genitori;
- il figlio "naturale", invece, assumeva uno status soltanto nei
confronti di ciascun genitore, anche quando fosse stato riconosciuto da
(12) In base al codice civile ante riforma L. 10 dicembre 2012, n. 219, erano figli
"legittimi": a) quelli concepiti da genitori uniti in matrimonio (artt. 231 ss. cod. civ.),
poiché la famiglia "legittima", secondo la formulazione della Costituzione all'art. 29, è
quella fondata sul matrimonio (ex art. 29 Cost. la Repubblica riconosce i diritti della
"famiglia come società naturale fondata sul matrimonio"); b) i figli nati o concepiti durante
un matrimonio poi giudicato invalido (art. 128, comma 2, cod. civ.). È il caso dei figli nati
dal matrimonio putativo (da "putare" ossia credere, cioè il matrimonio che i coniugi
credevano valido). Pertanto, nel caso di matrimonio putativo, i figli nati o concepiti durante
un matrimonio poi giudicato invalido, si consideravano figli legittimi, anche nel caso in cui
fosse stato in buona fede solo uno dei coniugi. Nel caso in cui entrambi i coniugi fossero
stati in malafede, i figli si consideravano egualmente legittimi, a meno che la nullità
dipendesse da bigamia o incesto (art. 128, comma 4, cod. civ.). In queste ultime due ipotesi
ai figli spettava lo stato di figli naturali riconosciuti "nei casi in cui il riconoscimento è
consentito" (art. 128, comma 5, cod. civ.). Pertanto, i figli nati da matrimonio nullo per
bigamia potevano acquisire lo stato di figli naturali, mentre nel caso di nullità derivante da
incesto, essendo esclusa in ogni caso la riconoscibilità dei figli incestuosi nati da genitori
consapevoli del rapporto di parentela o affinità esistente tra loro (art. 251 cod. civ.), era
esclusa anche l'instaurazione di un rapporto di filiazione naturale. Cfr. A. TORRENTE, P.
SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 1142. Si veda, tuttavia, Corte
Costituzionale,
Sentenza
n.
494/2002,
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Consulta
Online,
http://www.giurcost.org/decisioni/index.html, 7 luglio 2013. Erano invece figli naturali i
figli procreati da genitori non uniti in matrimonio tra loro. Era figlio "adulterino" il figlio
naturale concepito da genitori che all'epoca del concepimento erano legati da matrimonio
con persona diversa dall'altro genitore (figli naturali procreati in costanza di matrimonio).
Un figlio poteva essere "adulterino rispetto ad uno solo dei genitori", se uno era sposato e
l'altro era libero, oppure poteva essere "adulterino rispetto ad entrambi i genitori", se tutti e
due i genitori erano sposati, ovviamente con altri e non tra loro. La legge di riforma del
diritto di famiglia n. 151/1975 aveva disposto che i figli adulterini potessero essere
riconosciuti (c.d. "riconoscibilità" dei figli naturali) e ha eliminato tale definizione. Era
"incestuoso" il figlio naturale concepito da persone tra le quale esisteva un rapporto di
parentela, anche soltanto naturale, o in linea retta o in linea collaterale di secondo grado
(fratello e sorella), ovvero un vincolo di affinità in linea retta; definito incestuoso, in quanto
nato da genitori dai quali è stato consumato quello che si chiama l'incesto e che può dar
luogo a una figura di reato (art. 564 cod. pen.).
(13) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni
familiari, in Famiglia e diritto, n. 3, 2013, p. 231.
8
entrambi i genitori;
- la mancanza di un rapporto coniugale tra i genitori determinava per il
figlio la costituzione di due rapporti, indipendenti tra loro, con ciascuno dei
genitori;
- chi nasceva da genitori non coniugati tra loro non entrava nelle
famiglie dei suoi genitori;
- ai figli naturali non era riconosciuto il fondamentale diritto alla
parentela ( 14), perché, anche dopo la riforma del diritto di famiglia, si era
sempre ritenuto che le relazioni di parentela presupponessero il vincolo
matrimoniale dei genitori ( 15). Anche la Corte Costituzionale aveva
affermato tale principio, sostenendo che non si potesse instaurare un
rapporto di parentela tra fratelli naturali ( 16).
Con la riforma del diritto di famiglia del 1975 vi è stato, pertanto, un
avvicinamento di grande importanza all'equiparazione tra figli "legittimi" e
"naturali" ( 17); l'equiparazione tuttavia non è stata completa, soprattutto sul
piano successorio.
Con riferimento, in particolare, ai diritti ereditari:
a) nel codice civile ante riforma del 1975 i figli "naturali" avevano un
trattamento di sfavore, sia nel caso di concorso con i figli "legittimi" dello
stesso genitore (infatti i figli "naturali" riconosciuti conseguivano, se in
concorso con figli "legittimi", la metà della quota spettante a questi ultimi)
( 18), sia e perfino quando i figli "naturali" non concorrevano con i figli
"legittimi" (in assenza di figli legittimi, i figli naturali concorrevano con gli
(14) C. M. BIANCA, La legge italiana conosce solo figli, in Rivista di diritto civile,
vol. 1, Milano, 2013, p. 2.
(15) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni
familiari, cit., p. 232.
(16) M. SESTA, La Filiazione, in Trattato M. Bessone, II ed., Torino, 2011, p. 20;
Corte Cost. sentenza 26 ottobre - 7 novembre 1994, n. 377, in Giustizia civile, 1995, I, p. 84
e Home Page Corte costituzionale, http://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do, 8
luglio 2013; Corte Cost. sentenza 23 novembre 2000, n. 532, in Corriere giuridico, 2001, p.
1034.
(17) La legge di riforma del diritto di famiglia del 1975 ha, altresì, eliminato ogni
differenza nella ricerca della paternità rispetto a quella della maternità e ha stabilito che
l'azione di dichiarazione giudiziale sia di paternità che di maternità può essere liberamente
esperita (art. 269 cod. civ.), tranne il caso in cui non è ammesso neppure il riconoscimento
(quando si tratti di persone che risultano figli legittimi o legittimati di altri genitori ex art.
253 cod. civ.).
(18) Cfr. Art. 574 cod. civ. del 1942 ante riforma del diritto di famiglia del 1975.
9
ascendenti del de cuius, sia in presenza, sia in assenza del coniuge) ( 19);
b) con la riforma del 1975 si è cercato di superare queste differenze e
di attuare una "sostanziale equiparazione" - così era stata definita - dei
discendenti "legittimi e naturali", attribuendo ai figli "naturali" riconosciuti
le stesse quote spettanti ai figli legittimi (20); tale previsione fu ritenuta "una
tra le più significative innovazioni introdotte dalla riforma del diritto di
famiglia";
c) la stessa riforma ha fatto comunque salva la facoltà dei figli
"legittimi" di soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione
spettante ai figli "naturali" che non vi si oppongano (il c.d. "diritto di
commutazione"); in caso di opposizione, la decisione spetta al giudice,
valutate le circostanze personali e patrimoniali (combinato disposto art. 566,
comma 2, ed art. 537, comma 3, cod. civ.) ( 21).
Riprendendo quello che deve considerarsi uno degli effetti più
innovativi dell'intera riforma del 2012 - il riconoscimento ai figli "naturali"
del vincolo di parentela non solo con il genitore o i genitori che l'hanno
riconosciuto, ma anche con tutti i parenti dei genitori - si vedrà nel
prosieguo la grande portata innovativa, soprattutto dal punto di vista del
(19) Cfr. Art. 575 cod. civ. del 1942 ante riforma del 1975.
(20) L'art. 574, nella formulazione del codice civile del 1942, che prevedeva il
concorso dei figli naturali e legittimi e che i figli naturali in caso di concorso con i figli
legittimi, conseguivano la metà della quota che conseguivano i legittimi, è stato abrogato
dall'art. 187 della legge di riforma del diritto di famiglia n. 151/75. È stato anche abrogato
l'art. 575 del cod. civ. del 1942 ante riforma del diritto di famiglia n. 151/75, che prevedeva
il concorso dei figli naturali con ascendenti e coniuge del genitore e l'art. 576 cod. civ., che
prevedeva la successione dei soli figli naturali.
(21) Vedi amplius al successivo § 7. Si anticipa che, per espressa previsione
legislativa, i beni da dare in commutazione possono/potevano essere soltanto denaro o
immobili ereditari, con conseguente esclusione di beni mobili diversi dal danaro o di
immobili che non siano ereditari. Gli immobili da dare in commutazione devono/dovevano
essere stimati secondo il loro valore venale e il loro stato al tempo della dichiarazione di
commutazione. E ciò anche nel caso in cui la quota dei figli naturali venga/fosse
commutata in danaro. Invece il valore della quota va/andava determinata con riguardo al
momento dell'apertura della successione. Secondo alcuni si può/poteva utilizzare, per
l'esercizio del diritto di commutazione, anche denaro non ereditario, perché dal tenore
letterale della norma non è/era dato ricavare una restrizione a questo riguardo. Per tutti L.
MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, in
Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da CICU e MESSINEO e continuato da
MENGONI, Milano, 1999, p. 77, nota 34; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, a cura di
A. FERRUCCI e C. FERRENTINO, Tomo I, Milano, 2009, p. 457 ss.; L. FERRI, Dei
legittimari. Art. 536 - 564, cit., p. 36; G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la
vocazione legittima, in Tratt. dir. priv. diretto da P. RESCIGNO, vol. 5, Torino, 1997, II, p.
396.
10
diritto ereditario e donativo: sorgono infatti per il figlio "naturale" legami di
parentela con tutti i parenti del genitore che ha effettuato il riconoscimento,
come i fratelli e le sorelle "matrimoniali" ("legittimi") ma anche "non
matrimoniali" ("naturali"), i nonni, gli zii ed i cugini e così fino al sesto
grado. Ne deriva - come si vedrà - che il figlio "naturale" ("non
matrimoniale") potrà ricevere per successione anche dai parenti sopra citati
( 22).
Si riportano qui di seguito le modifiche intervenute all'art. 74 cod. civ.
Ante riforma
Post riforma
Art. 74. Parentela.
Art. 74. Parentela.
La parentela è il vincolo tra le
1. La parentela è il vincolo tra
persone che discendono da uno
persone che discendono da uno
stesso stipite.
stesso stipite, sia nel caso in cui la
filiazione è avvenuta all'interno
del matrimonio, sia nel caso in
cui è avvenuta al di fuori di esso,
sia nel caso in cui il figlio è
adottivo.
2. Il vincolo di parentela non sorge
nei casi di adozione di persone
maggiori di età, di cui agli articoli
291 e seguenti.
Di grande portata è anche la modifica, introdotta dalla legge, all'art. 258
cod. civ.
Art.
258.
Effetti
del
Art.
258.
Effetti
del
riconoscimento.
riconoscimento.
1. Il riconoscimento non produce
1. Il riconoscimento produce
effetti che riguardo al genitore da
effetti riguardo al genitore da cui
cui fu fatto, salvo i casi previsti
fu fatto e riguardo ai parenti di
(22) M. SCALISI, Note a prima lettura alla legge di riforma sui figli naturali, in
CNN NOTIZIE, cit., p. 2.
11
dalla legge.
esso.
2. Immutato.
2. Immutato.
3. Immutato.
3. Immutato
Si estende la categoria dei successibili per rappresentazione.
Si riportano i testi degli artt. 467 e 468 cod. civ. ante riforma e i loro
probabili testi dopo la funzione di adattamento affidata ai decreti delegati.
Ante riforma
Post adattamento
Art. 467. Nozione.
1.
La
Art. 467. Nozione.
rappresentazione
fa
1.
La
rappresentazione
fa
subentrare i discendenti legittimi o
subentrare i discendenti
naturali nel luogo e nel grado del
luogo e nel grado del loro
loro ascendente, in tutti i casi in
ascendente, in tutti i casi in cui
cui questi non può o non voglia
questi non può o non voglia
accettare l'eredità o il legato.
accettare l'eredità o il legato.
2. Immutato.
2. Immutato.
Art. 468. Soggetti.
Art. 468. Soggetti.
1. La rappresentazione ha luogo,
1. La rappresentazione ha luogo,
nella linea retta, a favore dei
nella linea retta, a favore dei
discendenti
discendenti
dei
figli
legittimi,
dei
figli,
nel
anche
legittimati e adottivi, nonché dei
adottivi, del defunto, e, nella
discendenti dei figli naturali del
linea collaterale, a favore dei
defunto, e, nella linea collaterale, a
discendenti dei fratelli e delle
favore dei discendenti dei fratelli e
sorelle del defunto.
delle sorelle del defunto.
2. Immutato.
2. Immutato.
Pertanto, in virtù della legge n. 219/2012:
a) la parentela naturale, sia in linea retta sia in linea collaterale, ha la
stessa ampiezza di quella legittima;
b) sussiste, in particolare, parentela in linea collaterale tra il figlio
12
"naturale" (non matrimoniale) e il figlio "legittimo" (matrimoniale) del
medesimo genitore (questione che è stata oggetto di importanti sentenze
della Corte Costituzionale, come infra citato);
c) sussiste vincolo di parentela anche tra i figli "naturali" (non
matrimoniali), e loro discendenti, dello stesso genitore, ma anche con gli
ascendenti del medesimo;
d) si applica la rappresentazione, nella successione in linea collaterale,
anche a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle "naturali" (non
matrimoniali) del defunto ( 23).
4.
Il riconoscimento dei figli nati da relazioni parentali (ex figli
"adulterini" e figli incestuosi).
Il codice civile del 1942, nel suo testo originario, ammetteva il
riconoscimento dei figli naturali, a condizione che non si trattasse di figli
adulterini o incestuosi, che, pertanto, erano non riconoscibili.
Veniva definito adulterino il figlio naturale concepito da genitore che,
all'epoca del concepimento, era unito in matrimonio con persona diversa
dall'altro genitore ( 24).
Erano definiti "incestuosi" i figli naturali concepiti da persone tra le
quali esisteva un rapporto di parentela, anche solo naturale, o in linea retta
all'infinito (padre e figlia, madre e figlio, nonno e nipote) o in linea
collaterale di secondo grado (fratello e sorella), ovvero un vincolo di affinità
in linea retta (suocero e nuora, genero e suocera).
(23) Già in seguito alle sentenze della Corte Costituzionale n. 55/79 e n. 184/90
(come meglio infra citato), che hanno riconosciuto sussistente il vincolo di parentela
"naturale" tra fratelli e sorelle "legittimi" e fratelli e sorelle "naturali" e hanno "aggiunto"
tra i successibili, in caso di successione ex lege, anche i fratelli naturali dopo gli ascendenti
e prima dello Stato, si doveva ritenere applicabile l'istituto della rappresentazione nel caso
di decesso del padre a favore sia dei figli "legittimi" sia dei figli "naturali" e in seguito al
decesso del fratello - che può essere "legittimo" o "naturale" - a favore dei discendenti sia
dei fratelli e sorelle "legittimi" sia dei fratelli e sorelle "naturali".
(24) Un figlio può/poteva essere adulterino rispetto ad uno solo dei genitori, se uno è
sposato e l'altro è libero, oppure può/poteva essere adulterino rispetto ad entrambi i
genitori, se tutti e due i genitori sono sposati, ovviamente con altri e non tra di loro. A.
TORRENTE, P. SCHELESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 1214.
13
La riforma del diritto di famiglia del 1975, per non far ricadere sui
figli le responsabilità dei genitori, ha cancellato il divieto di riconoscimento
dei figli adulterini, definizione espunta del tutto dal codice. Pertanto dopo la
riforma del 1975 il riconoscimento di un figlio "naturale" poteva essere
effettuato non soltanto dal padre e dalla madre che al momento del
concepimento erano liberi, non sposati, ma pure dai genitori o da quello dei
genitori che all'epoca del concepimento era unito in matrimonio con altra
persona (art. 250, cod. civ.). Rimaneva però il divieto di riconoscere come
figlio "naturale" colui che avesse lo status di figlio "legittimo" di altri (art.
253, cod. civ.).
La legge di riforma n. 151 del 1975 - che aveva, come accennato, già
migliorato la posizione dei figli nati fuori dal matrimonio, definiti "naturali"
e non più "illegittimi" ed aveva tuttavia mantenuto distinto lo status di figlio
"naturale" rispetto allo status di figlio "legittimo" (sia sul piano lessicale,
sia sul piano formale, sia anche sul piano sostanziale) - aveva, invece,
conservato il divieto di riconoscimento dei figli incestuosi, salvo per i
genitori in buona fede (entrambi o uno solo di essi); in questa ipotesi era
stata però introdotta la previsione di una autorizzazione giudiziale del
riconoscimento (art. 251, comma 2, cod. civ.).
Il divieto di riconoscimento dei figli dei parenti ( 25), chiamati
"incestuosi", era dettato dalla ripugnanza dell'incesto.
La legge di riforma del 2012, all'innovato art. 251 cod. civ., consente
ora il riconoscimento dei figli "incestuosi". Il figlio nato da relazioni
parentali "può essere riconosciuto", previa autorizzazione del giudice avuto
riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi
pregiudizio.
Viene così rimosso il divieto di riconoscimento dei figli dei parenti,
perché gravemente contrastante con lo spirito della riforma, che ha voluto
non far gravare sui figli le colpe dei genitori o meglio dell'unione
deplorevole dei loro genitori.
La riforma del 2012, con questa ulteriore modifica radicale del
precedente divieto di riconoscimento ha perseguito il fine - dichiarato all'art.
(25) Salvi i casi eccezionali previsti dalla legge.
14
2 - di eliminare ogni discriminazione tra tutti i figli, nel rispetto dell'art. 30
della Costituzione, dal momento che è dovere della legge assicurare ai figli
nati fuori del matrimonio "ogni tutela giuridica e sociale" ( 26).
A seguito della legge 10 dicembre 2012, n. 219 il riconoscimento non
deve essere precluso in ragione di una condizione giuridica di
irriconoscibilità del figlio, ma può essere non autorizzato dal giudice
competente in ragione del pregiudizio che in concreto il figlio possa subire
dal riconoscimento. Si riporta qui di seguito il testo dell'art. 251 cod. civ.
ante e post riforma.
Ante riforma
Post riforma
Art. 251. Riconoscimento di figli
Art.
incestuosi.
riconoscimento.
1. I figli nati da persone, tra le
1. Il figlio nato da persone, tra le
quali esiste un vincolo di parentela
quali esiste un vincolo di parentela
anche soltanto naturale, in linea
in linea retta all'infinito o in linea
retta
linea
collaterale nel secondo grado,
grado,
ovvero un vincolo di affinità in
all'infinito
collaterale nel
o
in
secondo
251.
Autorizzazione
ovvero un vincolo di affinità in
linea
linea retta, non possono essere
riconosciuto previa autorizzazione
riconosciuti dai loro genitori, salvo
del
che
all'interesse
questi
al
concepimento
tempo
ignorassero
del
il
vincolo esistente tra di loro o che
sia
stato
matrimonio
dichiarato
da
cui
nullo
retta,
giudice
può
al
avuto
del
figlio
essere
riguardo
e
alla
necessità di evitare allo stesso
qualsiasi pregiudizio.
il
derivava
l'affinità. Quando uno solo dei
genitori è stato in buona fede, il
riconoscimento
del
figlio
può
essere fatto solo da lui.
2. Il riconoscimento è autorizzato
2. Il riconoscimento di una persona
(26) La tutela deve essere compatibile con "i diritti dei membri della famiglia
legittima", come recita l'art. 30, comma 3, ultima parte, Cost.
15
dal
giudice,
avuto
riguardo
all'interesse del figlio ed alla
minore di età è autorizzato dal
Tribunale per i minorenni.
necessità di evitare allo stesso
qualsiasi pregiudizio.
5.
L'unico stato giuridico di figlio. L'eliminazione di qualsiasi differenza
tra i figli "legittimi" (matrimoniali) e "naturali" (non matrimoniali) e
la parificazione completa tra parentela "legittima" e parentela
"naturale". L'abolizione dell'istituto della legittimazione dei figli
naturali.
Secondo la legge di riforma n. 219/2012, "tutti i figli hanno lo stesso
stato giuridico" (cfr. l'art. 315 riformato) e pertanto - come detto - "in tutta
la legislazione vigente" le parole "figli legittimi" e "figli naturali" sono
sostituite dalla parola "figli".
