11-04-2004 Testata - Centro Studi Luca d`Agliano

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11-04-2004 Testata - Centro Studi Luca d`Agliano
Identificativo: DO20040411013AAA
Data:
11-04-2004
Testata:
IL SOLE 24 ORE
DOMENICA
Riferimenti:
ECONOMIA E
SOCIETA'
Pag. 37
Immigrazione - Occorre far capire all'opinione pubblica che la diversità culturale è una risorsa
economica
I conti del multietnico
Il melting-pot è un'illusione. Bisogna imparare a convivere con le differenze
Giorgio Barba Navaretti
di Giorgio Barba Navaretti
Ad ottobre dell'anno scorso, durante la consegna delle medaglie al merito del lavoro, il
presidente Ciampi ha ricordato che per sostenere lo sviluppo economico è necessario integrare
gli immigrati, <richiesti in molte aree del Paese da nostre imprese agricole e industriali>. Ciampi
ha ragione. Gli immigrati, se integrati e regolarizzati, creano ricchezza. Danno un contributo
netto positivo allo stato sociale e fanno, a costi contenuti, lavori che gli italiani, o perché troppo
vecchi o perché troppo ricchi, non vogliono più fare.
Ma questa visione degli immigrati come <fattori di produzione>, lavoratori con caratteristiche
simili a quelli nazionali, non basta a spiegare i buoni motivi per integrarli nella nostra economia.
Anche la "diversità" culturale che un Paese acquisisce con l'immigrazione può essere fonte di
crescita economica.
Bell'idea penserà qualcuno, ma che c'è di nuovo? Non ci sono forse già gli Stati Uniti a
insegnarci le virtù del melting pot? In verità, il melting pot, ossia la perdita di identità di etnie
diverse, fuse e unite nei valori americani, non si è mai veramente realizzato. I caratteri culturali
delle minoranze hanno una persistenza maggiore di quanto il dibattito sociologico e
antropologico degli anni Cinquanta e Sessanta prevedesse. Per questa ragione, contrariamente a
quanto affermato da Angelo Panebianco sul <Corriere della Sera> di lunedì scorso, l'integrazione
degli immigrati non è un'alternativa al multiculturalismo. Con l'integrazione avremo anche la
diversità culturale e dunque dobbiamo studiarne gli effetti. Da questo progetto non ci devono
distogliere diversità estreme, come il fondamentalismo islamico, in effetti inconciliabili e ostili ai
valori della società occidentale. E faremmo anche bene a lavorare in fretta, visti i crescenti flussi
di immigrati da tutti i continenti e il libero movimento di persone all'interno dell'Unione europea
allargata.
Ecco un campo dove siamo all'avanguardia. Diversi economisti italiani come Alberto Alesina,
Alberto Bisin, Eliana La Ferrara, Gianmarco Ottaviano e Giovanni Peri, che lavorano in parte in
Italia e in parte negli Stati Uniti, hanno di recente prodotto studi molto interessanti sugli effetti
economici della diversità culturale indotta dall'immigrazione.
Torniamo da dove siamo partiti, diversità culturale e crescita economica. Da questo punto di
vista l'America è un laboratorio straordinario. Gianmarco Ottaviano e Giovanni Peri hanno
classificato le città degli Stati Uniti sulla base di un indice di diversità, che catturi il grado di
frammentazione della società in diverse etnie. L'indice è tanto più alto, tanto maggiore la
diversità etnica e culturale. Per darvi un'idea, è circa 0,5 in città multietniche come Los Angeles
o New York, ed è pari a 0,05 in città come Cincinnati o Pittsburgh, lo stesso valore di Paesi
omogenei come quelli scandinavi. Bene, i due economisti trovano che la frammentazione ha un
effetto positivo sulla crescita delle città. Non solo, anche il gruppo sociale locale dominante (in
questo caso i cittadini nati negli Stati Uniti) è più produttivo in città multietniche. Certo, New
York e Los Angeles sono più dinamiche per mille motivi, ma tra questi la diversità culturale
svolge un ruolo importante.
