Le novità del Collegato lavoro in tema di certificazione
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Le novità del Collegato lavoro in tema di certificazione
Il parere del Consulente Le novità del Collegato lavoro in tema di certificazione Francesco Natalini Consulente del lavoro in Vercelli Tra le tante novità inserite nel Collegato lavoro vanno annoverate anche quelle, estremamente importanti, in materia di certificazione dei con tratti di lavoro, tese di fatto ad aumentare sem pre di più il potere e l’«appeal» di questo stru mento che, come si ricorderà, venne introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento dalla Riforma Biagi: artt. 7584 del Dlgs n. 276/ 2003, con la dichiarata funzione di «ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei con tratti di lavoro», anche se un siffatto istituto era stato già ipotizzato (peraltro con le stesse finalità) nel disegno di legge Smuraglia, (mai però trasfor mato in legge). Peraltro la «sponsorizzazione» dell’istituto della certificazione, visto come importante strumento deflattivo del contenzioso, (insieme ad altre fatti specie parimenti introdotte a tale scopo negli ultimi tempi)(1) non è però solo di matrice legisla tiva, in quanto anche dalla stessa prassi ammini strativa giungono chiari segnali, diretti a valoriz zarne il ruolo e le finalità: una fra tutte la nota direttiva del Ministro Sacconi del settembre 2008 nella quale si invitavano gli ispettori, in via generale, a soprassedere dall’accertamento nei confronti dei contratti certificati, ai quali vie ne quindi assegnata una sorta di «presunzione di legalità», garantita dal preliminare vaglio di con formità dell’organismo certificatorio. Quello che però appare singolare è che, nono (1) (2) (3) stante questo accreditamento di cui gode già oggi la certificazione, essa non decolla come meriterebbe, benché il Legislatore (e la menzio nata prassi), oltre ad ampliarne di fatto i poteri, abbia esteso negli anni anche l’ambito dei sog getti accreditati a poterla rilasciare, per facilitar ne l’accesso(2). Tralasciando però, per scelta, di esaminare nel dettaglio la disciplina vigente in tema di: proce dura, organi abilitati ed effetti della certificazio ne, rimandando il lettore, per questo approfondi mento, alla migliore dottrina(3), si ricorda solo, sinteticamente, che la certificazione mira ad indi viduare che vi sia «coerenza formale» tra le clau sole contenute nel contratto da certificare e la volontà espressa dalle parti stipulanti e può esse re chiesta, oltre che in materia di qualificazione del contratto (ad esempio per certificare la ge nuinità di un contratto di lavoro a progetto, in ordine all’assenza di subordinazione), anche per dare presunzione di genuinità ad alcune clausole interne al contratto, senza che sia necessaria mente messa in discussione la natura del mede simo (basti pensare ad esempio alla congruità di un patto di non concorrenza), ovvero per attribu ire una sorta di formale «legalizzazione» ai con tratti di appalto (e subappalto) ed ai regolamenti interni delle cooperative. Il meccanismo con cui opera la certificazione è quello che in dottrina viene definito della «volon Il riferimento precipuo è alla conciliazione monocratica ex art. 11, Dlgs n. 124/2004, ma anche alla diffida accertativa di cui al successivo art. 12. Basti pensare alla possibilità di svolgere il ruolo di certificatore affidata ai Consigli provinciali dei consulenti del lavoro (art. 76, comma 1, lettera cter, Dlgs n. 276/2003, lettera aggiunta dall’art. 1, comma 256, lett. a), legge 23 dicembre 2005, n. 266). L. Nogler, La certificazione dei contratti di lavoro, Studi in onore di Giorgio Ghezzi, Padova: Cedam, 2005, pp. 12471300; Garofalo, Contratti di lavoro e certificazione, in AA.VV., Lavoro e diritti, a tre anni dalla legge n. 30/2003, a cura di Curzio, Cacucci, 2006; Tiraboschi, La cd. certificazione dei lavori atipici e la sua tenuta giudiziaria, in Lav. Dir., 2003, n. 1; Per una ricostruzione storica dell’evoluzione legislativa dell’istituto, v. L. De Angelis, La delega in materia di certificazione dei rapporti di lavoro, ne Il diritto del lavoro dal Libro Bianco al Disegno di legge delega 2002, Ipsoa 2002; A. Tursi, La certificazione dei contratti di lavoro, in M. Magnani, P.A. Varesi (a cura di), Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali. Commentario ai decreti legislativi n. 276/2003 e n. 251/2004, Giappichelli, Torino, 