1 - collegio ballerini
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1 - collegio ballerini
1 2 -Introduzione (pag. 1); -Attività di Giotto nella basilica superiore (pag. 4); -Le opere della basilica superiore(pag. 7): 1)Presepe di Greggio(pag.9); 2) Il Miracolo della Fonte(pag.12); 3) La Morte del Cavaliere Celano(pag.13); 4)Il Dono del Mantello(pag. 15); 5)L’approvazione della Regola(pag. 17; 6) Predica dinanzi a Onorio III(pag. 18); -Attività di Giotto nella basilica inferiore (pag.20); -Il terremoto e le sue conseguenze(pag.22); -Bibliografia(pag.24). 3 La basilica di San Francesco in Assisi, è il luogo che dal 1230 conserva e custodisce le spoglie mortali del santo. Voluta da papa Gregorio IX venne designata dallo stesso Pontefice, Caput et Mater dell'Ordine minoritico e contestualmente affidata agli stessi frati. Nella complessa storia che ha segnato l'evoluzione dell'Ordine, la basilica fu sempre custodita dai cosiddetti "frati della comunità", il gruppo che andò in seguito a costituire l'Ordine dei Frati Minori Conventuali. Dal 1796 ha la dignità di Basilica papale. Nell'anno 2000 la basilica è stata inserita nella Lista del patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. Il 16 luglio del 1228, a soli due anni dalla morte, Francesco venne proclamato santo da papa Gregorio IX; il giorno dopo, 17 luglio, lo stesso pontefice e il rappresentante dell'Ordine minoritico, frate Elia da Cortona, posero la prima pietra per la costruzione di quella imponente basilica. Fu ben presto chiaro che la nuova basilica sarebbe stata una specialis ecclesia, ovvero sia il santuario ospitante le spoglie del santo, sia la chiesa madre del nuovo Ordine. La prima grande opera pittorica generalmente attribuita a Giotto è il ciclo con le storie di San Francesco della chiesa superiore di San Francesco ad Assisi, sul quale, per altro, la critica è tutt’altro che concorde, riguardo non solo alla dimensione della partecipazione del maestro all’ impresa ma anche alla sua effettiva presenza nel contesto dell’opera. 4 Il grande racconto per immagini della vita di San Francesco che si snoda, con ventotto scene, lungo il registro inferiore della grande aula della chiesa, fu eseguito con tutta probabilità negli ultimissimi anni del Duecento, a partire forse dal 1296, se si presta fede al Vasari, che indica nel generale Ordine francescano, fra’ Giovanni Mincio da Morrovalle, in carica da quell’anno al 1304, il committente dell’opera. Il ciclo francescano mostra alcune rivoluzionanti novità nella rappresentazione pittorica dello spazio e nella disposizione delle scene sulla parete. L’unica navata della chiesa superiore di Assisi si articola su quattro campate coperte da volte a crociera archiacute poggianti su alti pilastri a fascio che scandiscono ritmicamente la continuità della parete. Questa presenta al di sotto del piano occupato dalle finestre, un alto basamento sporgente all’interno della navata che crea alla sua sommità lo spessore per un corridoio praticabile, il cosiddetto “passage remois”. In ognuna delle quattro campate, le pareti accolgono per parte tre scene della vita del santo, a eccezione della prima, più ampia, dove se ne trovano quattro. Ma le singole scene, in questo risiede la prima novità del ciclo, sono unificate da un’incorniciatura architettonica dipinta, costituite da colonnine tortili con decorazione marmorea e svolgono la duplice funzione di separare le scene e di sostenere illusivamente un architrave che corre lungo il margine superiore degli affreschi. In sostanza, le colonnine e l’architrave, come pure la cornice che corre lungo il margine inferiore, fingono un loggiato che supera la cortina reale del muro e al di là del quale si svolgono le storie della vita di San Francesco. Le mensolette e i soffitti a cassettoni che appaiono sulle architravi sono dipinti secondo una veduta frontale assai coerente e plausibile. 