Novelle di San Bernardino da Siena

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Novelle di San Bernardino da Siena
Novelle
di
San Bernardino da Siena
Protettore della città di Carpi
Ricorrenza annuale 20 maggio, giorno di sagra.
Ricerca a cura di Luciana Nora
Le novelle a sfondo filosofico/morale qui riportate nella forma
originale, attribuibili a San Bernardino da Siena, i contenuti delle
quali, validi per bambini e adulti, rimangono quanto mai attuali,
sono state tratte da Novelle Italiane dal secolo XIII al XX – Scelte e
commentate da Furio Possenti, Firenze 1934.
SAN BERNARDINO DA SIENA *
Bernardino degli Albizzeschi, francescano, nato a Massa Marittima
nel 1380 e morto nel 1444, [protettore della città di Carpi] fu uno
dei predicatori più popolari del Quattrocento. Le sue prediche, in cui
sono inserite delle graziose novellette morali, furono raccolte da un
cimatore di panni senese, nella fresca e vivace parlata della sua
città.
Lo Spaventapasseri.
“ Avete mai veduto quando si seminano e’ poponi; meglio quando si
semina il grano: o ora al tempo de’ fichi, che vi si pongono gli
sparavicchi? (1) Sai, colà in sul campo del grano elli pigliano un
sacco e lo empiono di paglia, perché non vi vadano le cornacchie. E
su questo sacco si pone una zucca, che paia la testa d’uno uomo, e
fasseli (2) le braccia, e pongonli uno balestro (3) in mano, teso che
par che voglia balestrare (4) a le cornacchie. E le cornacchie son
maliziose, e vanno volando in qua e in là; e vedendo questo uomo,
temono di esser morte, (5) e così stanno tutto il dì senza pizzicare.
(6) Tornanvi poi l’altro dì, (7) e veggonlo a quello medesimo modo
che gli altri dì; anco stanno così insino a la sera, senza arrischiarsi a
pizzicare nel seminato; e anco pur volendo pizzicare, vi tornano
l’altra mattina e trovanlo a quel medesimo modo; e vedendo che
elli non si muove punto, cominciano a volare in terra pur di longa,
(8) e a poco a poco si cominciano approssimare a questa zucca, e
talvolta gli vanno appresso appresso, pur con paura però. Talvolta,
quando sono così appresso, elli trarrà (9) un poco di vento che lo
farà rimovere; come il veggono così muovere, tutte fuggono via per
paura. Poi vedendo che egli non fa altro atto, pur ritornano a
mangiare, e vannogli poi anco più presso che avevano fatto prima.
Avviene talvolta, come son una più ardita che un’altra, che gli
vanno insino appresso appresso, e una vedendo che non si muove
lui e non scrocca (10) il balestro, non ha paura di nulla; e così
assicurata gli va in sul capo… Sai che vo’ dire? Io vo’ dire che
talvolta fa così uno rettore, il quale va a fare l’uffizio nel quale elli è
eletto, e non è atto, che è uno zero. (11)”
(1) Spaventapasseri.
(2) Gli si fanno
(3) Un arco
(4) Scagliare frecce
(5) Uccise
(6) Beccuzzare in fretta il seminato.
(7) Il giorno dopo.
(8) Da lontano (lat. Longe).
(9) Si leverà.
(10) Scocca, fa scattare.
(11) Un governatore (rettore), che non val nulla ne minaccia i colpevoli senza
mai punirli, finisce, come lo spaventapasseri, col farsi mettere i piedi sul capo.
La conclusione è un po’ stiracchiata, ma la vivace scenetta delle cornacchie,
che danno l’assalto al seminato, è colta dal vero.
II
L’asino delle tre ville.
