1 - collegio ballerini

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1 - collegio ballerini
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-Introduzione (pag. 1);
-Attività di Giotto nella basilica superiore (pag. 4);
-Le opere della basilica superiore(pag. 7):
1)Presepe di Greggio(pag.9);
2) Il Miracolo della Fonte(pag.12);
3) La Morte del Cavaliere Celano(pag.13);
4)Il Dono del Mantello(pag. 15);
5)L’approvazione della Regola(pag. 17;
6) Predica dinanzi a Onorio III(pag. 18);
-Attività di Giotto nella basilica inferiore (pag.20);
-Il terremoto e le sue conseguenze(pag.22);
-Bibliografia(pag.24).
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La basilica di San Francesco in Assisi, è il luogo che dal 1230
conserva e custodisce le spoglie mortali del santo. Voluta da papa
Gregorio IX venne designata dallo stesso Pontefice, Caput et Mater
dell'Ordine minoritico e contestualmente affidata agli stessi frati.
Nella complessa storia che ha segnato l'evoluzione dell'Ordine, la
basilica fu sempre custodita dai cosiddetti "frati della comunità", il
gruppo che andò in seguito a costituire l'Ordine dei Frati Minori
Conventuali. Dal 1796 ha la dignità di Basilica papale. Nell'anno
2000 la basilica è stata inserita nella Lista del patrimonio
dell'umanità dell'UNESCO. Il 16 luglio del 1228, a soli due anni
dalla morte, Francesco venne proclamato santo da papa Gregorio
IX; il giorno dopo, 17 luglio, lo stesso pontefice e il rappresentante
dell'Ordine minoritico, frate Elia da Cortona, posero la prima pietra
per la costruzione di quella imponente basilica. Fu ben presto
chiaro che la nuova basilica sarebbe stata una specialis ecclesia,
ovvero sia il santuario ospitante le spoglie del santo, sia la chiesa
madre del nuovo Ordine.
La prima grande opera pittorica
generalmente attribuita a Giotto è il ciclo
con le storie di San Francesco della chiesa
superiore di San Francesco ad Assisi, sul
quale, per altro, la critica è tutt’altro che
concorde, riguardo non solo alla
dimensione della partecipazione del
maestro all’ impresa ma anche alla sua
effettiva presenza nel contesto dell’opera.
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Il grande racconto per immagini della vita di San Francesco che si
snoda, con ventotto scene, lungo il registro inferiore della grande
aula della chiesa, fu eseguito con tutta probabilità negli ultimissimi
anni del Duecento, a partire forse dal 1296, se si presta fede al
Vasari, che indica nel generale Ordine francescano, fra’ Giovanni
Mincio da Morrovalle, in carica da quell’anno al 1304, il committente
dell’opera.
Il ciclo francescano mostra alcune rivoluzionanti novità nella
rappresentazione pittorica dello spazio e nella disposizione delle
scene sulla parete. L’unica navata della chiesa superiore di Assisi
si articola su quattro campate coperte da volte a crociera archiacute
poggianti su alti pilastri a fascio che scandiscono ritmicamente la
continuità della parete. Questa presenta al di sotto del piano
occupato dalle finestre, un alto basamento sporgente all’interno
della navata che crea alla sua sommità lo spessore per un corridoio
praticabile, il cosiddetto “passage remois”.
In ognuna delle quattro campate, le pareti accolgono per parte tre
scene della vita del santo, a eccezione della prima, più ampia, dove
se ne trovano quattro. Ma le singole scene, in questo risiede la
prima novità del ciclo, sono unificate da un’incorniciatura
architettonica dipinta, costituite da colonnine tortili con decorazione
marmorea e svolgono la duplice funzione di separare le scene e di
sostenere illusivamente un architrave che corre lungo il margine
superiore degli affreschi.
In sostanza, le colonnine e l’architrave, come pure la cornice che
corre lungo il margine inferiore, fingono un loggiato che supera la
cortina reale del muro e al di là del quale si svolgono le storie della
vita di San Francesco. Le mensolette e i soffitti a cassettoni che
appaiono sulle architravi sono dipinti secondo una veduta frontale
assai coerente e plausibile.
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Così, pur separate da partiture architettoniche dipinte nettamente
definite, le singole scene di ogni campata sembrano essere in uno
spazio che è unitario, oltre la parete, in ambientazioni urbane e
paesaggi che evocano i luoghi della vicenda storica.