5 Così, pur separate da partiture architettoniche dipinte nettamente definite, le singole scene di ogni campata sembrano essere in uno spazio che è unitario, oltre la parete, in ambientazioni urbane e paesaggi che evocano i luoghi della vicenda storica. Gli affreschi vanno letti a tre a tre, cogliendone la dimensione scenica globale. Ma le singole scene del ciclo sono anche regolate da una visione prospettica autonoma rispetto all’incorniciatura architettonica; esse elaborano al loro interno una concezione dello spazio, che si presenta in costante perfezionamento. Dall’incertezze di collocazione spaziale dei personaggi nelle prime scene, si passa a rapporti visivi tra ambiente architettonico della scena e figure umane sempre più coerenti, fino a raggiungere livelli di elevata complessità in scene come il Presepe di Greggio, con la famosa immagine del retro della croce dipinta inclinata, o come l’Apparizione al Capitolo di Arles, con la panca scorciata sulla destra ove siedono tre frati raffigurati di schiena. La particolare definizione e verosimiglianza con cui Giotto costruisce con la pittura, nelle scene, edifici, arredi liturgici e spazi urbani, dimostrano la sua attenzione nei confronti dell’ “oggetto architettonico” e, soprattutto, il suo ispirarsi al reale. E’ stata più di una volta sottolineata la somiglianza tra il ciborio che compare nella scena del Presepe di Greggio, con i cibori eseguiti da Arnolfo di Cambio nelle basiliche romane di San Paolo fuori le mura e di Santa Cecilia in Trastevere, oppure le analogie tra la 6 facciata della chiesa dipinta nella scena del Pianto delle clarisse e il progetto dello stesso Arnolfo per la facciata del duomo di Firenze. Il ciclo francescano di Assisi appare come l’opera di un maestro che si misura con le possibilità di lettura e di elaborazione offerte e da uno spazio pittorico inteso in senso illusionistico e tridimensionale. Appare evidente che il ciclo francescano fu pensato e realizzato per interagire con l’architettura della chiesa superiore. Un esempio: all’estremità di ogni campata le colonnine tortili dipinte sono appoggiate ai pilastri. E’ stato più volte sottolineato come questa nuova concezione dello spazio dipinti derivi dai modelli pittorici del mondo classico. Contribuiscono inoltre alla visione illusionistica falsi elementi architettonici come architravi e zoccoli che anche Giotto usò nelle Storie di San Francesco con grande effetto mimetico. I primi sei quadri del ciclo (si parte dall’angolo della navata destra) illustrano la preparazione di Francesco alla santità. La prima scena 7 l’Omaggio di un semplice, è improntata al realismo: fra il donatore del panno e Francesco si svolge un dialogo fatto di sguardi, alla presenza stupita degli astanti e sullo sfondo della città di Assisi. Il Dono del mantello fatto da Francesco a un cavaliere povero è dominato dal paesaggio, con rocce alla cui sommità appaiono una città murata e una chiesa isolata. Nel Sogno del palazzo il sontuoso palazzo indicato da Cristo è allegoria della felice missione di fede del Santo. Il Crocifisso di San Damiano ricorda l’episodio della voce incitò Francesco in preghiera a “riparare la casa di Dio” . La Rinuncia agli averi è una scena di grande significato nella vita di Francesco, l’abbandono di ogni interesse materiale, perfino gli abiti, mentre il padre cerca di scagliarsi contro di lui. Ancora la città fa da sfondo ai personaggi, che esprimono chiaramente i loro sentimenti. Nel Sogno di Innocenzo III Francesco finalmente indossa il saio ; nel suo letto il Papa vede crollare la basilica Lateranense, che il santo sorregge. E’ l’allusione all’aiuto dato da Francesco alla Chiesa. 8 PRESEPE DI GREGGIO Storia Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (X,7) di san Francesco: "Come il beato Francesco, in memoria del Natale di Cristo, ordinò che si apprestasse il presepe, che si portasse il fieno, che si conducessero il bue e l'asino; e predicò sulla natività del Re povero; e, mentre il santo uomo teneva la sua orazione, un cavaliere scorse il <vero> Gesù Bambino in luogo di quello che il santo aveva portato."Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio (in provincia di Rieti, sulla strada che da Stroncone prosegue verso il reatino), Francesco rievocò la nascita di Gesù, organizzando una rappresentazione vivente di quell'evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, sarebbe apparso nella culla un bambino in carne ed ossa, che Francesco prese in braccio. Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.Nonostante le fonti, Giotto pone la 9 scena nel presbiterio che ricorda la Basilica inferiore di Assisi.Già tra gli affreschi meno leggibili del ciclo, fu restaurato una prima volta nel 1798 dal Fea (resoconto pubblicato nel 1820). Descrizione La scena, oltre che una delle più famose, è uno straordinario documento dell'epoca. Nessun pittore si era mai spinto a tanto realismo: lo spettatore osserva dalla parte di solito riservata ai soli sacerdoti e religiosi (da un ipotetico punto di vista nell'abside), dove sono rappresentati con minuzia e vivace descrittività le caratteristiche dell'ambiente oltre il tramezzo che lo separa dalla navata: un ciborio che ricorda quelli di Arnolfo di Cambio, i frati che cantano nel coro guardando al reggilibro in alto, un pulpito visto dal lato dell'ingresso ed una croce lignea sagomata appesa, vista dal dietro, con tutti i rinforzi, e sapientemente raffigurata obliqua mentre pende verso la navata.Una folla di persone assiste alla scena in primo piano di Francesco con il santo Bambino tra le mani (provvisto pure lui di aureola), ma le donne non possono entrare e osservano dalla porta. Molto reale è la collocazione dei personaggi nello spazio, che appaiono su piani diversi senza dare l'effetto di librarsi nell'aria o di schiacciarsi l'uno sull'altro, come nelle tavole di pittori di poco più antiche. Solo i frati sporgono in alto perché sono in piedi sugli stalli del coro di cui si intuisce la presenza solo da un piccolo dettaglio accanto alla porta. Essi hanno le bocche aperte perché stanno cantando e lo sguardo diretto al badalone (leggio) con un codice che riporta le parole e la musica.La stesura dimostra un ampio ricorso ad aiuti di bottega. Molte delle vesti dei personaggi, a tempera, avevano originariamente colori ben diversi da quelli oggi visibili. Gli studi recenti di Bruno Zanardi e Federico Zeri leggono nel particolare modo di eseguire gli incarnati un intervento di Pietro Cavallini. 10 IL MIRACOLO DELLA FONTE Il soggetto si riferisce all'episodio della Leggenda Major in cui san Francesco, con la sue preghiera, fa scaturire una sorgente d'acqua dalle rocce dei monti della Verna, dissetando un viandante che si era perduto tra le montagne. Sviluppata sulla composizione diagonale, consueta per Giotto, la scena è ben strutturata su forme solide e tridimensionali. Sia le figure sia le montagne hanno una consistenza molto concreta, accompagnate dal gioco di luci contrastanti e dai passaggi dei colori. I personaggi si muovono con molta libertà ed esprimono le loro azioni in maniera diretta. Al centro san Francesco, inginocchiato in preghiera, si rivolge a Dio con un'espressione rapita, mentre i due frati in primo piano si guardano in maniera interrogativa. Il viandante invece è chino in avanti per bere, quasi disteso a terra, con le mani aperte e il piede puntato sulla roccia, la testa protesa, i 11 muscoli della gamba in tensione: l'azione è descritta con molta spontaneità. La luce argentata della luna unifica uomini e natura in questa scena notturna e produce un effetto magico, come di sospensione, altamente poetico. La presenza divina non si manifesta con simboli o apparizioni, ma è intesa come uno spirito ineffabile ma che si fa percepire, diffuso nella natura, secondo una concezione molto vicina a quella insegnata dalla predicazione francescana. Giotto applica un principio di unità tra figure e spazio: le figure vivono nello spazio e lo spazio è valorizzato dalla presenza dei personaggi, secondo un rapporto reciproco, non più basato sulla simmetria, ma su un ordine logico e di naturalezza. Giotto ad Assisi inizia una graduale conquista del mondo visibile, fatto di oggetti, uomini, ambiente reale, natura e sentimenti. La composizione è sempre basata sulla geometria, ma si libera della rigidità bizantina e dei tradizionali schemi astratti. Tutto viene scelto, controllato