È fatto solo salvo - in via rigorosamente subordinata, se non
eccezionale - l'utilizzo delle espressioni "figli nati nel matrimonio" o "figli
nati fuori dal matrimonio" quando si tratta di disposizioni ad essi
specificamente relative (art. 2, comma 1, lett. a) L. n. 219/2012) ( 27).
Sembra pertanto idonea la definizione di "figli matrimoniali" e "figli
non matrimoniali" ( 28).
Si sancisce quindi l'eliminazione di qualsiasi differenza tra i figli nati
nel matrimonio e quelli nati fuori dal matrimonio e la conseguente
parificazione completa tra parentela "naturale" e parentela "legittima".
Si è così data piena attuazione alle opinioni, manifestate già da tempo
(27) Ex art. 2, comma 1, L. n. 219/2012 "il Governo è delegato ad adottare, entro 12
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di
modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione (...) per eliminare ogni
discriminazione tra i figli (...) osservando (...) i seguenti principi e criteri direttivi (...)
sostituzione, in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai "figli legittimi" e ai "figli
naturali" con riferimento ai "figli", salvo l'utilizzo della denominazione di "figli nati nel
matrimonio" o di "figli nati fuori del matrimonio" quando si tratta di disposizioni ad essi
specificamente relative (...)".
4
(28) Si veda § 1 e la nota ( ).
16
in dottrina, favorevoli ad attuare compiutamente il principio di uguaglianza
in tema di filiazione.
Va detto che l'intervento del legislatore si è reso necessario anche in
seguito al recepimento, da parte della Costituzione europea, della Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000 (la c.d. "Carta
di Nizza") che vieta ogni discriminazione basata sulla nascita (cfr. art. 21)
( 29).
Con l'unificazione dello stato di figlio è stato abolito l'istituto della
legittimazione dei figli naturali (art. 1, comma 10, l. n. 219/2012), che ha
perduto la sua ragione di essere.
Si ricorda che con la legittimazione il figlio nato fuori dal matrimonio
acquistava la qualità di figlio legittimo (art. 280, comma 1, cod. civ. ante
riforma L. n. 219/2012). Non potevano essere legittimati i figli che non
potevano essere riconosciuti (art. 281 cod. civ. ante riforma L. n. 219/2012).
La legittimazione poteva avvenire per susseguente matrimonio dei genitori
naturali o per provvedimento del giudice. La legittimazione per susseguente
matrimonio si verificava automaticamente nel caso che si fossero sposati tra
loro i genitori che avessero entrambi riconosciuto il figlio (art. 283 cod. civ.
ante riforma L. n. 219/2012) ( 30).
Già dopo la riforma del diritto di famiglia n. 151/1975, in
considerazione della pressoché completa equiparazione tra la posizione del
figlio "naturale" riconosciuto o dichiarato e quella del figlio "legittimo", la
legittimazione aveva perduto parte della sua importanza ( 31).
Ora, con l'attribuzione di un unico status di figlio, si instaura un
rapporto pienamente rilevante non soltanto tra il genitore e il proprio figlio
ma anche tra quest'ultimo e gli altri componenti della famiglia.
(29) C. M. BIANCA, La legge italiana conosce solo figli, cit., p. 2.
(30) La legittimazione poteva essere concessa anche se vi erano figli legittimi o
legittimati del genitore che aveva chiesto di far luogo alla legittimazione, ma questi
dovevano essere previamente sentiti se avevano già compiuto i 16 anni (art. 284, comma 2,
cod. civ. ante riforma L. n. 219/2012). La legittimazione giudiziale poteva essere richiesta
pure dal figlio, qualora il genitore fosse morto dopo aver espresso in un testamento o in un
atto pubblico la volontà di legittimarlo, se sussisteva un'impossibilità o un gravissimo
ostacolo a procedere alla legittimazione mediante matrimonio tra i genitori naturali (art.
285, comma 1, cod. civ. ante riforma L. n. 219/2012).
(31) A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., pp. 1225 1226.
17
E ciò assume una grande importanza anche in sede successoria (come
infra si vedrà).
Come è stato sottolineato in dottrina, con la recente riforma si ha la
proclamazione dello statuto dei diritti del figlio ( 32). Pertanto, oltre ai già
previsti diritti al mantenimento, all'educazione ed all'istruzione, sono stati
riconosciuti il diritto del figlio all'assistenza morale, il diritto di crescere
nella propria famiglia, il diritto di mantenere rapporti significativi con i
parenti e il diritto, del figlio cha abbia compiuto 12 anni e anche di età
inferiore se capace di discernimento, di essere ascoltato in tutte le procedure
che lo riguardano (art. 315 bis, comma 1, cod. civ.) e, correlativamente, i
doveri del figlio che convive con la famiglia di contribuire al mantenimento
della stessa in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze, al
proprio reddito (art. 315 bis, comma 2, cod. civ.).
6.
Le conseguenze sul piano ereditario (in generale).
Gli aspetti successori avranno una grandissima rilevanza pratica.
Presupposto della successione dei figli "nati fuori dal matrimonio" era
che questi fossero stati riconosciuti nei modi di legge (dal genitore
"naturale" della cui eredità si tratta), ovvero che la filiazione fosse stata
giudizialmente dichiarata, con l'effetto di stabilire il rapporto di filiazione,
riconosciuta o dichiarata, col genitore.
Pertanto, il figlio "nato fuori dal matrimonio" non riconosciuto, o non
riconoscibile, o giudizialmente non dichiarato, non poteva vantare diritti alla
successione del genitore.
L'eliminazione di qualsiasi differenza tra i figli, qualunque sia lo status
dei genitori al momento del loro concepimento, comporta e comporterà delle
notevoli conseguenze sul piano ereditario.
La legge di riforma n. 219/2012 - come detto - ha delegato il Governo
ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di
(32) C. M. BIANCA, La legge italiana riconosce solo figli, cit., p. 3.
18
riforma, uno o più decreti legislativi "per eliminare ogni discriminazione tra
i figli, anche adottivi, nel rispetto dell'art. 30 della Costituzione" con
l'"adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al
principio di unicità dello stato di figlio" e prevedere, anche "in relazione ai
giudizi pendenti", una "disciplina che assicuri la produzione degli effetti
successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio" nato
fuori dal matrimonio "premorto o deceduto nelle more del riconoscimento e
conseguentemente l'estensione delle azioni di petizione di cui agli artt. 533
ss. cod. civ.".
I riflessi successori delle nuove disposizioni già entrate in vigore sono
di tutta evidenza con particolare riferimento alla disposizione (l'art. 1), che
già ha modificato gli artt. 74, 251, 258 del codice civile:
a) a norma dell'art. 74 cod. civ. (Parentela), la parentela è il vincolo
tra le persone che discendono dallo stesso stipite "in tutti i casi", sia nel
caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in
cui è avvenuta al di fuori del matrimonio, sia nel caso in cui il figlio è
adottivo;
b) ex art. 258 cod. civ. come modificato (Effetti del riconoscimento), il
riconoscimento produce effetti non solo riguardo al genitore da cui fu fatto,
ma anche riguardo ai parenti di esso;
c) in base al nuovo art. 251 (Autorizzazione al riconoscimento del
figlio nato da relazioni parentali), il figlio anche se nato da relazioni
parentali può essere riconosciuto, previa autorizzazione del giudice, avuto
riguardo all'interesse del figlio.
In forza delle precitate disposizioni il soggetto, una volta conseguito
lo stato di figlio a seguito del riconoscimento o della dichiarazione
giudiziale, diventa parente delle persone che discendono dallo stipite dei
suoi genitori ed entra a far parte di una famiglia estesa, indipendentemente
dal fatto che sia stato concepito nel o fuori dal matrimonio. Ciò vale anche
per il figlio nato da genitori tra loro parenti (che, in base al nuovo testo
dell'art. 251 cod. civ., può essere riconosciuto previa autorizzazione del
giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo
stesso qualsiasi pregiudizio).
19
Diversamente da quanto accadeva di regola fino al 2012, il figlio "nato
fuori dal matrimonio" può ora trovarsi inserito in due famiglie, quella
paterna e quella materna (tra loro prima non comunicanti), in virtù del
vincolo di affinità ( 33).
Dalla attuale normativa appare, pertanto, modificata la nozione di
"famiglia legale", che ora non sembra più necessariamente fondata sul
matrimonio, perché i vincoli giuridici tra i suoi membri prescindono da esso
( 34).
Il coniuge del genitore naturale diventa affine con il figlio "non
matrimoniale" del marito o della moglie e anche affine con i parenti del
medesimo figlio "non matrimoniale" (esempio con i figli del figlio non
matrimoniale e con i suoi fratelli), perché, come noto, l'affinità è il vincolo
che unisce un coniuge con i parenti dell'altro coniuge.
7.
Le conseguenze sul piano ereditario (in particolare): il diritto di
commutazione riconosciuto ai figli "legittimi" nei confronti dei figli
"naturali" ex art. 537, comma 2, cod. civ. ante riforma. L'ormai
precedente diritto di commutazione.
Ai sensi dell'art. 537, comma 3, cod. civ. nell'attuale formulazione
(formulazione che sarà destinata - con grandissima probabilità - ad essere
espunta dalla futura legislazione delegata dalla L. n. 219/2012), i figli
"legittimi" possono soddisfare in danaro o in beni immobili ereditari la
porzione spettante ai figli "naturali" che non vi si oppongano e, nel caso di
opposizione, decide il giudice, valutate le circostanze personali e
patrimoniali.
Il diritto di commutazione era previsto come una facoltà concessa solo
(33) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni
familiari, cit., p. 233.
(34) È stato giustamente osservato - come infra verrà meglio trattato - che occorre
porsi l'interrogativo della coerenza di tale nuovo assetto della famiglia rispetto a quanto
enunciato dalle norme costituzionali e in particolare dal comma 1 dell'art. 29, Cost., che
pone il matrimonio quale elemento costitutivo della famiglia, e dall'art. 30, ultimo comma,
Cost. Così M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni
familiari, cit., p. 233.
20
a favore dei figli "legittimi" - e non anche a favore del coniuge - nei
confronti dei figli "naturali" ( 35), rendendoli così estranei alla comunione
ereditaria ( 36).
Riterrei egualmente di fare un excursus storico dell'istituto. La facoltà
di commutazione fu introdotta dal codice civile del 1865, fu conservata nel
codice del 1942 ed è stata poi mantenuta anche con la riforma del diritto di
famiglia del 1975.
Il fine della introduzione dell'istituto nel codice del 1865 fu quello di
impedire un eccessivo frazionamento della proprietà; il fine del suo
mantenimento, nel codice del 1942 e anche a seguito della riforma del 1975,
- che pure aveva innovato con riguardo ai diritti dei figli naturali - era di
dare una preferenza alla famiglia "legittima" nei confronti della famiglia
"naturale".
Gran parte della dottrina, pur riconoscendo - fino all'entrata in vigore
della legge n. 219/2012 - la conformità del diritto di commutazione all'art.
30, comma 3, Cost. ("la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni
tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia
legittima"), tra la riforma del 1975 e quella del 2012 ( 37), ne aveva auspicato
il suo superamento, in considerazione della differenza di trattamento tra figli
"legittimi" e "naturali" ( 38).
In merito alla natura giuridica, la commutazione:
a) consisteva - secondo alcuni - in un diritto potestativo spettante ai
figli "legittimi" nei confronti dei figli "naturali", in quanto il suo esercizio
produceva il mutamento della situazione giuridica dei figli "commutati" in
conseguenza della dichiarazione di volontà degli altri figli.
Anche dopo la riforma del 1975 - che ha modificato in modo radicale
l'istituto introducendo il diritto di opposizione dei figli "commutati" e la
successiva valutazione decisionale del Giudice (come si vedrà ultra) - era in
(35) Era possibile soddisfare i figli naturali in danaro o in beni immobili ereditari e
non anche in beni mobili. Cfr. F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale,
Milano, 1962, p. 78.
(36) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 457.
(37) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione
legittima, in Trattato di diritto civile e commerciale, cit., p. 79 ss.; G. BONILINI, Manuale
di diritto di famiglia, Torino, 2006, p. 21.
(38) Cfr. G. BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, cit., p. 21.
21
parte rimasta, seppur minoritaria e isolata ( 39), la tesi del diritto potestativo
( 40);
b) consisteva in un
negozio giuridico
unilaterale (la c.d.
41
"dichiarazione di scelta") ( ), che potevano esercitare solo i figli "legittimi":
la facoltà andava comunicata ai figli "naturali" e, se il negozio era ritenuto
recettizio, si perfezionava al momento in cui perveniva a loro conoscenza
(ex art. 1334 cod. civ.);
c) secondo altra dottrina - che sembrava preferibile - sarebbe stato un
diritto potestativo ad esercizio controllato: i figli "naturali" potevano
opporsi alla facoltà di commutazione dei figli "legittimi"; in questo caso il
Giudice poteva verificare i presupposti della commutazione e la giusta
causa della volontà di esclusione dalla comunione ereditaria dei figli
"legittimi" ( 42);
d) consisteva in una proposta contrattuale, potendo essa essere
accettata o meno;
e) in base ad altra dottrina - che sembrava preferibile - rivestiva invece
una natura negoziale, la natura di contratto divisionale;
(39) S. D'AVINO, Commutazione delle quote ereditarie dei figli naturali, in Riv.
not., 1984, p. 564, secondo cui "la particolare incidenza di tale situazione giuridica si
manifesterebbe nel potere riconosciuto ai figli legittimi di provocare ex uno latere
l'esclusione dei figli naturali dalla comunione ereditaria, con l'assegnazione ad essi di
determinati beni rientranti nel compendio ereditario".
(40) N. PETRONI, Riconoscimento del figlio naturale, in Enc. Diritto, XL, p. 623,
secondo cui "la nuova formulazione ha indotto parte della dottrina a qualificare in termini
giuridici diversi il diritto di commutazione".
(41) AA.VV., in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, a cura di G.
BONILINI, Milano, 2009, p. 292; L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte
speciale. Successione legittima, cit., p. 81; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e
delle donazioni, Torino, 2006, p. 134; L. FERRI, Dei legittimari. Art. 536 - 564, cit., p. 35.
(42) Cfr. G. TAMBURRINO, Successione necessaria (diritto privato), in Enc.
Diritto, XLIII, Milano, 1990, p. 1357, se "il figlio naturale contesta in concreto le
condizioni di legge cui il diritto potestativo è subordinato nel suo nascere, tale
contestazione non può che portare, nel caso in cui il giudice accerti l'esistenza di queste
condizioni, all'affermazione del diritto potestativo con Sentenza costitutiva del giudice". Di
tale opinione è stata anche la Corte Costituzionale che, con Sentenza n. 335 in data 14
dicembre 2009, ha stabilito che, in seguito alla riforma del diritto di famiglia del 1975 - che
ha modificato radicalmente quanto in precedenza previsto in tema di diritto di
commutazione dall'art. 541 cod. civ. (abrogato dall'art. 177 della stessa legge n. 151 del
1975) - aveva rimodulato il diritto di commutazione "trasformato da insindacabile diritto
meramente potestativo attribuito ai figli legittimi a diritto ad esercizio puntualmente
controllato, in quanto soggetto alla duplice condizione della mancata opposizione del figlio
naturale e della decisione del Giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali".
Cfr., Corte Costituzionale sentenza n. 335/2009, Home Page Corte Costituzionale,
http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2009&numero=335, 7
luglio 2013.
22
f) era una facoltà sottoposta al sindacato del Giudice sulla legittimità
della commutazione con la possibilità di operare un bilanciamento degli
interessi in causa ed un controllo sia relativamente all'esercizio del diritto di
commutazione, sia in merito all'aspetto quantitativo dei diritti che si
pretendeva fossero assegnati ai figli "naturali", sia con riguardo alle
"circostanze personali" del caso;
g) nasceva necessariamente una trattativa negoziale nel caso di
opposizione dei figli "naturali" alla facoltà di commutazione dei figli
"legittimi"; per raggiungere il loro obiettivo i figli "legittimi" dovevano
necessariamente aprire una trattativa negoziale sui beni da attribuire in
proprietà esclusiva ai figli "naturali" a titolo di commutazione, che, in caso
di accordo, si concretizzava in un contratto di natura divisoria (atto di
"stralcio divisionale" o atto di "divisione" o atto di "permuta di quote" tra
comproprietari, al fine di poter attribuire in proprietà esclusiva determinati
beni ad uno o più comproprietari);
h) l'efficacia della "dichiarazione di scelta" era subordinata alla
condizione sospensiva della non opposizione dei figli naturali (43).
(43) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione
legittima, cit., p. 85 ss. In merito alla collocazione sistematica dell'istituto nel nostro
ordinamento civilistico, la legge prevedeva la facoltà di commutazione sia nella
successione necessaria (art. 537, comma 3, ed art. 542, comma 3, cod. civ.) sia nella
successione legittima (art. 566, comma 2, cod. civ.). Questa previsione avrebbe
testimoniato un "principio fondante" del nostro sistema successorio. Secondo la dottrina
dominante l’istituto sarebbe stato invece incompatibile e non poteva essere esteso alla
successione testamentaria: sia perché non è prevista normativamente nella successione
testamentaria, sia per il supposto suo carattere eccezionale (in quanto facoltà concessa dal
legislatore ai soli figli legittimi). Cfr. G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Tomo 1, cit.,
p. 463; C. M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni, Milano, 1985, p. 516;
L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit.,
p. 90; G. V. CASULLI e V. R. CASULLI, Successione necessaria, in Nuovissimo Digesto,
Torino, 1987, p. 631 ss. Su questa opinione, mi permetto di dissentire, potendo invece
essere prevista in un testamento, come esercizio della libertà testamentaria e dell'autonomia
negoziale. L'importante era che il figlio "naturale" potesse ottenere la sua legittima, intesa
in senso "quantitativo" (come è pacifico in dottrina ed in giurisprudenza dalla "natura
quantitativa e non qualitativa" della quota di legittima). D'altronde il testatore può
liberamente comporre la quota di legittima di un legittimario a sua discrezione con gli
istituti della "divisione del testatore" (ex art. 734 cod. civ.) e delle "norme date dal testatore
per la divisione" (ex art. 733 cod. civ.) e con l'apporzionamento dell'istitutio ex re certa (ex
art. 588 cod. civ.). Si veda anche ultra al successivo §.
23
8.
Conseguenze sul piano ereditario: l'incompatibilità dell'istituto della
commutazione con la riforma. La posizione della Corte Cost. sulla
commutazione nella Sentenza n. 335/2009.
L'introduzione dell'unico
stato
giuridico
di
figlio, la totale
equiparazione tra figli "nati nel matrimonio" e figli "nati fuori dal
matrimonio" e la strada ormai irreversibile scelta del legislatore della
riforma n. 219/2012 hanno privato del tutto il contenuto dell'istituto del
diritto di commutazione, sebbene la norma che lo disciplina (l'art. 537,
comma 3, cod. civ.) non sia stata ancora espunta dal codice civile.
Si può sostenere che con la predetta legge di riforma si sia verificato
un'abrogazione, per ora solo tacita, dell'istituto della commutazione per
l'incompatibilità fra le disposizioni della legge di riforma e quelle
precedenti in tema di commutazione, per una contraddizione tale da rendere
impossibile la contemporanea applicazione delle nuove disposizioni con le
precedenti ( 44).
In tale prospettiva, i figli "nati fuori dal matrimonio" e che già
concorrevano a pieno titolo come eredi nell'eredità dei propri genitori, non
potranno più essere "liquidati" dai figli "nati nel matrimonio" con l'istituto
del diritto di commutazione.
In particolare la norma di cui all'art. 537, comma 3, cod. civ., così
come formulata, dovrà - con grandissima probabilità - essere sostituita dai
previsti decreti legislativi di revisione al dichiarato fine di "eliminare ogni
discriminazione tra i figli".
E ciò:
a) nel rispetto dell'art. 30, comma 3, Cost. ("La legge assicura ai figli
(44) Come noto, si ha abrogazione tacita se nella legge successiva manca una
dichiarazione formale di abrogazione, ma le disposizioni posteriori: a) o sono incompatibili
con una o più disposizioni antecedenti (sussiste incompatibilità quando fra le disposizioni
successive e quelle precedenti vi sia una contraddizione tale da renderne impossibile la
contemporanea applicazione); b) o costituiscono una regolamentazione dell'intera materia
già regolata dalla legge precedente, la quale, pertanto, deve ritenersi assorbita e sostituita
integralmente dalle disposizioni più recenti anche in assenza di una vera e propria
incompatibilità tra la vecchia e la nuova disciplina. Così A. TORRENTE, P.
SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 43.
24
nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale ...)";
b) con riguardo all'art. 3 Cost. ("tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione (…) di condizioni
personali e sociali");
c) con riguardo ai principi di cui all'art. 315, cod. civ. (come
modificato dall'art. 1 L. 10 dicembre 2012, n. 219), secondo cui tutti i figli
hanno lo stesso stato giuridico e dell'art. 315 bis, comma 2, cod. civ.
(aggiunto dall'art. 1 L. n. 219/2012), secondo cui il figlio ha diritto di
crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Riterrei comunque di fare alcune considerazioni tra passato e futuro,
"de iure condito" e " de iure condendo".
Era anzitutto quanto meno dubbia la natura giuridica di diritto
potestativo del diritto di commutazione.
Prima della riforma del diritto di famiglia del 1975 non era previsto "il
diritto di opposizione alla commutazione" e pertanto si poteva allora
sostenere che l'atto di commutazione fosse un negozio giuridico unilaterale
esercitato dai figli nati nel matrimonio nei confronti dei figli nati fuori dal
matrimonio. A seguito della nuova formulazione dell'art. 537, come
modificato dalla legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha
previsto l'opposizione, il negozio di commutazione aveva assunto una
natura giuridica diversa, di negozio bilaterale o plurilaterale, essendo
necessaria la volontà dei figli nati fuori dal matrimonio.
La fase esecutiva della commutazione poteva avvenire pertanto solo in
base ad un accordo o, in mancanza di questo, in base ad una decisione
giudiziale ( 45).
L'effetto finale che si verificava era analogo a ciò che avviene quando
il testatore, avvalendosi della sua libertà testamentaria e della sua
(45) In forza del quale in luogo della quota indivisa sulla comunione ereditaria si
attribuivano ai figli nati fuori dal matrimonio denaro o immobili ereditari, corrispondenti al
valore della quota ereditaria, in modo che i figli che sceglievano volontariamente di uscire
dalla comunione ereditaria avevano integri i loro diritti ereditari. Nel caso di un'eventuale
successiva scoperta di beni ereditari, si doveva procedere a un "supplemento di divisione",
perché i figli "naturali" ed anche i loro eredi, avevano un diritto pro-quota sui successivi
beni scoperti, per cui si doveva tenerne conto perché precedentemente la comunione
ereditaria è stata sciolta rispetto ad altri beni. Così L. MENGONI, Successioni per causa di
morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 81.
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discrezionalità nel fare la divisione tra i suoi eredi, beni diversi tra i figli
(dal punto di vista qualitativo) purché rispetti il valore della legittima a loro
spettante (c.d. "natura quantitativa e non qualitativa della legittima").
Infatti il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi (art. 734,
comma 1, cod. civ.), o stabilire particolari norme per formare le porzioni
(art. 733 cod. civ.), o assegnare uno o alcuni beni determinati come quota
del patrimonio attraverso la c.d. istituzione di erede ex re certa (art. 588 cod.
civ.), attribuendo a sua discrezione beni determinati ad alcuni suoi eredi,
evitando la comunione ereditaria tra tutti o alcuni dei suoi eredi.
Anche nella commutazione il valore dei beni attribuiti ai figli doveva
corrispondere alla loro quota ereditaria, uguale tra figli "matrimoniali" e
"non matrimoniali". In più, i figli che venivano "commutati" dovevano
acconsentire alla "surrogazione" della quota indivisa con beni determinati,
eventualmente mediante la "non opposizione"; mentre nel caso della
divisione del testatore o delle norme divisionali del testatore o
dell'istituzione ex re certa, i figli sono tenuti ad "accettare" i beni attribuiti
loro dal genitore, qualunque sia la loro natura (e pertanto anche solo beni
mobili o solo crediti o solo partecipazioni societarie), purché sia rispettata la
quota di legittima.
La Corte Costituzionale, investita di recente della questione di
legittimità costituzionale, con la citata Sentenza n. 335 in data 14 dicembre
2009 ( 46), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 537, comma 3°, cod. civ., in riferimento agli artt. 3 e
30, comma 3°, Cost., sollevata dal Tribunale Ordinario di Cosenza ( 47).
Secondo la Corte Costituzionale:
a) con l'art. 30, comma 3, Cost., che prevede espressamente che "la
legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e
sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima", si
esprime una regola di equiparazione dello status di figlio naturale allo status
di figlio legittimo nei limiti di compatibilità con i diritti dei membri della
(46) Cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 335/2009, cit.
(47) Cfr. Tribunale ordinario di Cosenza, Ordinanza n. 68/2008, in Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 10, prima serie speciale, anno 2009.
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famiglia legittima fondata sul matrimonio;
b) il precetto costituzionale di cui all'art. 30, comma 3, prevede,
nell'ambito dei rapporti tra il figlio naturale e i membri della famiglia
legittima, un criterio di compatibilità, "finalizzato alla composizione dei
diritti coinvolti, che deve compiersi in un contesto (non già di
discriminazione della posizione dell'uno rispetto a quella degli altri, quanto
piuttosto) di riconoscimento della diversità delle posizioni in esame";
c) l'art. 537 cod. civ. (come sostituito dall'art. 173 della legge 19
maggio 1975, n. 151), oltre a prevedere e regolamentare il diritto di
commutazione, dispone che, nell'ipotesi di concorso all'eredità di figli
legittimi e naturali, "agli uni e agli altri sono attribuiti in egual misura i
medesimi diritti successori (comma 1 e 2)";
d) il legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975
(abrogando l'art. 541 cod. civ.), ha equiparato i diritti successori dei figli
"legittimi" e "naturali", contestualmente rimodulando il diritto di
commutazione, che riguarda [solo] la fase di divisione dell'asse ereditario,
trasformato da insindacabile diritto meramente potestativo attribuito ai figli
"legittimi" a diritto ad esercizio puntualmente controllato;
e) la commutazione, condizionata dalla previsione della facoltà di
opposizione da parte del figlio "naturale" e dalla valutazione delle specifiche
circostanze poste a base della decisione del giudice, non contraddice
l'aspirazione alla (...) parificazione della posizione dei figli "naturali",
giacché non irragionevolmente si pone come termine di bilanciamento
(compatibilità) dei diritti del figlio "naturale" in rapporto con i figli membri
della famiglia legittima fondata sul matrimonio;
f) il giudice assume il ruolo di garante della "parità di trattamento
nella diversità" e la concretezza della soluzione giurisdizionale permette di
calibrare la singola decisione alle specifiche circostanze personali (attinente
ai pregressi rapporti tra i figli) e patrimoniali (riguardanti la situazione dei
beni lasciati in eredità, in considerazione sia della loro maggiore
conservazione e gestione, sia del rapporto che lega l'erede al bene);
g) la ratio sottesa alla norma non può dirsi anacronistica anche per la
sua formulazione "aperta" e la disposizione appare viceversa idonea alla
27
valutazione delle singole fattispecie che possono verificarsi in concreto e
perciò la norma è immune da vizi di incostituzionalità.
Questo l'ultimo intervento della Corte Costituzionale sull'argomento.
Si vedrà se il legislatore delegato, in qualche modo, ne terrà conto, anche in
considerazione della data recente (2009) della pronuncia ( 48). Il legislatore
potrà ritenere di aver già fatto, a monte, una scelta "politica" di base. Pare
che, comunque, la via sia ormai tracciata e non possa più essere cambiata.
Bisogna tener conto dei cambiamenti della società e della nascita di
"nuove comunità" di affetti, che non si possono disconoscere e del
fenomeno sempre più crescente della filiazione "non matrimoniale", che va
incontestabilmente tutelata.
Dalle attuali norme sopra citate - come è stato sottolineato - risulta
radicalmente modificata la nozione di "famiglia legale", che non appare più
necessariamente fondata sul matrimonio, considerato che i vincoli tra i suoi
membri prescindono spesso da esso ( 49).
Occorre,
comunque,
porsi
l'interrogativo
della
coerenza
dell'abrogazione del diritto di commutazione con il disposto dell'art. 29
Cost., che
pone il matrimonio a base della famiglia ("la Repubblica
riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
(48) Così anche V. BARBA, La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942
al disegno di legge recante "Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali", in
Famiglia, Persone e Successioni, 2012, pp. 662-663, che, ipotizzando l'eliminazione del
diritto di commutazione da parte del legislatore delegato, pone qualche dubbio al riguardo
"perché occorre verificare se la delega al Governo di cui all'art. 2, co. 1°, lett. l, lo consenta
appieno, anche alla luce dell'ultimo intervento della Corte Costituzionale del 2009 e in
considerazione del rilievo che, nella stessa delega, il disegno di legge (art. 2, co. 1°)
ammonisce sul rispetto dell'Art. 30 Cost.". Lo stesso Autore auspica poi: "(…) la legge
delegata dovrebbe, nel concorso tra figli legittimi e figli naturali, tanto nel caso di
successione legittima, quanto nella disciplina della successione necessaria, definitivamente
cancellare le norme che attribuiscono ai primi il diritto di soddisfare, in danaro o in beni
ereditari, la quota che spetta ai secondi". Lo stesso Autore considera che
l’ammodernamento del nostro diritto successorio meriterebbe ben altro intervento e, sopra
tutti, la eliminazione della disciplina della successione necessaria, più volte annunciata, ma
mai portata a compimento, vero ostacolo della piena affermazione dell'autonomia
testamentaria e retaggio di modelli culturali, oggi non più, unanimemente condivisi".
Tuttavia la successione necessaria è proprio ispirata alla tutela dei più stretti vincoli
familiari (in particolare verso i figli), di fronte alla quale viene limitata la volontà di
disporre del testatore: "ripugna alla coscienza collettiva che tutti i beni del de cuius siano
lasciati o donati ad un estraneo e che qualcuno dei figli o il coniuge non riceva nulla". Così
anche A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., pp. 1284-1285.
(49) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni
familiari, cit., p. 233.
28
matrimonio") e dell'art. 30, comma 3, Cost. ("La legge assicura ai figli nati
fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti
dei membri della famiglia legittima").
Si è di fronte a due precetti costituzionali che se analizzati - alla luce
della riforma del 2012 - da diverse visualità potrebbero porre qualche
problema nell'attività interpretativa tra norme costituzionali e norme
ordinarie: da un lato l'eliminazione di qualsiasi discriminazione tra figli (ex
art. 30, comma 2, Cost.), dall'altro la tutela dei "figli nati fuori dal
matrimonio" ma "compatibile" con i diritti dei membri della famiglia
legittima (art. 30, comma 3, Cost.) e la tutela della famiglia come società
naturale, di cui la Costituzione ne riconosce i diritti (art. 29 Cost.). Per cui si
pone un problema di interpretazione "adeguatrice" della legge con la
Costituzione ( 50).
Si è consapevoli che la legge di riforma del 2012 è stata approvata
proprio per attuare i principi costituzionali (51), tuttavia non è agevole
conciliarne gli effetti con il modello costituzionale della famiglia ex art. 29
Cost.
La famiglia, che si prospetta dalla legge di riforma della filiazione,
invece, è una famiglia estesa.
Si è andati, con la riforma, verso una famiglia "aperta". Resta tuttavia
la constatazione che la norma costituzionale di cui all'art. 29 pensava alla
famiglia nucleare e che non consente di includervi fattispecie familiari senza
matrimonio ( 52).
Va condivisa l'osservazione di una parte della dottrina secondo cui
(50) I. CIOLLI, Brevi note in tema di interpretazione conforme a costituzione, in
Rivista AIC Associazione Italiana dei Costituzionalisti, I, 2012, Home Page AIC,
http://www.rivistaaic.it/articolorivista/brevi-note-tema-d-interpretazione-conformecostituzione, 7 luglio 2013; A. PACE, I limiti dell’interpretazione "adeguatrice", in
Giurisprudenza costituzionale, 1963, p. 1066 ss.: "il vero problema è che non si può far
dire, attraverso l’interpretazione conforme, ciò che la norma non dice". Da tener presente
che il nostro sistema è congegnato in modo che la Corte Cost., pur non potendo definirsi
l'unico interprete della Costituzione, ne resti l'interprete privilegiato. Così M. RUOTOLO,
L'interpretazione conforme a Costituzione nella più recente giurisprudenza costituzionale,
in Giurisprudenza costituzionale, a cura di A. PACE, Corte Costituzionale processo
costituzionale nell'esperienza della rivista Giurisprudenza costituzionale per il
Cinquantesimo anniversario, Milano, 2006, p. 905.
(51) C. M. BIANCA, Dove va il diritto di famiglia?, in Familia, 2001, p. 9; G.
FERRANDO, in Tratt. dir. priv., diretto da P. RESCIGNO, II ed., Torino, 1997, p. 131.
(52) A. TRABUCCHI, Natura legge famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, 1.
29
l'intervento del legislatore del 2012 si muove su un piano diverso da quello
propriamente successorio:
a) la legge attua direttamente l'inserimento del figlio concepito fuori
dal matrimonio nella famiglia del proprio genitore, affermando che il
vincolo di parentela sancisce l'appartenenza alla famiglia;
b) una cosa è, tuttavia, collocare i figli "concepiti e nati fuori dal
matrimonio" sic et simpliciter nell'ambito della parentela e quindi della
famiglia;
c) cosa diversa è estendere la chiamata alla successione ai parenti
"naturali" ( 53).
L'abrogazione del diritto di commutazione potrebbe essere pertanto
una questione costituzionalmente non del tutto definitivamente chiusa ( 54).
9.
Segue: una rimodulazione del diritto di "commutazione" in funzione
"economica" e di tutela del patrimonio aziendale della famiglia?
L'eliminazione (pressoché certa) del diritto di commutazione, così
come
formulato,
significa
andare
contro
l'idea
di
impedire
la
frammentazione del patrimonio ereditario e andare contro la tendenza della
devoluzione aziendale unitaria a quei soggetti che effettivamente hanno
collaborato nella famiglia e nell'impresa di famiglia.
Nel passato si è tanto parlato di "principio di unità della successione"
( 55). Il legislatore, in tanti casi, ha tentato di porre rimedio alla
(53) In questo senso è illuminante L. SESTA, L'unicità dello stato di filiazione e i
nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., p. 234.
(54) Anche se sul punto in dottrina vi sono opinioni assolutamente prevalenti nel
senso della incompatibilità del diritto di commutazione con la riforma in essere. Cfr. in
particolare Appendice di aggiornamento "Le nuove norme in materia di filiazione (Legge
10 dicembre 2012 n. 219)", pag. 22, a cura di F. ANELLI e C. GRANELLI, Manuale di
diritto privato di A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, cit.; A. PALAZZO, La riforma
dello status di filiazione, in Riv. dir. civ., Padova, 2013, p. 259; V. BARBA, La successione
mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno di legge recante "Disposizioni in
materia di riconoscimento dei figli naturali", cit., p. 664.
(55) G. DE NOVA, Il principio di unità della successione e la destinazione dei beni
alla produzione agricola, in Riv. dir. agr., Milano, 1979, p. 509 ss.
30
frammentazione e alla polverizzazione aziendale ( 56).
Nel passato, inoltre, è sempre stata rivolta l'accusa al nostro regime
successorio di dettare una disciplina troppo uniforme, trascurando la diversa
natura dei beni ereditari. È stato anche detto che gli inconvenienti erano
evidenti nell'ipotesi in cui la successione avesse per oggetto un'azienda e che
la sopravvivenza dell'impresa era condizionata al permanere dell'integrità
aziendale, che è, a sua volta, condizionata dallo stato di indivisione. Si è più
volte osservato che la successione nell'azienda deve essere finalizzata alla
conservazione del complesso produttivo, anche a costo di sacrificare altre
esigenze (l'autonomia del de cuius, i vincoli familiari, l'eguaglianza tra i
coeredi). E ciò al fine garantire la conservazione dell'unità economica,
indipendentemente dalle sue dimensioni; per la conservazione e la continuità
dell'impresa, intesa come prosecuzione dell'attività imprenditoriale da parte
dei collaboratori del de cuius, dopo la sua morte; per la continuità
dell'impresa, intesa come prosecuzione da parte di soggetti dotati dei
necessari requisiti professionali.
È stato pertanto spesso sottolineato che il nemico dell'integrità
dell'azienda fosse la divisione ereditaria, conseguenza di un regime
successorio che prevede diritti in natura per i successori legittimi ed i
legittimari.
La continuità aziendale può avvenire in due modi: facendo sì che i
coeredi rimangano comproprietari, ovvero prevedendo l'assegnazione
dell'azienda indivisa ad uno soltanto degli eredi.
La prima soluzione presenta degli inconvenienti: la possibile
contitolarità di coeredi non imprenditori; la possibile contitolarità di un
numero eccessivo di persone rispetto alla potenzialità dell'azienda; la
(56) Si ricordi la normativa del 1933 sulla bonifica integrale, basata sulla
ricomposizione fondiaria; la creazione dell'unità colturale e delle sua indivisibilità al di
sotto dell'unità colturale, nella cui disciplina si prevedeva che, in caso di scioglimento della
comunione, il fondo indivisibile fosse assegnato ad uno solo dei comproprietari, che fosse
stato coltivatore diretto, compensando gli altri comproprietari in danaro; la legge n.
1078/1940 relativa alle unità poderali, poste in comprensori di bonifica e assegnate in
proprietà a coltivatori diretti, e che prevedeva che in caso di morte del titolare l'unità
poderale dovesse essere assegnata ad un unico erede e che se i beni che facevano parte
dell'asse ereditario non erano sufficienti, per il conguaglio in danaro l'erede assegnatario
poteva pagare il suo debito in dieci anni con gli interessi legali e ricorrere al credito agrario.
31
necessità di una gestione collettiva.
A tutela della integrità del patrimonio ereditario, nell'ipotesi in cui vi
fossero comprese imprese, sono state previste varie norme:
a) l'art. 230 bis cod. civ., in base al quale il familiare che presti in
modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa
familiare, oltre ai noti diritti previsti dalla comma 1, ha diritto, in caso di
divisione ereditaria, alla prelazione sull'azienda, per cui i figli non
imprenditori vengono liquidati con altri beni ereditari o con denaro. La
norma può essere riletta anche in un altro modo: in caso di divisione
ereditaria i familiari coeredi partecipanti all'impresa hanno diritto
all'assegnazione dell'azienda, a preferenza degli altri coeredi non partecipi
che possono essere liquidati con altri beni ereditari, salvo che si decida con
il consenso di tutti i partecipanti alla continuazione nell'impresa;
b) gli artt. da 768-bis a 768-octies cod. civ., introdotti dalla l. 14
febbraio 2006, n. 55, in materia di patto di famiglia, che si propone di
consentire a colui che sia titolare di un'attività economica, gestita
direttamente quale imprenditore individuale o attraverso una struttura
societaria, di dare una destinazione stabile all'impresa a favore dei propri
discendenti, prevenendo eventuali dispute successorie che potrebbero
condurre ad una frammentazione del complesso aziendale o addirittura ad
una crisi dell'impresa a causa di una gestione non condivisa o, peggio,
litigiosa da parte dei contitolari (infatti una gestione incoerente e una
situazione di stallo nella conduzione, provocati dalla presenza di contitolari
in lite fra loro, possono rapidamente condurre alla rovina di una impresa)
( 57). Chi si occupa di successioni nella pratica sa che, apertasi la
successione, si possono scatenare controversie tra eredi che, reclamando i
propri diritti, pongono in discussione la composizione dei beni, la loro
natura, il loro valore, ecc. L'esito di tali controversie è spesso la
disgregazione aziendale. La legge che ha introdotto il patto di famiglia ha
proprio voluto favorire la conservazione dell'integrità delle aziende nei
passaggi da una generazione all'altra.
(57) A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., pp. 12971298.
32
Il patto di famiglia, ex art. 768- bis, cod. civ., è, come noto, un
contratto con cui si trasferiscono le aziende o le partecipazioni societarie del
titolare ad uno o più discendenti, escludendo gli altri. Dunque gli assegnatari
del complesso produttivo possono essere soltanto determinati discendenti e
non altri familiari (il titolare può ritenere che determinati figli siano inadatti
alla gestione aziendale). In base alle norme sul patto di famiglia i
partecipanti al patto non assegnatari hanno diritto di essere "liquidati" dagli
assegnatari con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle
quote previste dalla legge in tema di successione. Inoltre i contraenti
possono convenire che la liquidazione, in tutto in parte, avvenga in natura,
scorporando dall'azienda un cespite o soddisfacendo gli altri legittimari con
beni diversi che vengono imputati alle quote di legittima loro spettanti (art.