Vi chiederete perché mai ci debba essere una relazione tra queste due variabili. Perché la
diversità di cultura porta ad affrontare i problemi in modo particolare e permette spesso di
trovare soluzioni innovative e più efficienti di quanto non si riuscirebbe a fare in un gruppo
etnico omogeneo. Insomma, è una buona idea mettere insieme in un team di lavoro la capacità di
astrazione di un asiatico e la concretezza di un americano. Non solo, ma in città dove diverse
etnie vivono insieme, l'americano può acquisire qualcosa della capacità di astrazione di un
asiatico chiacchierando con lui a un caffè e l'asiatico potrà acquisire parte della concretezza
dell'americano osservandolo risolvere diversi problemi. Un fenomeno, questo, che gli economisti
definiscono esternalità. Inoltre, ogni etnia genera prodotti tipici della propria cultura (dai
ristoranti indiani alla medicina macrobiotica) e così aumenta la varietà dei beni di consumo e la
domanda dei consumatori.
Questo risultato deve però essere qualificato e in questo ci aiuta un saggio recente di Alberto
Alesina ed Eliana La Ferrara. L'effetto positivo della diversità sulla crescita vale soprattutto per i
Paesi avanzati. Infatti, etnie diverse esprimono anche preferenze diverse relativamente a
un'infinità di decisioni economiche e sociali. Per conciliare queste diversità è necessario disporre
di meccanismi istituzionali sofisticati basati sull'impersonalità delle relazioni. Mi spiego meglio.
I conflitti etnici in Iraq, in Afghanistan, in Africa dimostrano quanto possano essere difficili le
relazioni tra etnie diverse. Se un hutu non si fida di un tutsi o uno sciita non si fida di un curdo,
certo è impossibile pensare che possano fare affari insieme. Così, nelle economie arretrate gran
parte degli affari si fanno tra persone della stessa etnia. Invece, un americano e un asiatico negli
Stati Uniti o in Gran Bretagna dispongono di meccanismi di rappresentanza, di sistemi di regole,
di codici di condotta, di leggi e sanzioni che permettono loro di fare affari senza conoscersi.
Altra questione, la spesa pubblica. É necessaria a integrare gli immigrati, ma l'altruismo viaggia
male tra diversi gruppi etnici. Se so che di un programma di assistenza sociale alle madri single,
o la scuola pubblica o l'assistenza sanitaria gratuita beneficia soprattutto un altro gruppo etnico
sarò meno favorevole ad approvarlo. Secondo Alesina, in un libro scritto con Edward Glaeser e
che è uscito in questi giorni da Oxford Univeristy Press, la frammentazione razziale è una delle
ragioni per cui gli americani sono più avversi degli europei alla spesa sociale.
Dunque, siamo arrivati a un paradosso. Soprattutto in società ancora relativamente omogenee
come la nostra abbiamo bisogno di integrare gli immigrati per crescere di più. Per integrarli
dobbiamo aumentare e mirare meglio la spesa sociale. Ma se la spesa sociale va agli immigrati
gli elettori si arrabbiano. Allora, ecco un buon proposito pasquale: diamoci da fare a spiegare
meglio le virtù della diversità. Prima o poi anche l'elettore capirà che la multiculturalità è un
patrimonio per tutti. ([email protected])
Gianmarco Ottaviano e Giovanni Peri, <The Economic Value of Cultural Diversity: Evidence
from US Cities>, CEPR Discussion paper n. 4233, febbraio 2004,
www.cepr.org/pubs/dps/DP4233.asp;
Alberto Alesina e Eliana La Ferrara, <Ethnic Diversità and Economic Performance>, NBER
Working paper n. 10313, febbraio 2004, www.nber.org/papers/w10313;
Alberto Alesina e Edward Glaeser, <Fighting Poverty in the US and Europe: a World of
Difference>, Oxford University Press, 2004.
Foto:
Disegno di Domenico Rosa