e ordinato dalla ragione e secondo un concetto di chiarezza e verità. Giotto usa un linguaggio conciso che fissa gli aspetti essenziali della realtà in una determinata atmosfera, per suscitare delle emozioni in modo diretto.Di grandiosa eloquenza è l'inedito gesto dell'uomo che si sporge per bere l'acqua, con il piede che è realisticamente piegato nella spinta del corpo. Vasari ne diede una viva descrizione: "[nell'assetato] si vede vivo il desiderio delle acque". Dettagliata è la resa dei particolare, come il basto dell'asino.L'opera era molto rovinata dall'umindità nel 1798, quando venne restaurata. Studi hanno messo in luce come l'adesione del colore fu in alcuni punti imperfetta fin dall'inizio, forse dovuto a un cattivo calcolo dell'asciugamento, falsato dalla porta della basilica. 12 LA MORTE DEL CAVALIERE DI CELANO Rispetto all'insieme del ciclo pittorico con le Storie di san Francesco che Giotto ha realizzato nella Basilica Superiore della chiesa di San Francesco ad Assisi, la Morte del Cavaliere di Celano è una delle scene più drammatiche e originali. Nell'affresco si può notare come Giotto sia interessato alla resa psicologica e alla componente umana dei suoi personaggi. Se osserviamo l'uomo col cappello e l'abito rosso vicino a san Francesco o il fraticello seduto a tavola, possiamo notare i visi con fisionomie molto particolari, tipizzate. Giotto cerca di distinguere ogni personaggio dall'altro dotandolo di caratteristiche diverse. Ciò sembra confermare anche le antiche testimonianze che raccontano che l'artista ritraeva i suoi amici e collaboratori per creare i suoi personaggi. Alla ricerca di individualizzazione si aggiunge anche una maggiore morbidezza 13 pittorica rispetto agli affreschi precedenti. Gli atteggiamenti si fanno più sciolti e naturali, il disegno è più sicuro. Le figure diventano più allungate ed eleganti, hanno una concretezza, un peso fisico che si fa sentire, i piedi ben piantati per terra, i panneggi sono più consistenti e fluidi. Si può notare il particolare del panneggio della donna che piange in primo piano e vedere come cade con naturalezza. Rispetto ai saggi precedenti, questa è una scena più ricca di particolari, si nota una maggiore attenzione alla resa realistica. L'incredibile natura morta sul tavolo, apparecchiato con ordine, ci fa capire che tutto è pronto e il banchetto è appena iniziato. San Francesco sembra si sia alzato in piedi di scatto, e nella fretta con il piede destro calpesta il saio troppo lungo che trascina per terra.Nell'episodio del Cavaliere di Celano, nella Legenda Maior, si racconta che san Francesco aveva chiesto con le sue preghiere, la grazia per il Cavaliere, che l'aveva invitato a casa sua. Dopo la confessione, il Cavaliere dà tutte le disposizioni per la sua casa, e mentre gli altri sono già a tavola, lui muore improvvisamente, ma la sua anima è salva e viene accolta in Paradiso. Questa è una delle scene più drammatiche di tutto il ciclo di Assisi. Nella composizione si può cogliere il contrasto, volutamente accentuato, tra la parte sinistra, più vuota, dove c'è il frate, tranquillamente seduto a tavola vicino a san Francesco, e la parte destra, tutta affollata di personaggi piangenti che soccorrono il Cavaliere. Questo contrasto serve per sostenere la spinta drammatica della scena, come in un 'colpo di scena' teatrale. 14 IL DONO DEL MANTELLO Eseguito tra il 1290 e il '99, l'attribuzione non è del tutto sicura, secondo alcuni studiosi è uno dei primi affreschi delle Storie di san Francesco che Giotto ha eseguito ad Assisi. Altri studiosi invece ritengono si tratti di un altro artista, forse il Maestro di Isacco. La tradizione lo assegna a una fase ancora giovanile di Giotto. Illustra il passo della Legenda Maior in cui si racconta che Francesco, non ancora frate, incontra un cavaliere, nobile ma povero e mal vestito. Mosso a Pietà il santo lo riveste col suo mantello.Si vedono alcuni elementi che hanno determinato problemi di attribuzione. Ad esempio le figure, rispetto alle scene successive, hanno uno stile più aspro, sono un po' più rigide e impacciate nei movimenti. I piedi di Francesco, sembrano poggiare su un piano obliquo, le linee di contorno che tendono a ''ritagliare'' le figure, i volumi che tendono a emergere, ma non sono ancora del tutto pieni, i corpi sembrano ancora un po' compressi. In seguito Giotto saprà superare questi limiti. 