95. V. D’Oronzo, Certificazione, lavoro a progetto, lavoro accessorio, lavoro intermittente, in Gli speciali di Guida al Lavoro Riforma Biagi Il decreto correttivo, n. 37, XXVIII; V. Speziale, La certificazione dei contratti di lavoro, in P. Bellocchi, F. Lunardon, V. Speziale (a cura di), coordinato da F. Carinci, Commentario al Dlgs 10 settembre 2003, n. 276, IV, 156; A. Vallebona, G. Perone, La certificazione dei contratti di lavoro, Giappichelli, Torino. tà assistita»(4), atteso che il soggetto debole del rapporto (il lavoratore) può godere per l’appunto della tutela e dell’assistenza dei membri della commissione. Quattro i punti essenziali sulla certificazione Ma, come si è detto, concentrandoci sulle sole novità del Collegato lavoro, esse possono essere ricondotte ai seguenti quatto punti essenziali: 1) estensione dei poteri e delle potenzialità della certificazione; 2) estensione dei ruoli e compiti degli organismi di certificazione; 3) introduzione di alcuni vincoli all’attività di certificazione; 4) uniformità delle funzioni assegnate ai vari organi di certificazione. 1) Estensione dei poteri e delle potenzialità della certificazione In ordine alla tematica in oggetto si registra, ad avviso di chi scrive, la novità a più forte impatto giuridico ed anche mediatico, che ha già suscita to critiche da parte della dottrina più vicina al l’area sindacale(5). Le norme del Collegato lavoro interessate sono contenute nei commi 2 e 3 dell’art. 30. Nel primo caso (comma 2) si dispone testual mente che: «Nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successi ve modificazioni, salvo il caso di erronea qualifica zione del contratto, di vizi del consenso o di diffor mità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione». Interpretato dal punto di vista sia letterale che teleologico, in questa disposizione parrebbe evincersi che il Giudice sia vincolato a rispettare («non può discostarsi») la volontà espressa dalle parti in sede di certificazione, cioè quanto le medesime hanno dichiarato e fatto certificare, ad eccezione del caso di erronea qualificazione del contratto (cioè quando si può individuare una sostanziale responsabilità anche da parte del cer (4) (5) (6) (7) tificatore), ovvero per dissociazione tra il pro gramma negoziale certificato e la successiva at tuazione (in questo caso la responsabilità ricade precipuamente sulle parti), oltre che, natural mente, nei casi di vizi del consenso. Nessuna possibilità quindi sembra esservi per il Giudice per sovvertire clausole apposte al con tratto nelle quali non sia messa in discussione la qualificazione del contratto (autonomo/subordi nato), ovvero non vi siano vizi o accertate incoe renze tra il contratto certificato e quanto effetti vamente messo in pratica. Tale previsione, come si diceva, ha già suscitato alcune perplessità e critiche ad opera di una parte della dottrina, non escludendo la probabilità che vi possa essere una rimessione alla Corte Costitu zionale(6), sulla scorta di una tesi secondo cui «la certificazione è una qualificazione che non può esse re sottratta al controllo del giudice»(7). Tornando all’esempio fatto in precedenza, un caso tra questi potrebbe essere proprio la valutazione della congruità di una somma destinata a remu nerare un patto di non concorrenza. Ma gli esem pi potrebbero essere molteplici: conformità di un orario parttime per un contratto di apprendistato, (che sia cioè sufficiente a soddisfare i requisiti formativi), la ragionevolezza di una somma pattui ta a titolo di clausola di stabilità, ma anche l’impe gno delle parti ad aderire ad un giudizio arbitrale in luogo di quello giurisdizionale, fino ad arrivare alle (dirompenti) clausole introdotte dal successi vo comma 3 dell’art. 30, (v. infra). In realtà, a coloro che hanno espresso le loro perplessità sul piano della tenuta giuridica, si vuol far notare che già nel regime antecollegato la normativa non prevedeva un esplicito potere del giudice a sindacare sulle clausole endocon trattuali, atteso che l’art. 80 del Dlgs n. 276/ 2003, rubricato: «rimedi esperibili nei confronti della certificazione» disponeva infatti che «Nei confronti dell’atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l’atto stesso è destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso, presso l’autorità giudiziaria di cui all’articolo 413 c.p.c., per erronea qualificazione del contratto oppure dif formità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione», oltre