Angelo Magnani - Corte d`Appello di Milano
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Angelo Magnani - Corte d`Appello di Milano
1 Angelo Magnani IL PRINCIPIO DI UNICITA' DELLO STATO GIURIDICO DI FIGLIO. IL NUOVO CONCETTO DI PARENTELA. RIFLESSI SUCCESSORI.* Sommario: 1. Il quadro normativo. - 2. Il fine, i principi ed i criteri direttivi della riforma. - 3. I punti qualificanti della riforma. Il nuovo concetto di parentela; il riconoscimento del vincolo di parentela del figlio "naturale" ("non matrimoniale"), non solo con i propri genitori, ma anche con tutti i parenti dei genitori; il diritto alla parentela. - 4. Il riconoscimento dei figli nati da relazioni parentali (ex figli "adulterini" e figli incestuosi). - 5. L'unico stato giuridico di figlio. L'eliminazione di qualsiasi differenza tra i figli "legittimi" (matrimoniali) e "naturali" (non matrimoniali) e la parificazione completa tra parentela "legittima" e parentela "naturale". L'abolizione dell'istituto della legittimazione dei figli naturali. - 6. Le conseguenze sul piano ereditario (in generale). - 7. Le conseguenze sul piano ereditario (in particolare): il diritto di commutazione riconosciuto ai figli "legittimi" nei confronti dei figli "naturali" ex art. 537, comma 2, cod. civ. ante riforma. L'ormai precedente diritto di commutazione. - 8. Conseguenze sul piano ereditario: l'incompatibilità dell'istituto della commutazione con la riforma. La posizione della Corte Cost. sulla commutazione nella Sentenza n. 335/2009. - 9. Segue: una rimodulazione del diritto di "commutazione" in funzione "economica" e di tutela del patrimonio aziendale della famiglia? - 10. Conseguenze sul piano ereditario: l'aumento dei chiamati ex lege nella linea collaterale. - 11. Conseguenze sul piano ereditario: la successione dei fratelli e delle sorelle naturali. - 12. Segue. La successione dei fratelli e delle sorelle adottivi. - 13. Segue. La successione dei fratelli e delle sorelle unilaterali. 14. La successione degli altri parenti "naturali" in linea collaterale. L'effetto "dirompente" e non ancora "valutato". - 15. Le conseguenze in tema di rappresentazione. - 16. I figli "naturali" non riconoscibili. - 17. Un caso di diseredazione con l'inversione del potere: il caso di esclusione dalla successione dei figli, anche adottivi e in loro mancanza dei discendenti, del genitore nei cui confronti è stata pronunciata la decadenza dalla potestà genitoriale per fatti che non integrano casi di indegnità. - 18. La revocazione delle donazioni e del testamento per sopravvenienza di figli. - 19. Il problema della impugnativa della divisione per preterizione di legittimari. - 20. L'importanza del testamento. - 21. Disposizioni transitorie. * Da questo studio si è desunta la relazione tenutasi al Convegno patrocinato dal Consiglio Superiore della Magistratura e dall'Ordine degli Avvocati di Pavia, al Collegio Ghislieri di Pavia, denominato "LEGITTIMI, NATURALI, ADOTTIVI: figli tutti uguali dopo la Legge n. 219/2012?", durante il quale l'Autore ha sviluppato i riflessi successori. Edizione aggiornata all'11 luglio 2013 2 1. Il quadro normativo. Già nell'anno 1994 la Corte Costituzionale, con Sentenza del 7 novembre 1994, n. 377 ( 1), stabilì "(...) la discrezionalità lasciata al legislatore dalla direttiva costituzionale è soggetta al limite della ragionevolezza dei tempi di attuazione, commisurati alla dinamica evolutiva dei rapporti sociali. Dopo vent'anni dalla riforma del diritto di famiglia appare sempre meno plausibile la regola che esclude dall'eredità i fratelli e le sorelle naturali del defunto (...). Il legislatore deve prendere atto del notevole incremento verificatosi nel frattempo, sebbene in misura inferiore che in altri paesi, delle nascite fuori del matrimonio e del fenomeno parallelo della famiglia di fatto (...). In rapporto non solo agli ascendenti e ai fratelli e alle sorelle, ma anche agli zii e alle zie e ai loro figli - parenti di terzo e quarto grado (...) - è sicuramente riconoscibile (...) una coscienza della parentela operante come fonte di solidarietà di gruppo. Di questo dato sociologico e dell'inerente giudizio di valore occorre tener conto nel bilanciamento di interessi che deve guidare l'attuazione della direttiva costituzionale". La legge 10 dicembre 2012, n. 219 ("Disposizioni in materia di riconoscimento di figli naturali"), in vigore dal 1° gennaio 2013, ha inteso eliminare qualsiasi forma di discriminazione tra figli "legittimi" e figli "naturali" o, meglio, tra figli nati all'interno del matrimonio e i figli nati fuori dal matrimonio ( 2) e ne ha equiparato lo status ( 3). Si tratta di una legge di portata epocale. Le conseguenze pratiche (1) Presidente F.P. Casavola, Giudici G. Pescatore, U. Spagnoli, A. Baldassarre, V. Caianiello, M. Ferri, L. Mengoni, E. Cheli, G. Vassalli, F. Guizzi, C. Mirabelli, F. Santosuosso, C. Ruperto, M. Vari. (2) Cfr. A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, 20°, a cura di F. ANELLI e C. GRANELLI, Milano, 2011, p. 1187, secondo cui il figlio è legittimo quando è stato concepito da genitori uniti in matrimonio (conta, infatti, il momento del concepimento, non quello della nascita). È invece naturale (prima della riforma il codice definiva illegittimo) quando è stato concepito da genitori che non sono sposati tra loro, o da genitori coniugati con altri. (3) Cfr. Appendice di aggiornamento "Le nuove norme in materia di filiazione (Legge 10 dicembre 2012 n. 219)", p. 11 ss., a cura di F. ANELLI e C. GRANELLI alla XX edizione del Manuale di diritto privato di A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, cit., Home Page Giuffrè.it, https://www.giuffre.it/ebusiness/62808/Torrente_Addenda.pdf, 22 maggio 2013. 3 ancora da verificare - potranno essere altrettanto significative, se non addirittura più rilevanti, per alcuni aspetti, rispetto agli effetti della legge di riforma del diritto di famiglia 19.5.1975, n. 151. Prima si distingueva: a) lo status di figlio legittimo, che si acquisiva con il "concepimento" da genitori uniti tra loro in matrimonio; b) lo status di figlio naturale, che si acquistava con il riconoscimento o con l'accertamento giudiziale della paternità o maternità naturale; ne derivavano determinate situazioni giuridiche e ben precise conseguenze. Ora, con la riforma del 2012, questa distinzione non esiste più. Si è voltato pagina. I figli sono semplicemente "figli". È una parificazione lapidaria e irreversibile. Ormai bisogna essere anche figli del proprio tempo. L'art. 315 cod. civ., nella sua nuova formulazione, dispone che "tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico": concepiti da genitori uniti o non in matrimonio, i figli sono destinatari delle stesse norme; a loro vengono riconosciuti uguali diritti e sono soggetti a uguali doveri. Si rileva anzitutto il primo impatto formale, dal punto di vista lessicale, della nuova legge. In base all'art. 2, comma 1, della legge di riforma n. 219/2012 i figli "nati fuori dal matrimonio" non potranno più definirsi "naturali", così come "i figli nati nel matrimonio" non potranno più definirsi "legittimi", salvo l'utilizzo delle denominazioni di "figli nati fuori dal matrimonio" e di "figli nati nel matrimonio", quando si tratti di disposizioni ad essi specificamente relative. In tutta la legislazione vigente ogni riferimento ai "figli legittimi" e ai "figli naturali" è sostituito con l'espressione "figli" (salvo constatare che, paradossalmente, la stessa L. n. 219/2012 contiene ancora nel titolo l'espressione "figli naturali"). E' sembrata concordemente idonea, in un recente Convegno, la nuova definizione di "figli non matrimoniali" e di "figli matrimoniali" ( 4). (4) Convegno del 24 maggio 2013 patrocinato dal Consiglio Superiore della Magistratura e dall'Ordine degli Avvocati di Pavia, al COLLEGIO GHISLIERI di Pavia, denominato "LEGITTIMI, NATURALI, ADOTTIVI: figli tutti uguali dopo la Legge n. 219/2012?", presieduto da G. SERVETTI, relatori M. SESTA, G. BUFFONE, A. GRAZIOSI, C. CAMPIGLIO, A. MAGNANI, C. RIMINI. 4 La legge di riforma n. 219/2012 ha apportato importanti modifiche alle nostre norme civilistiche ed ha poi delegato il Governo a disciplinare alcuni aspetti in materia di filiazione, prevedendo, all'art. 2, che il Governo è incaricato di adottare, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di riforma, uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, di dichiarazione dello stato di adottabilità e l'adeguamento della normativa delle successioni e delle donazioni. Alcune norme sono già state modificate e pertanto sono immediatamente operative dal 1° gennaio 2013: i novellati artt. 74, 251, 276, 315, i nuovi 315 bis, 448 bis, le nuove rubriche dei titoli IX e XIII del libro I, le modifiche all'art. 250, il nuovo art. 38 disp. att. cod. civ. Altre norme saranno modificate in seguito alla revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e opereranno in seguito all'emanazione di uno o più decreti legislativi che il Governo è delegato ad adottare per eliminare ogni discriminazione tra i figli. 2. Il fine, i principi ed i criteri direttivi della riforma. L'articolo 2 ha espressamente dichiarato il fine, i principi ed i criteri direttivi della riforma: a) eliminare ogni discriminazione tra tutti i figli, anche adottivi, nel rispetto dell'art. 30 della Costituzione, sia sul piano lessicale, sia su quello formale, sia sul piano sostanziale ( 5); b) non far gravare sui figli le condotte dei genitori o le loro colpe o addirittura la loro unione deplorevole (è il caso - quest'ultimo – dell'unione tra persone legate da vincoli di parentela o di affinità); c) il riconoscimento non può più essere precluso per una condizione giuridica del figlio; d) l'unicità dello stato giuridico di figlio; (5) Cfr. Art. 30, comma 1 e comma 3, Cost. "È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio (...). La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima". 5 e) la parificazione della parentela legittima e della parentela naturale; f) addivenire, entro 12 mesi, come conseguenza dei principi predetti, all'adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio. La piena condivisione delle ragioni che hanno ispirato la legge di riforma n. 219/2012 non impedisce, tuttavia, di formulare alcune riserve sulle quali riflettere. 3. I punti qualificanti della riforma. Il nuovo concetto di parentela; il riconoscimento del vincolo di parentela del figlio "naturale" ("non matrimoniale"), non solo con i propri genitori, ma anche con tutti i parenti dei genitori; il diritto alla parentela. Si premette che l'art. 74 cod. civ., anche se non è, propriamente, una norma successoria, incide notevolmente sulla disciplina ereditaria. Dall'art. 74 cod. civ., come modificato dalla L. n. 219/2012, emerge subito il primo punto qualificante della riforma: il nuovo concetto di parentela, senza distinzione tra filiazione avvenuta all'interno o all'esterno del matrimonio. Corollario del principio e sua logica conseguenza è la nascita di rapporti di parentela tra il figlio "naturale" ("non matrimoniale") ( 6) e la famiglia del/i genitore/i ( 7), che ha/hanno effettuato il riconoscimento, principio espresso dal novellato art. 258, comma 1, cod. civ. È questo il secondo punto qualificante della riforma. Precedentemente il riconoscimento produceva effetti solo con riguardo al genitore che lo aveva effettuato. Ora, con la riforma il riconoscimento produce effetti anche con riguardo ai parenti del genitore (art. 258 cod. civ.). Secondo il riformato art. 74, la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è 4 (6) Si veda il § 1 e la nota ( ). (7) M. SCALISI, Note a prima lettura alla legge di riforma sui figli naturali, in CNN NOTIZIE, Roma, 18 dicembre 2012, p. 2. 6 avvenuta "all'interno del matrimonio", sia nel caso in cui è avvenuta "al di fuori di esso", sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età. La legge di riforma 10 dicembre 2012, n. 219 ha, pertanto, espressamente tracciato, ampliandolo, il nuovo perimetro del concetto di parentela, come vincolo tra persone che discendono da uno stesso stipite e che sussiste in tutti i seguenti casi: a) quando la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio; b) quando la filiazione è avvenuta al di fuori del matrimonio; c) quando il figlio è adottivo. L'adozione, infatti, ha come effetto l'acquisto per l'adottato dello status di figlio "matrimoniale" ( 8) degli adottanti, dai quali l'adottato assume e trasmette il cognome (art. 27, comma 1, legge 4 maggio 1983, n. 154, denominata "Diritto del minore a una famiglia"). Tuttavia il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età. Facendo un rapido excursus storico, si ricorda che la riforma del diritto di famiglia (L. 19 maggio 1975, n. 151) aveva già migliorato la posizione dei figli "naturali" riconosciuti ( 9), cercando di equiparare la loro condizione a quella dei figli "legittimi". Con riferimento in particolare allo status parentale e familiare del figlio "naturale" ( 10): a) con la riforma del 1975: - il riconoscimento di un figlio "non matrimoniale" ha comportato da parte del genitore l'assunzione di tutti gli stessi doveri e diritti che egli ha nei confronti di un figlio "matrimoniale" (art. 261 cod. civ.) ( 11); - l'obbligo alimentare dei figli "non matrimoniali" e dei genitori "naturali" è stato parificato a quello dei figli "matrimoniali" e dei genitori "legittimi" (art. 433 cod. civ.); - inoltre, dal punto di vista terminologico, è stata cambiata la (8) Il figlio precedentemente definito legittimo. (9) Infatti la disciplina dei diritti dei figli naturali nel testo originario del codice civile non sembrava conforme al dettato costituzionale. (10) Il figlio "non matrimoniale". (11) A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 1218. 7 definizione dei figli nati fuori dal matrimonio da "illegittimi" in "naturali" ( 12); il termine "illegittimo" metteva in evidenza il principio secondo il quale, per essere conforme alla legge, la filiazione presupponeva il vincolo matrimoniale tra i genitori ( 13); b) dopo la riforma del 1975: - rimaneva, tuttavia, una fondamentale differenza rispetto allo status parentale del figlio "legittimo", differenza dovuta alla mancanza del rapporto di coniugio tra i genitori del figlio "naturale": - il figlio "legittimo" aveva uno status che gli garantiva l'appartenenza a una famiglia ed un rapporto giuridico con la coppia dei genitori; - il figlio "naturale", invece, assumeva uno status soltanto nei confronti di ciascun genitore, anche quando fosse stato riconosciuto da (12) In base al codice civile ante riforma L. 10 dicembre 2012, n. 219, erano figli "legittimi": a) quelli concepiti da genitori uniti in matrimonio (artt. 231 ss. cod. civ.), poiché la famiglia "legittima", secondo la formulazione della Costituzione all'art. 29, è quella fondata sul matrimonio (ex art. 29 Cost. la Repubblica riconosce i diritti della "famiglia come società naturale fondata sul matrimonio"); b) i figli nati o concepiti durante un matrimonio poi giudicato invalido (art. 128, comma 2, cod. civ.). È il caso dei figli nati dal matrimonio putativo (da "putare" ossia credere, cioè il matrimonio che i coniugi credevano valido). Pertanto, nel caso di matrimonio putativo, i figli nati o concepiti durante un matrimonio poi giudicato invalido, si consideravano figli legittimi, anche nel caso in cui fosse stato in buona fede solo uno dei coniugi. Nel caso in cui entrambi i coniugi fossero stati in malafede, i figli si consideravano egualmente legittimi, a meno che la nullità dipendesse da bigamia o incesto (art. 128, comma 4, cod. civ.). In queste ultime due ipotesi ai figli spettava lo stato di figli naturali riconosciuti "nei casi in cui il riconoscimento è consentito" (art. 128, comma 5, cod. civ.). Pertanto, i figli nati da matrimonio nullo per bigamia potevano acquisire lo stato di figli naturali, mentre nel caso di nullità derivante da incesto, essendo esclusa in ogni caso la riconoscibilità dei figli incestuosi nati da genitori consapevoli del rapporto di parentela o affinità esistente tra loro (art. 251 cod. civ.), era esclusa anche l'instaurazione di un rapporto di filiazione naturale. Cfr. A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 1142. Si veda, tuttavia, Corte Costituzionale, Sentenza n. 494/2002, Home Page Consulta Online, http://www.giurcost.org/decisioni/index.html, 7 luglio 2013. Erano invece figli naturali i figli procreati da genitori non uniti in matrimonio tra loro. Era figlio "adulterino" il figlio naturale concepito da genitori che all'epoca del concepimento erano legati da matrimonio con persona diversa dall'altro genitore (figli naturali procreati in costanza di matrimonio). Un figlio poteva essere "adulterino rispetto ad uno solo dei genitori", se uno era sposato e l'altro era libero, oppure poteva essere "adulterino rispetto ad entrambi i genitori", se tutti e due i genitori erano sposati, ovviamente con altri e non tra loro. La legge di riforma del diritto di famiglia n. 151/1975 aveva disposto che i figli adulterini potessero essere riconosciuti (c.d. "riconoscibilità" dei figli naturali) e ha eliminato tale definizione. Era "incestuoso" il figlio naturale concepito da persone tra le quale esisteva un rapporto di parentela, anche soltanto naturale, o in linea retta o in linea collaterale di secondo grado (fratello e sorella), ovvero un vincolo di affinità in linea retta; definito incestuoso, in quanto nato da genitori dai quali è stato consumato quello che si chiama l'incesto e che può dar luogo a una figura di reato (art. 564 cod. pen.). (13) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Famiglia e diritto, n. 3, 2013, p. 231. 8 entrambi i genitori; - la mancanza di un rapporto coniugale tra i genitori determinava per il figlio la costituzione di due rapporti, indipendenti tra loro, con ciascuno dei genitori; - chi nasceva da genitori non coniugati tra loro non entrava nelle famiglie dei suoi genitori; - ai figli naturali non era riconosciuto il fondamentale diritto alla parentela ( 14), perché, anche dopo la riforma del diritto di famiglia, si era sempre ritenuto che le relazioni di parentela presupponessero il vincolo matrimoniale dei genitori ( 15). Anche la Corte Costituzionale aveva affermato tale principio, sostenendo che non si potesse instaurare un rapporto di parentela tra fratelli naturali ( 16). Con la riforma del diritto di famiglia del 1975 vi è stato, pertanto, un avvicinamento di grande importanza all'equiparazione tra figli "legittimi" e "naturali" ( 17); l'equiparazione tuttavia non è stata completa, soprattutto sul piano successorio. Con riferimento, in particolare, ai diritti ereditari: a) nel codice civile ante riforma del 1975 i figli "naturali" avevano un trattamento di sfavore, sia nel caso di concorso con i figli "legittimi" dello stesso genitore (infatti i figli "naturali" riconosciuti conseguivano, se in concorso con figli "legittimi", la metà della quota spettante a questi ultimi) ( 18), sia e perfino quando i figli "naturali" non concorrevano con i figli "legittimi" (in assenza di figli legittimi, i figli naturali concorrevano con gli (14) C. M. BIANCA, La legge italiana conosce solo figli, in Rivista di diritto civile, vol. 1, Milano, 2013, p. 2. (15) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., p. 232. (16) M. SESTA, La Filiazione, in Trattato M. Bessone, II ed., Torino, 2011, p. 20; Corte Cost. sentenza 26 ottobre - 7 novembre 1994, n. 377, in Giustizia civile, 1995, I, p. 84 e Home Page Corte costituzionale, http://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do, 8 luglio 2013; Corte Cost. sentenza 23 novembre 2000, n. 532, in Corriere giuridico, 2001, p. 1034. (17) La legge di riforma del diritto di famiglia del 1975 ha, altresì, eliminato ogni differenza nella ricerca della paternità rispetto a quella della maternità e ha stabilito che l'azione di dichiarazione giudiziale sia di paternità che di maternità può essere liberamente esperita (art. 269 cod. civ.), tranne il caso in cui non è ammesso neppure il riconoscimento (quando si tratti di persone che risultano figli legittimi o legittimati di altri genitori ex art. 253 cod. civ.). (18) Cfr. Art. 574 cod. civ. del 1942 ante riforma del diritto di famiglia del 1975. 9 ascendenti del de cuius, sia in presenza, sia in assenza del coniuge) ( 19); b) con la riforma del 1975 si è cercato di superare queste differenze e di attuare una "sostanziale equiparazione" - così era stata definita - dei discendenti "legittimi e naturali", attribuendo ai figli "naturali" riconosciuti le stesse quote spettanti ai figli legittimi (20); tale previsione fu ritenuta "una tra le più significative innovazioni introdotte dalla riforma del diritto di famiglia"; c) la stessa riforma ha fatto comunque salva la facoltà dei figli "legittimi" di soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli "naturali" che non vi si oppongano (il c.d. "diritto di commutazione"); in caso di opposizione, la decisione spetta al giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali (combinato disposto art. 566, comma 2, ed art. 537, comma 3, cod. civ.) ( 21). Riprendendo quello che deve considerarsi uno degli effetti più innovativi dell'intera riforma del 2012 - il riconoscimento ai figli "naturali" del vincolo di parentela non solo con il genitore o i genitori che l'hanno riconosciuto, ma anche con tutti i parenti dei genitori - si vedrà nel prosieguo la grande portata innovativa, soprattutto dal punto di vista del (19) Cfr. Art. 575 cod. civ. del 1942 ante riforma del 1975. (20) L'art. 574, nella formulazione del codice civile del 1942, che prevedeva il concorso dei figli naturali e legittimi e che i figli naturali in caso di concorso con i figli legittimi, conseguivano la metà della quota che conseguivano i legittimi, è stato abrogato dall'art. 187 della legge di riforma del diritto di famiglia n. 151/75. È stato anche abrogato l'art. 575 del cod. civ. del 1942 ante riforma del diritto di famiglia n. 151/75, che prevedeva il concorso dei figli naturali con ascendenti e coniuge del genitore e l'art. 576 cod. civ., che prevedeva la successione dei soli figli naturali. (21) Vedi amplius al successivo § 7. Si anticipa che, per espressa previsione legislativa, i beni da dare in commutazione possono/potevano essere soltanto denaro o immobili ereditari, con conseguente esclusione di beni mobili diversi dal danaro o di immobili che non siano ereditari. Gli immobili da dare in commutazione devono/dovevano essere stimati secondo il loro valore venale e il loro stato al tempo della dichiarazione di commutazione. E ciò anche nel caso in cui la quota dei figli naturali venga/fosse commutata in danaro. Invece il valore della quota va/andava determinata con riguardo al momento dell'apertura della successione. Secondo alcuni si può/poteva utilizzare, per l'esercizio del diritto di commutazione, anche denaro non ereditario, perché dal tenore letterale della norma non è/era dato ricavare una restrizione a questo riguardo. Per tutti L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da CICU e MESSINEO e continuato da MENGONI, Milano, 1999, p. 77, nota 34; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, a cura di A. FERRUCCI e C. FERRENTINO, Tomo I, Milano, 2009, p. 457 ss.; L. FERRI, Dei legittimari. Art. 536 - 564, cit., p. 36; G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. dir. priv. diretto da P. RESCIGNO, vol. 5, Torino, 1997, II, p. 396. 