Gli affreschi vanno letti a tre a tre, cogliendone la dimensione
scenica globale. Ma le singole scene del ciclo sono anche regolate
da una visione prospettica autonoma rispetto all’incorniciatura
architettonica; esse elaborano al loro interno una concezione dello
spazio, che si presenta in costante perfezionamento.
Dall’incertezze di collocazione spaziale dei personaggi nelle prime
scene, si passa a rapporti visivi tra ambiente architettonico della
scena e figure umane sempre più coerenti, fino a raggiungere livelli
di elevata complessità in scene come il Presepe di Greggio, con la
famosa immagine del retro della croce dipinta
inclinata, o come l’Apparizione al Capitolo di
Arles, con la panca
scorciata sulla destra
ove siedono tre frati
raffigurati di schiena.
La particolare
definizione e
verosimiglianza con cui
Giotto costruisce con la
pittura, nelle scene,
edifici, arredi liturgici e spazi urbani,
dimostrano la sua attenzione nei confronti
dell’ “oggetto architettonico” e, soprattutto, il
suo ispirarsi al reale. E’ stata più di una volta
sottolineata la somiglianza tra il ciborio che
compare nella scena del Presepe di Greggio, con i cibori eseguiti
da Arnolfo di Cambio nelle basiliche romane di San Paolo fuori le
mura e di Santa Cecilia in Trastevere, oppure le analogie tra la
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facciata della chiesa dipinta nella scena del Pianto delle clarisse e il
progetto dello stesso Arnolfo per la facciata del duomo di Firenze.
Il ciclo francescano di Assisi appare come l’opera di un maestro che
si misura con le possibilità di lettura e di elaborazione offerte e da
uno spazio pittorico inteso in senso illusionistico e tridimensionale.
Appare evidente che il ciclo francescano fu pensato e realizzato per
interagire con l’architettura della chiesa superiore. Un esempio:
all’estremità di ogni campata le colonnine tortili dipinte sono
appoggiate ai pilastri. E’ stato più volte sottolineato come questa
nuova concezione dello spazio dipinti derivi dai modelli pittorici del
mondo classico. Contribuiscono inoltre alla visione illusionistica falsi
elementi architettonici come architravi e zoccoli che anche Giotto
usò nelle Storie di San Francesco con grande effetto mimetico.
I primi sei quadri del ciclo (si parte dall’angolo della navata destra)
illustrano la preparazione di Francesco alla santità. La prima scena
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l’Omaggio di un semplice, è improntata al realismo: fra il donatore
del panno e Francesco si svolge un dialogo fatto di sguardi, alla
presenza stupita degli astanti e sullo sfondo della città di Assisi.
Il Dono del mantello fatto da Francesco a un cavaliere povero è
dominato dal paesaggio, con rocce alla cui sommità appaiono una
città murata e una chiesa isolata. Nel Sogno del palazzo il sontuoso
palazzo indicato da Cristo è allegoria della felice missione di fede
del Santo. Il Crocifisso di San Damiano ricorda l’episodio della voce
incitò Francesco in preghiera a “riparare la casa di Dio” . La
Rinuncia agli averi è una scena di grande significato nella vita di
Francesco, l’abbandono di ogni interesse materiale, perfino gli abiti,
mentre il padre cerca di scagliarsi contro di lui. Ancora la città fa da
sfondo ai personaggi, che esprimono chiaramente i loro sentimenti.
Nel Sogno di Innocenzo III Francesco finalmente indossa il saio ;
nel suo letto il Papa vede crollare la basilica Lateranense, che il
santo sorregge. E’ l’allusione all’aiuto dato da Francesco alla
Chiesa.
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PRESEPE DI GREGGIO
Storia
Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (X,7) di
san Francesco: "Come il beato Francesco, in memoria del Natale di
Cristo, ordinò che si apprestasse il presepe, che si portasse il fieno,
che si conducessero il bue e l'asino; e predicò sulla natività del Re
povero; e, mentre il santo uomo teneva la sua orazione, un
cavaliere scorse il <vero> Gesù Bambino in luogo di quello che il
santo aveva portato."Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio
(in provincia di Rieti, sulla strada che da Stroncone prosegue verso
il reatino), Francesco rievocò la nascita di Gesù, organizzando una
rappresentazione vivente di quell'evento. Secondo le agiografie,
durante la Messa, sarebbe apparso nella culla un bambino in carne
ed ossa, che Francesco prese in braccio. Da questo episodio ebbe
origine la tradizione del presepe.Nonostante le fonti, Giotto pone la
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scena nel presbiterio che ricorda la Basilica inferiore di Assisi.Già
tra gli affreschi meno leggibili del ciclo, fu restaurato una prima volta
nel 1798 dal Fea (resoconto pubblicato nel 1820).
