Nitti e l`Antico Gli archeologi, si sa, sono fissati con le anticaglie, e

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Nitti e l`Antico Gli archeologi, si sa, sono fissati con le anticaglie, e
VILLA NITTI A MARATEA: IL LUOGO DEL PENSIERO
Nitti e l’Antico
Gli archeologi, si sa, sono fissati con le anticaglie, e non appena fiutano
qualcosa a cui possa vagamente applicarsi una datazione “a.C.” o “d.C.” ci
mettono subito lo zampino… per arrivare quanto meno a scoprire che persino l’austero Nitti, tutto famiglia e politica, coltivava un piccolo penchant per
l’archeologia.
In verità, qualche indizio si potrebbe cogliere, se ripensiamo alle sue frequentazioni napoletane: del gruppo di uomini di cultura soprannominati ”I
Nove Musi“ (che annoverava, oltre a quello dello statista lucano, nomi del
calibro di Benedetto Croce) faceva infatti parte Vittorio Spinazzola (di origine abruzzese, ma nato a Matera), che – pur se meglio conosciuto per il suo
lavoro di archeologo – fu autore di numerose opere letterarie e storiche. Il
suo nome è indissolubilmente legato a quello di Pompei, dove - sulle orme
di Giuseppe Fiorelli – si dedicò alla scoperta del sito tramite scavi sistematici, in luogo delle “cacce al tesoro” di epoca borbonica1. E’ quindi scontato
che, quando Nitti si reca sul sito, in occasione delle visite di personaggi illustri, stranieri e non (puntualmente immortalati dall’obiettivo del fotografo),
Spinazzola sostenga con convinzione e stile il suo ruolo di anfitrione2.
Ed è del tutto normale che l’archeologo abbia consigliato l’amico
“Ciccio” sui pezzi da collocare nella biblioteca di Acquafredda: potremmo,
perciò, supporre che non sia un fatto casuale se entrambi i pezzi prescelti
rappresentano Hermes, messaggero degli dei e dio a sua volta, ritratto
secondo due differenti iconografie e in due diversi materiali.
La statua in bronzo, a figura intera, è purtroppo stata trafugata negli
anni Ottanta, ma siamo comunque in grado di stabilirne l’esatto aspetto,
grazie ad una fotografia scattata dopo l’acquisto di Villa Nitti da parte della
Regione Basilicata: in essa l’allora presidente della Giunta Regionale,
Vincenzo Verrastro, è ritratto mentre fa il suo ingresso nel locale già adibito
a biblioteca, al centro della quale troneggia il grande Hermes bronzeo seduto su una roccia3.
Quanto si può vedere nell’eccezionale documento, combinato con le
tracce di appoggio che si osservano sul basamento (trascurato dai ladri,
dato l’enorme peso) consentono di affermare con certezza che si trattava
dell’identico tipo statuario noto attraverso un esemplare – per l’appunto in
bronzo – proveniente dalla villa dei Papiri, ad Ercolano4. Il dio è raffigurato
nudo, con le ali fissate ai piedi da lacci, in posizione di riposo, ma pur sempre pronto a levarsi in volo per eseguire il suo incarico di messaggero di
Zeus.
Il pezzo ercolanese viene classificato come copia romana derivata da un
originale di scuola lisippea5; e, come molti altri capolavori del Museo
Archeologico Nazionale di Napoli, entrò nella vasta produzione (ottenuta
da calchi fatti direttamente sulle opere) della storica Fonderia Chiurazzi. In
effetti, sul basamento superstite compare questa ben nota firma, mentre
sappiamo, dal carteggio De Lorenzo-Nitti, che la ditta aveva altresì l’incarico di eseguire una serie di “lapidette” da collocare nella biblioteca6.
Se poi torniamo ad osservare con attenzione l’unica immagine esistente
della statua trafugata, possiamo intuire – più che vedere – la presenza di
una seconda opera, collocata nello spazio tra le due porte sul lato nord della
biblioteca: si tratta proprio del secondo Hermes, questa volta in marmo e
limitato al solo busto. Lo possiamo ammirare in tutta la sua bellezza, ancora nella collocazione datagli dallo statista lucano, in una rara immagine
d’archivio della Soprintendenza per i Beni Architettonici; e, se è scampato
alla sorte del suo compagno di bronzo, è solo grazie al custode della villa7.
In realtà, il pezzo sembra appartenesse in origine ad una statua di
dimensioni maggiori del vero, con evidenti tracce del riadattamento a
busto nelle molte parti non rifinite; e la colonna in giallo antico, su cui
poggia la moderna base modanata, reca ugualmente tracce di restauro.
Nessun dubbio che nella scultura si debba riconoscere un tipo – Hermes
con Dioniso bambino – che è noto per essere uno dei pochi originali greci
giunti sino a noi; fu, tra l’altro, rinvenuto nel tempio di Hera ad Olimpia,
ovvero proprio nel luogo in cui lo vide Pausania8, che lo definisce opera di
Prassitele. Sull’attribuzione del gruppo, però, non vi è – né mai vi è stato –
accordo tra gli studiosi, che si dividono tra coloro che ne sostengono la
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paternità prassitelica, quelli che ritengono sia opera di un omonimo di II
secolo del più celebre scultore del IV, ed ancora chi pensa si tratti di una sia
pur splendida copia9.
L’ombra del dubbio aleggia anche sul busto di Villa Nitti: la qualità di
esecuzione che si percepisce anche a prima vista dobbiamo ascriverla ad un
copista di epoca romana, o alla maestria di cui la premiata ditta Chiurazzi
ha dato ampia prova nel riprodurre una vasta gamma di opere antiche?