768-quater, comma 3, cod. civ.). Addirittura, a tutela della stabilità del
contratto, la legge (art. 768-quater, comma 4, cod. civ.) precisa che quanto
ricevuto dai contraenti non assegnatari non è soggetto a collazione o a
riduzione.
De iure condendo, nell'eliminare il diritto di commutazione, il
legislatore potrebbe "valutare" una norma con una funzione analoga agli
istituti "deflattivi" sopra citati, che miri alla tutela dell'integrità aziendale e
di soggetti che hanno partecipato all'azienda familiare, fermo rimanendo il
diritto del familiare non assegnatario di ricevere una somma in danaro o altri
beni ereditari.
Nessun danno e nessun pregiudizio potrebbe subire il legittimario
"surrogato", dal momento che il soggetto potrebbe opporsi, rimanendo nella
comunione ereditaria oppure potrebbe ben ritenere di scegliere di uscire
dalla comunione ereditaria accettando o meglio "negoziando" beni immobili
ereditari o ottenendo, in tutto o in parte, danaro che dovrà sempre essere pari
al valore della quota che compete al figlio "surrogato".
Inoltre va tenuto presente che l'unitario statuto giuridico successorio
dei figli non distingue, ai fini divisori, a seconda che i figli siano nati da
persone unite in matrimonio o da persone non unite in matrimonio e legate
da puro affectio familiaris o addirittura occasionalmente da soggetti che
33
nulla hanno mai condiviso e nulla condivideranno nel futuro ( 58).
Ci si chiede che senso ha inserire sic et simpliciter un figlio "nato fuori
dal matrimonio" non solo nella famiglia allargata del genitore "naturale"
(ben venga), ma addirittura nella famiglia allargata del coniuge del genitore
"naturale" ("terzo genitore")?
Il problema è e può essere difficilmente superabile a livello normativo
con una soluzione de plano.
Ecco allora che la valutazione e la decisione del giudice - ex art. 537,
comma 2, cod. civ., come modificato dalla riforma del diritto di famiglia del
1975 - per il caso concreto era rilevantissimo e positivo, perché il Giudice
(58) Oltre alle considerazioni sopra fatte, occorre anche ricordare che i diritti
inviolabili dell'individuo vanno tutelati, non soltanto nella sfera individuale, ma anche nella
sfera sociale e nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, delle quali la
famiglia va considerata la prima e fondamentale espressione. Si ricorda il dettato
costituzionale dell'art. 2, secondo cui "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua
personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale". Inoltre non si ha violazione del principio di uguaglianza a tutelare,
oltre all'individuo singolo, anche i membri della famiglia, perché proprio l'art. 3 Cost.
impone un uguale trattamento per situazioni uguali e un trattamento differenziato per
situazioni di fatto difformi. L'art. 3 Cost. dispone che tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale, sono eguali davanti alla Legge senza distinzione (...) di condizioni personali e
sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza (...), impediscono il pieno sviluppo della persona
umana (...)". Forme diverse di convivenza richiedono di essere tutelate e disciplinate; e con
riferimento in particolare alla famiglia, va considerato che il matrimonio costituisce un
momento essenziale di espressione della dignità umana, garantito costituzionalmente
dall'art. 2 Cost. e, a livello sovranazionale, dagli art. 12 e 16 della Dichiarazione Universale
dei diritti dell'uomo del 1948, dagli art. 8 e 12 della Convenzione Europea dei Diritti
dell'Uomo e dagli artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea,
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000. Va tutelata ogni forma di comunità, semplice o
complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona (art. 2 Cost.),
intesa come stabile convivenza. Va egualmente tutelata "l'unità familiare", ex art. 2, comma
2, Cost. In base all'art. 29, comma 1, Cost., "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia
come società naturale fondata sul matrimonio". La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli
"non matrimoniali", confligge veramente con il rilievo costituzionale attribuito alla famiglia
legittima, come ha avuto modo di sottolineare recentemente la Corte Costituzionale nella
Sentenza n. 138 del 14 aprile 2010. Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 138/2010, Home
Page
Corte
costituzionale,
http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2010&numero=138, 7
luglio 2013. Il diritto e la libertà di sposarsi o di non sposarsi configura un diritto
fondamentale della persona, riconosciuto a livello nazionale (art. 2 Cost.) e sovranazionale
e il diritto di scegliere il coniuge autonomamente riguarda la sfera dell'autonomia e
dell'individualità, sicché si risolve in una scelta sulla quale lo Stato non può intervenire, se
non sussistono interessi prevalenti incompatibili. Cfr. Artt. 12 e 16 della Dichiarazione
Universale dei diritti dell'Uomo del 1948; artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000; Corte Costituzionale sentenza
n. 138/2010, cit.
34
poteva valutare "le circostanze personali e patrimoniali", soppesando i giusti
diritti dei figli "non matrimoniali" e dei figli "matrimoniali", ma anche del
coniuge, a seconda della partecipazione all'impresa del de cuius, della durata
della vita matrimoniale (di una vita oppure di qualche mese), del passaggio
generazionale dell'impresa anche a tutela dell'occupazione e della
produzione.
Allora quali potrebbero essere le alternative nei singoli casi concreti?
1°. Si potrebbe pensare a un diritto "surrogazione" in presenza di beni
determinati che giustificano il suo permanere per ragioni di "economia" e
di "produzione" e per ragioni di natura affettiva:
a) in presenza di un'azienda (o di più aziende) o di partecipazioni
societarie in una società dove è svolta l'attività aziendale familiare, i figli,
senza distinguere tra figli "matrimoniali" e "non matrimoniali", ed anche il
coniuge che partecipano all'azienda possono - e si usa la terminologia
normativa dell'art. 768-quater, cod. civ. in tema di "patto di famiglia" "liquidare" gli altri eredi e/o legatari, "ove questi non vi rinuncino in tutto o
in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle loro
quote" successorie o "in natura", prese dal patrimonio ereditario o al di fuori
di esso. "I beni (…) sono imputati alle quote di legittima loro spettanti (…).
"Quanto ricevuto" dagli assegnatari "non è soggetto a collazione o a
riduzione".
La ratio che sta a base di una modifica dell'ormai "superato" diritto di
commutazione sul "piano oggettivo" (e non più "soggettivo") sarebbe la
medesima di quella prevista in tema di "patto di famiglia" ex art. 768 bis e
ss. cod. civ.
In buona sostanza, si potrebbe prevedere una sorta di "diritto di
surrogazione" che, tuttavia, varrebbe per tutti i figli, "matrimoniali" e "non
matrimoniali", rispettando il principio di eguaglianza;
b) in presenza della casa familiare, si potrebbe prevedere un analogo
diritto che competerebbe al coniuge e/o ai figli (quali essi siano) che già
prima del decesso della persona della cui eredità si tratta, abitavano la casa
familiare per consentire ai medesimi di mantenere il ricordo e gli affetti
della famiglia, diritto esteso non solo alla casa, ma alle sue pertinenze ed ai
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mobili che la corredano, analogamente alla ratio legis prevista per il diritto
di abitazione e di uso sui mobili che la corredano dall'art. 540/2 cod. civ.
2°. Si potrebbe pensare all'equiparazione della facoltà di esercitare
tale diritto: tutti i figli avrebbero diritto di partecipare alla comunione
ereditaria, fatta salva la facoltà di alcuni dei figli (sia "matrimoniali" che
"non matrimoniali") che intendano "soddisfare in denaro o in beni
immobili", ma anche in "beni mobili" (ipotesi quest'ultima non prevista
dalla norma vigente), la porzione spettante agli altri figli che non vi si
oppongano. Nel caso di opposizione deciderebbe il giudice, valutate le
circostanze non solo personali e patrimoniali (come recita la regola attuale),
ma anche di continuità di impresa, di comunanza di vita e di lavoro con i
figli o alcuni di essi e con il coniuge.
3°. Si potrebbe addirittura pensare all'inversione della facoltà: tutti i
figli avrebbero diritto di partecipare alla comunione ereditaria, fatta salva la
facoltà dei figli "non matrimoniali" di richiedere di essere liquidati in denaro
o in determinati beni immobili o "beni mobili" ereditari (al fine di non
partecipare alla divisione) e gli altri figli "e il coniuge" non vi si oppongano.
Nel caso di opposizione deciderebbe il giudice, valutate le circostanze
personali, patrimoniali, di continuità di impresa, di comunanza di vita e di
lavoro con i figli o alcuni di essi e con il coniuge.
Fermo rimanendo che la totale equiparazione dello stato di figlio è
assolutamente fuori discussione, si vuole sollecitare una riflessione
sull'opportunità di favorire ragioni di comunanza di vita pregressa e di
azienda, ai fini della tutela di situazioni affettive consolidate e
dell'attenzione della continuità aziendale e di permanenza sul mercato
dell'impresa, per preservare posti di lavoro e competitività economica.
10. Conseguenze sul piano ereditario: l'aumento dei chiamati ex lege
nella linea collaterale.
La conseguenza immediata della riforma è un notevole aumento, nella
linea collaterale, dei successibili ex lege nella successione ab intestato, che
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si apre in mancanza di testamento.
Il vincolo di parentela si estende a favore dei parenti dei figli
"naturali"; vengono ad avere punti di contatto e rilevanza ereditaria due
alberi genealogici in linea collaterale, quello della parentela "legittima" e
quello della parentela "naturale".
Con riguardo alla parentela naturale diventano "successibili", con un
grande aumento dei chiamati:
- i fratelli e sorelle (2° grado), i figli di fratelli e sorelle (nipoti - 3° grado), i
figli di nipoti (4° grado);
- gli zii e le zie (fratelli e sorelle del padre e della madre - 3° grado);
- i primi cugini (figli degli zii - 4° grado);
- i secondi cugini (figli dei primi cugini - 5° grado);
- i prozii e le prozie (fratelli e sorelle dei nonni paterni e materni - 4° grado);
- i figli dei prozii (5° grado);
- i pronipoti (figli dei figli dei prozii - 6° grado).
Quando non vengono alla successione i parenti del "primo ordine" (i
figli e i loro discendenti per rappresentazione) e del "secondo ordine" (gli
ascendenti ed i fratelli, sorelle e, per rappresentazione, i loro figli), la
successione, naturalmente, si verifica in base alla regola secondo cui i
parenti collaterali dal terzo grado al sesto grado (il c.d. "terzo ordine" di
successibili) hanno diritto di venire alla successione secondo il principio che
il più vicino in grado esclude il più remoto, mentre quelli di pari grado
concorrono per quote eguali. La successione non ha luogo tra i parenti oltre
il sesto grado.
Mentre nella linea retta il figlio "concepito fuori dal matrimonio"
riconosciuto aveva già gli stessi diritti del figlio "matrimoniale" (l'ex figlio
legittimo) e così i loro discendenti e ascendenti (cfr. art. 536, commi 1 e 3,
cod. civ.).
11. Conseguenze sul piano ereditario: la successione dei fratelli e delle
sorelle naturali.
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Si era discusso in passato se si verificasse successione mortis causa tra
fratelli e sorelle "legittimi", da un lato, e tra fratelli e sorelle "naturali",
dall'altro lato, e anche tra fratelli e sorelle naturali tra loro. La risposta era
stata negativa.
Tradizionalmente, infatti, il nostro ordinamento era improntato al
riconoscimento ai fini successori della sola parentela legittima nella linea
collaterale ( 59). E ciò diversamente da quanto previsto in altri sistemi, a noi
vicini, che già da tempo avevano parificato sostanzialmente la posizione dei
parenti "naturali" a quelli "legittimi" ( 60).
Nel nostro ordinamento giuridico, dal punto di vista dell'aspetto
ereditario:
a) il riconoscimento produceva effetti successori solo nella linea retta
e con riguardo solo al genitore: la devoluzione ereditaria, pertanto,
avveniva solo a favore del figlio "naturale riconosciuto" e anche a favore
del genitore che aveva effettuato il riconoscimento (es. se moriva il padre,
ereditava il figlio naturale riconosciuto; se moriva il figlio naturale
riconosciuto, ereditava il padre) ( 61);
b) il figlio naturale, di regola, non aveva diritti sulla successione dei
parenti del genitore naturale che aveva effettuato il riconoscimento; né i
parenti del genitore che aveva effettuato il riconoscimento avevano diritti
sull'eredità del figlio naturale ( 62);
c) il riconoscimento e la dichiarazione giudiziale di paternità o di
maternità naturale non si estendevano al di là dei rapporti personali tra figlio
e genitore o tra figlio e genitori ( 63);
d) l'unica eccezione al principio appena richiamato era prevista nel
caso di morte dell'ascendente "legittimo", qualora il figlio "legittimo" e
(59) M. RONCHI, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di
G. BONILINI, III, La successione legittima, cit., p. 852.
(60) A. FUSARO, I diritti successori dei figli: modelli europei e proposte di riforma
a confronto, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2012, p. 747 ss.
(61) Ex art. 258, comma 1, cod. civ., ante riforma del 2012 "il riconoscimento non
produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvo i casi previsti dalla legge".
(62) F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, cit., p. 81.
(63) Se il riconoscimento era stato effettuato da entrambi i genitori o se la
dichiarazione giudiziale aveva fatto stato verso entrambi i genitori.
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genitore "naturale" che aveva effettuato il riconoscimento non poteva
(perché premorto) o non voleva accettare l'eredità del suo ascendente: in
questo caso il figlio naturale era ammesso a succedere all'ascendente
("legittimo") immediato del suo genitore naturale ( 64);
e) con riguardo, in particolare, ai rapporti tra fratelli e sorelle nell'art.
565 cod. civ. attuale ("Categoria dei successibili"), che elenca le categorie
dei successibili nell'ambito della successione legittima, non sono previsti i
fratelli e le sorelle naturali: "nella successione legittima l'eredità si devolve
al coniuge, ai discendenti legittimi e naturali, agli ascendenti legittimi, ai
collaterali, agli altri parenti e allo Stato, nell'ordine e secondo le regole
stabilite nel presente titolo". Naturalmente vi dovrà intervenire la
legislazione delegata.
All'interprete appare con chiarezza che la norma:
- sembra ignorare che sono certamente parenti collaterali i fratelli e le
sorelle;
- non aggiunge alla categoria dei collaterali l'aggettivo "naturale", al
contrario di quanto è previsto per i discendenti;
- esclude, in conseguenza, dalla successione i fratelli e le sorelle
"naturali", oltre alla categoria più ampia, degli altri parenti collaterali
"naturali";
f) anche all'art. 570, comma 1, codice civile - previsto nel Capo I
"successione dei parenti" - si fa riferimento solo alla successione dei "fratelli
e delle sorelle", senza accennare ai fratelli e sorelle "naturali". E così in altre
norme in tema di successioni (gli artt. 571, 572, 582 e 583 cod. civ.);
g) si è pertanto ritenuto che la successione ex lege dei collaterali e tra
i collaterali - tra cui i fratelli e le sorelle che sono parenti collaterali di 2°
grado - fosse prevista soltanto nell'ipotesi in cui il rapporto di parentela
risultasse "legittima" (65) escludendosi dalla successione ereditaria sia i
(64) F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, cit., p. 81 che
estendeva l'ipotesi al caso in cui - prima della riforma del diritto di famiglia del 1975 l'ascendente non avesse né il coniuge, né discendenti, né parenti o sorelle (e loro
discendenti), né parenti legittimi entro il terzo grado, a norma dell'allora vigente art. 577.
(65) A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 1226.
39
"fratelli e sorelle naturali" sia i parenti collaterali "naturali" in genere ( 66);
h) per regola generale, pertanto, la filiazione "naturale" comportava
l'instaurazione di un rapporto giuridicamente rilevante soltanto tra il
genitore e il figlio "naturale riconosciuto" e non era ravvisabile un rapporto
di "parentela naturale", ossia un vincolo tra il figlio e i parenti del genitore
che aveva effettuato il riconoscimento ( 67);
i) non era neppure applicabile l'istituto della rappresentazione a
favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle naturali del de cuius. Non
venendo alla successione i fratelli e le sorelle naturali, non potevano, come
corollario immediatamente conseguente, venire neppure alla successione i
loro discendenti per rappresentazione ex art. 467 cod. civ.
Sull'argomento è poi intervenuta la Corte Costituzionale. Sollevata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ., la Corte
Costituzionale in un primo tempo la considerò infondata, ma in epoca
successiva dichiarò costituzionalmente illegittimo l'art. 565 cod. civ. nella
parte in cui esclude dalla categoria dei chiamati alla successione legittima i
fratelli e le sorelle naturali (riconosciuti o dichiarati), per contrasto con gli
artt. 3 e 30, comma 3, Cost. (Sent. Corte Cost. 4 luglio 1979, n. 55).
La Corte Costituzionale con una successiva pronuncia (Sent. Corte
Cost. 12 aprile 1990, n. 184) poi confermò la propria posizione "ampliando"
la categoria dei successori legittimi fino a ricomprendervi anche i fratelli e
le sorelle naturali.
La Corte Costituzionale con la Sentenza n. 184/1990 stabilì che l'art.
565 cod. civ. doveva essere così letto: nella successione legittima l'eredità si
devolve al coniuge, ai discendenti "legittimi" e "naturali", agli ascendenti
legittimi, ai collaterali, agli altri parenti, ai fratelli e sorelle naturali, anche
unilaterali, e allo Stato, nell'ordine e secondo le regole stabilite nel presente
(66) L'effetto si spiegava - come detto - considerando che il riconoscimento (e la
dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità) non si estendeva al di là dei rapporti
personali tra figli e genitore, o tra figlio e genitori (se il riconoscimento fosse avvenuto ad
opera di entrambi i genitori o se la dichiarazione giudiziale avesse fatto stato verso
entrambi i genitori).
(67) A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 1281.
40
titolo ( 68).
La Sentenza ha suscitato tante perplessità e critiche in dottrina per
aver la Corte Costituzionale travalicato i propri compiti istituzionali
creando, con una pronuncia giurisprudenziale, una peculiare categoria di
successibili in una materia sottoposta a riserva di legge, ex art. 42 Cost. ( 69).
Comunque, anche dopo la Sentenza n. 184/1990 la posizione dei
fratelli e delle sorelle "naturali" rimaneva ancora deteriore rispetto a quella
di tutti gli altri parenti ammessi alla successione, in quanto i diritti
successori dei fratelli e delle sorelle "naturali" rimanevano postergati
rispetto a quelli di tutti i parenti legittimi, entro il sesto grado.
Tale ordine di chiamata postergato veniva a configurare una deroga al
principio della prossimità del grado nella successione legittima ( 70),
secondo cui il più vicino in grado esclude il più remoto, mentre quelli in pari
grado concorrono per quote eguali. Il principio è espresso dall'art. 572 cod.
civ.: la successione si apre "a favore del parente o dei parenti prossimi"
senza distinzione di linea (se il de cuius muore senza lasciare figli, né
genitori, né altri ascendenti, né fratelli o sorelle e loro discendenti).
La soluzione adottata dalla Corte Costituzionale non ha seguito
l'"ordine sistematico" in materia successoria perché la collocazione dei
fratelli "naturali" in posizione successiva rispetto a tutti gli altri parenti
legittimi è in contrasto - come detto - con il suddetto "principio di prossimità
del grado" ( 71). La dottrina è stata talmente critica al punto di richiedere
(68) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Tomo II, cit., p. 651; A. TORRENTE, P.
SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., pp. 1281 e 623
(69) In questo senso cfr. A. TRABUCCHI, Il titolo alla successione legittima e
l’affermazione di un diritto al di là della legge, in Riv. dir. civ., 1979, I, p. 505 ss.
(70) Contrasterebbe con ragioni affettive e di continuità di vita che sono alla base
della chiamata dei fratelli e delle sorelle. M. RONCHI, in Trattato di diritto delle
successioni e delle donazioni, a cura di G. BONILINI, III, La successione legittima, cit., p.
853.
(71) E. PEREGO, La successione fra fratelli naturali dopo la Sentenza della Corte
Costituzionale n. 184 del 1990, in Giustizia civile, 1990, p. 1133 ss.; M. RONCHI, in
Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di G. BONILINI, III, La
successione legittima, cit., p. 854, il quale afferma che la Sentenza della Corte
Costituzionale si è posta in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza,
soprattutto ove interpretato alla luce degli orientamenti marcatamente antidiscriminatori
manifestatasi negli ordinamenti a noi più vicini, nonché a livello delle istituzioni
sovranazionali e comunitarie. L'autore fa riferimento in particolare agli artt. 8 e 14 della
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, nell'interpretazione in chiave discriminatoria
fattane dalla Corte Europea di Strasburgo, nei casi Mazureck C. Francia e Marckx C.