10 diritto ereditario e donativo: sorgono infatti per il figlio "naturale" legami di parentela con tutti i parenti del genitore che ha effettuato il riconoscimento, come i fratelli e le sorelle "matrimoniali" ("legittimi") ma anche "non matrimoniali" ("naturali"), i nonni, gli zii ed i cugini e così fino al sesto grado. Ne deriva - come si vedrà - che il figlio "naturale" ("non matrimoniale") potrà ricevere per successione anche dai parenti sopra citati ( 22). Si riportano qui di seguito le modifiche intervenute all'art. 74 cod. civ. Ante riforma Post riforma Art. 74. Parentela. Art. 74. Parentela. La parentela è il vincolo tra le 1. La parentela è il vincolo tra persone che discendono da uno persone che discendono da uno stesso stipite. stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. 2. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti. Di grande portata è anche la modifica, introdotta dalla legge, all'art. 258 cod. civ. Art. 258. Effetti del Art. 258. Effetti del riconoscimento. riconoscimento. 1. Il riconoscimento non produce 1. Il riconoscimento produce effetti che riguardo al genitore da effetti riguardo al genitore da cui cui fu fatto, salvo i casi previsti fu fatto e riguardo ai parenti di (22) M. SCALISI, Note a prima lettura alla legge di riforma sui figli naturali, in CNN NOTIZIE, cit., p. 2. 11 dalla legge. esso. 2. Immutato. 2. Immutato. 3. Immutato. 3. Immutato Si estende la categoria dei successibili per rappresentazione. Si riportano i testi degli artt. 467 e 468 cod. civ. ante riforma e i loro probabili testi dopo la funzione di adattamento affidata ai decreti delegati. Ante riforma Post adattamento Art. 467. Nozione. 1. La Art. 467. Nozione. rappresentazione fa 1. La rappresentazione fa subentrare i discendenti legittimi o subentrare i discendenti naturali nel luogo e nel grado del luogo e nel grado del loro loro ascendente, in tutti i casi in ascendente, in tutti i casi in cui cui questi non può o non voglia questi non può o non voglia accettare l'eredità o il legato. accettare l'eredità o il legato. 2. Immutato. 2. Immutato. Art. 468. Soggetti. Art. 468. Soggetti. 1. La rappresentazione ha luogo, 1. La rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei nella linea retta, a favore dei discendenti discendenti dei figli legittimi, dei figli, nel anche legittimati e adottivi, nonché dei adottivi, del defunto, e, nella discendenti dei figli naturali del linea collaterale, a favore dei defunto, e, nella linea collaterale, a discendenti dei fratelli e delle favore dei discendenti dei fratelli e sorelle del defunto. delle sorelle del defunto. 2. Immutato. 2. Immutato. Pertanto, in virtù della legge n. 219/2012: a) la parentela naturale, sia in linea retta sia in linea collaterale, ha la stessa ampiezza di quella legittima; b) sussiste, in particolare, parentela in linea collaterale tra il figlio 12 "naturale" (non matrimoniale) e il figlio "legittimo" (matrimoniale) del medesimo genitore (questione che è stata oggetto di importanti sentenze della Corte Costituzionale, come infra citato); c) sussiste vincolo di parentela anche tra i figli "naturali" (non matrimoniali), e loro discendenti, dello stesso genitore, ma anche con gli ascendenti del medesimo; d) si applica la rappresentazione, nella successione in linea collaterale, anche a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle "naturali" (non matrimoniali) del defunto ( 23). 4. Il riconoscimento dei figli nati da relazioni parentali (ex figli "adulterini" e figli incestuosi). Il codice civile del 1942, nel suo testo originario, ammetteva il riconoscimento dei figli naturali, a condizione che non si trattasse di figli adulterini o incestuosi, che, pertanto, erano non riconoscibili. Veniva definito adulterino il figlio naturale concepito da genitore che, all'epoca del concepimento, era unito in matrimonio con persona diversa dall'altro genitore ( 24). Erano definiti "incestuosi" i figli naturali concepiti da persone tra le quali esisteva un rapporto di parentela, anche solo naturale, o in linea retta all'infinito (padre e figlia, madre e figlio, nonno e nipote) o in linea collaterale di secondo grado (fratello e sorella), ovvero un vincolo di affinità in linea retta (suocero e nuora, genero e suocera). (23) Già in seguito alle sentenze della Corte Costituzionale n. 55/79 e n. 184/90 (come meglio infra citato), che hanno riconosciuto sussistente il vincolo di parentela "naturale" tra fratelli e sorelle "legittimi" e fratelli e sorelle "naturali" e hanno "aggiunto" tra i successibili, in caso di successione ex lege, anche i fratelli naturali dopo gli ascendenti e prima dello Stato, si doveva ritenere applicabile l'istituto della rappresentazione nel caso di decesso del padre a favore sia dei figli "legittimi" sia dei figli "naturali" e in seguito al decesso del fratello - che può essere "legittimo" o "naturale" - a favore dei discendenti sia dei fratelli e sorelle "legittimi" sia dei fratelli e sorelle "naturali". (24) Un figlio può/poteva essere adulterino rispetto ad uno solo dei genitori, se uno è sposato e l'altro è libero, oppure può/poteva essere adulterino rispetto ad entrambi i genitori, se tutti e due i genitori sono sposati, ovviamente con altri e non tra di loro. A. TORRENTE, P. SCHELESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 1214. 13 La riforma del diritto di famiglia del 1975, per non far ricadere sui figli le responsabilità dei genitori, ha cancellato il divieto di riconoscimento dei figli adulterini, definizione espunta del tutto dal codice. Pertanto dopo la riforma del 1975 il riconoscimento di un figlio "naturale" poteva essere effettuato non soltanto dal padre e dalla madre che al momento del concepimento erano liberi, non sposati, ma pure dai genitori o da quello dei genitori che all'epoca del concepimento era unito in matrimonio con altra persona (art. 250, cod. civ.). Rimaneva però il divieto di riconoscere come figlio "naturale" colui che avesse lo status di figlio "legittimo" di altri (art. 253, cod. civ.). La legge di riforma n. 151 del 1975 - che aveva, come accennato, già migliorato la posizione dei figli nati fuori dal matrimonio, definiti "naturali" e non più "illegittimi" ed aveva tuttavia mantenuto distinto lo status di figlio "naturale" rispetto allo status di figlio "legittimo" (sia sul piano lessicale, sia sul piano formale, sia anche sul piano sostanziale) - aveva, invece, conservato il divieto di riconoscimento dei figli incestuosi, salvo per i genitori in buona fede (entrambi o uno solo di essi); in questa ipotesi era stata però introdotta la previsione di una autorizzazione giudiziale del riconoscimento (art. 251, comma 2, cod. civ.). Il divieto di riconoscimento dei figli dei parenti ( 25), chiamati "incestuosi", era dettato dalla ripugnanza dell'incesto. La legge di riforma del 2012, all'innovato art. 251 cod. civ., consente ora il riconoscimento dei figli "incestuosi". Il figlio nato da relazioni parentali "può essere riconosciuto", previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. Viene così rimosso il divieto di riconoscimento dei figli dei parenti, perché gravemente contrastante con lo spirito della riforma, che ha voluto non far gravare sui figli le colpe dei genitori o meglio dell'unione deplorevole dei loro genitori. La riforma del 2012, con questa ulteriore modifica radicale del precedente divieto di riconoscimento ha perseguito il fine - dichiarato all'art. (25) Salvi i casi eccezionali previsti dalla legge. 14 2 - di eliminare ogni discriminazione tra tutti i figli, nel rispetto dell'art. 30 della Costituzione, dal momento che è dovere della legge assicurare ai figli nati fuori del matrimonio "ogni tutela giuridica e sociale" ( 26). A seguito della legge 10 dicembre 2012, n. 219 il riconoscimento non deve essere precluso in ragione di una condizione giuridica di irriconoscibilità del figlio, ma può essere non autorizzato dal giudice competente in ragione del pregiudizio che in concreto il figlio possa subire dal riconoscimento. Si riporta qui di seguito il testo dell'art. 251 cod. civ. ante e post riforma. Ante riforma Post riforma Art. 251. Riconoscimento di figli Art. incestuosi. riconoscimento. 1. I figli nati da persone, tra le 1. Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela quali esiste un vincolo di parentela anche soltanto naturale, in linea in linea retta all'infinito o in linea retta linea collaterale nel secondo grado, grado, ovvero un vincolo di affinità in all'infinito collaterale nel o in secondo 251. Autorizzazione ovvero un vincolo di affinità in linea linea retta, non possono essere riconosciuto previa autorizzazione riconosciuti dai loro genitori, salvo del che all'interesse questi al concepimento tempo ignorassero del il vincolo esistente tra di loro o che sia stato matrimonio dichiarato da cui nullo retta, giudice può al avuto del figlio essere riguardo e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. il derivava l'affinità. Quando uno solo dei genitori è stato in buona fede, il riconoscimento del figlio può essere fatto solo da lui. 2. Il riconoscimento è autorizzato 2. Il riconoscimento di una persona (26) La tutela deve essere compatibile con "i diritti dei membri della famiglia legittima", come recita l'art. 30, comma 3, ultima parte, Cost. 15 dal giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio ed alla minore di età è autorizzato dal Tribunale per i minorenni. necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. 5. L'unico stato giuridico di figlio. L'eliminazione di qualsiasi differenza tra i figli "legittimi" (matrimoniali) e "naturali" (non matrimoniali) e la parificazione completa tra parentela "legittima" e parentela "naturale". L'abolizione dell'istituto della legittimazione dei figli naturali. Secondo la legge di riforma n. 219/2012, "tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico" (cfr. l'art. 315 riformato) e pertanto - come detto - "in tutta la legislazione vigente" le parole "figli legittimi" e "figli naturali" sono sostituite dalla parola "figli". È fatto solo salvo - in via rigorosamente subordinata, se non eccezionale - l'utilizzo delle espressioni "figli nati nel matrimonio" o "figli nati fuori dal matrimonio" quando si tratta di disposizioni ad essi specificamente relative (art. 2, comma 1, lett. a) L. n. 219/2012) ( 27). Sembra pertanto idonea la definizione di "figli matrimoniali" e "figli non matrimoniali" ( 28). Si sancisce quindi l'eliminazione di qualsiasi differenza tra i figli nati nel matrimonio e quelli nati fuori dal matrimonio e la conseguente parificazione completa tra parentela "naturale" e parentela "legittima". Si è così data piena attuazione alle opinioni, manifestate già da tempo (27) Ex art. 2, comma 1, L. n. 219/2012 "il Governo è delegato ad adottare, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione (...) per eliminare ogni discriminazione tra i figli (...) osservando (...) i seguenti principi e criteri direttivi (...) sostituzione, in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai "figli legittimi" e ai "figli naturali" con riferimento ai "figli", salvo l'utilizzo della denominazione di "figli nati nel matrimonio" o di "figli nati fuori del matrimonio" quando si tratta di disposizioni ad essi specificamente relative (...)". 4 (28) Si veda § 1 e la nota ( ). 16 in dottrina, favorevoli ad attuare compiutamente il principio di uguaglianza in tema di filiazione. Va detto che l'intervento del legislatore si è reso necessario anche in seguito al recepimento, da parte della Costituzione europea, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000 (la c.d. "Carta di Nizza") che vieta ogni discriminazione basata sulla nascita (cfr. art. 21) ( 29). Con l'unificazione dello stato di figlio è stato abolito l'istituto della legittimazione dei figli naturali (art. 1, comma 10, l. n. 219/2012), che ha perduto la sua ragione di essere. Si ricorda che con la legittimazione il figlio nato fuori dal matrimonio acquistava la qualità di figlio legittimo (art. 280, comma 1, cod. civ. ante riforma L. n. 219/2012). Non potevano essere legittimati i figli che non potevano essere riconosciuti (art. 281 cod. civ. ante riforma L. n. 219/2012). La legittimazione poteva avvenire per susseguente matrimonio dei genitori naturali o per provvedimento del giudice. La legittimazione per susseguente matrimonio si verificava automaticamente nel caso che si fossero sposati tra loro i genitori che avessero entrambi riconosciuto il figlio (art. 283 cod. civ. ante riforma L. n. 219/2012) ( 30). Già dopo la riforma del diritto di famiglia n. 151/1975, in considerazione della pressoché completa equiparazione tra la posizione del figlio "naturale" riconosciuto o dichiarato e quella del figlio "legittimo", la legittimazione aveva perduto parte della sua importanza ( 31). Ora, con l'attribuzione di un unico status di figlio, si instaura un rapporto pienamente rilevante non soltanto tra il genitore e il proprio figlio ma anche tra quest'ultimo e gli altri componenti della famiglia. (29) C. M. BIANCA, La legge italiana conosce solo figli, cit., p. 2. (30) La legittimazione poteva essere concessa anche se vi erano figli legittimi o legittimati del genitore che aveva chiesto di far luogo alla legittimazione, ma questi dovevano essere previamente sentiti se avevano già compiuto i 16 anni (art. 284, comma 2, cod. civ. ante riforma L. n. 219/2012). La legittimazione giudiziale poteva essere richiesta pure dal figlio, qualora il genitore fosse morto dopo aver espresso in un testamento o in un atto pubblico la volontà di legittimarlo, se sussisteva un'impossibilità o un gravissimo ostacolo a procedere alla legittimazione mediante matrimonio tra i genitori naturali (art. 285, comma 1, cod. civ. ante riforma L. n. 219/2012). (31) A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., pp. 1225 1226. 17 E ciò assume una grande importanza anche in sede successoria (come infra si vedrà). Come è stato sottolineato in dottrina, con la recente riforma si ha la proclamazione dello statuto dei diritti del figlio ( 32). Pertanto, oltre ai già previsti diritti al mantenimento, all'educazione ed all'istruzione, sono stati riconosciuti il diritto del figlio all'assistenza morale, il diritto di crescere nella propria famiglia, il diritto di mantenere rapporti significativi con i parenti e il diritto, del figlio cha abbia compiuto 12 anni e anche di età inferiore se capace di discernimento, di essere ascoltato in tutte le procedure che lo riguardano (art. 315 bis, comma 1, cod. civ.) e, correlativamente, i doveri del figlio che convive con la famiglia di contribuire al mantenimento della stessa in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze, al proprio reddito (art. 315 bis, comma 2, cod. civ.). 6. Le conseguenze sul piano ereditario (in generale). Gli aspetti successori avranno una grandissima rilevanza pratica. Presupposto della successione dei figli "nati fuori dal matrimonio" era che questi fossero stati riconosciuti nei modi di legge (dal genitore "naturale" della cui eredità si tratta), ovvero che la filiazione fosse stata giudizialmente dichiarata, con l'effetto di stabilire il rapporto di filiazione, riconosciuta o dichiarata, col genitore. Pertanto, il figlio "nato fuori dal matrimonio" non riconosciuto, o non riconoscibile, o giudizialmente non dichiarato, non poteva vantare diritti alla successione del genitore. L'eliminazione di qualsiasi differenza tra i figli, qualunque sia lo status dei genitori al momento del loro concepimento, comporta e comporterà delle notevoli conseguenze sul piano ereditario. La legge di riforma n. 219/2012 - come detto - ha delegato il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di (32) C. M. BIANCA, La legge italiana riconosce solo figli, cit., p. 3. 18 riforma, uno o più decreti legislativi "per eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi, nel rispetto dell'art. 30 della Costituzione" con l'"adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio" e prevedere, anche "in relazione ai giudizi pendenti", una "disciplina che assicuri la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio" nato fuori dal matrimonio "premorto o deceduto nelle more del riconoscimento e conseguentemente l'estensione delle azioni di petizione di cui agli artt. 533 ss. cod. civ.". I riflessi successori delle nuove disposizioni già entrate in vigore sono di tutta evidenza con particolare riferimento alla disposizione (l'art. 1), che già ha modificato gli artt. 74, 251, 258 del codice civile: a) a norma dell'art. 74 cod. civ. (Parentela), la parentela è il vincolo tra le persone che discendono dallo stesso stipite "in tutti i casi", sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori del matrimonio, sia nel caso in cui il figlio è adottivo; b) ex art. 258 cod. civ. come modificato (Effetti del riconoscimento), il riconoscimento produce effetti non solo riguardo al genitore da cui fu fatto, ma anche riguardo ai parenti di esso; c) in base al nuovo art. 251 (Autorizzazione al riconoscimento del figlio nato da relazioni parentali), il figlio anche se nato da relazioni parentali può essere riconosciuto, previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio. In forza delle precitate disposizioni il soggetto, una volta conseguito lo stato di figlio a seguito del riconoscimento o della dichiarazione giudiziale, diventa parente delle persone che discendono dallo stipite dei suoi genitori ed entra a far parte di una famiglia estesa, indipendentemente dal fatto che sia stato concepito nel o fuori dal matrimonio. Ciò vale anche per il figlio nato da genitori tra loro parenti (che, in base al nuovo testo dell'art. 251 cod. civ., può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio). 19 Diversamente da quanto accadeva di regola fino al 2012, il figlio "nato fuori dal matrimonio" può ora trovarsi inserito in due famiglie, quella paterna e quella materna (tra loro prima non comunicanti), in virtù del vincolo di affinità ( 33). Dalla attuale normativa appare, pertanto, modificata la nozione di "famiglia legale", che ora non sembra più necessariamente fondata sul matrimonio, perché i vincoli giuridici tra i suoi membri prescindono da esso ( 34). Il coniuge del genitore naturale diventa affine con il figlio "non matrimoniale" del marito o della moglie e anche affine con i parenti del medesimo figlio "non matrimoniale" (esempio con i figli del figlio non matrimoniale e con i suoi fratelli), perché, come noto, l'affinità è il vincolo che unisce un coniuge con i parenti dell'altro coniuge. 7. Le conseguenze sul piano ereditario (in particolare): il diritto di commutazione riconosciuto ai figli "legittimi" nei confronti dei figli "naturali" ex art. 537, comma 2, cod. civ. ante riforma. L'ormai precedente diritto di commutazione. Ai sensi dell'art. 537, comma 3, cod. civ. nell'attuale formulazione (formulazione che sarà destinata - con grandissima probabilità - ad essere espunta dalla futura legislazione delegata dalla L. n. 219/2012), i figli "legittimi" possono soddisfare in danaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli "naturali" che non vi si oppongano e, nel caso di opposizione, decide il giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali. Il diritto di commutazione era previsto come una facoltà concessa solo (33) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., p. 233. (34) È stato giustamente osservato - come infra verrà meglio trattato - che occorre porsi l'interrogativo della coerenza di tale nuovo assetto della famiglia rispetto a quanto enunciato dalle norme costituzionali e in particolare dal comma 1 dell'art. 29, Cost., che pone il matrimonio quale elemento costitutivo della famiglia, e dall'art. 30, ultimo comma, Cost. Così M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., p. 233. 