Descrizione
La scena, oltre che una delle più famose, è uno straordinario
documento dell'epoca. Nessun pittore si era mai spinto a tanto
realismo: lo spettatore osserva dalla parte di solito riservata ai soli
sacerdoti e religiosi (da un ipotetico punto di vista nell'abside), dove
sono rappresentati con minuzia e vivace descrittività le
caratteristiche dell'ambiente oltre il tramezzo che lo separa dalla
navata: un ciborio che ricorda quelli di Arnolfo di Cambio, i frati che
cantano nel coro guardando al reggilibro in alto, un pulpito visto dal
lato dell'ingresso ed una croce lignea sagomata appesa, vista dal
dietro, con tutti i rinforzi, e sapientemente raffigurata obliqua mentre
pende verso la navata.Una folla di persone assiste alla scena in
primo piano di Francesco con il santo Bambino tra le mani
(provvisto pure lui di aureola), ma le donne non possono entrare e
osservano dalla porta. Molto reale è la collocazione dei personaggi
nello spazio, che appaiono su piani diversi senza dare l'effetto di
librarsi nell'aria o di schiacciarsi l'uno sull'altro, come nelle tavole di
pittori di poco più antiche. Solo i frati sporgono in alto perché sono
in piedi sugli stalli del coro di cui si intuisce la presenza solo da un
piccolo dettaglio accanto alla porta. Essi hanno le bocche aperte
perché stanno cantando e lo sguardo diretto al badalone (leggio)
con un codice che riporta le parole e la musica.La stesura dimostra
un ampio ricorso ad aiuti di bottega. Molte delle vesti dei
personaggi, a tempera, avevano originariamente colori ben diversi
da quelli oggi visibili. Gli studi recenti di Bruno Zanardi e Federico
Zeri leggono nel particolare modo di eseguire gli incarnati un
intervento di Pietro Cavallini.
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IL MIRACOLO DELLA FONTE
Il soggetto si riferisce all'episodio della Leggenda Major in cui san
Francesco, con la sue preghiera, fa scaturire una sorgente d'acqua
dalle rocce dei monti della Verna, dissetando un viandante che si
era perduto tra le montagne.
Sviluppata sulla composizione diagonale, consueta per Giotto, la
scena è ben strutturata su forme solide e tridimensionali. Sia le
figure sia le montagne hanno una consistenza molto concreta,
accompagnate dal gioco di luci contrastanti e dai passaggi dei
colori.
I personaggi si muovono con molta libertà ed esprimono le loro
azioni in maniera diretta. Al centro san Francesco, inginocchiato in
preghiera, si rivolge a Dio con un'espressione rapita, mentre i due
frati in primo piano si guardano in maniera interrogativa. Il
viandante invece è chino in avanti per bere, quasi disteso a terra,
con le mani aperte e il piede puntato sulla roccia, la testa protesa, i
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muscoli della gamba in tensione: l'azione è descritta con molta
spontaneità.
La luce argentata della luna unifica uomini e natura in questa scena
notturna e produce un effetto magico, come di sospensione,
altamente poetico. La presenza divina non si manifesta con simboli
o apparizioni, ma è intesa come uno spirito ineffabile ma che si fa
percepire, diffuso nella natura, secondo una concezione molto
vicina a quella insegnata dalla predicazione francescana.
Giotto applica un principio di unità tra figure e spazio: le figure
vivono nello spazio e lo spazio è valorizzato dalla presenza dei
personaggi, secondo un rapporto reciproco, non più basato sulla
simmetria, ma su un ordine logico e di naturalezza.