41
l'intervento del legislatore, delle istituzioni e degli organi giurisdizionali
internazionali ( 72).
Investita ancora della questione di legittimità costituzionale, la Corte
Costituzionale (Sent. 7 novembre 1994, n. 377) aveva respinto l'eccezione di
legittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ. poiché competerebbe alla
discrezionalità del legislatore la definizione dell'ordine dei successibili e le
scelte concernenti la graduazione del trattamento riservato ai fratelli e le
sorelle naturali, in rapporto con quello previsto per i parenti legittimi.
Concludendo: nell'impianto letterale ancora attuale del codice civile e
per effetto della Sentenza della Corte Costituzionale 12 aprile 1990, n. 184, i
fratelli e le sorelle naturali succedono al de cuius soltanto in assenza di
parenti entro il sesto grado e prima dello Stato.
Addirittura il rapporto di parentela naturale ha, fino alla riforma del
2012, una posizione di svantaggio rispetto ai rapporti di parentela che si
instaurano in caso di adozione. Infatti, già con la L. 4 marzo 1983, n. 184,
art. 27, con l'adozione si instaurano rapporti di parentela "con tutti i parenti
degli adottanti". Ne deriva che i figli adottati con l'adozione legittimante
succedono ai fratelli e alle sorelle, perché si instaura un rapporto di parentela
con tutti i parenti degli adottanti.
Inoltre, nessuna tutela era riconosciuta (e non è ancora riconosciuta
nella formulazione attuale del codice civile, formulazione da ritenersi
tuttavia tacitamente abrogata in seguito alla riforma del 2012) ai "parenti
naturali" del de cuius di grado ulteriore al secondo, cioè di grado ulteriore
ai fratelli e alle sorelle. Sul punto la Corte Costituzionale aveva ritenuto
Belgio, 13 maggio 1979, in Foro it., 1979, IV, c. 342 ss., il quale ultimo verteva, tra l'atro,
sul trattamento successorio riservato dalla legge belga al figlio naturale; in entrambi i casi,
le pronunce hanno poi condotto gli Stati condannati alla revisione delle rispettive
legislazioni. Inoltre gli artt. 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea,
posti a tutela della vita privata e familiare, vietano qualsiasi forma di discriminazione
fondata sulla nascita. Cfr. F. GROSSI, Problemi attuali della nozione di parentela e di
famiglia, in Rass. dir. civ., Napoli, 2005, p. 660 ss.; G. FERRANDO, Il contributo della
Corte Europea dei diritti dell'uomo all'evoluzione del diritto di famiglia, in Nuova Giur.
Civ. Comm., 2005, p. 263.
(72) L'auspicio nei confronti dell'intervento del legislatore è stato ricorrente in
dottrina: Cfr. F. PROSPERI, L'incerto incidere della Corte Costituzionale nei confronti
della parentela naturale, in Nuove leggi civ. comm., 1990, p. 456 ss.; U. SALANITRO,
Modelli famigliari, mutamenti strutturali e disciplina della filiazione, in Fam. pers. e succ.,
2007, p. 10 ss.; G. FERRANDO, Il contributo della Corte Europea dei diritti dell'uomo
all'evoluzione del diritto di famiglia, cit., p. 273.
42
infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ. per
la parte in cui non prevede, in mancanza di altri successibili, la successione
dei "parenti naturali" (Sent. 23 novembre 2000, n. 532) ( 73).
In virtù della riforma n. 219/2012 nella successione legittima:
a) le categorie dei successibili sono le seguenti: il coniuge, i
discendenti, gli ascendenti, i fratelli e le sorelle anche unilaterali (senza
distinguere se nati entro o fuori dal matrimonio), gli altri collaterali, gli altri
parenti, lo Stato;
b) i fratelli e le sorelle, nonché i loro discendenti per rappresentazione,
succedono se il de cuius muoia senza lasciare prole, in concorso con il
coniuge (se esistente) e con gli ascendenti (se viventi);
c) i fratelli e le sorelle succedono in parti uguali (senza distinguere se
concepiti dentro o fuori dal matrimonio); per i fratelli e le sorelle unilaterali,
consanguinei (figli dello stesso padre, ma di madre diversa) o uterini (figli
della stessa madre, ma di padre diverso), si veda l'art. 570 cod. civ. e il
successivo §13;
d) i fratelli e le sorelle nati nel matrimonio ereditano dai fratelli e
sorelle nati fuori dal matrimonio, in mancanza di discendenti di questi
ultimi;
e) analogamente, i fratelli e le sorelle nati fuori dal matrimonio
ereditano dai fratelli e dalle sorelle nati nel matrimonio, se questi ultimi non
hanno discendenti legittimi;
f) i discendenti dei fratelli e delle sorelle del de cuius (senza
distinguere se nati dentro o fuori dal matrimonio) subentrano al loro
ascendente nel diritto di accettare un lascito qualora il chiamato loro
ascendente non possa o non voglia accettare l'eredità o il legato (art. 468
cod. civ.). Naturalmente la rappresentazione, secondo le regole generali, non
opera se il chiamato sia, rispetto al de cuius un parente diverso da un fratello
o sorella (oltre che diverso da un figlio), ad esempio un figlio del fratello,
qual è il nipote ex fratre o ex sorore.
(73) Così A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p.
1282. La Corte di Cassazione ha poi di recente deciso (Sent. 10 settembre 2007, n. 19011)
che la questione di legittimità non può più essere riproposta negli stessi termini, essendosi
la Corte Costituzionale già pronunciata.
43
Si riporta l'art. 565 cod. civ. vigente e l'art. 565 da modificarsi in base
ai decreti legislativi di adattamento alla riforma sulla filiazione.
Ante riforma
Art.
565.
Categoria
Post adattamento (probabile)
dei
Art.
565.
Categoria
dei
successibili.
successibili.
1. Nella successione legittima
1. Nella successione legittima
l'eredità si devolve al coniuge, ai
l'eredità si devolve al coniuge, ai
discendenti legittimi e naturali,
discendenti, agli ascendenti, ai
agli
ai
fratelli e alle sorelle, agli altri
collaterali, agli altri parenti e allo
collaterali, agli altri parenti e allo
Stato, nell'ordine e secondo le
Stato, nell'ordine e secondo le
regole stabilite nel presente titolo.
regole stabilite nel presente titolo.
ascendenti
legittimi,
12. Segue. La successione dei fratelli e delle sorelle adottivi.
In linea generale costituisce titolo per la successione legittima - oltre
al vincolo coniugale, al vincolo di parentela ed al rapporto di cittadinanza anche il vincolo di adozione, equiparato al vincolo di parentela.
Con riguardo alla successione dei fratelli e delle sorelle adottivi, anche
nei confronti degli altri parenti degli adottanti, si ritiene pacificamente che
rientrino anch'essi nei successibili, perché:
a) l'adozione ha per effetto l'acquisto, da parte del minore adottato,
dello status di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il
cognome (art. 27, comma 1);
b) con l'adozione si instaurano rapporti di parentela con tutti i parenti
degli adottanti (ex art. 27 L. 4 maggio 1983, n. 184).
Bisogna t ut t avi a distinguere, in base alla legge attualmente vigente,
tra "adozione legittimante", da un lato, e " adozione dei maggiorenni" e
"adozione dei minori in casi particolari", dall'altro lato.
44
Sono equiparati al vincolo di parentela, ma solo a favore dell'adottato
e non dell'adottante, il vincolo di adozione dei maggiorenni e dei minori
adottati in casi particolari.
I figli adottati con l'adozione legittimante succedono ai fratelli e
alle sorelle, perché - come detto - si instaurano rapporti di parentela
con tutti i parenti degli adottanti.
Diversa è la soluzione per gli adottati maggiori di età (artt. 291 ss.
cod. civ.) e per i minori adottati in casi particolari (artt. 44 s., L. n.
183/1984), i quali, non sussistendo alcun rapporto civile con la
famiglia dell'adottante, non succedono (art. 300, richiamato, per
l'adozione dei minori in casi particolari, dall'art. 55, L. n. 183/1984) ai
fratelli e alle sorelle.
13. Segue. La successione dei fratelli e delle sorelle unilaterali.
In base al nostro ordinamento i fratelli e le sorelle unilaterali
conseguono la metà della quota che conseguono i germani (art. 570, comma
2, cod. civ.).
La disposizione va in deroga alla regola secondo cui i fratelli e le
sorelle succedono in parti tra loro eguali (art. 570, comma 1, cod. civ.).
I fratelli e le sorelle - come noto - si distinguono in:
a) germani, quando hanno in comune entrambi i genitori;
b) unilaterali, quando hanno in comune solo un genitore. A loro volta i
fratelli e le sorelle unilaterali si distinguono in consanguinei, quando hanno
in comune solo il padre o uterini, quando hanno in comune solo la madre.
C'è da chiedersi se la riforma sulla filiazione vada ad incidere anche
sulla successione dei fratelli e delle sorelle unilaterali.
Va anzitutto premesso che - ovviamente - non necessariamente
"unilateralità" significa parentela "naturale". Infatti un fratello unilaterale
può essere nato in costanza di matrimonio. Ad esempio, il genitore, che
abbia avuto figli dal primo matrimonio, rimasto vedovo, si risposi e abbia
45
altri figli con il coniuge di seconde nozze. Oppure, altro esempio, il
genitore, che abbia avuto figli dal primo matrimonio, ottenga lo
scioglimento del matrimonio, si risposi e, in costanza del secondo
matrimonio, abbia figli con il secondo coniuge. In queste ipotesi i figli nati
dal primo matrimonio ed i figli nati dal secondo matrimonio sono
"unilaterali" perché hanno
in
comune un
solo
genitore,
seppur
"matrimoniali" ("legittimi"), perché "nati in costanza di matrimonio".
La unilateralità può, tuttavia, derivare anche da un rapporto di
filiazione avvenuto fuori dal matrimonio.
Si può ritenere che nulla sia cambiato con riguardo ai fratelli e alle
sorelle unilaterali in seguito alla riforma n. 219 del 2012, se non dal punto
di vista formalmente lessicale, per cui i fratelli unilaterali "nati fuori dal
matrimonio" non potranno più definirsi fratelli o sorelle unilaterali
"naturali".
La ratio, che sta alla base della successione in quota di metà dei
fratelli e sorelle unilaterali, rimane quella prevista dal legislatore
nell'impianto originario del codice civile: la diversa intensità dei vincoli di
parentela, per cui i fratelli e le sorelle unilaterali conseguono la metà
quando concorrono con fratelli e sorelle bilaterali o germani, perché hanno
in comune un solo genitore.
Si ricorda che la norma, che dispone che i fratelli e le sorelle
unilaterali conseguano la metà della quota dei fratelli germani (bilaterali),
adotta il criterio della cd. "quota di fatto": l'attribuzione, cioè, al fratello
unilaterale della quota che effettivamente consegue il fratello germano.
Il sistema della "quota di fatto" si contrappone al sistema della "quota
di diritto" che prevede porzioni predeterminate.
Con il sistema della quota di fatto, il calcolo delle quote spettanti ai
vari fratelli si effettua come segue:
a) si divide il valore dell'asse ereditario per la somma ottenuta
aggiungendo al numero dei fratelli o delle sorelle unilaterali il doppio del
numero dei fratelli o delle sorelle germani. Il quoziente ottenuto indica la
quota di ciascun unilaterale che è la metà della quota di ciascun germano
46
( 74);
b) oppure, si divide l'asse per la somma ottenuta aggiungendo al
numero dei germani la metà del numero degli unilaterali; il quoziente indica
in questo caso, la quota di ciascun germano che è il doppio della quota di
ciascun unilaterale ( 75).
Esempio in base al meccanismo di calcolo di cui alla lettera a): il
defunto lascia tre germani e due unilaterali e un patrimonio di 160; l'eredità
è così attribuita: si divide 160 per 8 (3 germani x 2 + 2 = 8) e cioè 160 : 8 =
20 e il quoziente 20 è assegnato a ciascuno dei 2 unilaterali, mentre il
doppio (20 x 2 = 40) spetterà a ciascuno dei tre germani ( 76).
Il criterio garantisce, sul piano matematico, il mantenimento di una
costante proporzione tra la quota dei fratelli germani e quella degli
unilaterali ( 77).
Il meccanismo di calcolo permette agli unilaterali di conseguire una
quota maggiore di quella che otterrebbero con il sistema della quota di
diritto. Infatti se, nell'esempio citato, si applicasse il sistema della quota di
diritto, il risultato sarebbe peggiore per gli unilaterali. Si dovrebbe prima
determinare la quota spettante a ciascun figlio come se l'unilaterale fosse
germano: quindi occorrerebbe dividere l'asse di 160 per 5, ottenendo 32; poi
ciascun unilaterale conseguirebbe la metà della quota che gli spetterebbe se
fosse germano, ossia (32 : 2 = 16); a ciascun unilaterale spetterebbe una
quota di 16 e la parte residua di asse (128) sarebbe divisa in parti uguali tra i
tre germani, ognuno dei quali otterrebbe una quota di 43 ( 78).
Il criterio della quota di fatto adottato dal legislatore attenua, pertanto,
la disparità di trattamento nei confronti dei fratelli unilaterali accordando a
loro una quota maggiore di quella risultante dall'applicazione del criterio
della quota di diritto. La preferenza, espressamente manifestata dal
legislatore del 1942 per il metodo della quota di fatto, può essere spiegata
(74) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 649.
(75) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successioni
legittime, cit., p. 98.
(76) Cfr. G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 650.
(77) M. RONCHI, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di
G. BONILINI, III, La successione legittima, cit., p. 854
(78) Cfr. G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 650.
47
appunto con la volontà di "attenuare la disparità di trattamento fra fratelli
bilaterali (germani) e fratelli unilaterali (consanguinei e uterini) ( 79).
C'è da chiedersi ancora: muta qualcosa con l'intervento della riforma
del 2012?
Riterrei di no, vista la ratio (la diversa intensità del vincolo di
parentela) che sta alla base della norma di cui all'art. 570, comma 2, cod.
civ.
14. La successione degli altri parenti "naturali" in linea collaterale.
L'effetto "dirompente" e non ancora "valutato".
Come ricordato (§ 3 e 10), il vincolo di parentela naturale costituiva
titolo per la successione ereditaria, secondo il nostro ordinamento giuridico,
entro limiti ben determinati:
a) in linea retta sia nel caso di morte del genitore "naturale" verso il
figlio "naturale" riconosciuto o dichiarato, sia nel caso di morte del figlio
"naturale" verso il genitore "naturale" (se moriva il padre, ereditava il figlio
naturale; se moriva il figlio naturale riconosciuto, ereditava il padre) ( 80).
Per contro, il riconoscimento del figlio premorto non produceva effetti in
ordine alla chiamata del genitore alla sua eredità (art. 255, cod. civ.);
b) in linea collaterale solo tra fratelli e sorelle "legittimi" e "naturali"
(riconosciuti
o
dichiarati) a seguito
della
Sentenza della Corte
Costituzionale n. 184/1990;
c) non aveva rilevanza - fino alla riforma del 2012 - il vincolo
naturale in linea collaterale di grado ulteriore al secondo.
Investita più volte della questione di legittimità costituzionale dell'art.
(79) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successioni
legittime, cit., p. 98 (idea - considerata dal MENGONI - come "non degna di un legislatore
civile"). Si ricorda che nel diritto romano vigeva la rigida regola che voleva esclusi dalla
successione i fratelli unilaterali in presenza dei fratelli germani.
(80) L'effetto si spiega considerando che il riconoscimento e la dichiarazione
giudiziale di paternità o di maternità non si estendono al di là dei rapporti personali tra
figlio e genitore, o tra figlio e genitori; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e
commerciale, cit., p. 81.
48
565 cod. civ., nella parte in cui esclude "gli altri" parenti "naturali" dalla
successione legittima, la Corte Costituzionale aveva sempre rigettato
l'eccezione di illegittimità costituzionale:
- per l'insussistenza di alcun rapporto giuridico di parentela tra parenti
naturali ( 81) dal secondo sino al sesto grado ( 82);
- perché la nozione di parentela, in materia di successione, è solo
quella della famiglia legittima. E ciò in aperto contrasto con il proprio
orientamento in materia di successione tra fratelli e sorelle "naturali", in cui
la Corte aveva ritenuto di dare rilevanza alla parentela naturale di secondo
grado in linea collaterale ( 83);
- perché all'interno del rapporto di consanguineità, andava fatta la
distinzione tra i vincoli più stretti (tra fratelli e sorelle naturali) e quelli più
remoti (quelli tra gli altri collaterali);
- perché l'introduzione di una nuova categoria di successibili
comportava uno sconfinamento della propria competenza, a discapito della
competenza discrezionale del legislatore ( 84).
Come accennato (cfr. § 10) la dottrina aveva, con determinazione,
criticato
l'orientamento
della
Corte
Costituzionale,
sottolineandone
(81) Corte Cost., ordinanza n. 363/1988, in Dir. fam., 1988, p. 1201 ss., in Giur.
Cost.,
1988,
II,
p.
1500
ss.
e
Home
Page
Consulta
Online,
http://www.giurcost.org/decisioni/1988/0363o-88.html; F. GROSSI, Problemi attuali della
nozione di parentela e di famiglia, cit., p. 686.
(82) Corte Cost., sentenza 23 novembre 2000, n. 532, in Giust. civ., 2001, p. 594 ss.,
con nota di C. M. BIANCA, I parenti naturali non sono parenti? La Corte Costituzionale
ha risposto: la discriminazione continua, in Rass. dir. civ., 2001, p. 821 ss., con nota di F.
LAZZARELLI, Successione legittima e parentela naturale, in Fam. dir., 2001, p. 361 ss.;
G. FERRANDO, Principio di eguaglianza parentela naturale e successione, in Familia,
2001, p. 502 ss.
(83) Corte Cost., sentenza n. 55/1979, Home Page Consulta OnLine
http://www.giurcost.org/decisioni/1979/0055s-79.html, 8 luglio 2013; cfr. le pronunce già
citate supra; nella sentenza Corte cost. n. 184/1990, Home Page Consulta OnLine
http://www.giurcost.org/decisioni/1990/0184s-90.html, 8 luglio 2013, la Corte Cost.
afferma: "(...) la remota consanguineità esistente nei casi in esame non può essere posta
sullo stesso piano del vincolo tra fratelli e sorelle naturali dei quali sia legalmente accertato
il rispettivo status di filiazione nei confronti del comune genitore (...), soggetti che
rientrano in una ristretta comunità nucleare socialmente rilevante".
(84) Uno dei principali rilievi mossi dalla dottrina alle decisioni della Corte
Costituzionale n. 55/1979 e n. 184/1990 riguardava proprio l'arbitrario sconfinamento della
Corte nella competenza del legislatore, attraverso l'introduzione, nell'ordine codicistico, dei
fratelli e sorelle naturali come nuova categoria di successibili. Al riguardo cfr. A.
TRABUCCHI, Il titolo alla successione legittima e l'affermazione di un diritto al di là
della legge, cit., p. 512.
49
l'arbitrarietà di giudizio, le palesi contraddizioni ( 85), l'infondatezza della
distinzione tra "parentela legittima" e "mera consanguineità della parentela
naturale", la distinzione tra "consanguineità stretta e remota" e
l'interpretazione restrittiva del rapporto di "parentela naturale" ( 86).
La legge di riforma del 2012 - come ampiamente esposto (cfr. § 1, 3,
10) - è intervenuta sul tema della successione dei parenti naturali in linea
collaterale, stabilendo che la parentela è il vincolo tra le persone che
discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è
avvenuta all'interno del matrimonio sia nel caso in cui è avvenuta al di
fuori di esso (art. 74 riformato); il riconoscimento produce effetti riguardo
al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso (art. 258 cod. civ.
riformato) e la disciplina deve assicurare "gli effetti successori riguardo ai
parenti anche per gli aventi causa del figlio nato fuori dal matrimonio"
(art. 2, comma 1, lett. l).