20 a favore dei figli "legittimi" - e non anche a favore del coniuge - nei confronti dei figli "naturali" ( 35), rendendoli così estranei alla comunione ereditaria ( 36). Riterrei egualmente di fare un excursus storico dell'istituto. La facoltà di commutazione fu introdotta dal codice civile del 1865, fu conservata nel codice del 1942 ed è stata poi mantenuta anche con la riforma del diritto di famiglia del 1975. Il fine della introduzione dell'istituto nel codice del 1865 fu quello di impedire un eccessivo frazionamento della proprietà; il fine del suo mantenimento, nel codice del 1942 e anche a seguito della riforma del 1975, - che pure aveva innovato con riguardo ai diritti dei figli naturali - era di dare una preferenza alla famiglia "legittima" nei confronti della famiglia "naturale". Gran parte della dottrina, pur riconoscendo - fino all'entrata in vigore della legge n. 219/2012 - la conformità del diritto di commutazione all'art. 30, comma 3, Cost. ("la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima"), tra la riforma del 1975 e quella del 2012 ( 37), ne aveva auspicato il suo superamento, in considerazione della differenza di trattamento tra figli "legittimi" e "naturali" ( 38). In merito alla natura giuridica, la commutazione: a) consisteva - secondo alcuni - in un diritto potestativo spettante ai figli "legittimi" nei confronti dei figli "naturali", in quanto il suo esercizio produceva il mutamento della situazione giuridica dei figli "commutati" in conseguenza della dichiarazione di volontà degli altri figli. Anche dopo la riforma del 1975 - che ha modificato in modo radicale l'istituto introducendo il diritto di opposizione dei figli "commutati" e la successiva valutazione decisionale del Giudice (come si vedrà ultra) - era in (35) Era possibile soddisfare i figli naturali in danaro o in beni immobili ereditari e non anche in beni mobili. Cfr. F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1962, p. 78. (36) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 457. (37) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, in Trattato di diritto civile e commerciale, cit., p. 79 ss.; G. BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2006, p. 21. (38) Cfr. G. BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, cit., p. 21. 21 parte rimasta, seppur minoritaria e isolata ( 39), la tesi del diritto potestativo ( 40); b) consisteva in un negozio giuridico unilaterale (la c.d. 41 "dichiarazione di scelta") ( ), che potevano esercitare solo i figli "legittimi": la facoltà andava comunicata ai figli "naturali" e, se il negozio era ritenuto recettizio, si perfezionava al momento in cui perveniva a loro conoscenza (ex art. 1334 cod. civ.); c) secondo altra dottrina - che sembrava preferibile - sarebbe stato un diritto potestativo ad esercizio controllato: i figli "naturali" potevano opporsi alla facoltà di commutazione dei figli "legittimi"; in questo caso il Giudice poteva verificare i presupposti della commutazione e la giusta causa della volontà di esclusione dalla comunione ereditaria dei figli "legittimi" ( 42); d) consisteva in una proposta contrattuale, potendo essa essere accettata o meno; e) in base ad altra dottrina - che sembrava preferibile - rivestiva invece una natura negoziale, la natura di contratto divisionale; (39) S. D'AVINO, Commutazione delle quote ereditarie dei figli naturali, in Riv. not., 1984, p. 564, secondo cui "la particolare incidenza di tale situazione giuridica si manifesterebbe nel potere riconosciuto ai figli legittimi di provocare ex uno latere l'esclusione dei figli naturali dalla comunione ereditaria, con l'assegnazione ad essi di determinati beni rientranti nel compendio ereditario". (40) N. PETRONI, Riconoscimento del figlio naturale, in Enc. Diritto, XL, p. 623, secondo cui "la nuova formulazione ha indotto parte della dottrina a qualificare in termini giuridici diversi il diritto di commutazione". (41) AA.VV., in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, a cura di G. BONILINI, Milano, 2009, p. 292; L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 81; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006, p. 134; L. FERRI, Dei legittimari. Art. 536 - 564, cit., p. 35. (42) Cfr. G. TAMBURRINO, Successione necessaria (diritto privato), in Enc. Diritto, XLIII, Milano, 1990, p. 1357, se "il figlio naturale contesta in concreto le condizioni di legge cui il diritto potestativo è subordinato nel suo nascere, tale contestazione non può che portare, nel caso in cui il giudice accerti l'esistenza di queste condizioni, all'affermazione del diritto potestativo con Sentenza costitutiva del giudice". Di tale opinione è stata anche la Corte Costituzionale che, con Sentenza n. 335 in data 14 dicembre 2009, ha stabilito che, in seguito alla riforma del diritto di famiglia del 1975 - che ha modificato radicalmente quanto in precedenza previsto in tema di diritto di commutazione dall'art. 541 cod. civ. (abrogato dall'art. 177 della stessa legge n. 151 del 1975) - aveva rimodulato il diritto di commutazione "trasformato da insindacabile diritto meramente potestativo attribuito ai figli legittimi a diritto ad esercizio puntualmente controllato, in quanto soggetto alla duplice condizione della mancata opposizione del figlio naturale e della decisione del Giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali". Cfr., Corte Costituzionale sentenza n. 335/2009, Home Page Corte Costituzionale, http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2009&numero=335, 7 luglio 2013. 22 f) era una facoltà sottoposta al sindacato del Giudice sulla legittimità della commutazione con la possibilità di operare un bilanciamento degli interessi in causa ed un controllo sia relativamente all'esercizio del diritto di commutazione, sia in merito all'aspetto quantitativo dei diritti che si pretendeva fossero assegnati ai figli "naturali", sia con riguardo alle "circostanze personali" del caso; g) nasceva necessariamente una trattativa negoziale nel caso di opposizione dei figli "naturali" alla facoltà di commutazione dei figli "legittimi"; per raggiungere il loro obiettivo i figli "legittimi" dovevano necessariamente aprire una trattativa negoziale sui beni da attribuire in proprietà esclusiva ai figli "naturali" a titolo di commutazione, che, in caso di accordo, si concretizzava in un contratto di natura divisoria (atto di "stralcio divisionale" o atto di "divisione" o atto di "permuta di quote" tra comproprietari, al fine di poter attribuire in proprietà esclusiva determinati beni ad uno o più comproprietari); h) l'efficacia della "dichiarazione di scelta" era subordinata alla condizione sospensiva della non opposizione dei figli naturali (43). (43) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 85 ss. In merito alla collocazione sistematica dell'istituto nel nostro ordinamento civilistico, la legge prevedeva la facoltà di commutazione sia nella successione necessaria (art. 537, comma 3, ed art. 542, comma 3, cod. civ.) sia nella successione legittima (art. 566, comma 2, cod. civ.). Questa previsione avrebbe testimoniato un "principio fondante" del nostro sistema successorio. Secondo la dottrina dominante l’istituto sarebbe stato invece incompatibile e non poteva essere esteso alla successione testamentaria: sia perché non è prevista normativamente nella successione testamentaria, sia per il supposto suo carattere eccezionale (in quanto facoltà concessa dal legislatore ai soli figli legittimi). Cfr. G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Tomo 1, cit., p. 463; C. M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni, Milano, 1985, p. 516; L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 90; G. V. CASULLI e V. R. CASULLI, Successione necessaria, in Nuovissimo Digesto, Torino, 1987, p. 631 ss. Su questa opinione, mi permetto di dissentire, potendo invece essere prevista in un testamento, come esercizio della libertà testamentaria e dell'autonomia negoziale. L'importante era che il figlio "naturale" potesse ottenere la sua legittima, intesa in senso "quantitativo" (come è pacifico in dottrina ed in giurisprudenza dalla "natura quantitativa e non qualitativa" della quota di legittima). D'altronde il testatore può liberamente comporre la quota di legittima di un legittimario a sua discrezione con gli istituti della "divisione del testatore" (ex art. 734 cod. civ.) e delle "norme date dal testatore per la divisione" (ex art. 733 cod. civ.) e con l'apporzionamento dell'istitutio ex re certa (ex art. 588 cod. civ.). Si veda anche ultra al successivo §. 23 8. Conseguenze sul piano ereditario: l'incompatibilità dell'istituto della commutazione con la riforma. La posizione della Corte Cost. sulla commutazione nella Sentenza n. 335/2009. L'introduzione dell'unico stato giuridico di figlio, la totale equiparazione tra figli "nati nel matrimonio" e figli "nati fuori dal matrimonio" e la strada ormai irreversibile scelta del legislatore della riforma n. 219/2012 hanno privato del tutto il contenuto dell'istituto del diritto di commutazione, sebbene la norma che lo disciplina (l'art. 537, comma 3, cod. civ.) non sia stata ancora espunta dal codice civile. Si può sostenere che con la predetta legge di riforma si sia verificato un'abrogazione, per ora solo tacita, dell'istituto della commutazione per l'incompatibilità fra le disposizioni della legge di riforma e quelle precedenti in tema di commutazione, per una contraddizione tale da rendere impossibile la contemporanea applicazione delle nuove disposizioni con le precedenti ( 44). In tale prospettiva, i figli "nati fuori dal matrimonio" e che già concorrevano a pieno titolo come eredi nell'eredità dei propri genitori, non potranno più essere "liquidati" dai figli "nati nel matrimonio" con l'istituto del diritto di commutazione. In particolare la norma di cui all'art. 537, comma 3, cod. civ., così come formulata, dovrà - con grandissima probabilità - essere sostituita dai previsti decreti legislativi di revisione al dichiarato fine di "eliminare ogni discriminazione tra i figli". E ciò: a) nel rispetto dell'art. 30, comma 3, Cost. ("La legge assicura ai figli (44) Come noto, si ha abrogazione tacita se nella legge successiva manca una dichiarazione formale di abrogazione, ma le disposizioni posteriori: a) o sono incompatibili con una o più disposizioni antecedenti (sussiste incompatibilità quando fra le disposizioni successive e quelle precedenti vi sia una contraddizione tale da renderne impossibile la contemporanea applicazione); b) o costituiscono una regolamentazione dell'intera materia già regolata dalla legge precedente, la quale, pertanto, deve ritenersi assorbita e sostituita integralmente dalle disposizioni più recenti anche in assenza di una vera e propria incompatibilità tra la vecchia e la nuova disciplina. Così A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 43. 24 nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale ...)"; b) con riguardo all'art. 3 Cost. ("tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione (…) di condizioni personali e sociali"); c) con riguardo ai principi di cui all'art. 315, cod. civ. (come modificato dall'art. 1 L. 10 dicembre 2012, n. 219), secondo cui tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico e dell'art. 315 bis, comma 2, cod. civ. (aggiunto dall'art. 1 L. n. 219/2012), secondo cui il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Riterrei comunque di fare alcune considerazioni tra passato e futuro, "de iure condito" e " de iure condendo". Era anzitutto quanto meno dubbia la natura giuridica di diritto potestativo del diritto di commutazione. Prima della riforma del diritto di famiglia del 1975 non era previsto "il diritto di opposizione alla commutazione" e pertanto si poteva allora sostenere che l'atto di commutazione fosse un negozio giuridico unilaterale esercitato dai figli nati nel matrimonio nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio. A seguito della nuova formulazione dell'art. 537, come modificato dalla legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha previsto l'opposizione, il negozio di commutazione aveva assunto una natura giuridica diversa, di negozio bilaterale o plurilaterale, essendo necessaria la volontà dei figli nati fuori dal matrimonio. La fase esecutiva della commutazione poteva avvenire pertanto solo in base ad un accordo o, in mancanza di questo, in base ad una decisione giudiziale ( 45). L'effetto finale che si verificava era analogo a ciò che avviene quando il testatore, avvalendosi della sua libertà testamentaria e della sua (45) In forza del quale in luogo della quota indivisa sulla comunione ereditaria si attribuivano ai figli nati fuori dal matrimonio denaro o immobili ereditari, corrispondenti al valore della quota ereditaria, in modo che i figli che sceglievano volontariamente di uscire dalla comunione ereditaria avevano integri i loro diritti ereditari. Nel caso di un'eventuale successiva scoperta di beni ereditari, si doveva procedere a un "supplemento di divisione", perché i figli "naturali" ed anche i loro eredi, avevano un diritto pro-quota sui successivi beni scoperti, per cui si doveva tenerne conto perché precedentemente la comunione ereditaria è stata sciolta rispetto ad altri beni. Così L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 81. 25 discrezionalità nel fare la divisione tra i suoi eredi, beni diversi tra i figli (dal punto di vista qualitativo) purché rispetti il valore della legittima a loro spettante (c.d. "natura quantitativa e non qualitativa della legittima"). Infatti il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi (art. 734, comma 1, cod. civ.), o stabilire particolari norme per formare le porzioni (art. 733 cod. civ.), o assegnare uno o alcuni beni determinati come quota del patrimonio attraverso la c.d. istituzione di erede ex re certa (art. 588 cod. civ.), attribuendo a sua discrezione beni determinati ad alcuni suoi eredi, evitando la comunione ereditaria tra tutti o alcuni dei suoi eredi. Anche nella commutazione il valore dei beni attribuiti ai figli doveva corrispondere alla loro quota ereditaria, uguale tra figli "matrimoniali" e "non matrimoniali". In più, i figli che venivano "commutati" dovevano acconsentire alla "surrogazione" della quota indivisa con beni determinati, eventualmente mediante la "non opposizione"; mentre nel caso della divisione del testatore o delle norme divisionali del testatore o dell'istituzione ex re certa, i figli sono tenuti ad "accettare" i beni attribuiti loro dal genitore, qualunque sia la loro natura (e pertanto anche solo beni mobili o solo crediti o solo partecipazioni societarie), purché sia rispettata la quota di legittima. La Corte Costituzionale, investita di recente della questione di legittimità costituzionale, con la citata Sentenza n. 335 in data 14 dicembre 2009 ( 46), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 537, comma 3°, cod. civ., in riferimento agli artt. 3 e 30, comma 3°, Cost., sollevata dal Tribunale Ordinario di Cosenza ( 47). Secondo la Corte Costituzionale: a) con l'art. 30, comma 3, Cost., che prevede espressamente che "la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima", si esprime una regola di equiparazione dello status di figlio naturale allo status di figlio legittimo nei limiti di compatibilità con i diritti dei membri della (46) Cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 335/2009, cit. (47) Cfr. Tribunale ordinario di Cosenza, Ordinanza n. 68/2008, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, anno 2009. 26 famiglia legittima fondata sul matrimonio; b) il precetto costituzionale di cui all'art. 30, comma 3, prevede, nell'ambito dei rapporti tra il figlio naturale e i membri della famiglia legittima, un criterio di compatibilità, "finalizzato alla composizione dei diritti coinvolti, che deve compiersi in un contesto (non già di discriminazione della posizione dell'uno rispetto a quella degli altri, quanto piuttosto) di riconoscimento della diversità delle posizioni in esame"; c) l'art. 537 cod. civ. (come sostituito dall'art. 173 della legge 19 maggio 1975, n. 151), oltre a prevedere e regolamentare il diritto di commutazione, dispone che, nell'ipotesi di concorso all'eredità di figli legittimi e naturali, "agli uni e agli altri sono attribuiti in egual misura i medesimi diritti successori (comma 1 e 2)"; d) il legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975 (abrogando l'art. 541 cod. civ.), ha equiparato i diritti successori dei figli "legittimi" e "naturali", contestualmente rimodulando il diritto di commutazione, che riguarda [solo] la fase di divisione dell'asse ereditario, trasformato da insindacabile diritto meramente potestativo attribuito ai figli "legittimi" a diritto ad esercizio puntualmente controllato; e) la commutazione, condizionata dalla previsione della facoltà di opposizione da parte del figlio "naturale" e dalla valutazione delle specifiche circostanze poste a base della decisione del giudice, non contraddice l'aspirazione alla (...) parificazione della posizione dei figli "naturali", giacché non irragionevolmente si pone come termine di bilanciamento (compatibilità) dei diritti del figlio "naturale" in rapporto con i figli membri della famiglia legittima fondata sul matrimonio; f) il giudice assume il ruolo di garante della "parità di trattamento nella diversità" e la concretezza della soluzione giurisdizionale permette di calibrare la singola decisione alle specifiche circostanze personali (attinente ai pregressi rapporti tra i figli) e patrimoniali (riguardanti la situazione dei beni lasciati in eredità, in considerazione sia della loro maggiore conservazione e gestione, sia del rapporto che lega l'erede al bene); g) la ratio sottesa alla norma non può dirsi anacronistica anche per la sua formulazione "aperta" e la disposizione appare viceversa idonea alla 27 valutazione delle singole fattispecie che possono verificarsi in concreto e perciò la norma è immune da vizi di incostituzionalità. Questo l'ultimo intervento della Corte Costituzionale sull'argomento. Si vedrà se il legislatore delegato, in qualche modo, ne terrà conto, anche in considerazione della data recente (2009) della pronuncia ( 48). Il legislatore potrà ritenere di aver già fatto, a monte, una scelta "politica" di base. Pare che, comunque, la via sia ormai tracciata e non possa più essere cambiata. Bisogna tener conto dei cambiamenti della società e della nascita di "nuove comunità" di affetti, che non si possono disconoscere e del fenomeno sempre più crescente della filiazione "non matrimoniale", che va incontestabilmente tutelata. Dalle attuali norme sopra citate - come è stato sottolineato - risulta radicalmente modificata la nozione di "famiglia legale", che non appare più necessariamente fondata sul matrimonio, considerato che i vincoli tra i suoi membri prescindono spesso da esso ( 49). Occorre, comunque, porsi l'interrogativo della coerenza dell'abrogazione del diritto di commutazione con il disposto dell'art. 29 Cost., che pone il matrimonio a base della famiglia ("la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul (48) Così anche V. BARBA, La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno di legge recante "Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali", in Famiglia, Persone e Successioni, 2012, pp. 662-663, che, ipotizzando l'eliminazione del diritto di commutazione da parte del legislatore delegato, pone qualche dubbio al riguardo "perché occorre verificare se la delega al Governo di cui all'art. 2, co. 1°, lett. l, lo consenta appieno, anche alla luce dell'ultimo intervento della Corte Costituzionale del 2009 e in considerazione del rilievo che, nella stessa delega, il disegno di legge (art. 2, co. 1°) ammonisce sul rispetto dell'Art. 30 Cost.". Lo stesso Autore auspica poi: "(…) la legge delegata dovrebbe, nel concorso tra figli legittimi e figli naturali, tanto nel caso di successione legittima, quanto nella disciplina della successione necessaria, definitivamente cancellare le norme che attribuiscono ai primi il diritto di soddisfare, in danaro o in beni ereditari, la quota che spetta ai secondi". Lo stesso Autore considera che l’ammodernamento del nostro diritto successorio meriterebbe ben altro intervento e, sopra tutti, la eliminazione della disciplina della successione necessaria, più volte annunciata, ma mai portata a compimento, vero ostacolo della piena affermazione dell'autonomia testamentaria e retaggio di modelli culturali, oggi non più, unanimemente condivisi". Tuttavia la successione necessaria è proprio ispirata alla tutela dei più stretti vincoli familiari (in particolare verso i figli), di fronte alla quale viene limitata la volontà di disporre del testatore: "ripugna alla coscienza collettiva che tutti i beni del de cuius siano lasciati o donati ad un estraneo e che qualcuno dei figli o il coniuge non riceva nulla". Così anche A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., pp. 1284-1285. (49) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., p. 233. 28 matrimonio") e dell'art. 30, comma 3, Cost. ("La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima"). Si è di fronte a due precetti costituzionali che se analizzati - alla luce della riforma del 2012 - da diverse visualità potrebbero porre qualche problema nell'attività interpretativa tra norme costituzionali e norme ordinarie: da un lato l'eliminazione di qualsiasi discriminazione tra figli (ex art. 30, comma 2, Cost.), dall'altro la tutela dei "figli nati fuori dal matrimonio" ma "compatibile" con i diritti dei membri della famiglia legittima (art. 30, comma 3, Cost.) e la tutela della famiglia come società naturale, di cui la Costituzione ne riconosce i diritti (art. 29 Cost.). Per cui si pone un problema di interpretazione "adeguatrice" della legge con la Costituzione ( 50). Si è consapevoli che la legge di riforma del 2012 è stata approvata proprio per attuare i principi costituzionali (51), tuttavia non è agevole conciliarne gli effetti con il modello costituzionale della famiglia ex art. 29 Cost. La famiglia, che si prospetta dalla legge di riforma della filiazione, invece, è una famiglia estesa. Si è andati, con la riforma, verso una famiglia "aperta". Resta tuttavia la constatazione che la norma costituzionale di cui all'art. 29 pensava alla famiglia nucleare e che non consente di includervi fattispecie familiari senza matrimonio ( 52). Va condivisa l'osservazione di una parte della dottrina secondo cui (50) I. CIOLLI, Brevi note in tema di interpretazione conforme a costituzione, in Rivista AIC Associazione Italiana dei Costituzionalisti, I, 2012, Home Page AIC, http://www.rivistaaic.it/articolorivista/brevi-note-tema-d-interpretazione-conformecostituzione, 7 luglio 2013; A. PACE, I limiti dell’interpretazione "adeguatrice", in Giurisprudenza costituzionale, 1963, p. 1066 ss.: "il vero problema è che non si può far dire, attraverso l’interpretazione conforme, ciò che la norma non dice". Da tener presente che il nostro sistema è congegnato in modo che la Corte Cost., pur non potendo definirsi l'unico interprete della Costituzione, ne resti l'interprete privilegiato. Così M. RUOTOLO, L'interpretazione conforme a Costituzione nella più recente giurisprudenza costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, a cura di A. PACE, Corte Costituzionale processo costituzionale nell'esperienza della rivista Giurisprudenza costituzionale per il Cinquantesimo anniversario, Milano, 2006, p. 905. (51) C. M. BIANCA, Dove va il diritto di famiglia?, in Familia, 2001, p. 9; G. FERRANDO, in Tratt. dir. priv., diretto da P. RESCIGNO, II ed., Torino, 1997, p. 131. (52) A. TRABUCCHI, Natura legge famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, 1. 