“ Udiste voi mai la storia dell’asino de le tre ville? Elli fu (1) in
Lombardia. Elli è una via con una capannuccia, la quale è di longa a
uno molino forse un miglio. Accordandosi queste tre ville (2) a
tenere un asino a questa capanna, il quale facesse servizio di
portare il grano al mulino di queste tre ville. Avvenne che uno di
queste tre ville andò per questo asino e menasene l’asino alla villa e
pongli una buona soma di grano e menalo al mulino; e mentre che
si macinava il grano, egli sciolse l’asino e lassalo pasciere; e voi
sapete che a la pastura dei mulini poco vi cresce l’erba, sì spesso è
visitato. (3) Macinato il grano, egli piglia la farina e carica l’asino e
menalo a casa colla soma: e scaricatola, riconduce l’asino al suo
luogo de la capanna, senza darli niuna cosa, dicendo da sé
medesimo: - Colui che l’adoperò ieri gli dovè dare ben da mangiare,
si chè non dè aver troppo bisogno.- ; e così il lassò. Avviene che
l’altra mattina seguente, un altro dell’altra villa venne per questo
asino, pure per caricarlo di grano. E menatoselo a casa pongli
un’altra soma di grano maggiore che quella di prima; e senza dargli
nulla da mangiare, il menò al mulino; e macinato il grano e
condotta la farina a casa sua, rimenò l’asino alla capanna, senza
darli nulla, pensando che colui che l’aveva adoperato l’altro dì
innanzi, el dovè bene governare… El terzo dì viene un altro per
l’asino a la capanna e menalo seco, e caricollo meglio che carica
che egli avesse mai, (4) pensando: - Oh, questo è asino del
Comune egli debba essere (5) gagliardo -; e così mena l’asino al
mulino con la soma sua. Avvien che anco (6) non gli è dato nulla né
ine, né altrui. (7) Infine macinato il grano, ricarica la soma all’asino
e metteselo innanzi. L’asino era pure indebolitoe non andava molto
ratto. Mieffè, (8) costui comincia ad adoperare il bastone e,
dànnegli (9) e caricalo di molte bastonate, e l’asino infine condusse
questa soma con grande fatiga a casa di costui. Costui poi
rimenando l’asino a la capanna, appena si poteva mutare, (10) e
costui il bastonava spesso, dicendo : - Ecco l’asino che il Comune
tiene per servire a tre ville! Egli non è buono a nulla - . Egli il
bastonò tanto, che a pena il condusse a la capanna; né ancogli diè
nulla. Volete voi altro? Che, in conclusione, il quarto dì l’asino era
scorticato. (11)
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
(7)
(8)
(9)
(10)
(11)
Avvenne.
Villaggi, casolari.
Troppa gente calpesta i prati intorno ai mulini e troppe bestie.
E lo caricò della soma più pesante fra quante ne avesse mai portate.
Dovrebbe essere.
Anche questa volta.
Ne qui (ine) né altrove.
Esclamazione dialettale come doh e simili.
Gliene dà.
Muovere.
Povero asino vittima dell’insensato egoismo umano.
La padelletta dell’eremita
“ Elli fu (1) uno santo padre il quale, abitando così in una celletta
poveretta in una selva, aveva con sé un suo romitello, il quale non
teneva in mente nulla che egli udisse a suo ammaestramento; e per
quello non andava a udire né predica né nulla. E dicendo costui a
questo santo padre la cagione perché non andava alla predica, elli
disse: - Io non tengo a mente nulla - . (2) Allora questo santo
padre disse: - Piglia cotesta padella - . Aveva costì una padelletta
per cuocere il pesce; e disse: - Fa bollire quest’acqua e quando
l’acqua bolle, - dice – mettine uno bicchiere in questa padelletta
che è tutta unta - . Colui così fece. – Và, versala fuore senza
strofinare nulla - . E così fece, e disse: - Or mira ora, se ella è così
unta come era in prima? - . Disse che era meno unta. Elli disse: Mettivene anco un’altra volta e versala fuore -. Elli il fece. Anco era
più netta. E così il fece fare parecchie volte: ogni volta era più
netta. E poi li disse: - Tu dici che non tieni a mente nulla! Sai
perché? Perché tu hai la tua mente unta come aveva la padella - .
Và e mettivi dell’acqua e subito vedrai se la mente si purificherà.
Mettivene anco più, anco sarà più netta; e quante più volte udirai la
parola di Dio, più si netterà la mente tua, e tanto potrai udire la
parola di Dio, che la mente tua sarà tutta netta e purificata senza
nulla bruttura -.”
1) Ci fu, c’era una volta.
2) E’ anche oggi la scusa degli scolari negligenti: inutile che studi, tanto non
riesco a tenere a mente quello che ho studiato!