ai casi di vizi del consenso impugnabili sempre presso la medesi V. Brino, La certificazione dei contratti di lavoro tra qualificazione del rapporto e volontà assistita, in Ld, n. 23, 383. P. Alleva: le riforme della giustizia del lavoro nel Ddl governativo n. 1167/2008 in discussione in Senato. Note critiche e proposte emendative, in www.cgil.it/giuridico_riforme_della _giustizia_del_l.htm. Cfr. R. Cosio in: Crisi del processo del lavoro: in Dir. e prat. lav. n. 6/2009 pp. 360362 che rimanda a sua volta a P. Alleva: op. ult. cit. Vallebona: I disegni di riforma del processo del lavoro, in Boll. Adapt ed. speciale del 14.3.2007, p. 3. ma autorità giudiziaria. Quindi già nel testo (che rimane immutato) dell’art. 80 (visto che questo fronte di modiche che si apprestano ad entrare in vigore è «esterno» al Dlgs n. 276/2003, rima nendo nel corpo del solo Collegato lavoro) non vi era espressamente menzionato il potere di sindacare nell’ambito di tali clausole, anche se però non era nemmeno espressamente vietato, come oggi invece traspare dalla novella legislati va in commento. Venendo invece al già richiamato comma 3 del l’art. 30 del Collegato lavoro, esso cerca di intro durre una previsione più tranchant, nel momento in cui da un lato tenta di risolvere per via legisla tiva l’annosa questione sulla «affidabilità» delle clausole contrattuali in materia di licenziamento (in particolare quello disciplinare), introducendo una limitazione di fatto al potere di derogabilità da parte del giudice (potere che fino ad oggi era invece riconosciuto pacificamente in giurispru denza)(8) e dall’altro amplia la gamma delle pre dette «clausole insindacabili», estendendola per l’appunto anche a quelle contenute nei contratti individuali, qualora certificati. Lo fa però, ad avviso di chi scrive, con una formulazione lette rale un po’ timida, nel senso che, come sostenuto in dottrina, «la norma non è certo sconvolgente (il giudice deve limitarsi a tenerne conto)»(9). Nello specifico, il testo del comma 3, 1° periodo, dispone per l’appunto che «Nel valutare le moti vazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto, oltre che delle fondamentali regole del vivere civile e dell’oggettivo interesse dell’organiz zazione, delle tipizzazioni di giusta causa e di giu stificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consu lenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni». Ora, al di là di altre espressioni poco felici e forse di contenuto metagiuridico (quali siano le «fonda mentali regole del vivere civile» non è dato sapersi), il fine che traspare dalla norma è quello di dare maggior certezza al datore di lavoro quando adot ta determinati provvedimenti espulsivi, anche in ragione delle rilevanti conseguenze economiche previste in caso di illegittimità del licenziamento (soprattutto se si rientra nel regime di tutela reale (8) (9) ex art. 18 St. lav.), nel senso di poter far pieno affidamento sulle clausole della contrattazione collettiva, ovvero anche su quelle contenute nelle pattuizioni individuali, se certificate. Peraltro, letteralmente, la norma novellata non comprende tra le clausole contrattuali di cui il Giudice deve «tenere conto» quelle in materia di sanzioni conservative, in ordine alle quali tutto sembra restare immutato. Quindi, in conclusione, il messaggio che si può trarre dall’impianto normativo del Collegato la voro in materia di poteri della certificazione è una sostanziale «elevazione» delle clausole del contratto individuale certificato, che si vanno ad equiparare sostanzialmente a quelle del contrat to collettivo, atteso che, in entrambi i casi, la volontà della parte debole del rapporto (il presta tore di lavoro) sarebbe assicurata da un soggetto garante della fede pubblica: da una parte le Oo.Ss. (nel caso della contrattazione collettiva) dall’altra l’organismo di certificazione (per i con tratti individuali). È però naturale prevedere che le clausole in ma teria di licenziamento che verranno apposte in sede di certificazione del contratto individuale sia no verosimilmente più «blande» (cioè più favore voli al datore di lavoro) rispetto a quelle del con tratto collettivo (altrimenti non vi sarebbe la ne cessità di inserirle nel contratto sottoposto a certi ficazione) e questa situazione potrebbe effettiva mente prestare il fianco ad abusi, anche in consi derazione del fatto che il potere contrattuale (quello che