29 l'intervento del legislatore del 2012 si muove su un piano diverso da quello propriamente successorio: a) la legge attua direttamente l'inserimento del figlio concepito fuori dal matrimonio nella famiglia del proprio genitore, affermando che il vincolo di parentela sancisce l'appartenenza alla famiglia; b) una cosa è, tuttavia, collocare i figli "concepiti e nati fuori dal matrimonio" sic et simpliciter nell'ambito della parentela e quindi della famiglia; c) cosa diversa è estendere la chiamata alla successione ai parenti "naturali" ( 53). L'abrogazione del diritto di commutazione potrebbe essere pertanto una questione costituzionalmente non del tutto definitivamente chiusa ( 54). 9. Segue: una rimodulazione del diritto di "commutazione" in funzione "economica" e di tutela del patrimonio aziendale della famiglia? L'eliminazione (pressoché certa) del diritto di commutazione, così come formulato, significa andare contro l'idea di impedire la frammentazione del patrimonio ereditario e andare contro la tendenza della devoluzione aziendale unitaria a quei soggetti che effettivamente hanno collaborato nella famiglia e nell'impresa di famiglia. Nel passato si è tanto parlato di "principio di unità della successione" ( 55). Il legislatore, in tanti casi, ha tentato di porre rimedio alla (53) In questo senso è illuminante L. SESTA, L'unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., p. 234. (54) Anche se sul punto in dottrina vi sono opinioni assolutamente prevalenti nel senso della incompatibilità del diritto di commutazione con la riforma in essere. Cfr. in particolare Appendice di aggiornamento "Le nuove norme in materia di filiazione (Legge 10 dicembre 2012 n. 219)", pag. 22, a cura di F. ANELLI e C. GRANELLI, Manuale di diritto privato di A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, cit.; A. PALAZZO, La riforma dello status di filiazione, in Riv. dir. civ., Padova, 2013, p. 259; V. BARBA, La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno di legge recante "Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali", cit., p. 664. (55) G. DE NOVA, Il principio di unità della successione e la destinazione dei beni alla produzione agricola, in Riv. dir. agr., Milano, 1979, p. 509 ss. 30 frammentazione e alla polverizzazione aziendale ( 56). Nel passato, inoltre, è sempre stata rivolta l'accusa al nostro regime successorio di dettare una disciplina troppo uniforme, trascurando la diversa natura dei beni ereditari. È stato anche detto che gli inconvenienti erano evidenti nell'ipotesi in cui la successione avesse per oggetto un'azienda e che la sopravvivenza dell'impresa era condizionata al permanere dell'integrità aziendale, che è, a sua volta, condizionata dallo stato di indivisione. Si è più volte osservato che la successione nell'azienda deve essere finalizzata alla conservazione del complesso produttivo, anche a costo di sacrificare altre esigenze (l'autonomia del de cuius, i vincoli familiari, l'eguaglianza tra i coeredi). E ciò al fine garantire la conservazione dell'unità economica, indipendentemente dalle sue dimensioni; per la conservazione e la continuità dell'impresa, intesa come prosecuzione dell'attività imprenditoriale da parte dei collaboratori del de cuius, dopo la sua morte; per la continuità dell'impresa, intesa come prosecuzione da parte di soggetti dotati dei necessari requisiti professionali. È stato pertanto spesso sottolineato che il nemico dell'integrità dell'azienda fosse la divisione ereditaria, conseguenza di un regime successorio che prevede diritti in natura per i successori legittimi ed i legittimari. La continuità aziendale può avvenire in due modi: facendo sì che i coeredi rimangano comproprietari, ovvero prevedendo l'assegnazione dell'azienda indivisa ad uno soltanto degli eredi. La prima soluzione presenta degli inconvenienti: la possibile contitolarità di coeredi non imprenditori; la possibile contitolarità di un numero eccessivo di persone rispetto alla potenzialità dell'azienda; la (56) Si ricordi la normativa del 1933 sulla bonifica integrale, basata sulla ricomposizione fondiaria; la creazione dell'unità colturale e delle sua indivisibilità al di sotto dell'unità colturale, nella cui disciplina si prevedeva che, in caso di scioglimento della comunione, il fondo indivisibile fosse assegnato ad uno solo dei comproprietari, che fosse stato coltivatore diretto, compensando gli altri comproprietari in danaro; la legge n. 1078/1940 relativa alle unità poderali, poste in comprensori di bonifica e assegnate in proprietà a coltivatori diretti, e che prevedeva che in caso di morte del titolare l'unità poderale dovesse essere assegnata ad un unico erede e che se i beni che facevano parte dell'asse ereditario non erano sufficienti, per il conguaglio in danaro l'erede assegnatario poteva pagare il suo debito in dieci anni con gli interessi legali e ricorrere al credito agrario. 31 necessità di una gestione collettiva. A tutela della integrità del patrimonio ereditario, nell'ipotesi in cui vi fossero comprese imprese, sono state previste varie norme: a) l'art. 230 bis cod. civ., in base al quale il familiare che presti in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare, oltre ai noti diritti previsti dalla comma 1, ha diritto, in caso di divisione ereditaria, alla prelazione sull'azienda, per cui i figli non imprenditori vengono liquidati con altri beni ereditari o con denaro. La norma può essere riletta anche in un altro modo: in caso di divisione ereditaria i familiari coeredi partecipanti all'impresa hanno diritto all'assegnazione dell'azienda, a preferenza degli altri coeredi non partecipi che possono essere liquidati con altri beni ereditari, salvo che si decida con il consenso di tutti i partecipanti alla continuazione nell'impresa; b) gli artt. da 768-bis a 768-octies cod. civ., introdotti dalla l. 14 febbraio 2006, n. 55, in materia di patto di famiglia, che si propone di consentire a colui che sia titolare di un'attività economica, gestita direttamente quale imprenditore individuale o attraverso una struttura societaria, di dare una destinazione stabile all'impresa a favore dei propri discendenti, prevenendo eventuali dispute successorie che potrebbero condurre ad una frammentazione del complesso aziendale o addirittura ad una crisi dell'impresa a causa di una gestione non condivisa o, peggio, litigiosa da parte dei contitolari (infatti una gestione incoerente e una situazione di stallo nella conduzione, provocati dalla presenza di contitolari in lite fra loro, possono rapidamente condurre alla rovina di una impresa) ( 57). Chi si occupa di successioni nella pratica sa che, apertasi la successione, si possono scatenare controversie tra eredi che, reclamando i propri diritti, pongono in discussione la composizione dei beni, la loro natura, il loro valore, ecc. L'esito di tali controversie è spesso la disgregazione aziendale. La legge che ha introdotto il patto di famiglia ha proprio voluto favorire la conservazione dell'integrità delle aziende nei passaggi da una generazione all'altra. (57) A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., pp. 12971298. 32 Il patto di famiglia, ex art. 768- bis, cod. civ., è, come noto, un contratto con cui si trasferiscono le aziende o le partecipazioni societarie del titolare ad uno o più discendenti, escludendo gli altri. Dunque gli assegnatari del complesso produttivo possono essere soltanto determinati discendenti e non altri familiari (il titolare può ritenere che determinati figli siano inadatti alla gestione aziendale). In base alle norme sul patto di famiglia i partecipanti al patto non assegnatari hanno diritto di essere "liquidati" dagli assegnatari con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote previste dalla legge in tema di successione. Inoltre i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto in parte, avvenga in natura, scorporando dall'azienda un cespite o soddisfacendo gli altri legittimari con beni diversi che vengono imputati alle quote di legittima loro spettanti (art. 768-quater, comma 3, cod. civ.). Addirittura, a tutela della stabilità del contratto, la legge (art. 768-quater, comma 4, cod. civ.) precisa che quanto ricevuto dai contraenti non assegnatari non è soggetto a collazione o a riduzione. De iure condendo, nell'eliminare il diritto di commutazione, il legislatore potrebbe "valutare" una norma con una funzione analoga agli istituti "deflattivi" sopra citati, che miri alla tutela dell'integrità aziendale e di soggetti che hanno partecipato all'azienda familiare, fermo rimanendo il diritto del familiare non assegnatario di ricevere una somma in danaro o altri beni ereditari. Nessun danno e nessun pregiudizio potrebbe subire il legittimario "surrogato", dal momento che il soggetto potrebbe opporsi, rimanendo nella comunione ereditaria oppure potrebbe ben ritenere di scegliere di uscire dalla comunione ereditaria accettando o meglio "negoziando" beni immobili ereditari o ottenendo, in tutto o in parte, danaro che dovrà sempre essere pari al valore della quota che compete al figlio "surrogato". Inoltre va tenuto presente che l'unitario statuto giuridico successorio dei figli non distingue, ai fini divisori, a seconda che i figli siano nati da persone unite in matrimonio o da persone non unite in matrimonio e legate da puro affectio familiaris o addirittura occasionalmente da soggetti che 33 nulla hanno mai condiviso e nulla condivideranno nel futuro ( 58). Ci si chiede che senso ha inserire sic et simpliciter un figlio "nato fuori dal matrimonio" non solo nella famiglia allargata del genitore "naturale" (ben venga), ma addirittura nella famiglia allargata del coniuge del genitore "naturale" ("terzo genitore")? Il problema è e può essere difficilmente superabile a livello normativo con una soluzione de plano. Ecco allora che la valutazione e la decisione del giudice - ex art. 537, comma 2, cod. civ., come modificato dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 - per il caso concreto era rilevantissimo e positivo, perché il Giudice (58) Oltre alle considerazioni sopra fatte, occorre anche ricordare che i diritti inviolabili dell'individuo vanno tutelati, non soltanto nella sfera individuale, ma anche nella sfera sociale e nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, delle quali la famiglia va considerata la prima e fondamentale espressione. Si ricorda il dettato costituzionale dell'art. 2, secondo cui "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". Inoltre non si ha violazione del principio di uguaglianza a tutelare, oltre all'individuo singolo, anche i membri della famiglia, perché proprio l'art. 3 Cost. impone un uguale trattamento per situazioni uguali e un trattamento differenziato per situazioni di fatto difformi. L'art. 3 Cost. dispone che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, sono eguali davanti alla Legge senza distinzione (...) di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza (...), impediscono il pieno sviluppo della persona umana (...)". Forme diverse di convivenza richiedono di essere tutelate e disciplinate; e con riferimento in particolare alla famiglia, va considerato che il matrimonio costituisce un momento essenziale di espressione della dignità umana, garantito costituzionalmente dall'art. 2 Cost. e, a livello sovranazionale, dagli art. 12 e 16 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948, dagli art. 8 e 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dagli artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000. Va tutelata ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona (art. 2 Cost.), intesa come stabile convivenza. Va egualmente tutelata "l'unità familiare", ex art. 2, comma 2, Cost. In base all'art. 29, comma 1, Cost., "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli "non matrimoniali", confligge veramente con il rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima, come ha avuto modo di sottolineare recentemente la Corte Costituzionale nella Sentenza n. 138 del 14 aprile 2010. Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 138/2010, Home Page Corte costituzionale, http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2010&numero=138, 7 luglio 2013. Il diritto e la libertà di sposarsi o di non sposarsi configura un diritto fondamentale della persona, riconosciuto a livello nazionale (art. 2 Cost.) e sovranazionale e il diritto di scegliere il coniuge autonomamente riguarda la sfera dell'autonomia e dell'individualità, sicché si risolve in una scelta sulla quale lo Stato non può intervenire, se non sussistono interessi prevalenti incompatibili. Cfr. Artt. 12 e 16 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'Uomo del 1948; artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000; Corte Costituzionale sentenza n. 138/2010, cit. 34 poteva valutare "le circostanze personali e patrimoniali", soppesando i giusti diritti dei figli "non matrimoniali" e dei figli "matrimoniali", ma anche del coniuge, a seconda della partecipazione all'impresa del de cuius, della durata della vita matrimoniale (di una vita oppure di qualche mese), del passaggio generazionale dell'impresa anche a tutela dell'occupazione e della produzione. Allora quali potrebbero essere le alternative nei singoli casi concreti? 1°. Si potrebbe pensare a un diritto "surrogazione" in presenza di beni determinati che giustificano il suo permanere per ragioni di "economia" e di "produzione" e per ragioni di natura affettiva: a) in presenza di un'azienda (o di più aziende) o di partecipazioni societarie in una società dove è svolta l'attività aziendale familiare, i figli, senza distinguere tra figli "matrimoniali" e "non matrimoniali", ed anche il coniuge che partecipano all'azienda possono - e si usa la terminologia normativa dell'art. 768-quater, cod. civ. in tema di "patto di famiglia" "liquidare" gli altri eredi e/o legatari, "ove questi non vi rinuncino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle loro quote" successorie o "in natura", prese dal patrimonio ereditario o al di fuori di esso. "I beni (…) sono imputati alle quote di legittima loro spettanti (…). "Quanto ricevuto" dagli assegnatari "non è soggetto a collazione o a riduzione". La ratio che sta a base di una modifica dell'ormai "superato" diritto di commutazione sul "piano oggettivo" (e non più "soggettivo") sarebbe la medesima di quella prevista in tema di "patto di famiglia" ex art. 768 bis e ss. cod. civ. In buona sostanza, si potrebbe prevedere una sorta di "diritto di surrogazione" che, tuttavia, varrebbe per tutti i figli, "matrimoniali" e "non matrimoniali", rispettando il principio di eguaglianza; b) in presenza della casa familiare, si potrebbe prevedere un analogo diritto che competerebbe al coniuge e/o ai figli (quali essi siano) che già prima del decesso della persona della cui eredità si tratta, abitavano la casa familiare per consentire ai medesimi di mantenere il ricordo e gli affetti della famiglia, diritto esteso non solo alla casa, ma alle sue pertinenze ed ai 35 mobili che la corredano, analogamente alla ratio legis prevista per il diritto di abitazione e di uso sui mobili che la corredano dall'art. 540/2 cod. civ. 2°. Si potrebbe pensare all'equiparazione della facoltà di esercitare tale diritto: tutti i figli avrebbero diritto di partecipare alla comunione ereditaria, fatta salva la facoltà di alcuni dei figli (sia "matrimoniali" che "non matrimoniali") che intendano "soddisfare in denaro o in beni immobili", ma anche in "beni mobili" (ipotesi quest'ultima non prevista dalla norma vigente), la porzione spettante agli altri figli che non vi si oppongano. Nel caso di opposizione deciderebbe il giudice, valutate le circostanze non solo personali e patrimoniali (come recita la regola attuale), ma anche di continuità di impresa, di comunanza di vita e di lavoro con i figli o alcuni di essi e con il coniuge. 3°. Si potrebbe addirittura pensare all'inversione della facoltà: tutti i figli avrebbero diritto di partecipare alla comunione ereditaria, fatta salva la facoltà dei figli "non matrimoniali" di richiedere di essere liquidati in denaro o in determinati beni immobili o "beni mobili" ereditari (al fine di non partecipare alla divisione) e gli altri figli "e il coniuge" non vi si oppongano. Nel caso di opposizione deciderebbe il giudice, valutate le circostanze personali, patrimoniali, di continuità di impresa, di comunanza di vita e di lavoro con i figli o alcuni di essi e con il coniuge. Fermo rimanendo che la totale equiparazione dello stato di figlio è assolutamente fuori discussione, si vuole sollecitare una riflessione sull'opportunità di favorire ragioni di comunanza di vita pregressa e di azienda, ai fini della tutela di situazioni affettive consolidate e dell'attenzione della continuità aziendale e di permanenza sul mercato dell'impresa, per preservare posti di lavoro e competitività economica. 10. Conseguenze sul piano ereditario: l'aumento dei chiamati ex lege nella linea collaterale. La conseguenza immediata della riforma è un notevole aumento, nella linea collaterale, dei successibili ex lege nella successione ab intestato, che 36 si apre in mancanza di testamento. Il vincolo di parentela si estende a favore dei parenti dei figli "naturali"; vengono ad avere punti di contatto e rilevanza ereditaria due alberi genealogici in linea collaterale, quello della parentela "legittima" e quello della parentela "naturale". Con riguardo alla parentela naturale diventano "successibili", con un grande aumento dei chiamati: - i fratelli e sorelle (2° grado), i figli di fratelli e sorelle (nipoti - 3° grado), i figli di nipoti (4° grado); - gli zii e le zie (fratelli e sorelle del padre e della madre - 3° grado); - i primi cugini (figli degli zii - 4° grado); - i secondi cugini (figli dei primi cugini - 5° grado); - i prozii e le prozie (fratelli e sorelle dei nonni paterni e materni - 4° grado); - i figli dei prozii (5° grado); - i pronipoti (figli dei figli dei prozii - 6° grado). Quando non vengono alla successione i parenti del "primo ordine" (i figli e i loro discendenti per rappresentazione) e del "secondo ordine" (gli ascendenti ed i fratelli, sorelle e, per rappresentazione, i loro figli), la successione, naturalmente, si verifica in base alla regola secondo cui i parenti collaterali dal terzo grado al sesto grado (il c.d. "terzo ordine" di successibili) hanno diritto di venire alla successione secondo il principio che il più vicino in grado esclude il più remoto, mentre quelli di pari grado concorrono per quote eguali. La successione non ha luogo tra i parenti oltre il sesto grado. Mentre nella linea retta il figlio "concepito fuori dal matrimonio" riconosciuto aveva già gli stessi diritti del figlio "matrimoniale" (l'ex figlio legittimo) e così i loro discendenti e ascendenti (cfr. art. 536, commi 1 e 3, cod. civ.). 11. Conseguenze sul piano ereditario: la successione dei fratelli e delle sorelle naturali. 37 Si era discusso in passato se si verificasse successione mortis causa tra fratelli e sorelle "legittimi", da un lato, e tra fratelli e sorelle "naturali", dall'altro lato, e anche tra fratelli e sorelle naturali tra loro. La risposta era stata negativa. Tradizionalmente, infatti, il nostro ordinamento era improntato al riconoscimento ai fini successori della sola parentela legittima nella linea collaterale ( 59). E ciò diversamente da quanto previsto in altri sistemi, a noi vicini, che già da tempo avevano parificato sostanzialmente la posizione dei parenti "naturali" a quelli "legittimi" ( 60). Nel nostro ordinamento giuridico, dal punto di vista dell'aspetto ereditario: a) il riconoscimento produceva effetti successori solo nella linea retta e con riguardo solo al genitore: la devoluzione ereditaria, pertanto, avveniva solo a favore del figlio "naturale riconosciuto" e anche a favore del genitore che aveva effettuato il riconoscimento (es. se moriva il padre, ereditava il figlio naturale riconosciuto; se moriva il figlio naturale riconosciuto, ereditava il padre) ( 61); b) il figlio naturale, di regola, non aveva diritti sulla successione dei parenti del genitore naturale che aveva effettuato il riconoscimento; né i parenti del genitore che aveva effettuato il riconoscimento avevano diritti sull'eredità del figlio naturale ( 62); c) il riconoscimento e la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale non si estendevano al di là dei rapporti personali tra figlio e genitore o tra figlio e genitori ( 63); d) l'unica eccezione al principio appena richiamato era prevista nel caso di morte dell'ascendente "legittimo", qualora il figlio "legittimo" e (59) M. RONCHI, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di G. BONILINI, III, La successione legittima, cit., p. 852. (60) A. FUSARO, I diritti successori dei figli: modelli europei e proposte di riforma a confronto, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2012, p. 747 ss. (61) Ex art. 258, comma 1, cod. civ., ante riforma del 2012 "il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvo i casi previsti dalla legge". (62) F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, cit., p. 81. (63) Se il riconoscimento era stato effettuato da entrambi i genitori o se la dichiarazione giudiziale aveva fatto stato verso entrambi i genitori. 