In virtù della riforma del 2012, sono ora riconosciuti i diritti
successori anche a favore dei soggetti legati da vincolo di parentela
"naturale" in linea collaterale fino al sesto grado. Vengono chiamati,
pertanto, alla successione, oltre i fratelli "naturali" (2° grado), anche i figli
di fratelli e sorelle "naturali", cioè i nipoti "naturali" (collaterali 3° grado), i
figli dei nipoti "naturali" (4° grado), i fratelli e le sorelle del padre e della
madre "naturali", cioè gli zii e le zie (3° grado), i primi cugini "naturali" (4°
grado), i secondi cugini "naturali" (5° grado), i fratelli e le sorelle dei nonni
(85) C. M. BIANCA, I parenti naturali non sono parenti? La Corte Costituzionale
ha risposto: la discriminazione continua, cit., p. 596. L'Autore fa espresso riferimento alla
"contraddittorietà e alla arbitrarietà del giudizio che riconosce incostituzionale l'esclusione
di alcuni parenti naturali dalla successione e dichiara costituzionale l'esclusione di altri".
(86) M. DELLACASA, La vocazione a succedere dei parenti naturali tra garanzie
costituzionali e normativa codicistica, cit., p. 508; l'Autore critica apertamente la
distinzione tra vincolo di consanguineità e parentela; C. M. BIANCA, I parenti naturali
non sono parenti? La Corte Costituzionale ha risposto: la discriminazione continua, cit., p.
597, che sottolinea "(...) l'arbitrio è manifesto. Infatti una volta riconosciuto - come è stato
riconosciuto con riguardo ai fratelli naturali - che il rapporto di consanguineità è titolo per
la successione legittima, non spetta alla Corte selezionare consanguinei successibili e quelli
non successibili"; G. FERRANDO, Principio di eguaglianza parentela naturale e
successione, cit., p. 361 ss.; U. MAJELLO, Profili costituzionali della filiazione legittima e
naturale, Napoli, 1965, p. 29; P. PERLINGERI, La personalità umana nell'ordinamento
giuridico, Camerino, 1972, p. 12 ss.; F. GROSSI, Problemi attuali nella nozione di
parentela e di famiglia, cit., p. 700 ss.; F. LAZZARELLI, Successione legittima e parentela
naturale, cit., p. 848; M. L. CHIARELLA, La parentela naturale: dal crinale sociale
all'(ir)relanza costituzionale, in Persona, famiglia e successioni nella giurisprudenza
costituzionale, a cura di M. SESTA e V. CUFFARO, Napoli, 2006, p. 931.
50
paterni e materni "naturali", cioè i prozii e le prozie (4° grado), i figli dei
prozii "naturali" (5° grado), i pronipoti "naturali" (6° grado).
E i diritti successori - si badi bene - sono riconosciuti tra la parentela
"matrimoniale" e la parentela "non matrimoniale", ma anche tra la sola
parentela "naturale", sia dal lato di un genitore che dal lato dell'altro
genitore, e considerando anche le "unilateralità" (i germani e gli uterini),
con un intreccio sorprendente ( 87).
L'effetto pratico sarà "dirompente". Si dovrà necessariamente
"ragionare" sugli alberi genealogici della parentela collaterale.
Appare con grande evidenza come, in forza delle citate disposizioni,
chi consegue lo stato di figlio, diventando parente delle persone che
discendono dallo stipite di ciascuno dei suoi genitori, entra a far parte della
loro famiglia estesa, "molto" estesa.
Con riguardo alla successione necessaria, vanno ora inclusi tra i
legittimari di cui all'art. 536 cod. civ. anche gli ascendenti "naturali",
abrogandosi così, in parte, il disposto dell'art. 538 cod. civ. che li escludeva
dalla quota di riserva.
Con riguardo invece alla successione legittima, deve ritenersi
modificato l'art. 565 cod. civ., non potendosi più configurare ascendenti
"legittimi" e dovendosi ora ricomprendere anche la successione tra fratelli e
sorelle "naturali" (cfr. § 11)
Si riportano gli artt. 536 e 538 cod. civ. vigenti e i corrispondenti
articoli da modificarsi in base ai decreti legislativi di adattamento della
riforma.
Ante riforma
Post adattamento (probabile)
Art. 536. Legittimari.
Art. 536. Legittimari.
1. Le persone a favore delle quali
1. Le persone a favore delle quali
la legge riserva una quota di
la legge riserva una quota di
(87) L’effetto è stato rappresentato nelle slides elaborate ed esposte al Convegno del
24 maggio 2013 patrocinato dal Consiglio Superiore della Magistratura e dall'Ordine degli
Avvocati di Pavia, al COLLEGIO GHISLIERI di Pavia, denominato "LEGITTIMI,
NATURALI, ADOTTIVI: figli tutti uguali dopo la Legge n. 219/2012?", cit.
51
eredità
o
altri
diritti
nella
eredità
o
altri
diritti
nella
successione sono: il coniuge, i figli
successione sono: il coniuge, i
legittimi,
figli, gli ascendenti.
i
figli
naturali,
gli
ascendenti legittimi.
2. Ai figli legittimi sono equiparati
2. Ai figli sono equiparati gli
i legittimati e gli adottivi.
adottivi.
3. A favore dei discendenti dei
3. A favore dei discendenti dei
figli legittimi o naturali, i quali
figli,
vengono alla successione in luogo
successione in luogo di questi, la
di questi, la legge riserva gli stessi
legge riserva gli stessi diritti che
diritti che sono riservati ai figli
sono riservati ai figli.
i
quali
vengono
alla
legittimi o naturali.
Ante riforma
Post adattamento (probabile)
Art. 538. Riserva a favore degli
Art. 538. Riserva a favore degli
ascendenti legittimi.
ascendenti.
1. Se chi muore non lascia figli
1. Se chi muore non lascia figli,
legittimi né naturali, ma ascendenti
ma ascendenti, a favore di questi è
legittimi, a favore di questi è
riservato 1/3 del patrimonio, salvo
riservato 1/3 del patrimonio, salvo
quanto disposto dall'articolo 544.
quanto disposto dall'articolo 544.
2. Immutato.
2. Immutato.
15. Le conseguenze in tema di rappresentazione.
Prima di esaminare le conseguenze in tema di rappresentazione (artt.
467, 468 e 469 cod. civ.) è bene premettere alcuni concetti basilari per
meglio comprendere gli effetti della riforma sull'istituto e ricordare
l'evoluzione storica dell'istituto alla luce dei principi di eguaglianza posti a
base di alcune sentenze della Corte Costituzionale e della riforma del diritto
di famiglia del 1975.
52
La rappresentazione, come noto, è il fenomeno in base al quale un
soggetto - verificatisi determinati eventi che impediscono al suo ascendente
di succedere - subentra in luogo del suo ascendente nella successione
ereditaria o nell'acquisto del legato ( 88).
I soggetti considerati nella rappresentazione sono pertanto tre: il de
cuius, il chiamato (il c.d. rappresentato) e il successore (c.d. rappresentante)
( 89).
La rappresentazione importa che vengano all'eredità dei successibili di
grado diverso: possono concorrere alla successione, con i parenti più
prossimi del de cuius, anche i parenti del de cuius di grado più remoto in
sostituzione del chiamato, che non può o non vuole succedere, che aveva
pari grado con gli altri chiamati.
Nel nostro codice civile la rappresentazione si verifica sia in caso di
successione legittima, sia in caso di successione testamentaria, sia che si
tratti di successione a titolo universale, sia di successione a titolo particolare.
Il fondamento sociale e politico della rappresentazione consisteva
nella presunta volontà del de cuius e nella tutela della famiglia legittima,
intesa come stirpe legittima, essendo ammessi a beneficiarne solo i
discendenti legittimi.
(88) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 207.
(89) In realtà l'ascendente, o rappresentato, può essere considerato un soggetto che è
fuori dal fenomeno successorio. La posizione del rappresentato assume un'importanza
relativa, perché costituisce solo il parametro necessario per determinare l'entità di quanto
destinato al rappresentante. G. PRESTIBINO, Delle successioni in generale, in Comm. cod.
civ., a cura di V. DE MARTINO, Novara, 1981, II, p. 153. Secondo l'opinione dominante,
il rappresentante subentra nel luogo e nel grado dell'ascendente, non già per diritto
trasmesso dall'ascendente, ma per diritto proprio, essendo la vocazione a favore del
rappresentante come originaria. R. NICOLO', La vocazione ereditaria diretta e indiretta,
Messina, 1934, p. 197. Il rappresentante è sempre un successore del de cuius. Ne deriva che
il rappresentante deve essere capace e degno nei confronti del de cuius e non nei confronti
del rappresentato. L’istituto della rappresentazione è una eccezione a due principi generali
in materia di successione ereditaria: 1°) gli effetti della successione si producono solo a
favore del chiamato e non di alcuni membri della sua famiglia; 2°) il parente più prossimo
esclude il più remoto. L'istituto trae la sua origine storica dal diritto romano, dove era
definito come successio in locum o in stirpis, succedendo in locum traedefuncti parentis. In
epoca medioevale si riteneva invece che, in caso di rappresentazione, ai nipoti spettasse per
legge il diritto di succedere al proprio ascendente premorto, in rappresentanza di questi e
non invece ex capite proprio. Nel codice Napoleone è stata elaborata la c.d. teoria della
finzione, in base alla quale era la legge a rappresentare per mera finzione il
"rappresentante" come se fosse il "rappresentato", e ciò per permettere al primo di
succedere in luogo del secondo. Tale teoria della finzione non ha trovato accoglimento nel
codice civile del 1865 e nemmeno nel codice civile vigente. G. BONILINI, Trattato delle
successioni e donazioni, cit., p. 1085.
53
Dopo le Sentenze della Corte Costituzione del 14 aprile 1969, n. 79 e
del 1° giugno 1993, n. 259 ( 90), si era ritenuto che la ratio dell'istituto della
rappresentazione fosse la tutela dei diritti di tutti i discendenti del
rappresentato ( 91).
La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha modificato l'art. 467,
comma 1, cod. civ., nel senso di equiparare, ai fini della successione per
rappresentazione, i discendenti naturali e quelli legittimi, nel rispetto del
principio espresso dall'art. 30, comma 3, Cost.
Gran parte della dottrina ha, pertanto, ritenuto di individuare il
fondamento dell'istituto della rappresentazione nella tutela della stirpe
"legittima e naturale" del mancato successore o della famiglia, intesa nella
sua concezione più ampia, composta anche da figli "naturali" ( 92).
(90) Corte Cost., sentenza 14 aprile 1969, n. 79, in Giur. It., 1969, I, 1, p. 1220; in
Foro it, 1969, I, p. 1033; in Giust. civ., 1969, III, p. 220; in Vita not., 1962, p. 219; Home
Page Consulta OnLine http://www.giurcost.org/decisioni/1969/0079s-69.html, 8 luglio
2013. La Corte Costituzionale con tali pronunce ha dichiarato l'illegittimità costituzionale
degli artt. 577, 467 e 468 cod. civ. limitatamente alla parte in cui veniva escluso dalla
rappresentazione il figlio naturale di chi, non volendo o non potendo accettare ed essendo
figlio o fratello del de cuius, non avesse discendenti legittimi. Il principio è stato
confermato anche con la successiva Sentenza del 1° giugno 1993, n. 259.
(91) Corte Cost., sentenza 1° giugno 1993, n. 259, in Foro it, 1993, I, 2, p. 2027; in
Giust. civ., 1993, I, 2, p. 2015 ss.; Home Page Gazzetta Ufficiale
http://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario;jses
sionid=TvX7DE00tBip57UmCZw64w__.ntc-as2guri2b?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1993-06-09&atto.codiceRedazionale=093C0591, 8
luglio 2013.
(92) E ciò in base al nuovo testo del comma 1 dell'art. 467 cod. civ., così come
modificato dalla riforma del diritto di famiglia del 1975. L. FERRI, Successioni in
generale, cit., p. 199; S. PIRAS, Sui limiti dell'istituto della rappresentazione, in Giur.
compl. cass. civ., 1946, I, pp. 212-213; S. PIRAS, Successione per causa di morte. Parte
generale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ., a cura di G. GROSSO e F. SANTORO
PASSARELLI, Milano, 1965, p. 201; C. CONSOLANDI, La riforma del diritto di
rappresentazione (dopo art. 467 cod. civ.), in Riv. dir. civ., 1980, II, p. 58. In merito alla
natura giuridica dell'istituto della rappresentazione, secondo alcuni: a) la rappresentazione
assume la natura giuridica di "delazione indiretta", in quanto il rappresentante viene alla
successione subordinatamente al fatto che il primo chiamato non possa o non voglia
accettare l'eredità o il legato. La delazione indiretta, talvolta è immediata (premorienza o
assenza del c.d. rappresentato), talvolta è differita (indegnità, rinuncia o perdita del diritto
di accettare da parte del c.d. rappresentato). Così G. CAPOZZI, Successioni e donazioni,
cit., p. 212; b) il "rappresentato", evocato nella rappresentazione, non può essere in alcun
modo assimilato al rappresentato dell'istituto della rappresentanza (si veda C. M. BIANCA,
Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, cit., p. 523; G. BONILINI, Manuale di diritto
ereditario e delle donazioni, cit., p. 63; C. GIANNATTASIO, Delle successioni.
Disposizioni generali. Successioni legittime, in Comm. cod. civ., Torino, p. 78). Infatti,
nell'ambito della rappresentanza, il rappresentante agisce in nome e per conto del
rappresentato ed esercita un diritto dello stesso rappresentato, non già un diritto proprio. Al
contrario, in caso di rappresentazione, il rappresentante esercita un diritto di successione
che è proprio, non già del rappresentato. Pertanto la successione del rappresentante avviene
54
In merito ai presupposti oggettivi, si ha la rappresentazione "in tutti i
casi in cui l'ascendente (il rappresentato) non può o non vuole accettare
l'eredità o il legato" ( 93).
sempre iure proprio, il rappresentante è un diretto successore del defunto e non utilizza un
diritto altrui; il rappresentante inoltre acquista realmente i beni iure proprio e non iure
rapraesentationis; c) l'istituto sarebbe una finctio iuris (una finzione di legge); secondo la
dottrina meno recente, sarebbe la legge a considerare il rappresentante come se fosse il
rappresentato e cioè fingerebbe che sia il suo ascendente. In realtà la legge non operava
alcuna finzione in quanto il rappresentante acquista realmente i beni iure proprio e non iure
rapraesentationis; d) sarebbe - secondo una parte della dottrina - un'ipotesi di sostituzione
(S.PIRAS, Successione per causa di morte. Parte generale. Successione necessaria, cit., p.
201) o una surrogazione legale del rappresentante destinato al rappresentato (C. M.
BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, cit., p. 523 ss.); e) sarebbe
un'ipotesi di vocazione indiretta, nel senso che la chiamata è immediata e per relationem, in
quanto si verifica qualora determinate circostanze impediscano l'acquisto dell'eredità in
favore del primo chiamato. Quindi la vocazione del rappresentante si qualifica in relazione
a una precedente chiamata, cioè quella del rappresentato. Da ciò consegue che il contenuto,
oggetto il valore della vocazione del rappresentato, vengono determinati per legge, per
relationem, considerando la chiamata del rappresentato puramente immaginaria ed ipotetica
o venuta meno. Sul punto F. DEGNI, voce Rappresentazione (diritto successorio), cit., p.
1110; L. CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte. Parte generale,
Napoli, 1977, p. 267 ss.; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile commerciale, cit., p. 312;
L. COVIELLO, Successione legittima e necessaria, Milano, 1938, p. 95 ss.; E. PEREGO,
La rappresentazione, in Tratt. dir. priv., dir. da P. RESCIGNO, V, I, Torino, 1997, p. 121;
G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit., p. 66 ss. In giurisprudenza, Cass., 17
maggio 1969, n. 1701, in Foro it, 1969, I, p. 2555 e Cass., 11 aprile 1975, n. 1366, in Mass.
giust. civ., 1975, p. 621; f) è un'ipotesi di dilazione indiretta sia soggettivamente sia
oggettivamente, che potrà essere - come detto - a volte immediata, nel caso di premorienza
o assenza del rappresentato, a volte differita, nell'ipotesi di indennità, rinuncia o perdita del
diritto di accettare l'eredità da parte del rappresentato. Si veda A. CICU, Successioni per
causa di morte. Parte generale, in Tratt. dir. civ. e comm., a cura di CICU e MESSINEO,
Milano, 1961, pp. 62-110; L. FERRI, Successioni in generale, cit., p. 199; G. GROSSO, A.
BURBESE, Le successioni. Parte generale, in Tratt. dir. civ. it, a cura di F. VASSALLI,
Torino, 1977, p. 172 ss.; M. TERZI, Rappresentazione, cit., p. 162; in giurisprudenza App.
Reggio Calabria, 16 dicembre 1957, in Rep. Giust. civ., 1958, voce Successione in
generale, n. 60; g) succedere nel luogo significa occupare il posto del rappresentato,
ricevendo quanto lui avrebbe ricevuto, mentre l'espressione succedere nel grado va intesa
nel senso che con la rappresentazione si deroga al principio generale in materia di
successione ab intestato, secondo il quale il grado prossimo esclude il più remoto. E questo
sarebbe il significato che il codice civile vigente attribuisce all'art. 467 allorché recita che il
rappresentante subentra "nel luogo e nel grado" del rappresentato.
(93) Nella prima ipotesi (non può accettare l'eredità o il legato), la più autorevole
dottrina vi fa rientrare: a) la premorienza, cioè la morte dell'ascendente prima dell'apertura
della successione del de cuius. La premorienza si verifica anche nel caso di morte presunta,
accertata prima dell'apertura della successione del de cuius. Alla premorienza è equiparata
la commorienza; b) l'assenza, cioè l'ipotesi in cui sia incerta l'esistenza dell'ascendente; c)
l'indegnità, sia che essa sia determinata da cause anteriori alla morte del de cuius, sia che
dipenda da fatti successivi alla sua morte; l'indegnità, infatti, non estende ai discendenti
dell'indegno e questi succedono, quali rappresentanti, iure proprio; d) la condanna penale,
cioè la perdita del diritto a succedere per condanna penale ex art. 541 cpv. cod. pen.; e) la
prescrizione del diritto di accettare l'eredità per prescrizione decennale del termine di
accettazione o per decadenza a seguito del decorso del termine fissato dal giudice (actio
interrogatoria ex art. 481 cod. civ.) o per decorso del termine di 40 giorni dal compimento
dell'inventario, quando il chiamato non sia in possesso dei beni ereditari (ex art. 487 cod.
civ.); f) la designazione per testamento di un non concepito al momento della morte del de
55
Circa i presupposti soggettivi - argomento che più riguarda la riforma
del 2012 - la legge prevede come rappresentati:
a) nella linea retta, i figli del de cuius (l'art. 468 cod. civ. ante riforma
del 2012 elenca ancora i figli legittimi, legittimati, adottivi e naturali);
b) nella linea collaterale, i fratelli e le sorelle del defunto.
In parte della dottrina, prima della riforma del 1975, era controverso
se nella categoria dei rappresentati vi rientrassero anche i fratelli e le sorelle
"naturali" del de cuius per le seguenti ragioni:
a) una ragione "testuale", in quanto l'art. 468 cod. civ., comma 1,
prevede che la rappresentazione ha luogo in linea collaterale a favore dei
discendenti dei "fratelli e delle sorelle" del defunto, non specificandosi i
fratelli e le sorelle "naturali", come invece è previsto - nel testo della norma
- per il caso dei figli, dove è letteralmente prevista la rappresentazione in
caso di discendenti dei figli "naturali" del de cuius;
b) perché la rappresentazione è un "istituto eccezionale", rispetto ai
principi dettati in via generale, in merito all'ordine dei successibili e come
tale l'istituto "non è estendibile" oltre ai casi previsti dall'art. 468, cod. civ.,
dove "l'indicazione dei soggetti a favore dei quali ha luogo la successione
per rappresentazione è tassativa" ( 94).
Tuttavia è stato giustamente osservato che se la Corte Costituzionale con la più volte citata Sentenza n. 184 del 1990 - ha incluso come
successibili all'art. 565 cod. civ. anche i fratelli e le sorelle "naturali", si
dovrebbe ammettere la rappresentazione ex art. 468 anche a favore dei
discendenti dei fratelli e delle sorelle "naturali".
La dottrina prevalente ( 95) e gran parte della giurisprudenza ( 96)
cuius. La seconda ipotesi ("non vuole accettare l'eredità o il legato") consiste nella rinuncia
dell'ascendente.
(94) In giurisprudenza Cass. civ., Sez. II, sentenza 28 ottobre 2009, n. 22840, che
richiama gli stessi principi ribaditi da sentenza Cass. n. 5077/1990.
