Nota 13 marzo 2007, n. 625 - assessorato regionale lavoro

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Nota 13 marzo 2007, n. 625 - assessorato regionale lavoro
REPUBBLICA ITALIANA
Assessorato del Lavoro della Previdenza
Sociale della Formazione Professionale e
dell’Emigrazione
AGENZIA REGIONALE PER
L’IMPIEGO
E LA FORMAZIONE
PROFESSIONALE
SERVIZIO III - Inserimento lavorativo
fasce deboli e marginali del mercato
Prot. n. 625 del 13 marzo 2007
Oggetto: Legge 68/99, art. 4 commi 4, art. 10, comma 3; DPR 333 10 ottobre 2000, art. 3, comma 2
e 4 del DPCM 13 Gennaio 2000, circolare assessoriale 27/2003. Circolare Ministero del Lavoro, Div.
III, del 10 luglio 2001 n. 66. Criteri di computabilità nella quota di riserva di cui all’art.4, co.4 della
L.68/99, dei soggetti invalidati prima della costituzione del rapporto di lavoro. Ricorso promosso
dalla ditta Cappellani di Messina rif. Nota 125/07 del 6 marzo 2007.
All’Area Interdipartimentale II
Palermo
All’Area Interdipartimentale III
Palermo
A tutti i Servizi provinciali Lavoro ed Ispettivi
per il tramite delle Aree II e III
LORO SEDI
Alla ditta Cappellani Viale Regina Elena, 335
98121 Messina
e, p c - Al Sig. Dirigente Generale Dipartimento Lavoro
SEDE
Al Sig. Dirigente Generale Agenzia
SEDE
All’ On.le Assessore regionale Lavoro
SEDE
Nel periodo di applicazione della legge 68/99 si è avuto modo di registrare alcuni dubbi
interpretativi riguardo la problematica in oggetto evidenziata, sia da parte dei soggetti
sottoposti al regime delle assunzioni obbligatorie, sia da parte di alcuni Uffici periferici
dell’Assessorato Lavoro, nonostante e, seppur in modo incidentale, il Ministero del Lavoro si
sia espresso con la circolare in epigrafe distinta, avente ad oggetto “ assunzioni obbligatorie.
Indicazioni operative in materia di accertamenti sanitari e di assegno di incollocabilità”.
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Ciò, forse, proprio per le conclusione, non molto argomentate, cui si perviene nella medesima
direttiva e che per ciò, con la presente ci si prefigge di dimostrarne, per la parte riguardante
la questione, la sua non corretta interpretazione da parte degli interessati, portati a pensare
che l’estensione della computabilità, di cui alla circolare medesima, per i soggetti in possesso
dell’invalidità prima dell’inizio del rapporto di lavoro, con assunzioni avvenute al di fuori del
collocamento obbligatorio, possa essere concessa alla sola condizione che il lavoratore
possieda un grado di invalidità pari o superiore del 60 %. Ma ciò anche per i soggetti invalidati
in costanza di rapporto di lavoro.
Per chiarire questo grosso equivoco, e stabilire quali condizioni si devono verificare per
consentire la computabilità di soggetti assunti al di fuori della disciplina sul collocamento
obbligatorio, occorre prendere in esame la normativa primaria e secondaria di riferimento.
La norma, art. 4, comma 4, della L. 68/99, infatti, tratta, nell’ambito dei criteri di computo
della quota di riserva, la fattispecie che riguarda la possibilità per il datore di lavoro di
computare come lavoratori disabili, lavoratori assunti al di fuori della normativa sul
collocamento obbligatorio, nel caso in cui gli stessi siano divenuti inabili allo svolgimento
delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia (non imputabile ad
inadempimento del datore di lavoro) ed abbiano subito una riduzione delle capacità lavorative
pari o superiori al 60%.