comunemente viene definito «il coltel lo dalla parte del manico») nella fase costitutiva del rapporto è certamente nelle mani del datore. In tale contesto starà alle Commissioni di certifi cazioni cercare di svolgere appieno la loro fun zione consulenziale nei confronti del lavoratore, informandolo degli effetti che potrebbero deri vare dalla clausola che va a sottoscrivere per accettazione, anche se non si può escludere che in un periodo di crisi come quello attuale, diven ta difficile pensare che non si accettino (senza che si possa invocare successivamente una coar tazione della volontà) clausole di questo tipo che, tra l’altro, al momento della stipulazione del con tratto sono di applicazione solo eventuale. Per completezza di esposizione si riporta anche la previsione del 2° periodo, laddove si stabilisce che «Nel definire le conseguenze da riconnettere al Cfr. tra tante: Cass. 18 gennaio 2007, n. 1095; Cass. 14 febbraio 2005, n. 2906; Cass. 4 marzo 2004, n. 4435; Cass. 22 settembre 1997, n. 9341; Cass. 3 luglio 1992, n. 8123, in Dir. prat. lav., 1992, 2614. In senso conforme R. Cosio. op. ult. cit. p. 361. licenziamento ai sensi dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, il giudice tiene egualmente conto di elementi e di parametri fissati dai predetti contratti e comunque considera le dimensioni e le condizioni dell’attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l’anzianità e le condizio ni del lavoratore, nonché il comportamento delle parti anche prima del licenziamento». Premesso che si verte in materia di licenziamenti rientranti nel regime di stabilità obbligatoria ex legge n. 604/1966, in detta ipotesi le clausole contrattuali (collettive o individuali, se certifica te) si affiancano a parametri di «default» che il Giudice è obbligato a tenere in considerazio ne(10), individuate in: dimensioni e condizioni dell’attività esercitata; situazione del mercato del lavoro locale; anzianità e condizioni del lavoratore e, aspetto da non sottovalutare, comportamento delle parti anche prima del licenziamento. 2) Estensione dei ruoli e compiti degli organismi di certificazione Il Collegato estende agli organismi di certifica zione (tutti, nessuno escluso)(11) due funzioni ad alto contenuto deflattivo sul contenzioso in ma teria di rapporti di lavoro e cioè: la conciliazione di rinunce e transazioni ex art. .410 c.p.c.; l’arbitrato mediante la costituzione di apposite commissioni. In ordine alla prima fattispecie va ricordato che questa attribuzione, già prevista nel regime pre vigente, per i contratti certificati, si amplia, ag giungendovi la nuova possibilità di conciliare ri nunce e transazione riferite ad ogni tipo di con tratto (quindi anche quelli non certificati)(12). Atteso il rinvio che l’art. 31, comma 11, del Collegato lavoro opera alla modalità conciliativa di cui all’art. 410 c.p.c., quando si riferisce al tentativo di conciliazione esperito presso le sedi di certificazione, se ne deduce che l’accordo rag giunto in tale ultima sede si dovrebbe porre al di fuori delle regole del comma 2 dell’art. 2113 c.c., nel senso che non sarebbe invocabile il principio (10) (11) (12) del «ravvedimento» nel limite semestrale (previ sto quando si verte in materia di norme indero gabili di legge o di contratto collettivo), applican dosi invece il disposto del comma 4 del medesi mo articolo. In materia di arbitrato (art. 31, comma 10) si dispone invece che gli organi di certificazione possono istituire camere arbitrali per la definizio ne, ex art. 808ter c.p.c., delle controversie nelle materie di cui all’art. 409 c.p.c. (cioè in tema di lavoro subordinato e parasubordinato) e all’arti colo 63, comma 1, del Dlgs 30 marzo 2001, n. 165 (rapporti di pubblico impiego). Le stesse commissioni possono concludere con venzioni con le quali si preveda la costituzione di camere arbitrali unitarie e questo potrebbe esse re un vantaggio sia sotto il profilo dei costi di gestione che verso un maggior snellimento delle procedure, soprattutto nei piccoli capoluoghi di provincia. In materia di arbitrato gestito dalle commissio ni di certificazione si applica, in quanto compa tibile, l’articolo 412, commi 3 e 4, c.p.c., il quale, anch’esso novellato dal Collegato preve de, rispettivamente che «Il lodo emanato a con clusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all’articolo 1372 e all’articolo 2113, comma 4, c.c. e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell’articolo 