(95) A. TRABUCCHI, Il titolo alla successione e l'affermazione di un diritto al di là
della legge, in Riv. dir. civ., 1979, I, p. 503 ss.; L. MENGONI, Successioni per causa di
morte. Parte speciale. Successioni legittime, cit., p. 184; L. FERRI, Successioni in generale,
cit., p. 468; A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale, in Tratt. dir. civ. e
comm., diretto da CICU e MESSINEO, Milano, p. 112; C. CONSOLANDI, La riforma del
diritto di rappresentazione (art. 476 c.c.), cit., p. 57 ss.
(96) Si veda L. CARRARO, Parentela e vocazione a succedere dei fratelli naturali,
in Riv. dir. civ., 1980, I, p. 218 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia. Le
56
caldeggiavano invece la tesi positiva, argomentando sull'esistenza e sulla
rilevanza giuridica del rapporto di parentela tra fratelli "naturali". Il
principio è stato affermato anche dalla Corte Costituzionale con Sentenza n.
377/94 ( 97).
L'intervento della riforma in esame, con l'equiparazione tra figli "nati
nel matrimonio" e figli "nati fuori dal matrimonio" e con il ribaltamento del
principio tradizionale e generale in tema di parentela naturale contenuto
negli artt. 74 e 258 cod. civ., è stato decisivo anche in tema di
rappresentazione nella successione legittima, nella successione testamentaria
ed anche, come si vedrà, nella successione necessaria.
Dalla nuova regola introdotta dalla legge di riforma n. 219/2012
secondo cui il riconoscimento della filiazione "naturale" comporta il sorgere
del vincolo di parentela con tutti i parenti del/dei genitore/i che ha/hanno
effettuato il riconoscimento e non solo con il/i genitore/i stessi, derivano
conseguenze anche in tema di rappresentazione:
a) si ha un aumento dei soggetti chiamati all'eredità o al legato;
b) i discendenti (c.d. rappresentanti) subentrano al loro ascendente nel
diritto di accettare un lascito (eredità o legato) qualora l'ascendente
chiamato (cd. rappresentato) non può o non vuole accettare l'eredità o il
legato (ex art. 468 cod. civ.), senza più alcuna distinzione fra il tipo di
parentela ("legittima o naturale");
c) pertanto, in seguito alla riforma, nel caso di premorienza o di
rinuncia all'eredità (o degli altri casi sopra citati in cui si applica la
rappresentazione) nella linea retta del de cuius al figlio "nato fuori dal
successioni, Milano, 1985, p. 440; M. MELONI, Rappresentazione, in Enc. dir. Treccani,
XXV, Roma, 1-12, p. 9; C. GRASSI, Operatività della rappresentazione a favore dei
discendenti dei fratelli naturali, in Familia, 2003, p. 240.; in giurisprudenza Cass., 11 aprile
1975, n. 1366 e Cass., 7 novembre 1979, n. 5747 sostenevano l'opinione negativa in
considerazione del principio generale in tema di parentela naturale contenuto nell'art. 258
cod. civ., il quale limitava gli effetti del riconoscimento al genitore che lo ha effettuato.
(97) Principio affermato dalla Corte Costituzionale che pure ha dichiarato
inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 565, 572 e 468 nella parte
in cui non prevedono la successione legittima dei fratelli e sorelle naturali del de cuius e,
per rappresentazione, quella dei discendenti degli stessi in mancanza di membri della
famiglia legittima restrittivamente intesa. Cfr. sentenza Corte Cost., 4 luglio 1979, n. 55,
Home Page Consulta OnLine http://www.giurcost.org/decisioni/1979/0055s-79.html, 8
luglio 2013 e sentenza Corte Cost., 12 aprile 1990, n. 184, Home Page Consulta OnLine
http://www.giurcost.org/decisioni/1990/0184s-90.html.
57
matrimonio", premorto o rinunciante, subentreranno i suoi discendenti (vale
a dire i nipoti, figli del figlio naturale del de cuius) e nella linea collaterale
al fratello o sorella "naturale", premorto o rinunciante, subentreranno i suoi
discendenti (i nipoti ex fratre o ex sorore);
d) la rappresentazione, secondo le regole vigenti, può aver luogo
soltanto quando il chiamato che non può o non vuole accettare sia o un
figlio - non importa se nato dentro dal matrimonio o nato fuori dal
matrimonio o se adottivo - ovvero un fratello o una sorella del defunto (ora
non importa se il fratello sia nato all'interno o all'esterno del matrimonio);
e) la rappresentazione è invece esclusa, secondo le regole generali, se
il chiamato (il rappresentato) sia, rispetto al de cuius, un estraneo ovvero
anche un parente diverso da un figlio (non opera, pertanto, quando il
rappresentato sia un nipote ex filio del defunto) o da un fratello o una
sorella (es. un nipote ex fratre o ex sorore, o un cugino) ( 98);
f) la rappresentazione è esclusa - secondo le regole generali - nel caso
di successione testamentaria, quando il testatore abbia già provveduto con
una sostituzione del destinatario del lascito per l'ipotesi in cui il primo
chiamato non possa o non voglia accettare (art. 467, comma 2, cod. civ.) e
quando si tratti di legato di usufrutto o di altro diritto di natura personale, in
quanto costituiscono attribuzioni strettamente legate alla persona indicata
dal testatore (art. 467, comma 2, cod. civ.);
g) quando si applica la rappresentazione - secondo le regole generali la divisione si fa per stirpi (art. 469, comma 2, cod. civ.): ossia i discendenti
subentrano tutti in luogo del capostipite, indipendentemente dal loro
numero, e lo stesso criterio si applica anche qualora uno stipite abbia
prodotto più rami (art. 469, comma 3, cod. civ.);
h) la rappresentazione ha luogo in infinito (art. 469, comma 1, cod.
civ.), secondo le regole generali; e quindi, secondo l'interpretazione
preferibile ( 99) anche oltre il sesto grado ( 100) e tanto nella linea retta, quanto
nella linea collaterale. Pertanto il figlio potrà rappresentare il padre, come il
(98) Cfr. in giurisprudenza sentenza Cass. 28 ottobre 2009, n. 22840, cit.
(99) L. FERRI, Successioni in generale, cit., pag. 212; G. PRESTIPINO, Delle
successioni in generale, cit., p. 165; M. TERZI, Rappresentazione, cit., p. 171.
(100) In deroga all'art. 77 cod. civ.
58
nipote, l'avo o il pronipote, il bisavo.
Come sopra accennato, la riforma, con riguardo alla rappresentazione,
ha anche effetti in materia di successione necessaria e di collazione.
In base all'art. 564, comma 3, cod. civ., il legittimario che succede per
rappresentazione deve anche imputare le donazioni e i legati fatti, senza
espressa dispensa, al suo ascendente, e quindi non solo quelli da lui ricevuti
(c.d. imputazione del rappresentante) ( 101). Come noto, in ogni caso il
legittimario, che esperisce l'azione di riduzione di donazioni o di
disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione di legittima le
donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente
dispensato. Secondo la giusta interpretazione estensiva, pertanto, il
legittimario, non solo deve imputare le donazioni e i legati, ma tutto ciò che
abbia ricevuto per successione, vale a dire anche i beni che abbia conseguito
in qualità di erede ( 102). Anche il rappresentante, pertanto, deve imputare le
donazioni e i legati fatti al suo ascendente, perché la rappresentazione è
destinata ad assicurare un'eguaglianza di trattamento nei rapporti tra i
coeredi, ma anche a tutelare le aspettative dei terzi, le quali non debbono
andare deluse solo perché in luogo del figlio gratificato con una liberalità in
conto di legittima, subentrano i suoi discendenti. Ne deriva che il
discendente "nato fuori dal matrimonio", analogamente al discendente
"nato nel matrimonio" che succede per rappresentazione, dovrà imputare
alla sua quota di legittima le donazioni e i legati fatti al suo ascendente (il
genitore "naturale" che ha effettuato il riconoscimento) senza espressa
dispensa. Pertanto, i discendenti "nati fuori dal matrimonio" che succedono
per rappresentazione, non possono esercitare l'azione di riduzione se non
abbiano prima imputato le donazioni ricevute dal proprio ascendente, oltre a
quelle da loro stessi ricevute.
Concludendo: ricorrendone i presupposti oggettivi viene ora ad
applicarsi la rappresentazione anche a favore dei discendenti dei fratelli e
delle sorelle "naturali" del de cuius.
(101) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 548 ss.
(102) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 548.
59
16. I figli "naturali" non riconoscibili.
La regola generale affinché i figli "nati fuori dal matrimonio" possano
venire alla successione mortis causa e, correlativamente, il loro patrimonio
possa essere devoluto al genitore "naturale" e - per effetto della riforma n.
219/2012 - ai suoi parenti "naturali" è che i figli siano stati riconosciuti dal
genitore "naturale", ovvero che la filiazione sia stata giudizialmente
dichiarata. Va, pertanto, accertato il rapporto di filiazione (riconosciuta o
dichiarata) con il genitore. Ne consegue che il figlio "naturale" non
riconosciuto, o non riconoscibile, o giudizialmente non dichiarato, non può
vantare diritti alla successione del suo genitore e che, nel caso di morte del
figlio "nato fuori dal matrimonio", il genitore "naturale" non può succedere
a suo figlio (naturalmente nelle ipotesi in cui è prevista dalla legge la
vocazione ereditaria dell'ascendente del de cuius).
Attualmente il trattamento successorio del figli "naturali" non
riconoscibili è disciplinato dagli artt. 580 e 594 cod. civ.
Tali norme saranno destinate ad essere radicalmente modificate nel
loro contenuto attuale.
Ai figli, prima non riconoscibili, se aventi diritto al mantenimento,
all'istruzione e all'educazione a norma dell'art. 279 cod. civ., spettava, in
base al combinato disposto degli artt. 580 e 594 cod. civ.:
a) un assegno vitalizio pari all'ammontare della rendita della quota di
eredità alla quale avrebbero diritto se la filiazione fosse stata dichiarata o
riconosciuta;
b) su loro richiesta, era prevista la capitalizzazione dell'assegno in
danaro ovvero, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditari ( 103);
c) l'assegno doveva essere corrisposto dagli eredi, dai legatari e dai
donatari in proporzione a quanto avevano ricevuto, se il genitore non aveva
disposto per donazione o testamento in favore dei figli medesimi; se il
genitore aveva disposto in loro favore, essi potevano rinunziare alla
(103) E’ un’altra ipotesi di commutazione prevista dal codice attuale.
60
disposizione e chiedere l'assegno (cfr. art. 594 cod. civ.).
Pertanto anche ai figli nati da relazioni incestuose spettavano diritti
successori (seppur in misura limitata), ovviamente in quanto fosse stata data
la prova del rapporto di filiazione con il defunto ( 104).
Si discuteva se i figli "naturali" non riconoscibili, ai quali la legge
attribuiva un assegno vitalizio, assumessero la qualifica di legittimari.
Prima della riforma del diritto di famiglia la dottrina prevalente
negava tale qualifica perché l'assegno gravava solo sugli eredi e sui legatari
e non anche sui donatari.
Dalla normativa post riforma del diritto di famiglia del 1975 (anche se
inserita in parte nel Titolo relativo alla successione legittima ed in parte in
quello della successione testamentaria e non in quello relativo alla
successione necessaria) si ricava che il figlio "naturale" non riconoscibile
era un legittimario e che l'assegno era un diritto di legittima. Si era, pertanto,
concordi nell'attribuire all'assegno natura successoria di legato obbligatorio
ex lege di rendita vitalizia.
L'assegno vitalizio dei figli "naturali" non riconoscibili non aveva
carattere alimentare perché era commisurato alle sostanze ereditarie,
prescindeva dallo stato di bisogno del beneficiario, con conseguente
inapplicabilità della normativa sui crediti alimentari.
La nuova legge, tuttavia, non si occupa espressamente dei figli non
riconoscibili di cui agli artt. 279, 580 e 594 cod. civ.
Potrebbe ritenersi, ad una prima lettura, che la categoria dei figli non
(104) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 433. Poiché anche i figli
incestuosi possono agire per l'accertamento giudiziale del rapporto di filiazione, la rilevanza
dell’attuale disposizione parrebbe ridotta all'ipotesi in cui il figlio incestuoso non abbia
chiesto l'accertamento del rapporto di filiazione e preferisca agire per ottenere il solo
assegno di mantenimento. Cfr. A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto
privato, cit., edizione XX, ante Appendice di aggiornamento, p. 1281. La dottrina tendeva
ad ampliare l'ambito di applicabilità dell'art. 580 cod. civ., comprendendovi anche categorie
di figli "naturali" diverse da quelli definibili come incestuosi ai sensi dell'art. 251 cod. civ.
Così i figli "naturali" che, benché astrattamente riconoscibili, in concreto non siano stati
riconosciuti, perché mancava il consenso del genitore che ha riconosciuto per primo o
l'autorizzazione del giudice da ottenersi in luogo di tale consenso o del figlio "naturale". È
controverso, invece, se nella categoria prevista dagli artt. 580 e 594 cod. civ. potevano
essere compresi anche i figli "naturali" che, pur astrattamente riconoscibili, di fatto non
avessero agito per ottenere la dichiarazione di paternità o maternità naturale e non avessero
avuto l’intenzione di agire neppure tardivamente.
61
riconoscibili non esista più, per la ragione che tutti i figli sono oggi
riconoscibili, compresi quelli nati da relazioni parentali.
In realtà sembrano ancora da ricomprendersi nella previsione dell'art.
279 cod. civ.:
a) i figli non riconoscibili nati da genitori che non abbiano compiuto il
sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi al riconoscimento
valutate le circostanze e avuto riguardo all'interesse del figlio;
b) il figlio ultraquattordicenne non riconoscibile per mancanza del suo
assenso (ex novellato art. 250, comma 2, cod. civ.);
c) il figlio infraquattordicenne non riconoscibile per mancanza di
consenso del genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, salva
l'autorizzazione del Tribunale (ex novellato art. 250, commi 3 e 4, cod. civ.);
d) il figlio privo di assistenza morale e materiale, per il quale siano
intervenuti la dichiarazione di adottabilità e l'affidamento preadottivo (art.
11, ultimo comma, l. 284/1983);
e) il figlio matrimoniale, se decaduto dall'impugnativa di paternità, e il
figlio riconosciuto da altri, entrambi non riconoscibili dal padre biologico
(art. 253 cod. civ.) ( 105).
Sembra che tutti i casi sopra citati - con eccezione di quello del figlio
ultraquattordicenne alla lettera b) - possano essere raggruppati nella
fattispecie dei figli irriconoscibili.
Per coloro che si trovano nelle fattispecie di cui sopra, attualmente
sarebbe prevista solo la disciplina di cui agli artt. 279, 580 e 590 cod. civ. (la
legge di riforma n. 219/2012 prevede, infatti, che la filiazione esiga un
"titolo di stato").
Vanno pertanto considerati anche quei figli che non possono
raggiungere lo status di figlio: questi godono solo della tutela prevista dai
precitati articoli ( 106).
(105) Così M. SESTA, La riforma della filiazione: i profili successori, relazione
all'VIII Congresso giuridico forense per l'aggiornamento professionale, Home Page
Consiglio
Nazionale
Forense
www.consiglionazionaleforense.it/site/home/eventi/congressi/docCat.2292.1.40.2.all.html,
vedi documento pdf Sesta Michele.
(106) Cfr. M. SESTA, La riforma della filiazione: i profili successori, cit., p. 12.
62
La sensazione che si ha, in queste ipotesi, è che il processo riformatore
non sia completo ( 107).
17. Un caso di diseredazione con l'inversione del potere: il caso di
esclusione dalla successione dei figli, anche adottivi e in loro
mancanza dei discendenti, del genitore nei cui confronti è stata
pronunciata la decadenza dalla potestà genitoriale per fatti che non
integrano casi di indegnità.
La legge di riforma 10 dicembre 2012, n. 219 in materia di
riconoscimento dei figli "naturali" ha aggiunto, dopo l'art. 448 cod. civ., un
nuovo articolo: l'art. 448 bis (Cessazione per decadenza dell'avente diritto
dalla potestà sui figli). "Il figlio anche adottivo e, in sua mancanza, i
discendenti prossimi non sono tenuti all'adempimento dell'obbligo di
prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la
decadenza dalla potestà e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di
cui all'articolo 463, possono escluderlo dalla successione".
Con la nuova norma si prevede:
a) l'esclusione dal diritto agli alimenti del genitore nei cui confronti sia
stata pronuncia la decadenza dalla potestà;
b) la possibilità del figlio, anche adottivo e, in sua mancanza, dei
discendenti prossimi, di escludere dalla successione il padre o l'ascendente
che si sia reso responsabile di "fatti che non integrano casi di indegnità".
La norma si collega con la previsione del nuovo caso di indegnità di
cui all'art. 463, comma 1, n. 3 bis, cod. civ. - introdotto dalla L. 8 luglio
2005, n. 137 - nei riguardi del genitore che è decaduto dalla potestà
genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta e non
sia stato reintegrato nella potestà alla data di apertura della successione.
L'art. 448 bis cod. civ. costituisce un ampiamento del caso di
(107) Così anche amplius V. BARBA, La successione mortis causa dei figli naturali
dal 1942 al disegno di legge recante "Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli
naturali", cit., p. 667.
63
indegnità introdotto al n. 3 bis dell'art. 463 cod. civ. ( 108).
La nuova disposizione consente al figlio di "diseredare" il genitore
che, ancorché non indegno, si sia reso disponibile di fatti - peraltro non
meglio precisati dalla norma - che sono stati pregiudizievoli per il figlio
( 109): probabilmente il legislatore ha inteso riferirsi a comportamenti del
genitore che costituiscono violazione dei doveri familiari, che pur non hanno
causato la decadenza dalla potestà genitoriale ( 110).
La disposizione è significativa perché apre la via alla possibilità di far
ricorso al controverso istituto della diseredazione ( 111).
Con la norma in commento adesso questo potere è attribuito al figlio,
attuando una vera e propria inversione di poteri ( 112).
La norma costituisce sicuramente una novità essendo state manifestate
in dottrina e in giurisprudenza opinioni contrastanti circa l'ammissibilità
della diseredazione ( 113).
18. La revocazione delle donazioni e del testamento per sopravvenienza
di figli.
Problema rilevantissimo, in caso di riconoscimento dei figli non
matrimoniali (gli ex figli "naturali") e dei figli "nati da relazioni parentali"
(108) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni
familiari, cit., p. 241.
(109) M. MORETTI, La diseredazione, in Tratt. dir. succ. e don., a cura di G.
BONILINI, cit., p. 264; M. COMPORTI, Riflessioni in materia autonomia testamentaria,
nomina testamentaria, indegnità a succedere e diseredazione, in Famiglia, 2003, p. 27.
(110) Quelli oggetto di recente analisi giurisprudenziale in merito alla responsabilità
dei genitori ex art. 2043 cod. civ. G. FACCI, La responsabilità dei genitori per violazione
dei doveri familiari, in La responsabilità nelle relazioni familiari, a cura di M. SESTA,
Torino, 2008, p. 203.
(111) Nel diritto romano il pater familias era dotato del potere di escludere dalla
successione i propri eredi necessari che voleva sanzionare per le offese ricevute. A.
BURDESE, Diseredazione (Diritto romano), in Nuovissimo digesto italiano, V, Torino,
1960, p. 1113.
(112) M. CAVINA, Il padre spodestato. L'autorità paterna dall'antichità ad oggi,
Bari, 2007.
(113) T. AULETTA, La riforma della filiazione, in Quaderni, Notariato, a cura di G.
LAURINI, Genitori e figli: quale riforma è per le nuove famiglie, Atti del Convegno
tenutosi a Genova il 4 maggio 2012, Milano, 2013, p. 263.
64
( 114), è quello della revocazione, per sopravvenienza di figli, delle
disposizioni testamentarie, delle donazioni tipiche e delle altre liberalità che
risultano da atti diversi da quelli previsti per la donazione formale di cui
all'art. 769 cod. civ. ( 115), revocazioni previste dagli artt. 687, 803, 809 cod.
civ.
In base alle citate norme, le disposizioni testamentarie (a titolo
universale o particolare), le donazioni e le altre liberalità non donative, fatte
da chi - al tempo del testamento e della liberalità - non aveva o ignorava di
avere figli o discendenti sono rispettivamente "revocate di diritto" (le
disposizioni mortis causa) o "possono essere revocate" (le donazioni e le
altre liberalità) per l'esistenza di un figlio o di un discendente o per la loro
sopravvenienza e per il riconoscimento di un figlio "naturale" del testatore o
del donante, e anche se il figlio era già stato concepito al tempo del
testamento o della donazione.