Con il DPR 333/2000, concernente il regolamento di esecuzione della legge 68/99 ed in
particolare con l’art. 3 comma 2 si è ribadito il concetto espresso dalla norma, con la sola
precisazione che i lavoratori computabili sono ascrivibili nella quota di assunzioni da
effettuare numericamente.
Con il comma 4 dello stesso articolo il legislatore ha voluto estendere il beneficio della
computabilità, alle stesse condizioni di cui ai commi 2 e 3 del medesimo art. 3, al caso dei
lavoratori che si siano invalidati successivamente all’assunzione a causa di infortunio o
contrazione di malattia professionale e che abbiano un grado di invalidità superiore al 33%,
sicuramente, nella considerazione che tale soglia, seppur apparentemente bassa, comporta il
più delle volte una riduzione significativa delle capacità di svolgere le proprie mansioni da
parte del lavoratore che ha subito l’infortunio o abbia contratto la malattia professionale.
Nelle pieghe di questo istituto non è difficile riconoscere, altresì, uno strumento di tutela per
il lavoratore e di garanzia per il datore di lavoro. Difatti, proseguendo nella lettura dell’art. 4
della legge si nota, sia la disposizione che consente al lavoratore di mantenere il proprio posto
di lavoro e di percepire lo stipendio di provenienza nel caso di destinazione a mansioni
inferiori o equivalenti, sia la previsione, per gli stessi, di essere avviati con precedenza in
altra azienda, nel caso di impossibilità di trovare loro altra attività compatibile con lo stato di
salute in cui versano ( vedi anche il disposto dell’art. 10, comma 3 della legge 68/99)
A tale riguardo il comma 3 dell’art. 3 del DPR 333 fissa le modalità di avviamento ad altro
lavoro in altra azienda, o la permanenza in azienda, attraverso l’attivazione delle procedure
del collocamento mirato con le quali vengono fissate le prescrizioni per il singolo caso; in
pratica attraverso il coinvolgimento delle commissioni sanitarie di cui alla legge 104/92 e dei
comitati di sostegno dei disabili, che dispongono a loro discrezione, di verificare la
compatibilità tra le intervenute riduzioni delle capacità lavorative in relazione alle mansioni
svolte, e di decidere le relative misure da adottare, in perfetta armonia con il disposto
dell’art. 8 del DPCM 13 gennaio 2000. In questo, per inciso, le commissioni, come ribadito in
diverse circolari ministeriali sia del Lavoro che della Salute, non sono chiamate a
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ripercentualizzare il grado di invalidità del lavoratore, ma a porre in essere ogni atto
necessario al comitato di sostegno dei disabili, per esprimersi sulla compatibilità delle
residue capacità lavorative con le mansioni svolte dal lavoratore. Occorre soggiungere, per
completezza di trattazione, che le richieste di sottoposizione a visita possono essere
inoltrate al comitato sia dal lavoratore per la salvaguardia della propria salute e per la
propria incolumità, sia dal datore di lavoro per sollevarsi da ogni responsabilità su eventuali
danni causati da un’utilizzazione impropria del lavoratore, che potrebbero scaturire da una
incongruente mansione svolta e per conseguire il beneficio della computabilità del
lavoratore disabile, assunto al di fuori delle procedure per il collocamento obbligatorio,
ricorrendone le circostanze.
Fatti i superiori richiami normativi, anche per fornire un quadro, quanto più possibile chiaro,
del contesto in cui lo strumento in discussione è stato concepito dalla legge, per i diversi
effetti che esso dispiega, occorre, adesso, comprendere a fondo le ragioni giuridiche su cui si
fonda la possibilità di computare tali soggetti come disabili assunti a tutti gli effetti della
legge 68/99 e, nel contempo, di non considerarli ai fini della determinazione della base di
computo su cui calcolare la quota di riserva.