Madonna Saragia
“ Doh! Io ti voglio dire quello ch’intervenne una volta a Siena. Egli
fu in Siena una madonna Saragia, la quale era ghiotta delle saragie
marchiane; (1) la quale aveva una vigna, costì fuore, sai? Verso
Munistero. (2) E venendo colà di maggio il mezzaiuolo (3) a Siena,
disse madonna Saragia a costui: “oh, non è anco delle sarage alla
villa?” Dice il mezzaiuolo: “Oh, io aspettavo che elleno fossero un
poco più mature”. Ella disse: “Fa che sabato me n’arrechi:
altrimenti non ci arrivare”. (4) Egli ne le promise. Il sabato egli ne
tolse un panierotto e empièllo (5) di ciliegie, e viensene a Siena, e
portalo a madonna Saragia. Come ella il vide, ella gli fece una festa
e piglia questo paniere. “Tu sia il molto ben venuto! Oh, quanto ben
facesti”! E vassene in camera con questo paniere, e comincia a
mangiare di queste saragie a manciate. Elleno erano belle e grosse:
erano saragie marchiane. Infine ella ne fece una scorpacciata.
Tornando il marito a desinare, la donna recò a tavola una
canestrella (6) di queste saragie; e dicegli: “Egli ci è venuto il
mezzaiuolo e hacci recato parecchie saragie”. E come ebbono
desinato, ella recò queste saragie, e cominciarono a mangiarle,
presente il mezzaiuolo. Ella mangiando di queste saragie, pigliava
la saragia e davavi sette morsi per una; (7) e mangiandole costei
disse al mezzaiuolo: “Come si mangiano le saragie in contado”? (8)
Il mezzaiuolo disse: “Madonna, elle si mangiano come voi le
mangiavate dianzi in camera, a manciate”. Ella disse: “Uh trista!
(9) Che dici tu? Che tu sia tristo”! “Madonna, così si mangiano
com’io vi dico”.”
(1) Sorta di ciliegie grosse e sode.
(2) Fuori delle mura di Siena.
(3) Il contadino, che divide a mezzo col padrone i frutti del podere
(mezzadro).
(4) Non venire nemmeno.
(5) Lo empì.
(6) Madonna saragia non vuole svelare la sua ghiottoneria, portando in
tavola il “panierotto” semivuoto; preferisce cambiare il recipiente.
(7) Vedi com’è diventata schizzinosa.
(8) Evidentemente non credeva di essere stata scorta dal villano, mentre
faceva la “scorpacciata”: il diavolo le insegna a fare ma…
(9) Poveretta me!
(Riduzione della novella per bambini a cura di Luciana Nora)
Lo Spaventapasseri.
Passando per la campagna vi è mai capitato di osservare stormi di
uccelli intenti a beccare tra le zolle di terra? E vi è mai capitato di
vedere uno spaventapasseri piantato in mezzo al campo o tra le
fronde di un albero di ciliegie o di fichi? Lo spaventapasseri è un
fantoccio dalle fattezze umane che, preparato dai contadini,
dovrebbe servire a spaventare gli uccelli e tenerli lontano dal
seminato e dai frutti di cui naturalmente si cibano. Per fare uno
spaventapasseri normalmente si prende un sacco e lo si riempie di
paglia, gli si può mettere come testa una zucca svuotata e seccata
alla quale si cerca di dare fattezze umane, lo si veste, gli si può far
imbracciare una scopa o un falso fucile e, infilato su un bastone, lo
si pianta in mezzo al campo o lo si sistema tra le fronde dell’albero
da frutto. All’inizio gli uccelli, che per esperienza stanno alle dovute
distanze dagli uomini perché ne hanno paura, non si avvicinano.
Svolazzano intorno tenendosi lontano, si appollaiano sui fili della
luce, su qualche siepe intorno ma, intimoriti non hanno il coraggio
di scendere per beccare sementi o frutta. Può essere così per un
giorno intero e anche per il giorno dopo. Anche gli uccelli però sono
degli osservatori, anzi hanno una vista molto acuta e si accorgono
che questo uomo ha qualcosa di strano: non si muove e, a
differenza degli uomini veri, non cammina e sta sempre fermo lì,
dove è stato piantato. Gli uccelli sono anche curiosi e allora, ancora
sospettosi, si avvicinano. Può capitare che mentre gli svolazzano
intorno si agiti un po’ di vento che faccia muovere le vesti dello
spaventapasseri e allora gli uccelli fuggono. Ritornano poi perché
nulla è successo e, di giorno in giorno, prendono coraggio fino ad
avere confidenza e, addirittura, arrivano ad appoggiarsi sul capo
dell’innocuo spaventapasseri. A quel punto per le sementi o i frutti
non c’è più scampo e gli uccelli se la spassano.