La revocazione, invece, non ha luogo nell'ipotesi di testamento,
quando il testatore abbia provveduto per il caso in cui esistessero o
sopravvenissero figli o loro discendenti, e, nell'ipotesi di donazione, si provi
che il donante, al tempo dell'atto, aveva notizia dell'esistenza del figlio (cfr.
artt. 687, comma 3, e 803, ult. parte, cod. civ.).
Affinché operi la revocazione deve verificarsi, pertanto, dopo la
redazione del testamento o la stipula dell'atto di liberalità, una delle seguenti
situazioni:
a) un fatto nuovo consistente nell'evento naturale della nascita di un
figlio o di un discendente;
b) un mutamento giuridico di un precedente status: il riconoscimento
di un figlio "naturale", anche nato da relazioni parentali, o la dichiarazione
di paternità o maternità "naturale" ( 116);
(114) Cfr. l'innovato art. 251 cod. civ. che permette ora il riconoscimento dei figli
"incestuosi", previa autorizzazione del giudice.
(115) Le liberalità, che risultano da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769, sono
soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa di
ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni
per integrare la quota dovuta ai legittimari (cfr. art. 809 cod. civ.).
(116) Alcuni autori danno rilevanza anche alla "non conoscenza" circa l’esistenza di
un figlio o di un discendente. G. ZUDDAS, Sopravvenienza di figli e revocazione di
disposizioni testamentaria, in Riv. Giur. Sarda, 1995, p. 11, a commento della Sent. App.
65
c) l'adozione ( 117).
Il concetto di sopravvenienza, assunto dalla legge, viene inteso, oltre
che in "senso naturalistico", in "senso giuridico" ( 118).
Pertanto si rientra nella fattispecie normativa della revocazione
perché il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale di paternità o
maternità o l'adozione equivalgono alla "sopravvenienza" di un figlio ( 119).
La revocazione si applicherà, come regola generale, per ogni
mutamento che comporti l'acquisizione per il figlio di una situazione
migliore ( 120).
Naturalmente, i figli e i discendenti (in subordine) sopravvenuti o
riconosciuti, nella loro qualità di legittimari, potranno agire in riduzione
delle disposizioni non revocate, qualora risultino lesive della loro quota di
riserva.
La revoca:
a) si produce automaticamente nei confronti di tutte le disposizioni
testamentarie a titolo universale o a titolo particolare;
b) è una revoca totale, ossia riguarda l'intero contenuto del testamento
e non può essere parziale (non può, pertanto, avere ad oggetto solo talune
disposizioni testamentarie);
c) non opera per le disposizioni a carattere non patrimoniale, quale il
riconoscimento del figlio naturale;
d) prescinde da ogni manifestazione di volontà perché è una
Cagliari, 28 giugno 1993. E. CAROSONE, in Codice Civile, a cura di P. RESCIGNO,
Milano, 2011, p. 727.
(117) In giurisprudenza sentenza Trib. Lucera 18 dicembre 1964, in Le Corti di Bari,
Lecce e Potenza, 1965, p. 226; sentenza Trib. Caltanissetta 2 settembre 1950, in Il Foro
italiano, 1951, I, p. 378, con nota di AZZARITI.
(118) E’ controverso se sia necessaria la mancanza o la mancata conoscenza
dell’esistenza di altri figli al momento del testamento.
(119) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 1006; Cass., 9 marzo 1996, n.
1935; C. SEVERI, L'art. 687 c.c. e "Gli altri" figli sopravvenuti alla redazione del
testamento", in Familia, persone e successioni, 2007, p. 312. Secondo un indirizzo la
revoca di diritto non ha luogo quando, al momento della confezione dell’atto, il disponente
aveva già dei figli e ne siano, successivamente, sopravvenuti degli altri. In giurisprudenza
cfr. App. Trento 27 agosto 1968, in Giurisprudenza di merito, 1970, I, p. 316; sentenza
App. Napoli 20 agosto 1951, in Il Foro Italiano, 1952, I, p. 541.
(120) L. ROSSI CARLEO, Revoca degli atti (Revoca del testamento), in Enc. Giur.
Treccani, XXVII, Roma, 1991, p. 15; L. GENGHINI, C. CARBONE , Le successioni per
causa di morte, II, Milano, 2012, p. 1190 ss.
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revocazione di diritto o legale ( 121);
e) è ispirata alla presunta volontà del testatore e pertanto essa non
trova applicazione se il testatore ha previsto il caso che esistessero o
sopravvenissero figli;
f) trova il suo fondamento nella tutela del rapporto di filiazione ( 122).
Nel caso di revocazione delle donazioni per sopravvenienza di figli, la
revocazione non consegue automaticamente alla manifestazione di volontà
di chi revoca, ma esige una pronunzia costitutiva del giudice che dichiari
revocata l'atto di liberalità.
In questa ipotesi la revoca:
a) è un diritto potestativo del donante ( 123) che produce un'inefficacia
sopravvenuta dell'atto ( 124);
b) è una revoca vera e propria, ossia un atto con il quale il precedente
atto di donazione viene eliminato ( 125);
c) ha effetto parzialmente retroattivo nei confronti del donatario, il
quale deve restituire i beni in natura, se essi esistono ancora;
d) è irretroattiva nei confronti dei terzi; non ha effetti reali, con la
conseguenza che, se il donatario ha alienato i beni il donante non può agire
verso i terzi, ma può agire solo verso il donatario per il valore dei beni
donati; se poi il donatario ha alienato i beni, deve restituirne il valore; se,
invece, il donatario ha costituito sui beni donati diritti reali che ne
(121) Alcuni autori parlano di invalidità successiva, ma sembra preferibile la tesi,
secondo cui la fattispecie integra un'ipotesi di inefficacia successiva del testamento,
derivante da una causa coeva o successiva alla sua confezione, a seconda che essa si fondi
sull'ignoranza dell'esistenza di discendenti o sulla loro sopravvenienza. Così G. CAPOZZI,
Successioni e donazioni, cit., p. 1005; G. D'AMICO, Revoca delle disposizioni
testamentarie, in Enc. Dir., XL, Milano, 1989, p. 284; E. BETTI, Teoria generale del
negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. it., a cura di VASSALLI, Torino, p. 489 ss.; F.
SANTORO-PASSARELLI, Dottrina generale del diritto civile, cit., p. 246 ss.; M.
TALAMANCA, Successioni testamentarie, art. 679-712, cit., p. 205; R. TRIOLA, Il
testamento, Milano, 1998, p. 440.
(122) G. D'AMICO, Revoca delle disposizioni testamentarie, cit., p. 284; Cass., 9
marzo 1986, n. 1935, secondo la quale la norma si fonderebbe sulla necessità di tutelare gli
interessi successori dei figli e dei discendenti del testatore, a seguito della modificazione
della situazione familiare.
(123) A. TORRENTE, La donazione, cit., p. 674; G. CAPOZZI, Successioni e
donazioni, cit., p. 1638.
(124) B. BIONDI, Le donazioni, cit., p. 1039 ss.; A. TORRENTE, La donazione, cit.,
p. 672 ss.; F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrina generale del diritto civile, cit., p. 239;
G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 1637.
(125) A. TORRENTE, La donazione, cit., p. 673; F. MESSINEO, Manuale di diritto
civile e commerciale, III, cit., p. 38; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 1638.
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diminuiscono il valore, egli deve indennizzare il donante della diminuzione
di valore sofferta dai beni stessi; i diritti acquisiti dai terzi saranno fatti salvi
se il loro acquisto sarà stato trascritto anteriormente alla domanda di
revocazione ( 126).
19. Il problema della impugnativa della divisione per preterizione di
legittimari.
La sopravvenienza di figli o il riconoscimento di figli non
matrimoniali e dei figli nati da relazioni parentali, prima non riconoscibili,
pone il problema della eventuale nullità della divisione fatta dal testatore
per preterizione.
Infatti, la divisione nella quale il testatore non abbia compreso
qualcuno dei legittimari è nulla (art. 735, comma 1, cod. civ.).
Ricorrerebbe tale ipotesi di nullità in tutti i casi in cui il testatore nella
divisione non abbia comunque compreso alcuno dei legittimari ( 127).
L'art. 735, comma 1, cod. civ. statuisce che la divisione, per assolvere
alla sua funzione distributiva, deve comprendere tutti gli eredi, così come
ogni divisione deve comprendere tutti gli aventi diritto.
L'omissione del legittimario nella divisione testamentaria travolge la
divisione ma non anche la disposizione testamentaria sottostante relativa alla
distribuzione dell'asse ereditario; il che comporta il ripristino della
comunione ereditaria con la possibilità di fare luogo a una nuova
ripartizione dei beni a richiesta degli interessati (art. 713 cod. civ.).
Tuttavia, secondo altra dottrina e la giurisprudenza della Corte di
Cassazione, la divisione sarebbe nulla solo quando siano stati lasciati fuori
dalla divisione beni insufficienti a formare le porzioni del soggetto
(126) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 1639.
(127) È la c.d. tesi classica e formalistica. Cfr. V. R. CASULLI, Divisione ereditaria
(dir. civ.), in Novissimo Digesto It., VI, Torino, p. 57 ss.; A. CICU, Successioni per causa
di morte. Parte generale, cit., p. 460.
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pretermesso ( 128). Pertanto, secondo questa teoria, la divisione sarebbe
valida se il soggetto pretermesso potesse prelevare dall'asse ereditario la sua
porzione.
20. L'importanza del testamento.
È necessario sempre più prendere atto, anche dal punto di vista
successorio e donativo, dei cambiamenti repentini verificatisi nella società e
nella istituzione familiare: l'aumento delle crisi della coppia, l'aumento delle
separazioni personali, dei casi di divorzio e di cessazione degli effetti civili
del matrimonio concordatario, l'aumento dei casi di dissoluzione delle
coppie genitoriali, la nascita di nuove "comunità di affetti", l'aumento delle
convivenze stabili (come famiglie non fondate sul matrimonio), le
convivenze occasionali, le coabitazioni in gruppi anche stabili, ma uniti da
vincoli e funzioni di diversa natura (convivenze tra parenti o amici,
comunità religiose o politiche, ecc.), la dissoluzione delle stesse convivenze
stabili e non, il fenomeno, ormai sempre più accentuato, di matrimoni tra
persone con notevole differenza di età.
Si pensi poi a più matrimoni a volte con durata assai diversa e con
apporti differenti alla qualità della vita ed agli affetti del disponente, alla
convivenza prolungata con valide prestazioni di assistenza, alla rilevanza di
collaboratori domestici o professionali, che possono avere avuto un ruolo
determinante nell'attività di produzione della ricchezza del disponente.
Il principio di unità della successione, per cui ciascun legittimario ha
diritto ad una quota del patrimonio relitto, destinato ad essere diviso in
natura, appare sempre meno coerente in una società "mobile".
Si pensi ancora al desiderio di beneficiare associazioni e fondazioni di
varia natura ( 129).
(128) P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, Della divisione, Art. 713-768, in Comm.
cod. civ., a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna - Roma, 2000, p. 332; L. MENGONI,
La divisione testamentaria, Milano, 1950, p. 106; Cass., 23 marzo 1992, n. 3599.
(129) Vanno anche considerate la complessità e le varietà dei tipi di investimenti
finanziari, spesso non pienamente compresi dall'investitore, e delle conseguenze fiscali
sulla successione mortis causa.
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Va infine tenuto conto dell'impatto di portata epocale della nuova
legge n. 219/2012 e le conseguenze pratiche in materia successoria - ancora
da verificare - ma che potranno essere assai significative.
Tutto ciò convince sempre di più dell'importanza del testamento,
come strumento per disciplinare e "mirare" la propria successione, anche ai
fini della tutela delle persone affettivamente vicine al testatore, della
devoluzione di beni particolarmente "significativi" dal lato "affettivo" e dei
"ricordi" di una vita e della tutela dei beni aziendali e della loro continuità.
La potenzialità dello strumento testamentario è enorme, se ben
conosciuta e vista in unità con l'aspetto fiscale.
Con il testamento il suo autore può attribuire beni di qualità diversa a
soggetti diversi nell'ambito della quota di legittima, può evitare - se lo
desidera - in tutto o in parte la comunione ereditaria (spesso fonte nella
pratica di incomprensioni e contrasti); può inoltre orientare una parte
determinata del suo patrimonio verso i soggetti che hanno diritto alla quota
riservata e un'altra parte determinata verso estranei che hanno avuto una
particolare rilevanza nella vita del disponente; può riconoscere i meriti di
alcuni beneficiari con attribuzioni specifiche, stabilendo precisi equilibri sia
tra i legittimari, che tra i non legittimari, in una visione di unità successoria.
Insomma la funzione centrale del testamento in seno al diritto
successorio diventa sempre più insostituibile, come strumento di percorso di
vita, modificabile e adattabile in ogni momento della propria vita secondo la
propria situazione familiare, personale, affettiva e economica.
Il non disciplinare la propria successione con lo strumento del
testamento e quindi lasciare che la devoluzione ereditaria avvenga per legge
"appiattisce" il trattamento successorio sul solo legame di parentela o di
coniugio.
21. Disposizioni transitorie.
Il legislatore della riforma non ha dettato norme transitorie in merito ai
riflessi successori delle disposizioni già entrate in vigore al 1° gennaio 2013.
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Conseguentemente tali disposizioni dovrebbero trovare applicazione
solo alle successioni apertesi dopo tale data (1° gennaio 2013).
Per le successioni apertesi in precedenza (per i decessi avvenuti
anteriormente all'1-1-2013) resterebbe precluso ogni diritto dei parenti
"naturali" e la devoluzione ereditaria andrebbe "vista" e disciplinata sulla
base delle disposizioni ante riforma, vigenti fino al 31 dicembre 2012 ( 130).
E ciò in conformità al "principio di irretroattività delle norme successorie"
( 131).
Analogamente, in occasione della riforma del diritto di famiglia, che
aveva profondamente innovato i diritti successori dei figli naturali (art. 566
cod. civ.), non fu prevista alcuna retroattività delle disposizioni.
Allo stesso modo, il legislatore del 2012 sembrerebbe essersi attenuto
al principio generale per cui la legge regolatrice della successione è quella
vigente al tempo dell'apertura della successione.
Infatti - come è stato già rilevato (cfr. § 8) - l'intervento del legislatore
del 2012 si è mosso su piani diversi: il piano del vincolo di parentela che
sancisce l'appartenenza alla famiglia "aperta" e il piano più propriamente
successorio. In altre parole una cosa è collocare "i nuovi parenti" nella
famiglia "allargata", un'altra cosa è estendere la chiamata alla successione ai
parenti "naturali" ( 132).
Le nuove norme, che hanno creato vincoli di parentela in capo ai
soggetti che prima ne erano esclusi e pertanto la "loro vocazione ereditaria",
non dovrebbero avere carattere retroattivo e quindi non dovrebbero
consentire a quei soggetti di essere chiamati alle successioni apertesi prima
del 1° gennaio 2013 (anche se ora, teoricamente, sono collocati nelle
categorie dei successibili ex lege).
(130) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni
familiari, cit., pp. 239-240.
(131) E in generale per il principio della irretroattività della legge, previsto dall'art.
11, comma 1 delle preleggi, secondo cui "la legge non dispone che per l'avvenire: essa non
ha effetto retroattivo". È un principio di "civiltà giuridica". In base a questo principio, a
tutela della certezza del diritto, le fattispecie descritte in astratto dalle norme determinano
conseguenze giuridiche successivamente all'entrata in vigore delle norme stesse. Cfr. A.
TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 44.
(132) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni
familiari, cit., pp. 234-239-240.
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Tuttavia va segnalato che l'art. 2, comma 1, lettera l) incarica il
Governo di assicurare "l'adeguamento della disciplina delle successioni e
delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio", prevedendo,
anche in relazione ai giudizi pendenti, una disciplina che assicuri la
protezione degli effetti successori riguardo ai parenti, anche per gli aventi
causa del figlio non matrimoniale premorto o deceduto nelle more del
riconoscimento e conseguentemente l'estensione dell'azione di petizione di
cui agli artt. 533 e ss. del codice civile.
Come è stato sottolineato in dottrina (133), la norma non è chiara ed è
di difficile interpretazione. Il legislatore delegato dovrà chiarire se, in forza
della retroattività degli effetti della dichiarazione di riconoscimento al
momento della nascita, il figlio e i suoi aventi causa possano agire in
petizione di eredità con riguardo alle successione apertesi prima di entrata
in vigore della riforma.
Non sembrerebbe che l'art. 2, comma 1, lettera l) abbia voluto
prevedere la retroattività delle nuove disposizioni sulla parentela per la
materia ereditaria e quindi permettere la chiamata dei parenti "naturali" per
le successioni aperte prima del 1° gennaio 2013.
Va meditata, pertanto, con attenzione la delega dove recita che il
Governo dovrà adottare una disciplina che "assicuri la produzione degli
effetti successori" riguardo ai parenti del figlio "naturale" premorto o
deceduto nelle morde del riconoscimento e conseguentemente l'estensione
delle azioni di petizione. La norma sembrerebbe voler regolare anche le
successioni aperte anteriormente a quella data purché il giudizio di
riconoscimento sia pendente.
Se la legge delega vuole assicurare la produzione degli effetti
successori riguardo ai parenti, unico e solo presupposto possibile per
riconoscere al soggetto premorto anche i diritti successori è l'azione di
accertamento giudiziale della paternità o maternità naturale.
Occorre distinguere a seconda che si abbia riguardo ai discendenti del
figlio non matrimoniale premorto nelle more del riconoscimento o di altri
(133) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni
familiari, cit., p. 241.
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parenti.
Ebbene, la legge consente di proseguire l'azione solo ai discendenti del
figlio non matrimoniale premorto (art. 270, comma 3, cod. civ.). Pertanto se
i discendenti del figlio non matrimoniale (figlio naturale) decidessero di
proseguire l'azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità
o la maternità naturale (azione imprescrittibile, ex art. 270, comma 1, cod.
civ.), l'esito vittorioso risolverebbe anche eventuali problemi successori: la
Sentenza accerta il rapporto di filiazione e il figlio acquista tutti i diritti
successori che la legge gli attribuisce, diritti successori che verranno
attribuiti, operandosi la rappresentazione, a vantaggio dei discendenti del
figlio non matrimoniale, i quali sarebbero quindi eredi e, in quanto tali,
legittimati attivamente all'esercizio dell'azione di petizione dell'eredità ( 134).
Nel caso, invece, in cui il figlio non matrimoniale, morto dopo aver
iniziato nei confronti del proprio genitore naturale il giudizio diretto a far
constatare la paternità o la maternità naturale, non abbia discendenti ma solo
altri parenti, a costoro a norma dell'art. 270, comma 3, cod. civ. è preclusa la
possibilità di proseguire l'azione. Ne deriva l'impossibilità per i parenti di
ottenere una Sentenza che accerti la paternità o la maternità naturale e che
crei, quindi, il presupposto per consentire al figlio premorto di poter
succedere al proprio genitore "naturale". In conseguenza i parenti, diversi
dai discendenti, del figlio premorto nelle more del giudizio non potranno
avere la legittimazione all'esercizio della petizione di eredità.
Pertanto sia il caso del figlio premorto prima di aver avviato l'azione,
sia il caso del figlio premorto nelle more di giudizio senza discendenti ma
soltanto con altri parenti, sono di scarsa rilevanza pratica.
La disciplina transitoria è tutt'altro che semplice, perché se si volesse
davvero assicurare - come appare dalla legge delega - "la produzione degli
effetti successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio
naturale premorto deceduto nelle more del riconoscimento", si dovrà
probabilmente rivedere il tema della legittimazione e dei termini per l'azione
(134) Anche in questo senso V. BARBA, La successione mortis causa dei figli
naturali dal 1942 al disegno di legge recante disposizioni in materia di riconoscimento dei
figli naturali, cit., p. 663.
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di accertamento giudiziale della paternità e della maternità naturale ( 135).
Considerando che l'azione di petizione dell'eredità è imprescrittibile,
potrebbe aprirsi un contenzioso straordinario rispetto a successioni apertisi
anche parecchi anni prima.
(135) V. BARBA, La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno
di legge recante disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, cit., p. 664.