Giotto ad Assisi inizia una graduale conquista del mondo visibile,
fatto di oggetti, uomini, ambiente reale, natura e sentimenti. La
composizione è sempre basata sulla geometria, ma si libera della
rigidità bizantina e dei tradizionali schemi astratti. Tutto viene
scelto, controllato e ordinato dalla ragione e secondo un concetto di
chiarezza e verità. Giotto usa un linguaggio conciso che fissa gli
aspetti essenziali della realtà in una determinata atmosfera, per
suscitare delle emozioni in modo diretto.Di grandiosa eloquenza è
l'inedito gesto dell'uomo che si sporge per bere l'acqua, con il piede
che è realisticamente piegato nella spinta del corpo. Vasari ne
diede una viva descrizione: "[nell'assetato] si vede vivo il desiderio
delle acque". Dettagliata è la resa dei particolare, come il basto
dell'asino.L'opera era molto rovinata dall'umindità nel 1798, quando
venne restaurata. Studi hanno messo in luce come l'adesione del
colore fu in alcuni punti imperfetta fin dall'inizio, forse dovuto a un
cattivo calcolo dell'asciugamento, falsato dalla porta della basilica.
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LA MORTE DEL CAVALIERE DI CELANO
Rispetto all'insieme del ciclo pittorico con le Storie di san Francesco
che Giotto ha realizzato nella Basilica Superiore della chiesa di San
Francesco ad Assisi, la Morte del Cavaliere di Celano è una delle
scene più drammatiche e originali. Nell'affresco si può notare come
Giotto sia interessato alla resa psicologica e alla componente
umana dei suoi personaggi. Se osserviamo l'uomo col cappello e
l'abito rosso vicino a san Francesco o il fraticello seduto a tavola,
possiamo notare i visi con fisionomie molto particolari, tipizzate.
Giotto cerca di distinguere ogni personaggio dall'altro dotandolo di
caratteristiche diverse. Ciò sembra confermare anche le antiche
testimonianze che raccontano che l'artista ritraeva i suoi amici e
collaboratori per creare i suoi personaggi. Alla ricerca di
individualizzazione si aggiunge anche una maggiore morbidezza
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pittorica rispetto agli affreschi precedenti. Gli atteggiamenti si fanno
più sciolti e naturali, il disegno è più sicuro. Le figure diventano più
allungate ed eleganti, hanno una concretezza, un peso fisico che si
fa sentire, i piedi ben piantati per terra, i panneggi sono più
consistenti e fluidi. Si può notare il particolare del panneggio della
donna che piange in primo piano e vedere come cade con
naturalezza.
Rispetto ai saggi precedenti, questa è una scena più ricca di
particolari, si nota una maggiore attenzione alla resa realistica.
L'incredibile natura morta sul tavolo, apparecchiato con ordine, ci fa
capire che tutto è pronto e il banchetto è appena iniziato. San
Francesco sembra si sia alzato in piedi di scatto, e nella fretta con il
piede destro calpesta il saio troppo lungo che trascina per
terra.Nell'episodio del Cavaliere di Celano, nella Legenda Maior, si
racconta che san Francesco aveva chiesto con le sue preghiere, la
grazia per il Cavaliere, che l'aveva invitato a casa sua. Dopo la
confessione, il Cavaliere dà tutte le disposizioni per la sua casa, e
mentre gli altri sono già a tavola, lui muore improvvisamente, ma la
sua anima è salva e viene accolta in Paradiso.
Questa è una delle scene più drammatiche di tutto il ciclo di Assisi.
Nella composizione si può cogliere il contrasto, volutamente
accentuato, tra la parte sinistra, più vuota, dove c'è il frate,
tranquillamente seduto a tavola vicino a san Francesco, e la parte
destra, tutta affollata di personaggi piangenti che soccorrono il
Cavaliere. Questo contrasto serve per sostenere la spinta
drammatica della scena, come in un 'colpo di scena' teatrale.
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IL DONO DEL MANTELLO
Eseguito tra il 1290 e il '99, l'attribuzione non è del tutto sicura,
secondo alcuni studiosi è uno dei primi affreschi delle Storie di san
Francesco che Giotto ha eseguito ad Assisi. Altri studiosi invece
ritengono si tratti di un altro artista, forse il Maestro di Isacco. La
tradizione lo assegna a una fase ancora giovanile di Giotto.
Illustra il passo della Legenda Maior in cui si racconta che
Francesco, non ancora frate, incontra un cavaliere, nobile ma
povero e mal vestito. Mosso a Pietà il santo lo riveste col suo
mantello.Si vedono alcuni elementi che hanno determinato problemi
di attribuzione. Ad esempio le figure, rispetto alle scene successive,
hanno uno stile più aspro, sono un po' più rigide e impacciate nei
movimenti. I piedi di Francesco, sembrano poggiare su un piano
obliquo, le linee di contorno che tendono a ''ritagliare'' le figure, i
volumi che tendono a emergere, ma non sono ancora del tutto
pieni, i corpi sembrano ancora un po' compressi. In seguito Giotto
saprà superare questi limiti.