38 genitore "naturale" che aveva effettuato il riconoscimento non poteva (perché premorto) o non voleva accettare l'eredità del suo ascendente: in questo caso il figlio naturale era ammesso a succedere all'ascendente ("legittimo") immediato del suo genitore naturale ( 64); e) con riguardo, in particolare, ai rapporti tra fratelli e sorelle nell'art. 565 cod. civ. attuale ("Categoria dei successibili"), che elenca le categorie dei successibili nell'ambito della successione legittima, non sono previsti i fratelli e le sorelle naturali: "nella successione legittima l'eredità si devolve al coniuge, ai discendenti legittimi e naturali, agli ascendenti legittimi, ai collaterali, agli altri parenti e allo Stato, nell'ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo". Naturalmente vi dovrà intervenire la legislazione delegata. All'interprete appare con chiarezza che la norma: - sembra ignorare che sono certamente parenti collaterali i fratelli e le sorelle; - non aggiunge alla categoria dei collaterali l'aggettivo "naturale", al contrario di quanto è previsto per i discendenti; - esclude, in conseguenza, dalla successione i fratelli e le sorelle "naturali", oltre alla categoria più ampia, degli altri parenti collaterali "naturali"; f) anche all'art. 570, comma 1, codice civile - previsto nel Capo I "successione dei parenti" - si fa riferimento solo alla successione dei "fratelli e delle sorelle", senza accennare ai fratelli e sorelle "naturali". E così in altre norme in tema di successioni (gli artt. 571, 572, 582 e 583 cod. civ.); g) si è pertanto ritenuto che la successione ex lege dei collaterali e tra i collaterali - tra cui i fratelli e le sorelle che sono parenti collaterali di 2° grado - fosse prevista soltanto nell'ipotesi in cui il rapporto di parentela risultasse "legittima" (65) escludendosi dalla successione ereditaria sia i (64) F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, cit., p. 81 che estendeva l'ipotesi al caso in cui - prima della riforma del diritto di famiglia del 1975 l'ascendente non avesse né il coniuge, né discendenti, né parenti o sorelle (e loro discendenti), né parenti legittimi entro il terzo grado, a norma dell'allora vigente art. 577. (65) A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 1226. 39 "fratelli e sorelle naturali" sia i parenti collaterali "naturali" in genere ( 66); h) per regola generale, pertanto, la filiazione "naturale" comportava l'instaurazione di un rapporto giuridicamente rilevante soltanto tra il genitore e il figlio "naturale riconosciuto" e non era ravvisabile un rapporto di "parentela naturale", ossia un vincolo tra il figlio e i parenti del genitore che aveva effettuato il riconoscimento ( 67); i) non era neppure applicabile l'istituto della rappresentazione a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle naturali del de cuius. Non venendo alla successione i fratelli e le sorelle naturali, non potevano, come corollario immediatamente conseguente, venire neppure alla successione i loro discendenti per rappresentazione ex art. 467 cod. civ. Sull'argomento è poi intervenuta la Corte Costituzionale. Sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ., la Corte Costituzionale in un primo tempo la considerò infondata, ma in epoca successiva dichiarò costituzionalmente illegittimo l'art. 565 cod. civ. nella parte in cui esclude dalla categoria dei chiamati alla successione legittima i fratelli e le sorelle naturali (riconosciuti o dichiarati), per contrasto con gli artt. 3 e 30, comma 3, Cost. (Sent. Corte Cost. 4 luglio 1979, n. 55). La Corte Costituzionale con una successiva pronuncia (Sent. Corte Cost. 12 aprile 1990, n. 184) poi confermò la propria posizione "ampliando" la categoria dei successori legittimi fino a ricomprendervi anche i fratelli e le sorelle naturali. La Corte Costituzionale con la Sentenza n. 184/1990 stabilì che l'art. 565 cod. civ. doveva essere così letto: nella successione legittima l'eredità si devolve al coniuge, ai discendenti "legittimi" e "naturali", agli ascendenti legittimi, ai collaterali, agli altri parenti, ai fratelli e sorelle naturali, anche unilaterali, e allo Stato, nell'ordine e secondo le regole stabilite nel presente (66) L'effetto si spiegava - come detto - considerando che il riconoscimento (e la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità) non si estendeva al di là dei rapporti personali tra figli e genitore, o tra figlio e genitori (se il riconoscimento fosse avvenuto ad opera di entrambi i genitori o se la dichiarazione giudiziale avesse fatto stato verso entrambi i genitori). (67) A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 1281. 40 titolo ( 68). La Sentenza ha suscitato tante perplessità e critiche in dottrina per aver la Corte Costituzionale travalicato i propri compiti istituzionali creando, con una pronuncia giurisprudenziale, una peculiare categoria di successibili in una materia sottoposta a riserva di legge, ex art. 42 Cost. ( 69). Comunque, anche dopo la Sentenza n. 184/1990 la posizione dei fratelli e delle sorelle "naturali" rimaneva ancora deteriore rispetto a quella di tutti gli altri parenti ammessi alla successione, in quanto i diritti successori dei fratelli e delle sorelle "naturali" rimanevano postergati rispetto a quelli di tutti i parenti legittimi, entro il sesto grado. Tale ordine di chiamata postergato veniva a configurare una deroga al principio della prossimità del grado nella successione legittima ( 70), secondo cui il più vicino in grado esclude il più remoto, mentre quelli in pari grado concorrono per quote eguali. Il principio è espresso dall'art. 572 cod. civ.: la successione si apre "a favore del parente o dei parenti prossimi" senza distinzione di linea (se il de cuius muore senza lasciare figli, né genitori, né altri ascendenti, né fratelli o sorelle e loro discendenti). La soluzione adottata dalla Corte Costituzionale non ha seguito l'"ordine sistematico" in materia successoria perché la collocazione dei fratelli "naturali" in posizione successiva rispetto a tutti gli altri parenti legittimi è in contrasto - come detto - con il suddetto "principio di prossimità del grado" ( 71). La dottrina è stata talmente critica al punto di richiedere (68) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Tomo II, cit., p. 651; A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., pp. 1281 e 623 (69) In questo senso cfr. A. TRABUCCHI, Il titolo alla successione legittima e l’affermazione di un diritto al di là della legge, in Riv. dir. civ., 1979, I, p. 505 ss. (70) Contrasterebbe con ragioni affettive e di continuità di vita che sono alla base della chiamata dei fratelli e delle sorelle. M. RONCHI, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di G. BONILINI, III, La successione legittima, cit., p. 853. (71) E. PEREGO, La successione fra fratelli naturali dopo la Sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 1990, in Giustizia civile, 1990, p. 1133 ss.; M. RONCHI, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di G. BONILINI, III, La successione legittima, cit., p. 854, il quale afferma che la Sentenza della Corte Costituzionale si è posta in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza, soprattutto ove interpretato alla luce degli orientamenti marcatamente antidiscriminatori manifestatasi negli ordinamenti a noi più vicini, nonché a livello delle istituzioni sovranazionali e comunitarie. L'autore fa riferimento in particolare agli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, nell'interpretazione in chiave discriminatoria fattane dalla Corte Europea di Strasburgo, nei casi Mazureck C. Francia e Marckx C. 41 l'intervento del legislatore, delle istituzioni e degli organi giurisdizionali internazionali ( 72). Investita ancora della questione di legittimità costituzionale, la Corte Costituzionale (Sent. 7 novembre 1994, n. 377) aveva respinto l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ. poiché competerebbe alla discrezionalità del legislatore la definizione dell'ordine dei successibili e le scelte concernenti la graduazione del trattamento riservato ai fratelli e le sorelle naturali, in rapporto con quello previsto per i parenti legittimi. Concludendo: nell'impianto letterale ancora attuale del codice civile e per effetto della Sentenza della Corte Costituzionale 12 aprile 1990, n. 184, i fratelli e le sorelle naturali succedono al de cuius soltanto in assenza di parenti entro il sesto grado e prima dello Stato. Addirittura il rapporto di parentela naturale ha, fino alla riforma del 2012, una posizione di svantaggio rispetto ai rapporti di parentela che si instaurano in caso di adozione. Infatti, già con la L. 4 marzo 1983, n. 184, art. 27, con l'adozione si instaurano rapporti di parentela "con tutti i parenti degli adottanti". Ne deriva che i figli adottati con l'adozione legittimante succedono ai fratelli e alle sorelle, perché si instaura un rapporto di parentela con tutti i parenti degli adottanti. Inoltre, nessuna tutela era riconosciuta (e non è ancora riconosciuta nella formulazione attuale del codice civile, formulazione da ritenersi tuttavia tacitamente abrogata in seguito alla riforma del 2012) ai "parenti naturali" del de cuius di grado ulteriore al secondo, cioè di grado ulteriore ai fratelli e alle sorelle. Sul punto la Corte Costituzionale aveva ritenuto Belgio, 13 maggio 1979, in Foro it., 1979, IV, c. 342 ss., il quale ultimo verteva, tra l'atro, sul trattamento successorio riservato dalla legge belga al figlio naturale; in entrambi i casi, le pronunce hanno poi condotto gli Stati condannati alla revisione delle rispettive legislazioni. Inoltre gli artt. 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, posti a tutela della vita privata e familiare, vietano qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla nascita. Cfr. F. GROSSI, Problemi attuali della nozione di parentela e di famiglia, in Rass. dir. civ., Napoli, 2005, p. 660 ss.; G. FERRANDO, Il contributo della Corte Europea dei diritti dell'uomo all'evoluzione del diritto di famiglia, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2005, p. 263. (72) L'auspicio nei confronti dell'intervento del legislatore è stato ricorrente in dottrina: Cfr. F. PROSPERI, L'incerto incidere della Corte Costituzionale nei confronti della parentela naturale, in Nuove leggi civ. comm., 1990, p. 456 ss.; U. SALANITRO, Modelli famigliari, mutamenti strutturali e disciplina della filiazione, in Fam. pers. e succ., 2007, p. 10 ss.; G. FERRANDO, Il contributo della Corte Europea dei diritti dell'uomo all'evoluzione del diritto di famiglia, cit., p. 273. 42 infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 565 cod. civ. per la parte in cui non prevede, in mancanza di altri successibili, la successione dei "parenti naturali" (Sent. 23 novembre 2000, n. 532) ( 73). In virtù della riforma n. 219/2012 nella successione legittima: a) le categorie dei successibili sono le seguenti: il coniuge, i discendenti, gli ascendenti, i fratelli e le sorelle anche unilaterali (senza distinguere se nati entro o fuori dal matrimonio), gli altri collaterali, gli altri parenti, lo Stato; b) i fratelli e le sorelle, nonché i loro discendenti per rappresentazione, succedono se il de cuius muoia senza lasciare prole, in concorso con il coniuge (se esistente) e con gli ascendenti (se viventi); c) i fratelli e le sorelle succedono in parti uguali (senza distinguere se concepiti dentro o fuori dal matrimonio); per i fratelli e le sorelle unilaterali, consanguinei (figli dello stesso padre, ma di madre diversa) o uterini (figli della stessa madre, ma di padre diverso), si veda l'art. 570 cod. civ. e il successivo §13; d) i fratelli e le sorelle nati nel matrimonio ereditano dai fratelli e sorelle nati fuori dal matrimonio, in mancanza di discendenti di questi ultimi; e) analogamente, i fratelli e le sorelle nati fuori dal matrimonio ereditano dai fratelli e dalle sorelle nati nel matrimonio, se questi ultimi non hanno discendenti legittimi; f) i discendenti dei fratelli e delle sorelle del de cuius (senza distinguere se nati dentro o fuori dal matrimonio) subentrano al loro ascendente nel diritto di accettare un lascito qualora il chiamato loro ascendente non possa o non voglia accettare l'eredità o il legato (art. 468 cod. civ.). Naturalmente la rappresentazione, secondo le regole generali, non opera se il chiamato sia, rispetto al de cuius un parente diverso da un fratello o sorella (oltre che diverso da un figlio), ad esempio un figlio del fratello, qual è il nipote ex fratre o ex sorore. (73) Così A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 1282. La Corte di Cassazione ha poi di recente deciso (Sent. 10 settembre 2007, n. 19011) che la questione di legittimità non può più essere riproposta negli stessi termini, essendosi la Corte Costituzionale già pronunciata. 43 Si riporta l'art. 565 cod. civ. vigente e l'art. 565 da modificarsi in base ai decreti legislativi di adattamento alla riforma sulla filiazione. Ante riforma Art. 565. Categoria Post adattamento (probabile) dei Art. 565. Categoria dei successibili. successibili. 1. Nella successione legittima 1. Nella successione legittima l'eredità si devolve al coniuge, ai l'eredità si devolve al coniuge, ai discendenti legittimi e naturali, discendenti, agli ascendenti, ai agli ai fratelli e alle sorelle, agli altri collaterali, agli altri parenti e allo collaterali, agli altri parenti e allo Stato, nell'ordine e secondo le Stato, nell'ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo. regole stabilite nel presente titolo. ascendenti legittimi, 12. Segue. La successione dei fratelli e delle sorelle adottivi. In linea generale costituisce titolo per la successione legittima - oltre al vincolo coniugale, al vincolo di parentela ed al rapporto di cittadinanza anche il vincolo di adozione, equiparato al vincolo di parentela. Con riguardo alla successione dei fratelli e delle sorelle adottivi, anche nei confronti degli altri parenti degli adottanti, si ritiene pacificamente che rientrino anch'essi nei successibili, perché: a) l'adozione ha per effetto l'acquisto, da parte del minore adottato, dello status di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome (art. 27, comma 1); b) con l'adozione si instaurano rapporti di parentela con tutti i parenti degli adottanti (ex art. 27 L. 4 maggio 1983, n. 184). Bisogna t ut t avi a distinguere, in base alla legge attualmente vigente, tra "adozione legittimante", da un lato, e " adozione dei maggiorenni" e "adozione dei minori in casi particolari", dall'altro lato. 44 Sono equiparati al vincolo di parentela, ma solo a favore dell'adottato e non dell'adottante, il vincolo di adozione dei maggiorenni e dei minori adottati in casi particolari. I figli adottati con l'adozione legittimante succedono ai fratelli e alle sorelle, perché - come detto - si instaurano rapporti di parentela con tutti i parenti degli adottanti. Diversa è la soluzione per gli adottati maggiori di età (artt. 291 ss. cod. civ.) e per i minori adottati in casi particolari (artt. 44 s., L. n. 183/1984), i quali, non sussistendo alcun rapporto civile con la famiglia dell'adottante, non succedono (art. 300, richiamato, per l'adozione dei minori in casi particolari, dall'art. 55, L. n. 183/1984) ai fratelli e alle sorelle. 13. Segue. La successione dei fratelli e delle sorelle unilaterali. In base al nostro ordinamento i fratelli e le sorelle unilaterali conseguono la metà della quota che conseguono i germani (art. 570, comma 2, cod. civ.). La disposizione va in deroga alla regola secondo cui i fratelli e le sorelle succedono in parti tra loro eguali (art. 570, comma 1, cod. civ.). I fratelli e le sorelle - come noto - si distinguono in: a) germani, quando hanno in comune entrambi i genitori; b) unilaterali, quando hanno in comune solo un genitore. A loro volta i fratelli e le sorelle unilaterali si distinguono in consanguinei, quando hanno in comune solo il padre o uterini, quando hanno in comune solo la madre. C'è da chiedersi se la riforma sulla filiazione vada ad incidere anche sulla successione dei fratelli e delle sorelle unilaterali. Va anzitutto premesso che - ovviamente - non necessariamente "unilateralità" significa parentela "naturale". Infatti un fratello unilaterale può essere nato in costanza di matrimonio. Ad esempio, il genitore, che abbia avuto figli dal primo matrimonio, rimasto vedovo, si risposi e abbia 45 altri figli con il coniuge di seconde nozze. Oppure, altro esempio, il genitore, che abbia avuto figli dal primo matrimonio, ottenga lo scioglimento del matrimonio, si risposi e, in costanza del secondo matrimonio, abbia figli con il secondo coniuge. In queste ipotesi i figli nati dal primo matrimonio ed i figli nati dal secondo matrimonio sono "unilaterali" perché hanno in comune un solo genitore, seppur "matrimoniali" ("legittimi"), perché "nati in costanza di matrimonio". La unilateralità può, tuttavia, derivare anche da un rapporto di filiazione avvenuto fuori dal matrimonio. Si può ritenere che nulla sia cambiato con riguardo ai fratelli e alle sorelle unilaterali in seguito alla riforma n. 219 del 2012, se non dal punto di vista formalmente lessicale, per cui i fratelli unilaterali "nati fuori dal matrimonio" non potranno più definirsi fratelli o sorelle unilaterali "naturali". La ratio, che sta alla base della successione in quota di metà dei fratelli e sorelle unilaterali, rimane quella prevista dal legislatore nell'impianto originario del codice civile: la diversa intensità dei vincoli di parentela, per cui i fratelli e le sorelle unilaterali conseguono la metà quando concorrono con fratelli e sorelle bilaterali o germani, perché hanno in comune un solo genitore. Si ricorda che la norma, che dispone che i fratelli e le sorelle unilaterali conseguano la metà della quota dei fratelli germani (bilaterali), adotta il criterio della cd. "quota di fatto": l'attribuzione, cioè, al fratello unilaterale della quota che effettivamente consegue il fratello germano. Il sistema della "quota di fatto" si contrappone al sistema della "quota di diritto" che prevede porzioni predeterminate. Con il sistema della quota di fatto, il calcolo delle quote spettanti ai vari fratelli si effettua come segue: a) si divide il valore dell'asse ereditario per la somma ottenuta aggiungendo al numero dei fratelli o delle sorelle unilaterali il doppio del numero dei fratelli o delle sorelle germani. Il quoziente ottenuto indica la quota di ciascun unilaterale che è la metà della quota di ciascun germano 46 ( 74); b) oppure, si divide l'asse per la somma ottenuta aggiungendo al numero dei germani la metà del numero degli unilaterali; il quoziente indica in questo caso, la quota di ciascun germano che è il doppio della quota di ciascun unilaterale ( 75). Esempio in base al meccanismo di calcolo di cui alla lettera a): il defunto lascia tre germani e due unilaterali e un patrimonio di 160; l'eredità è così attribuita: si divide 160 per 8 (3 germani x 2 + 2 = 8) e cioè 160 : 8 = 20 e il quoziente 20 è assegnato a ciascuno dei 2 unilaterali, mentre il doppio (20 x 2 = 40) spetterà a ciascuno dei tre germani ( 76). Il criterio garantisce, sul piano matematico, il mantenimento di una costante proporzione tra la quota dei fratelli germani e quella degli unilaterali ( 77). Il meccanismo di calcolo permette agli unilaterali di conseguire una quota maggiore di quella che otterrebbero con il sistema della quota di diritto. Infatti se, nell'esempio citato, si applicasse il sistema della quota di diritto, il risultato sarebbe peggiore per gli unilaterali. Si dovrebbe prima determinare la quota spettante a ciascun figlio come se l'unilaterale fosse germano: quindi occorrerebbe dividere l'asse di 160 per 5, ottenendo 32; poi ciascun unilaterale conseguirebbe la metà della quota che gli spetterebbe se fosse germano, ossia (32 : 2 = 16); a ciascun unilaterale spetterebbe una quota di 16 e la parte residua di asse (128) sarebbe divisa in parti uguali tra i tre germani, ognuno dei quali otterrebbe una quota di 43 ( 78). Il criterio della quota di fatto adottato dal legislatore attenua, pertanto, la disparità di trattamento nei confronti dei fratelli unilaterali accordando a loro una quota maggiore di quella risultante dall'applicazione del criterio della quota di diritto. La preferenza, espressamente manifestata dal legislatore del 1942 per il metodo della quota di fatto, può essere spiegata (74) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 649. (75) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successioni legittime, cit., p. 98. (76) Cfr. G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 650. (77) M. RONCHI, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di G. BONILINI, III, La successione legittima, cit., p. 854 (78) Cfr. G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 650. 