Sai cosa si vuol dire questo racconto? Vuol dire che lo
spaventapasseri è un po’ come quei genitori o quei maestri che non
puniscono mai le malefatte dei bambini, cosicché i bambini si
sentono liberi di combinarne ancora e sicuramente questo non è
bene.
L’asino delle tre ville.
Avete mai sentito la storia delle tre ville o frazioni? È successa in
Lombardia ma poteva succedere anche qui da noi nel carpigiano.
Immaginate la frazione di Budrione, quella di Migliarina e l’altra di
Fossoli quando non c’erano ancora le automobili e le persone
usavano cavalli e asini per muoversi e trasportare le cose, tra le
quali particolarmente il grano da portare al mulino per essere
macinato. Non tutti però avevano la possibilità di avere uno di
questi due animali e allora si è pensato bene di prendere un asino
in comune e di tenerlo in uno stallino che fosse più o meno ad
uguale distanza da ognuna delle tre frazioni. Quando qualche
contadino ne avesse avuto bisogno, arrivava al capanno, prendeva
l’asino e lo usava. Avvenne, come stabilito, che un contadino andò
allo stallino, prese l’asino, se lo portò a casa, lo caricò di frumento e
si recò quindi al mulino per farlo macinare. Mentre attendeva che il
grano fosse macinato lasciò l’asino a pascolare davanti al mulino,
dove però c’era poca erba perché a forza di calpestarlo il terreno
era secco e anche perché altri asini vi avevano pascolato. Macinato
il grano, il contadino piglia i sacchi di farina, li carica sull’asino,
ritorna a casa, scarica il macinato e riporta l’asino al suo stallino; gli
dovrebbe dare da mangiare ma non lo fa perché pensa:- L’asino
qualcosa l’ha mangiato nei pressi del mulino e poi, senz’altro, colui
che l’ha usato ieri lo avrà nutrito e quindi non avrà una gran fame.Il giorno dopo un contadino di un’altra fraziona, anche lui ha
bisogno di recarsi al mulino per far farina, va a prendere l’asino e lo
carica di un sacco di grano più pesante di quello del contadino del
giorno prima e, senza preoccuparsi di dargli da mangiare, lo mena
al mulino. Finito di servirsene, riporta l’asino alla capanna e,
facendo la stessa pensata del contadino che lo aveva usato prima di
lui, non lo nutre, confidando che il giorno prima l’asino abbia
mangiato e quindi può sopportare un po’ di fame. Il terzo giorno
arriva un altro contadino e anche lui deve andare al mulino e carica
il povero asino ancora di più degli altri. Il povero asino stanco ed
affamato procede lentamente e per farlo andare più veloce il
contadino inizia a prenderlo a bastonate e siccome l’asino sfinito
non risponde, continua a bastonarlo forte. Con tantissima fatica e
sofferenza, dopo essere stato al mulino, l’asino porta il carico di
farina a casa del contadino il quale, dopo averlo scaricato,
riconduce allo stallino il povero asino che appena riusciva a
muoversi. Lungo la strada il contadino continuava a bastonarlo e
imprecava:- Ecco l’asino che in comune hanno le tre frazioni! È un
asino buono a nulla!!- E anche lui, continuando a bastonarlo, lo
lascia allo stallino senza preoccuparsi di nutrirlo.
Bisogna dirvi cosa successe il quarto giorno? Il quarto giorno l’asino
era schiantato. Questo è successo perché ognuno dei tre contadini
non si è mostrato responsabile e, avendo un animale in comune,
ognuno ha pensato bene di scaricare sull’altro il proprio dovere. A
rimetterci per primo è stato il povero asino ma anche quei contadini
irresponsabili che, non avendo rispettato la proprietà comune, non
potevano più servirsene.
La padelletta dell’eremita
“Dovete sapere che tanto tempo indietro c’erano alcuni uomini che
si ritiravano in luoghi isolati, lontano dagli altri uomini e dalle cose
del mondo. Vivevano in povertà e impegnavano il loro tempo a
contemplare e studiare la natura, a riflettere, a leggere, a scrivere
e a pregare. Questi uomini erano chiamati eremiti ed erano
considerati saggi, tant’è che potevano avere qualche giovane
discepolo al quale era dato l’appellativo di romitello.