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Altri elementi indicano l'apprendistato presso Cimabue: il disegno
accurato, basato da una solida impostazione geometrica, lo studio
delle luci e ombre che creano forme rotondeggianti, gli
accostamenti armonici dei colori.
Ma su questi presupposti, già si delinea la personalità di Giotto, con
caratteristiche assolutamente originali. Soprattutto l'essenzialità e
chiarezza compositiva, Giotto ha molto il senso della sintesi: la
composizione si basa sull'incrocio delle diagonali, ogni forma è
ridotta all'essenziale e si avvicina alla forma geometrica. Le figure
tendono a volumi semplici, e anche nello sfondo le rocce sono
squadrate e semplificate. Altro elemento tipicamente giottesco è il
riferimento alla realtà storica e alla vita quotidiana. I personaggi
indossano i costumi del suo tempo, anche la figura di san
Francesco non è divinizzata, è riconoscibile solo per l'aureola,
poichè ha un aspetto molto umano, sembra un qualunque borghese
di allora.
Anche lo sfondo si riferisce alla realtà: la città murata che si vede a
sinistra è Assisi, il monastero a destra è quello di San Benedetto sul
monte Subàsio.
Infine vediamo la naturalezza di gesti e atteggiamenti, come il
cavallo che bruca l'erba, i gesti spontanei dei personaggi. A questi
si aggiunge il grande senso di umanità e una certa grazia negli
atteggiamenti, che sono tra le qualità più personali e alte della sua
pittura, oltre ad essere elementi assolutamente nuovi.Questo
affresco è piuttosto rovinato, c'è un deterioramento evidente
sopratutto nel cavallo e nella tunica azzurra del santo, dove sono
cadute le parti di colore stese a tempera. Probabilmente si tratta di
una ridipintura eseguita da Giotto a secco sull'affresco, dovuta a un
ripensamento. La tempera, che inizialmente aderisce all'affresco
sottostante, con il tempo tende a sgretolarsi e cadere, poichè non
possiede la resistenza dell'affresco.
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L’ APPROVAZIONE DELLA REGOLA
L'approvazione della Regola fa parte del ciclo di affreschi eseguiti
da Giotto nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi tra il
1296 e il 1304. E' una delle scene in cui Giotto sperimenta ed
elabora la sua visione di spazio pittorico inteso in senso
illusionistico tridimensionale.
L'opera si riferisce all'episodio in cui San Francesco, insieme ai suoi
confratelli, va a Roma per ottenere dal papa Innocenzo III
l'approvazione della nuova regola monastica, basata su povertà,
castità e obbedienza.Si può notare la divisione in due parti della
composizione che rinvia a un contrasto ideale.
A sinistra i frati formano un gruppo compatto, hanno un
atteggiamento più umile, colori più spenti e sono tutti in preghiera.
rappresentano l'immagine spirituale della Chiesa.
A destra, il papa e i suoi cardinali hanno colori più variati e gesti
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imperiosi. Rappresentano il potere terreno della Chiesa.
Questo dipinto, sia per soggetto che per composizione è simile a
quello della Predica dinanzi a Onorio III, ma rispetto a quella
possiede un livello di espressività minore. Innocenzo III e i cardinali
hanno espressioni vaghe e atteggiamenti un po' convenzionali. Nel
gruppo dei frati si nota una certa ripetizione. Non si ritrova quella
ricerca di diversità e naturalezza, la libertà con cui le figure si
muovono e si dispongono nello spazio che è tipica di Giotto.
Secondo alcuni studiosi, tra cui Giuliano Briganti, questo affresco
non sarebbe di mano di Giotto, ma va attribuito al Maestro di
Isacco, ma è anche probabile che l'esecuzione sia dovuta in gran
parte ad aiuti.
PREDICA DINANZI A ONORIO III
Questo dipinto fa parte del ciclo di affreschi con le Storie di san
Francesco eseguiti da Giotto nella Basilica Superiore di San
Francesco ad Assisi.