47 appunto con la volontà di "attenuare la disparità di trattamento fra fratelli bilaterali (germani) e fratelli unilaterali (consanguinei e uterini) ( 79). C'è da chiedersi ancora: muta qualcosa con l'intervento della riforma del 2012? Riterrei di no, vista la ratio (la diversa intensità del vincolo di parentela) che sta alla base della norma di cui all'art. 570, comma 2, cod. civ. 14. La successione degli altri parenti "naturali" in linea collaterale. L'effetto "dirompente" e non ancora "valutato". Come ricordato (§ 3 e 10), il vincolo di parentela naturale costituiva titolo per la successione ereditaria, secondo il nostro ordinamento giuridico, entro limiti ben determinati: a) in linea retta sia nel caso di morte del genitore "naturale" verso il figlio "naturale" riconosciuto o dichiarato, sia nel caso di morte del figlio "naturale" verso il genitore "naturale" (se moriva il padre, ereditava il figlio naturale; se moriva il figlio naturale riconosciuto, ereditava il padre) ( 80). Per contro, il riconoscimento del figlio premorto non produceva effetti in ordine alla chiamata del genitore alla sua eredità (art. 255, cod. civ.); b) in linea collaterale solo tra fratelli e sorelle "legittimi" e "naturali" (riconosciuti o dichiarati) a seguito della Sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1990; c) non aveva rilevanza - fino alla riforma del 2012 - il vincolo naturale in linea collaterale di grado ulteriore al secondo. Investita più volte della questione di legittimità costituzionale dell'art. (79) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successioni legittime, cit., p. 98 (idea - considerata dal MENGONI - come "non degna di un legislatore civile"). Si ricorda che nel diritto romano vigeva la rigida regola che voleva esclusi dalla successione i fratelli unilaterali in presenza dei fratelli germani. (80) L'effetto si spiega considerando che il riconoscimento e la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità non si estendono al di là dei rapporti personali tra figlio e genitore, o tra figlio e genitori; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, cit., p. 81. 48 565 cod. civ., nella parte in cui esclude "gli altri" parenti "naturali" dalla successione legittima, la Corte Costituzionale aveva sempre rigettato l'eccezione di illegittimità costituzionale: - per l'insussistenza di alcun rapporto giuridico di parentela tra parenti naturali ( 81) dal secondo sino al sesto grado ( 82); - perché la nozione di parentela, in materia di successione, è solo quella della famiglia legittima. E ciò in aperto contrasto con il proprio orientamento in materia di successione tra fratelli e sorelle "naturali", in cui la Corte aveva ritenuto di dare rilevanza alla parentela naturale di secondo grado in linea collaterale ( 83); - perché all'interno del rapporto di consanguineità, andava fatta la distinzione tra i vincoli più stretti (tra fratelli e sorelle naturali) e quelli più remoti (quelli tra gli altri collaterali); - perché l'introduzione di una nuova categoria di successibili comportava uno sconfinamento della propria competenza, a discapito della competenza discrezionale del legislatore ( 84). Come accennato (cfr. § 10) la dottrina aveva, con determinazione, criticato l'orientamento della Corte Costituzionale, sottolineandone (81) Corte Cost., ordinanza n. 363/1988, in Dir. fam., 1988, p. 1201 ss., in Giur. Cost., 1988, II, p. 1500 ss. e Home Page Consulta Online, http://www.giurcost.org/decisioni/1988/0363o-88.html; F. GROSSI, Problemi attuali della nozione di parentela e di famiglia, cit., p. 686. (82) Corte Cost., sentenza 23 novembre 2000, n. 532, in Giust. civ., 2001, p. 594 ss., con nota di C. M. BIANCA, I parenti naturali non sono parenti? La Corte Costituzionale ha risposto: la discriminazione continua, in Rass. dir. civ., 2001, p. 821 ss., con nota di F. LAZZARELLI, Successione legittima e parentela naturale, in Fam. dir., 2001, p. 361 ss.; G. FERRANDO, Principio di eguaglianza parentela naturale e successione, in Familia, 2001, p. 502 ss. (83) Corte Cost., sentenza n. 55/1979, Home Page Consulta OnLine http://www.giurcost.org/decisioni/1979/0055s-79.html, 8 luglio 2013; cfr. le pronunce già citate supra; nella sentenza Corte cost. n. 184/1990, Home Page Consulta OnLine http://www.giurcost.org/decisioni/1990/0184s-90.html, 8 luglio 2013, la Corte Cost. afferma: "(...) la remota consanguineità esistente nei casi in esame non può essere posta sullo stesso piano del vincolo tra fratelli e sorelle naturali dei quali sia legalmente accertato il rispettivo status di filiazione nei confronti del comune genitore (...), soggetti che rientrano in una ristretta comunità nucleare socialmente rilevante". (84) Uno dei principali rilievi mossi dalla dottrina alle decisioni della Corte Costituzionale n. 55/1979 e n. 184/1990 riguardava proprio l'arbitrario sconfinamento della Corte nella competenza del legislatore, attraverso l'introduzione, nell'ordine codicistico, dei fratelli e sorelle naturali come nuova categoria di successibili. Al riguardo cfr. A. TRABUCCHI, Il titolo alla successione legittima e l'affermazione di un diritto al di là della legge, cit., p. 512. 49 l'arbitrarietà di giudizio, le palesi contraddizioni ( 85), l'infondatezza della distinzione tra "parentela legittima" e "mera consanguineità della parentela naturale", la distinzione tra "consanguineità stretta e remota" e l'interpretazione restrittiva del rapporto di "parentela naturale" ( 86). La legge di riforma del 2012 - come ampiamente esposto (cfr. § 1, 3, 10) - è intervenuta sul tema della successione dei parenti naturali in linea collaterale, stabilendo che la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso (art. 74 riformato); il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso (art. 258 cod. civ. riformato) e la disciplina deve assicurare "gli effetti successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio nato fuori dal matrimonio" (art. 2, comma 1, lett. l). In virtù della riforma del 2012, sono ora riconosciuti i diritti successori anche a favore dei soggetti legati da vincolo di parentela "naturale" in linea collaterale fino al sesto grado. Vengono chiamati, pertanto, alla successione, oltre i fratelli "naturali" (2° grado), anche i figli di fratelli e sorelle "naturali", cioè i nipoti "naturali" (collaterali 3° grado), i figli dei nipoti "naturali" (4° grado), i fratelli e le sorelle del padre e della madre "naturali", cioè gli zii e le zie (3° grado), i primi cugini "naturali" (4° grado), i secondi cugini "naturali" (5° grado), i fratelli e le sorelle dei nonni (85) C. M. BIANCA, I parenti naturali non sono parenti? La Corte Costituzionale ha risposto: la discriminazione continua, cit., p. 596. L'Autore fa espresso riferimento alla "contraddittorietà e alla arbitrarietà del giudizio che riconosce incostituzionale l'esclusione di alcuni parenti naturali dalla successione e dichiara costituzionale l'esclusione di altri". (86) M. DELLACASA, La vocazione a succedere dei parenti naturali tra garanzie costituzionali e normativa codicistica, cit., p. 508; l'Autore critica apertamente la distinzione tra vincolo di consanguineità e parentela; C. M. BIANCA, I parenti naturali non sono parenti? La Corte Costituzionale ha risposto: la discriminazione continua, cit., p. 597, che sottolinea "(...) l'arbitrio è manifesto. Infatti una volta riconosciuto - come è stato riconosciuto con riguardo ai fratelli naturali - che il rapporto di consanguineità è titolo per la successione legittima, non spetta alla Corte selezionare consanguinei successibili e quelli non successibili"; G. FERRANDO, Principio di eguaglianza parentela naturale e successione, cit., p. 361 ss.; U. MAJELLO, Profili costituzionali della filiazione legittima e naturale, Napoli, 1965, p. 29; P. PERLINGERI, La personalità umana nell'ordinamento giuridico, Camerino, 1972, p. 12 ss.; F. GROSSI, Problemi attuali nella nozione di parentela e di famiglia, cit., p. 700 ss.; F. LAZZARELLI, Successione legittima e parentela naturale, cit., p. 848; M. L. CHIARELLA, La parentela naturale: dal crinale sociale all'(ir)relanza costituzionale, in Persona, famiglia e successioni nella giurisprudenza costituzionale, a cura di M. SESTA e V. CUFFARO, Napoli, 2006, p. 931. 50 paterni e materni "naturali", cioè i prozii e le prozie (4° grado), i figli dei prozii "naturali" (5° grado), i pronipoti "naturali" (6° grado). E i diritti successori - si badi bene - sono riconosciuti tra la parentela "matrimoniale" e la parentela "non matrimoniale", ma anche tra la sola parentela "naturale", sia dal lato di un genitore che dal lato dell'altro genitore, e considerando anche le "unilateralità" (i germani e gli uterini), con un intreccio sorprendente ( 87). L'effetto pratico sarà "dirompente". Si dovrà necessariamente "ragionare" sugli alberi genealogici della parentela collaterale. Appare con grande evidenza come, in forza delle citate disposizioni, chi consegue lo stato di figlio, diventando parente delle persone che discendono dallo stipite di ciascuno dei suoi genitori, entra a far parte della loro famiglia estesa, "molto" estesa. Con riguardo alla successione necessaria, vanno ora inclusi tra i legittimari di cui all'art. 536 cod. civ. anche gli ascendenti "naturali", abrogandosi così, in parte, il disposto dell'art. 538 cod. civ. che li escludeva dalla quota di riserva. Con riguardo invece alla successione legittima, deve ritenersi modificato l'art. 565 cod. civ., non potendosi più configurare ascendenti "legittimi" e dovendosi ora ricomprendere anche la successione tra fratelli e sorelle "naturali" (cfr. § 11) Si riportano gli artt. 536 e 538 cod. civ. vigenti e i corrispondenti articoli da modificarsi in base ai decreti legislativi di adattamento della riforma. Ante riforma Post adattamento (probabile) Art. 536. Legittimari. Art. 536. Legittimari. 1. Le persone a favore delle quali 1. Le persone a favore delle quali la legge riserva una quota di la legge riserva una quota di (87) L’effetto è stato rappresentato nelle slides elaborate ed esposte al Convegno del 24 maggio 2013 patrocinato dal Consiglio Superiore della Magistratura e dall'Ordine degli Avvocati di Pavia, al COLLEGIO GHISLIERI di Pavia, denominato "LEGITTIMI, NATURALI, ADOTTIVI: figli tutti uguali dopo la Legge n. 219/2012?", cit. 51 eredità o altri diritti nella eredità o altri diritti nella successione sono: il coniuge, i figli successione sono: il coniuge, i legittimi, figli, gli ascendenti. i figli naturali, gli ascendenti legittimi. 2. Ai figli legittimi sono equiparati 2. Ai figli sono equiparati gli i legittimati e gli adottivi. adottivi. 3. A favore dei discendenti dei 3. A favore dei discendenti dei figli legittimi o naturali, i quali figli, vengono alla successione in luogo successione in luogo di questi, la di questi, la legge riserva gli stessi legge riserva gli stessi diritti che diritti che sono riservati ai figli sono riservati ai figli. i quali vengono alla legittimi o naturali. Ante riforma Post adattamento (probabile) Art. 538. Riserva a favore degli Art. 538. Riserva a favore degli ascendenti legittimi. ascendenti. 1. Se chi muore non lascia figli 1. Se chi muore non lascia figli, legittimi né naturali, ma ascendenti ma ascendenti, a favore di questi è legittimi, a favore di questi è riservato 1/3 del patrimonio, salvo riservato 1/3 del patrimonio, salvo quanto disposto dall'articolo 544. quanto disposto dall'articolo 544. 2. Immutato. 2. Immutato. 15. Le conseguenze in tema di rappresentazione. Prima di esaminare le conseguenze in tema di rappresentazione (artt. 467, 468 e 469 cod. civ.) è bene premettere alcuni concetti basilari per meglio comprendere gli effetti della riforma sull'istituto e ricordare l'evoluzione storica dell'istituto alla luce dei principi di eguaglianza posti a base di alcune sentenze della Corte Costituzionale e della riforma del diritto di famiglia del 1975. 52 La rappresentazione, come noto, è il fenomeno in base al quale un soggetto - verificatisi determinati eventi che impediscono al suo ascendente di succedere - subentra in luogo del suo ascendente nella successione ereditaria o nell'acquisto del legato ( 88). I soggetti considerati nella rappresentazione sono pertanto tre: il de cuius, il chiamato (il c.d. rappresentato) e il successore (c.d. rappresentante) ( 89). La rappresentazione importa che vengano all'eredità dei successibili di grado diverso: possono concorrere alla successione, con i parenti più prossimi del de cuius, anche i parenti del de cuius di grado più remoto in sostituzione del chiamato, che non può o non vuole succedere, che aveva pari grado con gli altri chiamati. Nel nostro codice civile la rappresentazione si verifica sia in caso di successione legittima, sia in caso di successione testamentaria, sia che si tratti di successione a titolo universale, sia di successione a titolo particolare. Il fondamento sociale e politico della rappresentazione consisteva nella presunta volontà del de cuius e nella tutela della famiglia legittima, intesa come stirpe legittima, essendo ammessi a beneficiarne solo i discendenti legittimi. (88) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 207. (89) In realtà l'ascendente, o rappresentato, può essere considerato un soggetto che è fuori dal fenomeno successorio. La posizione del rappresentato assume un'importanza relativa, perché costituisce solo il parametro necessario per determinare l'entità di quanto destinato al rappresentante. G. PRESTIBINO, Delle successioni in generale, in Comm. cod. civ., a cura di V. DE MARTINO, Novara, 1981, II, p. 153. Secondo l'opinione dominante, il rappresentante subentra nel luogo e nel grado dell'ascendente, non già per diritto trasmesso dall'ascendente, ma per diritto proprio, essendo la vocazione a favore del rappresentante come originaria. R. NICOLO', La vocazione ereditaria diretta e indiretta, Messina, 1934, p. 197. Il rappresentante è sempre un successore del de cuius. Ne deriva che il rappresentante deve essere capace e degno nei confronti del de cuius e non nei confronti del rappresentato. L’istituto della rappresentazione è una eccezione a due principi generali in materia di successione ereditaria: 1°) gli effetti della successione si producono solo a favore del chiamato e non di alcuni membri della sua famiglia; 2°) il parente più prossimo esclude il più remoto. L'istituto trae la sua origine storica dal diritto romano, dove era definito come successio in locum o in stirpis, succedendo in locum traedefuncti parentis. In epoca medioevale si riteneva invece che, in caso di rappresentazione, ai nipoti spettasse per legge il diritto di succedere al proprio ascendente premorto, in rappresentanza di questi e non invece ex capite proprio. Nel codice Napoleone è stata elaborata la c.d. teoria della finzione, in base alla quale era la legge a rappresentare per mera finzione il "rappresentante" come se fosse il "rappresentato", e ciò per permettere al primo di succedere in luogo del secondo. Tale teoria della finzione non ha trovato accoglimento nel codice civile del 1865 e nemmeno nel codice civile vigente. G. BONILINI, Trattato delle successioni e donazioni, cit., p. 1085. 53 Dopo le Sentenze della Corte Costituzione del 14 aprile 1969, n. 79 e del 1° giugno 1993, n. 259 ( 90), si era ritenuto che la ratio dell'istituto della rappresentazione fosse la tutela dei diritti di tutti i discendenti del rappresentato ( 91). La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha modificato l'art. 467, comma 1, cod. civ., nel senso di equiparare, ai fini della successione per rappresentazione, i discendenti naturali e quelli legittimi, nel rispetto del principio espresso dall'art. 30, comma 3, Cost. Gran parte della dottrina ha, pertanto, ritenuto di individuare il fondamento dell'istituto della rappresentazione nella tutela della stirpe "legittima e naturale" del mancato successore o della famiglia, intesa nella sua concezione più ampia, composta anche da figli "naturali" ( 92). (90) Corte Cost., sentenza 14 aprile 1969, n. 79, in Giur. It., 1969, I, 1, p. 1220; in Foro it, 1969, I, p. 1033; in Giust. civ., 1969, III, p. 220; in Vita not., 1962, p. 219; Home Page Consulta OnLine http://www.giurcost.org/decisioni/1969/0079s-69.html, 8 luglio 2013. La Corte Costituzionale con tali pronunce ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 577, 467 e 468 cod. civ. limitatamente alla parte in cui veniva escluso dalla rappresentazione il figlio naturale di chi, non volendo o non potendo accettare ed essendo figlio o fratello del de cuius, non avesse discendenti legittimi. Il principio è stato confermato anche con la successiva Sentenza del 1° giugno 1993, n. 259. (91) Corte Cost., sentenza 1° giugno 1993, n. 259, in Foro it, 1993, I, 2, p. 2027; in Giust. civ., 1993, I, 2, p. 2015 ss.; Home Page Gazzetta Ufficiale http://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario;jses sionid=TvX7DE00tBip57UmCZw64w__.ntc-as2guri2b?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1993-06-09&atto.codiceRedazionale=093C0591, 8 luglio 2013. (92) E ciò in base al nuovo testo del comma 1 dell'art. 467 cod. civ., così come modificato dalla riforma del diritto di famiglia del 1975. L. FERRI, Successioni in generale, cit., p. 199; S. PIRAS, Sui limiti dell'istituto della rappresentazione, in Giur. compl. cass. civ., 1946, I, pp. 212-213; S. PIRAS, Successione per causa di morte. Parte generale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ., a cura di G. GROSSO e F. SANTORO PASSARELLI, Milano, 1965, p. 201; C. CONSOLANDI, La riforma del diritto di rappresentazione (dopo art. 467 cod. civ.), in Riv. dir. civ., 1980, II, p. 58. In merito alla natura giuridica dell'istituto della rappresentazione, secondo alcuni: a) la rappresentazione assume la natura giuridica di "delazione indiretta", in quanto il rappresentante viene alla successione subordinatamente al fatto che il primo chiamato non possa o non voglia accettare l'eredità o il legato. La delazione indiretta, talvolta è immediata (premorienza o assenza del c.d. rappresentato), talvolta è differita (indegnità, rinuncia o perdita del diritto di accettare da parte del c.d. rappresentato). Così G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 212; b) il "rappresentato", evocato nella rappresentazione, non può essere in alcun modo assimilato al rappresentato dell'istituto della rappresentanza (si veda C. M. BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, cit., p. 523; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 63; C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali. Successioni legittime, in Comm. cod. civ., Torino, p. 78). Infatti, nell'ambito della rappresentanza, il rappresentante agisce in nome e per conto del rappresentato ed esercita un diritto dello stesso rappresentato, non già un diritto proprio. Al contrario, in caso di rappresentazione, il rappresentante esercita un diritto di successione che è proprio, non già del rappresentato. Pertanto la successione del rappresentante avviene 54 In merito ai presupposti oggettivi, si ha la rappresentazione "in tutti i casi in cui l'ascendente (il rappresentato) non può o non vuole accettare l'eredità o il legato" ( 93). sempre iure proprio, il rappresentante è un diretto successore del defunto e non utilizza un diritto altrui; il rappresentante inoltre acquista realmente i beni iure proprio e non iure rapraesentationis; c) l'istituto sarebbe una finctio iuris (una finzione di legge); secondo la dottrina meno recente, sarebbe la legge a considerare il rappresentante come se fosse il rappresentato e cioè fingerebbe che sia il suo ascendente. In realtà la legge non operava alcuna finzione in quanto il rappresentante acquista realmente i beni iure proprio e non iure rapraesentationis; d) sarebbe - secondo una parte della dottrina - un'ipotesi di sostituzione (S.PIRAS, Successione per causa di morte. Parte generale. Successione necessaria, cit., p. 201) o una surrogazione legale del rappresentante destinato al rappresentato (C. M. BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, cit., p. 523 ss.); e) sarebbe un'ipotesi di vocazione indiretta, nel senso che la chiamata è immediata e per relationem, in quanto si verifica qualora determinate circostanze impediscano l'acquisto dell'eredità in favore del primo chiamato. Quindi la vocazione del rappresentante si qualifica in relazione a una precedente chiamata, cioè quella del rappresentato. Da ciò consegue che il contenuto, oggetto il valore della vocazione del rappresentato, vengono determinati per legge, per relationem, considerando la chiamata del rappresentato puramente immaginaria ed ipotetica o venuta meno. Sul punto F. DEGNI, voce Rappresentazione (diritto successorio), cit., p. 1110; L. CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte. Parte generale, Napoli, 1977, p. 267 ss.; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile commerciale, cit., p. 312; L. COVIELLO, Successione legittima e necessaria, Milano, 1938, p. 95 ss.; E. PEREGO, La rappresentazione, in Tratt. dir. priv., dir. da P. RESCIGNO, V, I, Torino, 1997, p. 121; G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, cit., p. 66 ss. In giurisprudenza, Cass., 17 maggio 1969, n. 1701, in Foro it, 1969, I, p. 2555 e Cass., 11 aprile 1975, n. 1366, in Mass. giust. civ., 1975, p. 621; f) è un'ipotesi di dilazione indiretta sia soggettivamente sia oggettivamente, che potrà essere - come detto - a volte immediata, nel caso di premorienza o assenza del rappresentato, a volte differita, nell'ipotesi di indennità, rinuncia o perdita del diritto di accettare l'eredità da parte del rappresentato. Si veda A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale, in Tratt. dir. civ. e comm., a cura di CICU e MESSINEO, Milano, 1961, pp. 62-110; L. FERRI, Successioni in generale, cit., p. 199; G. GROSSO, A. BURBESE, Le successioni. Parte generale, in Tratt. dir. civ. it, a cura di F. VASSALLI, Torino, 1977, p. 172 ss.; M. TERZI, Rappresentazione, cit., p. 162; in giurisprudenza App. Reggio Calabria, 16 dicembre 1957, in Rep. Giust. civ., 1958, voce Successione in generale, n. 60; g) succedere nel luogo significa occupare il posto del rappresentato, ricevendo quanto lui avrebbe ricevuto, mentre l'espressione succedere nel grado va intesa nel senso che con la rappresentazione si deroga al principio generale in materia di successione ab intestato, secondo il quale il grado prossimo esclude il più remoto. E questo sarebbe il significato che il codice civile vigente