474 del presente codice a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata ai sensi dell’articolo 825». (comma 3) e che «Il lodo è impugnabile ai sensi dell’arti colo 808ter, anche in deroga all’articolo 829, commi 4 e 5, se ciò è stato previsto nel mandato per la risoluzione arbitrale della controversia». (comma 4). Ovviamente, ben vengano anche le novità in materia di arbitrato, se queste allargheranno le possibilità di riduzione del contenzioso giudizia rio, ormai divenuto insostenibile presso gran par te delle Cancellerie dei Tribunali. Le perplessità però sussistono rispetto allo scarso utilizzo che fino ad oggi si è fatto di tale strumento (perlome no in materia di lavoro), forse causato anche da una certa diffidenza (in genere da parte dei lavo ratori e del mondo sindacale) verso questo tipo In tal caso non si comprende se la presenza di clausole contrattuali sostituisce quelle previste dalla legge o se le prime si aggiungono alle seconde. Nel testo precedente trasmesso alla Camera erano state escluse le commissioni di certificazione presso i consigli provinciali dei consulenti del lavoro e presso il Ministero del lavoro, poi incluse nel testo emendato dal predetto ramo del Parlamento. Val la pena ricordare che il tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c. torna ad essere facoltativo, mentre resta obbligatorio (prima di intraprendere l’azione giudiziaria) il tentativo conciliativo per i contratti certificati. di giudicato(13), oltre che per un problema di maggiori costi normalmente collegati alla proce dura arbitrale. Infine, sulla scorta di quanto già sancito dal Mini stero del lavoro, con risposta ad interpello 22 dicembre 2009, n. 81 (in Guida al Lavoro n. 2/2010, pag. 8), si conferma per via legislativa che la certificazione dei contratti può essere ri chiesta in tutti quei casi «in cui sia dedotta, diret tamente o indirettamente, una prestazione di lavo ro», per cui, come già si sosteneva nel citato interpello anche se si tratta ad esempio del con tratto commerciale di somministrazione conclu so tra l’agenzia di somministrazione e l’impresa utilizzatrice. 3) Introduzione di alcuni vincoli all’attività di certificazione L’unica disposizione del Collegato lavoro che sembra, perlomeno prima facie, comprimere in parte il potere di uno dei soggetti certificatori è quella riguardante i consigli provinciali dei con sulenti del lavoro, organismi che, per effetto del l’art. 1, comma 256, lett. a), legge 23 dicembre 2005, n. 266 erano stati aggiunti all’elenco de gli abilitati alla certificazione, attraverso l’intro duzione della lettera cter all’art. 76 del Dlgs n. 276/2003. La modifica, in senso restrittivo, stabilisce che l’attività svolta dagli stessi, fino ad oggi sostan zialmente libera (pur se già armonizzata con le lineeguida licenziate dal Consiglio Nazionale), dovrà essere svolta «unicamente nell’ambito di intese definite tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Consiglio nazionale dei consu lenti del lavoro, con l’attribuzione a quest’ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli (13) Cfr. P. Alleva: op ult. cit. p. 5. aspetti organizzativi». Come si diceva, se questa novella può essere interpretata da taluni come una penalizzazione (un passo indietro) per la categoria dei consulen ti del lavoro, a parere di chi scrive, può apportare vantaggi in termini di trasparenza nell’operato dei consigli provinciali, i quali, di fronte a qual che larvato sospetto, sollevato da taluni, di essere più «filoaziendali», potranno eccepire di operare in conformità a protocolli di intesa tra il Ministe ro del lavoro ed il Consiglio nazionale, sotto il coordinamento e la sorveglianza di quest’ultimo. 4) Uniformità delle funzioni assegnate ai vari organi di certificazione In conclusione si segnala un’altra piccola novità in materia di competenze certificatorie, tesa a rimuovere un’anomalia contenuta nella norma del 2003, nel senso che d’ora in poi (rectius: dall’entrata in vigore del Collegato) «tutti posso no fare tutto», nel senso che anche i Regolamenti interni delle cooperative, la cui certificabilità era prerogativa delle sole Commissioni presiedute da un presidente indicato dalla Provincia e costi tuite, in maniera paritetica, dalle parti sociali (Oo.Ss. e associazioni di rappresentanza del mo vimento cooperativo), potranno essere certificati da tutti gli organi all’uopo previsti dall’art. 76 del Dlgs n. 276/2003.