Le ragioni, si ha motivo di ritenere, risiedano nella volontà di garantire al lavoratore la
salvaguardia dei propri diritti nei modi sopradescritti e, di tenere conto del fatto che lo
stesso non possa più svolgere le mansioni per le quali era stato assunto; situazione, questa, che
comporta per il datore di lavoro un onere sociale identificabile in una minore redditività del
lavoratore a fronte della garanzia del salario che invece deve essere mantenuto in rapporto
alla qualifica di provenienza. Condizioni queste che il datore di lavoro di certo non poteva
conoscere o prevedere al momento dell’assunzione sul libero mercato del lavoro. E su
quest’ultimo concetto, a nostro avviso, che viene formulato l’articolo di legge che oltre a
porre la condizione del possesso di un alto grado di invalidità (60%), prevede il beneficio
della computabilità, soltanto, per quei lavoratori che divengono inabili allo svolgimento delle
proprie mansioni.
Solo verificandosi queste particolari condizioni e comunque solo nel caso di un aggravamento
della malattia, rispetto all’invalidità posseduta dal lavoratore prima di essere assunto, che ha
comportato l’incapacità, accertata dagli organi collegiali competenti, di svolgere le iniziali
mansioni, e comprovata da certificati storici di invalidità che attestino la variazione del grado
di invalidità dopo l’assunzione, può essere valutata positivamente la richiesta di computabilità
in questione. E ciò sempre per tenere in debito conto la sopraggiunta incapacità di svolgere le
mansioni per le quali il soggetto è stato assunto.
Dunque, assurdo sarebbe, in quanto al di fuori di ogni logica, il ritenere computabile un
soggetto che pur avendo il 60% di invalidità possa svolgere, secondo quanto acclarato dagli
organi collegiali competenti, le stesse mansioni iniziali; altrettanto assurdo e privo di
fondamento giuridico sarebbe considerare, nel caso in esame computabile il lavoratore
assunto con il collocamento ordinario, che già era in possesso di un grado di invalidità pari o
superiore al 60%, senza che sia intervenuto un ulteriore aggravamento che limiti o precluda la
possibilità di svolgere le proprie iniziali mansioni.
Con la circolare ministeriale predetta si è voluto estendere, appunto, il benefico della
computabilità anche al caso di soggetti invalidati prima della costituzione del rapporto di
lavoro.
Ma alla luce delle superiori considerazioni, l’estensione del beneficio di cui alla circolare
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Ministeriale 66, comma 7, non è automatico e deve essere suffragato da una corretta
interpretazione della norma, stante che, la computabilità, può ottenersi, soltanto attraverso
l’attivazione della procedura di richiesta di visita di conferma dello stato invalidante, da
parte del lavoratore o del datore di lavoro, ovverosia tramite la verifica della compatibilità
delle mansioni cui il lavoratore è adibito in relazione al suo attuale stato di salute;
riconoscendo a tale istituto la giusta importanza, essendo che, in tal modo, il beneficio viene
concesso al verificarsi delle due condizioni imposte dalla legge, che si basano sul possesso
del grado di invalidità, del 60%, del lavoratore e sulla circostanza che lo stesso, oggi,
non possa più svolgere le originari mansioni per le quali era stato a suo tempo assunto.
Se si verificano, pertanto, entrambe le condizioni si può concordare sull’estensione del
beneficio al caso di soggetti invalidati prima dell’inizio del rapporto di lavoro.
Inutile aggiungere che anche per i soggetti che si sono invalidati durante il rapporto di lavoro
devono verificarsi entrambe le suddette condizioni.
Pertanto, la ditta in indirizzo, per poter eventualmente, beneficiare dell’istituto in
discorso, dovrà attivare con la massima urgenza, le procedure sin qui rassegnate. In
carenza rimane passibile delle sanzioni previste dalla legge 68/99.
Gli Uffici in indirizzo cureranno la notifica della presente, facendosi carico di porre e
raccomandare la massima puntualità nell’applicazione delle superiori indicazioni.
F.to IL DIRIGENTE DEL SERVIZIO III
(DOTT.GIUSEPPE CORRENTI)
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