attribuisce all'art. 467 allorché recita che il rappresentante subentra "nel luogo e nel grado" del rappresentato. (93) Nella prima ipotesi (non può accettare l'eredità o il legato), la più autorevole dottrina vi fa rientrare: a) la premorienza, cioè la morte dell'ascendente prima dell'apertura della successione del de cuius. La premorienza si verifica anche nel caso di morte presunta, accertata prima dell'apertura della successione del de cuius. Alla premorienza è equiparata la commorienza; b) l'assenza, cioè l'ipotesi in cui sia incerta l'esistenza dell'ascendente; c) l'indegnità, sia che essa sia determinata da cause anteriori alla morte del de cuius, sia che dipenda da fatti successivi alla sua morte; l'indegnità, infatti, non estende ai discendenti dell'indegno e questi succedono, quali rappresentanti, iure proprio; d) la condanna penale, cioè la perdita del diritto a succedere per condanna penale ex art. 541 cpv. cod. pen.; e) la prescrizione del diritto di accettare l'eredità per prescrizione decennale del termine di accettazione o per decadenza a seguito del decorso del termine fissato dal giudice (actio interrogatoria ex art. 481 cod. civ.) o per decorso del termine di 40 giorni dal compimento dell'inventario, quando il chiamato non sia in possesso dei beni ereditari (ex art. 487 cod. civ.); f) la designazione per testamento di un non concepito al momento della morte del de 55 Circa i presupposti soggettivi - argomento che più riguarda la riforma del 2012 - la legge prevede come rappresentati: a) nella linea retta, i figli del de cuius (l'art. 468 cod. civ. ante riforma del 2012 elenca ancora i figli legittimi, legittimati, adottivi e naturali); b) nella linea collaterale, i fratelli e le sorelle del defunto. In parte della dottrina, prima della riforma del 1975, era controverso se nella categoria dei rappresentati vi rientrassero anche i fratelli e le sorelle "naturali" del de cuius per le seguenti ragioni: a) una ragione "testuale", in quanto l'art. 468 cod. civ., comma 1, prevede che la rappresentazione ha luogo in linea collaterale a favore dei discendenti dei "fratelli e delle sorelle" del defunto, non specificandosi i fratelli e le sorelle "naturali", come invece è previsto - nel testo della norma - per il caso dei figli, dove è letteralmente prevista la rappresentazione in caso di discendenti dei figli "naturali" del de cuius; b) perché la rappresentazione è un "istituto eccezionale", rispetto ai principi dettati in via generale, in merito all'ordine dei successibili e come tale l'istituto "non è estendibile" oltre ai casi previsti dall'art. 468, cod. civ., dove "l'indicazione dei soggetti a favore dei quali ha luogo la successione per rappresentazione è tassativa" ( 94). Tuttavia è stato giustamente osservato che se la Corte Costituzionale con la più volte citata Sentenza n. 184 del 1990 - ha incluso come successibili all'art. 565 cod. civ. anche i fratelli e le sorelle "naturali", si dovrebbe ammettere la rappresentazione ex art. 468 anche a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle "naturali". La dottrina prevalente ( 95) e gran parte della giurisprudenza ( 96) cuius. La seconda ipotesi ("non vuole accettare l'eredità o il legato") consiste nella rinuncia dell'ascendente. (94) In giurisprudenza Cass. civ., Sez. II, sentenza 28 ottobre 2009, n. 22840, che richiama gli stessi principi ribaditi da sentenza Cass. n. 5077/1990. (95) A. TRABUCCHI, Il titolo alla successione e l'affermazione di un diritto al di là della legge, in Riv. dir. civ., 1979, I, p. 503 ss.; L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successioni legittime, cit., p. 184; L. FERRI, Successioni in generale, cit., p. 468; A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da CICU e MESSINEO, Milano, p. 112; C. CONSOLANDI, La riforma del diritto di rappresentazione (art. 476 c.c.), cit., p. 57 ss. (96) Si veda L. CARRARO, Parentela e vocazione a succedere dei fratelli naturali, in Riv. dir. civ., 1980, I, p. 218 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia. Le 56 caldeggiavano invece la tesi positiva, argomentando sull'esistenza e sulla rilevanza giuridica del rapporto di parentela tra fratelli "naturali". Il principio è stato affermato anche dalla Corte Costituzionale con Sentenza n. 377/94 ( 97). L'intervento della riforma in esame, con l'equiparazione tra figli "nati nel matrimonio" e figli "nati fuori dal matrimonio" e con il ribaltamento del principio tradizionale e generale in tema di parentela naturale contenuto negli artt. 74 e 258 cod. civ., è stato decisivo anche in tema di rappresentazione nella successione legittima, nella successione testamentaria ed anche, come si vedrà, nella successione necessaria. Dalla nuova regola introdotta dalla legge di riforma n. 219/2012 secondo cui il riconoscimento della filiazione "naturale" comporta il sorgere del vincolo di parentela con tutti i parenti del/dei genitore/i che ha/hanno effettuato il riconoscimento e non solo con il/i genitore/i stessi, derivano conseguenze anche in tema di rappresentazione: a) si ha un aumento dei soggetti chiamati all'eredità o al legato; b) i discendenti (c.d. rappresentanti) subentrano al loro ascendente nel diritto di accettare un lascito (eredità o legato) qualora l'ascendente chiamato (cd. rappresentato) non può o non vuole accettare l'eredità o il legato (ex art. 468 cod. civ.), senza più alcuna distinzione fra il tipo di parentela ("legittima o naturale"); c) pertanto, in seguito alla riforma, nel caso di premorienza o di rinuncia all'eredità (o degli altri casi sopra citati in cui si applica la rappresentazione) nella linea retta del de cuius al figlio "nato fuori dal successioni, Milano, 1985, p. 440; M. MELONI, Rappresentazione, in Enc. dir. Treccani, XXV, Roma, 1-12, p. 9; C. GRASSI, Operatività della rappresentazione a favore dei discendenti dei fratelli naturali, in Familia, 2003, p. 240.; in giurisprudenza Cass., 11 aprile 1975, n. 1366 e Cass., 7 novembre 1979, n. 5747 sostenevano l'opinione negativa in considerazione del principio generale in tema di parentela naturale contenuto nell'art. 258 cod. civ., il quale limitava gli effetti del riconoscimento al genitore che lo ha effettuato. (97) Principio affermato dalla Corte Costituzionale che pure ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 565, 572 e 468 nella parte in cui non prevedono la successione legittima dei fratelli e sorelle naturali del de cuius e, per rappresentazione, quella dei discendenti degli stessi in mancanza di membri della famiglia legittima restrittivamente intesa. Cfr. sentenza Corte Cost., 4 luglio 1979, n. 55, Home Page Consulta OnLine http://www.giurcost.org/decisioni/1979/0055s-79.html, 8 luglio 2013 e sentenza Corte Cost., 12 aprile 1990, n. 184, Home Page Consulta OnLine http://www.giurcost.org/decisioni/1990/0184s-90.html. 57 matrimonio", premorto o rinunciante, subentreranno i suoi discendenti (vale a dire i nipoti, figli del figlio naturale del de cuius) e nella linea collaterale al fratello o sorella "naturale", premorto o rinunciante, subentreranno i suoi discendenti (i nipoti ex fratre o ex sorore); d) la rappresentazione, secondo le regole vigenti, può aver luogo soltanto quando il chiamato che non può o non vuole accettare sia o un figlio - non importa se nato dentro dal matrimonio o nato fuori dal matrimonio o se adottivo - ovvero un fratello o una sorella del defunto (ora non importa se il fratello sia nato all'interno o all'esterno del matrimonio); e) la rappresentazione è invece esclusa, secondo le regole generali, se il chiamato (il rappresentato) sia, rispetto al de cuius, un estraneo ovvero anche un parente diverso da un figlio (non opera, pertanto, quando il rappresentato sia un nipote ex filio del defunto) o da un fratello o una sorella (es. un nipote ex fratre o ex sorore, o un cugino) ( 98); f) la rappresentazione è esclusa - secondo le regole generali - nel caso di successione testamentaria, quando il testatore abbia già provveduto con una sostituzione del destinatario del lascito per l'ipotesi in cui il primo chiamato non possa o non voglia accettare (art. 467, comma 2, cod. civ.) e quando si tratti di legato di usufrutto o di altro diritto di natura personale, in quanto costituiscono attribuzioni strettamente legate alla persona indicata dal testatore (art. 467, comma 2, cod. civ.); g) quando si applica la rappresentazione - secondo le regole generali la divisione si fa per stirpi (art. 469, comma 2, cod. civ.): ossia i discendenti subentrano tutti in luogo del capostipite, indipendentemente dal loro numero, e lo stesso criterio si applica anche qualora uno stipite abbia prodotto più rami (art. 469, comma 3, cod. civ.); h) la rappresentazione ha luogo in infinito (art. 469, comma 1, cod. civ.), secondo le regole generali; e quindi, secondo l'interpretazione preferibile ( 99) anche oltre il sesto grado ( 100) e tanto nella linea retta, quanto nella linea collaterale. Pertanto il figlio potrà rappresentare il padre, come il (98) Cfr. in giurisprudenza sentenza Cass. 28 ottobre 2009, n. 22840, cit. (99) L. FERRI, Successioni in generale, cit., pag. 212; G. PRESTIPINO, Delle successioni in generale, cit., p. 165; M. TERZI, Rappresentazione, cit., p. 171. (100) In deroga all'art. 77 cod. civ. 58 nipote, l'avo o il pronipote, il bisavo. Come sopra accennato, la riforma, con riguardo alla rappresentazione, ha anche effetti in materia di successione necessaria e di collazione. In base all'art. 564, comma 3, cod. civ., il legittimario che succede per rappresentazione deve anche imputare le donazioni e i legati fatti, senza espressa dispensa, al suo ascendente, e quindi non solo quelli da lui ricevuti (c.d. imputazione del rappresentante) ( 101). Come noto, in ogni caso il legittimario, che esperisce l'azione di riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione di legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato. Secondo la giusta interpretazione estensiva, pertanto, il legittimario, non solo deve imputare le donazioni e i legati, ma tutto ciò che abbia ricevuto per successione, vale a dire anche i beni che abbia conseguito in qualità di erede ( 102). Anche il rappresentante, pertanto, deve imputare le donazioni e i legati fatti al suo ascendente, perché la rappresentazione è destinata ad assicurare un'eguaglianza di trattamento nei rapporti tra i coeredi, ma anche a tutelare le aspettative dei terzi, le quali non debbono andare deluse solo perché in luogo del figlio gratificato con una liberalità in conto di legittima, subentrano i suoi discendenti. Ne deriva che il discendente "nato fuori dal matrimonio", analogamente al discendente "nato nel matrimonio" che succede per rappresentazione, dovrà imputare alla sua quota di legittima le donazioni e i legati fatti al suo ascendente (il genitore "naturale" che ha effettuato il riconoscimento) senza espressa dispensa. Pertanto, i discendenti "nati fuori dal matrimonio" che succedono per rappresentazione, non possono esercitare l'azione di riduzione se non abbiano prima imputato le donazioni ricevute dal proprio ascendente, oltre a quelle da loro stessi ricevute. Concludendo: ricorrendone i presupposti oggettivi viene ora ad applicarsi la rappresentazione anche a favore dei discendenti dei fratelli e delle sorelle "naturali" del de cuius. (101) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 548 ss. (102) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 548. 59 16. I figli "naturali" non riconoscibili. La regola generale affinché i figli "nati fuori dal matrimonio" possano venire alla successione mortis causa e, correlativamente, il loro patrimonio possa essere devoluto al genitore "naturale" e - per effetto della riforma n. 219/2012 - ai suoi parenti "naturali" è che i figli siano stati riconosciuti dal genitore "naturale", ovvero che la filiazione sia stata giudizialmente dichiarata. Va, pertanto, accertato il rapporto di filiazione (riconosciuta o dichiarata) con il genitore. Ne consegue che il figlio "naturale" non riconosciuto, o non riconoscibile, o giudizialmente non dichiarato, non può vantare diritti alla successione del suo genitore e che, nel caso di morte del figlio "nato fuori dal matrimonio", il genitore "naturale" non può succedere a suo figlio (naturalmente nelle ipotesi in cui è prevista dalla legge la vocazione ereditaria dell'ascendente del de cuius). Attualmente il trattamento successorio del figli "naturali" non riconoscibili è disciplinato dagli artt. 580 e 594 cod. civ. Tali norme saranno destinate ad essere radicalmente modificate nel loro contenuto attuale. Ai figli, prima non riconoscibili, se aventi diritto al mantenimento, all'istruzione e all'educazione a norma dell'art. 279 cod. civ., spettava, in base al combinato disposto degli artt. 580 e 594 cod. civ.: a) un assegno vitalizio pari all'ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero diritto se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta; b) su loro richiesta, era prevista la capitalizzazione dell'assegno in danaro ovvero, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditari ( 103); c) l'assegno doveva essere corrisposto dagli eredi, dai legatari e dai donatari in proporzione a quanto avevano ricevuto, se il genitore non aveva disposto per donazione o testamento in favore dei figli medesimi; se il genitore aveva disposto in loro favore, essi potevano rinunziare alla (103) E’ un’altra ipotesi di commutazione prevista dal codice attuale. 60 disposizione e chiedere l'assegno (cfr. art. 594 cod. civ.). Pertanto anche ai figli nati da relazioni incestuose spettavano diritti successori (seppur in misura limitata), ovviamente in quanto fosse stata data la prova del rapporto di filiazione con il defunto ( 104). Si discuteva se i figli "naturali" non riconoscibili, ai quali la legge attribuiva un assegno vitalizio, assumessero la qualifica di legittimari. Prima della riforma del diritto di famiglia la dottrina prevalente negava tale qualifica perché l'assegno gravava solo sugli eredi e sui legatari e non anche sui donatari. Dalla normativa post riforma del diritto di famiglia del 1975 (anche se inserita in parte nel Titolo relativo alla successione legittima ed in parte in quello della successione testamentaria e non in quello relativo alla successione necessaria) si ricava che il figlio "naturale" non riconoscibile era un legittimario e che l'assegno era un diritto di legittima. Si era, pertanto, concordi nell'attribuire all'assegno natura successoria di legato obbligatorio ex lege di rendita vitalizia. L'assegno vitalizio dei figli "naturali" non riconoscibili non aveva carattere alimentare perché era commisurato alle sostanze ereditarie, prescindeva dallo stato di bisogno del beneficiario, con conseguente inapplicabilità della normativa sui crediti alimentari. La nuova legge, tuttavia, non si occupa espressamente dei figli non riconoscibili di cui agli artt. 279, 580 e 594 cod. civ. Potrebbe ritenersi, ad una prima lettura, che la categoria dei figli non (104) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 433. Poiché anche i figli incestuosi possono agire per l'accertamento giudiziale del rapporto di filiazione, la rilevanza dell’attuale disposizione parrebbe ridotta all'ipotesi in cui il figlio incestuoso non abbia chiesto l'accertamento del rapporto di filiazione e preferisca agire per ottenere il solo assegno di mantenimento. Cfr. A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., edizione XX, ante Appendice di aggiornamento, p. 1281. La dottrina tendeva ad ampliare l'ambito di applicabilità dell'art. 580 cod. civ., comprendendovi anche categorie di figli "naturali" diverse da quelli definibili come incestuosi ai sensi dell'art. 251 cod. civ. Così i figli "naturali" che, benché astrattamente riconoscibili, in concreto non siano stati riconosciuti, perché mancava il consenso del genitore che ha riconosciuto per primo o l'autorizzazione del giudice da ottenersi in luogo di tale consenso o del figlio "naturale". È controverso, invece, se nella categoria prevista dagli artt. 580 e 594 cod. civ. potevano essere compresi anche i figli "naturali" che, pur astrattamente riconoscibili, di fatto non avessero agito per ottenere la dichiarazione di paternità o maternità naturale e non avessero avuto l’intenzione di agire neppure tardivamente. 61 riconoscibili non esista più, per la ragione che tutti i figli sono oggi riconoscibili, compresi quelli nati da relazioni parentali. In realtà sembrano ancora da ricomprendersi nella previsione dell'art. 279 cod. civ.: a) i figli non riconoscibili nati da genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi al riconoscimento valutate le circostanze e avuto riguardo all'interesse del figlio; b) il figlio ultraquattordicenne non riconoscibile per mancanza del suo assenso (ex novellato art. 250, comma 2, cod. civ.); c) il figlio infraquattordicenne non riconoscibile per mancanza di consenso del genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, salva l'autorizzazione del Tribunale (ex novellato art. 250, commi 3 e 4, cod. civ.); d) il figlio privo di assistenza morale e materiale, per il quale siano intervenuti la dichiarazione di adottabilità e l'affidamento preadottivo (art. 11, ultimo comma, l. 284/1983); e) il figlio matrimoniale, se decaduto dall'impugnativa di paternità, e il figlio riconosciuto da altri, entrambi non riconoscibili dal padre biologico (art. 253 cod. civ.) ( 105). Sembra che tutti i casi sopra citati - con eccezione di quello del figlio ultraquattordicenne alla lettera b) - possano essere raggruppati nella fattispecie dei figli irriconoscibili. Per coloro che si trovano nelle fattispecie di cui sopra, attualmente sarebbe prevista solo la disciplina di cui agli artt. 279, 580 e 590 cod. civ. (la legge di riforma n. 219/2012 prevede, infatti, che la filiazione esiga un "titolo di stato"). Vanno pertanto considerati anche quei figli che non possono raggiungere lo status di figlio: questi godono solo della tutela prevista dai precitati articoli ( 106). (105) Così M. SESTA, La riforma della filiazione: i profili successori, relazione all'VIII Congresso giuridico forense per l'aggiornamento professionale, Home Page Consiglio Nazionale Forense www.consiglionazionaleforense.it/site/home/eventi/congressi/docCat.2292.1.40.2.all.html, vedi documento pdf Sesta Michele. (106) Cfr. M. SESTA, La riforma della filiazione: i profili successori, cit., p. 12. 62 La sensazione che si ha, in queste ipotesi, è che il processo riformatore non sia completo ( 107). 17. Un caso di diseredazione con l'inversione del potere: il caso di esclusione dalla successione dei figli, anche adottivi e in loro mancanza dei discendenti, del genitore nei cui confronti è stata pronunciata la decadenza dalla potestà genitoriale per fatti che non integrano casi di indegnità. La legge di riforma 10 dicembre 2012, n. 219 in materia di riconoscimento dei figli "naturali" ha aggiunto, dopo l'art. 448 cod. civ., un nuovo articolo: l'art. 448 bis (Cessazione per decadenza dell'avente diritto dalla potestà sui figli). "Il figlio anche adottivo e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all'adempimento dell'obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla potestà e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all'articolo 463, possono escluderlo dalla successione". Con la nuova norma si prevede: a) l'esclusione dal diritto agli alimenti del genitore nei cui confronti sia stata pronuncia la decadenza dalla potestà; b) la possibilità del figlio, anche adottivo e, in sua mancanza, dei discendenti prossimi, di escludere dalla successione il padre o l'ascendente che si sia reso responsabile di "fatti che non integrano casi di indegnità". La norma si collega con la previsione del nuovo caso di indegnità di cui all'art. 463, comma 1, n. 3 bis, cod. civ. - introdotto dalla L. 8 luglio 2005, n. 137 - nei riguardi del genitore che è decaduto dalla potestà genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta e non sia stato reintegrato nella potestà alla data di apertura della successione. L'art. 448 bis cod. civ. costituisce un ampiamento del caso di (107) Così anche amplius V. BARBA, La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno di legge recante "Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali", cit., p. 667. 63 indegnità introdotto al n. 3 bis dell'art. 463 cod. civ. ( 108). La nuova disposizione consente al figlio di "diseredare" il genitore che, ancorché non indegno, si sia reso disponibile di fatti - peraltro non meglio precisati dalla norma - che sono stati pregiudizievoli per il figlio ( 109): probabilmente il legislatore ha inteso riferirsi a comportamenti del genitore che costituiscono violazione dei doveri familiari, che pur non hanno causato la decadenza dalla potestà genitoriale ( 110). La disposizione è significativa perché apre la via alla possibilità di far ricorso al controverso istituto della diseredazione ( 111). Con la norma in commento adesso questo potere è attribuito al figlio, attuando una vera e propria inversione di poteri ( 112). La norma costituisce sicuramente una novità essendo state manifestate in dottrina e in giurisprudenza opinioni contrastanti circa l'ammissibilità della diseredazione ( 113). 18. La revocazione delle donazioni e del testamento per sopravvenienza di figli. Problema rilevantissimo, in caso di riconoscimento dei figli non matrimoniali (gli ex figli "naturali") e dei figli "nati da relazioni parentali" (108) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., p. 241. (109) M. MORETTI, La diseredazione, in Tratt. dir. succ. e don., a cura di G. BONILINI, cit., p. 264; M. COMPORTI, Riflessioni in materia autonomia testamentaria, nomina testamentaria, indegnità a succedere e diseredazione, in Famiglia, 2003, p. 27. (110) Quelli oggetto di recente analisi giurisprudenziale in merito alla responsabilità dei genitori ex art. 2043 cod. civ. G. FACCI, La responsabilità dei genitori per violazione dei doveri familiari, in La responsabilità nelle relazioni familiari, a cura di M. SESTA, Torino, 2008, p. 203. (111) Nel diritto romano il pater familias era dotato del potere di escludere dalla successione i propri eredi necessari che voleva sanzionare per le offese ricevute. A. BURDESE, Diseredazione (Diritto romano), in Nuovissimo digesto italiano, V, Torino, 1960, p. 1113. (112) M. CAVINA, Il padre spodestato. L'autorità paterna dall'antichità ad oggi, Bari, 2007. (113) T. AULETTA, La riforma della filiazione, in Quaderni, Notariato, a cura di G. LAURINI, Genitori e figli: quale riforma è per le nuove famiglie, Atti del Convegno tenutosi a Genova il 4 maggio 2012, Milano, 2013, p. 263. 