15 Altri elementi indicano l'apprendistato presso Cimabue: il disegno accurato, basato da una solida impostazione geometrica, lo studio delle luci e ombre che creano forme rotondeggianti, gli accostamenti armonici dei colori. Ma su questi presupposti, già si delinea la personalità di Giotto, con caratteristiche assolutamente originali. Soprattutto l'essenzialità e chiarezza compositiva, Giotto ha molto il senso della sintesi: la composizione si basa sull'incrocio delle diagonali, ogni forma è ridotta all'essenziale e si avvicina alla forma geometrica. Le figure tendono a volumi semplici, e anche nello sfondo le rocce sono squadrate e semplificate. Altro elemento tipicamente giottesco è il riferimento alla realtà storica e alla vita quotidiana. I personaggi indossano i costumi del suo tempo, anche la figura di san Francesco non è divinizzata, è riconoscibile solo per l'aureola, poichè ha un aspetto molto umano, sembra un qualunque borghese di allora. Anche lo sfondo si riferisce alla realtà: la città murata che si vede a sinistra è Assisi, il monastero a destra è quello di San Benedetto sul monte Subàsio. Infine vediamo la naturalezza di gesti e atteggiamenti, come il cavallo che bruca l'erba, i gesti spontanei dei personaggi. A questi si aggiunge il grande senso di umanità e una certa grazia negli atteggiamenti, che sono tra le qualità più personali e alte della sua pittura, oltre ad essere elementi assolutamente nuovi.Questo affresco è piuttosto rovinato, c'è un deterioramento evidente sopratutto nel cavallo e nella tunica azzurra del santo, dove sono cadute le parti di colore stese a tempera. Probabilmente si tratta di una ridipintura eseguita da Giotto a secco sull'affresco, dovuta a un ripensamento. La tempera, che inizialmente aderisce all'affresco sottostante, con il tempo tende a sgretolarsi e cadere, poichè non possiede la resistenza dell'affresco. 16 L’ APPROVAZIONE DELLA REGOLA L'approvazione della Regola fa parte del ciclo di affreschi eseguiti da Giotto nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi tra il 1296 e il 1304. E' una delle scene in cui Giotto sperimenta ed elabora la sua visione di spazio pittorico inteso in senso illusionistico tridimensionale. L'opera si riferisce all'episodio in cui San Francesco, insieme ai suoi confratelli, va a Roma per ottenere dal papa Innocenzo III l'approvazione della nuova regola monastica, basata su povertà, castità e obbedienza.Si può notare la divisione in due parti della composizione che rinvia a un contrasto ideale. A sinistra i frati formano un gruppo compatto, hanno un atteggiamento più umile, colori più spenti e sono tutti in preghiera. rappresentano l'immagine spirituale della Chiesa. A destra, il papa e i suoi cardinali hanno colori più variati e gesti 17 imperiosi. Rappresentano il potere terreno della Chiesa. Questo dipinto, sia per soggetto che per composizione è simile a quello della Predica dinanzi a Onorio III, ma rispetto a quella possiede un livello di espressività minore. Innocenzo III e i cardinali hanno espressioni vaghe e atteggiamenti un po' convenzionali. Nel gruppo dei frati si nota una certa ripetizione. Non si ritrova quella ricerca di diversità e naturalezza, la libertà con cui le figure si muovono e si dispongono nello spazio che è tipica di Giotto. Secondo alcuni studiosi, tra cui Giuliano Briganti, questo affresco non sarebbe di mano di Giotto, ma va attribuito al Maestro di Isacco, ma è anche probabile che l'esecuzione sia dovuta in gran parte ad aiuti. PREDICA DINANZI A ONORIO III Questo dipinto fa parte del ciclo di affreschi con le Storie di san Francesco eseguiti da Giotto nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi. 18 La composizione è basata su un rapporto armonioso tra figure e architettura. Le forme dello spazio sono ben costruite