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La composizione è basata su un rapporto armonioso tra figure e
architettura. Le forme dello spazio sono ben costruite
prospetticamente e i personaggi si inseriscono nell'ambiente come
solidi chiaramente definiti nella loro volumetria. Inoltre le figure si
dispongono con molta spontaneità. Sia il papa sia gli altri
personaggi possiedono fisionomie molto caratterizzate,
probabilmente si Giotto si è servito di ritratti di persone a lui vicine.
Particolarmente espressiva è la figura del papa Onorio III, tutto
proteso in avanti, il mento appoggiato alla mano e lo sguardo
attento e concentrato, come se volesse penetrare in profondità nel
significato e nei valori del discorso di San Francesco. Gli altri hanno
reazioni diverse, in cui si coglie: riflessione, contrarietà, disappunto,
interesse, come per volerci comunicare i diversi punti di vista dei
presenti all'avvenimento. Questo episodio appartiene alla serie
della Legenda maior (XII,7) di san Francesco: "Quando il beato
Francesco, al cospetto del santo papa e dei cardinali, predicò con
tale devozione e tale efficacia da apparire chiaramente come egli
parlasse non con dotte parole d'umana sapienza, ma per divina
ispirazione."Notevolissima, per l'epoca, è l'ambientazione
architettonica di una stanza illusionisticamente aperta nella parete,
che scandisce con le esili colonne la scena in tre gruppi di
personaggi. Un virtuosismo è la rappresentazione in prospettiva
intuitiva delle volte a crociera.Eloquente e realistico è il gesto del
papa Onorio III che ascolta con attenzione san Francesco
appoggiando il mento sul dorso della mano che calza un guanto
bianco, così come quello di Francesco, che indica col pollice teso,
un gesto ripreso ad esempio anche da Pietro Lorenzetti nella
Madonna col Bambino tra i santi Francesco e Giovanni Evangelista
nella Basilica inferiore. I gesti di meditazione e meraviglia dei prelati
sono un'altra felice invenzione, che divenne poi comune nel
Trecento. Infine è particolare la posizione dei personaggi, secondo
una linea curva, che dà il senso di profondità. La stanza è arredata
sontuosamente, con drappi appesi alle pareti e il trono papale con
decori cosmateschi. Sciolta è la posizione in tralice del trono, a
differenza della visione frontale dell'architettura, in modo da
evidenziare maggiormente tale elemento figurale. L'ornamento della
parte superiore, coi vasi di fiori, venne aggiunto dopo l'esecuzione
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delle arcate, forse in un'epooca successiva al completamento del
ciclo.Come le vicine scene della Morte del cavaliere di Celano e
dell'Apparizione al Capitolo di Arles, la stesura dell'affresco è da
riferire a un aiuto del capobottega.
La decorazione
Affreschi nella basilica inferiore
Per quanto riguarda la decorazione ad affresco essa dovette
iniziare nella basilica inferiore con le scene nel transetto ad opera
del Maestro di San Francesco (1253 circa). Seguì probabilmente
Cimabue che dipinse la Maestà nel transetto destro della basilica
inferiore (e forse altri affreschi perduti, nel 1278 circa), la cui buona
riuscita spinse i committenti ad affidargli la decorazione del coro e
del transetto della basilica superiore. In questa vasta commissione,
oggi in pessime condizioni anche a causa di errori tecnici, si
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distinsero gradualmente altri maestri, come il Maestro Oltremontano
e il Maestro della Cattura.
All'inizio degli anni novanta si iniziarono a dipingere le vele e i
registri superiori della navata, con maestranze romane (Jacopo
Torriti) e toscane. Tra gli artisti impegnati in queste Storie
dell'Antico e del Nuovo Testamento spiccò presto un maestro
innovatore, il cosiddetto Maestro di Isacco, tradizionalmente
identificato col giovane Giotto o, secondo ipotesi più recenti, un
maestro romano, forse Pietro Cavallini. Lo stesso maestro si vide
poi affidato il ciclo più importante, quello delle 28 Storie di san
Francesco: anche in questo caso è tradizionale il riferimento a
Giotto, molto probabilmente autore effettivo del ciclo, ma altrettanto
probabile è la presenza di altri capibottega, in particolare il
"secondo capobottega" che Federico Zeri e altri studiosi
riconobbero in Pietro Cavallini, ipotesi tuttora controversa. Allo
scadere del secolo la decorazione della basilica superiore doveva
essere terminata e il principale capobottega doveva lasciare il
cantiere delegando a un maestro meno dotato il completamento
delle ultime scene, il Maestro della Santa Cecilia.La decorazione
riprese dalla basilica inferiore verso il 1307 e questa volta è sicura
la presenza di Giotto che si occupò del transetto destro e della volta
sopra l'altare con le Allegorie francescane, terminando nel 1311
circa o, secondo un'altra ipotesi, nel 1334.