64 ( 114), è quello della revocazione, per sopravvenienza di figli, delle disposizioni testamentarie, delle donazioni tipiche e delle altre liberalità che risultano da atti diversi da quelli previsti per la donazione formale di cui all'art. 769 cod. civ. ( 115), revocazioni previste dagli artt. 687, 803, 809 cod. civ. In base alle citate norme, le disposizioni testamentarie (a titolo universale o particolare), le donazioni e le altre liberalità non donative, fatte da chi - al tempo del testamento e della liberalità - non aveva o ignorava di avere figli o discendenti sono rispettivamente "revocate di diritto" (le disposizioni mortis causa) o "possono essere revocate" (le donazioni e le altre liberalità) per l'esistenza di un figlio o di un discendente o per la loro sopravvenienza e per il riconoscimento di un figlio "naturale" del testatore o del donante, e anche se il figlio era già stato concepito al tempo del testamento o della donazione. La revocazione, invece, non ha luogo nell'ipotesi di testamento, quando il testatore abbia provveduto per il caso in cui esistessero o sopravvenissero figli o loro discendenti, e, nell'ipotesi di donazione, si provi che il donante, al tempo dell'atto, aveva notizia dell'esistenza del figlio (cfr. artt. 687, comma 3, e 803, ult. parte, cod. civ.). Affinché operi la revocazione deve verificarsi, pertanto, dopo la redazione del testamento o la stipula dell'atto di liberalità, una delle seguenti situazioni: a) un fatto nuovo consistente nell'evento naturale della nascita di un figlio o di un discendente; b) un mutamento giuridico di un precedente status: il riconoscimento di un figlio "naturale", anche nato da relazioni parentali, o la dichiarazione di paternità o maternità "naturale" ( 116); (114) Cfr. l'innovato art. 251 cod. civ. che permette ora il riconoscimento dei figli "incestuosi", previa autorizzazione del giudice. (115) Le liberalità, che risultano da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769, sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa di ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari (cfr. art. 809 cod. civ.). (116) Alcuni autori danno rilevanza anche alla "non conoscenza" circa l’esistenza di un figlio o di un discendente. G. ZUDDAS, Sopravvenienza di figli e revocazione di disposizioni testamentaria, in Riv. Giur. Sarda, 1995, p. 11, a commento della Sent. App. 65 c) l'adozione ( 117). Il concetto di sopravvenienza, assunto dalla legge, viene inteso, oltre che in "senso naturalistico", in "senso giuridico" ( 118). Pertanto si rientra nella fattispecie normativa della revocazione perché il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità o l'adozione equivalgono alla "sopravvenienza" di un figlio ( 119). La revocazione si applicherà, come regola generale, per ogni mutamento che comporti l'acquisizione per il figlio di una situazione migliore ( 120). Naturalmente, i figli e i discendenti (in subordine) sopravvenuti o riconosciuti, nella loro qualità di legittimari, potranno agire in riduzione delle disposizioni non revocate, qualora risultino lesive della loro quota di riserva. La revoca: a) si produce automaticamente nei confronti di tutte le disposizioni testamentarie a titolo universale o a titolo particolare; b) è una revoca totale, ossia riguarda l'intero contenuto del testamento e non può essere parziale (non può, pertanto, avere ad oggetto solo talune disposizioni testamentarie); c) non opera per le disposizioni a carattere non patrimoniale, quale il riconoscimento del figlio naturale; d) prescinde da ogni manifestazione di volontà perché è una Cagliari, 28 giugno 1993. E. CAROSONE, in Codice Civile, a cura di P. RESCIGNO, Milano, 2011, p. 727. (117) In giurisprudenza sentenza Trib. Lucera 18 dicembre 1964, in Le Corti di Bari, Lecce e Potenza, 1965, p. 226; sentenza Trib. Caltanissetta 2 settembre 1950, in Il Foro italiano, 1951, I, p. 378, con nota di AZZARITI. (118) E’ controverso se sia necessaria la mancanza o la mancata conoscenza dell’esistenza di altri figli al momento del testamento. (119) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 1006; Cass., 9 marzo 1996, n. 1935; C. SEVERI, L'art. 687 c.c. e "Gli altri" figli sopravvenuti alla redazione del testamento", in Familia, persone e successioni, 2007, p. 312. Secondo un indirizzo la revoca di diritto non ha luogo quando, al momento della confezione dell’atto, il disponente aveva già dei figli e ne siano, successivamente, sopravvenuti degli altri. In giurisprudenza cfr. App. Trento 27 agosto 1968, in Giurisprudenza di merito, 1970, I, p. 316; sentenza App. Napoli 20 agosto 1951, in Il Foro Italiano, 1952, I, p. 541. (120) L. ROSSI CARLEO, Revoca degli atti (Revoca del testamento), in Enc. Giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991, p. 15; L. GENGHINI, C. CARBONE , Le successioni per causa di morte, II, Milano, 2012, p. 1190 ss. 66 revocazione di diritto o legale ( 121); e) è ispirata alla presunta volontà del testatore e pertanto essa non trova applicazione se il testatore ha previsto il caso che esistessero o sopravvenissero figli; f) trova il suo fondamento nella tutela del rapporto di filiazione ( 122). Nel caso di revocazione delle donazioni per sopravvenienza di figli, la revocazione non consegue automaticamente alla manifestazione di volontà di chi revoca, ma esige una pronunzia costitutiva del giudice che dichiari revocata l'atto di liberalità. In questa ipotesi la revoca: a) è un diritto potestativo del donante ( 123) che produce un'inefficacia sopravvenuta dell'atto ( 124); b) è una revoca vera e propria, ossia un atto con il quale il precedente atto di donazione viene eliminato ( 125); c) ha effetto parzialmente retroattivo nei confronti del donatario, il quale deve restituire i beni in natura, se essi esistono ancora; d) è irretroattiva nei confronti dei terzi; non ha effetti reali, con la conseguenza che, se il donatario ha alienato i beni il donante non può agire verso i terzi, ma può agire solo verso il donatario per il valore dei beni donati; se poi il donatario ha alienato i beni, deve restituirne il valore; se, invece, il donatario ha costituito sui beni donati diritti reali che ne (121) Alcuni autori parlano di invalidità successiva, ma sembra preferibile la tesi, secondo cui la fattispecie integra un'ipotesi di inefficacia successiva del testamento, derivante da una causa coeva o successiva alla sua confezione, a seconda che essa si fondi sull'ignoranza dell'esistenza di discendenti o sulla loro sopravvenienza. Così G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 1005; G. D'AMICO, Revoca delle disposizioni testamentarie, in Enc. Dir., XL, Milano, 1989, p. 284; E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. it., a cura di VASSALLI, Torino, p. 489 ss.; F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrina generale del diritto civile, cit., p. 246 ss.; M. TALAMANCA, Successioni testamentarie, art. 679-712, cit., p. 205; R. TRIOLA, Il testamento, Milano, 1998, p. 440. (122) G. D'AMICO, Revoca delle disposizioni testamentarie, cit., p. 284; Cass., 9 marzo 1986, n. 1935, secondo la quale la norma si fonderebbe sulla necessità di tutelare gli interessi successori dei figli e dei discendenti del testatore, a seguito della modificazione della situazione familiare. (123) A. TORRENTE, La donazione, cit., p. 674; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 1638. (124) B. BIONDI, Le donazioni, cit., p. 1039 ss.; A. TORRENTE, La donazione, cit., p. 672 ss.; F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrina generale del diritto civile, cit., p. 239; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 1637. (125) A. TORRENTE, La donazione, cit., p. 673; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, cit., p. 38; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 1638. 67 diminuiscono il valore, egli deve indennizzare il donante della diminuzione di valore sofferta dai beni stessi; i diritti acquisiti dai terzi saranno fatti salvi se il loro acquisto sarà stato trascritto anteriormente alla domanda di revocazione ( 126). 19. Il problema della impugnativa della divisione per preterizione di legittimari. La sopravvenienza di figli o il riconoscimento di figli non matrimoniali e dei figli nati da relazioni parentali, prima non riconoscibili, pone il problema della eventuale nullità della divisione fatta dal testatore per preterizione. Infatti, la divisione nella quale il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari è nulla (art. 735, comma 1, cod. civ.). Ricorrerebbe tale ipotesi di nullità in tutti i casi in cui il testatore nella divisione non abbia comunque compreso alcuno dei legittimari ( 127). L'art. 735, comma 1, cod. civ. statuisce che la divisione, per assolvere alla sua funzione distributiva, deve comprendere tutti gli eredi, così come ogni divisione deve comprendere tutti gli aventi diritto. L'omissione del legittimario nella divisione testamentaria travolge la divisione ma non anche la disposizione testamentaria sottostante relativa alla distribuzione dell'asse ereditario; il che comporta il ripristino della comunione ereditaria con la possibilità di fare luogo a una nuova ripartizione dei beni a richiesta degli interessati (art. 713 cod. civ.). Tuttavia, secondo altra dottrina e la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la divisione sarebbe nulla solo quando siano stati lasciati fuori dalla divisione beni insufficienti a formare le porzioni del soggetto (126) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 1639. (127) È la c.d. tesi classica e formalistica. Cfr. V. R. CASULLI, Divisione ereditaria (dir. civ.), in Novissimo Digesto It., VI, Torino, p. 57 ss.; A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale, cit., p. 460. 68 pretermesso ( 128). Pertanto, secondo questa teoria, la divisione sarebbe valida se il soggetto pretermesso potesse prelevare dall'asse ereditario la sua porzione. 20. L'importanza del testamento. È necessario sempre più prendere atto, anche dal punto di vista successorio e donativo, dei cambiamenti repentini verificatisi nella società e nella istituzione familiare: l'aumento delle crisi della coppia, l'aumento delle separazioni personali, dei casi di divorzio e di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, l'aumento dei casi di dissoluzione delle coppie genitoriali, la nascita di nuove "comunità di affetti", l'aumento delle convivenze stabili (come famiglie non fondate sul matrimonio), le convivenze occasionali, le coabitazioni in gruppi anche stabili, ma uniti da vincoli e funzioni di diversa natura (convivenze tra parenti o amici, comunità religiose o politiche, ecc.), la dissoluzione delle stesse convivenze stabili e non, il fenomeno, ormai sempre più accentuato, di matrimoni tra persone con notevole differenza di età. Si pensi poi a più matrimoni a volte con durata assai diversa e con apporti differenti alla qualità della vita ed agli affetti del disponente, alla convivenza prolungata con valide prestazioni di assistenza, alla rilevanza di collaboratori domestici o professionali, che possono avere avuto un ruolo determinante nell'attività di produzione della ricchezza del disponente. Il principio di unità della successione, per cui ciascun legittimario ha diritto ad una quota del patrimonio relitto, destinato ad essere diviso in natura, appare sempre meno coerente in una società "mobile". Si pensi ancora al desiderio di beneficiare associazioni e fondazioni di varia natura ( 129). (128) P. FORCHIELLI e F. ANGELONI, Della divisione, Art. 713-768, in Comm. cod. civ., a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna - Roma, 2000, p. 332; L. MENGONI, La divisione testamentaria, Milano, 1950, p. 106; Cass., 23 marzo 1992, n. 3599. (129) Vanno anche considerate la complessità e le varietà dei tipi di investimenti finanziari, spesso non pienamente compresi dall'investitore, e delle conseguenze fiscali sulla successione mortis causa. 69 Va infine tenuto conto dell'impatto di portata epocale della nuova legge n. 219/2012 e le conseguenze pratiche in materia successoria - ancora da verificare - ma che potranno essere assai significative. Tutto ciò convince sempre di più dell'importanza del testamento, come strumento per disciplinare e "mirare" la propria successione, anche ai fini della tutela delle persone affettivamente vicine al testatore, della devoluzione di beni particolarmente "significativi" dal lato "affettivo" e dei "ricordi" di una vita e della tutela dei beni aziendali e della loro continuità. La potenzialità dello strumento testamentario è enorme, se ben conosciuta e vista in unità con l'aspetto fiscale. Con il testamento il suo autore può attribuire beni di qualità diversa a soggetti diversi nell'ambito della quota di legittima, può evitare - se lo desidera - in tutto o in parte la comunione ereditaria (spesso fonte nella pratica di incomprensioni e contrasti); può inoltre orientare una parte determinata del suo patrimonio verso i soggetti che hanno diritto alla quota riservata e un'altra parte determinata verso estranei che hanno avuto una particolare rilevanza nella vita del disponente; può riconoscere i meriti di alcuni beneficiari con attribuzioni specifiche, stabilendo precisi equilibri sia tra i legittimari, che tra i non legittimari, in una visione di unità successoria. Insomma la funzione centrale del testamento in seno al diritto successorio diventa sempre più insostituibile, come strumento di percorso di vita, modificabile e adattabile in ogni momento della propria vita secondo la propria situazione familiare, personale, affettiva e economica. Il non disciplinare la propria successione con lo strumento del testamento e quindi lasciare che la devoluzione ereditaria avvenga per legge "appiattisce" il trattamento successorio sul solo legame di parentela o di coniugio. 21. Disposizioni transitorie. Il legislatore della riforma non ha dettato norme transitorie in merito ai riflessi successori delle disposizioni già entrate in vigore al 1° gennaio 2013. 70 Conseguentemente tali disposizioni dovrebbero trovare applicazione solo alle successioni apertesi dopo tale data (1° gennaio 2013). Per le successioni apertesi in precedenza (per i decessi avvenuti anteriormente all'1-1-2013) resterebbe precluso ogni diritto dei parenti "naturali" e la devoluzione ereditaria andrebbe "vista" e disciplinata sulla base delle disposizioni ante riforma, vigenti fino al 31 dicembre 2012 ( 130). E ciò in conformità al "principio di irretroattività delle norme successorie" ( 131). Analogamente, in occasione della riforma del diritto di famiglia, che aveva profondamente innovato i diritti successori dei figli naturali (art. 566 cod. civ.), non fu prevista alcuna retroattività delle disposizioni. Allo stesso modo, il legislatore del 2012 sembrerebbe essersi attenuto al principio generale per cui la legge regolatrice della successione è quella vigente al tempo dell'apertura della successione. Infatti - come è stato già rilevato (cfr. § 8) - l'intervento del legislatore del 2012 si è mosso su piani diversi: il piano del vincolo di parentela che sancisce l'appartenenza alla famiglia "aperta" e il piano più propriamente successorio. In altre parole una cosa è collocare "i nuovi parenti" nella famiglia "allargata", un'altra cosa è estendere la chiamata alla successione ai parenti "naturali" ( 132). Le nuove norme, che hanno creato vincoli di parentela in capo ai soggetti che prima ne erano esclusi e pertanto la "loro vocazione ereditaria", non dovrebbero avere carattere retroattivo e quindi non dovrebbero consentire a quei soggetti di essere chiamati alle successioni apertesi prima del 1° gennaio 2013 (anche se ora, teoricamente, sono collocati nelle categorie dei successibili ex lege). (130) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., pp. 239-240. (131) E in generale per il principio della irretroattività della legge, previsto dall'art. 11, comma 1 delle preleggi, secondo cui "la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo". È un principio di "civiltà giuridica". In base a questo principio, a tutela della certezza del diritto, le fattispecie descritte in astratto dalle norme determinano conseguenze giuridiche successivamente all'entrata in vigore delle norme stesse. Cfr. A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 44. (132) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., pp. 234-239-240. 71 Tuttavia va segnalato che l'art. 2, comma 1, lettera l) incarica il Governo di assicurare "l'adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio", prevedendo, anche in relazione ai giudizi pendenti, una disciplina che assicuri la protezione degli effetti successori riguardo ai parenti, anche per gli aventi causa del figlio non matrimoniale premorto o deceduto nelle more del riconoscimento e conseguentemente l'estensione dell'azione di petizione di cui agli artt. 533 e ss. del codice civile. Come è stato sottolineato in dottrina (133), la norma non è chiara ed è di difficile interpretazione. Il legislatore delegato dovrà chiarire se, in forza della retroattività degli effetti della dichiarazione di riconoscimento al momento della nascita, il figlio e i suoi aventi causa possano agire in petizione di eredità con riguardo alle successione apertesi prima di entrata in vigore della riforma. Non sembrerebbe che l'art. 2, comma 1, lettera l) abbia voluto prevedere la retroattività delle nuove disposizioni sulla parentela per la materia ereditaria e quindi permettere la chiamata dei parenti "naturali" per le successioni aperte prima del 1° gennaio 2013. Va meditata, pertanto, con attenzione la delega dove recita che il Governo dovrà adottare una disciplina che "assicuri la produzione degli effetti successori" riguardo ai parenti del figlio "naturale" premorto o deceduto nelle morde del riconoscimento e conseguentemente l'estensione delle azioni di petizione. La norma sembrerebbe voler regolare anche le successioni aperte anteriormente a quella data purché il giudizio di riconoscimento sia pendente. Se la legge delega vuole assicurare la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti, unico e solo presupposto possibile per riconoscere al soggetto premorto anche i diritti successori è l'azione di accertamento giudiziale della paternità o maternità naturale. Occorre distinguere a seconda che si abbia riguardo ai discendenti del figlio non matrimoniale premorto nelle more del riconoscimento o di altri (133) M. SESTA, L'unicità dello stato di filiazioni e i nuovi assetti delle relazioni familiari, cit., p. 241. 72 parenti. Ebbene, la legge consente di proseguire l'azione solo ai discendenti del figlio non matrimoniale premorto (art. 270, comma 3, cod. civ.). Pertanto se i discendenti del figlio non matrimoniale (figlio naturale) decidessero di proseguire l'azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità naturale (azione imprescrittibile, ex art. 270, comma 1, cod. civ.), l'esito vittorioso risolverebbe anche eventuali problemi successori: la Sentenza accerta il rapporto di filiazione e il figlio acquista tutti i diritti successori che la legge gli attribuisce, diritti successori che verranno attribuiti, operandosi la rappresentazione, a vantaggio dei discendenti del figlio non matrimoniale, i quali sarebbero quindi eredi e, in quanto tali, legittimati attivamente all'esercizio dell'azione di petizione dell'eredità ( 134). Nel caso, invece, in cui il figlio non matrimoniale, morto dopo aver iniziato nei confronti del proprio genitore naturale il giudizio diretto a far constatare la paternità o la maternità naturale, non abbia discendenti ma solo altri parenti, a costoro a norma dell'art. 270, comma 3, cod. civ. è preclusa la possibilità di proseguire l'azione. Ne deriva l'impossibilità per i parenti di ottenere una Sentenza che accerti la paternità o la maternità naturale e che crei, quindi, il presupposto per consentire al figlio premorto di poter succedere al proprio genitore "naturale". In conseguenza i parenti, diversi dai discendenti, del figlio premorto nelle more del giudizio non potranno avere la legittimazione all'esercizio della petizione di eredità. Pertanto sia il caso del figlio premorto prima di aver avviato l'azione, sia il caso del figlio premorto nelle more di giudizio senza discendenti ma soltanto con altri parenti, sono di scarsa rilevanza pratica. La disciplina transitoria è tutt'altro che semplice, perché se si volesse davvero assicurare - come appare dalla legge delega - "la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto deceduto nelle more del riconoscimento", si dovrà probabilmente rivedere il tema della legittimazione e dei termini per l'azione (134) Anche in questo senso V. BARBA, La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno di legge recante disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, cit., p. 663. 73 di accertamento giudiziale della paternità e della maternità naturale ( 135). Considerando che l'azione di petizione dell'eredità è imprescrittibile, potrebbe aprirsi un contenzioso straordinario rispetto a successioni apertisi anche parecchi anni prima. (135) V. BARBA, La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno di legge recante disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, cit., p. 664.