prospetticamente e i personaggi si inseriscono nell'ambiente come solidi chiaramente definiti nella loro volumetria. Inoltre le figure si dispongono con molta spontaneità. Sia il papa sia gli altri personaggi possiedono fisionomie molto caratterizzate, probabilmente si Giotto si è servito di ritratti di persone a lui vicine. Particolarmente espressiva è la figura del papa Onorio III, tutto proteso in avanti, il mento appoggiato alla mano e lo sguardo attento e concentrato, come se volesse penetrare in profondità nel significato e nei valori del discorso di San Francesco. Gli altri hanno reazioni diverse, in cui si coglie: riflessione, contrarietà, disappunto, interesse, come per volerci comunicare i diversi punti di vista dei presenti all'avvenimento. Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (XII,7) di san Francesco: "Quando il beato Francesco, al cospetto del santo papa e dei cardinali, predicò con tale devozione e tale efficacia da apparire chiaramente come egli parlasse non con dotte parole d'umana sapienza, ma per divina ispirazione."Notevolissima, per l'epoca, è l'ambientazione architettonica di una stanza illusionisticamente aperta nella parete, che scandisce con le esili colonne la scena in tre gruppi di personaggi. Un virtuosismo è la rappresentazione in prospettiva intuitiva delle volte a crociera.Eloquente e realistico è il gesto del papa Onorio III che ascolta con attenzione san Francesco appoggiando il mento sul dorso della mano che calza un guanto bianco, così come quello di Francesco, che indica col pollice teso, un gesto ripreso ad esempio anche da Pietro Lorenzetti nella Madonna col Bambino tra i santi Francesco e Giovanni Evangelista nella Basilica inferiore. I gesti di meditazione e meraviglia dei prelati sono un'altra felice invenzione, che divenne poi comune nel Trecento. Infine è particolare la posizione dei personaggi, secondo una linea curva, che dà il senso di profondità. La stanza è arredata sontuosamente, con drappi appesi alle pareti e il trono papale con decori cosmateschi. Sciolta è la posizione in tralice del trono, a differenza della visione frontale dell'architettura, in modo da evidenziare maggiormente tale elemento figurale. L'ornamento della parte superiore, coi vasi di fiori, venne aggiunto dopo l'esecuzione 19 delle arcate, forse in un'epooca successiva al completamento del ciclo.Come le vicine scene della Morte del cavaliere di Celano e dell'Apparizione al Capitolo di Arles, la stesura dell'affresco è da riferire a un aiuto del capobottega. La decorazione Affreschi nella basilica inferiore Per quanto riguarda la decorazione ad affresco essa dovette iniziare nella basilica inferiore con le scene nel transetto ad opera del Maestro di San Francesco (1253 circa). Seguì probabilmente Cimabue che dipinse la Maestà nel transetto destro della basilica inferiore (e forse altri affreschi perduti, nel 1278 circa), la cui buona riuscita spinse i committenti ad affidargli la decorazione del coro e del transetto della basilica superiore. In questa vasta commissione, oggi in pessime condizioni anche a causa di errori tecnici, si 20 distinsero gradualmente altri maestri, come il Maestro Oltremontano e il Maestro della Cattura. All'inizio degli anni novanta si iniziarono a dipingere le vele e i registri superiori della navata, con maestranze romane (Jacopo Torriti) e toscane. Tra gli artisti impegnati in queste Storie dell'Antico e del Nuovo Testamento spiccò presto un maestro innovatore, il cosiddetto Maestro di Isacco, tradizionalmente identificato col giovane Giotto o, secondo ipotesi più recenti, un maestro romano, forse Pietro Cavallini. Lo stesso maestro si vide poi affidato il ciclo più importante, quello delle 28 Storie di san Francesco: anche in questo caso è tradizionale il riferimento a Giotto, molto probabilmente autore effettivo del ciclo, ma altrettanto probabile è la presenza di altri capibottega, in particolare il "secondo capobottega" che Federico Zeri e altri studiosi riconobbero in Pietro Cavallini, ipotesi tuttora controversa. Allo scadere del secolo la decorazione della basilica