Uno di questi eremiti aveva con sé un romitello che diceva di non
riuscire a tenere a mente nulla e per questo credeva fosse inutile
ascoltare gli insegnamenti. Allora il padre eremita gli disse:- prendi
questa padelletta con la quale friggiamo il pesce. Vedi com’è unta?
Adesso in un pentolino fai bollire un bicchiere d’acqua e, quando
l’acqua sarà bollente, esci e mettila nella padelletta, quindi vuota la
padelletta senza strofinarla. – Il Romitello ubbidì all’eremita che gli
disse ancora: - Osserva ora la padelletta e dimmi se è unta come
prima. – Il romitello si accorse che la padella era meno unta.
L’eremita gli fece ripetere l’azione e gli chiese di osservare se era
cambiato qualcosa; il romitello dovette accorgersi che la padella
aveva perso ancora un poco del suo unto. L’eremita gli fece fare
questa cosa tante volte e il romitello dovette accorgersi che la
padelletta era sempre più pulita. A quel punto il saggio eremita gli
disse: - Tu dici che non riesci a tenere a mente nulla! Sai perché?,
Perché la tua mente è unta come era unta la padella. Gli
insegnamenti sono come l’acqua, continua a metterli nella tua
mente e vedrai che a poco a poco la tua mente sarà pulita pronta a
ricevere ed elaborare buoni pensieri.”
Madonna Saragia
“È questa che vi racconto una storia molto antica, quando i
contadini in campagna dipendevano in tutto dal proprietario della
terra e avevano un contratto di lavoro che era detto a mezzadria,
per il quale erano tenuti a condividere a metà tutto quello che
riguardava spese e guadagni derivanti dalla coltivazione del
terreno. Il mezzadro doveva sempre tenere informato il proprietario
del fondo sul come andavano le cose e per farlo si recava a casa
sua dove, quanto gli veniva chiesto, portava uova, pollame, verdure
e frutta. Un tempo, le donne erano chiamate anche madonne che
voleva dire mia signora. Dovete sapere che madonna Saragia
possedeva un terreno coltivato da un mezzadro che regolarmente si
recava presso di lei per informarla. Nel mese di maggio, in
occasione di una sua visita, madonna Saragia, che era molto
ghiotta di ciliegie, quelle belle grosse e sode di quella zona,
chiedeva al suo mezzadro:- Non sono ancora mature le ciliegie in
campagna? – al ché il contadino rispondeva: - Aspettavo a
portargliele che fossero un poco più mature.- Madonna Saragia
allora gli diceva:- Fai in modo di portarmele sabato, altrimenti non
venire.- Il contadino gli promise che l’avrebbe accontentata. Il
sabato, prima di recarsi a casa di Madonna Saragia, il contadino
raccolse un bel paniere di ciliegie e gliele portò. Come ella lo vide
gli fece festa: - Tu sia molto benvenuto! Oh come hai fatto bene! e prese il paniere di ciliegie che erano belle grosse e cominciò a
mangiarle a manciate e ne fece una scorpacciata. All’ora di pranzo,
a tavola con il marito che era ritornato, madonna Saragia togliendo
le ciliegie che erano rimaste nel paniere, le portò in tavola in un
piccolo canestro, dicendo: - È venuto il mezzadro e ci ha portato
parecchie ciliegie. – E, a fine pranzo, alla presenza del mezzadro,
cominciarono a mangiarle. Madonna Saragia, di fronte al marito,
faceva la preziosetta: prendeva una ciliegia e la consumava adagio,
con sette piccoli morsetti e non perse l’occasione per mortificare il
mezzadro cercando di mostrare la pretesa differenza tra i modi
della sua classe sociale e quella dei cosiddetti villani e
maliziosamente gli chiese: - Come si mangiano le ciliegie in
contado?- Al ché il mezzadro che, quando non c’era il marito,
l’aveva vista mangiare ingordamente rispose: - Madonna, in
contado le ciliegie si mangiano allo stesso modo in cui voi le avete
mangiate appena le ho portate: a manciate.- Madonna Saragia,
sentitasi scoperta, rispose:- Ma cosa dici tu? Che tu sia sventurato!Al ché il mezzadro replicava: - Madonna, le ciliegie in campagna si
mangiano come vi ho già detto.Questa storia significa che le differenze di comportamento, quando
ci sono, spesso stanno solo nella forma e non nella sostanza, che le
bugie hanno le gambe corte e il diavolo insegna a fare le pentole e
non i coperchi.”