L’indagine è in corso….
In ogni caso, il pezzo rivela anche nei dettagli una fedeltà praticamente
assoluta all’esemplare custodito nel Museo di Olimpia: dai tratti del viso
alla capigliatura, dal levigato splendore del torso alla piccola mano del dio
bambino, posata sulla spalla del messaggero altrettanto divino.
E, anche se si dovesse infine (invero, a malincuore…) ammettere che è
la copia di una copia, il gusto per il bello di Francesco Saverio Nitti non ne
sarebbe minimamente scalfito.
Il gruppo dei “Nove Musi” a Napoli nel 1895. Nel tondo, Vittorio Spinazzola.
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Nitti in visita agli scavi di Pompei nel 1918.
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In alto: l’Hermes bronzeo di Villa Nitti ripreso
durante la visita del presidente Verrastro (1974).
A lato: L’Hermes bronzeo di Ercolano (Napoli,
Museo Nazionale).
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Basamento per l’Hermes bronzeo di Villa Nitti
eseguito dalla ditta Chiurazzi di Napoli.
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L’Hermes marmoreo nella sua collocazione originale a Villa
Nitti.
Veduta laterale e frontale del busto marmoreo di Hermes.
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Particolari dell’Hermes con Dioniso di Olimpia.
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Particolari del volto e dell’acconciatura dell’Hermes di Villa Nitti.
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Note
1) La figura di Vittorio Spinazzola è ormai entrata nella storia dell’archeologia italiana, e
del Mezzogiorno in particolare, essendo indissolubilmente legata alla scoperta di
Pompei. Oltre alla sua attività di archeologo, bisogna però ricordare anche il suo contributo alla vita intellettuale di Napoli, tra la fine dell’Ottocento e il primo
Novecento, dato che è in questo contesto che nasce il gruppo di studiosi denominato
“I nove musi”. Alcuni cenni sui rapporti tra Spinazzola e Nitti si trovano in F. BARBAGALLO, F. S. Nitti, cit., pp. 44, 87. Sull’attività del gruppo l’autore (p. 575) rinvia
a F. NICOLINI, Benedetto Croce, Torino 1962, p. 137.
2) La visita a Pompei con il sottosegretario americano al Tesoro, Oscar Crosby, ebbe
luogo il 18 marzo 1918, come si apprende dalle annotazioni nell’agenda nittiana per il
periodo che va dal 17 al 25 marzo; in tale occasione, Spinazzola offerse agli illustri
ospiti una colazione nella “Casa dei Vettii”: F. BARBAGALLO, F. S. Nitti, cit., p. 262
e p. 614. Dalla stessa opera sono tratte le due immagini qui riprodotte.
3) Nel ricordare la figura di Vincenzo Verrastro, scomparso nel 2004, che fu importantissima anche per la ricerca archeologica in Basilicata, ringrazio di cuore la figlia Valeria,
che ha messo a disposizione l’immagine.
4) Dalla villa, scoperta nel 1750, i Borboni fecero asportare un gran numero di opere
scultoree, in bronzo e in marmo, per collocarle nel Museo annesso alla Reggia di
Portici. La villa, la cui costruzione risale al I secolo a.C., per le sue dimensioni e per la
ricchezza delle opere sia artistiche che letterarie che accoglieva (tra cui, appunto, i
papiri da cui ha preso nome) viene identificata con quella di Calpurnio Pisone, suocero di Giulio Cesare, o di suo figlio, o ancora con quella di Appio Claudio Pulcro: T.
ROCCO, Villa dei Papiri, in Storie da un’eruzione. Pompei Ercolano Oplontis, a cura di
P.G. GUZZO, Milano 2003, p. 50. Lo studio d’insieme più completo era sinora
quello di M.R. WOJCIK, La Villa dei Papiri ad Ercolano, Roma 1986, ma, proprio in
tempi recentissimi, è apparso un nuovo studio sul complesso scultoreo della villa
(presa a modello per il Paul Getty Museum, a Malibu): C.C. MATTUSCH, The
Villa dei Papiri at Herculaneum. Life and afterlife of a sculpture collection, Los Angeles
2004.
5) H. SICHTERMANN, in EAA, IV, p.7.
6) Vd. supra, nel testo di C. Magistro. Il tipo figura tuttora nel catalogo della Fonderia,
la cui attività iniziò nel 1840 con Gennaro Chiurazzi senior e proseguì prima con i
figli Salvatore e Federico, e quindi con i nipoti, Gennaro junior ed Elio; dopo un
periodo di profonda crisi, la produzione è ripresa nel 2002 sotto gli auspici della famiglia Setaro. Un sentito grazie per una serie di preziose informazioni sull’attività della
storica ditta è dovuta al titolare attuale e alla dott.ssa Luisa Fucito, che è anche autrice
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di un importante studio che la riguarda: Fonderia Artistica Chiurazzi. La forma dell’arte, Napoli 2001.
7) Ringraziamo di nuovo Giovanni Capano, che dopo il furto del bronzo ha posto il
pezzo in marmo sotto la sua diretta custodia. Attualmente il busto è provvisoriamente
ospitato nella sede del Consiglio Regionale di Basilicata.
8) PAUS., V, 17.
9) La querelle è iniziata subito all’indomani della scoperta del gruppo di Olimpia, e la
bibliografia relativa è proporzionalmente corposa. In questa sede, possiamo rimandare
senz’altro a C. ROLLEY, La sculpture grecque 2. La période classique, Paris 1999, pp.
250-254, dove la questione è riassunta con mirabile chiarezza espositiva.