superiore doveva essere terminata e il principale capobottega doveva lasciare il cantiere delegando a un maestro meno dotato il completamento delle ultime scene, il Maestro della Santa Cecilia.La decorazione riprese dalla basilica inferiore verso il 1307 e questa volta è sicura la presenza di Giotto che si occupò del transetto destro e della volta sopra l'altare con le Allegorie francescane, terminando nel 1311 circa o, secondo un'altra ipotesi, nel 1334. La volta con le Allegorie, con uno sfarzoso sfondo dorato, segnò ormai il culmine la revisione del pauperismo voluto dal fondatore dell'Ordine, all'insegna di una decorazione sempre più fastosa, secondo un processo graduale avviato dal generalato di Giovanni da Murro in poi. 21 Il 26 settembre del 1997, alle 11.42, una forte scossa di terremoto colpì l’Umbria e le Marche, causando il crollo di parte degli affreschi e delle volte della Basilica superiore di San Francesco in Assisi. Il crollo provocò quattro vittime, due tecnici della Soprintendenza e due frati e causò inoltre il crollo di parte degli affreschi sulla volta della prima campata: il San Girolamo (attribuito da alcuni a Giotto giovane), dove erano raffigurati i Quattro dottori della Chiesa; la figura di San Matteo, sulla volta raffigurante i Quattro Evangelisti di Cimabue; inoltre, la volta stellata, ridipinta nell'Ottocento. Sull'arco di controfacciata e sul costolone, anch'essi crollati, sono rovinate a terra otto figure di santi e altre decorazioni. I primi interventi post-terremoto furono indirizzati soprattutto alla messa in sicurezza dell’edificio sacro e al recupero delle centinaia di frammenti sparsi tra le macerie. Una gara di solidarietà che ha coinvolto, oltre i tecnici della Soprintendenza e i restauratori dell’Istituto centrale per il restauro di Roma , anche molti volontari da tutta Italia.La basilica rimase chiusa fino al 29 novembre 1999, per interventi di conservazione e restauro. Due degli otto santi contigui alla controfacciata, i Santi Rufino e Vittorino, furono riposti sulla volta. Vennero raccolti (in condizioni difficilissime a causa delle continue scosse di assestamento) oltre 300.000 frammenti in corrispondenza dell’arcone dei santi e della vicina vela di San Girolamo. A questa prima fase ne è seguita una successiva per un lavoro di selezione e di classificazione dei frammenti, in base alle sfumature, al colore, alla tecnica esecutiva. Successivamente si è passati al riconoscimento fotografico, seguito da tentativi di individuazione, in base ai punti di frattura, dei possibili punti di attacco. Indispensabile è stato l’ausilio delle fotografie a colori 22 scattate prima del sisma e la loro stampa a grandezza naturale, sulle quali si poterono effettuare le prove di rispondenza dei frammenti. Il 26 settembre 2001 vennero ricollocati gli otto santi dell’arcone (oltre a Rufino e Vittorino, Benedetto, Antonio di Padova, Francesco, Chiara, Domenico, Pietro martire). Le lacune vennero compensate tramite la tecnica del tratteggio e dell’abbassamento ottico della lacuna stessa. Dopo un anno, il 26 settembre 2002 fu ricollocata anche la vela di san Girolamo: circa 80.000 frammenti su una superficie di 80 metri quadrati. Il 5 aprile 2006 si è svolta l’inaugurazione della vela di San Matteo e del cielo stellato. Non è stato possibile recuperare tutto il materiale: già prima del crollo le condizioni dell’affresco non erano buone. L’abitudine di Cimabue di usare biacca, mescolata ad altre vernici, ha fatto sì che il colore, a distanza di tempo, diventasse via via evanescente, quasi monocromatico. Per questo la ricostruzione non è stata facile e risulterà incompleta. Decine i restauratori impegnati nel lavoro di quello che è stato chiamato Il cantiere dell'utopia; 60.000 le ore impiegate, per un costo di 72 miliardi di lire, circa 37 milioni di euro. 23 LIBRI DI TESTO: 1) Titolo: Giotto Autore: Giancarlo Vigorelli 2) Titolo: Giotto: la fiducia nell’uomo e nella storia Autore : Monica Girardi 3) Titolo: Giotto : la pittura Autore: Alessandro Tomei SITI INTERNET: 1)www.wikipedia.org 2)www.geometriefluide.com 24