La volta con le Allegorie, con uno sfarzoso sfondo dorato, segnò
ormai il culmine la revisione del pauperismo voluto dal fondatore
dell'Ordine, all'insegna di una decorazione sempre più fastosa,
secondo un processo graduale avviato dal generalato di Giovanni
da Murro in poi.
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Il 26 settembre del 1997, alle 11.42, una forte scossa di terremoto
colpì l’Umbria e le Marche, causando il crollo di parte degli affreschi
e delle volte della Basilica superiore di San Francesco in Assisi.
Il crollo provocò quattro vittime, due tecnici della Soprintendenza e
due frati e causò inoltre il crollo di parte degli affreschi sulla volta
della prima campata: il San Girolamo (attribuito da alcuni a Giotto
giovane), dove erano raffigurati i Quattro dottori della Chiesa; la
figura di San Matteo, sulla volta raffigurante i Quattro Evangelisti di
Cimabue; inoltre, la volta stellata, ridipinta nell'Ottocento. Sull'arco
di controfacciata e sul costolone, anch'essi crollati, sono rovinate a
terra otto figure di santi e altre decorazioni.
I primi interventi post-terremoto furono indirizzati soprattutto alla
messa in sicurezza dell’edificio sacro e al recupero delle centinaia
di frammenti sparsi tra le macerie. Una gara di solidarietà che ha
coinvolto, oltre i tecnici della Soprintendenza e i restauratori
dell’Istituto centrale per il restauro di Roma , anche molti volontari
da tutta Italia.La basilica rimase chiusa fino al 29 novembre 1999,
per interventi di conservazione e restauro. Due degli otto santi
contigui alla controfacciata, i Santi Rufino e Vittorino, furono riposti
sulla volta. Vennero raccolti (in condizioni difficilissime a causa
delle continue scosse di assestamento) oltre 300.000 frammenti in
corrispondenza dell’arcone dei santi e della vicina vela di San
Girolamo. A questa prima fase ne è seguita una successiva per un
lavoro di selezione e di classificazione dei frammenti, in base alle
sfumature, al colore, alla tecnica esecutiva. Successivamente si è
passati al riconoscimento fotografico, seguito da tentativi di
individuazione, in base ai punti di frattura, dei possibili punti di
attacco. Indispensabile è stato l’ausilio delle fotografie a colori
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scattate prima del sisma e la loro stampa
a grandezza naturale, sulle quali si
poterono effettuare le prove di
rispondenza dei frammenti.
Il 26 settembre 2001 vennero ricollocati
gli otto santi dell’arcone (oltre a Rufino e
Vittorino, Benedetto, Antonio di Padova,
Francesco, Chiara, Domenico, Pietro
martire). Le lacune vennero compensate
tramite la tecnica del tratteggio e
dell’abbassamento ottico della lacuna
stessa. Dopo un anno, il 26 settembre 2002 fu ricollocata anche la
vela di san Girolamo: circa 80.000 frammenti su una superficie di
80 metri quadrati. Il 5 aprile 2006 si è svolta l’inaugurazione della
vela di San Matteo e del cielo stellato.
Non è stato possibile
recuperare tutto il materiale:
già prima del crollo le
condizioni dell’affresco non
erano buone. L’abitudine di
Cimabue di usare biacca,
mescolata ad altre vernici, ha
fatto sì che il colore, a
distanza di tempo, diventasse
via via evanescente, quasi
monocromatico. Per questo
la ricostruzione non è stata facile e risulterà incompleta.
Decine i restauratori impegnati nel lavoro di quello che è stato
chiamato Il cantiere dell'utopia; 60.000 le ore impiegate, per un
costo di 72 miliardi di lire, circa 37 milioni di euro.
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LIBRI DI TESTO:
1) Titolo: Giotto
Autore: Giancarlo Vigorelli
2) Titolo: Giotto: la fiducia nell’uomo e nella storia
Autore : Monica Girardi
3) Titolo: Giotto : la pittura
Autore: Alessandro Tomei
SITI INTERNET:
1)www.wikipedia.org
2)www.geometriefluide.com
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